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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

IV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Giovedì 26 settembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vito Elio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI SISTEMI D'ARMA DESTINATI ALLA DIFESA IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DI DICEMBRE 2013

Audizione di rappresentanti di Finmeccanica.
Vito Elio , Presidente ... 3 
Pansa Alessandro , Amministratore delegato e Direttore generale di Finmeccanica ... 3 
Vito Elio , Presidente ... 11 
Cicu Salvatore (PdL)  ... 11 
Vito Elio , Presidente ... 12 
Scanu Gian Piero (PD)  ... 12 
Vito Elio , Presidente ... 12 
Artini Massimo (M5S)  ... 12 
Duranti Donatella (SEL)  ... 12 
Vito Elio , Presidente ... 12 
Rossi Domenico (SCpI)  ... 12 
Marcolin Marco (LNA)  ... 13 
Airaudo Giorgio (SEL)  ... 13 
Bolognesi Paolo (PD)  ... 14 
Vito Elio , Presidente ... 14 
Alberti Ferdinando (M5S)  ... 14 
Vito Elio , Presidente ... 15 
Cera Angelo (SCpI)  ... 15 
Vito Elio , Presidente ... 15 
Pansa Alessandro , Amministratore delegato e Direttore generale di Finmeccanica ... 15 
Vito Elio , Presidente ... 18 
Pansa Alessandro , Amministratore delegato e Direttore generale di Finmeccanica ... 18 
Vito Elio , Presidente ... 19 
Scanu Gian Piero (PD)  ... 19 
Vito Elio , Presidente ... 19 
Scanu Gian Piero (PD)  ... 19 
Artini Massimo (M5S)  ... 20 
Vito Elio , Presidente ... 21 
Pansa Alessandro , Amministratore delegato e Direttore generale di Finmeccanica ... 21 
Vito Elio , Presidente ... 23 

ALLEGATO: Documentazione presentata dal dottor Alessandro Pansa, Amministratore delegato e Direttore generale di Finmeccanica ... 24

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ELIO VITO

  La seduta comincia alle 10.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati e la diretta televisiva sulla web-tv del sito internet della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Finmeccanica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma destinati alla difesa in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013, l'audizione di rappresentanti di Finmeccanica.
  Ringrazio l'amministratore delegato di Finmeccanica, dottor Alessandro Pansa, sia per aver accolto l'invito della Commissione a partecipare, tra i soggetti auditi, alla nostra indagine conoscitiva, sia per la disponibilità dimostrata nel prendere atto della modifica dell'orario che abbiamo dovuto apportare in considerazione dell'andamento delle votazioni presso l'Aula.
  Saluto e do il benvenuto, oltre che al dottor Pansa, anche al dottor Marco Forlani, direttore centrale delle relazioni esterne, al dottor Francesco Lalli, direttore dei rapporti istituzionali, al dottor Lorenzo Nardelli, responsabile rapporti con il Parlamento, al dottor Roberto Alatri, capo ufficio stampa, e al dottor Angelo Monerba, Media Advisor, che accompagnano il dottor Pansa. Ci fa piacere avere una rappresentanza così nutrita e qualificata di Finmeccanica.
  Segnalo ai colleghi che, dopo l'intervento del dottor Pansa, potrà aver luogo un ciclo di domande da parte di un rappresentante di gruppo e, successivamente, la replica del dottor Pansa. So che sono state anche portate delle schede illustrative del suo intervento, che possiamo distribuire ai colleghi.
  Cedo ora volentieri la parola al dottor Pansa per lo svolgimento della sua relazione.

  ALESSANDRO PANSA, Amministratore delegato e Direttore generale di Finmeccanica. Vi ringrazio dell'invito. È veramente un piacere poter discutere di fronte alla Commissione difesa della Camera dei deputati temi che tutti i giorni sono parte integrante, molto importante e anche, in alcuni casi, appassionante del nostro lavoro. Vorrei partire da alcuni concetti che forse possono essere utili per comprendere l'evoluzione dell'industria della difesa anche, ma non solo, in vista, come sottolineava il presidente, del Consiglio europeo di dicembre.
  Innanzitutto, vi è una seconda scadenza di grande importanza, di cui è opportuno si tenga conto ancorché se ne parli piuttosto poco: il negoziato sul libero scambio tra Europa e Stati Uniti, che avrà un'influenza molto consistente su questo tipo di industria, essendo evidente che il principale sistema industriale nel mercato della difesa è quello statunitense. Che questo sistema sia concentrato come produzione negli Stati Uniti o, invece, ritenga di compiere investimenti all'estero non sarà irrilevante per l'industria europea.Pag. 4
  Vorrei ricordare che il mondo della difesa si divide davvero in due: Forze armate e industria. Lo sostengo perché anche la struttura delle amministrazioni della difesa sono divise in questo senso. In Italia, l'allora Ministro della difesa, professor Andreatta, ebbe la straordinaria idea e la grande capacità di riuscire a costruire un sistema suddiviso, appunto, anche per il Ministero della difesa tra l'attività di gestione delle Forze armate, che fa capo al Capo di stato maggiore della difesa e ai Capi di stato maggiore delle Forze armate, e un'attività di rapporto tra industria e sistema della difesa, che fa capo al Segretariato generale della difesa, un'altra «faculty».
  Non posso asserire che quest'ultima sia parallela, ma certamente entrambe rispondono al Ministro della difesa, che si occupa prevalentemente, come capita in tutti i Paesi con un'industria locale in questo settore, di gestire i rapporti tra le Forze armate e l'industria, dove l'elemento più importante è quello della gestione, dello sviluppo e dell'utilizzo della tecnologia.
  Le tecnologie, che forse ai tempi del Ministro Andreatta si potevano distinguere in militari e civili – oggi, come dirò tra un attimo, questa distinzione non è più consentita –, hanno una rilevanza cruciale per la struttura, il patrimonio tecnologico e la crescita economica di un Paese.
  Vi basti sapere che quello sul PIL degli investimenti in strumenti di difesa è il più alto tra tutti i moltiplicatori dei capitoli della spesa pubblica. Parliamo, secondo alcune nostre stime – sappiamo ancora gestire abbastanza bene qualche modellino – di moltiplicatori che, a seconda delle differenze, raggiungono l'1,73 o l'1,83, numeri enormi.
  Per darvi un'idea, il moltiplicatore sul PIL dei trasferimenti pensionistici è inferiore a 1. Ogni euro genera una quantità di reddito nazionale inferiore all'euro investito. Questo riveste un'enorme importanza poiché ogni scelta di investire in strumenti di difesa che incorporino una tecnologia sviluppata all'interno di un Paese, dove è anche industrializzata, influenza la crescita economica, che oggi non credo debba essere sottovaluta.
  Ha anche un enorme effetto sull'occupazione. Ogni lavoratore impiegato nell'industria della difesa ha un effetto moltiplicatore di circa 3,21: nel momento, cioè, in cui un ingegnere lavora nel nostro mondo a sviluppare tecnologia, questo genera 3,21 posti di lavoro altrove.
  Questa non è una grande novità. Come sapete, è stato recentemente pubblicato negli Stati Uniti un interessantissimo studio, secondo il quale città o sistemi locali in cui esistono industrie ad alta tecnologia generano un numero di posti di lavoro in settori completamente diversi, dal parrucchiere ai ristoratori, ai gestori di sistemi logistici, proporzionalmente molto maggiore di quanto non accada in sistemi dove non esistono industrie a tecnologia elevata.
  È ancora più impressionante notare quale sia il moltiplicatore sul reddito nazionale della pura attività di ricerca e sviluppo nel settore, ancora una volta, dell'Aerospazio e difesa. Come vedremo tra un attimo, le tecnologie di quel settore non sono distinguibili e separabili tra di loro.
  Da un calcolo sulla vita di Finmeccanica – non ho, però, alcuna intenzione di fare pubblicità perché non siamo qui a parlare specificatamente di Finmeccanica – ricordo che il nostro ammontare di ricerca e sviluppo, che si approssima ai 2 miliardi di euro l'anno tra quella che finanziamo e quella che è finanziata attraverso strumenti diversi, ha un effetto sul PIL nel lungo periodo, ancora una volta in termini di crescita o di riduzione, di più del 5 per cento in termini di ricadute successive.
  Ovviamente, sono qui a domandare una maggiore allocazione, spettante non solo a questa Commissione, di fondi per la difesa, ma anche perché è importante capire l'effetto e le conseguenze che gli sviluppi strategici di questo settore hanno per il Paese. Queste conseguenze e questi effetti sono ancora maggiori se ci si rende conto del fatto che, per ragioni a mio modo di vedere completamente casuali – non credo Pag. 5vi sia alcun disegno sottostante – quella dell'aerospazio e difesa è quasi la sola industria ad alta tecnologia e ad alta intensità di capitale che residua in questo Paese.
  Non penso che questo dipenda dalla capacità o dalla bravura dei miei predecessori, né dalla lungimiranza di politici del passato. Penso a una serie di circostanze, in alcuni casi non voglio dire fortuite, ma certamente non del tutto cercate e create. Resta il fatto che, quando si parla di grande industria manifatturiera in Italia – non mi occupo di quello che ha a che fare con le utility, l'industria elettrica, le materie prime – in termini di comparazione con il resto d'Europa, purtroppo l'industria della difesa è quasi la sola che residua, e di conseguenza i suoi effetti in termini di crescita sul reddito nazionale, sulla domanda aggregata e sulla creazione di ricchezza e di occupazione non sono del tutto indifferenti proprio perché sono abbastanza isolati. Ce ne sono pochi in altri tipi di aziende.
  Voglio ricordare un'ultima considerazione di premessa: non ha alcun senso parlare di difesa in quanto tale. In passato, le tecnologie militari precedevano le tecnologie civili. Da una ventina d'anni, in particolare con lo sviluppo delle telecomunicazioni, le tecnologie militari e quelle civili si trovano in una corrispondenza biunivoca.
  Le prime non sono sempre tributarie delle seconde e viceversa. Ricordiamo che il mondo dell'Aeronautica non è solo ala fissa, ossia aerei, ma anche ala rotante, ovvero elicotteri, tutto ciò che vola, spazio del sistema dei satelliti e della loro costruzione e servizi a questi connessi.
  Vorrei, inoltre, sfatare una convinzione oggi erroneamente radicata in molti: nel nostro mondo, non ha senso parlare neanche di distinzione tra militare e civile. In Finmeccanica, l'80 per cento dell'attività nel settore spaziale è civile; il 47 per cento di attività nel settore aeronautico è civile; il 44 per cento dell'attività nel settore dell'elicotteristica è civile; persino nel mondo dell'elettronica per la difesa e sicurezza, il 28 per cento della nostra attività si svolge in settori civili.
  Sostenere, quindi, che esistono in Finmeccanica attività civili e attività militari è del tutto errato e non consente alcuna seria discussione a questo riguardo. Finmeccanica è costituita da settori diversi: da una parte, l'area spazio e l'area difesa; dall'altra, l'energia; dall'altra ancora, tutti gli altri settori aventi un'identica dignità, ma che non possono essere segmentati secondo questa distinzione civile e militare, oggi così spesso richiamata dai giornali.
  Ciò premesso, poiché siamo nella Commissione difesa, la domanda riguarda i trend che stiamo aspettando per i prossimi anni nel nostro mondo. Sono, fondamentalmente, due. Il primo è un enorme spostamento dei budget militari e anche dell'attività spaziale e dell'attività aeronautica, per quanto civile, dal mondo occidentale al resto del mondo.
  Le dimensioni del mercato della difesa non vanno riducendosi, ma soltanto spostandosi. Dei circa 480-490 miliardi di dollari all'anno investiti nel mondo della difesa, negli ultimi 4 anni, 110-120 si sono spostati verso 7 Paesi: la Russia, la Cina, l'India, la Turchia, l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi e il Brasile; in altri tre Paesi in misura un po’ meno consistente: il Qatar, l'Indonesia e Singapore.
  Tutto ciò vede una riduzione consistente della domanda di strumenti di difesa, spaziali o aeronautici a essi collegati da parte del mondo occidentale, fondamentalmente del Nord Atlantico, Stati Uniti e Canada da una parte, Europa dall'altra, laddove per Europa si intende tutta l'Unione europea, fino ai confini con l'Ucraina, incluse le tre Repubbliche baltiche, con un peso e una rilevanza molto significativi.
  La seconda rilevanza a questo riguardo è la ragione per la quale questo spostamento è avvenuto. Sono tre i motivi fondamentali. Il primo è un fatto di banale prestigio politico: il Brasile investe in modo consistente nel mondo della difesa. Ha combattuto una sola guerra nel 1854 Pag. 6con il Paraguay, vincendola peraltro con difficoltà nonostante si trattò di scaramucce più che di una guerra, e non ha mai impiegato misure di tipo militare.
  Come sapete, però, secondo una vecchia definizione degli Illuministi del Settecento, uno Stato è lingua, moneta ed esercito. Disporre di una rilevante forza militare consente a un Paese, nella misura in cui lo desideri, di svolgere un certo ruolo nella regione in cui è sorta. Il Brasile rappresenta questo caso.
  La seconda ragione è rappresentata dal fenomeno della persistenza di minacce. È la tipica ragione, ad esempio, dell'incremento delle spese militari nei Paesi del Medioriente (Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi) che hanno un problema, come almeno loro lo percepiscono, in Iran, Afghanistan e difficoltà che adesso provengono dal Medioriente più vicino, dalla Siria e dal Nord Africa, che certamente li spingono a maggiori investimenti in strumenti militari, specialmente laddove gli Stati Uniti sembrano, nel lungo periodo, essere destinati a ridurre il loro impegno militare da quelle parti.
  Il terzo motivo, più importante per noi, è quello, per usare un'espressione un po’ marxiana, dell'accumulazione accelerata di capitale. L'investimento in sistemi di difesa consente a chi lo compie di generare un'accumulazione di capitale non solo fisico, ma, molto più importante, intangibile, ossia conoscenza, competenza e know how, che i Paesi emergenti stanno ovviamente generando a tappe forzate. Il loro obiettivo, infatti, è quello di ricostruire quote di capitale tali da essere almeno pari a quelle che il mondo occidentale scelleratamente continua a distruggere e, se così si può dire, a «decumulare» ogni giorno che passa, consumando una ricchezza creata nel tempo e che oggi sta pervicacemente e scelleratamente distruggendo.
  Capirete che il ruolo dell'industria della difesa, a fronte di questi aspetti, diventa molto importante. Nel primo caso e nel secondo caso, si tratta di rispondere semplicemente a delle domande, ma evidentemente il sistema cambia perché questo fenomeno fa aumentare la concorrenza.
  Aumentando la domanda in Paesi in cui non esiste un'industria locale, che in qualche modo genera sempre un po’ di autarchia e protezionismo, la concorrenza cresce. Questo fa sì che le imprese della difesa siano molto più dei price-taker, ovvero siano obbligate a correre a prezzi definiti da altri, che non dei price maker, cioè a generare prezzi sulla base delle proprie strutture di costi. Questo obbliga le imprese a un drammatico incremento di efficienza. Per poter essere competitivi, infatti, in questi mercati è cruciale la necessità di disporre di strutture e di costi minori.
  La seconda importantissima conseguenza di questo fenomeno è l'internazionalizzazione delle aziende americane. Le aziende americane, che hanno sempre trovato un mercato sufficiente a casa loro e non avevano mai pensato di vendere all'estero, se non nell'ambito di operazioni di politica estera collegata con gli interessi generali del Paese, oggi, che hanno visto una riduzione molto consistente del budget interno, si affacciano su mercati che prima erano dominati in modo consistente dall'industria europea.
  Inoltre, l'accumulazione di capitale che si svolge in questi mercati dà adito e consente la creazione di nuovi soggetti industriali locali, di cui oggi non conosciamo quasi il nome, ma che, nell'arco dei prossimi 5-10 anni, diventeranno nostri concorrenti rilevanti. Oltretutto, di questi Paesi ci mancano due aspetti: il rapporto tra qualità del lavoro e costo è drammaticamente più conveniente che non in Occidente; infatti, dispongono di ammontare di capitali da investire che neanche ci sogniamo.
  Abbiamo avuto la scellerata idea di trasferire ai mercati finanziari un'enorme quota di potere per la gestione dei capitali e, oggi, Paesi che crescono a tassi più bassi, non hanno la possibilità di attirare capitali, che, invece, si dirigono verso quelli che crescono al 4-5 per cento. È certamente meno rischioso che investire in sistemi che si riducono dell'1-1,5 per Pag. 7cento, come capita all'Italia, e certamente non molto di più, come capita al resto dell'Europa.
  Queste tre circostanze – maggiore concorrenza, ruolo dell'industria, nascita di nuovi soggetti – fanno sì che l'industria europea debba scegliere una strada evidente, che ha già scelto. Come è noto, infatti, il rischio è quello enunciato in una poesia di Montale, «io sono troppo vecchio per sostare / davanti al bivio. C'era forse un trivio / e mi ha scelto. ». Corriamo il rischio di essere guidati da una scelta altrui anziché essere padroni della strada che, di fronte al trivio, abbiamo voglia di imboccare.
  L'industria europea è oggi descrivibile come una sorta di grandissima ragnatela, nella quale si intersecano partecipazioni, joint venture, alleanze, che certamente riducono in maniera molto consistente l'efficienza e l'efficacia della propria attività.
  È certo, quindi, che la nostra industria è sofferente per le riduzioni dei budget domestici, quindi non solo di quello italiano, piuttosto striminzito, ma anche di quello francese e britannico. La Germania, che volendo, potrebbe investire molto di più, non lo fa per ragioni che, se volete, potremo esaminare dopo.
  Ora, queste industrie si avvieranno e si stanno già avviando a un processo di rilevante concentrazione, che ha due motivazioni sostanziali: la prima è quella di poter maggiormente influenzare le scelte dei governi in merito a investimenti nel settore dell'aerospazio e difesa; la seconda è quella di poter sfruttare le economie di scala e le economie di scopo derivanti dalla dimensione, e quindi incrementare l'efficienza produttiva, ridurre i livelli di costo ed essere, così, pronti ad affrontare la concorrenza sui prezzi nei citati Paesi emergenti.
  Questo processo, che ha preso l'avvio con la mancata fusione tra EADS, oggi Airbus Group, e BAE Systems, però ha comunque dato l'avvio, come la palla che rotola – ormai la palla di neve è stata lanciata – e il processo va avanti. Il fatto che la fusione non sia avvenuta per qualsivoglia ragione non vuol dire che il fenomeno strutturale si sia arrestato. Può, in realtà, seguire due strade.
  Una è quella che un'industria si riconfigura per conto proprio, segue cioè proprie dinamiche, di allocazione di quote di potere derivanti dalle dimensioni dei singoli comparti industriali, dalla rilevanza delle tecnologie, che un'industria o l'altra ha.
  Questo fa sì che, in maniera indipendente dalla posizione geografica di alcune industrie, si avranno fenomeni di concentrazione un po’ simili a quello che oggi ha portato alla creazione di Airbus Group, di cui non si capisce esattamente la natura e l'origine, tant’è vero che nell'ultima assemblea di questa società è stato cancellato dallo statuto il diritto di veto che i governi tedesco, francese e spagnolo avevano sulle azioni strategiche di questa azienda, consentendole tutta la libertà possibile sia di insediamento sia di scelte strategiche e operative.
  La seconda strada possibile è, invece, quella – torniamo al famoso trivio di Montale – per cui le istituzioni politiche, in modo del tutto legittimo, come asserisco con grande convinzione poiché riconosco alla politica il diritto di influenzare e determinare certe scelte, sono in grado di influenzare i processi di aggregazione. Questo è l'unico sistema che consente di definire il percorso di allocazione delle tecnologie, le quali, come visto in premessa, se ho ragione in ciò che dico, sono fondamentali per determinare il livello qualitativo, ma anche quantitativo, dei processi di sviluppo e di crescita del prodotto interno lordo dei Paesi che, come è noto, hanno non solo una quantità, ma una qualità. Posso garantirvi che la qualità di un PIL fondato su sviluppo di tecnologie riveste grande rilevanza.
  Espellere, ad esempio, un ingegnere di 45 anni dal mondo industriale costa alla società, alla comunità, non alla azienda, 1,5 milioni di euro, che è la somma di tutto ciò che la società ha investito per farlo arrivare dove si trova. Questo costo non si recupera più. Definire, quindi, i processi di appropriazione, salvaguardia e Pag. 8tutela delle tecnologie e delle strutture di industrializzazione e di incorporazione di questa nei prodotti non è del tutto irrilevante ai fini della destinazione del futuro di un Paese.
  Le due strade sono, allora, quella di una riorganizzazione indipendente e quella di un processo che tiene necessariamente conto delle dinamiche di mercato, ma rispetto alle quali, ahimè – lo dico con un po’ di rammarico – la politica non ha più nessuna possibilità di influenzare in maniera totale, ma solo parziale, in virtù della liberalizzazione dei movimenti di capitale avvenuta negli anni Ottanta e nei primi cinque anni di questo decennio. Certamente, però, numerose iniziative sono ancora possibili.
  In questo senso, la questione è se i singoli governi europei possano fare molto o abbiano interesse a fare molto. Premetto che si parla tanto di politica industriale, qualcuno addirittura di politica industriale europea: per un Paese, la politica industriale conta fintanto che ha asset industriali da giocare in questa politica; in assenza di asset da mettere sul tavolo, di che diavolo si può parlare ?
  Il professor De Cecco, credo uno dei più grandi economisti che questo Paese ancora ha, sosteneva che la politica industriale dei grandi Paesi fosse condotta dalle allora multinazionali rigorosamente spalleggiate dai loro governi: credo sia un'affermazione che tutti dobbiamo ricordare. Questo vale in Europa per la Francia e per la Germania. L'Italia non ha, come abbiamo sottolineato, molti asset da mettere sul tavolo per giocare questo ruolo. Certamente, lo è quello per cui lavoriamo noi, e per il quale siamo qui oggi vostri ospiti.
  Pertanto, credo che lavorare a una politica industriale collegata col mondo dell'aerospazio e difesa – continuo a definirlo in un modo complessivo perché null'altro si può fare a questo riguardo – sia nel primario interesse del Paese. Certamente, infatti, un Paese come l'Italia da solo non è nelle condizioni di farlo anche per le disponibilità finanziarie, che, al di là di qualsiasi ulteriore significativo sforzo, che sarebbe certamente importante compiere, non possono andare oltre una certa misura.
  In secondo luogo, la maggior parte dei nostri concorrenti/alleati – nell'aeronautica, l'Europa è un misto di collaborazione e competizione, sembra un po’ un impianto del gas, come lo definisce un nostro collega, su una carta su cui si disegnino tutte le partecipazioni nazionali incrociate – in Europa ovviamente non sono italiani, vengono da altri Paesi e si fanno vigorosamente spalleggiare dai loro governi, tanto per riprendere la definizione del professor De Cecco. Ecco, quindi, che, a livello europeo, molto si può fare e, soprattutto, l'Italia può fare molto perché gode di un pezzo significativo di industria da mettere sul tavolo per sostenere di contare.
  Bisogna, quindi, domandarsi cosa sia nell'interesse del nostro Paese a questo riguardo nell'ambito della politica industriale europea nel settore dell'aerospazio e difesa. Certamente, questo appuntamento di dicembre 2013 è di grande importanza. Se non ricordo male, ma potrei, l'ultimo Consiglio europeo interamente dedicato a quest'argomento risale al 1999. Non sono trascorse poche settimane e molto probabilmente ne trascorreranno ancora un po’ per arrivare al prossimo.
  Sono senza dubbio importanti le affermazioni collegate con il desiderio di costruire politiche di difesa comune a supporto delle politiche estere europee, che certamente vedono in più di una circostanza comportamenti non del tutto coordinati dei principali governi e Paesi della nostra Unione, una stretta guideline che nel tempo dovrebbe influenzare il lavoro dei legislatori, della parte operativa dell'amministrazione della difesa, cioè le Forze armate, e dell'industria e dei suoi rapporti con lo Stato.
  È importante, però, che riteniamo si possano raggiungere dei risultati un po’ più concreti che non il desiderio di una difesa europea comune, che di sicuro noi non potremo, mentre forse i nostri nipoti avranno qualche chance di vedere.Pag. 9
  Credo sia importante, invece, che si possono raggiungere obiettivi significativi. Abbiamo proposto quattro o cinque iniziative che ci auguriamo il Governo abbia voglia di fare proprie, che possono sembrare non travolgenti, ma a nostro modo di vedere rivestono un significato. Mi avvio a descriverle e a concludere questo mio intervento sperando di non avervi annoiato troppo.
  Anzitutto, l'Europa non può investire in strumenti militari perché il monopolio della forza resta in capo agli Stati, a mio modo di vedere grazie a Dio. Ciò premesso, l'Europa può investire in tecnologie e, soprattutto, non esistono sistemi di difesa comuni se non esistono tecnologie uguali incorporate nei prodotti realizzati. Non importano la sagoma, il frame o la carrozzeria, per usare un termine dell'utilizzo di un elicottero, ma i sistemi elettronici di comunicazione e di gestione della macchina che vi si trovano dentro.
  Finché questi sono comuni, si possono anche realizzare bellissimi elicotteri e diversissimi, ma questo non cambia niente. Si tratta di soggetti che possono stare insieme, operare insieme, lavorare insieme in maniera indifferente e puntare a essere utilizzati tanto da un francese quanto da un italiano e da un tedesco, come nella famosa barzelletta. Al di là, infatti, della struttura complessiva, la gestione dei medesimi è uguale per tutti.
  Pertanto, l'Europa può varare un numero limitato, tre o quattro, di programmi tecnologici comuni, sui quali consentire la costruzione di una base tecnologica comune, che è il fondamento di una gestione integrata delle Forze armate.
  Non dirò cosa vorremmo perché potrebbe sembrare che si voglia privilegiare un'attività rispetto a un'altra, ma sicuramente questo è fondamentale e lo è ancora di più tenendo conto che nessun Paese europeo, persino la Francia, che investe quasi 15 miliardi di euro all'anno e difende con un'ostinata gelosia, che trovo ammirevole, i suoi investimenti in tecnologia militare, è in grado di sostenerli da solo. Pertanto, solo un programma europeo può permettere all'Europa di disporre di una base tecnologica che, peraltro, oggi i nostri concorrenti americani hanno già in buona parte e che si guardano bene dal condividere con alcuno.
  Siamo, inoltre, profondamente convinti del fatto che gli investimenti in tecnologia militare, in prodotti militari, siano beni di investimento e che come tali dovrebbero essere trattati. Se un'industria privata investe in una macchina utensile, la ammortizza in quindici anni.
  Non si capisce, allora, perché non sia possibile fare la stessa cosa nei bilanci pubblici attraverso l'acquisto di aerei militari, elicotteri della Protezione civile o quello che si voglia, che ovviamente hanno una durata, che devono essere pari all'iscrizione nei bilanci dei debiti e dei costi necessari per riuscire ad acquistarli e a sostenerli. Si parla di una modifica dei comportamenti e delle scelte del sistema europeo dei conti (SEC), che a questo riguardo è alla base della definizione dei sistemi.
  Prima di passare all'ultimo argomento, vorrei segnalare che, se è vero che le tecnologie aeronautiche, dello spazio e della difesa sono fondamentali per la crescita di Paesi a costi del lavoro e a costi del capitale molto elevati, allora sarebbe piuttosto utile l'identificazione di uno status specifico per l'industria aeronautica, dello spazio e della difesa, già riconosciuto per altri soggetti, che è quello dell'operatore europeo alla difesa, il quale consente una maggiore facilità nella gestione dei rapporti di import-export, nel trasferimento di tecnologie, fondamentale, e gestione di scelte industriali e di programmi comuni.
  In questo senso, faccio presente, lo dicevo prima, che, siccome il futuro dell'industria della difesa e anche di Finmeccanica è sì prevalentemente europeo, ma non crediamo soltanto europeo per quello che dirò tra un attimo, è fondamentale tenere conto di questo negoziato Europa/Stati Uniti, che si richiama, non come alcuni credono, al libero scambio, ma alla libertà di scambi e investimenti.
  Le regole in fatto di trasferimento tecnologico, di import-export di beni militari Pag. 10e di investimenti in transazioni azionarie in attività di questi settori che gli Stati Uniti hanno, sono un numero incommensurabile di volte più severe di quelle dell'Europa, mentre sarebbe fondamentale disporre di un minimo – non posso dire in misura totale perché non sarà mai possibile – di reciprocità, al fine consentire, pur rischiando una maggiore penetrazione delle industrie americane nel nostro continente, una maggiore aggressività o un maggior interesse e capacità di agire delle industrie europee negli Stati Uniti, mercato che, se non a prezzi elevatissimi, le è sostanzialmente precluso.
  Veniamo alla nostra piccola Finmeccanica, in cui credo vi possa essere un interesse da parte dei commissari a sentire cosa ne stiamo pensando. Quello che ho appena detto non lascia, ovviamente, indifferente l'industria nazionale che, con poche eccezioni, è incorporata prevalentemente da Finmeccanica. Le eccezioni non sono irrilevanti, come la parte militare della Fincantieri, di Elettronica e di altre aziende, di quello che residua di Avio per la parte spaziale, ma certamente ne facciamo parte in modo consistente.
  Sotto questo profilo, non saremo in grado di rimanere fuori da questo processo di riorganizzazione dell'industria. Quanto dicevo a proposito del fatto che siamo noi a poter definire il nostro futuro o che è il futuro che sceglierà la nostra destinazione, vale in modo particolare per noi, sufficientemente grandi da essere coinvolti in processi di questo tipo, ma al tempo stesso troppo frastagliati in termini di singoli settori di attività per contare nello stesso modo in tutti gli ambiti nei quali siamo presenti.
  Da questo punto di vista, non nego che il futuro della nostra azienda sarà assai diverso a seconda che segua percorsi del tutto industriali e collegati unicamente alle scelte sui mercati dei capitali, che hanno una loro validità e sensatezza, ma sono chiaramente diverse, orientate da logiche, strutture e processi diversi; o che, invece, cosa da cui ormai non si può prescindere più, sia affiancato da un rapporto chiaro tra politica e industria, laddove la politica, riconoscendo gli interessi dell'industria e, l'industria, comprendendo le funzioni di preferenza e i vincoli della politica, cercheranno di trovare una strada comune per favorire i sovra citati investimenti, necessari a consentire una migliore crescita del Paese in termini quantitativi e qualitativi.
  Posso spiegare cosa accadrà a noi. Siamo oggi presenti nell'aeronautica, nello spazio e nella difesa, in troppi settori; vi è un'eccessiva diversificazione e, per partecipare seriamente e con qualche chance di successo a questa opzione di riorganizzazione, dobbiamo scegliere in quali settori investire di più e cercare di maturare una leadership non solo italiana, ma anche europea.
  Citerò l'esempio più banale, rappresentato dagli elicotteri. L’AgustaWestland è oggi la terza azienda al mondo per dimensioni e la prima al mondo per profittabilità. Il mercato italiano è completamente saturo, non vi è nessuna possibilità, se non quella di lavorare in termini di sostituzione per la parte civile.
  Allora, è chiaro che un investimento da parte dell'amministrazione della difesa nella crescita e nello sviluppo delle tecnologie di quest'azienda, Finmeccanica, per una maggiore internazionalizzazione in mercati importanti della nostra società, consentirebbe o consentirà – li giudichiamo possibili e necessari – all'azienda di avere un ruolo in Europa che potrà confrontarsi con quello del suo principale concorrente europeo, Eurocopter, che ha alle spalle due giganti come la Francia e la Germania, e di affermarsi come un soggetto che può garantire o può permettersi una leadership italiana in questo settore.
  Lo stesso discorso vale per altri ambiti, per alcune parti rilevanti dell'aeronautica, sia essa civile o militare, quella che sta non nella prima fascia degli aerei a lungo raggio o dei grandi aerei da combattimento, dove pure siamo presenti, ma solo in qualità di soci di altri soggetti o di fornitori, ma nella parte più bassa, dove ci sono gli aerei da addestramento, quelli da attacco leggero, quelli da trasporto tattico e i primi velivoli senza pilota, che vanno Pag. 11sviluppandosi per la parte militare, i turboelica regionali e gli aerei regionali a getto per la parte civile, segmento appunto di secondo livello ma importante e profittevole quanto il primo e foriero di grandissima clientela.
  Basti sapere che l’ATR, l'aereo da trasporto regionale, ormai nato trent'anni fa, continua oggi a vendere e a sfornare 90 esemplari all'anno, niente affatto venduti alla British Airways o alla Air France, ma a una serie di linee di secondo livello, ottimi clienti, grazie ai quali si conseguono ottimi profitti. Questo permette lo sviluppo di tecnologie nuove, motori meglio realizzati, sistemi propulsivi diversi, materiali meno pesanti e via discorrendo. I due esempi servono unicamente a ricordare come il nostro tema sia quello di una concentrazione in un numero limitato di settori, sui quali possiamo negoziare, quando sarà, con i nostri partner/concorrenti un peso rilevante dell'Italia in uno dei pochi settori in cui resiste ancora una rilevante industria nazionale.
  Questo vale anche per il versante statunitense, per il quale Finmeccanica è quasi l'unico soggetto europeo a disporre di un'importante impresa della difesa in quel Paese. Come tutti sanno, gli investimenti all'estero di un'impresa nazionale hanno sul prodotto interno lordo del Paese di origine una rilevanza maggiore degli investimenti in casa nel lungo termine. Questa è una delle poche verità incontestabili nella teoria economica, già dai tempi di David Ricardo, 1821, ed è certamente vera.
  Ecco che quello di Finmeccanica è un futuro di integrazione europea, lavorando e combattendo per far sì che alcuni settori della nostra attività crescano, magari a scapito di altri, ma abbiano un loro peso. Lo spazio è uno di questi casi, su cui, se volete, potremmo tornare con gli interventi dei commissari, ma certamente il futuro europeo potrà anche avere una componente statunitense nella misura in cui saremo in grado di valorizzare gli asset che oggi altri nostri concorrenti non hanno e che ci consentono di avere un peso su quello che resta e resterà per sempre il principale mercato dell'aeronautica, dello spazio e della difesa al mondo.
  Ho terminato. Mi scuso se sono stato troppo lungo. Come diceva Sciascia, non ho avuto tempo di farla più breve. Resto a vostra disposizione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Pansa, la cui approfondita relazione è stata ascoltata dalla Commissione con interesse, nonchè per la documentazione consegnata di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico (vedi allegato).
  Informo i colleghi che sono in corso contatti con la Presidenza della Camera per proseguire la nostra audizione. Per la mattinata di oggi era originariamente previsto che in Assemblea vi fossero discussioni generali. Naturalmente, la programmazione dei lavori parlamentari è un valore e la stessa Presidente della Camera ha inteso valorizzare il lavoro e l'attività delle Commissioni, a maggior ragione di audizioni di soggetti esterni, svolta anche con la massima pubblicità dei lavori.
  In considerazione, quindi, delle particolari condizioni con cui era stata programmata quest'importante audizione e del fatto che non erano previste votazioni e che solo ieri pomeriggio la Conferenza dei Presidenti di Gruppo ha modificato il calendario dei lavori, ho chiesto di poter proseguire la nostra audizione.
  Naturalmente, se non dovessimo terminare in tempo, dovremo cercare di recuperare, ma confido, con gli interventi dei colleghi e con l'autorevole apprezzamento che la Presidente della Camera ha sempre mostrato per l'attività delle Commissioni che si intende valorizzare, di riuscire a concludere l'audizione nella seduta odierna.
  Do ora la parola agli onorevoli deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SALVATORE CICU. Ringrazio il dottor Pansa. È sempre un piacere ascoltarlo su una visione non solo di settore, ma anche strategica e complessiva.
  Sinceramente, in questo momento non sono in grado, rispetto alla complessità Pag. 12della sua audizione, di porre alcuna richiesta di chiarimento o di approfondimento. La mia richiesta, quindi, presidente, è quella di un rinvio, con la disponibilità di tutta la Commissione, perché si possa esaminare compiutamente l'audizione e capire quali domande possano essere più utili.

  PRESIDENTE. Ovviamente, onorevole Cicu, discuteremo in Ufficio di presidenza se sarà necessario ascoltare ancora il dottor Pansa.

  GIAN PIERO SCANU. Oltre che la comune estrazione regionale, sono pochi gli aspetti che politicamente mi uniscono al collega Cicu, ma in questo caso debbo associarmi molto volentieri alla sua richiesta.
  La relazione che abbiamo avuto il piacere di ascoltare è stata estremamente interessante, ricca di spunti, a mio avviso meritevole anche di approfondimenti da parte nostra. Non posseggo la padronanza del lessico che, legittimamente, direi doverosamente, il dottor Pansa ha usato, che non è soltanto un lessico da tecnocrate. C'era molta più politica di quanto il dottor Pansa non abbia voluto farci credere allorché ha voluto schermirsi sostenendo di non essere adeguatamente competente.
  Anch'io, quindi, come il collega Cicu, sento il bisogno, per la dignità della circostanza, di chiedere che si possa svolgere un'ulteriore seduta, quando il presidente lo riterrà opportuno, per porre delle domande e degli approfondimenti, che naturalmente non potranno essere ridotti al lumicino.

  PRESIDENTE. Se altri colleghi intendono porre domande al dottor Pansa, ne hanno piena facoltà, fermo restando che in Ufficio di presidenza discuteremo le modalità con cui proseguire le nostre audizioni.
  In ogni caso, la Presidente della Camera ci ha autorizzato a proseguire sino alle 11.30, tenendo presente che le votazioni non inizieranno prima. I colleghi che intendano, quindi, intervenire possono farlo e il dottor Pansa può replicare già in questa sede.

  MASSIMO ARTINI. Intervengo semplicemente per associarmi alla richiesta sia dell'onorevole Scanu sia dell'onorevole Cicu. Non si può ridurre in nemmeno quaranta minuti una discussione che, comunque, non sarebbe, almeno a mio avviso, data da una domanda e una singola risposta, ma da un discreto dibattito.
  Gli spunti, infatti, sono veramente tanti, come è estesa l'azione di Finmeccanica su tutti i settori che sono stati trattati nel corso di quest'audizione che è stata davvero chiarificatrice in alcuni punti mentre lacunosa in altri. Almeno per quanto ci riguarda, abbiamo la necessità di disporre almeno di un'ora e mezza per le domande e le risposte.

  DONATELLA DURANTI. Anche noi pensiamo che sia necessario un approfondimento. Peraltro, abbiamo potuto dare un'occhiata soltanto in questo momento alla documentazione che il dottor Pansa ha portato. Anche noi pensiamo, quindi, di dover tornare su quest'audizione. Ci riserviamo, in ogni caso, visto che ce n’è la possibilità fino alle 11.30, di porre quesiti. Si tratta di un'occasione importante di confronto tra questa Commissione e i vertici di Finmeccanica.

  PRESIDENTE. Ha chiesto la parola per un intervento l'onorevole Rossi.

  DOMENICO ROSSI. Grazie, presidente. Scelta Civica, che da sempre non è lontana né dal PD né dal PdL, cercherà anche in quest'occasione di tenere le due componenti unite. Pertanto, evidentemente, non può che associarsi alla richiesta di un'ulteriore possibilità di confronto.
  Peraltro, raccogliendo la disponibilità del presidente, vorrei una conferma dal dottor Pansa, che ringrazio per la sua relazione, a mio avviso estremamente interessante: mi sono soffermato, a pagina 23 del documento consegnato, sulle «conclusioni e raccomandazioni»: si parla di Pag. 13assicurare il mantenimento del budget nazionale della difesa ai livelli previsti dalla legge di stabilità 2013.
  Mi permetto di osservare che, nella realtà, non è tanto il budget nazionale quanto, evidentemente, la parte del budget nazionale della difesa che può essere dedicato alla tecnologia o alle industrie.
  Fatta questa precisazione, non pensa che la legge n. 244 del 2012 abbia già dato una risposta positiva a Finmeccanica ovvero a tutta l'industria della difesa, basandosi proprio sulla convinzione di una certa stabilità del budget, ma soprattutto orientando le risorse disponibili nei vari settori in modo diverso e con un obiettivo finalizzato a quel 25 per cento del budget della difesa per gli investimenti e al 25 per cento per l'esercizio, cosa che evidentemente non può che favorire le industrie ?
  Sotto questo profilo, penso che la politica del Governo abbia già offerto una risposta positiva, che nella Sua illustrazione non ho captato. Effettivamente, invece, penso si debba partire dalla citata legge n. 244 per registrare almeno, fermo restando che dobbiamo ancora emanare i decreti legislativi attuativi, una risposta alle richieste dell'industria.

  MARCO MARCOLIN. Ringrazio anch'io il dottore Pansa per l'esposizione e mi associo ai colleghi. Chiaramente, infatti, conoscere Finmeccanica in mezz'ora o in un'ora non è semplice per chi è nuovo. I colleghi hanno avuto tempo per conoscere prima di me questa realtà.
  Le sottoporrei comunque una mia piccola curiosità sulla quantità di commesse e su come possono essere strutturate nel tempo di lavoro per garantire il lavoro a tutti i dipendenti di Finmeccanica. Vorrei conoscere la strutturazione di queste commesse.

  GIORGIO AIRAUDO. Francamente, comprendo e condivido l'esigenza espressa anche dal mio gruppo di avere tempo per approfondire, ma non vorrei perdere l'occasione, vista la presenza del dottor Pansa, di qualche considerazione per conoscere la sua valutazione.
  Io ho, dottor Pansa, tre dubbi, considerato anche che Lei è andato molto oltre il materiale che ci ha presentato, a mio avviso giustamente.
  Ciò che ci ha illustrato non è molto comprensibile. Vista la volontà di investire nelle tecnologie intersettoriali dimostrata dal vostro programma di concentrazione di imprese duali, Selex, Alenia, Agusta, non capisco perché non si debba coinvolgere in questa concentrazione (avete molti strumenti per correggere la comunicazione e se la comunicazione continua a dividere tra difesa e civile, siete voi che comunicate male, non è colpa di chi vi osserva) anche settori civili strategici per il futuro, cioè energia e trasporti.
  In secondo luogo, a me non sembra molto comprensibile la scelta di concentrarsi nella difesa su aeroplani, elicotteri militari, sistemi di sicurezza militare, in cui, come dimostra anche la vicenda degli F-35, scontiamo una posizione secondaria delle Forze armate italiane. Sugli F-35, infatti – condivido che siete l'ultima impresa strategica ad alta tecnologia rimasta a questo Paese – sapete meglio di me di essere fuori, e quindi lo è anche il nostro Paese, dallo sviluppo di tecnologie di prodotto e di processo.
  Infine, non posso esimermi dall'approfittare di quest'occasione per far presente che non è per noi comprensibile la ragione per cui le risorse necessarie a ridurre il debito e a finanziare i necessari investimenti di innovazione e delle tecnologie dei prodotti per sviluppare il portafoglio dei settori delle tecnologie anche attraverso acquisizioni non siano reperite attraverso la cessione di quote di tutte le società oggi possedute al 100 per cento, a partire da AgustaWestland, visto che controllate tranquillamente parte delle società con il 40 per cento.
  Francamente, rispetto alle indiscrezioni e le considerazioni, anche ieri non ho trovato sufficiente la risposta del Ministro Zanonato al question time del mio gruppo. Vedrei più utile l'uso della Cassa depositi e prestiti e il suo fondo di investimento strategico in una riallocazione di questo tipo, tenendo insieme tutto, controllando Pag. 14tutto con almeno il 40 per cento. Utilizzerei Cassa depositi e prestiti per le ragioni evidenziate anche da Lei.
  Se quest'azienda è strategica, di questa dobbiamo verificare ogni passaggio, nei limiti della sua autonomia e delle sue responsabilità, ma la parte pubblica ha un ruolo importante di controllo, come tutti sappiamo, e di indirizzo, che fino adesso è mancato.

  PAOLO BOLOGNESI. La relazione è stata molto ampia e, sicuramente, poterla analizzare con calma ci permetterà di porre altre domande nel prossimo incontro.
  Io ho preparato, però, alcune domande che riguardavano soprattutto l'immagine di Finmeccanica in relazione a una serie di scandali che si sono verificati negli ultimi anni e anche di recente. Mi riferisco a una serie di operazioni in cui Finmeccanica è stata nell'occhio del ciclone per riciclaggi, tangenti e via di questo passo. Credo, infatti, da questo punto di vista, che ciò infici non poco la percezione dell'onestà anche di tutto il gruppo dirigente nello scegliere collaboratori che all'interno di tale struttura hanno questi comportamenti.
  Parlate di competitività all'esterno nei vari mercati, ma esistono poi determinate notizie relativamente all'India. Si tratta sì di letture dei giornali, di notizie che non possono essere certificate, ma il nome di Finmeccanica appare legato a quelle più che a tutti gli aspetti tecnologici che ci ha descritto. Credo che questo crei problemi notevoli anche per la politica, per il Parlamento, in vista di leggi che possono aiutare la nostra industria nazionale in questo settore, visti i numerosi scandali a cui abbiamo assistito.
  Di uomini come Mokbel e altri personaggi arrestati recentemente già il curriculum vitae avrebbe dovuto sconsigliare una vicinanza a questo gruppo statale. Probabilmente, se fosse stata privata, ci saremmo ben guardati dall'intrattenere rapporti con un'azienda che non cura i rapporti col personale, affidandosi a determinati personaggi. Parlo anche di altri, ma Mokbel è legato alla banda della Magliana, ha avuto moltissimi precedenti, è stato un grande riciclatore e così via.
  Voglio, innanzitutto, chiederle se avete messo in moto dei meccanismi grazie ai quali si possa bloccare l'avvicinamento di certi personaggi e in caso affermativo quali strumenti avete messo in atto per evitare tutto questo.
  Inoltre, vorrei conoscere la sua opinione quanto meno su una legge che regoli le compensazioni industriali militari e ponga un freno all'aumento incontrollato delle spese per gli armamenti, rispetto all'importo originario stabilito. Parlo di una legge che in qualche modo controlli l'aspetto delle compensazioni industriali militari nel momento in cui si acquistano sistemi d'armi o simili e anche al discorso di un controllo dell'aumento del prezzo stabilito all'inizio e alla fine.
  Ancora – è una notizia riportata da L'Espresso – si è parlato di una serie di tecnologie, di prodotti militari, anche di aspetti tecnologici che riguardano la sicurezza e il discorso della comunicazione. Risulterebbero delle vostre partecipazioni che addirittura controlliate aziende che operano nell'ambito dello spionaggio: ciò corrisponde a verità ?

  PRESIDENTE. Invito tutti i colleghi intervenuti, ma naturalmente vale anche per quelli che dovranno intervenire, ad attenersi all'oggetto dell'indagine conoscitiva. La cortesia e la disponibilità del dottor Pansa è stata registrata, ma è all'ordine del giorno il tema dell'indagine conoscitiva autorizzata dalla Presidente della Camera e approvata all'unanimità dalla Commissione.
  Ricordo che per le 11.30 dobbiamo concludere e dobbiamo ascoltare anche la replica del dottor Pansa, quindi inviterei i colleghi a interventi brevi.

  FERDINANDO ALBERTI. Credo che andrò fuori tema, ma sarò comunque brevissimo. Non ho domande specifiche per i rappresentanti di Finmeccanica, che da bravi industriali ci parlano di PIL, di occupazione, di posti di lavoro, di efficienza, di ricerca, di strategie.Pag. 15
  Vorrei, piuttosto, porre una questione ai colleghi degli altri gruppi parlamentari: non ho ancora ben capito la vostra visione della difesa, ossia dove vogliamo andare a parare. Da quattro mesi stiamo ascoltando persone che ci stanno spiegando che la loro industria è fondamentale e strategica perché costruisce mezzi ad alta tecnologia. Signori, sono mezzi di morte, di distruzione. Non ho ancora capito la vostra visione e ve la sto chiedendo.
  Parliamo di politica. All'inizio, l'amministratore delegato ha addirittura asserito che la politica può fare ben poco su questo settore. Signori, non possiamo farci prendere in giro da dei «dipendenti». Se domani dovessimo decidere di non costruire più mezzi di distruzione e di morte, loro non lavorerebbero più, almeno per noi.
  Ora, spiegatemi la vostra visione. Parliamo di politica. Vi prego. È da quattro mesi che non parliamo di politica.

  PRESIDENTE. Ripeto che l'indagine conoscitiva è stata deliberata all'unanimità dalla Commissione e che l'Ufficio di presidenza ha stabilito i soggetti da audire, che ringrazio ancora per la disponibilità.

  ANGELO CERA. Vorrei chiedere al dottor Pansa se può fornirci per la prossima audizione i dati occupazionali associati ai principali sistemi d'arma in cui è interessata Finmeccanica.

  PRESIDENTE. Do la parola per la replica al dottor Pansa, che ringrazio ancora per aver accolto l'invito della Commissione a intervenire nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma in vista del Consiglio europeo di dicembre.
  Se l'Ufficio di presidenza lo riterrà, acquisita la sua disponibilità, successivamente fisseremo una data per la prosecuzione dell'audizione. Nel frattempo, lo invito a rispondere alle domande che sono state poste.

  ALESSANDRO PANSA, Amministratore delegato e Direttore generale di Finmeccanica. Ringrazio tutti per le domande. Cercherò di rispondere nel modo più preciso possibile.
  Partirei dal fondo. I dati complessivi sull'occupazione si possono senz'altro trovare in modo disaggregato. Finmeccanica impiega oggi circa 67.000 dipendenti, di cui 42.000 in Italia, i quali ultimi sono divisi, fondamentalmente, in 17.000, se non vado errato, in Italia e in Gran Bretagna, nel settore elettronico della difesa; se non vado errato, circa 6.000 nel mondo dell'aeronautica; 7.500 nel mondo dell'elicotteristica. Saremo, in ogni caso, più precisi.
  Ringrazio l'onorevole Alberti per le sue osservazioni, ma credo che tutta la prima parte del mio intervento fosse stata centrata sui rapporti tra l'industria, la crescita economica e quello che riteniamo, anche in termini di valutazioni numeriche, possa essere il contributo della nostra piccola azienda, di cui siamo certamente dei dipendenti, anche onorati di esserlo, allo sviluppo del prodotto interno lordo in questo Paese.
  Ribadisco che siamo convinti del fatto che, in termini di moltiplicatore della domanda aggregata, pochi settori industriali competano con il nostro nella capacità di consentire sviluppo, crescita qualificata. Mi lasci anche dire che è molto diverso creare un posto di lavoro non qualificato e uno per un ingegnere, che alla società è costato molto e richiede, quindi, di essere adeguatamente valorizzato.
  Quello della difesa italiana è un budget, contrariamente a quello della maggior parte dei Paesi avanzati, per il 70 per cento concentrato nella gestione del personale. La legge n. 244 del 2012 avvia un processo di ridefinizione, per quanto di lungo periodo, della struttura del mondo della difesa. Non più del 30 per cento del budget della difesa viene destinato a due settori: esercizio, quindi fondamentalmente gestione delle missioni – questa è la parte preponderante – e investimenti, che riguardano l'industria.
  Gli investimenti – lo ha indirettamente domandato – mediamente riguardano per Pag. 16un 65-70 per cento il nostro gruppo, mentre un 30 per cento è distribuito tra le altre aziende operanti in questo settore.
  Per noi, la stabilità del budget attuale è importante per una ragione semplicissima: come Lei certamente sa, in Italia i programmi sono pluriennali e richiedono un finanziamento pluriennale. L'operazione peggiore è interrompere la costruzione di una casa quando si sono tirati su i muri, sono stati messi i mattoni, ma non c’è il tetto e non sono state verniciate le pareti.
  Una modifica del budget pluriennale della difesa per investimenti è esattamente come l'interruzione di una costruzione immobiliare. Ci si trova con un obbrobrio di cui non si sa cosa fare. Per noi e per il Paese è ancora peggio perché l'industria è costretta a cancellare un investimento già stanziato, e quindi fondamentalmente a sostenere delle perdite, come è noto, perché una parte dei costi per lo sviluppo di queste opere spetta a noi. Lo Stato avrà buttato via del denaro per il semplice motivo che non è riuscito a consentire la creazione di un bene, venduto non solo al suo committente, cioè la Repubblica italiana e le sue istituzioni, ma fuori dall'Italia.
  Se, ad esempio, non si fosse completato lo sviluppo dell'elicottero AW-101, un famoso elicottero navale, cavallo di battaglia in termini di tecnologia da parte di AgustaWestland, oggi non saremmo riusciti a vendere qualche centinaio di esemplari in giro per il mondo e lo Stato italiano avrebbe sopportato un paio di miliardi di euro di perdite. Probabilmente, avremmo anche qualche migliaio di occupati in meno. Questa è la ragione per cui parliamo di stabilità del budget.
  La legge n. 244 del 2012 sarà molto utile quando, emanati i regolamenti attuativi, consentirà di rivedere per intero la conformazione dello strumento difesa. Ho, però, come la sensazione che non capiterà domani mattina e temo anche non prima della mia prossima audizione, qualunque sia il giorno in cui il presidente deciderà di tenerla.
  Posso immaginare che la prima tra le domande dell'onorevole Airaudo sia la più coinvolgente: perché alcuni settori e non altri ?
  Non vengo dal mondo dell'aerospazio e difesa. Questo è un caso particolare perché il mondo manageriale di quel settore è abbastanza chiuso, la gente nasce e muore lì dentro e c’è una scarsa osmosi con il resto del mondo. Ciò crea certamente un interesse anche psicologico e culturale molto forte per quello che si fa.
  Da questo punto di vista, mi ritengo culturalmente un po’ più agnostico e non vivo con maggiore passione un settore rispetto a un altro. Questo consente un po’ più di freddezza rispetto alle scelte strategiche. Esaminato freddamente, il problema è uno solo: un'impresa può seriamente investire in settori diversi quando le tecnologie che si producono in quei settori sono complementari.
  Il mondo dello spazio, ad esempio, e quello dell'elettronica e della difesa sono entrambi settori in cui l'utilizzo di tecnologie sensoristiche, volte a cogliere i segnali che vengono dallo spazio o da una minaccia che arriva dai suoi confini, consente per ogni euro investito di essere spalmato su una dimensione consistente.
  Questo dato è importante perché qualsiasi investimento tecnologico, in un mondo in cui la tecnologia cresce sempre di più, richiede dimensioni ampie per essere ammortizzato. Diversamente, fa incrementare il prezzo dei prodotti a un tale livello, che questi non sono più competitivi.
  Il mondo dell'energia e quello dei trasporti non hanno una dignità minore, ma si basano su paradigmi tecnologici che non hanno quasi nulla a che vedere con quello degli altre due. Solo il mondo dei trasporti – parlo del segnalamento – si collega strutturalmente col mondo delle comunicazioni protette, parzialmente gestite da industrie militari. Questo è il problema fondamentale.
  Vado oltre. Le dimensioni dei nostri settori dell'energia e dei trasporti sono tali che esiste una sperequazione tra quelle necessarie per sviluppare un nuovo sistema Pag. 17di propulsione di energia, un nuovo treno, una nuova struttura di segnalamento rispetto alla capacità che questi hanno di riuscire a spalmare sulle dimensioni delle loro aziende questi investimenti.
  Se mi si domandasse se sono un maggiore assertore di scelte prettamente finanziarie o industriali nel settore, risponderei che preferisco le seconde alle prime. Il nostro dovere è fare in modo di assicurare a ogni pezzo di qualsiasi azienda di Finmeccanica un futuro industriale e strategico stabile e di lungo termine.
  Attenzione, però, a ragionare seriamente, intelligentemente e in maniera un po’ fredda sul tema dello sviluppo e della gestione di tecnologie. Potrei andare molto oltre, ma sarò lieto, se avrà voglia, di parlarne in maniera più approfondita. In ogni caso, il tema è molto articolato, ma ci siamo fatti carico di esaminarlo con grande attenzione.
  Se fossi nella finanza, risponderei, banalmente, che non esistono aziende al mondo che tengano insieme energia e trasporti, aerospazio e difesa. È, però, una risposta stupida. A fronte del principio del così fan tutti, le aziende hanno la loro storia, che non è uguale per tutte. La prego, in ogni caso, di tener conto della mia prima precisazione perché ha una sua grande rilevanza e validità. In un momento in cui le tecnologie crescono di prezzo in modo consistente, non è nella facoltà di aziende, per quanto grandi, sostenere l'investimento in tecnologia di tutti i settori in cui questa è presente.
  So che quello degli F-35 è un tema di grande rilevanza. Lei ha parlato di posizione secondaria nel mondo della difesa. Bene, è certamente vero che non è con la fornitura di parti di aerei di grandi dimensioni che la nostra industria, Finmeccanica, costruisce il suo futuro di operatore tecnologico d'avanguardia.
  È anche evidente, però, che un fornitore e un produttore intelligente di tecnologie e prodotti deve con intelligenza e attenzione eseguire, in maniera da renderli compatibile dal punto vista economico, finanziario e tecnologico, programmi e processi che sono il frutto di scelte politiche, non industriali. Ho avuto modo di spiegare già una volta e ripeto che, rispetto a temi come l’F-35, riteniamo di essere esecutori intelligenti delle scelte altrui, ma non è solo su questo che possiamo fondare il nostro futuro.
  Quando ho parlato di aerei da addestramento, da contrattacco leggero, civili turboelica, civili regionali a getto, mi riferivo a un'area in cui il nostro coinvolgimento tecnologico è certamente maggiore e dove, quindi, al di là della necessità di procedere a rendere operative le scelte politiche in materia di difesa, dovremo concentrare la nostra attività.
  Ciò chiarito, il nostro compito è di fornire nel migliore dei modi in termini qualitativi ed economico finanziari aerei militari, anche di rilevanti dimensioni e importanza, come l’F-35, all'amministrazione della difesa di questo Paese. È il nostro compito e cerchiamo di svolgerlo nel modo migliore possibile.
  Lei mi coinvolge in una fantasia in merito ai processi di riassetto. Potremmo discuterne a lungo, ma pongo una sola questione: per Padron ’Ntoni dei Malavoglia, «chi vende, non è più suo». La cessione di quote rilevanti di attività nel mondo della difesa che saranno in futuro oggetto di riorganizzazione e di negoziati in termini internazionali può rischiare, specialmente se questo si traduce in operazioni di collocamento sul mercato finanziario, attraverso le quotazioni in borsa, di creare vincoli a processi riorganizzativi che non sempre potranno essere produttivi per l'intero sistema.
  Non credo, tanto per essere chiari, che questo possa avvenire solamente attraverso uno scambio di risorse pubbliche tra Finmeccanica e altri soggetti pubblici. Si svilupperebbero all'interno processi differenti.
  Quanto rileva è molto stimolante. Ci abbiamo lungamente pensato. Tenga, però, conto che, dal momento che Finmeccanica è un'azienda privata e ricava la maggior parte dei suoi finanziamenti dai mercati Pag. 18internazionali, che chiedono una credibilità strategica, deve scegliere da che parte stare.
  Un portafoglio di attività o ha una sua coerenza o non è considerato credibile dagli investitori. Lasciando perdere le quotazione in borsa, titoli e guadagni istituzionali, di cui ci importa poco in questo momento, il rischio fondamentale è che il finanziamento della nostra attività dipende dalla credibilità del portafoglio. Con prodotti a macchia di leopardo, senza decidere esattamente dove stare, i rischi dei finanziamenti non sono ovvii, ma potremo parlarne.

  PRESIDENTE. Mi consenta solo, dottor Pansa, di informare Lei e i colleghi che siamo stati autorizzati, ringrazio per questo la Presidente Boldrini, a proseguire la nostra audizione sino alle ore 12. Se, dunque, altri colleghi volessero porre altre domande, potranno farlo al termine della replica del dottor Pansa.

  ALESSANDRO PANSA, Amministratore delegato e Direttore generale di Finmeccanica. Si tratta di un'azienda strategica e, quindi la politica dovrebbe verificare ogni passaggio passo per passo ? Non mi mette in alcun disagio, ma bisogna fare attenzione a un problema di compatibilità.
  In un mondo in cui è stato deciso, a suo tempo, di imprimere una forma privatistica non solo alle aziende, ma anche al capitale delle medesime, e in cui l'azionista pubblico non esercita la direzione e il coordinamento che la legge stabilisce essere il sistema di funzionamento dei rapporti tra soggetti societari diversi, è fondamentale che le scelte e le verifiche di tipo politico siano compatibili con la necessità di finanziare sul mercato privato le iniziative industriali. Quando questa compatibilità viene meno, anche la sopravvivenza dell'azienda nel lungo termine viene meno.
  Credo di aver precisato all'inizio che vi è tutto il diritto di definire delle scelte, ma bisogna fare attenzione al fatto che siano compatibili. Nel tempo l'incompatibilità porta, come si è visto in casi che, per fortuna, non riguardano noi, ma in questi giorni sono sui giornali, a diventare difficilmente gestibile. La ringrazio, quindi, per le sue domande, onorevole Airaudo.
  Quanto agli scandali, mentre, purtroppo, è certamente vero che queste vicende hanno inficiato e reso più fragile la credibilità di Finmeccanica sui mercati internazionali, determinando una certa sua difficoltà a competere nell'acquisizione di ordini in settori come il nostro, in cui la credibilità è fondamentale, respingo in modo molto intenso il principio del dubbio sull'onestà del gruppo dirigente.
  A parte i colleghi alla mia destra – vengo alla seconda parte della sua domanda – già dall'inizio di febbraio di quest'anno, quando è cambiato il vertice di Finmeccanica, abbiamo avviato una serie di riforme in termini di governance del gruppo, che rappresenta uno dei tre pilastri del nostro piano strategico: ristrutturazione della governance, ristrutturazione industriale e riassetto del portafoglio di partecipazioni, volto a consentire una gestione della nostra attività più attenta e più compatibile con gli standard internazionali.
  Ricorderò solamente la centralizzazione dell’internal auditing, portato in Finmeccanica, mentre era prima sparpagliato nelle singole società; la riforma degli organismi di vigilanza e la riforma dei consigli d'amministrazione del gruppo, oggi completamente ricambiati e rinnovati rispetto a quelli del passato, con l'istituzione di regole molto precise; la costruzione di un comitato ad hoc per la nomina degli amministratori e dei sindaci delle nostre società controllate o partecipate, e quindi una standardizzazione e una «formalizzazione» di processi che prima, invece, avvenivano in un modo un po’ troppo informale e artigianale; l'istituzione di una commissione presieduta dal professor Flick, ex Ministro della giustizia e già presidente della Corte costituzionale, costituita da altri quattro membri, che si sta occupando di riscrivere, per conto di Finmeccanica, le regole relative alla gestione dei processi collegati con la contrattualistica commerciale. Credo che questo Pag. 19sia un elemento di grande importanza. Questo lavoro, infatti, terminerà verso novembre-dicembre e, ovviamente, porterà una serie di modifiche non indifferenti.
  Quanto alle aziende e allo spionaggio, ovviamente mi auguro che Finmeccanica non faccia questo tipo di mestiere. Finmeccanica non possiede aziende che si occupano di spionaggio, ma che di mestiere producono sistemi di comunicazione, tutela e identificazione, che possono certamente essere acquistate da istituzioni italiane, le quali si occupano di sicurezza e di gestione di informazioni riservate. Noi, però, le costruiamo, qualcun altro le usa, organi dello Stato.
  Infine, sul tema delle compensazioni militari e il limite agli aumenti di prezzo, per quanto riguarda l’off-set, in realtà oggi non va più di moda da nessuna parte. L'espressione «di moda» è sbagliata, ma è un tema che non serve più. Come ho già spiegato, infatti, i Paesi emergenti non vogliono pezzi di ferro, ma che noi investiamo in tecnologia lì. Il concetto è molto diverso.
  Il limite agli aumenti dei prezzi dei contratti è implicito nelle modalità di gestione dei medesimi. Non esistono, nelle regole contrattuali con la pubblica amministrazione, possibilità di far lievitare i prezzi dei contratti senza puntuali verifiche delle motivazioni per cui questo succede. Oggi, i criteri di verifica dei costi di produzione messi in piedi dai nostri clienti nei confronti delle nostre attività sono molto più stretti e posso assicurarle che, per usare un termine tipico dell'attività assicurativa vita, purtroppo non c’è grasso nelle nostre commesse.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti i colleghi, benché sia comunque nell'interesse del lavoro della Commissione, della cortesia e della disponibilità che stanno manifestando. Per questa ragione, ho chiesto alla Presidente della Camera di poter proseguire. Credo che, raccolta questa disponibilità, sia prezioso utilizzarla.
  Do la parola agli onorevoli deputati che intendano intervenire per un nuovo ciclo di quesiti e osservazioni.

  GIAN PIERO SCANU. Vorrei preliminarmente chiarire, come si diceva da ragazzi quando giocavamo a figurine, che questo intervento non conta rispetto a quelli ai fini della successiva audizione.

  PRESIDENTE. Con l'Ufficio di presidenza stabiliremo le modalità di prosecuzione dell'indagine.

  (Commenti di vari deputati).

  GIAN PIERO SCANU. Anche con le briglie, sì. È un modo per ottimizzare il tempo.
  Vorrei ribadire l'importanza di quest'audizione e fondamentalmente consegnarLe, dottor Pansa, un «compitino» per casa visto che anche noi dovremo svolgerli. In tutta onestà, è bene avere la correttezza di esprimere i giudizi positivi, come quelli che potrebbero essere delicatamente di critica.
  Mi pare di aver colto da parte Sua un tentativo, relativamente riuscito, di evadere il discorso sugli F-35. In quel passaggio, la Sua loquela un po’ l'ha tradita e non bisogna essere esperti di fisiognomica per qualche considerazione.
  Il «compitino a casa», ovviamente con tutto rispetto per una battuta che non vuole essere minimamente irriguardosa, è il seguente: sarebbe importante per noi, almeno per il gruppo al quale appartengo, disporre di una valutazione puntuale, e quindi comprensibilmente espressa per iscritto, su quello che è, a giudizio di Finmeccanica, il futuro dell’Eurofighter non solo in termini di elucubrazione e di auspicio, ma proprio di analisi industriale, alla luce delle brillanti considerazioni di contesto che stamattina sono state svolte.
  Specularmente, bisognerebbe fare altrettanto relativamente all’F-35, in modo tale che sia rimossa definitivamente la residua diffidenza, anche nei confronti di Finmeccanica, in ordine a quella che non intendo tanto definire «soggezione» al potere politico, quanto esposizione al condizionamento.
  Vorrei riallacciarmi, pur non essendo l'esegeta dell'onorevole Bolognesi, a ciò Pag. 20che il collega intendeva dire a proposito di quella che potremmo definire la questione morale. Il collega non ha inteso avanzare nessun dubbio sull'attuale governance dal punto di vista della moralità e della correttezza Il fatto che l'amministratore delegato abbia ritenuto di dover respingere qualcosa mi ha dato l'idea che avesse inteso in un certo qual modo le affermazioni del collega Bolognesi, che non ha invece minimamente inteso rivolgere alcun tipo di considerazione.
  Ha posto un'esigenza, che nella sua risposta ha in qualche modo confermato parlando dell'adozione di certe misure, dell’audit interno, di tante altre iniziative, dei comitati per le nomine. Questo significa che, molto responsabilmente, avete compreso che era necessario investire in trasparenza.
  Vorrei, quindi, che fosse chiaro, per i signori presidenti, per il presidente di Finmeccanica, che è certamente persona che merita tutto il nostro rispetto, che né il collega Bolognesi né il Partito Democratico hanno ritenuto di esprimere gratuitamente giudizi che, eventualmente, competono ad altri, non certamente a questa parte politica.
  È in termini di gentilezza che mi sono rivolto a Lei e gradirei che accettasse la cortesia di portare la prossima volta, in maniera tale che la Commissione non debba interpretare, ma leggere e capire, ciò che ritenete possa e debba essere il futuro dell’Eurofighter – sottolineo il «possa» e il «debba» – così come quello dell’F-35.

  MASSIMO ARTINI. Vorrei velocemente andare a un punto che ha trattato in piccola parte durante la presentazione, che peraltro però, esaminando le tabelle che ci avete fornito, rappresenta la parte più grossa di Finmeccanica, ovvero quella che riguarda l'elettronica e la sicurezza, Selex ES e DRS Technologies.
  Vorrei riallacciarmi all'audizione del presidente De Gennaro al Senato, in cui ha affermato che state attivamente collaborando con i servizi segreti per valutare l'attuale situazione di sicurezza informatica all'interno dell'azienda. La comunicazione è della settimana scorsa, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul Consiglio d'Europa.
  Ciò premesso, essendo questo il settore più grosso e potente di tutta la parte di Finmeccanica, essere coadiuvati dai servizi segreti proprio nella parte di gestione della sicurezza informatica e aver designato – questo non è di Sua competenza, ma della parte più politica, cioè del Governo – proprio il dottor De Gennaro, che è stato a capo o comunque direttamente interessato alla parte dei servizi segreti, non può ridurre il vostro appeal come azienda nel settore della sicurezza elettronica e informatica in relazione alle commesse nel mondo ?
  Confrontandoci con aziende come la Northrop Grumman, durante alcuni incontri con gli Stati Uniti in ambasciata, a molti è sembrato che questo tipo di scelta fosse strana. In altre parti del mondo, difficilmente si sarebbe scelto un funzionario che è stato così integrato nei servizi segreti.
  Non si tratta di una valutazione politica. Tuttavia, Lei ha ricevuto lo stesso feedback ? A Suo giudizio, per il sistema di difesa, fondamentale per l'Italia – Selex ES copre completamente un'intera serie di servizi, dalla parte civile, di cui ho visitato la parte SISTRI, ma anche nella parte militare, veramente fondamentale – questo potrebbe essere un minus anziché un plus rispetto all'azione dell'azienda.
  Riallaccio a questo anche il discorso di DRS Technologies. L'averla acquisita nel 2008 ci ha dato la possibilità di acquisire quelle tecnologie o ci sono veti da parte del Governo o dell'esercito americano che ci impediscono di acquisire tecnologie precedentemente sviluppate da DRS ? Peraltro, a detta di molti analisti, l'investimento non ha reso ciò che era previsto negli obiettivi di chi ha preso quella scelta.
  Eventualmente, anche alla luce di declassamenti o altro, qual è l'obiettivo verso DRS Technologies, che vede, bene o male, nell'integrazione dei sistemi, come riconosceva Lei stesso, l'unico asset che conta in questa fase ? L'integrazione è tra sistemi, Pag. 21non tra chassis, parti esterne, quanto nella componentistica elettronica. È per questi aspetti che rappresenta la parte fondamentale.

  PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Pansa per la replica.

  ALESSANDRO PANSA, Amministratore delegato e Direttore generale di Finmeccanica. Ringrazio tutti per le domande.
  Onorevole Scanu, senz'altro produrremo – è un nostro dovere, più che un piacere, poiché quanto ci è richiesto dalla Commissione difesa della Camera dei deputati non è un evento episodico – un pezzo di carta relativamente al tema F-35 ed Eurofighter, ma vorrei darle alcune risposte subito.
  La prima riguarda me medesimo. Ha ragione, la mia loquela si era interrotta perché non volevo ripetere esattamente quanto illustrai all'assemblea di Finmeccanica del 30 maggio. Ognuno ha i limiti della sua vita. «Nessuno è perfetto, tutti abbiamo difetti», come si diceva una volta alle elementari. Purtroppo, non ho trovato espressione migliore che quella di «esecutore intelligente» che usai a suo tempo. Era questo il motivo.
  Vorrei fare, però, molta chiarezza a questo riguardo. Qui la questione non ha a che vedere con la dipendenza dal condizionamento o la soggezione al potere politico, ma è diversa. Non sono le aziende a stabilire modelli e programmazioni dei sistemi di difesa, ma le amministrazioni di difesa, le Forze armate, i Capi di stato maggiore, il terzo il quarto reparto deputati alla pianificazione militare.
  Secondo il famoso modello del professor Andreatta, a cui credo vada riconosciuto, oltre a moltissimi altri meriti, anche questo, tale tipo di pianificazione deve comunque essere compatibile con le scelte industriali. L'industria della difesa, infatti, non è estranea alle scelte generali.
  In questo senso, l’Eurofighter è stato ed è un programma di grande rilevanza perché incorpora una dotazione di tecnologia completamente europea contenuta nello stesso e per una parte consistente è italiana. Credo che valga per circa il 20 per cento nella parte dell'aerostruttura e raggiunga il 50 nella parte dell'elettronica, se non vado errato, tra le nostre attività inglesi ed europee.
  L’Eurofighter è stato un progetto di lungo periodo, non sempre accolto con favore in numerosi ambienti, come è noto. Terminato il flusso di ordini giunti dai quattro Paesi proponenti e costruttori, il futuro di questa piattaforma è prevalentemente di esportazione. Come noto, è stato vinto un contratto in Arabia Saudita, ci sono gare in Kuwait, negli Emirati Arabi. È stato anche vinto un contratto in Oman, se non vado errato. L'India, nel tempo, ha scelto e non scelto cosa fare e persino la Corea che, notoriamente, dal 1948, credo guardi solo da una parte per le forniture militari dopo che il generale MacArthur la salvò da destini peggiori, oggi ha aperto le sue porte a una maggiore collaborazione con l'industria europea.
  Se gli Eurofighter devono avere un futuro ulteriore nei Paesi sviluppatori, credo dovrà averlo in versioni differenti. L’Eurofighter fu pensato prima della caduta del muro di Berlino e, probabilmente, versioni con maggiore capacità di compiere operazioni terrestri e simili potranno consentire ulteriori sviluppi in Europa.
  Mi rendo conto di entrare in un campo che ha visto resuscitare questioni di ordine morale, ma va detto che, oltretutto, l'aereo ha dato grande prova di sé nella vicenda libica, dove si è comportato con grande successo. Tengo anche a sottolineare che gli Eurofighter col più elevato standard di performance in quella campagna sono stati gli aerei dell'Aeronautica militare italiana, che hanno di gran lunga surclassato in fatto di performance quelli inglesi, anch'essi impegnati in questa vicenda. Di quelli tedeschi non si sa perché non c'erano, quindi non si può dire. Va dato merito all'Aeronautica di essere stata bravissima nella gestione di questi aerei e alla nostra piccola Alenia di avere supportato tecnicamente bene la questione.
  L’F-35 è un'altra faccenda. Non so se sia una scelta politica o meno. Io non c'ero nel 1998, quando si avviò un lungo processo Pag. 22che poi mi sono occupato di ricostruire. Svolgevo un altro mestiere. Se non vado errato, mi occupavo di tutt'altro, non guardavo a queste cose, ma in ogni caso non partecipavo a queste vicende quando fu scelto un processo di identificazione dei sistemi di difesa italiana con uno strumento militare che sembrava essere ed è tuttora estremamente avanzato.
  Ripeto ancora volta che sicuramente il nostro compito è rendere, come vedrà anche per iscritto, una scelta di tipo politico-militare, se vogliamo usare quest'espressione, ma non so in quale misura, compatibile con le strutture industriali.
  È un tema di grande rilevanza, su cui siamo impegnati insieme all'Aeronautica militare, molto collaborativa e che ci sta supportando moltissimo in questo senso. Gli investimenti stanziati, infatti, sono estremamente rilevanti e siccome sono soldi pubblici, debbono trovare un ritorno adeguato in termini sia industriali, sia di ricadute occupazionali e tecnologiche, sia – questo è importante – di nostra capacità italiana di far valere il rispetto di una serie di impegni importanti in ambito internazionale per il ruolo non solo dell'industria, ma anche del nostro Paese. ciò precisato, saremo felici di produrre un pezzo di carta al riguardo.
  Vorrei fare un solo commento sulla sua esegesi delle affermazioni dell'onorevole Bolognesi. Sono d'accordo con Lei: sono importanti i tempi del verbo. Parlare al presente è diverso che parlare all'imperfetto. Abbiamo sentito la necessità, indipendentemente dal comportamento di qualsiasi persona del passato – tengo a ribadirlo, indipendentemente – di consentire una struttura di governance del gruppo al tempo stesso più oggettiva, meno «discrezionabile» da questo punto di vista, e più compatibile con gli standard richiesti sui mercati internazionali per la partecipazione a gare fondamentali, come abbiamo visto, per consentire il futuro di quest'azienda.
  Infine, su DRS Tecnhologies ho già provato a dire quello che pensavo. Sono convinto che l'acquisto di DRS Tecnhologies sia stata un'operazione strategicamente intelligente. Lo sostengo e lo sosterrò fino a che qualcuno non riuscirà a farmi cambiare idea, ma per ora non ho ancora trovato questo signore.
  Il problema di DRS Tecnhologies non è stato l'acquisto della medesima. Entro certi limiti, è stato la gestione del rapporto tra DRS Tecnhologies e Finmeccanica che si è avuto dal mercoledì 22 ottobre 2008, giorno del closing dell'operazione – ne ho un ricordo preciso – per un consistente numero di anni, dove si è, a mio modo di vedere, perseguita in maniera insufficiente un'integrazione tra le società americane e il resto del gruppo.
  Questo è parzialmente alla base del minor valore di DRS di oggi, che però dipende crucialmente anche dalla ristrutturazione del bilancio della difesa americano, che ha penalizzato in modo consistente gli investimenti dell'esercito, che rappresentava, oggi un po’ di meno, il cliente principale della DRS Tecnhologies di allora.
  Oggi, tuttavia, DRS Tecnhologies è stata ristrutturata pesantemente, in un modo in Italia inimmaginabile. Il numero di dipendenti espulsi dalla DRS Tecnhologies nel giro di pochi mesi lascia oggettivamente un po’ perplessi anche sul piano «comportamentale», ma è un sistema diverso, che funziona, e bene, così.
  Grazie, allora, al management di DRS Tecnhologies, che si è mossa in questo con grande intelligenza e capacità, oggi è un'azienda più piccola di allora, ma tornata a livelli di redditività assolutamente compatibili e nella fascia alta dei livelli di redditività del gruppo Finmeccanica, per cui contribuisce in modo positivo ai risultati operativi del gruppo e non in modo negativo, ha dei valori di libro sostanzialmente allineati ai valori di mercato e può rappresentare, come dicevamo, uno strumento importante per l'attività internazionale di Finmeccanica.
  Il modo lo ha descritto Lei: esiste un tema di trasferimento delle tecnologie, di gestione comune di un insieme di prodotti che possono essere favoriti da due elementi, anzitutto, in relazione al gruppo, da un processo in corso, su cui stiamo lavorando Pag. 23alacremente da numerosi mesi, di maggiore integrazione tra aziende di Finmeccanica dell'elettronica per la difesa, elicotteristica, Aeronautica e la DRS Tecnhologies; dall'altro, anche, come ci auguriamo, da una maggiore disponibilità di avere regolamentazioni collegate coi trasferimenti di tecnologia che oggi gli Stati Uniti ancora rendono non facili.
  Da ultimo, non conosco né ho alcun interesse a conoscere i processi che hanno condotto alla nomina del prefetto De Gennaro alla presidenza di Finmeccanica. Mi limiterò a dire che ritengo che il prefetto De Gennaro, con il quale abbiamo degli splendidi rapporti di collaborazione che giudico di grande utilità e importanza per il gruppo, svolga un ruolo assolutamente fondamentale in tutti gli ambiti nei quali è chiamato a operare per conto della nostra società.
  Sono profondamente convinto che tutto questo non rappresenti un limite ma, al contrario, un grande vantaggio per consentire a Finmeccanica di costruire in maniera intelligente quelle relazioni anche a livello internazionale che sono la base di qualsiasi seria e di lungo termine operazione commerciale.
  In quest'ottica, la presenza del nostro presidente e del lavoro che svolge è in questo momento di grande importanza e utilità ed è svolta in piena collaborazione non solo con il sottoscritto, ma anche con tutti gli altri dirigenti del gruppo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Pansa per aver risposto a tutte le domande che gli sono state rivolte dai colleghi intervenuti. Mi dispiace per i piccoli disguidi che abbiamo dovuto registrare con l'andamento dei lavori, ma ringrazio anche per la disponibilità che poi ci è stata concessa dal Presidente della Camera a proseguire la nostra audizione.
  Auguro a tutti un buon proseguimento di giornata. Dichiaro conclusa l'audizione in titolo.

  La seduta termina alle 11.55.

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