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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V e XII)

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Lunedì 29 luglio 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 

LA SFIDA DELLA TUTELA DELLA SALUTE TRA NUOVE ESIGENZE DEL SISTEMA SANITARIO E OBIETTIVI DI FINANZA PUBBLICA

Audizione di rappresentanti di Farmindustria, dell'Associazione nazionale industrie farmaci generici (Assogenerici) e dell'Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie Assobiotec-Federchimica.
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 
Scaccabarozzi Massimo , Presidente di Farmindustria ... 4 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 7 
Scaccabarozzi Massimo , Presidente di Farmindustria ... 7 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 7 
Uda Michele , Direttore generale di Assogenerici ... 7 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 9 
Moretti Andrea , Responsabile rapporti istituzionali di Assobiotec ... 9 
Tosco Antonio , Componente della Commissione direttiva di Assobiotec e direttore di Health Outcomes & Market Access di Merck ... 10 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 11 
Murer Delia (PD)  ... 11 
Rondini Marco (LNA)  ... 11 
Roccella Eugenia (PdL)  ... 11 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 11 
Scaccabarozzi Massimo , Presidente di Farmindustria ... 11 
Tosco Antonio , Componente della Commissione direttiva di Assobiotec e direttore di Health Outcomes & Market Access di Merck ... 12 
Uda Michele , Direttore generale di Assogenerici ... 12 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 13 

Audizione di rappresentanti della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO), dell'Osservatorio italiano salute globale e del Movimento per la decrescita felice:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 13 
De Lorenzo Francesco , Presidente della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO) ... 14 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 18 
De Lorenzo Francesco , Presidente della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO) ... 18 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 18 
Maciocco Gavino , Fondatore dell'Osservatorio italiano sulla salute globale e coordinatore del sito web saluteinternazionale.info ... 18 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 21 
Aillon Jean Louis  ... 21 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 23 
Biondelli Franca (PD)  ... 24 
Baroni Massimo Enrico (M5S)  ... 24 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 24 
Diomede Francesco , Vicepresidente della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO) ... 24 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 26 
Maciocco Gavino , Fondatore dell'Osservatorio italiano salute globale e coordinatore del sito web salute internazionale.info ... 26 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 26 
Aillon Jean Louis , Rappresentante del Movimento per la decrescita felice ... 26 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 27

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XII COMMISSIONE PIERPAOLO VARGIU

  La seduta comincia alle 12.20.

  (Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Farmindustria, dell'Associazione nazionale industrie farmaci generici (Assogenerici) e dell'Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie Assobiotec-Federchimica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva « La sfida della tutela della salute: tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica», l'audizione di rappresentanti di Farmindustria, dell'Associazione nazionale industrie farmaci generici (Assogenerici) e dell'Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie Assobiotec-Federchimica.
  Ringrazio i colleghi che sono riusciti, pur nel calendario molto fitto degli impegni della scorsa e di questa settimana, a essere presenti a questa sessione dell'indagine conoscitiva, che vede riunite insieme le Commissioni bilancio e affari sociali della Camera.
  Chiedo scusa per l'assenza del Presidente Boccia, il quale mi prega di comunicare ai colleghi presenti che impegni non derogabili lo trattengono in altra sede questa mattina.
  Iniziamo, pertanto, la seduta con lo svolgimento dell'audizione di rappresentanti di Farmindustria: il dottor Massimo Scaccabarozzi, presidente, la dottoressa Nadia Ruozzi, responsabile dell'area relazioni istituzionali e associazioni dei pazienti, e il dottor Carlo Riccini, responsabile centro studi e ufficio piccola industria.
  Per Assogenerici sono presenti il direttore generale, dottor Michele Uda, e Licia Soncini, responsabile delle relazioni istituzionali.
  Per l'Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie Assobiotec-Federchimica sono presenti il dottor Antonio Tosco, componente della commissione direttiva di Assobiotec e direttore Health Outcomes & Market Access di Merck, e il dottor Andrea Moretti, responsabile rapporti istituzionali.
  Sono stati, altresì, invitati, in rappresentanza del consorzio Mario Negri Sud, il presidente, professor Silvio Garattini, e il direttore, dottor Gianni Tognoni, che hanno comunicato di non poter partecipare all'audizione odierna.
  Do il benvenuto ai nostri ospiti, che ringrazio. So che alcuni di loro hanno veramente fatto salti mortali per essere presenti all'audizione di questa mattina. Ricordo loro che è possibile anche lasciare memorie scritte che verranno trasmesse a tutti i commissari.
  Pregherei i nostri ospiti di essere sintetici nella loro prima esposizione in modo Pag. 4da lasciare spazio a eventuali domande dei colleghi, che potranno poi essere oggetto di un turno di risposte.
  Do direttamente la parola al primo dei nostri ospiti, il rappresentante di Farmindustria, dottor Massimo Scaccabarozzi.

  MASSIMO SCACCABAROZZI, Presidente di Farmindustria. Buongiorno a tutti e grazie per questo invito, che accogliamo con molto piacere perché ci offre l'opportunità di presentarci e di fare il quadro della situazione per quanto riguarda il nostro settore, nel tema per cui ci avete chiamato in audizione.
  Farmindustria è un'associazione italiana del farmaco che ha al suo interno più di 200 associati. Che cosa rappresenta per l'economia del Paese ? Noi abbiamo su tutto il territorio nazionale 174 fabbriche, impieghiamo 63.500 addetti, di cui circa 6 mila in ricerca e sviluppo, e produciamo 26 miliardi di valore, di cui il 67 per cento destinato all’export.
  L’export per noi è molto importante perché, grazie alle fabbriche che abbiamo in Italia, è aumentato negli ultimi cinque anni del 44 per cento. Abbiamo anche punte di export pari al 90-95 per cento in alcune situazioni. Investiamo 2,5 miliardi di euro in ricerca, che si divide, per un 50 per cento, in ricerca pura e diretta e, per l'altro 50 per cento, in ricerca di sistemi innovativi per impianti produttivi. Siamo secondi solo alla Germania per presenza industriale e – lo dico con una punta di orgoglio – primi in Europa per produttività per addetto.
  Se me lo consentite, vorrei fare il punto di vista della situazione e spiegare che cosa rappresenta oggi in termini di salute chi lavora nel farmaco. Poiché dobbiamo parlare di sostenibilità, forse vale la pena di fare qualche piccola precisazione.
  Negli ultimi vent'anni, forse anche trenta, ogni quattro mesi di vita ne abbiamo guadagnato uno grazie alla ricerca. Insistiamo molto sulla ricerca perché oltre il 90 per cento della ricerca farmaceutica nel nostro Paese è finanziato dall'industria privata.
  Ogni quattro mesi di vita ne abbiamo, dunque, guadagnato uno e questo comporta un problema. Siamo, infatti, un Paese in cui si vive di più e in cui si cerca di vivere meglio. Indubbiamente, però, quando si vive di più, aumentano i costi per l'assistenza sanitaria. Consideriamo soprattutto che tali costi sono ingentissimi e che la maggior parte di essi viene sostenuta quando un cittadino supera il sessantacinquesimo anno di età.
  Grazie all'innovazione, come dicevo, si vive più a lungo. Vi lascerò poi del materiale grafico che va a spiegare come sono cambiati i tassi di sopravvivenza. In particolare, un numero consistente delle forme tumorali, di cui pochi anni fa si moriva, oggi sono cronicizzate e per molte di esse il tasso di sopravvivenza è superiore anche al 50-70 per cento rispetto a succedeva quanto accadeva solo 5-10 anni fa.
  Questo è possibile grazie all'innovazione. Vi lascerò anche un dato ulteriore in quanto è importante non solo che la vita si allunghi, ma anche che sia qualitativamente migliore. Da un'indagine sul paziente anziano risulta che, rispetto a vent'anni fa, tale paziente dichiara di avere migliorato la propria qualità della vita nell'86 per cento dei casi.
  Andiamo adesso a fare il punto della situazione sul trend economico del nostro Paese. Abbiamo un PIL negativo dal 2005 al 2010 e si prevede altrettanta negatività dal 2010 al 2015, con un dato demografico che, grazie al fatto che la vita si allunga ed è anche qualitativamente migliore, risulta piuttosto impressionante. Pensate che gli over 65 negli anni Ottanta erano il 12 per cento della popolazione mentre oggi siamo al 20 per cento e abbiamo in previsione, secondo i dati ISTAT e i dati di epidemiologia di incidenza e di prevalenza, di arrivare a un 25-30 per cento.
  È chiaro che tutto ciò comporterà un aumento dei costi. Da questo punto di vista, abbiamo elaborato, in attesa proprio della nuova legislatura, alcune proposte che vado a enunciare tra poco.
  Il nostro valore industriale oggi presenta punte estremamente importanti per Pag. 5quanto riguarda competitività, produttività e intensità di ricerca e sviluppo. Fatto 100 il nostro valore e la media della manifattura in Italia oggi, per quanto riguarda la competitività il valore è di 61, per quanto riguarda la produttività è di 38 e per quanto riguarda l'intensità di ricerca e sviluppo è di 17. Siamo, dunque, un settore che investe, che innova, che produce e che è competitivo.
  Abbiamo alcuni problemi con i tempi di accesso all'innovazione perché, per i suddetti motivi di sostenibilità e di carattere economico, nel nostro Paese i tempi di accesso sono più lunghi di oltre due anni rispetto alla media europea. Questo significa che, quando l'Agenzia europea per i medicinali approva un farmaco, nel nostro Paese i cittadini lo hanno a disposizione due anni e mezzo dopo perché sono necessari i tempi di negoziazione del prezzo con l'Agenzia italiana del farmaco.
  Inoltre, grazie al fatto che siamo uno Stato federalista e che esistono 21 regioni, in ogni regione ci sono prontuari regionali. Di conseguenza, una volta che il farmaco è stato approvato e che il prezzo è stato negoziato con l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), sono necessarie 21 pratiche, 21 procedure e 21 modalità diverse perché ogni regione lo metta a disposizione dei propri cittadini con tempi differenti.
  Mediamente il tempo di accesso a livello regionale, dopo l'approvazione nazionale, è di 305 giorni, con regioni che mettono a disposizione il farmaco nell'arco di un mese o due, regioni che lo mettono a disposizione anche dopo 700 giorni e regioni che non lo mettono a disposizione mai, accampando motivi di efficacia e tollerabilità, quando in realtà si tratta di motivi meramente economici.
  Nonostante il fatto che questo sia un problema per i cittadini e anche a livello industriale, abbiamo accolto con estrema positività – e per questo lo ringraziamo – l'iniziativa del Ministero della salute, che è intervenuto cercando di ridurre, se non altro, i tempi di approvazione centrali, che prima erano intorno all'anno e che adesso, per decreto, dovrebbero essere di 100 giorni. Il Ministero ha imposto all'Agenzia italiana del farmaco di chiamare le aziende, risolvere la problematica e mettere i farmaci a disposizione dei cittadini in 100 giorni.
  Oltre ai due anni di accesso, ci sono alcune differenze rispetto agli altri Paesi europei. Se consideriamo i nuovi farmaci che sono stati lanciati, rispetto ai Paesi comparabili al nostro, i cinque più importanti, ossia Germania, Francia, Inghilterra e Spagna, vediamo che noi abbiamo il 24 per cento in meno di presenza di tali farmaci rispetto agli altri Paesi. In particolare, con riguardo ai nuovi farmaci lanciati, notiamo che l'Italia, nel biennio 2010-2012, ne ha messi a disposizione dei propri cittadini 14 contro i 46 della Germania, i 39 dell'Inghilterra, i 22 della Francia e i 21 della Spagna.
  Vi dicevo prima che i tempi medi sono elevatissimi, i più elevati rispetto all'Europa. Per esempio, la Germania impiega 38 giorni dopo l'approvazione europea, con prezzi medio-bassi. I farmaci in Italia, invece, non hanno prezzo libero, ma devono essere negoziati con l'Agenzia italiana del farmaco attraverso un processo molto ben strutturato: dobbiamo presentare un dossier, la CTS (Commissione tecnico-scientifica) manda il dossier già validato alla Commissione dei prezzi, che chiama l'azienda e si fa una discussione negoziale.
  I prezzi in Italia, anche secondo i dati della Banca d'Italia, sono più bassi rispetto alla media europea. Se consideriamo il prezzo medio attuale, vediamo che, facendo 100 il prezzo medio nostro, esso è di 140 in Germania, di 120 in Inghilterra, di 113 in Francia e di 106 anche in Spagna, nonostante la Spagna abbia condizioni economiche piuttosto importanti, come l'Italia.
  Noi abbiamo un'altra particolarità nel mercato: siamo il Paese che ha più condizioni limitanti l'accesso. Ogni volta che un farmaco viene registrato in Italia ha tetti di spesa vincolanti, numeri di pazienti limitati e un giusto monitoraggio, perché deve essere garantita l'appropriatezza terapeutica. Soprattutto, però, sono in atto ormai da anni sistemi di payment by Pag. 6result, risk sharing e cost sharing che significano essenzialmente che, quando il farmaco non dovesse rispondere, noi dobbiamo restituire la parte economica del farmaco per il quale il paziente non ha risposto. Il grosso problema che abbiamo nell'accesso è dovuto ai 21 sistemi regionali.
  Concludo rapidamente illustrando le nostre quattro proposte, considerata la situazione del mercato. Negli ultimi dieci anni abbiamo subìto oltre quaranta manovre che hanno limitato la spesa, portando ad avere i dati citati. Chiediamo, quindi, un periodo di stabilità, con certezza delle regole. Siamo un settore industriale importante e non possiamo avere regole che cambiano ogni due mesi. Nello scorso anno in otto mesi abbiamo avuto quattro manovre che ci hanno costretto a rivedere i piani industriali. Non è possibile mantenere questo andamento.
  Nel Piano che abbiamo presentato recentemente, che è a costo zero per lo Stato perché ci rendiamo conto delle difficoltà economiche in cui si trova il nostro Paese, abbiamo proposto soluzioni che non siano costose per lo Stato. Oltre alla certezza delle regole, visto che siamo un settore industriale, chiediamo, al di là della stabilità, che ci sia una cabina di regia che non veda come protagonista solo il Ministero della salute, ma anche il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Un piccolo risparmio sulla spesa sanitaria può portare, infatti, a una diminuzione degli investimenti, a una delocalizzazione delle fabbriche, a una riduzione del numero degli addetti, segnali che negli ultimi anni sono stati molto forti e importanti.
  La seconda proposta è quella di ottimizzare la spesa sanitaria nel suo insieme. Nel nostro settore abbiamo una governance assoluta, perché la nostra è l'unica voce di spesa della sanità per cui lo Stato può sapere a inizio anno quanto andrà a spendere nell'anno in corso. È stato fissato, infatti, negli anni un tetto pari a una percentuale sulla spesa sanitaria nazionale. Quando questo tetto viene sforato perché lo Stato ha speso di più, noi siamo chiamati a ripianare l'eccedenza di spesa.
  Come siamo chiamati a ripianarla ? L'Agenzia italiana del farmaco invia ogni anno alle aziende farmaceutiche un budget che tali aziende possono raggiungere in termini di fatturato. Se lo Stato spende di più, la parte eccedente viene restituita dalle singole imprese in base al budget stabilito e, quindi, alla parte eccedente.
  Non so se è chiaro. È un meccanismo piuttosto complicato, ma vi porto un esempio. Supponiamo che lo Stato stabilisca che l'11,35 per cento della spesa sanitaria nazionale deve andare alla spesa farmaceutica. Questo è il tetto. Se a fine anno, facendo il consuntivo, si è speso di più dell'11,35 per cento, lo Stato richiede l'eccesso alle aziende. Le aziende, anche se hanno fornito i prodotti che sono stati utilizzati, devono quindi restituire la parte che lo Stato ha speso in più. Noi abbiamo, pertanto, per la spesa farmaceutica una governance assoluta e garantita dal fatto che, se lo Stato spende di più del «budgettato», restituiamo i soldi.
  Il nostro è l'unico settore che abbia questo limite e questo vincolo e, tra l'altro, grazie a tutti gli interventi, è il settore che viene sempre più penalizzato. Negli ultimi anni, pur essendo la nostra solo il 14 per cento della spesa sanitaria, mettendo insieme spesa territoriale e spesa ospedaliera, abbiamo assorbito oltre il 30 per cento di tutte le manovre attraverso tagli di prezzo, tagli di margine e meccanismi di pay back.
  Per esempio, non lo sanno in molti ma, a causa delle difficoltà di alcuni anni fa, lo Stato decise che noi avremmo dovuto pagare una tassa di scopo. Io la chiamo tassa di scopo, ma in realtà era un pay back dell'1,83 per cento sul nostro fatturato. Ogni quattro mesi, dunque, noi riceviamo dall'AIFA 21 fatture pari all'1,83 per cento del fatturato e andiamo a restituirle alle regioni. Tutto ciò avviene nonostante abbiamo un tetto di spesa.
  Siamo l'unico settore che ha un tetto vincolante. Non esistono altri settori che hanno tetti vincolanti. Avere un tetto vincolante significa che, se il tetto viene Pag. 7sforato, noi andiamo a restituire soldi. Tutto questo ha fatto sì che il tetto, che era pari al 17-18 per cento qualche anno fa, di anno in anno è stato ridotto per fare cassa. La spesa farmaceutica è l'unica in contrazione da tre anni consecutivamente perché in tre anni siamo scesi al meno 9 per cento mentre il resto della spesa sanitaria sta crescendo. Per esempio, la spesa in beni e servizi è cresciuta del 27 per cento.
  Abbiamo, inoltre, la spesa pro capite più bassa rispetto alla media europea. Al netto dell'IVA l'Italia ha una spesa farmaceutica pro capite per cittadino pari a 237 euro, mentre l'Inghilterra ne ha una di 257, la Spagna di 301 e la media europea è di 340, con punte della Germania e della Francia che, rispettivamente, hanno una spesa farmaceutica pro capite per cittadino pari a 356 euro e 428.
  Noi non siamo qui a chiedere indietro quello che nel passato è stato tolto, perché sappiamo che non c’è disponibilità economica. Chiediamo, però, che ci sia un intervento di governance della spesa sanitaria in totale, così come è stato fatto negli anni sulla farmaceutica. È questo il secondo punto.
  Il terzo punto – poi ne ho ancora un quarto – è la governance. Noi siamo l'unico settore che ha un tetto di spesa...

  PRESIDENTE. Dottore, io le chiederei, se fosse possibile, di essere sintetico, altrimenti non avremo tempo per le domande.

  MASSIMO SCACCABAROZZI, Presidente di Farmindustria. Come dicevo, noi abbiamo un tetto di spesa vincolante, un'Agenzia nazionale e una governance assoluta, pertanto riteniamo che tutti i lacci e lacciuoli che vengono posti attraverso tetti di spesa per prodotto e per classe terapeutica siano inutili e chiediamo che la spesa farmaceutica, l'unica nella sanità che ha un prezzo standard in quanto lo stesso viene negoziato con l'AIFA, sia riportata dal livello regionale a quello centrale.
  Sulla questione riguardante la sostenibilità, la nostra proposta, insieme alla razionalizzazione di tutti i beni e servizi, è quella di considerare anche l'opportunità dei fondi integrativi. Ad esempio, nel settore chimico-farmaceutico esiste il fondo FASCHIM, negoziato sulla base delle relazioni industriali, che non vuole essere sostitutivo ma integrativo: esso è finanziato per metà dalle aziende, per l'altra metà dai dipendenti attraverso una contribuzione di pochi euro al mese.
  In questo modo siamo in grado di meglio indirizzare la spesa privata. Questo fondo fa sì che vengano rimborsati, ad esempio, i ticket o, sia pure parzialmente, le visite private, e prevede altresì diarie in caso di invalidità. In questo modo si aiuterebbe lo Stato a rendere più sostenibile una spesa sanitaria in crescita, alla luce di una situazione demografica e di PIL entrambe preoccupanti. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Scaccabarozzi. Do la parola a Michele Uda, in rappresentanza di Assogenerici.

  MICHELE UDA, Direttore generale di Assogenerici. Buongiorno a tutti. Vi ringrazio innanzitutto per la convocazione e mi scuso se il nostro presidente, il dottor Häusermann, non è potuto essere presente – permettetemi tuttavia di osservare che il preavviso è stato veramente proibitivo e che abbiamo fatto tutto quanto potevamo – ragion per cui oggi interverrò io in relazione ad alcuni argomenti.
  In primo luogo, tra i tantissimi temi che il presidente Scaccabarozzi ha trattato quest'oggi uno su tutti ritengo accomuni l'intera filiera del farmaco, quello concernente la stabilità e la certezza per i prossimi anni di regole e manovre che tengano conto di questo settore, affinché non sia preso di mira in maniera schizofrenica come è invece avvenuto negli ultimi anni. Questo penso sia un punto comune a tutta la filiera del farmaco.
  Venendo al tema dell'indagine è ovvio che i farmaci generici non possono risolvere tutti i problemi del Servizio sanitario nazionale e le sfide future che lo attendono, ma sicuramente possono arrecare un contributo.Pag. 8
  L'anno scorso c’è stato in questo Paese un passaggio epocale che ci piace sottolineare: mi riferisco alla norma approvata dal Parlamento sulla prescrizione per principio attivo, che noi riteniamo essere stata una scelta culturale molto importante, che deve essere assolutamente mantenuta e difesa.
  Assogenerici rappresenta oggi un comparto di 50 aziende, con circa 37 siti produttivi dislocati sul territorio nazionale e 12 mila addetti, il quale fa riferimento ad un settore affatto giovane, cresciuto in questi anni grazie alla dinamica delle scadenze brevettuali dei farmaci coperti da brevetto e derivanti da ricerca.
  Su questo punto permettetemi di dire che qualunque futuro per questo settore è legato alla ricerca. Per tale motivo occorre una presa di coscienza da parte delle Istituzioni circa la necessità di reinvestire i risparmi derivanti dai farmaci generici e biosimilari nella ricerca, incentivando e aiutando appunto le aziende che fanno ricerca, altrimenti questa parte del settore farmaceutico difficilmente potrà sopravvivere, così come non potrà sopravvivere l'altra.
  Parlavo prima del contributo dei generici al Servizio sanitario nazionale: non è un caso che anche voi abbiate scritto nel programma dell'indagine conoscitiva che le regioni con i migliori indici di appropriatezza, in genere quelle del centro e nord Italia, sono anche quelle dove la penetrazione dei generici e dei biosimilari, che rappresentano il futuro che ci attende, è più elevata. Appare dunque evidente il contributo in termini di sostenibilità derivante dall'utilizzo di questi farmaci.
  Per fornirvi giusto una stima spannometrica, come si usa in questi casi, negli ultimi quattro anni il solo fatto che i generici siano entrati in commercio, al di là della dinamica concorrenziale che essi determinano nel mercato, ha condotto a risparmi per circa 1,5 miliardi. Si tratta di risorse importantissime, che solo parzialmente sono state reinvestite in innovazione e in accesso alle terapie innovative.
  Il presidente Scaccabarozzi prima citava un problema fondamentale relativo ai tempi di accesso all'innovazione. È chiaro che, nel momento in cui c’è un problema di risorse, i generici e i biosimilari diventano lo strumento per poter liberare e veicolare laddove occorre le risorse medesime.
  Noi non abbiamo preparato, in ragione della ristrettezza dei tempi, un documento ma siamo a disposizione per approfondire tutti gli argomenti che vorrete segnalarci. Lasciamo comunque agli atti quello che noi abbiamo chiamato il nostro «patto» per questa legislatura, in cui abbiamo indicato alcuni punti che riteniamo prioritari per la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, che costituisce l'argomento di quest'audizione, nonché del nostro settore, se vogliamo che esso continui davvero a garantire risparmi per il Servizio sanitario nazionale.
  Ci sono soltanto due punti che vorrei sottoporre alla vostra attenzione e che troverete nel documento. Il primo, già citato dal presidente Scaccabarozzi, concerne il tema del pay back, il meccanismo che egli stesso ha testé illustrato.
  Si tratta di un meccanismo assolutamente unico: il nostro è infatti l'unico settore che presenta un tetto di spesa pubblica che, qualora superato, siamo noi a dover pagare, continuando peraltro a fornire i farmaci e avendo tempi di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni che probabilmente tutti voi conoscete.
  Su tale aspetto intendo porre un'attenzione particolare, perché è incredibilmente assurdo – utilizzo questo termine volutamente – non solo che questo settore sia sottoposto a queste regole, ma ancora di più che lo siano i farmaci generici e biosimilari, i quali, di per sé, per il solo fatto di esistere, determinano un decremento della spesa.
  A noi risulta particolarmente strano e difficilmente sostenibile per il futuro un sistema di questo genere: esso è stato introdotto nel nostro Paese nel 2007 e probabilmente nei prossimi anni, considerati i tagli di spesa assolutamente lineari che sono stati operati sul Fondo sanitario nazionale, il risultato sarà che a pagare Pag. 9saranno le imprese, con tutte le conseguenze dal punto di vista industriale e occupazionale.
  Il secondo punto riguarda il patent linkage, ossia il legame tra la scadenza brevettuale e l'introduzione in commercio dei farmaci generici, un tema di carattere legale assai complesso che nel nostro documento abbiamo approfondito e rispetto al quale volevo solo richiamare la vostra attenzione.
  Un'ultima questione che mi preme rilevare riguarda il Titolo V. Io credo che questo Paese abbia un'occasione importante per porre mano ad un sistema che abbiamo testato e provato in tutti questi anni. La farmaceutica, come ricordava il presidente Scaccabarozzi, è l'unico settore governato, legiferato e assolutamente sotto controllo. Forse è arrivato il momento di compiere una scelta seria e di portarlo fuori, almeno per la parte farmaceutica, dal Titolo V, cercando di accentrarlo il più possibile presso le Istituzioni che in questo momento sovrintendono alla regolazione dei farmaci, ossia il Ministero della salute e l'Agenzia italiana del farmaco. Le difficoltà che difatti sta creando un Fondo farmaceutico nazionale suddiviso tra 21 regioni sono più consistenti di quanto voi possiate immaginare.
  In merito allo «sconto» dell'1,83 per cento, la famosa tassa che le nostre aziende continuano a pagare ogni mese, permettetemi di svolgere una considerazione. Al di là della profonda iniquità di questa misura, inserita nel nostro ordinamento pochi anni fa, quanto meno per cercare di alleviare la situazione, in questo momento di scarsissimo accesso al credito da parte delle nostre aziende, invito queste Commissioni a valutare un'ipotesi molto semplice. Si tratta di prendere questo 1,83 per cento che viene versato alle regioni, le quali hanno tempi di pagamento e debiti nei confronti delle nostre industrie che sono enormi, e fare un'opera di compensazione in maniera semplice, senza costi e burocraticamente semplicissima.
  L'AIFA ha il controllo costante di questa cifra regione per regione. Si potrebbe così dare un po’ di sollievo alle nostre industrie, al di là del fatto che noi combatteremo in tutte le sedi per eliminare questo balzello, che troviamo assolutamente iniquo in quanto, pur non dipendendo da noi, è stato imposto alle aziende farmaceutiche e non ad altre categorie.
  Un ultimo punto riguarda la burocrazia. Oggi in questo Paese, nel momento in cui un'azienda decide di avviare un impianto produttivo o semplicemente una linea produttiva su farmaci che già produce, probabilmente sceglierà di farlo a Monaco di Baviera piuttosto che a Milano, perché deve attendere in media 9-12 mesi di tempo prima di riuscire ad ottenere tutte le autorizzazioni richieste.
  Non parlo di autorizzazioni sulla sicurezza, la qualità o l'efficacia del farmaco, bensì di autorizzazioni burocratiche, che possono dipendere, faccio un esempio banale, tanto dall'Agenzia italiana del farmaco quanto dal Ministero della salute o dai pompieri. Vi sto citando probabilmente questioni più banali, che un po’ tutti abbiamo sentito, ma questa è la realtà: oggi un imprenditore che deve decidere se attivare una linea produttiva in questo Paese ci pensa sopra non due ma quattro volte.
  Vi ringrazio dell'attenzione e rimaniamo a disposizione per ogni chiarimento, fermo restando che i documenti da noi depositati entrano nel dettaglio dei temi trattati.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Uda. Do la parola ad Andrea Moretti, in rappresentanza di Assobiotec-Federchimica

  ANDREA MORETTI, Responsabile rapporti istituzionali di Assobiotec. Grazie per la convocazione. Porto i saluti del presidente Alessandro Sidoli, che per impegni concomitanti non ha potuto essere qui con noi. Svolgo una piccola premessa introduttiva per dire che Assobiotec è l'Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie e fa parte di Federchimica, la Federazione nazionale dell'industria chimica all'interno di Confindustria. Rappresenta il settore biotech nel suo complesso, Pag. 10dalle biotecnologie industriali, il white biotech, alle biotecnologie in agricoltura, il green biotech, e naturalmente alle biotecnologie farmaceutiche, il red biotech, che costituisce peraltro la componente predominante anche in termini associativi dell'ente.
  Assobiotec è un'associazione che, per forza di cose, guarda all'innovazione come obiettivo e focus principale anche per i prossimi anni. D'altronde, l'Unione europea ha già dimostrato simile attenzione definendo, attraverso il programma Horizon 2020, una politica per lo sviluppo della bioeconomia che noi cerchiamo costantemente di riproporre anche in Italia nel rapporto con le Istituzioni.
  Soprattutto le aziende impegnate nelle biotecnologie farmaceutiche hanno un numero di addetti giovani con occupazione qualificata altissimo e presentano investimenti in ricerca e sviluppo fino al 45 per cento per quanto riguarda il pure biotech: si tratta dunque di un settore altamente innovativo.
  A noi piace dire che Assobiotec rappresenta all'interno delle biotecnologie farmaceutiche tutto il viaggio del farmaco, dalla sperimentazione iniziale, con l'insieme delle piccole e piccolissime imprese che fanno sperimentazione, fino alla commercializzazione.
  Nel ringraziarvi per l'attenzione, lascio la parola al dottor Tosco per la trattazione degli argomenti dell'audizione.

  ANTONIO TOSCO, Componente della Commissione direttiva di Assobiotec e direttore di Health Outcomes & Market Access di Merck. Grazie a tutti. Focalizzerò la mia attenzione su due o tre punti, perché molto è stato già detto dai colleghi e non voglio ripetere gli stessi concetti.
  Il primo punto è costituito dall'innovazione: Assobiotec ha nell'innovazione il suo motore. Noi lavoriamo su farmaci biotecnologici e ciò significa essenzialmente ricerca. Tanto per darvi una dimensione, per giungere dall'idea di un farmaco alla sua introduzione nel mercato a disposizione dei pazienti occorrono circa 10-11 anni. Questi sono i tempi medi e ogni dieci idee che nascono soltanto una si concretizza in un farmaco. Questa è la situazione per quanto riguarda temi e numeri.
  Se andiamo poi a ragionare dei valori di costo, discutiamo di cifre imponenti, molte delle quali risultano legate all'attività di ricerca e agli studi clinici. Per sostenere l'innovazione e fare in modo che le aziende multinazionali, in particolare, continuino a dare credito all'Italia e ad investire presso il nostro Paese, abbiamo bisogno di regole certe che ci consentano di lavorare nel medio e lungo termine e di un po’ meno burocrazia.
  Noi stiamo perdendo terreno per quanto riguarda gli studi clinici. Vi cito un numero: negli ultimi tre anni l'attività di ricerca clinica effettuata in Italia è diminuita di quasi il 25 per cento. Come veniva accennato in precedenza, quando in altri Paesi gli studi vengono espletati e i pazienti arruolati in Italia siamo ancora alle fasi di approvazione in seno ai comitati etici e questo fatto ci reca pregiudizio. Questo è un aspetto sul quale noi sicuramente chiediamo un intervento.
  Un altro punto particolarmente importante che, sebbene toccato e sviscerato dai colleghi, mi preme tuttavia sottolineare, è quello dell'accesso. Oggi noi già siamo in ritardo rispetto agli altri Paesi europei nel portare un prodotto ai nostri pazienti, quando poi ci riusciamo, perché chiudiamo le trattative con l'AIFA e tutto il processo di registrazione e di rimborsabilità, ricominciamo da zero perché gli stessi dossier di rimborsabilità, o di richiesta di rimborsabilità, devono essere sottoposti a tutte e ventuno le regioni italiane. Ciò significa che in alcuni casi i pazienti hanno lo stesso farmaco a due anni di distanza dall'autorizzazione concessa dall'AIFA, il che è piuttosto inquietante.
  Anche i tempi di pagamento continuano a essere un problema. Prima si parlava dei tetti e del pay back: vi sono casi in cui noi restituiamo denaro prima che le nostre fatture siano state pagate dalle regioni e dalle organizzazioni, questo è un fatto.Pag. 11
  Questi sono i punti fondamentali. Noi rappresentiamo un settore di prestigio, di successo. Dare lavoro nel mondo farmaceutico significa sviluppare lavoro a livello di indotto perché in media, per ogni due dipendenti coinvolti in aziende farmaceutiche, almeno tre sono assunti dall'indotto. Questo è un dato importante, quindi compromettere queste attività e l'occupazione nel mondo farmaceutico determina inevitabilmente una conseguenza per quanto riguarda l'indotto.
  Questi sono, in sostanza, i temi più importanti che mi premeva sottolineare ed evidenziare. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Chiedo ai colleghi componenti delle Commissioni se intendano rivolgere ai nostri ospiti richieste di approfondimento rispetto a quanto da loro sinora illustrato nel corso dell'audizione.

  DELIA MURER. Se ho ben compreso, da parte vostra c’è una particolare sottolineatura degli aspetti burocratici e di quelli legati alla definizione di regole certe.
  La questione che vorrei meglio capire è la critica relativa ai passaggi sulle regioni. Su tale punto chiederei esempi e specificazioni più precise riguardo sia ai tempi sia alle modalità.

  MARCO RONDINI. Mi associo anch'io alla richiesta avanzata dalla collega nella richiesta di esempi. Mi è sembrato infatti di capire che tutti e tre gli audìti hanno sottolineato la difficoltà nei pagamenti e posto la richiesta di ricentralizzare il controllo della spesa. Se potete indicarci alcuni esempi rispetto ai tempi di pagamento delle regioni e se possedete dati a tale riguardo, ciò potrebbe risultare utile.

  EUGENIA ROCCELLA. Volevo sapere se sull'organizzazione dei Comitati etici recentemente è cambiato qualcosa con l'ultimo decreto.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  MASSIMO SCACCABAROZZI, Presidente di Farmindustria. Potrei cominciare io e poi lasciare spazio agli altri per le integrazioni, del resto ritengo che più o meno abbiamo le stesse cose da dire.
  Per quanto riguarda i tempi regionali, il sistema funziona nel seguente modo. Noi abbiamo un'Agenzia italiana del farmaco con cui andiamo a negoziare fisicamente, in apposite riunioni, il prezzo e la classificazione del farmaco nelle liste di rimborso da parte dello Stato o meno, a seconda di un rapporto che l'AIFA valuta come efficacia rischio/beneficio dal punto di vista globale, non solo quindi sul piano scientifico ma anche economico. Non a caso, all'interno delle diverse commissioni dell'AIFA sono presenti anche rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze e soprattutto forti rappresentanze regionali. Ciò avviene dopo l'approvazione del farmaco da parte dell'Agenzia europea dei medicinali, a seguito della quale tutti i Paesi membri devono riconoscere la commercializzazione del farmaco stesso.
  L'AIFA ovviamente ha i suoi tempi, anche se devo dire che ultimamente stanno migliorando. Una volta conclusa la negoziazione, si firma un contratto recante tutte le condizioni negoziali da sottoporre alla approvazione del consiglio di amministrazione dell'AIFA, nel quale, a sua volta, siede una rappresentanza a livello regionale, economico e del mondo della salute. Il contratto viene quindi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e da quel momento il farmaco può essere utilizzato dai pazienti ovunque in Italia con un prezzo standard, il quale viene determinato a livello statale.
  Molte regioni però – anzi quasi tutte, tranne forse una – hanno i loro formulari o prontuari regionali, quindi i cittadini di una determinata regione non possono utilizzare il farmaco se questo non è validato dalla commissione regionale, la quale ripercorre tutto l’iter che il farmaco ha già percorso a livello nazionale.
  Ciò comporta che ci sono alcune regioni, ad esempio la Lombardia, nelle quali non esiste il prontuario regionale e quindi entro 60 giorni il farmaco è disponibile Pag. 12per i cittadini lombardi, mentre in altre regioni occorre attendere fino a 400-500 giorni. Sebbene non contenuta nella relazione, vi possiamo però inviare una slide recante i tempi di accesso regionali, dalla quale si evince che in una regione si possono attendere fino a 600 giorni prima di vedere un farmaco inserito nel prontuario.
  Questo significa che, al di là del danno industriale e del fatto che comunque ci sarebbe un tetto di spesa che regola la questione, i cittadini di una data regione sono costretti o a migrare o a non poter disporre del farmaco; poiché generalmente si tratta di farmaci antitumorali, antiepatite, anti-Hiv, ciò rappresenta evidentemente un limite. Ci sono inoltre alcuni farmaci che, ad esempio, in alcune regioni non sono mai arrivati perché una data regione stabilisce di non poterselo permettere e non lo mette quindi a disposizione dei cittadini.
  C’è un altro aspetto da tenere presente, sempre con riferimento alla regionalizzazione, quello per cui alcune regioni stanno proibendo la migrazione dei propri cittadini verso altre regioni. Se io ho la sfortuna, come cittadino, di essere nato in una regione che non inserisce un farmaco nel formulario, non posso nemmeno andare nella regione vicina perché ciò mi viene impedito. Inoltre le prescrizioni che il medico appone sulla ricetta rossa, ossia quelle rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale, sono erogabili in quella data regione e non in quelle regioni limitrofe, il che crea una sperequazione.
  Quanto ai tempi di pagamento, a fronte di un fatturato, ricavo industria, di circa 12 miliardi, che rappresenta più o meno la spesa dello Stato per i farmaci, vantiamo crediti per 4 miliardi, ovvero il 30 per cento del nostro fatturato. I tempi medi sono di 305 giorni, con punte di 600 giorni per le regioni in piano di rientro, come Campania, Calabria e Molise, mentre la media è molto buona, ad esempio, in Lombardia, dove pure non esiste un formulario ma i pagamenti avvengono comunque entro 90 giorni. Questo non è ancora entro i limiti di legge, ma se tutti pagassero come la Lombardia il nostro settore avrebbe a disposizione risorse ingenti da poter reinvestire in attività di ricerca e produzione.
  Un altro aspetto importante è che, se le grandi aziende fanno fatica, immaginatevi le piccole e medie imprese che devono pagare gli stipendi tutti i mesi e non hanno la liquidità di cui può disporre una grande impresa attraverso i prestiti bancari, le quali si trovano veramente in grandi difficoltà con i pagamenti.
  Ovviamente noi disponiamo di dati monitorati regione per regione che, sono qualora ritenuti di interesse, potremo farvi avere. Lascio ora la parola ai colleghi sui comitati etici, anche per non monopolizzare la scena.

  ANTONIO TOSCO, Componente della Commissione direttiva di Assobiotec e direttore di Health Outcomes & Market Access di Merck. Rispondo alla domanda che ha posto l'onorevole Roccella. È vero, qualcosa sta cambiando per quanto riguarda i comitati etici che, a nostro modo di vedere, rappresentano uno degli elementi di farraginosità e lentezza. Parliamo di più di 350 comitati etici. Il problema in questi casi è che, quando viene fatto uno studio in Italia che coinvolge più comitati etici ed emerge da parte di un comitato la necessità di cambiare un punto e di apportare una sorta di emendamento ad un progetto scientifico, gli altri devono adeguarsi, il che comporta una lentezza e un aggravio a livello di burocratizzazione. Questo è, in buona sostanza, il problema: ogni volta che viene cambiato un punto al livello di un protocollo scientifico, tutti gli altri devono accettare, il che comporta alcune complessità.
  Su questo aspetto noi chiediamo un po’ di flessibilità e alcune modifiche. Alla domanda rispondo dunque: è vero, qualcosa sta cambiando in positivo, ma credo che ancora altro debba essere fatto.

  MICHELE UDA, Direttore generale di Assogenerici. Intendo molto brevemente aggiungere una considerazione. In relazione ai tempi di pagamento assolutamente Pag. 13identici, noi siamo un po’ più bassi. Non so se ciò derivi dal fatto che non abbiamo il problema di farmaci esclusivi e innovativi, come invece hanno i colleghi delle associazioni al nostro fianco, ma stiamo parlando di crediti sul nostro settore, che vale circa 1 miliardo e 200 milioni di euro, di circa 300 milioni di euro. Le proporzioni quindi ci sono tutte, purtroppo. Ciò mi fa pensare che ci sia un uso spesso anche piuttosto strumentale dei ritardi di pagamento da parte di determinate regioni.
  Ripeto, partiamo da punte di 600-700-800 giorni per arrivare fino a 90 giorni. Raramente le regioni rispettano la normativa in vigore, quindi i 60 giorni ce li scordiamo ovunque, al massimo arriviamo a 90 giorni.
  In termini di accesso differenziato nelle diverse regioni, nel nostro piccolo noi abbiamo un problema identico sui farmaci generici che, come sapete, rientrano mensilmente in una lista di trasparenza stilata dall'Agenzia italiana del farmaco, la quale identifica il prezzo di riferimento di una data molecola con riferimento ai farmaci generici, una volta scaduto il brevetto per il farmaco originator.
  Ebbene, il brevetto scade, viene messo in commercio il farmaco generico e l'AIFA aggiorna una lista ogni quindici del mese. Ogni regione ha la sua lista e impiega da due giorni a un mese e mezzo, addirittura scavallando la lista successiva.
  Arrivo a un'ultima questione. Anche con riguardo ai biosimilari, che sono un po’ la sfida futura, abbiamo un grosso problema. Una volta che essi vengono autorizzati dall'Agenzia europea dei medicinali, vengono negoziati a livello nazionale in termini di prezzo di rimborso, dopodiché devono affrontare regionalmente le gare ospedaliere per poter accedere al mercato. In diverse regioni devono, inoltre, ripercorrere di nuovo tutta la trafila per essere inseriti nei Piani terapeutici regionali, quando stiamo parlando di molecole assolutamente consolidate e sulle quali non ci sono ragioni di qualità, sicurezza ed efficacia che spieghino quest'ulteriore passaggio.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti a nome sia della Commissione affari sociali sia del Presidente Boccia e della Commissione bilancio. Chiedo loro nuovamente se, per caso, avessero da farci pervenire contributi che possano essere indirizzati anche ai commissari che oggi non sono stati fisicamente in grado di essere presenti. Se ne hanno, li ringrazio molto, perché tali materiali ci servono per il lavoro finale che questa Commissione dovrà effettuare.
  Desidero rivolgere un ringraziamento particolare a tutti voi perché, come avete ricordato, i tempi tecnici con cui vi abbiamo avvertito sono stati veramente limitatissimi e sono, purtroppo, una conseguenza del modo convulso con cui sono andati avanti i lavori del Parlamento di questi ultimi quindici giorni.
  Abbiamo cercato ugualmente di valorizzare la possibilità di sentire il vostro parere su un tema che riteniamo sia importante per voi, ma anche per noi. È importante soprattutto che si possa aprire un confronto e che si possa avere un'idea di ciò che gli stakeholder istituzionali pensano sull'argomento.
  Vi ringrazio di cuore anche per la disponibilità a nome di tutti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO), dell'Osservatorio italiano salute globale e del Movimento per la decrescita felice.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva «La sfida della tutela della salute: tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica», l'audizione di rappresentanti della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO), dell'Osservatorio italiano salute globale e del Movimento per la decrescita felice.
  Ringrazio i nostri ospiti dell'ultima sessione di audizioni di questa mattina: il presidente della Federazione italiana delle Pag. 14associazioni di volontariato in oncologia (FAVO), professor Francesco De Lorenzo, il vicepresidente, dottor Francesco Diomede, e il direttore, dottoressa Laura Del Campo.
  Per l'Osservatorio italiano salute globale è presente il professor Gavino Maciocco, fondatore e coordinatore del sito web salute internazionale.info.
  Per il Movimento per la decrescita felice sono stati invitati a partecipare il presidente, dottor Maurizio Pallante, e il vicepresidente, dottor Jean Louis Aillon. Non potendo partecipare il presidente, siamo riusciti, in modo innovativo per la Commissione, a realizzare la presenza del dottor Aillon in videoconferenza attraverso Skype. Ringrazio, quindi, anche il dottor Aillon, che probabilmente ci sente in videoconferenza.
  Do la parola al professor De Lorenzo, in rappresentanza della FAVO.

  FRANCESCO DE LORENZO, Presidente della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO). La FAVO è nata nel 2003 e gradualmente, nel tempo, ha aggregato ben 500 associazioni, distribuite su tutto il territorio nazionale, che si occupano di malati di cancro e i cui compiti vanno dall'assistenza domiciliare alle cure palliative, al sostegno psicologico, all'informazione e alla riabilitazione, negli ospedali e al di fuori.
  Fanno parte della FAVO associazioni che hanno diffusione nazionale, come l'ANDOS, l'AISTOM, l'AILAR, l'ANVOLT, ma anche piccole associazioni. La FAVO assicura pertanto una rappresentanza variegata, poiché rappresenta tutto il mondo delle associazioni di volontariato.
  Tali associazioni hanno la peculiarità, rispetto alle altre associazioni di volontariato, di essere fondate e gestite dagli stessi malati, come nel caso mio o dell'amico Francesco Diomede, che è stato presidente nazionale dell'AISTOM e ora è presidente dell'AISTOM regionale e vicepresidente nazionale della FAVO.
  L'esigenza di costituire la Federazione nasce, innanzitutto, dal fatto che ogni associazione ha proprie specificità. Oggi il cancro non è più una malattia che può essere affrontata in maniera settoriale. Ci sono questioni di carattere orizzontale che interessano tutti i malati, dalle donne operate al seno agli stomizzati, alle persone affette da altre forme di carattere neoplastico.
  Soprattutto, alla luce delle modifiche che le malattie neoplastiche hanno avuto nel tempo, tendendo sempre più verso la cronicità, grazie alle nuove terapie e alla diagnosi precoce emergono nuovi bisogni dei malati di cancro, quindi è necessario cercare di fornire risposte attraverso nuovi diritti.
  I nuovi bisogni sono ovviamente legati al numero crescente di persone che guariscono dal cancro e si manifestano soprattutto attraverso la necessità di facilitare il ritorno al lavoro dei malati e di garantire a un numero crescente di persone che guariscono dal cancro il diritto alla riabilitazione, diritto tuttora negato. Se non c’è la riabilitazione, si sopravvive al cancro ma non si torna a una vita normale.
  La dimensione della malattia neoplastica è tale da avere un fortissimo impatto, oltre che sulla famiglia, sulla società intera con una ricaduta notevole anche da un punto di vista economico. Basti pensare che nel 2010 sono state registrate circa mille nuove diagnosi di cancro al giorno.
  È vero che si muore di meno, ma ci si ammala di più e si guarisce di più, convivendo con la malattia anche per lungo tempo. Tant’è vero che oggi noi abbiamo una dimensione tale per cui le persone che vivono pur avendo avuto una diagnosi di cancro sono 2 milioni e 300 mila: di queste, 1 milione e 300 mila sono considerate persone guarite dal cancro.
  Si sa però ben poco di queste persone, le quali, non essendo arrivate a una condizione di recupero totale ma essendo soltanto sopravvissute, potrebbero aver mantenuto una serie di disabilità che rendono difficile il ritorno a una vita normale. Noi riteniamo che questo esercito di persone guarite dal cancro, di cui si sa ben poco, rappresenti anche una prospettiva di Pag. 15impegno economico molto maggiore sul piano sia delle terapie ancora da somministrare sia a livello sociale.
  Il cancro ha anche un impatto notevole da un punto di vista economico. Da stime condotte a livello nazionale ed internazionale emerge infatti che le malattie neoplastiche comportano un costo annuale di ben 8 miliardi di euro, con un costo medio per malato, considerando soltanto la parte sanitaria, di circa 26-27 mila euro l'anno. Ciò ha un impatto sul PIL dello 0,6 per cento.
  Noi oggi siamo qui a riferire su una malattia trasversale, dunque dalla conoscenza dell'andamento delle malattie neoplastiche garantite dal Servizio sanitario nazionale è possibile ricavare anche una conoscenza più generale dello stato attuale di funzionamento del Servizio sanitario nazionale.
  Da una parte, si assiste ad un aumento del numero delle persone che si ammalano ma, dall'altra, si riscontra una diminuzione dell'incidenza dei quattro famosi tumori big killer, mammella, colon retto, prostata e polmone. Tali patologie hanno avuto una diminuzione negli ultimi tempi del meno 18 per cento negli uomini e del meno 12 per cento nelle donne. Ci sono, pertanto, un miglioramento e una condizione tali da poter auspicare un contenimento della malattia anche in termini di costi.
  Occorre ovviamente evidenziare che il problema deve essere affrontato globalmente, cercando di intervenire con una prevenzione adeguata per ridurre il carico di malattie; se non riduciamo il carico di malattie, l'incidenza dei costi va crescendo sempre più.
  Per concludere la panoramica sulla condizione dei malati di cancro dobbiamo anche aggiungere che dal numero delle domande complessivamente accolte dall'INPS per il riconoscimento della disabilità e dell'inabilità ben il 33 per cento risulta legato alle malattie neoplastiche. Ciò significa che ci troviamo di fronte a una nuova disabilità di massa rappresentata dai malati oncologici. Il fenomeno presenta quindi una dimensione di rilevanza nazionale e costituisce un'emergenza che occorre affrontare con particolare attenzione.
  Noi siamo consapevoli che la crisi economica debba produrre anche nel settore oncologico una razionalizzazione della spesa, attraverso l'eliminazione di spese che noi consideriamo irrazionali e inappropriate. Bisogna cercare di rendere più efficiente l'organizzazione dei servizi garantendo maggiore efficienza ed efficacia all'utilizzo delle risorse.
  In proposito noi avanziamo alcune indicazioni di merito che riteniamo particolarmente esemplari per dare un'idea di come si possa intervenire per la razionalizzazione delle spese e di quanto si possa oggi fare anche in attuazione di norme previste dalla spending review che sono rimaste ancora inevase. Faccio particolare riferimento al taglio dei posti letto.
  Cito un dato che credo possa valere per dimostrare le difficoltà che ancora esistono nel Servizio sanitario nazionale al fine di garantire la continuità delle cure. FAVO ha avuto il merito di avviare sinergie con tutte le società scientifiche, dall'Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), ai radioterapisti, dalla Società italiana di chirurgia oncologica (SICO) alla SIPO, nonché con rappresentanze istituzionali, dall'INPS, al Ministero della salute, al Censis, ed annualmente produce un Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici nel quale vengono documentate carenze e disparità, con l'obiettivo di informare il Parlamento e il Governo e porre rimedio alle problematiche esistenti.
  Quest'anno nel Rapporto che abbiamo presentato, che abbiamo inviato per e-mail e di cui abbiamo messo a disposizione della Presidenza alcune copie, abbiamo evidenziato, insieme all'AIOM, che ben il 30 per cento dei malati di cancro muore in reparti per acuti.
  Pensate al costo di queste persone che vengono ricoverate in reparti per acuti dotati di tecnologie molto avanzate, le quali non possono che ricevere un'assistenza di cure palliative. Questo avviene Pag. 16perché l'assistenza domiciliare, in buona parte delle regioni, o non esiste o è molto carente.
  Il risparmio che si potrebbe avere dalla riduzione dell'utilizzo inappropriato di posti letto per acuti con tecnologie molto avanzate sarebbe notevole. Basterebbe molto meno per attuare l'assistenza domiciliare, che rappresenta la carenza maggiore che si registra soprattutto nelle regioni meridionali.
  A questo punto, noi riteniamo che i LEA obiettivamente non garantiscano più i malati. Noi non abbiamo infatti un Servizio sanitario nazionale, abbiamo tanti Servizi sanitari regionali. Sappiamo che nei LEA è inclusa l'assistenza domiciliare, ma sappiamo anche che dal Lazio in giù, tranne qualche eccezione, essa non viene svolta neanche con convenzioni o organizzazioni no-profit. C’è quindi un peso che passa direttamente sulla famiglia, con la difficoltà per il malato di avere un'interruzione delle cure soprattutto nella fase terminale.
  Allo stesso modo riteniamo che sia necessario dar luogo e sviluppo alla rete dei tumori rari. I tumori rari sono rari fino a un certo punto. Rappresentano, in realtà, più del 20 per cento dei tumori complessivi. Buona parte dei malati di tumori rari viene assistita nelle strutture per le malattie neoplastiche in generale, quando invece sappiamo che tutti gli aspetti, sia di chirurgia sia di trattamento e soprattutto di diagnosi, devono essere finalizzati all'interno di strutture particolari.
  Esiste una rete per le terapie dei tumori rari, una rete ancora non riconosciuta nel piano di ripartizione del Servizio sanitario nazionale, per potenziare la quale sono stati previsti 15 milioni di euro. Di fatto, però, le regioni, tranne due o tre, non intendono fornire questo contributo, ragion per cui tale rete rimane ancora sulla carta, il che determina un'interferenza notevole.
  L'altra questione sulla quale noi riteniamo che si debba porre particolare attenzione è l'aspetto relativo alla riabilitazione: non esiste la riabilitazione oncologica. Noi abbiamo ottenuto, anche a seguito di ripetute insistenze, dal Ministero della salute l'approvazione del piano della riabilitazione, approvato nel 2011 ma tuttora nel cassetto del Ministero senza che ad esso sia stata data attuazione alcuna.
  Anche il piano oncologico nazionale, che prevede tra l'altro l'organizzazione delle reti oncologiche attraverso il riconoscimento del ruolo fondamentale della riabilitazione come fenomeno sociale, oltre che come aspetto di carattere sanitario, è rimasto totalmente bloccato nell'ambito del Ministero della salute, dopo che si era trovato l'accordo in sede di Conferenza Stato-regioni. Se si riuscisse a razionalizzare la situazione sulla base dei documenti approvati, già si avrebbe un vantaggio notevole.
  La questione della quale siamo molto preoccupati – così completo questa fase di presentazione – concerne l'aspetto relativo all'andamento crescente del ricorso ai tagli lineari, i quali penalizzano fortemente i malati di cancro.
  Voglio soltanto portare la vostra attenzione su un aspetto per il quale abbiamo realizzato anche del materiali in fotocopia, che avrei il piacere venisse distribuito. Con la Società italiana di chirurgia oncologica e con la collaborazione del sistema informativo del Ministero della salute, applicando parametri previsti a livello internazionale ed avendo analizzato ben 15 milioni di SDO, abbiamo calcolato che attualmente esistono strutture di chirurgia oncologica in ospedali di piccola dimensione che non garantiscono l’outcome degli interventi. Queste strutture non sono accompagnate infatti dalla necessaria presenza di una serie di attrezzature e di aspetti organizzativi.
  Noi riteniamo che si debba intervenire per stabilire in maniera cogente che non si applichino i tagli lineari, come è invece avvenuto nella regione Lazio. A causa dei tagli lineari il reparto di chirurgia oncologica dell'Istituto Regina Elena ha due sedute operatorie alla settimana, eppure è l'unico centro che si occupa di carcinosi peritoneale.Pag. 17
  Noi abbiamo fatto uno studio, che credo abbia una forte valenza, nel quale abbiamo individuato che – vi cito solo i numeri – rispetto a 1.015 centri che si occupano di cancro al colon retto solo 196 risultano adeguati. Se andate a vedere i dati, osserverete che alcune strutture operano otto o nove casi all'anno, ragion per cui l’outcome di questi malati è a rischio.
  Come associazione dei malati, se non si interviene in maniera adeguata per chiudere queste strutture renderemo noti ai malati il numero dei casi trattati per ciascuna di esse, in modo da porre i malati stessi nelle condizioni di poter scegliere di recarsi in quelle strutture in cui la garanzia di un successo dell'intervento operatorio è rappresentata dal numero dei casi trattati.
  Analogamente, delle 906 strutture che si occupano del cancro alla mammella soltanto 193 sono adeguate, delle 702 che si occupano del tumore al polmone solo 96 e delle 624 che si occupano del cancro alla prostata solo 118.
  Vi abbiamo voluto fornire questi dati perché credo che debbano essere tenuti in grande considerazione per quanto riguarda l'applicazione della spending review. La spending review prevede infatti il taglio dei posti letto, ma la preoccupazione che noi abbiamo è quella di garantire che essi non venga applicato sulla base delle esigenze del malato e del suo diritto alla sicurezza del trattamento.
  Vogliamo svolgere talune altre considerazioni, in particolare circa la necessità di imprimere una accelerazione alla realizzazione del fascicolo sanitario elettronico. Questa è l'unica via per garantire la continuità della terapia e mettere il medico di famiglia nelle condizioni di poter intervenire adeguatamente. Oggi soltanto poche regioni lo applicano. Esiste un decreto, che è stato anche approvato, ma le regioni continuano a chiedere rinvii. Noi riteniamo invece che questo sia il metodo più semplice e più realisticamente accettabile per garantire la continuità della cura sul territorio.
  Si registrano altresì disparità in riferimento alla situazione degli hospice, se solo considerate che nel 2010, a fronte di 598 posti letto presso hospice in Lombardia e di 241 in Emilia-Romagna, se ne censivano solo 20 in Campania e 7 in Calabria, mentre 27 erano le strutture con servizi di radioterapia in Lombardia, 7 in Puglia e 3 in Calabria.
  Esistono dunque disparità spaventose che portano poi alla mobilità sanitaria, con la conseguenza anche oggi, con i piani di rientro, di rendere sempre più difficile la migrazione da regione a regione per i malati di cancro.
  Aggiungo due considerazioni rilevanti di carattere generale. La prima riguarda la disparità di accesso ai farmaci innovativi. Noi abbiamo vinto due battaglie, ma crediamo di averle vinte sulla carta e non sul territorio. La prima è stata vinta col decreto Balduzzi, col quale si è introdotto, dopo una serie di tentativi con Fazio in Conferenza Stato-regioni, l'obbligo da parte di tutte le regioni, ivi comprese quelle che hanno un prontuario farmaceutico regionale, di garantire l'erogazione dei farmaci innovativi subito dopo l'approvazione dell'AIFA. Attualmente sono soltanto Piemonte, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e Marche a garantire tale servizio, mentre le altre regioni ancora non lo facevano.
  C’è però un inghippo, perché si parla di farmaci innovativi. L'AIFA non considera farmaci innovativi i nuovi farmaci salvavita, che ancora sono assenti in molte regioni. Con l'approvazione della legge, si è raggiunto un risultato positivo che non trova tuttavia pratica attuazione. Nelle tabelle del nostro Rapporto, ad esempio, sono riportati tanti farmaci biologici salvavita che non vengono ancora erogati in molte regioni.
  L'altro risultato positivo è stato ottenuto anche grazie al voto del Parlamento, che ha reso obbligatoria la definizione da parte dell'AIFA del prezzo per la rimborsabilità dei nuovi farmaci in fascia C. Noi riteniamo, però, che con tutto questo non si risolvano i problemi e siamo molto preoccupati da alcuni interventi regionali. Non voglio dire quali, perché non mi sembra giusto farlo in questa sede, ma ci Pag. 18sono state alcune regioni che hanno emanato un decreto, che poi è stato ritirato, per impedire la somministrazione dell'abraxane – un farmaco che si usa nelle donne con cancro alla mammella metastatizzato – alle donne con più di 65 anni. Anche se poi il decreto è stato ritirato, in questo caso si è tentato di compiere un intervento assolutamente improponibile dal punto di vista etico, operando una discriminazione sulla base dell'età.
  Un'altra questione che ha particolarmente preoccupato le associazioni dei malati è stata la decisione che hanno preso alcuni ospedali in Piemonte, anche grandi ospedali come quello delle Molinette, che, per non sforare sul tetto della spesa farmaceutica ospedaliera, non erogavano il farmaco al malato ma chiedevano al malato di recarsi nella farmacia territoriale, acquistarlo, portarlo e farselo erogare, con una quantità enorme di giri complicati che incidevano ovviamente sulla vita non soltanto sanitaria, ma anche sociale, del malato. Questi tagli dunque ci preoccupano molto.
  L'ultima questione che vogliamo porre è quella di riprogrammare il Servizio sanitario in funzione delle innovazioni. Noi parliamo tanto di medicina personalizzata e siamo convinti che questa sarà la risposta del prossimo futuro. Ci rendiamo conto, però, che in Italia non siamo preparati, nella maggior parte delle strutture ospedaliere, ad erogare la medicina personalizzata ? La medicina personalizzata significa avere presso le oncologie reparti di biologia molecolare, ossia avanzatissime strutture per fare un'istologia a livello molecolare. Diversamente, il farmaco viene erogato in maniera inappropriata.
  La posizione delle associazioni dei malati non è quella di garantire, comunque e a tutti i costi, i farmaci ai malati; da questo punto di vista noi siamo molto preoccupati perché riteniamo che occorra intervenire per ridurre l'accanimento terapeutico.
  Anche per questo motivo riteniamo che debbano essere inseriti alcuni correttivi. Pensate che un'elevatissima percentuale di persone che arrivano negli hospice è ancora in trattamento chemioterapico. Secondo i dati disponibili, più del 40-50 per cento dei malati in fase terminale che arriva agli hospice è ancora in trattamento chemioterapico, il che compromette anche il trattamento delle cure palliative, ovviamente con un dispendio di risorse inutile. La medicina personalizzata, che oggi è una realtà, va realizzata dunque in funzione anche di una revisione complessiva del Servizio sanitario nazionale. C’è poi tutta la parte sociale dei costi per il ritorno al lavoro, sulla quale ugualmente sarà importante svolgere qualche riflessione.
  Chiedo scusa per questa introduzione, ma mi sembrava giusto porre alcune questioni che sono peraltro tutte documentate nel Rapporto che abbiamo inviato e che riteniamo possa essere un utile riferimento di conoscenza anche per le Commissioni.

  PRESIDENTE. Grazie, professor De Lorenzo.

  FRANCESCO DE LORENZO, Presidente della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO). Vorrei far dire due parole al vicepresidente Diomede.

  PRESIDENTE. Professore le chiedo scusa, ma altrimenti non siamo in grado di completare l'audizione entro i termini stabiliti. Se ci saranno domande, potremo poi dare la parola al vicepresidente per la risposta.
  Do la parola, per l'Osservatorio italiano sulla salute globale, al professor Gavino Maciocco.

  GAVINO MACIOCCO, Fondatore dell'Osservatorio italiano sulla salute globale e coordinatore del sito web saluteinternazionale.info. Buongiorno e grazie dell'invito. Spendo due parole sull'Osservatorio italiano sulla salute globale, un'associazione che mette insieme diverse persone che si occupano in Italia di salute internazionale e di politiche sanitarie internazionali, e quindi di equità e di sostenibilità dei sistemi sanitari.Pag. 19
  A proposito della sostenibilità dei sistemi sanitari, vorrei porre all'attenzione la questione dell'epidemia delle malattie croniche – come le malattie cardiovascolari, il diabete, l'obesità e naturalmente anche il cancro – che si sta diffondendo in tutto il mondo con un'intensità e una velocità molto superiori alla causa che tendenzialmente si considera legata allo sviluppo delle malattie croniche, cioè la longevità. Si pensa infatti che, aumentando la longevità, aumenti anche il numero delle malattie croniche, trattandosi di un fenomeno quasi naturale legato all'invecchiamento.
  In realtà, non è così. In tutto il mondo le malattie croniche stanno aumentando a un ritmo superiore a quello dell'invecchiamento, perché c’è un'aumentata esposizione ai fattori di rischio a noi ben noti, come il fumo, la sedentarietà, l'eccesso di peso e lo stress cronico. Tali elementi hanno la caratteristica di essere socialmente determinati: le persone maggiormente esposte a questi tipi di fattori di rischio appartengono ai gruppi di popolazione più vulnerabili dal punto di vista sociale. Quella a cui noi assistiamo oggi è, dunque, un'epidemia di malattie croniche che colpisce soprattutto i gruppi più poveri della popolazione.
  Dal punto di vista globale dirò due parole, poi mi concentrerò sulla situazione italiana. Dal punto di vista globale l'epidemia di malattie croniche colpisce soprattutto i Paesi che hanno sistemi sanitari deboli. Pensate all'India, che ha il più alto numero di diabetici al mondo ma dove soltanto il 10 per cento della popolazione è assicurato. Il grosso della popolazione, di fronte a malattie croniche come il diabete, l'ipertensione o le malattie cardiache, deve pagare di tasca propria le cure e tutto ciò provoca conseguenze ben comprensibili: o il malato non si cura o va in bancarotta a causa del costo delle cure.
  Questo è stato uno dei motivi per cui, ad esempio, in Cina il Governo di quel Paese ha deciso, seppur tardivamente, di avviare una politica verso una copertura sanitaria che allo stato è ancora solo parzialmente attuata, per quanto l'obiettivo che i cinesi si sono posti è quello di giungere entro il 2020 a una copertura sanitaria universalistica.
  Che cosa succede invece nel nostro Paese ? In Italia le malattie croniche stanno aumentando, come dicevo, a un ritmo superiore a quello dell'invecchiamento. Nella presentazione che troverete allegata sono riportate alcune tabelle che mostrano il confronto della spesa sanitaria italiana con quella di altre nazioni, dalle quali emerge come l'Italia figuri in coda alle nazioni industrializzate dal punto di vista della spesa, mentre, in testa, in maniera assolutamente eccezionale, compaiono gli Stati Uniti, la cui spesa sanitaria rappresenta quasi il 18 per cento del PIL. Si tratta di una spesa sanitaria di oltre 8 mila dollari pro capite rispetto ai nostri 3 mila.
  Questo eccesso di spesa sanitaria degli Stati Uniti è attribuibile a diverse ragioni. La considerazione che riporto nella mia relazione è che molti osservatori sostengono che una delle principali cause dell'eccesso di spesa sanitaria degli Stati Uniti sia dovuta all'altissima prevalenza di malattie croniche.
  Nella tabella allegata troverete il confronto tra Stati Uniti e Paesi europei con riferimento alla prevalenza delle malattie croniche. Per esempio, con riguardo alla popolazione ultracinquantenne il 21,8 per cento degli americani è affetto da malattie cardiache rispetto all'11 per cento degli europei, il 16,4 degli americani è affetto da diabete rispetto al 10,9 per cento degli europei, il 12,2 per cento degli americani è colpito da cancro rispetto al 5,4 dei cittadini dei Paesi europei. Per Paesi europei si intendono i dieci Paesi che sono stati presi in considerazione da questa ricerca, ossia Austria, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Spagna, Svezia e Svizzera.
  Un eccesso di malattie croniche comporta ovviamente un eccesso di consumi a vari livelli, in termini cioè di farmaci, di esami diagnostici, di ricoveri ospedalieri. A tale proposito, noi siamo messi abbastanza bene se consideriamo la situazione attuale ma, se guardiamo in prospettiva e soprattutto Pag. 20se poniamo mente a cosa sta succedendo, per esempio, nel campo dell'obesità infantile, noi ci collochiamo, tra i Paesi industrializzati, immediatamente dietro agli Stati Uniti.
  Dalla tabella potrete osservare come la prevalenza di obesità e sovrappeso negli Stati Uniti sia del 35,9 per cento per le femmine e del 35,0 per i maschi. Subito dopo viene l'Italia, con 30,9 per le femmine e 32,4 per i maschi. Se andiamo a guardare la suddivisione tra regioni, vediamo che la Campania ha il 50 per cento di bambini e di adolescenti per obesità e sovrappeso e che gran parte delle regioni del Sud presenta da questo punto di vista livelli molto superiori alla media nazionale.
  L'altro elemento che credo dobbiamo assolutamente tenere in conto è la distribuzione diseguale riguardo alla condizione sociale. In proposito troverete alcuni dati. Io in particolare desidero sottoporvi un dato fiorentino che mi ha molto colpito, relativo alla mortalità prematura per infarto, ossia prima dei 74 anni. Il gruppo di popolazione con basso livello di istruzione, che è anche quello con basso livello di reddito, ha l'80 per cento di probabilità in più di morire per tali cause rispetto al gruppo di riferimento rappresentato dai laureati.
  Naturalmente esiste una quantità enorme di dati che non sto in questa sede a riferire, ma il dato delle disuguaglianze nella salute con riferimento ad una pluralità di fattori, e in particolare alla questione delle malattie croniche, va certo preso in considerazione.
  Tutto ciò è aggravato da un altro elemento, ovvero dalle strategie di quella che io chiamo l'industria biomedica. Tale industria tende infatti ad allargare a dismisura il numero dei malati, o dei supposti malati, cosicché noi, insieme a una platea già molto estesa di malati cronici, abbiamo anche un tentativo di allargare ancora di più questa platea attraverso meccanismi che si chiamano di overdiagnosis e overtreatment: si aumenta, cioè, il numero dei malati che non sono malati – pensate alla pubblicità secondo cui la cellulite è una malattia e via elencando – il che naturalmente tende ad allargare ancora di più i costi e a mettere a serio rischio la sostenibilità del sistema.
  Come ci si può difendere da queste situazioni ? Le strategie sono note e sono ormai internazionalmente ben definite, ma c’è molta difficoltà ad applicarle, molta lentezza e anche molta pigrizia. Tendenzialmente, infatti, la sanità è molto concentrata sugli ospedali, mentre le strategie che dovrebbero essere alla base dell'intervento nei confronti delle malattie croniche dovrebbero avere come riferimento i servizi territoriali.
  Rilevo tale aspetto perché, in primo luogo, noi dovremmo attuare strategie di prevenzione primaria, cioè di riduzione dell'esposizione al rischio. In materia vi sono un'ampia letteratura nonché taluni interventi realmente effettuati, per esempio quello contro il fumo. Tenete sempre conto che le persone maggiormente esposte ai fattori di rischio sono però i gruppi più poveri della popolazione.
  Una questione fondamentale, tra tutte quelle che hanno a che fare con la salute, è pertanto quella della riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali all'interno della popolazione. Poi ci sono questioni in cui il sistema sanitario ha dirette responsabilità. La prima responsabilità è quella di evitare che il sistema si muova soltanto quando un paziente cronico si aggrava o ha una complicazione, che è quanto normalmente avviene.
  Dovremmo cioè ribaltare il paradigma ormai consueto della medicina, che è quello di aspettare che le persone si rivolgano ai servizi, ossia il paradigma dell'attesa, per trasformarlo nel paradigma dell'iniziativa, in base al quale i servizi si muovono per evitare che le situazioni si aggravino e per aiutare il paziente a gestire da sé la propria condizione. Ciò è possibile perché il 70-80 per cento dei pazienti affetti da malattia cronica si trova inizialmente in una fase in cui la sua qualità della vita è conservata e in cui, se riuscisse a governare in maniera autonoma Pag. 21la propria condizione, eviterebbe per un lungo periodo aggravamenti, complicanze e scompensi.
  Tutto ciò è codificato in un modello che si chiama Chronic Care Model. In Toscana questo modello è stato attuato dal 2008 e attualmente interessa circa il 35 per cento della popolazione, quindi non siamo ancora ad un livello esteso di intervento. Anche in Emilia-Romagna abbiamo una situazione simile, tuttavia ci troviamo ancora in una fase in cui, come il professor De Lorenzo faceva osservare, sussistono enormi disuguaglianze tra regioni e regioni ed anche all'interno delle stesse ASL si riscontrano difficoltà rispetto ad un'applicazione uniforme.
  Ci sarebbe dunque bisogno che qualcuno stabilisse nei confronti delle malattie croniche un'unica strategia, invitando tutti a muoversi possibilmente insieme. Questo, però, comporta una riorganizzazione radicale del sistema delle cure.
  Troverete nel materiale un articolo pubblicato recentemente su Monitor, la rivista dell'AGENAS, in cui svolgo una descrizione del sistema delle cure territoriali per applicare il Chronic Care Model. Fondamentalmente, si tratta di team multidisciplinari composti da medici di famiglia, infermieri e specialisti che intervengono per aiutare i pazienti a gestire da sé la propria malattia, ma anche per ricercare i pazienti che tendenzialmente non si curano, che tendono a sottovalutare la propria patologia e che, quindi, rischiano di trovarsi nella condizione di rivolgersi ai servizi soltanto quando stanno molto male.
  Concludo il mio intervento ringraziando ancora per questo invito e sperando che questo contributo serva almeno a sensibilizzare il Parlamento nei confronti di questo tema. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola via Skype al dottor Aillon, che interviene in rappresentanza del Movimento per la decrescita felice.

  JEAN LOUIS AILLON, Rappresentante del Movimento per la decrescita felice. Innanzitutto vi ringrazio per questo invito e mi scuso di non essere potuto venire di persona. Sia per noi, come Movimento, sia per la mia persona è un grande onore essere qui a discutere con voi. Quanto andrò ad illustrare dovrebbe essere a voi già disponibile in forma di una presentazione in Powerpoint che dovrebbe esservi stata distribuita. Seguirò pertanto questa traccia.
  Mi presento: sono un medico e sono responsabile del gruppo tematico Decrescita e salute, un gruppo che lavora all'interno del Movimento per la decrescita felice sulla tematica della salute da circa due anni. Prima di cercare di illustrare che cosa rappresenta per noi il discorso di decrescita e salute vorrei spendere due brevi parole per spiegare il concetto di decrescita.
  Per noi «decrescita» non è la recessione e non è il tornare all'età della pietra. Maurizio Pallante definisce la decrescita come il capovolgimento dell'assunto che la crescita illimitata sia il fine delle attività economiche e produttive. Latouche, un altro teorico di questo pensiero, spiega meglio il concetto utilizzando la formula «a-crescita». Come ’a’ sta ad ateismo, si tratta di abbandonare la fede nella religione della crescita fine a se stessa, il che non significa che non si debba crescere ma che occorre uscire da un'ottica quantitativa per arrivare a un'ottica più qualitativa.
  Nello schema che trovate nelle dispense vedete come nella logica della crescita i bisogni dell'economia sono alla base e gli esseri umani si trovano ad essere spesso ingranaggi in un meccanismo che punta semplicemente alla crescita del PIL, alla produttività, alla quantità fine a se stessa, con alcune aberrazioni. Voi pensate che, se c’è più inquinamento e si consumano più medicine, il PIL cresce maggiormente: ma qualcuno oserebbe dire che così aumenta il benessere ?
  La visione della decrescita capovolge questo assunto e rimette i bisogni degli esseri umani al centro. Tale visione vorrebbe che l'economia fosse un mezzo per puntare alla piena realizzazione degli esseri Pag. 22umani e alla qualità in un'ottica di limitatezza, considerando qual è l'essere umano e quali sono le risorse.
  Dal punto di vista del sistema sanitario questo concetto può essere raccontato in maniera analoga, nel senso che spesso sotto le forti pressioni economiche il centro non è più rappresentato dai pazienti, ma dal sistema sanitario, sempre più centralizzato e verticale. I bisogni sono quelli del sistema sanitario, mentre i pazienti si ritrovano a essere gli ingranaggi di un sistema che persegue la crescita, la produttività e l'interesse di diversi stakeholder, in una logica più quantitativa che qualitativa.
  Per noi, invece, parlare di decrescita e salute significa rimettere i bisogni dei pazienti al centro e il sistema sanitario al servizio del paziente per garantire una piena salute dei pazienti da un punto di vista olistico, secondo la definizione dell'Organizzazione mondiale della sanità, nel senso di completo benessere fisico ma soprattutto psicologico e sociale, in un'ottica qualitativa.
  In merito riscontriamo alcune problematiche, che sono peraltro quelle che voi state affrontando, perché il paradigma scientifico dominante è quello di un progresso illimitato, in cui la medicina non si pone limiti alle possibilità di miglioramento e in cui tecnologie nuove sempre più costose vengono presentate come un diritto senza «se» e senza «ma». Ci ritroviamo, pertanto, in un'incompatibilità logica tra le aspirazioni infinite e le risorse finite che si hanno a disposizione per il sistema sanitario.
  Noi pensiamo invece che bisogna cercare di uscire da questo paradigma prometeico e riconsiderare l'idea di progresso infinito e di innovazione tecnologica incontrollata. Ciò comporta la ridefinizione dei concetti di salute e di malattia, nonché quello di cura, di terapia e di sistema sanitario.
  In particolare, riteniamo fondamentale agire su quattro pilastri, a parte quello teorico iniziale, il primo dei quali, come è già stato osservato con riferimento al tema della salute globale, è quello della promozione della salute e della prevenzione. Il secondo pilastro è costituito dal coinvolgimento dei cittadini nelle scelte politiche per la salute, nella prevenzione e nella promozione della salute. Segue infine una ri-coordinazione dei servizi volta all'efficienza e all'appropriatezza, secondo il motto «meno e meglio», e alla decentralizzazione.
  Analizziamo passo per passo queste tematiche. Nella vostra dispensa trovate uno schema a cerchi semiconcentrici in cui sono evidenziate le determinanti della salute, ovvero i fattori da cui dipende la nostra salute, in particolare da un punto di vista più quantitativo.
  Possiamo vedere come queste determinanti, come prima si diceva, siano per lo più attinenti al versante socio-economico, a quello culturale, a quello ambientale nonché agli stili di vita. Vi figurano, tra l'altro, la tutela dell'ambiente, l'istruzione, l'alimentazione, l'ambiente di lavoro, la disoccupazione, l'igiene.
  I servizi sanitari in questo quadro ricoprono un ruolo di secondo rilievo, potremmo dire. A nostro avviso, è qui che bisogna agire, ossia sulle cause di fondo delle determinanti di salute, vale a dire sull'equità, sulla qualità di aria, acqua e terra, sull'alimentazione e sull'attività fisica, sugli stili di vita.
  Noi presenteremo questo come una sorta di olismo metodologico che non può che mettere in discussione, dal nostro punto di vista anche a livello economico, i fattori che producono un'insostenibilità ambientale e sociale. Tale olismo richiede, però, un approccio transdisciplinare anche a livello di governo.
  A nostro avviso, non si può pensare di risolvere il problema della salute continuando a togliere l'acqua dal secchio ma bisogna cercare di chiudere il rubinetto. Si tratta di un rubinetto che gira a 360 gradi e che riguarderebbe più ministeri. Pensiamo all'ambiente, all'agricoltura, all'economia, ma anche alla cultura e all'istruzione, che è fondamentale, o al lavoro. Bisogna agire su tutte queste variabili in un'ottica transdisciplinare, non solo attraverso Pag. 23il contributo di medici, ma anche di sociologi, antropologi, economisti, filosofi e soprattutto dei cittadini.
  Noi riteniamo prioritarie la promozione della salute e la prevenzione primaria. Non ci interessa infatti solo la prevenzione, ma anche la promozione della salute. C’è chi parlerebbe di «saluto genesi», in un'ottica di demedicazione della società.
  Come già si diceva nel 1986 a Ottawa, il ruolo del sistema sanitario deve andare sempre di più nella direzione della promozione della salute, agendo sulle determinanti socio-economiche, ambientali e culturali.
  Questo concetto, che è ravvisabile anche nell'azione dell'OMS e nella dichiarazione di Alma Ata del 1978, non può prescindere dai cittadini: non possono essere il Governo né la sanità a svolgere questo compito da soli. Bisogna che ci sia un coinvolgimento della cittadinanza e, io direi, anche di tutte le associazioni che si occupano a diverso titolo di salute nelle scelte politiche per la salute, soprattutto operando attivamente nella prevenzione e nella promozione della salute. Non si può prescindere, dunque, dai cittadini, perché questo è un discorso di comunità. In tempi di risorse ristrette non si avrebbero peraltro le risorse necessarie.
  Da questo punto di vista noi promuoviamo una rete virtuosa fra sistema sanitario e associazioni dei cittadini, in cui le associazioni potrebbero rappresentare il ponte fra il sistema sanitario e i cittadini. Nel materiale a vostra disposizione troverete un elenco di numerose associazioni che lavorano nel campo della medicina, ma anche di associazioni di pazienti e di cittadini, come Cittadinanzattiva e il Tribunale per i diritti del malato, che potrebbero costituire il ponte fra sistema sanitario e cittadini. Noi vorremmo organizzare anche un convegno per mettere insieme queste realtà e siamo molto disponibili a collaborare, se lo riterrete opportuno.
  Da ultimo c’è il discorso della riorganizzazione dei servizi, secondo il principio di efficienza e di appropriatezza, ossia del «meno e meglio». Una serie di riviste scientifiche dimostra come la cattiva qualità rappresenti un costo maggiore per il sistema sanitario e come, migliorando la qualità, si possano, in alcuni casi, diminuire i costi. Nel materiale trovate questa review. Tale concetto è fondamentale e rappresenterebbe peraltro una «decrescita» del PIL, in termini di minori costi e maggiore qualità, ma felice.
  Analogo discorso può essere fatto per i farmaci inutili che vengono erogati. Pensate che gli antibiotici sono utilizzati nelle forme virali in una percentuale che oscilla tra il 40 e l'80 per cento, cui si aggiungono l'effettuazione di analisi inutili, marker tumorali non efficaci e screening inefficaci. Diminuire questi sprechi significherebbe liberare risorse che potrebbero essere utilizzate nella prevenzione primaria e nella promozione della salute.
  Vi è altresì il discorso della commercializzazione delle malattie nonché – non mi dilungo troppo, perché è stato già affrontato – quello della rilocalizzazione dei servizi sul territorio, con il rafforzamento della medicina di famiglia e di altri tipi di servizi.
  Per esempio, in Inghilterra è stata istituita la figura dello psicoterapeuta di base, una sorta di medico di base per i problemi di carattere psicologico, che costano moltissimo. In Inghilterra le conseguenze sociali della depressione costano 16 miliardi di euro. Con un intervento di 221 milioni di euro si è stimato che si risparmieranno all'anno circa 9 miliardi di euro. Tenete presente che il 30 per cento circa dei pazienti che si rivolgono a un medico di medicina generale ha almeno un disturbo psichiatrico.
  Io ho concluso. Troverete in allegato al materiale le informazioni su alcuni progetti che stiamo portando avanti e una bibliografia recante informazioni attinenti. Vi ringrazio molto per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Aillon. Chiedo ai colleghi che hanno avuto l'energia e la determinazione di rimanere presenti sino a questo momento se da intendano rivolgere alcune domande ai Pag. 24nostri ospiti, compresi quelli che stiamo ascoltando in teleconferenza.

  FRANCA BIONDELLI. Ringrazio tutti gli auditi per le relazioni e svolgo soltanto un passaggio sull'intervento del professor De Lorenzo relativo alla carenza degli hospice.
  Quello che manca è proprio la continuità assistenziale, passata attraverso la spending review e i tagli lineari. Abbiamo poi scoperto che in tal modo si chiudevano gli ospedali, ma non avevamo la continuità assistenziale.
  La vostra Federazione (FAVO) raccoglie tante associazioni di volontariato, a cui va il nostro ringraziamento perché supportano in modo importante, a volte, la carenza delle Istituzioni e soprattutto, in questo caso, delle regioni, le quali sono titolari di 21 tipi diverse di sanità. Io da questo regionalismo, lo dico sovente, non ho avuto grandi risposte.
  Professor De Lorenzo, non trova che ormai per la spending review la carenza sia anche quella del personale medico e sanitario ? Le dico questo perché lei parla di 1.015 centri che si occupano di cancro del colon retto. Proprio per carenza di personale medico, e non solo infermieristico, noi abbiamo ridotto le attività e, quindi, abbiamo allungato di sei mesi le colonscopie. Le chiedo se, alla luce della vostra forte e grande attività di volontariato, sia ancora sostenibile questo blocco del turnover medico e infermieristico.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Mi trovo particolarmente attivato dagli interventi del professor De Lorenzo e del professor Maciocco in relazione alla sanità di iniziativa, per la quale è stato citato in particolare il Chronic Care Model. È stato interessante anche ascoltare come il solco che sta cercando di scavare il modello della decrescita in salute comprenda molti degli interventi, anche se in maniera apparentemente più superficiale. È proprio un modello culturale.
  Per quanto riguarda il professor De Lorenzo, vorrei mettere l'accento sulla seguente questione, che è stata senz'altro già dibattuta – sono uno psicologo, uno psicoterapeuta – con riferimento al volontariato: quanto ossia la presenza storica nella cultura italiana di associazioni di volontariato permette allo Stato di avere un alibi o di non sentire l'emergenza nei modelli di sanità di iniziativa o soprattutto nella prevenzione terziaria ?
  Mi chiedo, cioè, quanto il fatto di avere un associazionismo forte, non sempre di tipo laico, ma anche di tipo religioso, oltre a tutto il mondo degli ex pazienti – ne parlo in quanto, come tanti in Italia, nella mia famiglia sono stato coinvolto dolorosamente in questa battaglia – non sia stato un impedimento, per esempio, al pieno sviluppo dell'assistenza domiciliare integrata (ADI), al recepimento delle direttive nazionali sulla sanità di iniziativa e, quindi, sulla continuità dell'assistenza a livello territoriale e ambulatoriale e, soprattutto, di una presa in carico che, anche a causa della mancanza della cartella elettronica, non riesce a trovare realizzazione.
  La mia domanda è questa: non è forse scarsamente analizzato il fatto che un modello apparentemente virtuoso possa non funzionare ? Lo dico anch'io, da psicologo, essendo la mia una professione. A volte i professionisti più giovani, ma con maggiori energie, si concentrano in una voglia di far bene a costo zero, prendendo così il posto di una continuità assistenziale che dovrebbe invece essere remunerata in maniera professionale, nonché continuamente formata, supportata e non svolta sulla base di un turnover di giovani che prendono il posto di professionalità sanitarie a bassa specializzazione, come prevede il modello di assistenza del Primary Health Care.
  Pongo questa domanda a tutti e tre.

  PRESIDENTE. Data l'ora, concederei spazio alle repliche. Do la parola al dottor Diomede.

  FRANCESCO DIOMEDE, Vicepresidente della Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia (FAVO). Vorrei innanzitutto presentarmi. Io sono un malato Pag. 25di cancro stomizzato. Ho avuto un cancro al retto a 38 anni, ragion per cui ho il mio bel sacchettino da 27 anni.
  Tanto premesso, voglio ricordare, e poi rispondo, che la nostra è una Federazione di malati di cancro, non per malati di cancro. C’è una gran bella differenza, che non sta solo in una preposizione. È una bellissima differenza.
  La risposta alla prima questione è che gli hospice vanno certamente incrementati: sicuramente c’è un problema di grave carenza, perché molte regioni non sono in grado di assumere medici e infermieri, ma è altrettanto vero che ci sono anche pressioni da parte di alcune associazioni che hanno interesse a non sviluppare queste strutture.
  Vedete in questi giorni ciò che sta accadendo a Bari sul 118. La Puglia ha assunto 40 infermieri perché ha eliminato i vincoli di bilancio, ma le associazioni stanno attaccando l'ASL perché stanno per partire i servizi. Le associazioni che forniscono il 118 non avranno, quindi, più tanto lavoro. Il problema è anche economico. Con riferimento alle associazioni non è infatti tutto oro quello che luccica, anche nel mondo dell'oncologia. È un problema serio.
  Io parlo da malato. Dovete vedere noi tre come malati di cancro, non come Diomede, De Lorenzo o la nostra direttrice. Noi siamo qui come malati di cancro. Come malato di cancro, io sono arrabbiato per i ticket perché, per via dei ticket, le persone stanno iniziando a rinunciare a fare prevenzione. La nonnina non ha più 100 euro di ticket e non può aspettare sette mesi, ragion per cui va a farsi la TAC o la risonanza a pagamento. Sono problemi molto seri, pesanti e sentiti.
  Per l'assistenza domiciliare c’è lo stesso problema: adesso alle ASL conviene andare in regime di convenzione. Per esempio, la Puglia è diventata la prima regione in Italia per assistere i malati di cancro. È una notizia ufficiale dell'ANT, non sono io a dirlo.
  Questa è una questione per noi molto negativa. È vero che si assistono quei pazienti, ma alla fine il medico si trova con mille euro netti in tasca al mese, se è fortunato, perché deve pagare la partita IVA e il commercialista. Non gli resta nulla. Si tratta di medici in realtà sottopagati, che svolgono un lavoro assolutamente meritorio; per carità, non sto mettendo in discussione i problemi di quest'associazione, che è un'associazione seria, ma è comunque un problema di etica.
  Alle regioni conviene dare due soldi all'associazione, togliersi la patata bollente e risolvere così il problema. In questo modo non c’è personale, non ci sono scioperi, né proteste e nemmeno diritti. Questo medico, appena laureato, se vuole lavorare, deve vivere in realtà con meno di mille euro netti al mese. Secondo me, addirittura, qualcosa in meno, tra commercialista e partita IVA, gli restano 800 euro in tasca.
  Sono tutte partite IVA. Non ci prendiamo in giro: questo è un sistema cancerogeno creato da un sistema di regioni che non sempre hanno adeguate professionalità, come avvenuto per la storia dei dispositivi medici. Io ho il sacchettino sulla pancia – scusate, ma vi sto portando una testimonianza personale – ventiquattro ore su ventiquattro, se ho la febbre o se sto bene. È possibile che il mio sacchettino – scusate il linguaggio – delle feci o delle urine debba essere messo solo al minor prezzo ?
  Il sacchetto, come il catetere, è un corpo estraneo che entra nell'organismo. Chi tenta di risparmiare un centesimo sull'acquisto di un catetere è una persona che non ha competenza. Al paraplegico o al bambino che si sottopone a cateterismo intermittente, nei momenti in cui ha la cistite – e chi è paraplegico o ha problemi di cateterismo già di per sé ha tali problemi – l'ASL deve pagare gli antibiotici e sette giorni di malattia, perché tali soggetti hanno la febbre a 39.
  Con sette giorni di malattia, se facciamo una media di 120-150 euro al giorno, che cosa ha risparmiato quest'ASL su un centesimo di euro di cateteri o sulle sacche per la stomia, che, peraltro, sono personali ?Pag. 26
  Invito chiunque ad attaccarsi un cerotto al braccio e a portarlo finché muore: vedrete sotto la pelle com’è. Fuori ci sono 33 gradi, ma nella mia pancia io ho 45 gradi e si scioglie tutto. È un problema vero.
  Se io ho una diarrea, ho seri problemi. Io ho fatto un viaggio Bari-Verona in ambulanza con questa situazione e me ne vergognavo. Ho perso trenta chili di peso quel pomeriggio. Li ho persi tutti quanti in un ATR, uno di quelli a elica, quelli piccolini. Per la puzza mi schifavo. Questo per dirvi quale violenza debbo subire.
  Avete voluto la devolution ? Prima di volerla bisognava attrezzare queste persone a gestire il territorio. Non è possibile avere persone che stanno al loro posto solo perché sono di un partito o di un altro. Questo è un problema serio. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola al professor Maciocco.

  GAVINO MACIOCCO, Fondatore dell'Osservatorio italiano salute globale e coordinatore del sito web salute internazionale.info. Sulla questione del volontariato noi abbiamo svolto presso il Dipartimento di sanità pubblica, cinque anni fa, una ricerca su pazienti non autosufficienti di Firenze – si trattava di un grosso campione di 600 persone assistite a domicilio – per capire quale fosse e su chi ricadesse il peso assistenziale.
  Abbiamo scoperto un dato, ossia che il peso assistenziale ricade per il 96 per cento sulla famiglia e che la famiglia viene aiutata in larga parte dalle figure che oggi noi conosciamo come badanti per circa il 25 per cento. L'altro 4 per cento è rappresentato per il 3 per cento dai servizi pubblici e per l'1 per cento dal volontariato. Il ruolo del volontariato è, dunque, minimo, almeno nel campo di pazienti non autosufficienti per malattie croniche di diverso tipo, tra cui gli esiti di ictus e via elencando, e quell'1 per cento era rappresentato soprattutto dai trasporti. Il livello assistenziale, nel campo della non autosufficienza, delle associazioni di volontariato, almeno a Firenze, era praticamente inesistente.
  Probabilmente nel campo dell'oncologia la situazione potrà essere diversa, ma io sono convinto che l'intervento del volontariato non possa assolutamente svolgere una funzione di supplenza nei confronti del servizio pubblico, mentre lo può avere in altri settori importantissimi: penso ai gruppi di auto-aiuto e a tutte le attività di promozione della salute in senso collettivo.
  A Empoli noi abbiamo un'esperienza straordinaria con riferimento all'attività fisica adattata, grazie alla quale gruppi di anziani si ritrovano insieme per fare attività fisica, che è stata il frutto di una larga partecipazione popolare: qualcuno ha messo a disposizione la palestra, qualcun altro i locali, e tutto ciò ha generato una forte spinta alla prevenzione. Credo pertanto che questo sia un altro elemento degno di attenzione.
  Io mi sono riconosciuto in diverse considerazioni svolte oggi. Il collega che parlava della crescita e della decrescita mi trovava d'accordo soprattutto nella questione, su cui non mi sono soffermato, ma che è centrale, concernente l'appropriatezza e il contenimento dei consumi. Ormai ci sono movimenti, come Slow medicine, per esempio, che puntano a consumare di meno e a consumare meglio.
  Questo è uno degli aspetti veramente centrali della sostenibilità del sistema sanitario. Noi possiamo tranquillamente, come dice l'OMS, arrivare a risparmiare fino al 30 per cento dei consumi facendo scelte accurate e appropriate che vanno nella direzione della tutela della salute delle persone.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Maciocco. Dottor Aillon, vuole aggiungere qualcosa rispetto alle domande che sono state poste ?

  JEAN LOUIS AILLON, Rappresentante del Movimento per la decrescita felice. Condivido il fatto che il volontariato non debba andare a sostituire la professionalità dei medici, ma penso che possa avere un ruolo attivo a livello culturale nella prevenzione e nella promozione della salute. C’è un ruolo che esso può avere Pag. 27anche nel campo delle medicine alternative e complementari, poiché dal punto di vista della tradizione c’è una sinergia molto forte.
  È stata citata Slow medicine, ma molte sono le realtà che si occupano di medicina in maniera alternativa. C’è Slow medicine, con cui collaboriamo, e ci sono l'Associazione medici per l'ambiente, il People Health Movement, il Centro studi di ricerca e salute internazionale di Bologna, Medicina Democratica, ma anche Slow food e associazioni che si occupano di tematiche che ricadono nell'ottica della decrescita.
  Io penso sia fondamentale coniugare queste dinamiche associative ai cittadini e ripartire dal basso, dalle comunità, per ricreare un paradigma culturale alternativo senza il quale fare prevenzione è come remare contro i mulini a vento della società. Vi ringrazio molto per questa audizione.

  PRESIDENTE. Anche a nome del Presidente Boccia della Commissione bilancio ringrazio i commissari che sino a questo momento sono riusciti a essere presenti e, a maggior ragione, i nostri ospiti, perché hanno fatto un sacrificio straordinario e sono giunti all'audizione nonostante i termini di convocazione davvero ristretti, di cui ci scusiamo ma che sono stati legati all'attività del Parlamento in questo periodo, che è stata convulsa. Li ringrazio anche per l'interesse delle questioni che ci hanno sottoposto.
  Vorrei sottolineare a tutti i nostri ospiti che, qualora ritenessero di voler aggiungere ulteriore documentazione a quella che ci hanno già inoltrato, che potrebbe essere poi messa a disposizione di tutti i commissari delle due Commissioni della Camera che oggi non hanno fisicamente avuto la possibilità di essere presenti, saremmo loro molto grati. Tale documentazione ci aiuterà sicuramente a far circolare le informazioni da cui noi dovremo poi trarre il documento finale con il quale le due Commissioni concluderanno l'indagine conoscitiva sulla sostenibilità del welfare sanitario.Grazie di cuore per la vostra presenza. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.20.