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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

V Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 26 giugno 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLE COMUNICAZIONI DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO «VERSO UN'UNIONE ECONOMICA E MONETARIA AUTENTICA E APPROFONDITA – CREAZIONE DI UNO STRUMENTO DI CONVERGENZA E DI COMPETITIVITÀ» (COM(2013)165 FINAL) E «VERSO UN'UNIONE ECONOMICA E MONETARIA AUTENTICA E APPROFONDITA – COORDINAMENTO EX ANTE DELLE GRANDI RIFORME DI POLITICA ECONOMICA PREVISTE» (COM(2013)166 FINAL)

Audizione del Viceministro dell'economia e delle finanze, Stefano Fassina.
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Fassina Stefano (PD) , Viceministro dell'economia e delle finanze ... 3 
Boccia Francesco , Presidente ... 6 
Castelli Laura (M5S)  ... 6 
Palese Rocco (PdL)  ... 7 
Rughetti Angelo (PD)  ... 9 
Fanucci Edoardo (PD)  ... 9 
Marchi Maino (PD)  ... 10 
Tabacci Bruno (Misto-CD)  ... 12 
Parrini Dario (PD)  ... 13 
Melilla Gianni (SEL)  ... 14 
Bobba Luigi (PD)  ... 15 
Galgano Adriana (SCpI)  ... 15 
D'Incà Federico (M5S)  ... 15 
Boccia Francesco , Presidente ... 16 
Fassina Stefano (PD) , Viceministro dell'economia e delle finanze ... 16 
Boccia Francesco , Presidente ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Audizione del Viceministro dell'economia e delle finanze, Stefano Fassina.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame congiunto delle Comunicazioni della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio «Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita – Creazione di uno strumento di convergenza e di competitività» (COM(2013)165 final) e «Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita – Coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica previste» (COM(2013)166 final), l'audizione del Viceministro dell'economia e delle finanze, Stefano Fassina.
  Do la parola al Viceministro Fassina, ringraziandolo per la partecipazione alla seduta odierna.

  STEFANO FASSINA, Viceministro dell'economia e delle finanze. Signor Presidente, vorrei fare qualche riflessione per provare a contestualizzare l'oggetto delle due comunicazioni di cui discutiamo oggi. Lascerò poi un documento un po’ più articolato, nel quale abbiamo provato a descrivere un percorso analitico, che proverò a sintetizzare per ragioni di tempo.
  Le due comunicazioni della Commissione hanno a oggetto due aspetti particolarmente importanti per il percorso di integrazione dell'Unione europea. Per uscire dalla crisi così profonda nella quale siamo ancora immersi è necessario, da un lato, che ci sia una maggiore coesione tra i singoli Stati membri e, dall'altro, tornare sull'analisi e prendere atto di alcuni errori di fondo che non hanno permesso di identificare correttamente le ragioni profonde della fase recessiva particolarmente acuta e che hanno reso inefficaci, e, anzi, a volte controproducenti, le politiche di risposta alle difficoltà incontrate.
  La mia riflessione, dunque, rispetto a quella che oggi prevale all'interno di tante istituzioni europee e anche nel dibattito che si svolge in Italia, contiene alcuni elementi che vogliono offrire una lettura almeno in parte diversa e più in sintonia rispetto a quello che comincia a essere il consenso tra tanti addetti ai lavori.
  L'analisi che ha goduto di maggior credito in Europa si è a lungo concentrata quasi esclusivamente sui disavanzi pubblici e sull'esplosione dei debiti pubblici. Eppure, se osserviamo con attenzione l'andamento del debito pubblico, è davvero difficile individuare in questa variabile sia l'elemento scatenante della crisi sia la situazione di attuale difficoltà in cui si trovano alcuni Paesi, in particolare quelli dell'area mediterranea.
  La posizione della zona euro all'inizio della crisi si presentava, infatti, tutt'altro che compromessa a livello aggregato, anche per singoli Paesi. Quei Paesi che sono stati ritenuti, in questi ultimissimi anni, deboli sul piano della finanza pubblica in Pag. 4realtà avevano debiti pubblici inferiori alla media europea. Mi riferisco, in particolare, a Irlanda, Spagna e Portogallo.
  Quindi, più che la situazione della finanza pubblica, ad accomunare i Paesi che si sono trovati maggiormente in difficoltà dopo l'esplosione della crisi è stato l'elevato disavanzo e debito del settore privato, che era ben maggiore di quello pubblico, ma anche privo degli strumenti di controllo che la finanza pubblica aveva a livello europeo e nazionale.
  Così, dopo aver eretto alti e robusti firewall contro gli eccessi del settore pubblico, l'Europa si è trovata impreparata davanti a un incendio che è scoppiato, invece, nel settore privato e che si è propagato senza incontrare ostacoli e, soprattutto, senza risposte di policy adeguate.
  La successiva esplosione di debiti pubblici non è stata la causa del default privato, ma un suo effetto. Sui bilanci degli Stati, oltre ai sussidi erogati a sostegno dei lavoratori e delle imprese in difficoltà, si sono poi scaricate anche le ingenti spese per il salvataggio del sistema bancario, con punte impressionanti in alcuni Paesi, come l'Irlanda, la Grecia e, da ultimo, Cipro.
  Cosa è successo ? Cosa ha determinato la situazione che è arrivata a essere tanto esplicita nel 2008 ? Cosa è accaduto nel primo decennio di vita dell'euro ?
  Il punto di analisi, che è stato troppo poco preso in considerazione e che, invece, dovremmo maggiormente considerare per compiere le scelte corrette, è che la moneta unica parte tra Paesi che hanno divergenti trend di competitività, come risulta dagli squilibri delle bilance commerciali. Tali squilibri sono stati accomodati, nel corso degli anni, da quella che possiamo definire un'unione di trasferimenti tra soggetti privati, in cui le banche dei Paesi con attivi nelle bilance commerciali finanziavano i compratori dei Paesi con deficit in tali bilance.
  Nel quadro della regolazione della politica monetaria, il controllo da parte della Banca centrale europea dell'aggregato definito in gergo M3 non è stato sufficiente a controllare la base monetaria, dal momento che tanti operatori privati avevano la capacità, di fatto, di immettere liquidità nel sistema e di creare, quindi, moneta.
  Questo ha portato – nel testo sono stati inseriti grafici alquanto significativi e chiari – a situazioni di esplosione del debito privato, che è passato, in alcuni Paesi, da un rapporto con il PIL di uno a uno a un rapporto di quattro a uno (è il caso, non accidentale, di situazioni come quelle dell'Irlanda, della Spagna e del Portogallo), con un sostegno attraverso il debito delle famiglie alla domanda interna. Tale sostegno poi retroagiva, grazie anche a mercati di prodotti e servizi poco concorrenziali, sull'inflazione, causava ulteriori perdite di competitività e, al tempo stesso, riduceva i tassi reali di interesse a cui quei soggetti si indebitavano.
  Si trattava di un meccanismo apparentemente perfetto, finché funzionava, in cui il debitore aveva condizioni favorevoli di credito, acquistava e alimentava così la crescita delle economie centrali della zona euro, le quali, a loro volta, con gli attivi di bilancia commerciale, finanziavano i Paesi che si indebitavano. In sostanza, all'interno dell'Unione monetaria si è verificato ciò che a livello globale è avvenuto nel rapporto tra la Cina e gli Stati Uniti: i Paesi core hanno avuto un comportamento simile alla Cina e i Paesi periferici dell'Europa hanno rappresentato il consumatore che importava a debito.
  È evidente che, con la crisi dei mercati finanziari e il collasso di Lehman Brothers, il sistema si inceppa, in quanto i canali di finanziamento privato attraverso il sistema bancario e altre istituzioni finanziarie non funzionano più. Iniziano, dunque, problemi di liquidità, problemi seri sull'economia reale, nonché le conseguenze della recessione sui crediti delle banche. Inizia, in sostanza, il circuito che abbiamo avuto sotto gli occhi in questi anni e che porta a un aumento molto significativo dei debiti pubblici.
  Il punto è che quest'analisi, che ho succintamente richiamato, ma che trovate descritta con dati e con alcuni passaggi un po’ più chiari di quanto abbia potuto Pag. 5raccontarvi, non è stata presente nella definizione dell'agenda di policy. Essa, invece, ha accentrato tutti gli interventi sulla finanza pubblica e sulle riforme strutturali, con una scelta di politica economica che chiamo, credo correttamente, mercantilista, puntando a far uscire tutti i Paesi dell'Eurozona dalla recessione attraverso esportazioni e meccanismi di cosiddetta svalutazione interna, realizzando cioè un recupero di competitività attraverso la riduzione principalmente del costo del lavoro, sia direttamente sia attraverso gli aggiustamenti sulle politiche di bilancio.
  Si tratta di una via alla competitività che ovviamente non poteva funzionare. Funziona, infatti, in presenza di una piccola economia aperta con intorno un mondo che cresce, ma non per l'Eurozona, perché tutti i Paesi della moneta unica messi insieme costituiscono una grande economia chiusa, che rimane, nonostante tutto, una delle più grandi e delle più ricche del pianeta. Essa fatica, però, a trovare compratori nel resto del mondo che abbiano la dimensione sufficiente a fare delle esportazioni l'unico, o il principale, canale driver della crescita.
  Del resto, i compratori disponibili nel resto del mondo scarseggiano sempre di più. A parte le economie emergenti, che continuano a insistere su un modello anch'esso trainato dalle esportazioni, la politica monetaria del Giappone, in particolare nell'ultimo anno, è stata fortemente aggressiva, portando a una svalutazione dello yen nell'ordine del 25-30 per cento rispetto alla nostra moneta.
  Resistono come compratore di ultima istanza gli Stati Uniti, che hanno portato avanti politiche, in particolare monetarie, espansive. Sono, però, l'unica area che svolge una funzione di assorbimento di quelle che dovrebbero essere le esportazioni del resto del mondo. Pertanto, quella che tutti insieme stiamo percorrendo nell'Eurozona è una linea che alla fine porta come risultato ultimo un deficit di domanda interna europea, che non può essere compensato da un'addizionale domanda estera e che, di fatto, blocca la situazione in termini di possibilità di crescita.
  È fondamentale, allora, che la riflessione sulle comunicazioni della Commissione e sugli strumenti che in questa sede vengono proposti sia collocata in una strategia adeguata di politica economica europea, che va corretta se vogliamo cominciare a sperare di vedere la luce in fondo al tunnel. Diversamente, la carenza di domanda interna nell'Eurozona renderà sempre più difficile rompere quella spirale, quel circolo vizioso che ci sta soffocando, non soltanto in Italia ma, in generale, in tutta l'Eurozona.
  Ricordo un dato che credo sia noto a tutti in questa Commissione. Dal 2008 al 2013, secondo le stime prevalenti, questa linea di svalutazione interna, che genera poi contrazione delle economie, non solo ha prodotto disoccupazione, ma ha fatto crescere in modo rilevante i debiti pubblici.
  In media il debito pubblico nell'Eurozona passa dal 65 al 95 per cento del PIL e i miglioramenti che vengono a prodursi sulle bilance commerciali, i cui squilibri – come ho ricordato prima – sono alla base dei problemi che abbiamo di fronte, sono dovuti al calo della domanda interna, non a una significativa crescita delle esportazioni. Queste, invece, in quanto esportazioni prevalentemente intra Eurozona, rimangono molto deboli.
  Bisogna spezzare questo circolo vizioso anche ai fini della finanza pubblica e della riduzione dei debiti pubblici, e ciò deve avvenire attraverso le riforme di cui ieri ha parlato il Presidente Letta nel suo intervento alla Camera. Prima fra tutte, per urgenza, vi è la banking union, riforma necessaria per riuscire a separare i rischi di debito sovrano dai rischi bancari e ridurre, quindi, il costo del denaro per imprese e famiglie.
  È necessaria, in seconda battuta, una revisione della contabilità che consenta di escludere almeno una parte degli investimenti produttivi dal calcolo del deficit. È necessario anche un più forte coordinamento delle politiche economiche nazionali. Pag. 6D'altronde, è evidente che, se aree che utilizzano la stessa moneta compiono tutte la scelta della svalutazione interna, essendo la competitività una variabile relativa, il gap di competitività non migliora e non veniamo fuori dalla situazione di stagnazione.
  In questo quadro, con questa valutazione, con quest'analisi, con questa indicazione di policy, tutti temi che saranno in parte oggetto anche del Consiglio europeo di domani e dopodomani, al quale l'Italia parteciperà con la determinazione di raggiungere alcune correzioni di rotta, per quanto parziali e limitate, la valutazione delle proposte contenute nelle due comunicazioni della Commissione, per quanto mi riguarda, sottolinea alcuni elementi di criticità, in particolare i cosiddetti accordi contrattuali.
  Le criticità che vi sottopongo sono sostanzialmente le stesse indicate nella risoluzione del Parlamento europeo del 23 maggio scorso. In primo luogo, a partire dalla denominazione, sottolineo un'inappropriatezza e un'inopportunità, perché l'espressione «accordi contrattuali» richiama quasi una relazione bilaterale tra soggetti privati e non il metodo comunitario che riteniamo debba continuare a essere alla base delle misure e degli strumenti di politica economica.
  Lo strumento degli accordi contrattuali presenta contenuti che rischiano di essere scarsamente trasparenti nella definizione delle condizioni alle quali viene fornito il sostegno al singolo Paese. Vi è, inoltre, il rischio di non garantire parità di trattamento proprio perché i singoli Paesi che si rapportano con la Commissione hanno evidentemente un potere negoziale molto diverso.
  Infine, richiamo l'analisi che ho provato a sintetizzare. Lo strumento degli accordi bilaterali rischia, infatti, di alimentare la lettura infondata che ho provato a confutare prima, ossia il fatto che i problemi dell'Eurozona derivino da un gruppo di Paesi peccatori rispetto a un gruppo di Paesi santi e che il problema sia solo quello di far redimere i Paesi peccatori. I nostri problemi derivano, invece, dal fatto che c’è stato, seppur con grandi differenze, un meccanismo che ha funzionato in un modo che non può essere sostenibile nel lungo periodo. Certamente le riforme strutturali che si intendono sostenere sono importanti e bisogna portarle avanti, ma devono essere portate avanti all'interno di un quadro corretto di politica economica.
  L'altra riflessione di carattere generale, che riguarda anche la comunicazione sul coordinamento delle riforme strutturali rilevanti, è che è necessario un maggior coinvolgimento del Parlamento europeo, dei Parlamenti nazionali e delle parti sociali proprio perché siamo di fronte a interventi che richiedono, ai fini della loro efficacia, una forte condivisione da parte di chi deve implementare le misure di riforma. Il dato della legittimazione democratica, dunque, oltre ad avere un valore in sé, è anche condizione di appropriatezza e di efficace applicazione delle riforme.
  Concludo ricordando le osservazioni formulate dal Parlamento europeo, con l'auspicio che sia condivisa la necessità di andare avanti nel processo di integrazione e di correggere una linea che rischia di diventare ogni giorno meno sostenibile sia sul piano economico sia sul piano democratico. Auspico altresì che sia condivisa la necessità di coinvolgere – sin dalla fase della costruzione della proposta di policy oggetto dell'intervento di sostegno finanziario e del coordinamento ex ante, auspicabilmente nell'ambito del semestre europeo – la rappresentanza politica e la rappresentanza sociale anche attraverso un dialogo diretto tra tali rappresentanze e la Commissione europea, che ha un ruolo così rilevante.

  PRESIDENTE. Grazie, Viceministro Fassina.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA CASTELLI. Presidente, desidero porre una serie di domande. Questa indagine conoscitiva dovrebbe servire, Pag. 7come del resto è scritto, per andare verso un'Unione economica monetaria. Considerato che non dobbiamo andare solo verso un'Unione monetaria, che è quanto principalmente i Paesi membri – e, quindi, anche noi – hanno fatto, mi chiedo perché non si parli mai, anzi si litighi tra Paesi europei quando si avanzano proposte come il bilancio condiviso tra Stati, operazione necessaria per costituire un'unione economica che converga su competitività e convergenza di politiche economiche. Mi chiedo, e ci chiediamo, quando se ne comincerà a parlare.
  Ricordo che, circa sei mesi fa, si litigò in Europa perché il bilancio condiviso tra Stati doveva passare da 1 a 1,01. Ci fu una lite mostruosa, durata alcune settimane, perché tale questione era inammissibile. Credo che questo sia uno dei dati su cui riflettere e ritengo anche che sia una condicio sine qua non per creare un'Unione economica, se così vogliamo chiamarla.
  Trovo un po’ riduttiva la spiegazione storica. Non possiamo limitarci a parlare di importazioni ed esportazioni come se queste fossero davvero le problematiche che hanno portato a quelle attuali. Non si parla, invece, di inflazione monetaria, di cambi, di tassi di cambio, elementi che, in realtà, hanno rappresentato le motivazioni principali. Non parlo di sovranità monetaria, ci mancherebbe.
  Quanto alla riduzione del debito, credo che le manovre che sono state raccontate anche ieri dal Presidente Letta non siano le uniche possibili per mettere in campo una riduzione del debito pubblico, più che altro perché non si guarda a quello che abbiamo già sulle spalle.
  Queste manovre, quelle che lei ha citato adesso, sicuramente non servono a mettere a posto il debito pubblico già esistente. Su questo ci sarebbe una grossa riflessione da fare e sarebbe carino che il Governo studiasse insieme a noi un modo per tornare ad avere un abbattimento del debito pubblico preesistente. Le chiedo, dunque, se anche su questo versante ci sono proposte.
  Sul coinvolgimento delle parti sociali siamo assolutamente d'accordo, ma ci chiediamo perché, nel corso della storia dell'Unione europea, spesso non siano state sentite e coinvolte, anche quando c'erano già sviluppi su alcune questioni che poi sono effettivamente diventate le problematiche che hanno portato alla condizione attuale.
  Il nostro invito, ringraziandola della sua relazione, è che questo Governo abbia voglia di sentire alcune problematiche e alcune questioni che sono all'ordine del giorno e che forse riguardano quelle parti sociali che vengono sempre un po’ messe da parte, magari perché non sono molto comode.
  Ci auguriamo che questi argomenti si possano affrontare con una tranquillità tale per cui si possa anche dire che non si è d'accordo, purché, però, se ne parli.

  ROCCO PALESE. Presidente, l'illustrazione del Viceministro Fassina sulle cause generali legate alla crisi internazionale e all'Europa è piuttosto completa. Intervengo solo sulla nostra situazione interna, tenendo a riferimento le preziose informazioni confermate dal rappresentante del Governo.
  Come è risaputo, abbiamo un fortissimo carico fiscale che deprime i consumi a non finire. In riferimento all'azione del Governo, soprattutto rispetto ai tempi, tutte le attuazioni della spending review realizzate dal Governo Monti, indipendentemente dal fatto che si fosse d'accordo o meno, da quello che vedo rimangono sospese. Anzi, si parla di ulteriore proroga, per esempio a proposito del personale delle pubbliche amministrazioni e della situazione delle province.
  Al di là dell'impegno, da me condiviso, annunciato dal Presidente del Consiglio dei ministri durante le dichiarazioni programmatiche, secondo cui si sarebbe proceduto subito, non abbiamo visto sostenere, pur essendo quasi tutti d'accordo, un disegno di legge costituzionale che, a stralcio di tutto il resto, preveda la soppressione Pag. 8delle province per poi varare la legge ordinaria per la messa in liquidazione, che richiederà un periodo lunghissimo.
  Immagino, inoltre, che al Governo non possa sfuggire che negli anni, a causa di una mai avvenuta e completa riforma sul federalismo fiscale e sugli obiettivi che esso si proponeva, i risultati sono stati l'imposizione centrale, l'imposizione locale e l'imposizione regionale. Tuttavia la tasca è sempre una e si è partiti assolutamente dalle stelle, con funzioni non trasferite e duplicazioni o triplicazioni di costi. Si tratta di questioni che sono patrimonio di tutti.
  Ebbene, non sarebbe il caso di avere un punto fermo ? Noi parliamo di possibilità di riduzione di spese del carico fiscale notevolissime. Auspico che il Governo intervenga con immediatezza su questi aggregati. Le modifiche, non solo condivise ma addirittura sollecitate, del Titolo V rispetto a una strutturazione meglio definita delle funzioni e delle competenze tra i comuni, lo Stato centrale e le regioni vanno attuate, perché questo quadro comprende sicuramente la possibilità di avere una diminuzione del carico fiscale.
  Faccio l'esempio classico della proposta, da me non condivisa, del Governo Monti in riferimento all'IMU, con diminuzione e compensazione di invarianza finanziaria del trasferimento da parte dello Stato ai comuni. Come principio possiamo essere anche d'accordo. Lo Stato centrale eroga ai comuni un miliardo in meno di trasferimento ordinario, che viene a piè pari sostituito da una tassa locale. Ciò avrebbe potuto essere condiviso, però, a una condizione, ossia che ci fosse una pari diminuzione dello Stato centrale sulla fiscalità generale, cosa che non è avvenuta.
  Pongo all'attenzione del rappresentante del Governo tutto ciò e svolgo solo un inciso, visto che parliamo dell'integrazione europea. Si tratta di situazioni tutte nostre e interne, in cui l'Europa c'entra poco. Mi riferisco all'utilizzo dei fondi strutturali, su cui abbiamo un grandissimo ritardo per responsabilità nostre e di tutta la filiera istituzionale, per i quali rischiamo di perdere circa 6 miliardi di euro su 30 miliardi che ancora non hanno impegni giuridicamente vincolanti entro la fine dell'anno.
  Al di là dei provvedimenti di emergenza, colgo l'occasione, vista l'autorevolezza della presenza del Viceministro, di ribadire anche in quest'occasione quanto è stato riferito al Ministro Trigilia.
  Immagino che le regioni dell'Obiettivo 1 potessero essere convocate ad horas, che si potesse fare un monitoraggio immediato e vedere ciò che si sarebbe potuto salvare di quei 6 miliardi di euro. Tutto ciò per un motivo molto semplice: queste regioni, per quanto inefficienti, avranno sicuramente emanato bandi per infrastrutture, per reti idriche e fognanti, per depuratori e per qualsiasi altro investimento. Magari avranno potuto finanziare solo dieci infrastrutture, ma comunque avranno stilato una graduatoria.
  Segnalo poi un altro problema, che richiede un po’ più di applicazione perché è da esplorare. È mai possibile che abbiamo un numero illimitato di edifici scolastici pubblici già chiusi ? Non mi riferisco a tutti, ma agli edifici scolastici chiusi con ordinanza del sindaco che, per salvaguardare l'incolumità pubblica, sono stati dichiarati inagibili.
  Potremmo accelerare le procedure rispetto ai bandi e utilizzare anche in questo caso la somma urgenza prevista dalle norme, dalle leggi e dagli stessi sindaci, d'intesa con le regioni e con il Ministero, per poter cercare di salvare parte di quei 6 miliardi di euro ed effettuare un impegno giuridicamente vincolante entro la fine dell'anno ? Noi poniamo questi problemi.
  Infine, sulle modalità da seguire per realizzare una maggiore qualità di spesa e soprattutto di procedure nel periodo 2014-2020, penso che, se i risultati conseguiti con il commissariamento parziale delle regioni per il problema della sanità sono mediamente positivi, forse non sarebbe male se il Governo pensasse anche per i fondi comunitari a un'azione di supporto, di aiuto, così come è avvenuto per le regioni con il piano di rientro, in cui poi alcuni risultati si sono avuti.
  Questo, indipendentemente dai Governi che ci sono stati e dal loro colore e Pag. 9indipendentemente dal colore dei Governi regionali, è un problema atavico che si pone, ma che abbiamo anche la possibilità, forse, di risolvere, apportando qualche correttivo.
  Chiedo scusa per la lunghezza.

  ANGELO RUGHETTI. Signor Presidente, ringrazio il Viceministro Fassina per la relazione, sulla quale mi trovo largamente d'accordo, soprattutto quando analizza la relazione tra la crisi dei capitali privati e quella dei debiti pubblici.
  Per restare al tema dell'audizione, penso che l'Unione monetaria sia stata una scelta giusta e coraggiosa, ma che, passato un po’ di tempo, bisogna forse rivedere le modalità con cui questa si è implementata e il modo in cui vanno gestiti gli effetti che questa Unione ha creato nei singoli Stati. Da un'analisi automatica e semplicistica, per i tempi che abbiamo a disposizione, si vede con chiarezza che con l'introduzione dell'euro si sono verificati alcuni fatti concatenati. Il primo fu l'aumento dei prezzi, che non ebbe in quel periodo alcuna forma né di accompagnamento, né di monitoraggio, né di controllo da parte dello Stato. Tale aumento dei prezzi comportò immediatamente una diminuzione del potere di acquisto dei salari e dei redditi.
  L'effetto ulteriore di questo fu che, da un lato, si risparmiò di meno, realizzando meno depositi, perché, diminuendo il potere d'acquisto, si consumava anche quanto prima si metteva da parte e, dall'altro, ci fu il consumo di minor prodotto, quindi un minor consumo interno. Non è soltanto un fatto statistico, lo diventa negli anni, ma, nell'immediato, pian piano, si genera una minore produzione di beni e servizi, che, a sua volta, comporta una minore capacità, anzi necessità, delle aziende di produrre. Questo, a sua volta, comporta una minore richiesta di materie prime – lo ripeto – a invarianza di prezzi e di fatturati. In quel periodo ci sono stati grandi rendite, grandi categorie economiche che hanno aumentato gli utili, ma alla fine abbiamo avuto meno consumi privati e meno risparmi.
  A fianco a questo problema sarebbe stato necessario prevedere politiche pubbliche che integrassero tale diminuzione. Purtroppo, in questi anni abbiamo assistito all'esatto opposto perché il raggiungimento degli obiettivi che ci siamo fissati a livello europeo hanno costretto gli Stati, soprattutto quelli che avevano i conti pubblici meno in ordine, a ridurre gli spazi.
  Quindi, se si va a vedere l'andamento in questi anni, si nota che la spesa pubblica per investimenti è scesa di molto, mentre sarebbe stato necessario l'esatto contrario. Soprattutto sarebbe stato necessario l'esatto contrario in Stati come l'Italia, dove il rapporto tra prodotto interno lordo e spesa pubblica è direttamente connesso. Noi abbiamo alcune regioni in cui per ogni euro di PIL ci sono 55 centesimi di investimento pubblico.
  Leggendo ciò che viene proposto dalla Commissione, mi sembra che si tratti un po’ di acqua fresca, come è acqua fresca l'investimento di 6 miliardi di euro per l'occupazione giovanile. Non abbiamo bisogno di questo, secondo me, in questo momento. In questo momento bisognerebbe essere onesti intellettualmente e vedere dove ci ha portato una scelta strategica giusta ed eventualmente – per me necessariamente – correggere il tiro e compiere due operazioni.
  La prima è fornire un sostegno ai consumi interni, che è fondamentale per riavviare al contrario il ciclo che si è fermato. La seconda è fare investimenti che consentano alle imprese di promuovere innovazione e ricerca per abbassare il valore dei prezzi dei prodotti senza incidere solo sui salari, altrimenti il percorso si riavvia al contrario.
  Mi sembra, pertanto, che vada fatto uno sforzo in più verso questa direzione. Tra l'altro, se scegliamo di creare un ulteriore fondo, sappiamo che sicuramente ci metteremo qualcosa dentro ma, vista la capacità di spesa che abbiamo dei fondi comunitari, non sappiamo quanto ci tornerà indietro.

  EDOARDO FANUCCI. Signor Presidente, anch'io mi associo ai ringraziamenti Pag. 10al Viceministro Fassina per la presenza, il coinvolgimento e l'approfondita relazione e mi limito a due domande, piuttosto che a riflessioni.
  La prima è riferita al debito nazionale e a quello sovranazionale. Ritengo che in questo momento, come sosteneva anche Angelo Rughetti, tutta l'Europa stia vivendo una medesima fase. Siamo tutti collegati l'uno all'altro.
  La questione riguarda una politica di crescita e di sviluppo sostenibile che tenga conto anche di un nuovo perimetro sovranazionale. La questione degli eurobond, che da questa breve lettura non mi sembra sia tra gli argomenti in discussione in Europa, immagino per una contrarietà della Germania piuttosto che dell'Italia, potrebbe essere, a mio avviso, uno strumento che ci consentirebbe di crescere nella giusta direzione. Tra l'altro, la politica keynesiana di sviluppo delle infrastrutture, con riferimento chiaramente a infrastrutture necessarie e condivise, potrebbe farci vedere quella luce in fondo al tunnel che noi tutti auspichiamo.
  Vorrei, quindi, conoscere la sua opinione e quella del Governo in relazione gli eurobond.
  L'altra questione è sempre legata al debito pubblico, sia italiano sia sovranazionale, ed è riferita ai tassi di interesse. Le dichiarazioni rese da Bernanke la scorsa settimana hanno già portato alcuni riflessi sui mercati e alcune conseguenze dirette anche sul costo del nostro debito pubblico. In previsione di minori immissioni di liquidità sui mercati, le aspettative sono già state scontate dalla Borsa e dallo spread e le conseguenze, anche peggiori rispetto a quelle che già scontiamo, non tarderanno ad arrivare.
  Volevo sapere, anche in virtù della tensione in Grecia, che purtroppo ancora esiste e persiste, come cercheremo di affrontare in Europa questa fase difficile ? Immagino che ci dovranno essere alcune riconversioni e nuove politiche di sostenibilità di questo debito per tenere basso lo spread e fare stare in piedi tutte le politiche e le manovre.
  In relazione a questo, l'ultimissimo aspetto riguarda quanto incide e quanto inciderà il cosiddetto risparmio da spread rispetto a quanto ipotizzato dal Governo Monti. Il precedente Governo ha affrontato una situazione diversa rispetto all'attuale, in cui lo spread era quasi a 500 punti, anzi aveva raggiunto questo livello.
  Quando sconteremo questo spread e, se lo sconteremo, come gestiremo le risorse che erano in previsione di pagamento di debiti riferiti a quei tassi di interesse che oggi non ci sono più ? Oppure, se questo non è stato, è perché in previsione c’è comunque una logica di nuovo aumento di tassi d'interesse rispetto a quello che dicevo prima ?

  MAINO MARCHI. Signor Presidente, ringrazio il Viceministro per la relazione e per gli elementi di novità che hanno caratterizzato l'analisi condotta in questa sede in merito alla crisi che abbiamo attraversato negli ultimi anni. Si tratta di un'innovazione che riguarda il dibattito istituzionale e anche le valutazioni svolte da parte di chi rappresenta il Ministero dell'economia e delle finanze.
  Credo che queste valutazioni e queste analisi rafforzino le valutazioni e le posizioni che ha espresso il Governo italiano nel senso dell'esigenza di apportare modifiche alle politiche europee; esigenza che abbiamo espresso anche nel dibattito di ieri alla Camera con le risoluzioni approvate. Credo che su questo versante dalla relazione venga certamente un contributo rilevante.
  Vorrei soffermarmi innanzitutto sullo strumento sul quale dovremo esprimere le valutazioni di questa Commissione, sul quale siamo chiamati dall'Unione europea a esprimerci e, in particolare, su quello che mi sembra abbia più elementi di criticità, ossia lo strumento di convergenza e di competitività, così come ci è stato proposto. Sotto questo aspetto, le valutazioni critiche che lei ha fatto corrispondono alle criticità che avevamo individuato nella relazione in Commissione, a partire dalla questione principale, ossia quella del ricorso ad accordi contrattuali bilaterali.Pag. 11
  Tali accordi presentano una serie di problematicità, evidenziate anche dal Parlamento europeo, che abbiamo richiamato, a partire dalla non chiarezza sulla loro natura e sul loro valore giuridico, fino al fatto che, essendo strumenti negoziati di natura bilaterale e non regole valide per tutti i Paesi, potrebbero non portare all'obiettivo che si dovrebbe perseguire. Potrebbero, cioè, non garantire l'unitarietà e la coerenza delle strategie da perseguire e comportare un coordinamento che potrebbe entrare in contraddizione con le ricadute che potrebbero esserci con scelte adottate di Paese in Paese sulle politiche adottate in uno specifico Paese, ma anche sulle conseguenze che esse possono avere sugli altri.
  C’è il rischio, infatti, che le modalità e i contenuti degli accordi dipendano dalla diversa forza contrattuale dei singoli Paesi. Si tratta di elementi che lei ha sottolineato. Non mi risulta, anche se il problema è stato posto, che valutazioni di questa natura e di questa criticità siano state espresse ieri dalla Banca d'Italia. Probabilmente le ritroveremo nell'audizione di domani dei parlamentari europei.
  Credo sia opportuno anche avere un rafforzamento delle sue valutazioni su questo e sul fatto che, invece, sia più opportuno, rispetto allo strumento che ci è stato indicato, utilizzare le procedure già vigenti per il coordinamento ex ante delle strategie macroeconomiche nell'ambito del semestre europeo.
  Questo percorso, quello individuato nel semestre europeo, circoscrive contestualmente obiettivi per tutti i Paesi e, nello stesso tempo, emana le raccomandazioni e indica ai singoli Stati azioni specifiche rispetto agli obiettivi per ciascun Paese, all'interno, però, di un quadro unitario.
  Sotto questo aspetto, vorrei osservare che probabilmente abbiamo l'esigenza di rafforzare una tale posizione: abbiamo bisogno di dare, a nostra volta, più valenza e forza agli strumenti già previsti nel percorso del semestre europeo. Parlo, in modo particolare, del Programma nazionale di riforma.
  Quest'anno abbiamo approvato il DEF dicendo che, su questo punto, vale quanto abbiamo affermato l'anno scorso. Poiché, peraltro, non si trattava di grandi obiettivi, ma di obiettivi che, se raggiunti, alla fine del percorso, ci avrebbero portato ad avere un gap maggiore di quello che abbiamo adesso rispetto alla media europea, c’è bisogno, credo, di arrivare il più presto possibile a rafforzare i contenuti del Programma nazionale di riforma e, quindi, a un aggiornamento del DEF.
  Ce ne sarebbe bisogno probabilmente anche per quanto riguarda gli strumenti di stabilità, ma vedremo come arrivarci rispetto alla legge di stabilità. Mentre su quel versante un aggiornamento c’è stato, in modo particolare in riferimento all'operazione e al provvedimento sui pagamenti della pubblica amministrazione dei debiti verso le imprese, per quanto riguarda il Programma nazionale di riforma manteniamo ancora, come strumentazione, quella dell'anno precedente. Credo che su questo versante abbiamo bisogno di fare un salto di qualità.
  Aggiungo due considerazioni rispetto a tutta la discussione che stiamo facendo in questo periodo, laddove, per assumere una serie di provvedimenti di cui tutti vedono la necessità, c’è sempre, come scoglio, il problema delle coperture. I margini di manovra, soprattutto sul 2013, sono quasi del tutto esauriti e lo sapevamo benissimo quando abbiamo approvato l'aggiornamento del DEF. Lo sapevamo tutti e abbiamo scelto di utilizzare quei margini per i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione verso le imprese.
  È comprensibile che il Governo in questa fase, anche per fornire risposte a problemi veri, come, per esempio, l'aumento dell'IVA, cerchi modalità anche provvisorie. Credo che, per affrontare quei temi in modo strutturale, abbiamo bisogno di agire su due versanti: quello delle entrate e quello delle spese.
  Quello delle entrate va considerato soprattutto attraverso la possibilità di recuperare l'evasione fiscale, che è l'unico strumento che ci può permettere di utilizzare Pag. 12quelle risorse per ridurre le tasse a chi le paga, in modo particolare nella direzione del lavoro e delle imprese.
  Per l'altro aspetto, quello della spesa, occorre una spending review vera. Noi non l'abbiamo mai fatta. Il Governo Monti l'ha utilizzata, io stesso in Aula ho detto allora che rischiamo che questo termine non si potesse più utilizzare perché all'80 per cento si tratta di tagli lineari, poi vi è qualche barlume di spending review, ma ben poco. Tuttavia, credo che tale questione vada ripresa fino in fondo perché si tratta di fare vere riforme nei diversi settori, che possano permettere anche di qualificare e di ridurre le spese.
  Dico questo perché ritengo che abbiamo un'occasione a breve. Se non sbaglio, in questi giorni il Governo deve approvare il rendiconto. Tale rendiconto dovrebbe avere alcuni allegati da parte di ogni Ministero, in cui si rende, appunto, conto di quello che è successo, ossia di come si spendono le risorse di ogni Ministero in base alla legislazione, alle normative e all'organizzazione che ciascuno ha.
  Anche per fornire un contributo, come Parlamento, a un lavoro serio sulla spending review occorrerebbe che noi avessimo a disposizione, con il rendiconto e quindi con tutti gli elementi di natura finanziaria in senso stretto, anche un'analisi seria da parte dei Ministeri che possa permettere di chiedere alle Commissioni competenti per ogni settore di cominciare a fare un'analisi vera, seria, di settore. Ciò per contribuire a un lavoro su questo versante, che ritengo fondamentale, insieme a quello della lotta all'evasione fiscale e ai margini che si potranno aprire in sede europea.
  Abbiamo bisogno, su questi due versanti, di lavorare con forza. Potremo certamente ottenere margini uscendo dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo, ma abbiamo sempre un livello di debito pubblico che comporta un livello di spesa per interessi che non ci permetterà mai di arrivare, perlomeno per molto tempo, a poter fare finanza allegra. Non avremo grandi margini di manovra in ogni caso.
  Credo sia importante, dunque, svolgere un lavoro serio anche su questo versante.

  BRUNO TABACCI. Signor Presidente, sono contento di aver ascoltato oggi la relazione del Viceministro Fassina, ma mi pare che questo dibattito abbia un'impronta eccessivamente accademica.
  Io non ho i titoli per stare su questo piano, tuttavia ricordo di aver svolto alcune esercitazioni, una decina d'anni fa, sul tema dei debiti pubblici e dei debiti privati. Anch'io, con lo scopo consolatorio di tentare di dribblare la pesantezza del debito pubblico italiano, ho immaginato, come osservatore degli eccessi di banche e di finanza, che fosse più corretto sommare gli uni e gli altri in modo da avere una sorta di riequilibrio nel confronto internazionale. Tant’è che, quando mettiamo insieme debiti pubblici e debiti privati, troviamo che l'Italia comincia a confrontarsi su un piano paragonabile con quello degli altri Paesi.
  In realtà, ho l'impressione che ci si sbagli in entrambi i casi. La realtà è che sia gli uni, i debiti pubblici, sia gli altri, i debiti privati, sono stati intermediati dagli stessi strumenti di finanza derivata fino a perdere il controllo assoluto della massa monetaria immessa nel sistema, che ha finito per rendere liquida l'economia reale, la quale, per definizione, dovrebbe essere solida.
  Tra l'altro – è notizia di oggi – sugli 8 miliardi di euro ipotizzati, che fanno riferimento alle possibili perdite su ristrutturazioni del debito operate in Italia nella seconda metà degli anni Novanta e successivamente nel 2012, si dice una cosa che io «nasometricamente» avevo intuito, ossia che l'Europa e gli Stati Uniti hanno immaginato di sostenere la dimensione dei consumi immettendo moneta sostanzialmente falsa. Se io stampo moneta legale, aumento la massa monetaria, ma, se immetto strumenti derivati, perdo il controllo di quello che lei ha chiamato M3 e non so più neanche che cosa ci ho messo dentro.
  Noi siamo in questa situazione, ahimè ! È evidente, quindi, che, quando lei sostiene che non si può spingere sul versante Pag. 13delle esportazioni pensando di essere gli unici al mondo che giocano questa carta, perché gli altri fanno la stessa cosa, in un mondo che tende ad aprirsi scatta il principio dei vasi comunicanti: se i vasi non sono comunicanti, l'acqua può essere a un centimetro o a un metro, ma non succede nulla, mentre, se i vasi sono comunicanti, le acque, travasandosi, tendono a trovare lo stesso livello.
  Ho l'impressione che questa nostra discussione sia partita – ieri abbiamo sentito il Vicedirettore generale della Banca d'Italia – intorno agli strumenti operativi che dovremo immettere dentro la cornice europea per rendere governabile tutto il processo. Se, però, andiamo in profondità sulla natura della crisi, come oggi giustamente il Viceministro Fassina ha tentato di fare, attribuendole una sua interpretazione, che rispetto profondamente, ho l'impressione che la dimensione assuma caratteri di incontrollabilità che mi fanno dire che dobbiamo guardare al futuro con un pessimismo intelligente, senza il quale andremo incontro a bruttissime sorprese.

  DARIO PARRINI. Presidente, ringrazio l'onorevole Fassina per la franchezza della sua analisi. Penso che fosse necessaria perché l'Europa si trova in un tornante decisivo della propria storia recente e credo che questo sia il momento delle grandi scelte, non delle scelte minimali.
  Ho particolarmente apprezzato la parte della relazione dell'onorevole Fassina dedicata al fatto che non possono essere seguite le stesse politiche in Paesi che sono in condizioni profondamente diverse quanto a rapporti con l'estero e a saldi della bilancia commerciale. Tra l'altro, vale la pena aggiungere che questa diversità di posizione sull'estero non è un fatto degli ultimi anni, ma si protrae da molto tempo e ha dato luogo, all'interno dell'Unione europea, a posizioni nette finanziarie sull'estero diversissime. Per cui abbiamo la Spagna con un debito netto del 100 per cento del PIL e la Germania con un avanzo del 30 per cento.
  Questo è un parametro che spesso viene trascurato nel dibattito, ma che è l'unico – mi correggerà, se sbaglio, l'onorevole Fassina – che, per esempio, permette al Giappone di avere un debito pubblico del 200 per cento del prodotto interno lordo e di indebitarsi all'1 per cento. Lo fa con una posizione netta finanziaria sull'estero che credo sia positiva per il 100 per cento del PIL.
  Quindi, dobbiamo passare necessariamente a politiche asimmetriche. Occorre che i Paesi che possono permetterselo facciano politiche più espansive di quelle che stanno facendo finora per aiutare i Paesi più in difficoltà a esportare di più nei Paesi che stanno meglio e a rilanciare anche la propria economia.
  Condivido le ultime parole dell'onorevole Tabacci sull'opportunità di essere abbastanza pessimisti. Ricordo che il fatto che la Germania avrebbe dovuto essere locomotiva e trainare con sé il resto del continente era una considerazione che faceva già parte del dibattito tra Helmut Schmidt e Giscard d'Estaing quarant'anni fa. Non se ne fece nulla allora e ho paura che poco riusciremo a ottenere anche questa volta. Siamo di fronte, però, alla scoperta dell'acqua calda.
  Sapevamo, meno di un quindicennio fa, quando abbiamo realizzato l'Unione monetaria, che non c'era nella storia un caso di unione monetaria funzionante senza unione politica e unione di bilancio. Sul fronte dell'unione politica e dell'unione di bilancio i passi avanti sono stati ben pochi. Molti di noi insistono a dire che occorre avere un'Unione europea con un bilancio comunitario più forte, nonché più politiche comunitarie e meno politiche intergovernative. Occorre anche una politica monetaria diversa, che faccia assomigliare maggiormente la Banca centrale europea alla Banca centrale degli Stati Uniti, anche con riferimento al suo statuto. È arrivato il momento di fare queste cose perché di tempo penso ce ne sia veramente poco.
  Concludo segnalando un rischio che personalmente pavento. Veniamo da un decennio in cui c’è stata una tensione nella dottrina, nella stampa specialistica, tra offertisti, i quali pensavano che l'unico problema fosse quello di fare le riforme Pag. 14strutturali, e domandisti, i quali pensavano che l'unico problema fosse rilanciare la domanda interna nei singoli Paesi.
  Non vorrei che si passasse da un eccesso all'altro e questo vale soprattutto per il nostro Paese. Dobbiamo, infatti, avere consapevolezza del fatto che la crisi della crescita italiana comincia ben prima della grande recessione internazionale. I nostri indicatori hanno iniziato a peggiorare all'inizio degli anni Novanta e siamo entrati nella grande recessione già in posizione di declino relativo.
  Una ripresa della domanda interna europea è, dunque, una condizione necessaria per il nostro Paese, ma non è assolutamente una condizione sufficiente. Dobbiamo mettere mano alle tare e ai problemi che caratterizzano la nostra economia proprio sul piano strutturale per poter sfruttare lo sperabile aumento della domanda interna che ci sarà a livello europeo a seguito di una diversa combinazione di politiche macroeconomiche.
  I problemi sono quelli che conosciamo, insomma. In questi giorni sono apparsi dati allarmanti. Possiamo avere a livello europeo la ripresa della domanda più forte immaginabile, ma, se continuiamo a essere un Paese in cui non si usa il 60 per cento dei fondi strutturali; se continuiamo a essere un Paese in cui le assicurazioni civili auto costano il doppio che in Francia e l'80 per cento in più che in Olanda e in Portogallo, perché i mercati sono regolati male e troppo dominati da interessi corporativi; se continuiamo ad avere una produttività scarsa e una spesa pubblica che ci garantisce un livello di servizi che in altri Paesi è raggiunto con un livello di spesa pubblica molto inferiore; in sostanza, se, insieme alla ripresa della domanda, non risaniamo anche le strutture della nostra economia, rischiamo di andare incontro a forti delusioni.
  Spero, quindi, che nella tensione tra domandisti e offertisti prevalga, anche a livello europeo, che è quello decisivo, un approccio equilibrato, che tenga conto dell'importanza dell'uno e dell'altro versante del problema.

  GIANNI MELILLA. Presidente, ho molto apprezzato la relazione del Viceministro Fassina, che ci offre la possibilità di misurare la grandissima differenza che esiste nell'impostazione politica, ma anche teorica, rispetto alle politiche economiche e monetarie che sono state seguite negli ultimi anni in Europa e nel nostro Paese. C’è una differenza abissale, secondo me, anche rispetto all'impostazione del Governo Monti.
  Quelle politiche non solo non hanno risanato i conti – perché i conti non sono risanati, dire che sono sotto controllo è diverso da dire che sono risanati – ma soprattutto, come loro lascito, hanno generato un generale impoverimento di tutta l'area euro, in particolare del nostro Paese. Si tratta di un impoverimento che è stato evidenziato in maniera precisa da tanti studiosi.
  Vorrei citare, per tutti, un libro molto bello di qualche mese fa, Il prezzo della disuguaglianza di Stiglitz, in cui si mette a fuoco proprio questo grande problema: il lascito principale di queste politiche è l'aumento delle disuguaglianze. Credo, quindi, che ogni politica economica seria debba mettere al centro della sua azione un intervento volto a diminuire le disuguaglianze. Questo non significa assolutamente tornare a politiche allegre per quanto riguarda la finanza pubblica. È possibile, secondo me, operare per favorire una crescita che, nello stesso tempo, faccia diminuire le disuguaglianze.
  A tal proposito, vorrei porre una sola domanda. Non mi è chiaro il meccanismo che la Commissione europea sta mettendo in piedi. Da quello che ho capito, lo strumento della convergenza e della competitività dovrebbe sostenere gli Stati membri in difficoltà. Questo sostegno si concretizza nel sostenere le riforme necessarie ai Paesi in forte difficoltà economica e finanziaria. In pratica, questi Stati membri si impegnerebbero, attraverso accordi contrattuali, a definire in un calendario concordato tutte le misure necessarie per operare tali riforme e, in cambio, otterrebbero dallo strumento della convergenza un sostegno finanziario.Pag. 15
  Vorrei chiedere al Viceministro Fassina, in primo luogo – mi sembra che lo abbia già detto un collega prima di me in modo diverso, ma io lo voglio dire proprio in modo esplicito – quale sia la valenza e la natura di questi accordi contrattuali. Inoltre, il fatto che si tratti di accordi bilaterali, e che quindi non riguardino tutti gli Stati membri dell'Unione europea, non può accentuare la disparità, che è stata evidenziata negli ultimi anni, tra aree forti e aree deboli dell'Unione europea ?
  Al posto di favorire la convergenza, potrebbero differenziare le strategie macroeconomiche ? Al posto di risolvere, attenuare o alleviare i problemi finanziari-economici e le grandi disuguaglianze che si stanno allargando in Europa, potrebbero addirittura ottenere il risultato opposto ?
  A me non è chiaro come lo strumento della convergenza e della competitività, in relazione alla capacità negoziale di ciascun Paese nei confronti delle istituzioni europee, si debba esplicare.

  LUIGI BOBBA. Presidente, vorrei porre due domande secche e vorrei anche sottolineare che forse dovremmo abituarci in queste audizioni a formulare quesiti, perché, se ognuno fa una mezza relazione, non finiamo più.
  Vado alla prima domanda. Lei ha criticato il primo strumento, quello di convergenza, sotto due piani, sia sotto il profilo della forma sia soprattutto per la finalità. Praticamente ci ha detto che si rischia che la finalità produca ulteriori danni rispetto a quelli che lei ha evidenziato. Ieri il dottor Signorini ci ha riferito un'ipotesi per la quale questo fondo potrebbe valere 26 miliardi di euro, di cui 4 a carico dell'Italia. Devo, quindi, capire dalla sua relazione che, se si andasse in quella direzione, sarebbero soldi buttati via – uso un'espressione un po’ grezza – perché si tratta di una direzione di marcia contraddittoria con l'analisi che lei ha reso ?
  Vengo alla seconda questione, che avevo già posto al Ministro Saccomanni nella sua prima audizione. Il Presidente dell'ISTAT, quando era venuto in audizione, aveva affermato che sul Programma nazionale di riforma siamo indietro non solo rispetto ai target europei, ma anche rispetto a quelli che ci siamo autoridotti. Mi domando se l'Italia, in questo caso, presentandosi sul tema del coordinamento delle politiche economiche, non sia proprio in regola sull'altro versante.
  Vorrei, quindi, sapere, visto che nel DEF non c’è scritto nulla, cosa si intenda effettivamente fare a proposito dell'altro versante, perché forse gli altri obiettivi incidono anche sui risultati economici complessivi.

  ADRIANA GALGANO. Presidente, io sono membro della Commissione politiche dell'Unione europea e, rispetto allo strumento della convergenza, in Commissione abbiamo rilevato che ci sono alcuni interrogativi sul grado di cessione della sovranità nazionale e anche sul grado di democraticità che avranno le decisioni che verranno prese.
  Con riferimento alla sua relazione, le chiedo di chiarirci se le posizioni che lei ci ha presentato sono le sue oppure sono le posizioni ufficiali del Governo, perché noi non abbiamo avuto comunicazioni relativamente a questa materia. Nel caso in cui le sue riflessioni fossero divergenti rispetto a quelle del Governo, perché magari il Governo non ha ancora preso posizione, vorrei sapere che tipo di riflessioni si stanno facendo in tale sede.
  Aggiungo ancora una considerazione con riguardo alle posizioni del Governo sul finanziamento di questo fondo. Il tema che ha toccato il collega è molto importante. Ricordo, infatti, che l’European Stability Mechanism (ESM) è stato finanziato con 125 miliardi di euro italiani, di cui non abbiamo avuto indietro un centesimo.

  FEDERICO D'INCÀ. Presidente, sarò molto breve perché l'onorevole Galgano ha interpretato perfettamente il mio pensiero e per questo la ringrazio.
  Intervengo anch'io, quindi, sullo strumento di convergenza, che è uno strumento particolare. Se già l’European Stability Mechanism (ESM) è uno strumento Pag. 16per il quale non è facilmente ricavabile la definizione di trasparenza, come anche lei ha osservato, e se lo strumento di convergenza e di competitività fa interamente leva sulla forza contrattuale del Paese, ritengo che avremo grosse difficoltà perché mi sembra che non abbiamo molta forza contrattuale.
  Le chiedo, quindi, se può fornire una risposta all'onorevole Galgano, che ha formulato la mia stessa richiesta.

  PRESIDENTE. Do la parola al Viceministro Fassina per la replica.

  STEFANO FASSINA, Viceministro dell'economia e delle finanze. Presidente, ringrazio per le riflessioni e per le domande. Proverò a essere il più possibile preciso, cercando di procedere con ordine.
  Innanzitutto svolgo una premessa. Mi riferisco alle ultime due domande sulle posizioni del Governo. Su questa materia non mi risulta che il Governo abbia una posizione consolidata. Credo che queste vostre audizioni siano utili anche per aiutare il Governo a definire una posizione.
  I tempi previsti originariamente dalla Commissione per arrivare a conclusione della definizione dello strumento di cui discutiamo oggi si sono dilatati. Come sapete, al Consiglio europeo di domani e dopodomani si sarebbe dovuto fornire, da parte del Consiglio, il mandato alla Commissione per andare avanti. L'ordine del giorno non prevede più questo punto, che è stato rinviato. Pertanto, questa nostra discussione ci consente anche di poter dare un contributo utile ai fini della definizione dello strumento sui punti più critici – almeno per quanto mi riguarda, ma mi sembra che anche altri colleghi fossero dello stesso avviso – che ho provato a evidenziare.
  Non parlerei di cessione di sovranità perché mi pare che siamo in un contesto in cui c’è un'interazione piuttosto che una cessione. Il punto è capire se questa interazione consente a chi rappresenta i cittadini di un Paese di avere fino in fondo la possibilità di intervenire e di indicare le priorità da perseguire.
  Questo strumento dovrebbe servire a sostenere l'attuazione dei Programmi nazionali di riforma e solo in via emergenziale dovrebbe alterarli, qualora ci fossero dei cosiddetti spillover e delle ricadute su altri Paesi che necessitano un intervento urgente.
  È chiaro che il punto decisivo è quello che provavo a ricordare all'inizio, richiamando anche la posizione del Parlamento europeo. Credo che domani torneranno su questo punto i parlamentari che audirete. Occorre, cioè, un coinvolgimento effettivo innanzitutto del Parlamento europeo, oltre che dei Parlamenti nazionali, che ancora non è adeguatamente previsto nelle ipotesi oggetto di discussione.
  Tra le questioni più circoscritte che sono state evidenziate, l'onorevole Castelli ricordava il bilancio e la difficoltà di avere passi avanti in termini di condivisione delle risorse a livello europeo. Purtroppo, proprio in queste ore siamo di fronte ad una discussione molto difficile tra Parlamento e Consiglio. Almeno fino a qualche ora fa – non so se nelle ultime ore ci sia stata un'evoluzione –, per la prima volta il Parlamento europeo non ha dato l'accordo alla chiusura delle prospettive finanziarie 2014-2020. Come sapete, tali prospettive sono partite da una base di discussione più arretrata di quella dell'esercizio finanziario in corso, in un contesto in cui, come anche alcuni colleghi hanno evidenziato negli interventi, avremmo bisogno, invece, di un rafforzamento dei bilanci comunitari.
  L'onorevole Palese ha svolto alcune considerazioni, per quanto mi riguarda condivisibili, in termini di intervento sul carico fiscale e di fondi strutturali. Su quest'ultimo punto, in particolare, è certamente da ricordare il lavoro attuato dall’ex Ministro Barca, che non ha risolto tutti i problemi, ma che, a mio avviso, ha aperto alcune strade che aiutano ad affrontare quei colli di bottiglia che hanno impedito in questi anni di avere risultati soddisfacenti.
  Ricordo anche che, proprio nella massima determinazione a evitare la possibilità di perdere anche un solo euro, il provvedimento che oggi il Consiglio dei Pag. 17ministri ha approvato, relativamente alla parte sulla promozione dell'occupazione, utilizza una parte consistente di queste risorse, che probabilmente non sarebbero state utilizzate a questi fini.
  Da parte del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la coesione territoriale c’è, dunque, la massima determinazione non solo a evitare di perdere risorse, ma anche a intervenire sui meccanismi che ogni volta ci portano a dover correre ai ripari per evitare risultati negativi.
  Sono d'accordo con quanto sottolineava l'onorevole Rughetti a proposito del problema dell'occupazione. Sbaglieremmo – ma mi pare che non sia questo un errore che il Governo sta facendo – a considerare quello dell'occupazione come un problema settoriale, un problema di politiche del mercato del lavoro, un problema di agevolazioni all'occupazione dei giovani come categoria penalizzata, come se il resto del mercato del lavoro fosse in condizioni di salute.
  Quello dell'occupazione è un problema sistemico. Non si ha un miglioramento dell'occupazione, qualitativo e quantitativo, in un contesto in cui l'economia continua ad andare giù. È evidente che c’è una relazione stretta tra l'andamento dell'economia e la possibilità di generare occupazione. Il punto di fondo è, quindi, almeno per quanto mi riguarda – ma mi pare di aver trovato alcune eco nelle parole dell'onorevole Rughetti –, la correzione dell'impostazione di politica economica che ho provato a richiamare.
  Fa bene l'onorevole Parrini a mettere in guardia da una contrapposizione tra offertisti e domandisti: sarebbe una contrapposizione sbagliata, perché abbiamo bisogno di entrambe le variabili. Il problema è che, almeno nell'ultimo quarto di secolo, in particolare in questi anni, la variabile domanda è stata completamente rimossa dalla discussione, perché le politiche dell'offerta sono state considerate, e continuano a essere considerate, sufficienti per arrivare al risultato.
  Quando si parla di disoccupazione, nelle fonti ufficiali dell'Unione europea giammai c’è un riferimento alla domanda. Si continua a parlare di bilancio in pareggio e di riforme strutturali come condizioni non solo necessarie, ma anche sufficienti per arrivare al risultato, con gli esiti che tutti, purtroppo, abbiamo di fronte.
  Non c’è dubbio che la famosa lista di riforme strutturali da fare sia da attuare. Insisto, però, sul punto che le riforme sono necessarie, ma non sufficienti. In Europa, infatti, tutti stiamo percorrendo la rotta di svalutazione interna che, alla fine, non porta a un gioco a somma positiva e neanche a somma nulla, bensì a un gioco a somma negativa.
  L'onorevole Fanucci, se non ho capito male, ha fatto alcuni riferimenti molto condivisibili. Per quanto riguarda gli eurobond, credo che il Governo sia molto determinato a sostenere l'utilizzo di questo strumento per il finanziamento di progetti, di infrastrutture, in particolare attraverso la Banca europea per gli investimenti.
  Anche ieri il Presidente Letta ha ricordato il moltiplicatore potenziale attivabile dai 10 miliardi di euro di ricapitalizzazione della BEI, somma che è stata decisa un anno fa e che, purtroppo, solo in parte è stata immessa nel circuito.
  Certamente l'accenno fatto dal Presidente della Federal Reserve Bank a un asciugamento della politica di quantitative easing svolta in quest'ultimo anno ha riflessi rilevanti su di noi. Credo che la Banca centrale europea segua con grande attenzione e abbia consapevolezza degli effetti negativi, che abbiamo visto nel giro di pochissimi giorni, sugli spread dei principali Paesi europei.
  Sul risparmio di spesa degli interessi dovuto alla riduzione dello spread rispetto ai Documenti di finanza pubblica approvati dal Governo Monti, credo sia ancora presto per fare una valutazione affidabile. Siamo a metà anno e le prospettive dei prossimi sei mesi, per le ragioni che ho appena segnalato, non sono chiarissime.
  Riteniamo che vi siano alcuni risparmi e che essi siano utili a compensare, almeno in parte, gli effetti della maggiore contrazione dell'economia. Mi riferisco agli effetti sulla finanza pubblica in termini di minori entrate, soprattutto IVA, e di maggiori spese per gli ammortizzatori Pag. 18sociali, in particolare quelli in deroga, che si sono determinati a causa della maggiore contrazione dell'economia rispetto a quanto era stato stimato nei Documenti di finanza pubblica.
  L'onorevole Marchi ricordava la necessità di tornare sul Programma nazionale di riforma rispetto a quello che è stato mandato a Bruxelles negli ultimi giorni del mese di aprile, quando il Governo Monti era dimissionario. Credo che questo sia un punto molto rilevante, anche perché, come veniva ricordato, mi pare, dall'onorevole Bobba, gli obiettivi che ci poniamo al 2020 sono ridotti rispetto a quelli degli altri Paesi europei. Gli strumenti di cui discutiamo oggi potrebbero essere utili, se opportunamente calibrati, al fine di accelerare un processo di convergenza.
  L'onorevole Tabacci ha svolto alcune riflessioni che condivido anche se, secondo me, il punto non è tanto quello di dividersi tra pessimisti e ottimisti. Il punto è capire se riusciamo a costruire le condizioni politiche per la correzione di rotta. Non ci sono scenari ineluttabili né derive irrimediabili. Tutto dipende se riusciamo a costruire le condizioni politiche per cambiare rotta, perché gli spazi ci sono e conosciamo le riforme che andrebbero attuate.
  L'area euro ha tutte le condizioni per poter arrivare a ricostruire un percorso di crescita. Vanno, appunto, costruite le condizioni politiche. Credo che il Governo su questo fronte sia determinato. Anche il fatto di poter contare su una maggioranza larga, che mi pare sostanzialmente in sintonia sull'agenda di politica economica nell'Eurozona, è un fatto rilevante che credo migliori la nostra efficacia potenziale a Bruxelles.
  Sono molto d'accordo sul punto delle disuguaglianze che ricordava l'onorevole Melilla, non solo in termini di attenzione alle conseguenze di questa crisi, ma anche come fattore generativo della crisi. Non è un caso che questa crisi esploda negli Stati Uniti quando la distribuzione del reddito della ricchezza ritorna ai livelli del 1929, dopo che per un trentennio sono stati annullati gli effetti positivi delle politiche di Roosevelt, del New Deal e del welfare. Gli Stati Uniti sono un esempio estremo di una dinamica che è stata condivisa da tutti i Paesi sviluppati, in particolare da quelli di matrice anglosassone, ma anche da quelli europei.
  Infine, su questo punto: servono o non servono questi strumenti ? Sono buttati i 4 miliardi di euro ? Sarebbero sprecate le risorse ? Non conosco questi dati, ma non credo. Credo che ci siano correzioni da fare e che tutto dipenda dagli obiettivi. L'oggetto, il contenuto di questi strumenti non è definito, dipende da come lo si riempie, da chi lo riempie, da quali priorità individua e in quale strategia di politica economica tali strumenti vengono collocati; dipende se rimangono accordi bilaterali tra Commissione e Paese, oppure se vengono iscritti nel metodo comunitario e consentono la partecipazione attiva del Parlamento europeo, dei Parlamenti nazionali e delle parti sociali.
  Ritengo, quindi, che lo sforzo, in questa fase, sia quello di provare a correggere questi strumenti, tenendo conto che, come ascolterete domani dai suoi rappresentanti, il Parlamento europeo è molto determinato ad apportare correzioni. Potrebbe trattarsi di strumenti che attuano una maggiore solidarietà e che effettivamente promuovono una maggiore convergenza. Ciò dipende, appunto, da come vengono specificati.
  Mi fermerei qui.

  PRESIDENTE. Grazie, Viceministro Fassina. Grazie per la relazione e per le risposte puntuali fornite a tutti i colleghi intervenuti, che saranno senz'altro utili per la prosecuzione dei lavori della Commissione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.45.