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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

V Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Martedì 24 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLA COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, ALLA BANCA CENTRALE EUROPEA, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO, AL COMITATO DELLE REGIONI E ALLA BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI – UN PIANO DI INVESTIMENTI PER L'EUROPA (COM(2014) 903 FINAL) E DELLA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO RELATIVO AL FONDO EUROPEO PER GLI INVESTIMENTI STRATEGICI E CHE MODIFICA I REGOLAMENTI (UE) NN. 1291/2013 E 1316/2013 (COM(2015) 10 FINAL), CORREDATA DEL RELATIVO ALLEGATO (COM(2015) 10 FINAL – ANNEX 1)

Audizione di rappresentanti di Cassa depositi e prestiti SpA.
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Bassanini Franco , presidente di Cassa depositi e prestiti SpA ... 3 
Boccia Francesco , Presidente ... 8 
Galgano Adriana (SCpI)  ... 8 
Melilli Fabio (PD)  ... 9 
Currò Tommaso (Misto)  ... 9 
Pilozzi Nazzareno (PD)  ... 9 
Boccia Francesco , Presidente ... 10 
Bassanini Franco , presidente di Cassa depositi e prestiti SpA ... 11 
Bini Smaghi Bernardo , responsabile Business Development di Cassa depositi e prestiti SpA ... 14 
Bassanini Franco , presidente di Cassa depositi e prestiti SpA ... 15 
Bini Smaghi Bernardo , responsabile Business Development di Cassa depositi e prestiti SpA ... 15 
Boccia Francesco , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 17.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Cassa depositi e prestiti SpA.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame congiunto della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti – Un Piano di investimenti per l'Europa (COM(2014) 903 final) e della Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e che modifica i Regolamenti (UE) nn. 1291/2013 e 1316/2013 (COM(2015) 10 final), corredata del relativo allegato (COM(2015) 10 finalAnnex 1), l'audizione di rappresentanti di Cassa depositi e prestiti SpA.
  Ringrazio il presidente della Cassa depositi e prestiti SpA Franco Bassanini e la sua delegazione, composta da Bernardo Bini Smaghi, responsabile Business Development, Davide Colaccino, responsabile relazioni istituzionali, e Lorella Campi, responsabile della comunicazione.
  Do la parola al Presidente Bassanini.

  FRANCO BASSANINI, presidente di Cassa depositi e prestiti SpA. Grazie, presidente. Mi consenta di dire che è con qualche commozione che vengo in quest'Aula dove ho passato una dozzina di anni, ma dove non mi era capitato di ritornare.
  Abbiamo distribuito alcune slide. Se la Commissione me lo consente, io lascerei per vostra informazione la prima parte, che riguarda il gruppo Cassa depositi e prestiti (CDP). Ovviamente, se ci sono delle domande su questo, risponderò, ma ciò ci consente di procedere sulla parte più direttamente relativa alla vostra indagine e di fornirvi su questo tema qualche elemento meno noto. Andiamo, quindi, direttamente a pagina 13.
  Innanzitutto ci interessava sottolinearvi che fino a dieci anni fa, anzi meno, fino al 2008, CDP non poteva mettere il naso fuori dal Paese e non aveva alcuna attività internazionale, salvo un fondo, che adesso è in liquidazione, costituito insieme a Caisse des Dépôts e KfW. Dal 2008 abbiamo cominciato, come gli altri nostri cugini di KfW e Caisse des Dépôts. Siamo stati nel 2009 tra i membri fondatori – che sono quattro: quelli che ho citato e la BEI – del Long-Term Investors Club, l'associazione degli investitori di lungo termine, che oggi riunisce 19 fra i maggiori investitori istituzionali nel mondo, per più di metà più grossi di noi. Noi adesso abbiamo attivi per 350 miliardi di euro. Fate un po’ il calcolo di quanto valgono questi altri.
  L'obiettivo fondamentale del Club è sottolineare l'importanza degli investimenti di lungo termine per sostenere l'economia reale e per finanziare le infrastrutture e sottolineare che, a differenza di Pag. 4quello che molti ritengono, gli investimenti di lungo termine sono essenziali anche per garantire la stabilità finanziaria, perché nel tempo garantire la stabilità finanziaria senza la crescita è molto difficile. È vero che la stabilità finanziaria è condizione della crescita, ma è vero anche il reciproco, per così dire.
  Come sapete, pur essendo chiaro che il cosiddetto shortermismo è stata una delle ragioni della lunga crisi che abbiamo vissuto, le regolazioni che poi vi hanno fatto seguito hanno continuato nell'errore di penalizzare gli investimenti nell'economia reale, soprattutto gli investimenti di medio e lungo termine, rispetto agli impieghi finanziari a breve.
  Il Club è nato anche per sottolineare che, invece, occorre un quadro regolatorio più favorevole agli investimenti di lungo termine e nel frattempo, attraverso lo scambio di best practice, per contribuire al miglioramento della nostra efficienza e della nostra capacità di sostenere l'economia e le infrastrutture, nonché per stabilire rapporti di collaborazione tra i membri del Club, che si sono tradotti anche in scambi di funzionari e in una serie di riunioni, che ci hanno consentito di imparare dagli altri e, qualche volta, di insegnare qualcosa. Essendo, da questo punto di vista, la nostra un'istituzione che nasce più di un secolo fa, qualche esperienza che potrà servire agli altri l'abbiamo fatta anche noi.
  Da luglio 2014 abbiamo la presidenza del Club nella persona del sottoscritto e nel 2013 è stata costituita anche l'Associazione europea degli investitori di lungo termine, di cui noi abbiamo la vicepresidenza, mentre il presidente è il presidente della BEI. L'idea è quella di riservare il Long-Term Investors Club alle grandi istituzioni – queste 19 sono tutte molto grandi – e considerare l'Associazione europea un po’ come l'associazione regionale in cui ci sono anche le istituzioni dei Paesi più piccoli, dal Portogallo, alla Grecia e via elencando.
  Passiamo alla cooperazione internazionale. Ne avete un quadro a pagina 14. Questa cooperazione ha oggi un altro oggetto su cui esercitarsi, ossia la cooperazione tra la BEI e queste istituzioni ai fini del Piano Juncker. Abbiamo costituito dei gruppi di lavoro e di coordinamento su diversi aspetti. Noi partecipiamo a tutti i gruppi che vedete elencati, che sono: il gruppo sulla cooperazione tra quelle che adesso si chiamano National Promotional Banks (NPB) – anche se noi formalmente non siamo una banca, questa comunque è la definizione generica – e la BEI, la cooperazione con il Fondo europeo per gli investimenti della BEI (secondo tema), l'assistenza tecnica e lo scambio di personale.
  Sottolineo che per noi la questione si basa su rapporti di collaborazione tra la BEI e la CDP (di cui a pagina 15), che sono molto forti e molto strutturati e che hanno diversi strumenti di cooperazione.
  Intanto la BEI ci mette a disposizione provvista, sotto forma di global loans per le PMI e di framework loans per le infrastrutture. La BEI ci mette a disposizione risorse da canalizzare in direzione di questi investimenti.
  In altri casi la BEI cofinanzia con noi infrastrutture a livello di singolo progetto. La BEI, che non può superare il 50 per cento del finanziamento, e noi, che di norma tendiamo a restare non oltre il 50 per cento, anche perché la presenza di altri finanziatori ci consente di dire che è un'operazione di mercato, in molti casi agiamo di conserva. Ci sono, dunque, una quota di finanziamento BEI e una quota di finanziamento CDP.
  Abbiamo poi co-investito in fondi di debito e di equity. I più stagionati sono Marguerite e InfraMed, che sono i primi fondi europei. Marguerite investe in infrastrutture di trasporto, reti energetiche, energie rinnovabili e ambiente nei 28 Paesi dell'Unione europea. InfraMed investe nei Paesi del Sud e del Mediterraneo, dal Marocco alla Turchia. L’European Energy Efficiency Fund è un fondo che finanzia le operazioni di efficienza energetica soprattutto degli enti locali.
  La BEI, nel fare i suoi finanziamenti, molto spesso chiede delle garanzie. In particolare da quando abbiamo perso il Pag. 5rating A come rating sovrano, chiede delle garanzie e, quindi, noi dobbiamo intervenire con garanzie CDP o SACE per permettere alla BEI di fare i suoi finanziamenti. Con la BEI abbiamo anche da diversi anni un piano di scambio di personale sotto forma di distacco. I funzionari BEI vengono da noi per qualche mese e i funzionari nostri vanno alla BEI.
  A pagina 16 c’è lo schema operativo del Piano Juncker. Lo conoscete, perché si tratta della stessa slide che vi ha presentato Dario Scannapieco, se non sbaglio. Sapete, quindi, come avviene o come dovrebbe avvenire: 21 miliardi di risorse, 16 dell'Unione europea e 5 della BEI, dovrebbero mobilitare investimenti totali per 315 miliardi attraverso i due noti moltiplicatori, per 3 e per 5. Io penso che non sia necessario illustrare questo aspetto.
  Veniamo alla parte che penso possa interessare di più. Noi abbiamo cominciato insieme alla BEI, che ha una struttura locale in Italia. Fin dall'inizio il Governo ci ha chiesto di supportarlo nella selezione dei progetti da includere nella lista da comunicare alla Commissione europea nell'ambito del Piano Juncker.
  Come sapete, questa lista non è vincolante. Non è detto che questi progetti saranno eleggibili, perché non dipende dal Governo italiano stabilire se saranno eleggibili o no. C’è una procedura, che conoscete. Inoltre, se ne potranno sempre aggiungere altri, però questo è un primo blocco di progetti che vengono messi sul tavolo della Commissione europea.
  Il Governo ha costituito un gruppo, coordinato dal sottosegretario Delrio, in cui erano rappresentati, nelle riunioni plenarie a livello di ministri, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero della salute, al quale noi partecipavamo insieme al rappresentante della BEI in Italia, come, per così dire, advisor nella presentazione e nella selezione dei progetti. Questo gruppo si è avvalso di una selezione, fatta a livello di singoli ministeri, alla quale abbiamo collaborato. A fine novembre il Governo ha inviato alla Commissione europea la lista dei progetti strategici.
  Sottolineo che, rispetto ad altri Paesi, la novità, per quello che abbiamo potuto capire, è che noi abbiamo coinvolto la BEI fin dall'inizio, fin da questo processo istruttorio, mentre gli altri Paesi si sono avvalsi, laddove ci sono, naturalmente, dei nostri omologhi, ossia delle National Promotional Banks, ma non hanno coinvolto la BEI fin dall'inizio.
  Passando a pagina 18, noi abbiamo messo a disposizione del finanziamento del Piano Juncker 8 miliardi. Abbiamo deciso, d'intesa con il Governo, nella veste di nostro azionista di maggioranza, di non investire direttamente nel Fondo strategico – del resto, non l'ha fatto nessuno degli altri Paesi e non l'ha fatto nessuna delle altre National Promotional Banks – per una ragione molto precisa: investire nel Fondo strategico non ci offriva alcuna garanzia e neppure alcuna probabilità che poi quei soldi tornassero sotto forma di finanziamenti a progetti italiani e neppure ci garantiva una speciale voce in capitolo nella selezione dei progetti, perché era stato stabilito che non avremmo potuto essere rappresentati nello steering committee.
  Questi 8 miliardi sono destinati al cofinanziamento di progetti finanziati dalla BEI con le garanzie Juncker o alle piattaforme nazionali, regionali e settoriali, che finanzieranno anche progetti italiani. Questi sono gli strumenti nei quali noi intendiamo mettere a disposizione gli 8 miliardi, che rappresentano la stessa somma stanziata a questo fine da KfW e Caisse des Dépôts, ossia dalle due National Promotional Banks che, come noi, fanno parte del gruppo delle tre più importanti. Abbiamo concordato questo.
  Naturalmente, noi siamo più piccoli come Paese e come NPB rispetto a Germania e Francia, ma è anche vero che noi pensiamo che il Piano Juncker debba servire soprattutto a finanziare progetti nei Paesi periferici e nei Paesi del Sud Pag. 6dell'Europa. Pertanto, abbiamo ritenuto, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, che fosse opportuno destinare lo stesso ammontare di risorse di Germania e Francia.
  La Spagna, con l’Instituto de Crédito Oficial, ha destinato un miliardo e mezzo. D'altra parte, loro sono più piccoli anche come istituzione. Siamo in attesa che la Polonia, che è la quinta National Promotional Bank rilevante, faccia sapere qual è la somma che metterà sul tavolo.
  I prodotti in cui queste risorse possono essere utilizzati sono project finance, global loan, equity e garanzie e i settori prioritari sono il finanziamento delle PMI, l'efficienza energetica, le infrastrutture, comprese quelle di telecomunicazione, e il corporate.
  Abbiamo avuto una serie di riunioni e ce ne sarà una prossima il 12 aprile a Roma con il vertice della BEI e i vertici delle altre National Promotional Banks.
  La linea generale è stata la disponibilità a collaborare e l'accordo sull'importanza del Piano Juncker. Siamo pronti a collaborare con la BEI e con il FEI, ma pensiamo che ci debbano essere delle condizioni. La notizia è che esse saranno precisate in un documento che è in corso di predisposizione e che renderà chiaro che, a nostro avviso, il successo del Piano Juncker e anche la nostra disponibilità a investire le risorse che abbiamo detto sono condizionati dalle risposte positive su queste condizioni.
  Queste condizioni sono tutte legate al concetto di addizionalità del Piano Juncker, che ormai credo voi sappiate bene che cosa significa. Il Piano Juncker, attraverso questi 21 miliardi di euro di garanzie, deve consentire di assumersi rischi maggiori di quelli che finora, nel finanziamento di questi progetti, era possibile assumersi secondo pure logiche di mercato. Se non fosse così, il Piano Juncker non avrebbe alcun significato. Se il Piano Juncker dovesse consentire soltanto di aumentare la copertura per progetti che già si intendono finanziare nel livello di rischio che già oggi è sostenibile, non avrebbe alcun significato.
  Ciascuna delle nostre istituzioni, compresa la BEI, prevede di finanziare alcuni progetti, perché è sostenibile questo finanziamento, e di non finanziarne altri perché non ci sono le condizioni, che vanno sotto il pessimo nome di «bancabilità del progetto». Questo non significa che il progetto sarà necessariamente finanziato dalle banche. Anzi, in questi casi spesso il ruolo del finanziatore di lungo termine è necessario, anche perché le banche hanno ormai dei limiti e delle regole che rendono difficile finanziare a lungo termine.
  La prima questione riguarda il prezzo delle garanzie. Seguo un ordine che non è quello logico, ma che serve a introdurre il tema. Ci è stato comunicato che a Bruxelles qualcuno ha l'idea che le garanzie del Piano Juncker dovrebbero essere pagate a prezzo di mercato; ciò vuol dire sostanzialmente che queste garanzie avranno lo stesso prezzo che si avrebbe se si chiedessero le garanzie ad Alliance, Axa o Assicurazioni Generali.
  È chiaro che, in questo caso, non c’è alcuna addizionalità, perché, se un progetto è sostenibile ricorrendo a una garanzia prezzata a prezzi di mercato, laddove cioè il premio è quello stabilito dal mercato, non siamo più nell'ambito della addizionalità. Non si fa alcun finanziamento, alcun investimento in più di quelli che già si potrebbero fare.
  Il secondo aspetto è la regolamentazione degli aiuti di Stato. C’è una connessione con il precedente, perché pare che la DG Competition, secondo quanto ci è stato riferito in queste riunioni, direbbe di fare attenzione perché, se la garanzia non è a prezzi di mercato, lo stesso finanziamento con le garanzie Juncker costituisce aiuto di Stato. È chiaro che, se si segue questa impostazione, anche qui l'addizionalità finisce. È meglio allora che questi 8 miliardi li utilizziamo per fare altre cose, perché non c’è alcun incentivo in più che derivi dal Piano Juncker.
  Poi noi poniamo il problema di una procedura non burocratica. L'idea del Piano Juncker è quella di incentivare subito un incremento, un boost di investimenti che possano partire, almeno in Pag. 7parte, già nel 2015 e poi nel 2016. Se le procedure fossero talmente lunghe e macchinose da rendere impossibile il finanziamento di investimenti, se non nel 2018 o 2019, l'effetto anticiclico che dovrebbe avere il Piano Juncker sarebbe vanificato, perché si spera che nel 2018-2019 il ciclo sia cambiato.
  Il Piano Juncker, invece, dovrebbe servire proprio a cambiare il ciclo, a uscire da una fase di recessione o stagnazione e a riprendere un ritmo di crescita accettabile che renderebbe anche sostenibile il processo di riduzione e di fiscal consolidation previsto dal Fiscal Compact, che nel medio e lungo termine non è sostenibile se non riprende un ritmo di crescita anche il denominatore del rapporto debito/PIL e deficit/PIL. Su questi punti c’è un'intesa fra le cinque NPB e la BEI.
  C’è poi un punto che vede, invece, posizioni articolate tra le NPB e la BEI, che è l'accesso delle National Promotional Banks alle garanzie Juncker. In altri termini, tornando per un momento sull'affermazione precedente, illustro la nostra preoccupazione sulla lunghezza delle procedure. Attualmente la previsione è che in sede nazionale si fa una prima istruttoria. Poi l'istruttoria la fanno le strutture della BEI. Poi il progetto viene avviato all’investment committee, che farebbe un'altra istruttoria, perché l'istruttoria BEI è fatta in un altro modo. Poi passerebbe allo steering committee. Una volta approvato e dichiarato eleggibile dall’investment committee e dallo steering committee, il progetto andrebbe alla BEI, dove seguirebbe le procedure BEI di approvazione per ciascun progetto. Il rischio che questa procedura duri due anni è consistente.
  A questo punto, qual è la richiesta, in questo quadro, delle National Promotional Banks ? Oltre che di snellire questa procedura, si tratta anche di dire che, se noi presentiamo dei progetti e questi progetti hanno una valutazione favorevole in sede BEI, ma la BEI non intende cofinanziarli, è possibile che siano sottoposti all’investment committee e allo steering committee al fine di dare le garanzie BEI a noi che li finanziamo, e che li finanziamo anche da soli, anche se la BEI non intende cofinanziarli, ma li ha valutati positivamente ?
  Su questo punto c’è una discussione. È il punto dell'accesso diretto alle garanzie anche per progetti che non verranno cofinanziati dalla BEI. Naturalmente, questa questione ha un'importanza minore per l'Italia, per il tipo di rapporti che esistono tra noi e la BEI. Noi su questo punto abbiamo assunto una posizione un po’ di mediazione. È molto più forte per tedeschi e francesi, perché i loro rapporti con la BEI sono meno intensi e meno collaborativi di quelli che abbiamo noi.
  Nella stessa pagina 19 avete un'elencazione di quelli che potrebbero essere ulteriori e concordati sviluppi di questo aspetto. Le National Promotional Banks e la BEI potrebbero fornire assistenza tecnica e liquidità alle PMI anche tramite il sistema bancario, ma, incentivando quello che fanno anche le banche per il finanziamento delle PMI, possono intervenire per rivitalizzare il mercato europeo degli ABS, con il supporto del fondo. Qui è molto importante se c’è una garanzia del fondo che si assume il rischio di prima perdita a questo riguardo.
  Noi proponiamo e mettiamo sul tavolo la nostra disponibilità a rifinanziare il fondo Marguerite, che ha praticamente esaurito le risorse inizialmente conferite. Il fondo Marguerite si è rivelato un insuccesso nella capacità di fare fund raising, cioè di acquisire fondi privati, ma un grande successo invece come moltiplicatore, perché un finanziamento di Marguerite ha attirato cofinanziamenti privati negli stessi progetti. Pertanto, alla fine, il risultato di creare uno strumento che abbia un moltiplicatore attirando finanziamenti privati è stato raggiunto, anche se per una via diversa da quella che avevamo inizialmente previsto. Bernardo Bini Smaghi è nel consiglio d'amministrazione del fondo Marguerite, anzi l'ha presieduto per alcuni anni e, quindi, è in grado su questo di fornire ulteriori ragguagli.
  C’è poi l'idea di investire insieme in fondi di venture capital o in fondi di fondi di venture capital, con la garanzia parziale Pag. 8del fondo Juncker, e c’è, naturalmente, l'idea che questo strumento del fondo Juncker possa servire a finanziare progetti infrastrutturali in partenariato pubblico-privato in maniera più ampia di quanto non sia stato possibile fare finora.
  Nell'ultima slide vedete anche un esempio di come il fondo possa consentire al gruppo BEI di sostenere più rischi e di affrontare con maggiore successo i market failure, ossia i fallimenti di mercato, sia attraverso i global loans, sia attraverso programme loans per le mid cap, sul cofinanziamento delle infrastrutture nei singoli progetti e sul co-investimento multilaterale in fondi di debito ed equity.
  Sottolineo che qui ci sono alcuni punti che potrebbero rappresentare ulteriori condizioni, almeno dal nostro punto di vista. Noi pensiamo, per esempio, che sarebbe utile avere un'unità tecnica centrale per le infrastrutture per aiutare le amministrazioni a strutturare i progetti su cui poi possano intervenire anche i finanziamenti nel quadro del Piano Juncker. Tale unità potrebbe essere costituita da noi insieme alle strutture locali della BEI, in modo da assistere le amministrazioni nella predisposizione di progetti, al fine di fornire ad essi la migliore possibile strutturazione e poi seguirli per superare eventuali colli di bottiglia che si potessero verificare.
  Questo è un punto importante, perché la sensazione è che manchino buoni progetti in Italia. In realtà, questa sensazione ha qualche fondamento. In parte ciò è dovuto al fatto che, rispetto ad altri Paesi, noi abbiamo meno possibilità di coprire una parte del progetto con finanziamenti pubblici a fondo perduto. Il fatto che ci sia una quota di finanziamento a fondo perduto rende automaticamente un progetto più facilmente finanziabile anche da parte dei privati.
  In parte questa sensazione è dovuta anche al fatto che le amministrazioni italiane hanno carenza di capacità di strutturazione tecnica e finanziaria. A nostro avviso, servirebbe avere una struttura che le aiuti e le accompagni e a cui esse possano fare volontariamente ricorso per essere aiutate nella predisposizione dei progetti.
  Sono a disposizione, insieme al dottor Bini Smaghi, per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Bassanini.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ADRIANA GALGANO. La ringrazio per i contenuti della sua audizione, che, da una parte, chiariscono il quadro, ma, dall'altra, continuano a lasciare degli interrogativi, il primo dei quali è: quali saranno i criteri con i quali saranno selezionati i progetti ?
  Noi abbiamo avuto qui il vicepresidente della BEI, il quale ci ha detto che non ci saranno criteri di ripartizione territoriali, che la lista di progetti ex ECOFIN è puramente indicativa e che l'unica linea-guida sarà il valore economico e sociale, ossia il ritorno economico e sociale del progetto.
  A questo noi abbiamo risposto, come gruppo Scelta Civica per l'Italia in Parlamento, dicendo che ci sembrerebbe opportuno, invece, un criterio di priorità per i progetti in quei Paesi che hanno conosciuto significative riduzioni di investimenti sia pubblici, sia privati. Sarebbe veramente un paradosso che i finanziamenti andassero magari alla Germania, dove gli investimenti pubblici dal 2007 a oggi sono cresciuti, oppure all'Inghilterra, che ha dichiarato di non voler investire nel fondo Juncker, ma di privilegiare il fondo delle infrastrutture che si sta creando alla Banca di Pechino.
  Questa è la domanda: quali sono i criteri di priorità ? Quello che lei ci ha riferito allarga ancora il campo. Quindi potrebbero essere addirittura finanziati dei progetti e le garanzie potrebbero andare a progetti che vengono finanziati direttamente da altri organismi. In tal caso, quali sarebbero le priorità di selezione per questi progetti ?
  L'altra domanda riguarda, invece, il fondo di investimento che si sta creando Pag. 9presso la Banca di Pechino, a cui sembra che Germania, Francia, Inghilterra e anche Italia vogliano dedicare risorse.
  Comprendo assolutamente l'importanza di esserci, ma, in questo momento, in cui tutti dichiarano che le risorse a disposizione degli investimenti in infrastrutture in Europa sono molto inferiori a quelle che sarebbero necessarie, il fatto che noi andiamo a investire nelle infrastrutture in Asia, ossia dedichiamo risorse alle infrastrutture in Asia, mi sembra veramente peregrino. Le chiedo se la Cassa depositi e prestiti, visto che leggevamo nell'introduzione che avete un ampliamento di operatività all'estero, sia interessata a questo aspetto.

  FABIO MELILLI. Ringrazio il presidente Bassanini, che è stato chiaro nell'esposizione. Chiedo, quindi, solo un chiarimento.
  Quando il presidente ha fatto riferimento ad alcune condizioni e ad alcuni suggerimenti che anche la Cassa depositi e prestiti ha proposto, in uno di questi si è riferito, molto opportunamente, alla tempistica, ossia a quanto questa operazione incida sulla congiuntura, in un tempo breve. La domanda è questa: l'osservazione è stata fatta perché lei ritiene che la governance e il sistema procedurale siano lunghi e rischino di essere lenti e, se è così, quali sono le possibilità reali che vengano accelerati ? Non so se su questo stia lavorando anche il Governo, ma, se abbiamo il timore che un'operazione di questa natura rischia di vanificare il suo effetto congiunturale per una serie di questioni, che peraltro leggo nella costruzione dei sistemi di governance, vorrei sapere se c’è uno spazio di modifica e di accelerazione, o se è una denuncia legittima, ma che rischia di non avere successo.

  TOMMASO CURRÒ. Io avrei una curiosità da sottoporre al presidente, se ne ha cognizione. Si è detto che il progetto del Piano Juncker non è mirato sulla territorialità, ossia sul regionalismo. Non ha una portata geografica. Saranno valutati i progetti su una base di criteri che non tengono conto dell'aspetto territoriale.
  D'altra parte, mi sembra di aver capito comunque che un parametro che subentra nella scelta sia l’investment gap, ossia la perdita di capacità di un Paese rispetto agli investimenti. Noi sappiamo che abbiamo ancora oggi un'Italia a due velocità. Anche da uomo del Sud, io mi pongo una domanda. Poiché si parla di infrastrutture strategiche, mi domando se si ha cognizione di questo tema e quanto effettivamente questi investimenti, se verranno portati a compimento, riguarderanno anche il Mezzogiorno d'Italia.
  Lei sa meglio di me, presidente, che anche i dati Svimez che sono stati pubblicati rappresentano una situazione assolutamente a due velocità. A mio avviso – questo è il mio personale parere – sarebbe veramente, se non assurdo, quanto meno, dal mio punto di vista, inaccettabile che una quota di questi investimenti non andasse a colmare quel gap infrastrutturale che ancora oggi, purtroppo, esiste ed è talmente visibile che non si può fare più a meno di vederlo.
  A mio avviso, come deputato del Mezzogiorno d'Italia, siciliano, questo sarebbe opportuno. Non so se il Governo abbia riflettuto su questo tema. Peraltro, questo Governo si è anche impegnato e ha cercato di dedicare un interesse maggiore rispetto alle questioni del Mezzogiorno. Secondo me, questo è un elemento che dovrebbe essere considerato nello sviluppo di tale questione.

  NAZZARENO PILOZZI. Grazie, presidente Bassanini, anche per la sua chiarezza nell'esposizione. Vorrei fare qualche domanda.
  Anche da chi mi ha preceduto sono stati toccati alcuni temi che abbiamo già affrontato con il vicepresidente della BEI. È chiaro che lì – è inutile tornarci – il ragionamento era basato molto sulla finanza e sull'economicità del Piano, ragion per cui le questioni degli obiettivi europei e le questioni territoriali vengono superate in nome di questa nuova tendenza. È chiaro anche che, ovviamente, se l'Europa la dobbiamo costruire, ha anche un senso alla fine che vi siano progetti che si Pag. 10riferiscono a tutta l'area dell'Unione europea.
  È chiaro, però, che, quando ci sono 8 miliardi di investimento da parte del sistema di Cassa depositi e prestiti, che, come è stato ricordato, è quel sistema che ha consentito, nel corso di molti anni, di realizzare infrastrutture importanti per il nostro Paese, si pone un punto importante rispetto a come, anche territorialmente, vengano utilizzate queste risorse.
  Io ritengo che la sfida sia anche quella – l'ho detto anche al vicepresidente della Banca europea per gli investimenti – di mettere il nostro Paese, non solo le istituzioni del nostro Paese, ma anche le imprese, perché una parte importante dei finanziamenti è rivolta alle piccole e medie imprese e alle imprese più grandi, nella condizione di poter partecipare con possibilità di successo a questa presentazione di progetti, ossia con una capacità importante da parte del nostro sistema Paese. Io credo che il Governo si stia muovendo in questa direzione per essere in grado di affrontare questa sfida, altrimenti è inutile anche metterla in campo.
  Rispetto a questo punto, come diceva giustamente il collega Melilli, c’è il problema dei tempi. È chiaro che per noi, se sono così farraginose le procedure, diventa anche difficile immaginare di presentare nuovi progetti rispetto a quelli che già ci sono. Di quelli che già ci sono – io non voglio giudicare – qualche progetto non si è portato a compimento non solo perché mancavano i soldi, ma forse anche per altri motivi.
  Io credo, invece, che noi dobbiamo mettere nelle condizioni il nostro Paese, i nostri territori, le nostre istituzioni nazionali e locali di proporre, oltre ai progetti che già ci sono, anche nuovi progetti che abbiano una specificità più attinente all'attrattività di cui si parlava e avere i tempi necessari per farlo, affinché non si arrivi a realizzare questi progetti alla fine del ciclo della crisi, quando ormai probabilmente se ne sarà usciti per un'altra strada.
  Vorrei chiedere, inoltre, se è già stato definito quali istituzioni possono presentare i progetti, se solo le istituzioni nazionali, o anche le istituzioni locali, magari anche in unione tra loro.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Pilozzi. Se non ci sono altri interventi, completo io la lista delle domande, ponendone un paio al presidente Bassanini.
  È preoccupante il tema dei tempi, perché, come ricordava lei, se i tempi sono quelli che ci portano a stimare in due anni il periodo che intercorre dalla fase di attivazione di un progetto alla certezza del finanziamento dello stesso e poi alla sua decorrenza, c’è il rischio che l'effetto anticiclico alla base del Piano stesso, ossia del Piano Juncker, non ci sia. Il collega Pilozzi lo diceva in altro modo, ma la sostanza è questa. Pilozzi è più ottimista di me, nel senso che diceva che magari siamo già usciti dalla crisi. La speranza è quella, ma il rischio è che svanisca davvero la finalità stessa che tutti noi abbiamo attribuito al Piano.
  Lo dico al presidente Bassanini anche per la sua conoscenza del funzionamento delle istituzioni: noi siamo al termine di questo percorso di audizioni. Abbiamo il Ministro dell'economia e delle finanze la prossima settimana e poi il quadro sarà completo. La cosa che mi permetto di sintetizzare – poi faremo con i colleghi una risoluzione – è che al momento siamo a marzo e Commissione, Parlamento europeo e BEI non sono ancora d'accordo. Ci sono ancora posizioni diverse. Il regolamento non ci sarà, quindi, prima del 24 giugno.
  Intanto noi a metà aprile dovremmo approvare un DEF, e, come noi, anche altri Parlamenti. Nei Documenti di economia e finanza gli Allegati sulle infrastrutture non sono un libro dei sogni, ma sono speranze oggettive rispetto alle quali si definiscono anche le strategie per le politiche di sviluppo di un Paese.
  Io trovo particolarmente utile per il Governo italiano che nella fase di assistenza tecnica ci siano BEI e CDP, perché, anche in termini di ricadute sul piano macroeconomico, la selezione dei progetti può portarci solo dei benefici. Il problema Pag. 11di fondo è sciogliere alcuni nodi. Uno di questi è oggettivamente preoccupante. Noi mettiamo 8 miliardi sul tavolo, ma non sappiamo quali progetti facciamo. Gli 8 miliardi li mettiamo perché li hanno messi Francia e Germania. Poiché questo è un tema centrale, io penso che diventerà fondamentale il ruolo della CDP nella valutazione tecnica dei progetti. Cerchiamo di trovare una soluzione da qui al prossimo 24 giugno per far sì che da quel regolamento vengano fuori certezze e non altre camicie di forza, altrimenti questa sarebbe davvero l'ultima occasione persa.
  Infine, le sottopongo il tema dell'addizionalità. Si tratta di capire se il principio dell'addizionalità sia compatibile in qualche modo con la scelta di destinare una quota parte delle risorse che potranno esserci, perché una parte dei nostri enti locali, dei nostri enti territoriali, i progetti li hanno.
  Io guardavo questa mattina la lista del MEF sui progetti 2007-2013, che vanno rendicontati, attraverso la copertura dei fondi europei, entro dicembre 2015. Ce ne sono alcuni che hanno impegni zero: uno per tutti le direttrici ferroviarie, la cosiddetta alta velocità. Probabilmente il Governo dirà al Parlamento, tra qualche settimana o tra qualche mese, che non li spendiamo entro fine anno, che copriamo quegli investimenti con le risorse 2014-2020 e che quelle risorse saranno dirottate su altri investimenti per salvare il salvabile, come è già successo in passato per altri quadri comunitari di sostegno.
  La mia preoccupazione è che, se progetti così maledettamente centrali – sto parlando dell'alta velocità, non di cose particolarmente eclatanti – ci mettono così tanto nell'essere sviluppati (siamo infatti alla fine del periodo 2007-2013 e rendicontiamo entro dicembre 2015 quel periodo di programmazione), noi non abbiamo utilizzato quelle risorse. La mia preoccupazione è che, se non abbiamo le idee chiare su dove concentrare le risorse del Piano Juncker, questo rischia di diventare davvero un massacro senza precedenti.
  Poiché io credo alla finalità originaria e anche alla filosofia che lei ha sintetizzato, anche per il ruolo che CDP dovrà avere – e aggiungo per fortuna, altrimenti non vedo dove quella stanza di compensazione possa avvenire, stante questa condizione di caos nel rapporto tra le diverse amministrazioni centrali e territoriali – chiedo di fare un'ulteriore riflessione qui.
  E non escludo, anche dopo la risoluzione, che si debba continuare a fare una valutazione tra chi programma. Non voglio mettere il coltello nella piaga, ma la maggior parte dei progetti a impegno zero coperti da fondi strutturali – sto parlando di quelli centrali, al di là del dramma delle regioni che spendono poco – sono del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Sono partiti tardi, la finanziabilità è stata sofferta e il cofinanziamento faceva fatica a essere utilizzato. Stiamo rendicontando il 2015 sperando di salvare il salvabile.
  Il DEF, incluso l'Allegato sulle infrastrutture, fra venti giorni sarà presentato. Io mi auguro che il combinato disposto BEI-CDP ci aiuti almeno a uscire dal guado. Dopodiché, quei 21 miliardi di garanzie dovrebbero stimolare oltre 300 miliardi.
  Do la parola al presidente Bassanini per la replica.

  FRANCO BASSANINI, presidente di Cassa depositi e prestiti SpA. Grazie, presidente. Lascerò alcune risposte, col vostro permesso, a Bernardo Bini Smaghi. È evidente che le mie risposte vi sembreranno insoddisfacenti, perché ve ne sono alcune che deve fornire, inevitabilmente, la politica, ossia Governo e Parlamento.
  Sottolineo subito alcuni punti. Alcune domande hanno posto la questione dei tempi e delle procedure. Come vi avevo detto, è una questione che noi abbiamo messo sul tavolo, insieme alle altre istituzioni che dovrebbero collaborare all'attuazione del Piano Juncker, unanimemente sottolineando quello che il presidente Boccia ricordava poco fa: l'effetto del Piano Juncker dovrebbe essere quello di imprimere un'accelerazione forte agli investimenti Pag. 12subito, perché questa è una delle componenti fondamentali per la ripresa.
  Standard & Poor's ha pubblicato, qualche settimana fa, un rapporto in cui si dice che gli investimenti in infrastrutture sono quelli che hanno il più alto moltiplicatore rispetto alle altre manovre possibili, quali il taglio della pressione fiscale, l'aumento della spesa corrente e altre operazioni di questo genere. Sono gli investimenti che hanno il moltiplicatore più alto. È altissimo negli Stati Uniti, pari a 2,5, è più basso in Italia, pari a 1,4, ma è quello che ha il moltiplicatore più alto. Questo aspetto va considerato.
  Noi abbiamo avuto un crollo degli investimenti di quasi il 30 per cento negli ultimi cinque anni. Parlo degli investimenti pubblici o degli investimenti in infrastrutture. Sarebbe giusto pensare – non ricordo più chi l'abbia detto degli onorevoli deputati – che le garanzie Juncker andassero soprattutto ai Paesi che hanno visto la caduta maggiore degli investimenti.
  Tuttavia, c’è un principio che ha stabilito la Commissione europea e che rientra anche nelle regole BEI per cui non si fa una ripartizione territoriale preventiva. Non c’è ripartizione territoriale. Questa è anche la ragione per cui sia il Governo italiano, per quello che ho capito, sia noi abbiamo deciso di non versare le nostre risorse dentro il fondo. Mettere risorse dentro il fondo e poi sapere che si finanziano le wind farm nel Mare del Nord costituirebbe quasi uno sberleffo.
  Noi gli 8 miliardi li mettiamo perché sono condizionati a investimenti su progetti italiani ovvero su progetti che servissero a rafforzare le connessioni energetiche fra i Paesi del Sud dell'Europa o a completare le connessioni dei gasdotti nel Sud dell'Europa. Basti pensare che la Spagna ha una sovracapacità di rigassificazione. Utilizza al 30 per cento mediamente la sua capacità di rigassificazione. La connessione che manca è tra la rete dei gasdotti della penisola iberica e quella del Centro Europa. Il Centro Europa è connesso e la SNAM ha un ruolo molto importante, perché è il maggior player europeo ormai nel settore del trasporto di gas, nonché il maggiore azionista della rete gas del Sud della Francia. Completare questa connessione sarebbe utile. Questa potrebbe essere una piattaforma nella quale noi mettiamo volentieri una quota delle nostre risorse, perché serve al Paese. Tendenzialmente, però, noi vorremmo che quegli 8 miliardi fossero tutti impiegati in Italia e che a questi si aggiungessero le garanzie Juncker e possibilmente il cofinanziamento della BEI. Il moltiplicatore, a quel punto, sarebbe molto più forte.
  Possiamo fare questo, come ho detto, con vari strumenti, il primo dei quali è co-investire insieme alla BEI in progetti italiani o co-finanziare le PMI italiane. Il secondo strumento è mettere queste risorse in una piattaforma nazionale o regionale ma con l'intesa che sostanzialmente, nell'ambito della piattaforma regionale, decidiamo quale quota viene in Italia e quale va, per esempio, in Francia. Credo che alla fine questo si potrebbe fare.
  In questi termini abbiamo parlato anche al recente incontro bilaterale, all'Eliseo, fra Governo italiano e Governo francese, il quale sembrava assolutamente d'accordo sulle nostre posizioni. Tra l'altro, è capitato a me di illustrare in quella sede il problema del Piano Juncker e abbiamo trovato un'assoluta sintonia su tali questioni.
  In quest'ambito il problema della territorialità, salvo la ripartizione territoriale in Italia – su questo tema complicato lascio la parola a Bini Smaghi – per noi è molto semplice. Era evidentemente difficile ottenere che le garanzie Juncker fossero ripartite per Paese preventivamente. Ma per quanto ci riguarda, il nostro apporto è riservato agli investimenti e ai finanziamenti italiani. Altrimenti, non mettiamo le risorse. Questo è il punto, che è chiaro anche alle autorità europee.
  Questo, però, comporta anche che si dia una risposta alla prima questione, quella delle procedure e dei tempi. Una qualche intesa a Francoforte, nell'ultima riunione della BEI con noi, andava in Pag. 13questa direzione. Innanzitutto, si tratta di non ripetere le diverse istruttorie. C’è un lavoro nazionale, che noi faremo già insieme alle strutture italiane della BEI, a cui i progetti vanno presentati.
  Preciso al riguardo che i progetti possono essere presentati anche da amministrazioni locali o da gruppi di amministrazioni locali. D'altra parte, la proposta che noi avanziamo a Governo e Parlamento di costituire una sorta di unità tecnica di supporto dovrebbe servire soprattutto per le amministrazioni locali per strutturare progetti, perché si dovrebbe sperare, anche se non sempre è vero, che le amministrazioni centrali, a partire dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, non dovrebbero averne bisogno. Su questo, però, la verifica la farà, com’è nel suo potere e nel suo diritto, il Parlamento.
  Quindi l’origination dei progetti sostanzialmente nasce sul territorio. Noi faremo già un'istruttoria in dialogo con la BEI. Poi c’è un'istruttoria che viene fatta in Lussemburgo dalle strutture della BEI. L’investment committee, a nostro avviso, non dovrebbe dotarsi, come qualcuno sostiene, di un'altra, peraltro pesante, infrastruttura tecnica, per ripetere l'istruttoria, ma esprimere una valutazione sulla base delle carte che l'istruttoria BEI ha prodotto. Questo comporta già un taglio di tempi.
  In secondo luogo, noi pensiamo che l’investment committee dovrebbe esprimere una valutazione, sulla base delle carte, solo sull'eleggibilità ai fini delle garanzie. Non spetta all’investiment committee dire se il progetto sia buono o cattivo. Sostanzialmente, il suo è un compito relativamente limitato.
  Pensiamo, inoltre, che ci possano essere una serie di casi nei quali, avendo deciso la BEI di non cofinanziare, non ci sia bisogno di fare l'ulteriore passaggio attraverso gli organismi della BEI. Questo potrebbe essere uno snellimento.
  L'altra possibilità è prevedere che si possano creare delle piattaforme, per esempio per il finanziamento delle PMI o per le piccole infrastrutture, alle quali, una volta chiariti a Bruxelles e a Lussemburgo quali sono i criteri di eleggibilità, ci si possa poi affidare, facendo magari un controllo a campione, non però sui singoli progetti, perché una procedura che valuta i singoli progetti, ovviamente, è molto macchinosa.
  Quanto alla questione della banca delle infrastrutture nata a Pechino, noi non vi siamo coinvolti. Penso che la partecipazione decisa dai maggiori Governi europei sia importante. D'altra parte, ho visto che l'altro ieri Obama ha fatto un'apertura, proponendo forme di collaborazione strutturata tra la World Bank e la nuova banca con sede a Pechino. Ho capito che il Governo italiano metterà poco più di un chip in questa iniziativa. È una partecipazione che ha più un valore simbolico che un valore rilevante ai fini dell'allocazione delle risorse di bilancio italiano, ma è importante, perché può favorire l'attrazione di investimenti dal Paese che in questo momento ha le maggiori risorse disponibili.
  Su questo, come gruppo, noi abbiamo una certa esperienza, perché nel corso del 2014 abbiamo attratto 6 miliardi di investimenti dalla Cina, di cui 3 già versati e 3 che vanno finalizzati attraverso un accordo con la China Development Bank. In nessun caso abbiamo ceduto il controllo delle società o degli investimenti italiani. Non è un'operazione paragonabile all'operazione di Pirelli, per così dire, perché in questo caso il controllo è rimasto in Italia e gli investitori che vengono dalla Cina sono di minoranza. Anche i cosiddetti poteri di veto, di cui si è scritto che sono stati attribuiti, sono poteri piuttosto semplici. Se CDP Reti decide di investire, oltre che nelle infrastrutture energetiche, come attualmente previsto, anche in reti di telecomunicazione, è normale che un socio che ha il 35 per cento abbia il potere di dire: «Fatelo con un altro veicolo, perché, quando io sono entrato, la missione e l'oggetto sociale di questa società erano gli investimenti nelle reti energetiche attraverso Terna e SNAM».
  Sottolineo ancora, come ultima cosa, che il sistema del Piano Juncker funziona se, attraverso l'uso di queste garanzie di assunzione della prima perdita a carico Pag. 14del meccanismo del fondo, si creano condizioni di finanziabilità di più progetti, ossia l'addizionalità, che richiedono, ovviamente, finanziamenti privati.
  Anche i finanziamenti che mette la BEI e che mettiamo noi devono seguire una logica di sostenibilità. Peraltro, la nostra è una sostenibilità nel lungo termine. I ritorni, sia per noi sia per la BEI, sono ritorni nel lungo termine. Questa nostra missione è resa possibile dal fatto che i nostri azionisti non sono speculativi, come lo Stato e le fondazioni bancarie, nel caso dell'Italia. Però ci deve essere la sostenibilità, anche perché, come sapete, noi impieghiamo il risparmio delle famiglie.
  Questo aspetto è importante, perché il concetto di attrazione di capitali e di finanziamenti privati, il moltiplicatore, funziona in quei termini solo così, perché crea le condizioni per cui BEI e CDP possano intervenire a finanziare, grazie a quelle garanzie, più progetti di quelli che avrebbero comunque finanziato e, in più, crea anche le condizioni perché entrino probabilmente altri investitori e altri finanziatori, avendo ridotto il rischio per l'investimento che finanzia il progetto.
  Se posso, lascerei la parola a Bernardo Bini Smaghi per le risposte che mancano.

  BERNARDO BINI SMAGHI, responsabile Business Development di Cassa depositi e prestiti SpA. Buonasera. Svolgo una premessa generale: è chiaro che qui stiamo parlando di un intervento comunitario a supporto e complementare agli altri interventi che la Commissione e l'Unione europea utilizzano per supportare la crescita dei Paesi e lo sviluppo.
  Ricordiamo che ci sono i fondi strutturali e i finanziamenti BEI che sono i due strumenti fino a oggi sul tavolo: i fondi strutturali sono a fondo perduto, i finanziamenti BEI basati sulla finanza. Questo è un terzo strumento che complementa lo strumento BEI, permettendo a BEI di prendere più rischi. Dunque, siamo nell'ambito della famiglia dei finanziamenti BEI, chiedendo a BEI di prendere più rischi. Non siamo nell'ambito del fondo perduto.
  Quando parliamo di criteri, il criterio principale è per forza il criterio base BEI. Se non siamo nelle politiche generali della BEI e dell'Unione europea, non possiamo intervenire. Dunque, il focus è più sull'efficientamento energetico, sulla riduzione di CO2, sulle infrastrutture, sulle piccole e medie imprese, sulla ricerca e meno, per esempio, sullo sviluppo industriale maturo o di base, ossia il classico intervento BEI.
  Quanto all'addizionalità, tornando alla presentazione di Scannapieco, l'anno scorso la BEI è intervenuta in Italia per 11 miliardi, in Spagna per 13 miliardi. Mettendo insieme i 24 miliardi sui 70 complessivi, siamo al 35 per cento. Dunque, solo Italia e Spagna, normalmente, nell'operatività della BEI rappresentano il 35 per cento, che è già una distribuzione geografica diversa dalle forze economiche in campo.
  Visto che l'addizionalità dovrebbe permetterebbe alla BEI di prendere più rischi, se tutto va come deve andare, ovvero se la domanda di progetti risponde all'offerta di finanza aggiuntiva, questa percentuale del 35 per cento, a rigor di logica, dovrebbe aumentare.
  Provo a fare un esempio. Far prendere alla BEI più rischi a confronto con quello che fa oggi significa, per esempio, che oggi la BEI finanzia le autostrade in Italia prendendo una serie di rischi e non altri, chiedendo garanzie, come abbiamo detto prima, a noi, a SACE o al Governo stesso. Quando la BEI finanzia un'autostrada in Belgio, non prende garanzie. Va direttamente sul progetto, trattandosi di un Paese a tripla A, o quasi. L'Olanda è la stessa cosa. Sono i famosi Paesi del cuore del partenariato pubblico-privato, dove non ci sono grandi rischi.
  Cosa significa questo ? Se un domani la BEI arriva al comitato degli investimenti del Piano Juncker e chiede la garanzia per un'autostrada in Belgio, il comitato dovrebbe chiedere dov’è l'addizionalità. Non c’è. Dunque, il progetto va finanziato con la classica finanza BEI, senza la garanzia Juncker.
  Ricordiamoci che la finanza normale BEI deve continuare. Gli 11 miliardi dell'anno Pag. 15scorso si devono ripetere quest'anno senza garanzia e, in più, dobbiamo riuscire a portare progetti che dovrebbero essere finanziati con maggiori rischi.
  Quanto ai criteri di selezione, è vero che c’è il valore economico sociale, come ha risposto giustamente il vicepresidente Scannapieco, ma sicuramente uno dei criteri sarà questa maggior presa di rischio che oggi dovrà assumere la BEI. Per quello che sappiamo, questi famosi criteri non sono stati determinati. Saranno oggetto di una negoziazione che il Parlamento in questo momento ha demandato al rapporto tra Commissione e BEI.
  Passiamo alla tempistica. Forse dovrebbe avervelo detto Scannapieco, ma la tempistica è già iniziata. Dal 1o gennaio sono eleggibili il Piano Juncker e la garanzia Juncker e, dunque, dal 1o gennaio di quest'anno possono essere finanziati progetti dalla BEI ai sensi del Piano Junker. La BEI è autorizzata – è scritto nel regolamento – a iniziare da ora, anche se non è operativa la garanzia, a fare una specie di warehousing, come lo chiamano e, quindi, a decidere di prendere sul bilancio della BEI un progetto, per poi passarlo alla garanzia.
  Noi stiamo iniziando con BEI a mettere a punto una serie di iniziative, in particolare sulle piccole e medie imprese. Speriamo proprio di riuscire a farle partire prima ancora che parta ufficialmente la garanzia Juncker.
  Sulle tempistiche è vero quello che è stato detto finora: è una giusta preoccupazione il fatto che dentro BEI, quando l'istruttoria sale – lo vediamo oggi nelle varie operatività – ci vogliono spesso mesi. Non a caso, stiamo partendo già da ora, ma questo rimane un problema.
  Il Sud, è vero, è un tema importante. Nell'attuale gruppo di lavoro, che noi chiamiamo task force italiana, dove c’è BEI con noi e con il Ministero dell'economia e delle finanze e coinvolgiamo gli altri ministeri, abbiamo coinvolto l'Agenzia dei fondi strutturali per fare il necessario blending tra i fondi strutturali, che noi chiamiamo la «seconda addizionalità», perché è a fondo perduto, per permettere anche a progetti, che non sono molti devo dire, che coinvolgono privati nel Sud di avere quel supporto da parte del fondo perduto dei fondi strutturali, necessario per entrare nel finanziamento.
  Naturalmente, un tema evidente a tutti è la banda larga, dove per investire in città come Napoli, Bari o Palermo sarà utile avere il contemporaneo cofinanziamento da parte dei fondi strutturali. Su questo tema c’è un gruppo di lavoro che sta lavorando.

  FRANCO BASSANINI, presidente di Cassa depositi e prestiti SpA. Se posso interrompere un attimo, il tema della banda larga è interessante dal punto di vista dei tempi, perché è uno degli investimenti infrastrutturali che si possono cantierare più rapidamente.
  Io sono presidente di Metroweb. A Bologna abbiamo firmato col sindaco a giugno l'accordo per l'uso delle infrastrutture comunali. La progettazione esecutiva è stata fatta a luglio dell'anno scorso, il 1o settembre si sono aperti cantieri e a Natale è stato consegnato agli operatori telefonici un quinto della città.
  Il tema della banda larga è che, una volta deciso che è eleggibile e, quindi, una volta che sono finite le procedure, si può far partire l'investimento subito, mentre, solo per fare un esempio, sono pronto a scommettere che per l'autostrada E45 prima del 2019 di cantieri aperti non ne vedremo.
  Il problema è non solo decidere l'investimento e, quindi, avere procedure rapide di decisione secondo le procedure Juncker, ma anche poi attivarlo, perché solo così si ha un effetto anticiclico, si fa lavorare della gente e si mette in moto l'economia. Quello della banda larga è un esempio particolarmente significativo.

  BERNARDO BINI SMAGHI, responsabile Business Development di Cassa depositi e prestiti SpA. Con gli 8 miliardi quali progetti finanziare ? Non è una cifra messa a caso quella degli 8 miliardi. Dietro gli 8 miliardi ci sono dei progetti. Di cosa parliamo ?Pag. 16
  Quando una struttura finanziaria di investimento come noi e la BEI comincia a ragionare sui progetti non dà i nomi finché non sono approvati. I nomi, però, sono comunque conosciuti dal sistema dei ministeri, perché noi ci parliamo tutti i giorni e ogni settimana abbiamo almeno tre o quattro riunioni con i ministeri sui singoli progetti.
  Dunque, dietro gli 8 miliardi possiamo anche dire che c’è una ripartizione più o meno di 3 miliardi sulle piccole e medie imprese e di 5 miliardi sulle infrastrutture. Sappiamo che ci sono delle iniziative concrete a cui lavoriamo. Sappiamo che ci sono dei problemi per cui abbiamo deciso, peraltro, di non aspettare le scelte del Governo e del Parlamento di creare quell'unità, ma di anticiparla informalmente, e noi e BEI stiamo lavorando sui singoli progetti.
  Chi può presentare i progetti ? Lo stanno facendo i ministeri competenti, i comuni, le amministrazioni. A chi li presentano ? Ai singoli ministeri, a noi, alla BEI o al Ministero dell'economia e delle finanze. Ci sarà, a livello centrale, a livello europeo, un hub informatico di ricezione. Sicuramente creeremo una struttura simile in Italia.
  Per finire, quando parlavamo dell'addizionalità e degli enti locali, in questo momento, con le regole dell’European Fund for Strategic Investments-EFSI non può essere finanziata la parte pubblica, ma stiamo cercando di aprire, parlando con le persone di BEI, ai piccoli comuni e ai progetti sotto una determinata soglia.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Bini Smaghi.
  Ringrazio la delegazione di Cassa depositi e prestiti SpA e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 18.30.