Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

VI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Martedì 10 dicembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Capezzone Daniele , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI STRUMENTI FISCALI E FINANZIARI A SOSTEGNO DELLA CRESCITA, ANCHE ALLA LUCE DELLE PIÙ RECENTI ESPERIENZE INTERNAZIONALI

Seguito dell'esame e approvazione del documento conclusivo.
Capezzone Daniele , Presidente ... 2 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 2 
Capezzone Daniele , Presidente ... 2 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 2 
Gutgeld Itzhak Yoram (PD)  ... 2 
Capezzone Daniele , Presidente ... 3 

ALLEGATO 1: Riformulazione della proposta di documento conclusivo ... 4 

ALLEGATO 2: Documento conclusivo approvato dalla Commissione ... 28

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DANIELE CAPEZZONE

  La seduta comincia alle 13.45.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Seguito dell'esame e approvazione del documento conclusivo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita, anche alla luce delle più recenti esperienze internazionali, il seguito dell'esame del documento conclusivo.
  L'atto che dobbiamo compiere è importante e significativo per tutte le forze politiche, considerato che tutti vi abbiamo concorso: mi riferisco all'adozione del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva che abbiamo svolto negli scorsi mesi.
  La versione iniziale del testo è stata via via emendata, raccogliendo spunti e suggerimenti forniti dai diversi gruppi. Da ultimo sono state inserite due ulteriori aggiunte.
  È stata pertanto predisposta una riformulazione della proposta di documento conclusivo (vedi Allegato 1).
  Do quindi la parola ai colleghi che intendono intervenire.

  GIOVANNI PAGLIA. Signor presidente, vorrei formulare un suggerimento dell'ultimo minuto.

  PRESIDENTE. In genere sono i migliori.

  GIOVANNI PAGLIA. Laddove c’è un passaggio del documento in cui si richiama il ruolo dei fondi pensione, vorrei invitare a valutare la possibilità di prevedere che una quota minima degli investimenti dei fondi sia realizzata all'interno dell'economia nazionale, con particolare riferimento ai minibond. Il suggerimento era stato già formulato e io credo valga la pena di inserirlo in termini di valutazione, non certo con formula prescrittiva. Mi pare che la questione in questo momento sia affrontata anche a livello europeo, quindi è opportuno tenerla presente.

  ITZHAK YORAM GUTGELD. Signor presidente, noi saremmo a favore di questa integrazione. Quella che propone il collega Paglia è sostanzialmente una misura analoga a quella prevista dalla legge francese, che in qualche modo obbliga fondi pensione e compagnie assicurative, in particolare, a destinare una parte del loro portafoglio ad investimenti a supporto delle imprese. Pag. 3
  Mi sembra un'aggiunta opportuna. Non so se lei sia d'accordo, signor presidente.

  PRESIDENTE. Personalmente non ho alcuna obiezione. Se non vi sono altre osservazioni, possiamo porre in votazione il documento, con l'integrazione proposta dal deputato Paglia (vedi Allegato 2).
  Se non vi sono osservazioni e obiezioni, il documento conclusivo si intende approvato all'unanimità.
  Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 13.55.

Pag. 4

ALLEGATO 1

Indagine conoscitiva su: «Gli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita, anche alla luce delle più recenti esperienze internazionali».

RIFORMULAZIONE DELLA PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

1. L'OGGETTO DELL'INDAGINE

  L'indagine conoscitiva ha preso spunto dalla considerazione secondo cui la crisi finanziaria internazionale ha inciso su alcune delle caratteristiche del sistema imprenditoriale italiano, che in passato hanno conferito flessibilità e dinamismo al sistema – dimensione media d'impresa piuttosto ridotta, basso livello di capitalizzazione, carattere informale delle strutture imprenditoriali, nonché resistenza ad aprirsi al capitale esterno e forte dipendenza dal credito bancario – trasformandole da elementi di forza in fattore di debolezza.
  Tale evoluzione si inquadra in un contesto normativo europeo nel quale gli stringenti requisiti di patrimonializzazione delle banche introdotti da Basilea 3 hanno peggiorato le condizioni di liquidità delle banche italiane, per lo più focalizzate sulle attività tradizionali di banche commerciali; a ciò si aggiunge un più elevato premio per il rischio (costituito essenzialmente dai premi medi sui credit default swap – CDS) che le banche nazionali pagano rispetto agli operatori creditizi di altri Paesi europei nostri competitori a livello internazionale (ad esempio Francia e Germania), rendendo il costo del denaro più alto per le imprese italiane rispetto a quanto pagato dalle imprese degli altri Paesi europei.
  In quest'ambito la Commissione Finanze della Camera ha ritenuto opportuno svolgere un'indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita, anche alla luce delle più recenti esperienze internazionali.
  L'analisi svolta nel corso dell'indagine ha riguardato soprattutto le misure e le strategie di natura creditizia e finanziaria per assicurare al tessuto produttivo nazionale la necessaria liquidità e un'adeguata dotazione di capitale.
  Sotto questo profilo, la Commissione ha individuato quale nodo fondamentale per l'analisi della crisi e per l'individuazione di strategie di superamento della stessa la problematica concernente il credito alle imprese ed alle famiglie. L'indagine ha quindi inteso approfondire i meccanismi causali, sia contingenti sia strutturali, che hanno portato all'attuale condizione di restrizione del credito, nonché le prospettive evolutive che essa potrà avere sul panorama complessivo dell'economia italiana, per individuare ipotesi di correttivi e soluzioni che possano costituire la base per il lavoro parlamentare e contribuire ad orientare in termini più precisi e concreti il confronto politico su questi temi.
  Tra gli aspetti valutati prioritariamente dalla Commissione con l'obiettivo di individuare gli strumenti per potenziare l'erogazione del credito alle imprese e rafforzare il capitale di rischio delle medesime vi sono:
   il potenziamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese e l'individuazione di altri strumenti di garanzia pubblica in questa materia;
   l'ampliamento del mercato nazionale del capitale di rischio e la diversificazione Pag. 5dei canali di erogazione di capitale di debito;
   il potenziamento del ruolo svolto in materia dalla Cassa Depositi e prestiti;
   l'incentivazione del ruolo dei fondi pensioni, dei fondi assicurativi e degli investitori istituzionali nel rafforzamento del capitale di rischio delle imprese italiane;
   l'adozione di forme di «mini bond» per il finanziamento alle imprese;
   la cartolarizzazione dei crediti delle PMI, eventualmente con il supporto della BCE;
   l'incentivazione del ruolo del venture capital e del private equity, sia a sostegno delle start up sia a sostegno delle imprese industrialmente sane ma in difficoltà creditizia.

  Nel corso dell'indagine, che è stata deliberata il 30 maggio 2013 e si è articolata nell'arco di circa cinque mesi, sono stati ascoltati il Direttore di McKinsey & Company, il Direttore generale di Unicredit, il Direttore generale della Banca Finnat Euramerica, il Direttore generale di Unipol Gruppo Finanziario SpA, il Presidente dell'Associazione italiana del private equity e venture capital (AIFI), la Presidente di Action Institute, il Presidente della Banca Monte dei Paschi di Siena, il Presidente della CONSOB, i rappresentanti della Banca d'Italia, il Presidente di Banca Popolare Etica, nonché i rappresentanti di Federcasse.

2. IL QUADRO NORMATIVO

  Per inquadrare meglio le tematiche oggetto dell'indagine conoscitiva appare opportuno, prima di passare a sintetizzare gli elementi emersi nel corso dell'attività conoscitiva, fornire una succinta ricognizione dei principali interventi adottati nel corso degli ultimi anni, sia in ambito finanziario sia in ambito tributario, per il sostegno al sistema delle imprese.
  Per quanto attiene al primo ambito il legislatore, nell'intento di ovviare alla contrazione dei finanziamenti alle imprese, ha approntato misure normative e convenzionali volte, da un lato, ad incentivare gli istituti bancari a riattivare i canali del credito, e, dall'altro, a favorire il reperimento di risorse finanziarie con modalità alternative rispetto al ricorso ai prestiti bancari.
  Sotto il secondo profilo sono stati adottati una serie di interventi fiscali sul settore produttivo che intendono rilanciare la competitività delle imprese italiane e di promuovere la crescita del Paese.
  Inoltre saranno richiamati gli interventi recentemente adottati sulla disciplina fallimentare, che pure costituiscono un elemento di contesto importante per le prospettive del tessuto imprenditoriale.

2.1 Misure tributarie di sostegno alle attività economiche.
  In tale contesto si richiamano anzitutto le misure volte alla concessione di incentivi fiscali per promuovere la costituzione di aggregazioni di imprese, sotto forma di distretti produttivi e di contratti di rete (articolo 6-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 e decreto-legge n. 179 del 2012).
  Sotto un diverso profilo, il legislatore è intervenuto con lo scopo di incentivare la capitalizzazione delle imprese italiane: l'articolo 1 del decreto-legge n. 201 del 2011, al fine di favorire il finanziamento delle imprese mediante capitale proprio, ha introdotto il cosiddetto Aiuto alla crescita economica – ACE, consentendo alle imprese di dedurre dal reddito imponibile la componente derivante dal rendimento nozionale di nuovo capitale proprio. Tale misura ha ridotto in misura significativa i vantaggi fiscali del finanziamento con debito rispetto a quello con capitale di rischio, con la conseguenza, evidenziata dalla Banca d'Italia nel corso dell'indagine, che nel biennio 2012-2013 circa il 6 per cento delle imprese dell'industria e dei servizi e il 5 di quelle delle costruzioni sono state indotte ad accrescere la loro capitalizzazione. Pag. 6
  È stato poi introdotto un trattamento di favore per le perdite registrate dalle imprese di recente costituzione.
  La forma del credito d'imposta è stata altresì spesso utilizzata al fine di promuovere l'assunzione, da parte delle imprese, di personale o l'effettuazione di investimenti. Il legislatore ha previsto crediti d'imposta in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca (articolo 1 del decreto-legge n. 70 del 2011), di quelle che assumono lavoratori a tempo indeterminato nelle regioni del Mezzogiorno (articolo 2 del citato decreto-legge n. 70 del 2011 e articolo 2, comma 9, del decreto-legge n. 76 del 2013) e a favore di tutte le imprese che effettuano nuove assunzioni a tempo indeterminato di profili professionali altamente qualificati (articolo 24 del decreto-legge n. 83 del 2012). La misura è stata estesa (dal decreto-legge n. 179 del 2012) anche alle imprese qualificabili come «start-up innovative», con modalità semplificate di fruizione.
  Le imprese «start up» e gli incubatori certificati godono altresì di ulteriori agevolazioni fiscali, operanti nei confronti di amministratori, dipendenti e collaboratori di tali soggetti: in favore di tali soggetti è prevista l'esenzione da imposizione fiscale e contributiva per la parte di reddito di lavoro che deriva dall'attribuzione di azioni, quote, strumenti finanziari o diritti partecipativi nelle predette imprese (ai sensi dell'articolo 27 del decreto-legge n. 179 del 2012). Inoltre, per gli anni 2013-2015, accanto a specifiche detrazioni IRPEF, è stata prevista per i soggetti IRES la possibilità di dedurre dall'imponibile parte delle predette somme investite nel capitale sociale di imprese start-up innovative.
  In materia di agevolazioni IRAP, si ricorda che l'articolo 2 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha reso integralmente deducibile ai fini delle imposte dirette (IRES e IRPEF), a decorrere dal 2012, la quota di IRAP dovuta relativa al costo del lavoro. Di segno analogo è l'intervento recato dalla legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi 484 e 485, della legge n. 228 del 2012), che ha modificato la disciplina delle deduzioni IRAP, elevando gli importi per i lavoratori assunti a tempo indeterminato e per i contribuenti di minori dimensioni. Tali disposizioni si applicano a decorrere dal 2014. Infine, sono stati innalzati gli importi deducibili complessivamente dall'IRAP in favore dei soggetti di minori dimensioni, ovvero quelli con base imponibile non superiore a 180.999,91 euro, diversi dalle pubbliche amministrazioni.
  Tali interventi, congiuntamente al fondo istituito dalla legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 95 a 97, della legge n. 228 del 2012) e alle misure di detassazione dei contratti di produttività, si inquadrano nell'alveo delle misure adottate al fine di ridurre il cosiddetto «cuneo fiscale», ovvero la differenza tra l'onere del costo del lavoro per l'imprenditore e il reddito effettivo percepito dal prestatore d'opera o lavoratore.
  Diversi interventi legislativi hanno inteso rilanciare mediante la leva tributaria il settore delle infrastrutture: si ricordano in questa sede le misure per la tassazione agevolata dei cosiddetti project bond (ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge n. 83 del 2012), con l'applicazione di un'imposta sostitutiva con aliquota al 12,5 per cento sulle emissioni obbligazionarie effettuate nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 da parte delle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità.
  A seguito degli interventi apportati con l'articolo 33 del decreto-legge n. 179 del 2012 e con l'articolo 19 del decreto-legge n. 69 del 2013 il legislatore ha delineato tre ulteriori modalità di sostegno alla realizzazione di nuove infrastrutture, le cui procedure sembrano essere sostanzialmente analoghe:
   in via sperimentale, è stato introdotto un credito d'imposta per nuove opere di importo superiore a 200 milioni di euro entro il limite massimo del 50 per cento del costo dell'investimento; esso spetta per la realizzazione di nuove opere infrastrutturali di rilevanza strategica nazionale con contratti di partenariato pubblico privato (PPP) a valere sull'IRES e sull'IRAP generate Pag. 7in relazione alla costruzione e gestione dell'opera stessa; l'approvazione della progettazione definitiva deve avvenire entro il 31 dicembre 2016;
   è prevista l'esenzione dal pagamento del canone di concessione nella misura necessaria al raggiungimento dell'equilibrio del piano economico-finanziario, sempre per nuove opere di importo superiore a 200 milioni di euro, cumulabile con la misura precedente;
   in alternativa, è prevista la «defiscalizzazione» delle nuove opere incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche previsti a legislazione vigente (ai sensi dell'articolo 18 della legge n. 183 del 2011), consistente nella possibilità di compensare le imposte con quanto dovuto alla PA a titolo di contributo pubblico a fondo perduto.

2.2 Fondi di garanzia e altri interventi agevolativi.
  Nel solco della riattivazione dei tradizionali finanziamenti bancari si collocano gli interventi concernenti il Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese. Il Fondo, costituito dalla legge n. 662 del 1996 (articolo 2, comma 100, lettera a)) e successivamente rifinanziato, ha lo scopo di garantire una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese.
  Da ultimo, il decreto-legge n. 69 del 2013, all'articolo 1, ha demandato a un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (non ancora emanato) la definizione di misure volte ad ampliare le possibilità di accesso al credito, a limitare il rilascio della garanzia alle operazioni finanziarie di nuova concessione o erogazione e a prevedere specifici criteri di valutazione ai fini dell'accesso alla garanzia da parte delle imprese sociali e delle cooperative sociali. Tali interventi sono estesi anche ai professionisti iscritti agli ordini professionali e a quelli aderenti alle associazioni professionali di professioni non organizzate. Inoltre, al Fondo di garanzia possono affluire contributi su base volontaria destinati alla microimprenditorialità.
  Dal 2009 al 2012 il Fondo ha concesso garanzie su oltre 31 miliardi di euro di prestiti; nei primi sei mesi dell'anno in corso ha accolto quasi 35.000 domande, per un volume dei finanziamenti pari a 4,8 miliardi, in aumento del 38 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
  Il decreto-legge n. 69 del 2013 ha inoltre previsto un meccanismo incentivante – attraverso l'intervento di Cassa Depositi e prestiti – per le micro, piccole e medie imprese che vogliono effettuare investimenti, anche tramite leasing, di macchinari, impianti, attrezzature ad uso produttivo; l'agevolazione si applica anche all'acquisto di beni strumentali d'impresa, nonché per gli investimenti in hardware, in software ed in tecnologie digitali.
  Tra le principali misure di natura convenzionale, si ricorda che nel febbraio del 2012 è stata sottoscritta l'intesa tra il Ministero dell'Economia e delle Finanze, il Ministero dello Sviluppo economico, l'ABI e le altre associazioni di rappresentanza delle imprese, denominata Nuove misure per il credito alle PMI, volta alla sospensione dei pagamenti da parte di talune imprese e all'allungamento dei piani di finanziamento. Il 1 luglio 2013 l'ABI e le associazioni di impresa hanno sottoscritto l'Accordo per il credito 2013, recante misure analoghe a quelle già messe a disposizione delle PMI con la predetta intesa di febbraio 2012. In merito si segnala che al 31 luglio 2013 risultavano accolte circa 105.000 domande di sospensione e che i rimborsi in conto capitale interessati dalla sospensione erano pari a 4,3 miliardi.

2.3 Nuovi strumenti finanziari di accesso al mercato dei capitali.

  Con l'intento di facilitare l'accesso alla raccolta del capitale di debito per le società non quotate, quale alternativa al canale di finanziamento bancario, il legislatore ha introdotto diversi strumenti volti a ridurre i vincoli normativi, civilistici Pag. 8e fiscali che hanno sinora limitato il ricorso al mercato dei capitali mediante l'emissione di tali strumenti.
  Infatti, nonostante la riforma del diritto societario attuata con il decreto legislativo n. 6 del 2003 abbia ampliato il novero degli strumenti cartolari di debito che le imprese possono emettere sul mercato, le limitazioni patrimoniali all'indebitamento e gli adempimenti amministrativi richiesti dalla normativa di settore ne avevano consentito di fatto la fruizione esclusivamente alle società con azioni negoziate nei mercati regolamentati e agli istituti di credito.
  Come sottolineato dall'Agenzia delle entrate nella circolare 4/E del 2013, la riforma delle cambiali finanziarie (mini bond) e dei titoli obbligazionari emessi dalle imprese ha inteso ridurre la disparità tra società italiane con azioni quotate e società italiane non quotate, rendendo possibile anche per queste ultime l'emissione di strumenti di debito da destinarsi ai mercati domestici ed internazionali.
  Per quanto riguarda i «mini bond», l'articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012 (modificato dal decreto-legge n. 179 del 2012) ne ha semplificato e aggiornato la disciplina originaria, contenuta nella legge 13 gennaio 1994, n. 43.
  Sulla base delle modifiche apportate dai citati decreti, la scadenza non può essere inferiore ad un mese e superiore a trentasei mesi dalla data di emissione; le cambiali possono essere emesse da tutte le società di capitali, da società cooperative e mutue assicuratrici (diverse dalle banche e dalle micro-imprese). Tuttavia, le società e gli enti non aventi titoli rappresentativi del capitale negoziati in mercati (regolamentati o non regolamentati) possono emettere i mini bond subordinatamente alla presenza di determinati requisiti, tra cui l'assistenza di uno sponsor (una banca, un'impresa di investimento, una società di gestione del risparmio, una società di gestione armonizzata, una società di investimento a capitale variabile, purché con succursale costituita nel territorio dello Stato), che assista e supporti la società nella procedura di emissione e nella fase di collocamento dei titoli e mantenga nel proprio portafoglio, sino alla naturale scadenza, una quota dei titoli variabile in funzione dell'ammontare complessivo dell'emissione. Le società emittenti, che non siano classificabili tra le piccole e medie imprese (come definite dalla raccomandazione 2003/36/CE) possono rinunciare alla nomina dello sponsor; in ogni caso è richiesto che l'ultimo bilancio della società emittente non quotata sia certificato da un revisore contabile o da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili. È altresì previsto che i mini bond emessi da società non quotate devono essere emessi e girati esclusivamente in favore di investitori professionali che non siano, direttamente o indirettamente, soci della società emittente. I mini bond possono essere altresì emessi in forma dematerializzata.
  Per le emissioni dei minibond è stato creato l'apposito mercato ExtraMOT PRO, gestito dalla Borsa italiana; ad oggi sono classificati come minibond e, quindi, quotati all'ExtraMOT PRO, circa 1,5 miliardi di emissioni, concentrati soprattutto in due o tre emissioni.
  In tema di obbligazioni, il richiamato articolo 32 del decreto-legge n. 83 ha inoltre modificato la disciplina dell'emissione, da parte di società non quotate diverse dalle banche e dalle micro-imprese, di obbligazioni e titoli similari che prevedono clausole di partecipazione agli utili d'impresa e di subordinazione.
  In particolare, i commi da 19 a 26 dell'articolo 32 hanno introdotto alcune disposizioni specificamente riferite alle emissioni di obbligazioni partecipative e subordinate da parte di società non emittenti strumenti finanziari rappresentativi del capitale quotati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione (diverse dalle banche e dalle micro-imprese).
  Sono anzitutto disciplinate le caratteristiche civilistiche che i suddetti titoli devono possedere ai fini della loro qualificazione come vere e proprie obbligazioni (rientranti, quindi, nell'ambito dell'articolo 2411, primo e secondo comma, del codice Pag. 9civile). In particolare è prevista la possibilità per le società non quotate di emettere titoli obbligazionari che prevedano clausole di partecipazione agli utili di impresa e di subordinazione, purché presentino alcune caratteristiche relative alla durata (non inferiore a trentasei mesi), alla clausola di postergazione (si deve prevedere il diritto al rimborso subordinatamente agli altri creditori della società, mantenendo la prelazione al rimborso soltanto rispetto agli azionisti) e alla remunerazione (la remunerazione deve essere necessariamente composta da una parte fissa e da una parte variabile, il tasso di interesse riconosciuto al portatore del titolo non può essere inferiore al tasso ufficiale di riferimento pro tempore vigente, mentre la parte variabile del corrispettivo deve essere commisurata al risultato economico dell'impresa emittente).
  L'articolo 32 dello stesso decreto-legge n. 83 del 2012 ha poi operato una revisione della disciplina relativa alla deducibilità degli interessi passivi corrisposti da parte dei soggetti emittenti cambiali finanziarie, obbligazioni e titoli similari.
  Per effetto delle modifiche introdotte, per le cambiali finanziarie, le obbligazioni e i titoli similari emessi da società non quotate, non si applica tout court la regola della indeducibilità degli interessi passivi, purché i predetti strumenti finanziari siano quotati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione di Paesi comunitari o aderenti allo Spazio economico europeo (SEE) inclusi nella white list. Ove le cambiali finanziarie, le obbligazioni e i titoli similari non siano quotati, la disapplicazione delle regole di indeducibilità si verifica qualora gli strumenti siano detenuti da investitori qualificati, i quali a loro volta non devono detenere (direttamente o indirettamente, anche a tramite di società fiduciarie, interposta persona o familiare) più del 2 per cento del capitale o del patrimonio dell'emittente. Sono stati inoltre posti stringenti requisiti ai fini della determinazione della percentuale massima di partecipazione degli investitori qualificati al capitale delle società emittenti.
  Per quanto concerne il trattamento fiscale degli interessi percepiti dagli investitori, il già citato articolo 32 ha disposto l'applicazione dell'imposta sostitutiva nella misura del 20 per cento a:
   cambiali finanziarie, obbligazioni e titoli similari emessi da banche, società per azioni quotate in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione comunitari, o di Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella white list;
   obbligazioni e titoli similari emessi da enti pubblici trasformati in S.p.a. per effetto di disposizioni di legge;
   cambiali finanziarie, obbligazioni e titoli similari emesse da società di capitali, cooperative e mutue assicuratrici, diverse dalle banche e dalle micro-imprese, non quotate o non ex enti pubblici;

  L'imposta sostitutiva si applica agli interessi derivanti da strumenti finanziari emessi a decorrere dal 26 giugno 2012 (data di entrata in vigore del decreto-legge n. 83 del 2012). Restano assoggettati alla ritenuta del 20 per cento (ai sensi dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973) gli interessi derivanti da obbligazioni, titoli similari e cambiali finanziarie non quotati emessi da società per azioni non negoziate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione.
  L'articolo 41 del decreto-legge n. 1 del 2012 (cosiddetto decreto «liberalizzazioni») ha consentito alle società di progetto e alle società titolari di un contratto di partenariato pubblico-privato di emettere, oltre alle obbligazioni, anche titoli di debito, con lo scopo di realizzare una singola infrastruttura o un nuovo servizio di pubblica utilità, anche in deroga ai limiti previsti dal Codice civile (cosiddetti project bond). Gli strumenti sono sottoscritti solo da investitori qualificati; le obbligazioni e i titoli di debito sono nominativi e non possono essere trasferiti a soggetti che non siano investitori qualificati. Pag. 10
  In rapporto ai project bond non trovano applicazione specifiche norme del codice civile in materia di emissioni obbligazionarie (tra cui quelle in materia di riduzione di capitale, garanzie, assemblea degli obbligazionisti). I titoli e la relativa documentazione di offerta devono riportare chiaramente un avvertimento circa l'elevato profilo di rischio associato all'operazione. Tali obbligazioni e titoli di debito possono essere garantiti, sino all'avvio della gestione dell'infrastruttura da parte del concessionario, dal sistema finanziario, da fondazioni e da fondi privati.
  A seguito delle norme contenute nell'articolo 1 del decreto-legge n. 83 del 2012, alle società che emettono project bond non si applicano i già richiamati limiti di deducibilità degli interessi passivi derivanti da obbligazioni. Inoltre è previsto un regime agevolato, ai fini delle imposte di registro e ipocatastali, per le garanzie rilasciate in relazione all'emissione di project bond. L'emissione di detti titoli viene infine consentita anche alle società già operative, per coprire debiti contratti precedentemente sulle infrastrutture esistenti.
  Per effetto delle norme contenute nel decreto-legge n. 69 del 2013, le agevolazioni fiscali in materia di deducibilità degli interessi passivi e il regime agevolato ai fini delle imposte di registro e ipocatastali hanno carattere strutturale. Si applica invece alle sole obbligazioni emesse nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 l'agevolazione relativa al regime fiscale sugli interessi, consistente nell'equiparazione a quello sui titoli di Stato: gli interessi derivanti da tali emissioni sono dunque sottoposte a tassazione sostitutiva con aliquota al 12,5 per cento.

2.4 Il venture capital.
  Al fine di favorire l'afflusso di capitale di rischio verso le nuove imprese, il legislatore ha introdotto (all'articolo 31 del decreto-legge n. 98 del 2011) un regime fiscale di favore in materia di fondi di venture capital (FVC) specializzati nelle fasi iniziali di avvio delle imprese.
  Più in dettaglio, per favorire l'accesso al venture capital e sostenere i processi di crescita di nuove imprese tramite fondi comuni di investimento, sono esenti da imposizione fiscale i proventi derivanti dalla partecipazione ai fondi di venture capital.
  Per l'operatività dell'esenzione occorre rispettare condizioni relative alla misura dell'investimento, alla tipologia dei beneficiari e alle caratteristiche dei soggetti investitori. Anzitutto deve trattarsi di fondi comuni di investimento che investono almeno il 75 per cento dei capitali raccolti in società non quotate nella fase di: sperimentazione (seed financing); costituzione (start-up financing); avvio dell'attività (early-stage financing); sviluppo del prodotto (expansion financing). Per accedere al beneficio, tuttavia, le società destinatarie dei FVC non devono essere quotate; devono avere sede operativa in Italia; devono essere soggette all'imposta sul reddito delle società (o imposta analoga prevista dalla legislazione locale) senza possibilità di esenzione né totale né parziale; devono esercitare attività di impresa da non più di 36 mesi e avere un fatturato non superiore ai 50 milioni di euro (in base all'ultimo bilancio approvato prima dell'investimento del FVC).

2.5 I covered bonds.
  L'articolo 2, comma 4-ter, del decreto-legge n. 35 del 2005 consente alle banche italiane di emettere obbligazioni garantite (covered bonds), cioè titoli obbligazionari connotati dalla presenza di una garanzia su specifiche categorie di attività della banca emittente. Tali strumenti, che si collocano fra i mezzi diretti a favorire un più ampio sviluppo del mercato interno e una maggiore apertura dei mercati, presentano, fra l'altro, il vantaggio di poter essere utilizzati nelle operazioni di rifinanziamento presso la Banca centrale europea.
  La disposizione del decreto-legge n. 35 del 2005 sopra richiamata innesta l'emissione di obbligazioni bancarie garantite sulla disciplina concernente le cartolarizzazioni: l'obbligazione viene cioè emessa con una procedura simile a quella prevista per le cartolarizzazioni.Pag. 11
  In un primo momento la banca (cedente) cede a una società-veicolo (cessionaria, costituita in base alle previsioni della legge n. 130 del 1999) un portafoglio di attivi creditizi di specifiche categorie (crediti fondiari e ipotecari, crediti verso pubbliche amministrazioni o da esse garantiti); tali attivi sono «segregati» dalla società-veicolo cessionaria in un patrimonio separato, a cui si applica la disciplina sulle cartolarizzazione ai sensi della legge n. 130 del 1999.
  Si procede quindi all'emissione di obbligazioni bancarie garantite da parte di una banca emittente (che può essere anche diversa da quella cedente) e alla prestazione, da parte della società cessionaria, di una garanzia a valere sugli attivi segregati in favore dei portatori di covered bonds; tale garanzia è irrevocabile, «a prima richiesta», incondizionata e autonoma rispetto alle obbligazioni assunte dalla banca emittente.
  Successivamente una banca (eventualmente anche diversa sia dalla società cedente sia dalla società emittente) eroga alla società cessionaria un finanziamento volto a fornire i mezzi per l'acquisto degli attivi, il cui rimborso è subordinato all'integrale soddisfacimento dei diritti dei portatori delle obbligazioni garantite.

2.6 Altri strumenti di sostegno alle imprese: la Cassa Depositi e prestiti, il Fondo Italiano di Investimento e il Fondo Strategico Italiano.

  Come già evidenziato in precedenza a proposito del Fondo di garanzia, il legislatore ha attribuito a Cassa Depositi e prestiti (CDP) un ruolo chiave nello sviluppo del sistema delle imprese italiane. Nel solco dell'innesto di liquidità al sistema si collocano infatti le norme che hanno ampliato le competenze della Cassa (per effetto del combinato disposto dell'articolo 22 del decreto-legge n. 185 del 2008 e dell'articolo 3, comma 4-bis del decreto-legge n. 5 del 2009), le quali hanno di fatto consentito di utilizzare la provvista rinveniente dal risparmio postale anche allo scopo di concedere finanziamenti, rilasciare garanzie, assumere capitale di rischio o di debito anche a favore delle piccole e medie imprese per finalità di sostegno dell'economia. In particolare, le operazioni a favore delle piccole e medie imprese possono essere effettuate esclusivamente attraverso l'intermediazione di soggetti autorizzati all'esercizio del credito, nonché attraverso la sottoscrizione di fondi comuni di investimento gestiti da una società di gestione collettiva del risparmio il cui oggetto sociale realizza uno o più fini istituzionali della Cassa Depositi e prestiti Spa.
  La Cassa Depositi e prestiti – insieme a Montepaschi, Intesa Sanpaolo, Unicredit e ad altri investitori – partecipa al Fondo equity per le Piccole e medie imprese «Fondo Italiano d'Investimento» – FII, sponsorizzato dal Ministero dell'economia e delle finanze, dall'Associazione Bancaria Italiana (ABI) e da Confindustria. Il Fondo, riservato ad investitori qualificati, ha come obiettivo quello di generare nel medio termine un nucleo consistente di imprese qualificabili come «medi campioni nazionali» che siano sufficientemente patrimonializzate ed in grado di affrontare le sfide della competitività internazionale. Esso opera attraverso investimenti sia diretti, in imprese con fatturato indicativamente compreso tra i 10 e i 250 milioni di euro, al fine di sostenerne i relativi programmi di sviluppo, sia indiretti, in altri fondi o società di investimento.
  La relazione sull'attività svolta al 31 dicembre 2011 ha evidenziato la realizzazione di 18 investimenti diretti in imprese e di 9 investimenti indiretti in fondi. Gli investimenti diretti deliberati alla predetta data ammontavano a 186,5 milioni di euro, mentre il totale degli investimenti deliberati in fondi ammontava a 230,5 milioni di euro. La somma dei suddetti valori porta ad un ammontare di impegni complessivamente deliberati pari a circa 417 milioni di euro, corrispondente a circa il 38 per cento del capitale gestito dal Fondo Italiano, disponibile per investimenti.
  Inoltre, l'articolo 7 del decreto legge n. 34 del 2011 ha autorizzato la CDP ad assumere partecipazioni in società di rilevante Pag. 12interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese, che risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività. La norma ha autorizzato l'acquisizione di tali partecipazioni anche attraverso veicoli societari o fondi di investimento partecipati da CDP S.p.A. ed eventualmente da società private o controllate dallo Stato o enti pubblici.
  A tal fine è stato creato il Fondo Strategico Italiano, holding di partecipazioni il cui azionista strategico è la Cassa Depositi e prestiti, attiva nel sostegno dell'economia e nello sviluppo infrastrutturale. I fondi disponibili sono pari a 4 miliardi di euro ed il capitale obiettivo è pari a 7 miliardi di euro. L'operatività del Fondo passa attraverso l'acquisizione di quote prevalentemente di minoranza, seguendo una politica di investimento che prevede un orizzonte temporale di lungo periodo, un attivo coinvolgimento nella governance delle aziende partecipate, volto ad assicurare il perseguimento delle finalità dell'intervento. L'obiettivo delle acquisizioni è il raggiungimento di rendimenti di mercato, tramite la combinazione di dividendi e aumento di valore dell'investimento, anche mediante l'apertura a coinvestitori nelle singole operazioni di investimento.

2.7 L'imposta sulle transazioni finanziarie (la cosiddetta «Tobin Tax»).
  In tale contesto merita anche richiamare le norme della legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 491 a 500 della legge n. 228 del 2012) che hanno introdotto un'imposta sulle transazioni finanziarie, applicabile alle seguenti operazioni:
   trasferimento della proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello Stato, nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti, indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente, con un'aliquota pari allo 0,2 per cento del valore della transazione, se le operazioni di acquisto sono effettuate fuori dai mercati regolamentati (over the counter); l'aliquota è dell'0,1 per cento per le operazioni concluse in mercati regolamentati o con sistemi multilaterali di negoziazione;
   operazioni sui cosiddetti strumenti derivati su azioni o strumenti partecipativi, ad imposta in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto.

2.8 I più recenti interventi sulla legge fallimentare.
  Con riferimento ad altri interventi «di sistema», il decreto-legge n. 83 del 2012 ha modificato alcune norme della legge fallimentare, intervenendo in prevalenza sulla disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione.
  Il concordato preventivo è un mezzo di soddisfacimento delle ragioni dei creditori, previsto dalla legge fallimentare, alternativo al fallimento di cui impedisce la dichiarazione e le conseguenze personali patrimoniali. Il concordato preventivo si sostanzia in un accordo tra l'imprenditore e la maggioranza dei creditori – regolato da un giudice delegato nominato dal tribunale, coadiuvato da un commissario giudiziale – finalizzato a risolvere la crisi aziendale e ad evitare il fallimento mediante una soddisfazione – anche parziale – dei creditori. L'imprenditore che si trova in stato di crisi può quindi proporre ai creditori un piano che può prevedere: a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma; b) l'attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei; d) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
  Le nuove previsioni intendono, da una parte, permettere alle imprese in crisi un accesso più rapido alle procedure di risanamento, consentendo, tra l'altro, l'accesso a nuovi mezzi finanziari, garantendo la continuità aziendale ed estendendo talune Pag. 13tutele già nella fase preliminare di negoziazione con i creditori. Sotto un altro profilo le nuove norme intendono garantire maggior rigore (attraverso correlate sanzioni, anche penali) in materia di attestazioni del professionista.
  Le novità principali introdotte in materia dal citato decreto-legge n. 83 riguardano:
   la possibilità, nel concordato preventivo, di presentare il piano anche dopo la presentazione della domanda di concordato (cosiddetto concordato in bianco o preconcordato o concordato con riserva), entro un termine fissato dal giudice (al massimo 120 giorni, prorogabili di ulteriori sessanta) e consentendo al debitore, fino al decreto di apertura del concordato preventivo, previa autorizzazione del tribunale, di compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione; si è inteso così consentire al debitore di beneficiare degli effetti protettivi del proprio patrimonio connessi al deposito della domanda di concordato, impedire che i tempi di preparazione della proposta e del piano aggravino la situazione di crisi sino a generare un vero e proprio stato di insolvenza e promuovere la prosecuzione dell'attività produttiva dell'imprenditore in concordato (la nuova procedura è ispirata al cosiddetto Chapter 11 statunitense, che ha dato più volte prova di efficienza e rapidità, consentendo, tra l'altro, i salvataggi di General Motors e Chrysler);
   la possibilità di accedere allo strumento dell'accordo di ristrutturazione dei debiti anche dopo aver presentato domanda di ammissione al concordato preventivo, garantendo così piena alternativa tra le due procedure;
   la possibilità, per il debitore che sia in procinto di presentare un piano di concordato preventivo o una proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti, di ottenere «finanza ponte» prededucibile, all'esito di apposito vaglio di congruità e funzionalità effettuato dal professionista nella propria relazione (dunque in pendenza di omologazione del concordato o dell'accordo);
   l'introduzione di un'apposita disciplina del concordato con continuità aziendale, ovvero il concordato che prevede la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell'azienda in esercizio, ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione; il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa;
   il blocco delle azioni esecutive e cautelari dalla data di pubblicazione della domanda di concordato preventivo nel registro delle imprese.

  Successivamente, il decreto-legge n. 69 del 2013 ha inteso offrire maggiori garanzie di carattere informativo per i creditori e per il tribunale nel concordato preventivo «in bianco» (o «con riserva») sopra descritto. È stato a tal fine modificato l'articolo 161 della legge fallimentare, prevedendo che l'imprenditore il quale presenti la domanda per il concordato «in bianco» debba presentare, insieme, non solo i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, ma anche l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti.

3. LO SVOLGIMENTO DELL'INDAGINE CONOSCITIVA

  Nel corso delle audizioni svolte durante l'indagine conoscitiva sono stati forniti numerosi dati ed elementi di informazione sull'attuale condizione del tessuto imprenditoriale italiano, relativi alle sue peculiarità strutturali e, più in dettaglio, alla situazione economico-finanziaria nella quale esso versa a cagione della crisi.
  L'indagine è stata condotta, in estrema sintesi, lungo i seguenti filoni:
   1) finanziamento attraverso il sistema bancario: sono state esaminate le ragioni congiunturali, normative e strutturali che ne hanno innalzato il costo per il sistema produttivo e che hanno causato, al contempo, una maggiore selettività degli intermediari; sono state formulate proposte e soluzioni che consentano di invertire tale trend;Pag. 14
   2) modalità alternative di reperimento di risorse per le imprese: è stata posta particolare attenzione agli strumenti che consentono alle imprese di finanziarsi attraverso il capitale di rischio;
   3) valutazione delle caratteristiche oggettive del sistema delle aziende italiane: anche in tal caso, sono state individuate le criticità e sono state formulate proposte per il miglioramento del tessuto produttivo italiano, sotto il profilo della gestione aziendale e della cultura d'impresa;
   4) contesto normativo vigente in materia di crisi d'impresa: i soggetti auditi hanno individuato i principali elementi problematici della normativa nazionale.

3.1 Gli elementi emersi nel corso dell'indagine.
3.1.1 Le caratteristiche del sistema imprenditoriale italiano e le modalità del suo finanziamento.
  Durante le audizioni sono state evidenziate alcune peculiarità del sistema imprenditoriale italiano, anzitutto sotto il profilo dimensionale.
  In Italia vi sono poco più di 5.000 aziende con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro, a fronte di oltre 10.000 imprese con un fatturato compreso tra i 2 ed i 50 milioni, ed oltre 4.000.000 di micro imprese, con un fatturato inferiore ai due milioni (Action Institute). Le piccole e medie imprese (con meno di 250 dipendenti) del Paese realizzano il 71 per cento del PIL, con una situazione paragonabile a quella spagnola (ove tali imprese costituiscono il 68 per cento del PIL) ma lontana da Gran Bretagna e Germania (in cui le PMI realizzano, rispettivamente, il 50 e il 54 per cento del PIL).
  Ciononostante le PMI, che costituiscono la parte preponderante del tessuto produttivo del nostro Paese, continuano a rappresentare solo una percentuale ridotta (meno del 20 per cento) delle società quotate, risultando fortemente sottorappresentate in Borsa rispetto al loro ruolo nell'economia (CONSOB).
  Con circa 1.300 miliardi di debiti finanziari e 1.400 di patrimonio netto (valutato ai prezzi di mercato), alla fine del 2012 il leverage delle imprese italiane, pari al rapporto tra i primi e la somma di entrambe le voci, era del 48 per cento; il credito bancario rappresentava quasi il 70 per cento dei debiti finanziari; per la media dei paesi dell'area dell'euro i valori erano più contenuti, rispettivamente 42 e 50 per cento. Sia l'incidenza del debito tra le fonti di finanziamento, sia la dipendenza dai prestiti degli intermediari sono più elevate tra le imprese di piccola e media dimensione (Banca d'Italia).
  Infine, secondo i dati di Banca d'Italia, la maggior parte del credito alle imprese viene erogato dal sistema bancario (la quota di debito bancario sui debiti finanziari delle imprese era, nel 2012, del 67 per cento), laddove negli Stati Uniti tale rapporto è del 30 per cento ed in Gran Bretagna e in Germania, rispettivamente, del 29 e del 53 per cento.
  Dal momento che il livello di indebitamento delle imprese è inversamente proporzionale alle loro dimensioni, i dati esposti delineano una fotografia nella quale l'imprenditoria italiana è costituita da imprese medio-piccole, con un elevato indebitamento ed una forte dipendenza dal sistema bancario (McKinsey). In particolare, anche a causa della crisi, delle 9.000 imprese con un fatturato compreso tra i 30 e i 500 milioni, circa un terzo presenta attualmente livelli di debito estremamente elevati. Si tratta di imprese che realizzano circa 200 miliardi di euro di fatturato, hanno complessivamente 500.000 dipendenti e quasi 100 miliardi di debiti (McKinsey).
  Nel corso dell'indagine sono emerse inoltre le sostanziali differenze tra le fonti di finanziamento delle grandi imprese e quelle a disposizione delle PMI: le prime hanno infatti accesso sia al canale di finanziamento bancario, sia al mercato dei capitali, in quanto dotate di risorse e strutture adatte a gestire i costi e gli adempimenti necessari alla quotazione sui mercati finanziari. Mancando analoghe strutture presso imprese di minori dimensioni, Pag. 15queste ultime attingono principalmente al canale di finanziamento bancario (FINNAT), ancorché il legislatore abbia nel tempo predisposto strumenti alternativi per la raccolta di risorse la cui operatività, tuttavia, presenta alcune difficoltà che sono emerse durante l'indagine.
  Il mancato sviluppo del mercato di capitali in Italia riflette dunque alcuni tratti strutturali del nostro sistema produttivo: la ridotta dimensione delle aziende e la natura familiare della proprietà rendono gli imprenditori restii ad aprire il capitale all'ingresso di nuovi soci o a reperire fondi sul mercato o presso investitori istituzionali diversi dalle banche (si tratta infatti di scelte che comportano costi, elevati e permanenti, legati alla maggiore trasparenza richiesta dai finanziatori o ai volumi contenuti degli strumenti finanziari collocabili dalle singole aziende, poco adeguati alle esigenze degli investitori). Pesano anche fattori fiscali che, storicamente, hanno determinato un largo vantaggio del ricorso al debito rispetto al capitale di rischio.
  In tale contesto si è sottolineato come tale modello di finanziamento presenti alcuni punti di debolezza, che divengono ancor più problematici in una fase, come quella attuale, nella quale il credito concesso risulta in calo (-4,6 per cento ad agosto 2013, rispetto a dodici mesi prima) (Banca d'Italia, CONSOB) e più oneroso rispetto ai principali competitori europei.
  In particolare, ad agosto 2013 il tasso medio applicato ai nuovi prestiti di ammontare inferiore a un milione di euro era in media pari al 4,5 per cento, più basso di circa 200 punti base rispetto al picco toccato nell'ottobre del 2008, ma di oltre 160 più elevato rispetto alle condizioni medie applicate su finanziamenti di importo comparabile in Germania e in Francia. Per i prestiti di dimensione maggiore il differenziale era pari a circa 100 punti base.
  Il calo dei prestiti alle imprese in atto in Italia da oltre un anno è in linea con quanto avviene in molti Paesi dell'area (- 2,9 per cento nello scorso agosto nella media dell'area). Esso, tuttavia, penalizza particolarmente le imprese italiane, caratterizzate da una scarsa capacità di accesso ai mercati finanziari e da un indebitamento più elevato, soprattutto nei confronti delle banche (Banca d'Italia). Nel contesto dei bilanci, si stima che ciò generi un costo extra per le imprese quantificabile in circa 2.000 euro per dipendente (McKinsey).
  Durante la crisi si è verificato in Italia un irrigidimento nell'accesso al credito, con solo il 48 per cento delle richieste delle imprese approvate dalle banche, rispetto ad oltre l'82 per cento della Germania (Action Institute, CONSOB).
  In merito ai fattori causali più immediati, sul lato dell'offerta, del deterioramento della disponibilità di credito, la Banca d'Italia ha sottolineato come, in particolare dalla metà del 2011 – con l'acuirsi della crisi e delle tensioni sui mercati dei titoli sovrani nell'area dell'euro – gli intermediari bancari siano stati posti di fronte ad una serie di difficoltà, principalmente riconducibili alla scarsa disponibilità e agli elevati costi della provvista finanziaria sui mercati internazionali, da cui essi dipendono per il finanziamento di una parte non trascurabile dei prestiti.
  Infatti, i dati emersi nel corso dell'indagine (MPS) indicano come in Italia il rapporto fra impieghi e raccolta sia del 120 per cento circa (a 100 euro di raccolta presso famiglie e imprese corrispondono cioè 120 euro di impieghi verso le stesse categorie). Mentre in passato il sistema bancario nazionale copriva questo differenziale vendendo obbligazioni a investitori istituzionali, ora (a seguito della scomparsa o rarefazione di questi investitori) la raccolta a medio-lungo termine è sostenuta con i fondi ottenuti dalla Banca centrale europea (long-term refinancing operations, LTRO), i quali, tuttavia, dovranno essere restituiti, riportando in equilibrio il rapporto impieghi-raccolta.
  Tali difficoltà degli intermediari si sono rapidamente trasmesse alle condizioni di offerta applicate ai prestiti. Le autorità monetarie (la BCE e l'Eurosistema) hanno fatto fronte alle predette congiunture mediante Pag. 16l'abbassamento dei tassi di interesse ufficiali e mediante misure straordinarie (le operazioni di rifinanziamento a tre anni – LTRO), con l'ampliamento della gamma di attività finanziarie accettate come collateral nelle operazioni di rifinanziamento.
  Con riferimento all'Italia, gli effetti di tali misure sulla crescita del PIL sono stati pari a circa due punti percentuali complessivamente nel biennio 2012-13; gli interventi della BCE hanno quindi prevenuto un peggioramento dell'economia più forte di quello osservato.
  In merito al medesimo ambito di problemi, alcuni dei soggetti auditi (Action Institute) hanno rilevato come tale fenomeno di credit crunch, ovvero la contrazione della quantità di credito erogata all'economia, presenti due componenti: una dimensione congiunturale (legata allo spread ed alle sofferenze), e una dimensione legata al cambiamento del ruolo del sistema bancario. Se, da un lato, le banche soggiacciono a requisiti di capitale più stringenti, affrontano una maggiore rischiosità dei propri attivi e necessitano di equilibrare il rapporto tra depositi dei clienti e prestiti alla clientela, dall'altro lato il sistema delle imprese necessita di ingenti capitali per riavviare e sostenere un ciclo di crescita.
  Alcuni auditi hanno poi rilevato come la domanda di credito «sana», vale a dire proveniente da imprese con i conti in ordine, che può essere legata a nuovi investimenti, a crescita dei fatturati e del capitale circolante è oggi stagnante e moderata in tutta l'Europa occidentale, persino in Germania. Al contrario, una forte domanda di credito proviene oggi dalle imprese che vivono situazioni temporanee, o non temporanee, di difficoltà e di crisi di liquidità, di fatturato e di mercato. Si tratta di imprese che partono già da un elevato livello di indebitamento e la cui domanda di credito deriva soprattutto dalla necessità di prorogare o ristrutturare il debito: basti pensare che gli incagli e le sofferenze sono passati, da circa 80 miliardi a fine 2008, a quasi 220 a fine 2012, e continuano a crescere. In tale ambito, il credito alle piccole e medie imprese si è rivelato più rischioso, non solo del credito alle grandi imprese, ma anche di quello alle famiglie (Unicredit).
  A tale proposito è stato evidenziato come non giovi al superamento della condizione di credit crunch l'insufficienza dei fondi di garanzia attualmente esistenti, ritenuti da alcuni auditi (McKinsey, Action Institute) non «scalabili» (cioè non utilizzabili come strumento sistemico), perché basati sull'analisi della singola pratica, con costi amministrativi e burocratici elevati. Sul medesimo punto è stato inoltre affermato come un elemento di criticità degli attuali meccanismi di garanzia pubblica sia dovuto al fatto che essi forniscono una forma di copertura totale della garanzia (dal 50 all'80 per cento dell'importo del credito) e che la garanzia stessa viene attivata a prima richiesta. Secondo alcuni auditi, tale modalità operativa, se, da un lato, garantisce una elevata qualità del credito, dall'altra comporta rilevanti oneri amministrativi e presenta una rilevante «inerzia», limitando dunque l'efficacia e la diffusione dell'attuale meccanismo di garanzia.
  Anche sotto il profilo della qualità degli attivi bancari, i dati emersi nel corso dell'indagine descrivono un panorama in via di deterioramento.
  In particolare, il tasso di ingresso in sofferenza dei prestiti alle imprese ha raggiunto il 4,7 per cento nel secondo trimestre 2013, rispetto a una media dell'1,5 per cento nel periodo precedente la crisi. Degli attuali 200 miliardi di euro di crediti concessi dagli istituti di credito alla clientela e non restituiti o difficilmente restituibili, circa 100 miliardi riguardano le aziende. Nel complesso i finanziamenti alle imprese su cui le banche riscontrano difficoltà nei rimborsi sfiorano ormai il 22 per cento delle consistenze, più del doppio rispetto a quattro anni fa. Il deterioramento della qualità degli attivi ha avuto e continua ad avere rilevanti effetti sulla redditività degli intermediari: gli accantonamenti necessari per far fronte alle perdite potenziali hanno assorbito quasi Pag. 17interamente il risultato di gestione nel 2012 e nella prima parte del 2013 (Banca d'Italia).
  Paragonando la situazione italiana con il panorama europeo, si è evidenziato come, a fine 2012, i principali gruppi bancari spagnoli registrassero una crescita delle consistenze dei crediti in sofferenza prossima al 50 per cento e un conseguente aumento sia dell'incidenza delle sofferenze sui crediti lordi (pari a oltre il 7 per cento) sia del costo del credito (che si attesta su valori superiori al 3 dall'1 per cento circa dell'anno precedente). In Francia e Germania, invece, la qualità del credito è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 2011 (CONSOB).
  L'aumento delle sofferenze, unitamente ai vincoli normativi di tipo patrimoniale in capo agli istituti di credito a fronte dei crediti erogati (in particolare il contesto normativo disegnato dal pacchetto di Basilea 3), rendono molto più selettiva la valutazione del merito creditizio e, di conseguenza, aumentano la difficoltà delle aziende nell'accesso al finanziamento bancario; ciò si traduce in maggiori difficoltà nell'adempimento dei propri debiti ed implica, altresì, un aumento del costo del finanziamento bancario.
  In controtendenza rispetto a tale andamento, gli istituti di credito cooperativo – nonostante la crisi abbia colpito in particolare le PMI, alle quali tali banche si rivolgono in modo preponderante – mostrano una buona qualità del credito rispetto alla media dell'industria bancaria, nei principali settori di operatività. In particolare, il dato delle sofferenze nei confronti delle piccole e micro-imprese, per le banche di credito cooperativo, appare nettamente inferiore rispetto al restante comparto dell'industria bancaria. Per quanto riguarda in particolare le micro-imprese, il quantum delle sofferenze nel 2012 è risultato del 7 per cento, a fronte dell'11,8 per cento registrato per gli altri istituti di credito.
  Un analogo trend è stato registrato da parte degli intermediari di finanza etica (Banca Etica); i dati relativi alle sofferenze lorde nell'ultimo decennio, che si basano su impieghi prevalentemente a favore del Terzo Settore, evidenziano dati nettamente migliori rispetto a quelli medi del sistema bancario (per il 2012 il livello delle sofferenze lorde rispetto agli impieghi, per Banca Etica, è stato dell'1,35 per cento, a fronte del 7,4 per cento registrato nel resto del comparto bancario).
  Sempre con riferimento alle modalità del rapporto tra banche e imprese, è stato segnalato come in Italia (così come in Spagna) si segnali inoltre il fenomeno della «multibancarizzazione», in base al quale le imprese sono solitamente titolari di rapporti di credito con una pluralità di banche (una media impresa che ha debiti per 25 milioni di euro ha, in media, otto rapporti bancari).

3.1.2 Il mercato dei capitali in Italia.
  Per quanto concerne il mercato dei capitali, nel corso dell'indagine è emerso un consenso generale sulle difficoltà dell'accesso diretto ai mercati finanziari in forma di collocamento in borsa di azioni o obbligazioni, stanti gli oneri di trasparenza e amministrativi indotti dalle normative di protezione degli investitori.
  Analoghe considerazioni sono state evidenziate con riferimento all'industria del private equity, le cui difficoltà strutturali sono legate alle modeste dimensioni di scala del sistema industriale italiano. Nel 2012 oltre il 50 per cento delle operazioni sono state fatte da un intermediario semi pubblico, ovvero il già citato Fondo Italiano di Investimento.
  In tale contesto le dimensioni del mercato dei capitali italiano risultano modeste. La capitalizzazione delle azioni delle imprese non finanziarie italiane quotate è infatti pari a circa il 20 per cento del PIL, un rapporto molto più contenuto rispetto a quello dei principali paesi dell'area dell'Euro (oltre il 50 per cento in Francia, circa il 40 in Germania) e dei paesi anglosassoni (oltre l'80 per cento sia nel Regno Unito sia negli Stati Uniti). I titoli obbligazionari sono pari al 9 per cento dei debiti finanziari, in linea con il dato della Germania, ma molto più bassi rispetto al Pag. 1823 per cento della Francia, al 30 per cento del Regno Unito e a circa il 50 per cento degli Stati Uniti (Banca d'Italia).
  Per quanto concerne specificamente il mercato azionario, i dati della CONSOB evidenziano, per il 2012, un calo del numero di società domestiche quotate sul Mercato telematico azionario (Mta) (da 261 a 253, con 10 cancellazioni e due nuove quotazioni), mentre il numero di società quotate sui sistemi multilaterali di negoziazione (multilateral trading facilities – Mtf) Aim e Mac è invece cresciuto da 24 a 27. La capitalizzazione delle società domestiche quotate in Borsa è cresciuta del 10 per cento, portandosi a 365 miliardi di euro (332 nel 2011); anche il peso in percentuale del PIL è aumentato, passando dal 20,6 al 22,5 per cento, attestandosi tuttavia a livelli molto distanti rispetto a quelli registrati in altri Paesi comunitari (oltre il 110 per cento nel Regno Unito e circa il 56 per cento in Francia).
  La CONSOB ha poi rilevato come il peso degli investitori istituzionali domestici sulla capitalizzazione delle società italiane quotate sia inferiore all'8 per cento, mentre è del 30 per cento nel Regno Unito. L'aggregato dei fondi pensione e delle assicurazioni italiane è pari al 4 per cento, contro il 12 per cento del Regno Unito; solo l'1 per cento del totale del patrimonio gestito dai fondi comuni d'investimento italiani aperti è raccolto da fondi azionari con specializzazione Italia, con un peso pari a poco più dell'1 per cento della capitalizzazione totale del nostro mercato azionario; il mondo della previdenza complementare domestico mostra una ridotta propensione all'investimento in titoli di capitale, ivi compresi quelli italiani. I fondi pensione aperti destinano il 3 per cento dei loro asset all'equity italiano e quelli negoziali meno dell'1 per cento. La stessa dinamica si registra per le riserve tecniche delle assicurazioni. Particolarmente scarsa è la presenza di fondi di investimento italiani specializzati in PMI quotate, i quali sono attualmente solo 5 e mobilitano complessivamente, la cifra, sostanzialmente trascurabile, di 180 milioni di euro di asset.
  Con specifico riferimento al ruolo che in tale contesto è svolto dalle compagnie assicurative, durante l'indagine è stato evidenziato come l'ammontare degli attivi a copertura delle riserve delle compagnie assicurative (pari in Italia a circa 400 miliardi di euro) sia rappresentato, in percentuale superiore al 60 per cento, da titoli di Stato, e per oltre il 21 per cento da obbligazioni. In sostanza, mentre circa l'80 per cento degli investimenti è costituito da titoli di Stato (in particolare le compagnie assicurative detengono una quota pari all'11 per cento del debito pubblico) e da titoli obbligazionari, sia gli investimenti azionari, sia gli investimenti sui titoli non quotati risultano in percentuale nettamente inferiore nei portafogli delle compagnie, stanti gli stringenti limiti normativi posti agli investimenti in titoli diversi da obbligazioni e titoli di Stato.
  Al riguardo è stato affermato che le compagnie assicurative non hanno piena libertà di investimento in ordine agli strumenti non quotati, anche in ragione dei requisiti di liquidità e/o di misurabilità dei rischi dell'investimento fissati a monte dal regolatore (UNIPOL), e sono state altresì sottolineate le problematiche afferenti all'entrata in vigore, dal 2015, della nuova disciplina dei requisiti di capitale delle compagnie assicurative contenuta nel pacchetto «Solvency II», che potrebbe introdurre penalizzazioni consistenti sull'investimento in strumenti diversi dai titoli di Stato. Infatti, a fronte di un assorbimento di capitale pari allo 0 per cento per gli investimenti in titoli di Stato, le compagnie sarebbero costrette a mettere da parte una quota di capitale pari al 15 dell'investimento, ove puntassero su titoli di imprese privi di rating (o su fondi di investimenti che investissero in tali titoli) con durata finanziaria di 5 anni (UNIPOL).
  Relativamente al mercato obbligazionario, la Banca d'Italia ha rilevato come negli ultimi mesi si siano sono registrati segnali di un forte interesse delle aziende e degli investitori. Dall'inizio del 2012 ad oggi le emissioni lorde sono state pari a 65 miliardi; benché si tratti di un flusso di raccolta inferiore a quello di altre economie Pag. 19avanzate, e con costi mediamente più alti a parità di durata e rischio, esso risulta più elevato di circa il 70 per cento rispetto a quello osservato nel periodo precedente la crisi. Hanno fatto ricorso al mercato nuove imprese: tra le circa 70 che hanno emesso obbligazioni nel 2013, poco meno della metà non avevano effettuato collocamenti nei precedenti 10 anni. Alcuni dei nuovi emittenti sono stati indotti a collocare titoli dalla presenza delle agevolazioni fiscali introdotte per i cosiddetti mini bond (Banca d'Italia).

4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ED IPOTESI DI INTERVENTO

4.1 Problemi e obiettivi.
  Nel corso dell'indagine si è evidenziato un ampio consenso sull'analisi della crisi economica, che risulta la più grave nella quale l'economia italiana sia incorsa a partire dal ’900.
  In particolare, è emerso come il nodo principale della crisi sia legato alla situazione di forte difficoltà finanziaria nella quale versa una percentuale elevata delle imprese italiane.
  Questa condizione è legata ad alcune caratteristiche strutturali che caratterizzano storicamente il tessuto economico nazionale, il quale è basato, in percentuale superiore agli altri Paesi europei, sulle piccole e medie imprese e sulle microimprese. Tali imprese, a loro volta, si caratterizzano per dimensioni ridotte, per una scarsa capitalizzazione e per il conseguente, elevato ricorso al debito bancario, in misura, anche in questo caso, nettamente superiore ai Paesi europei ed agli altri Paesi avanzati, nonché per un basso standing creditizio, legato a sua volta alle ridotte dimensioni ed alla scarsa trasparenza che esse offrono ai fini della valutazione del emerito di credito.
  Nel contesto generale della crisi finanziaria, che si è poi rapidamente trasformata in crisi nell'economia reale, la struttura imprenditoriale italiana è rapidamente incorsa in una situazione di forte difficoltà, avviata dal calo dei consumi e, soprattutto, degli investimenti, la quale ha a sua volta innescato un circolo vizioso nel quale l'aumento dei fallimenti e, conseguentemente, delle sofferenze bancarie, ha indotto le banche a politiche di credito più selettive, rendendo l'accesso al credito più difficile, soprattutto per quelle imprese che più necessiterebbero di liquidità finanziaria.
  In tale quadro si inseriscono, come concause, due ulteriori circostanze: da un lato, l'incremento dello spread sui titoli del debito pubblico italiano e, dall'altro, i nuovi requisiti di capitalizzazione delle banche imposti da Basilea III e dall’European banking Authority che, entrambi, hanno contribuito a precludere l'accesso ai canali di finanziamento interbancario e ad aumentare il costo di finanziamento per le banche, con conseguente aumento del costo del credito per le imprese.
  Ciò ha determinato un doppio livello di squilibrio competitivo in danno del sistema italiano: uno specificamente, riferito alle banche, che sono state coinvolte direttamente nella crisi del credito sovrano; l'altro, riferito alle imprese non finanziarie, le quali scontano condizioni e costi di accesso al credito nettamente più sfavorevoli delle omologhe concorrenti europee, e che hanno visto, negli ultimi anni, ridursi drasticamente la quantità di credito erogato dal sistema bancario.
  In tale contesto le analisi maggiormente accreditate sottolineano come le strategie per riavviare una prospettiva di ripresa dell'economia italiana debbano articolarsi secondo due obiettivi cruciali.
  Da un lato, è necessario, in una prospettiva di medio periodo, affrontare le ragioni strutturali della condizione di sottodimensionamento e sottocapitalizzazione che affliggono il tessuto imprenditoriale italiano, le quali costituiscono gli aspetti nei quali si declina, più in generale, il ritardo di competitività e produttività accumulato dal sistema imprenditoriale italiano, che la crisi non ha generato, ma, casomai, acuito e posto maggiormente in evidenza. Pag. 20
  Emerge ormai con una certa chiarezza come, nel contesto economico e regolamentare attuale, imprese sottocapitalizzate, oltre a incontrare maggiori ostacoli nell'accesso a nuovo capitale, tanto di rischio quanto di debito, mostrino, nel lungo periodo, maggiore fragilità.
  Sotto un primo profilo, infatti, le imprese con più basso livello di patrimonializzazione sono in grado di resistere con minor forza a cali dell'attività produttiva o a fasi avverse del ciclo economico, nella misura in cui non sono in grado di assorbire in modo autonomo le perdite attraverso il ricorso al proprio patrimonio. Sotto un ulteriore profilo, inoltre, imprese meno capitalizzate presentano un più ridotto potenziale di crescita, innanzitutto in quanto hanno minori capacità di finanziare programmi di investimento, di crescita ed innovazione, i quali rappresentano a loro volta gli strumenti chiave per elevare la capacità competitiva dell'impresa e sostenerne la profittabilità di lungo periodo.
  In questa prospettiva la crisi finanziaria ha reso particolarmente difficile la situazione dell'imprenditoria italiana, innestandosi in una situazione pregressa di criticità, nella quale le imprese nazionali soffrivano di un'elevata leva finanziaria media (cioè un elevato rapporto tra patrimonio e debiti finanziari) e di una decrescente redditività e competitività, cui si ovviava attraverso il ripetuto ricorso allo strumento della svalutazione competitiva. Una volta venuta meno, con l'unificazione monetaria europea, la valvola di sfogo rappresentata dalla politica monetaria autonoma, la crisi ha dunque colto il sistema imprenditoriale e finanziario italiano «in mezzo al guado» di una transizione non ancora conclusa e forse nemmeno avviata, impedendo forse di scorgere appieno le radici antiche che si celano sotto i problemi attuali.
  Tale condizione di difficoltà e di ritardo strutturale non può dunque essere superata attraverso interventi e misure di carattere esclusivamente finanziario, ma necessita di un'impostazione di politica industriale complessa, che non può certo essere approfondita in questa sede.
  In quest'ambito merita comunque segnalare il ruolo che a tal fine deve essere ricoperto dalla leva tributaria e dalla differenziazione degli strumenti di finanziamento delle imprese.
  Dall'altro lato, nell'immediato occorre ripristinare normali condizioni di credito in favore delle iniziative imprenditoriali, sbloccando il «rubinetto» della liquidità nei loro confronti. In particolare, secondo stime di Confindustria, per il rilancio dell'economia sarebbero necessari finanziamenti addizionali quantificati in un ammontare che oscilla tra circa 100 e circa 200 miliardi di euro.
  Gli elementi emersi nel corso dell'indagine hanno evidenziato con chiarezza come, nel prossimo futuro, anche in uno scenario di miglioramento delle condizioni finanziarie internazionali e di sostanziale superamento della crisi del debito sovrano, non sia ipotizzabile che le banche italiane possano aumentare facilmente il volume dei crediti erogati alle imprese.
  Infatti, occorre ricordare come sul sistema finanziario nazionale, che pure presenta ancora uno dei più elevati livelli di risparmio tra i Paesi industrializzati, che si è rilevato più solido dei sistemi finanziari di altri Paesi, anche più sviluppati, e che non ha necessitato di massicci interventi pubblici di sostegno o di salvataggio, pesi comunque l'esigenza, anche ai sensi della normativa di vigilanza, di colmare la significativa distanza attualmente sussistente tra prestiti e depositi (cosiddetto funding gap), riportando il rapporto fra prestiti e depositi (loan to deposit ratio) ad un livello più basso di quello attuale, in linea con gli altri Paesi europei. Sebbene, secondo i dati di Banca d'Italia, il funding gap del sistema bancario nazionale si sia ridimensionato rispetto all'ammontare registrato prima della crisi finanziaria (in larga misura a causa della riduzione delle richieste di prestito dovuta alla contrazione dell'attività economica ed al conseguente taglio degli investimenti da parte delle imprese), esso risulta comunque ancora pari a 150 miliardi di euro (circa il 10 per cento dei prestiti) e costituisce un grave ostacolo all'efficace funzionamento Pag. 21del circuito banca – impresa in Italia. Occorre, in sostanza, in questo scenario, ripristinare le condizioni che consentano all'ingentissimo risparmio privato italiano, sopra richiamato, di essere veicolato in quantità sufficiente alle esigenze di finanziamento e sviluppo delle imprese italiane, secondo modalità innovative rispetto al tradizionale modello «bancocentrico».
  Tali considerazioni appaiono rafforzate dalla constatazione di alcuni elementi di debolezza, cui in parte si è già accennato in precedenza, che caratterizzano le banche nazionali. Infatti il sistema bancario italiano, il quale già si caratterizzava storicamente per un livello di redditività più basso rispetto alle principali banche europee, sta affrontando, a causa della crisi, un'ulteriore calo di redditività, nonché un significativo deterioramento della qualità degli attivi, legato al crescere delle sofferenze, degli incagli e dei crediti scaduti.
  Inoltre il sistema creditizio ha subito direttamente le conseguenze dell'aumento dello spread dei titoli pubblici italiani con i titoli pubblici tedeschi, sia in quanto ha visto ridursi il valore dei titoli pubblici italiani di cui detiene un'aliquota consistente, sia in quanto, per approvvigionarsi di finanza, esso deve sostenere un costo aggiuntivo rispetto ai rendimenti dei medesimi titoli pubblici nazionali.
  Le banche italiane dovranno dunque, nel medio periodo, colmare tale gap nelle proprie fonti di finanziamento, sia per restituire le risorse cui hanno, negli ultimi anni, attinto presso la BCE, sia, soprattutto, per superare la sostanziale chiusura del mercato dei finanziamenti interbancari conseguente alla crisi finanziaria, e che ha colpito maggiormente le banche di quei Paesi, come l'Italia, più fortemente colpiti dall'aumento dello spread sui titoli sovrani.
  In tale quadro appare evidente come, soprattutto nel nostro Paese, l'attuale assetto dei rapporti tra banca e impresa, nonché lo stesso modello imprenditoriale ed organizzativo delle banche, dovranno significativamente mutare.
  In primo luogo, occorre acquisire la consapevolezza che il sistema economico italiano deve superare il «bancocentrismo» che lo ha costantemente caratterizzato; in secondo luogo, occorre ricollocare le banche in un nuovo modello di operatività, in cui la redditività non viene più raggiunta prevalentemente attraverso i ricavi da intermediazione, accompagnandole intelligentemente verso una realtà, del resto già attuale, in cui esse non si pongono solo come erogatrici di finanziamento, ma, in termini più vasti, come fornitrici di servizi finanziari, aiutando le imprese a migliorare la capacità di gestire le proprie esigenze finanziarie.
  Sotto un ulteriore profilo, occorre ampliare il ruolo, ancora molto marginale, degli investitori istituzionali (fondi comuni di investimento, fondi pensione), nonché favorire la crescita di investitori specializzati in investimenti nel capitale di rischio.
  Sulla scorta di tali elementi analitici e dei conseguenti obiettivi di riforma è dunque necessario ipotizzare un insieme di misure che possano riattivare un nuovo circuito virtuoso, nel quale gli strumenti di finanziamento alle imprese, sia attraverso il capitale di debito, sia attraverso il capitale di rischio, possano avviare nuovamente lo sviluppo economico.

4.2 Proposte.
4.2.1 Il ruolo delle garanzie pubbliche sui crediti alle PMI.
  In primo luogo l'indagine conoscitiva ha consentito di evidenziare come un primo ordine di misure di carattere immediato dovrebbero riguardare il miglioramento delle condizioni di accesso al credito delle PMI, riducendone innanzitutto i costi, attraverso il potenziamento dei meccanismi di garanzia pubblici sui crediti concessi alle stesse PMI dalle banche.
  In particolare, una prima ipotesi di lavoro può essere sviluppata riprendendo e ampliando l'esperienza del Fondo centrale di garanzia per le PMI, che, sebbene rappresenti uno strumento certamente molto positivo, consente di mobilitare risorse piuttosto limitate, in quanto dipende direttamente, per la propria provvista finanziaria, dal bilancio dello Stato.Pag. 22
  Al fine di superare tale elemento di ostacolo si propone di istituire un nuovo strumento di garanzia, finanziato attraverso il ricorso ai fondi strutturali europei, il quale fornirebbe alle banche garanzie sul 75 per cento delle perdite non attese (cosiddette second loss) sui prestiti erogati dalle banche stesse alle PMI.
  Tale meccanismo di garanzia, che dovrebbe essere realizzato attraverso la costituzione di una società veicolo (SVP), ovvero di una serie di società veicolo a livello regionale, collegate ad una holding a livello nazionale con funzione di capogruppo, consentirebbe di garantire, in una logica di portafoglio, i crediti nei confronti delle PMI, all'interno di determinati requisiti dimensionali, consentendo alle banche eroganti di migliorare il rating dei relativi portafogli crediti sotto due profili:
   1) ridurre l'assorbimento di capitale in relazione ai medesimi portafogli;
   2) favorire la cartolarizzazione dei crediti stessi ed il loro conferimento a garanzia presso la BCE, al fine di ottenere da quest'ultima maggiori linee di finanziamento.

  Il ricorso alle risorse finanziarie dei fondi strutturali europei consentirebbe, oltre che di superare definitivamente l'annoso problema dell'insufficiente utilizzo dei medesimi fondi a causa di lentezze burocratiche, di dotare il nuovo meccanismo di garanzia di un ammontare di risorse ingente, molto superiore a quelle attualmente disponibili per il Fondo centrale di garanzia per le PMI che, essendo finanziato direttamente con trasferimenti dal bilancio dello Stato, non potrà mai disporre, stante le condizioni di difficoltà della finanza pubblica, di disponibilità sufficienti a far fronte alle esigenze di liquidità delle PMI.
  Naturalmente il nuovo strumento non dovrebbe essere posto in concorrenza con il già operante Fondo centrale di garanzia per le PMI, ma collocarsi in una prospettiva di integrazione sinergica con quest'ultimo, per ampliare lo strumentario a disposizione delle politiche economiche volte allo sviluppo.
  In dettaglio, ipotizzando di utilizzare a tal fine una quota dei fondi strutturali disponibili per il nostro Paese pari a circa 10 miliardi di euro, il nuovo strumento di garanzia consentirebbe, operando attraverso una leva finanziaria assolutamente ragionevole, di mobilizzare nuovi finanziamenti in misura pari ad almeno 100-150 miliardi di euro.
  Il ricorso ai fondi strutturali europei comporterà la necessità di calibrare attentamente il funzionamento del meccanismo per renderlo compatibile con la normativa europea in merito all'utilizzo dei predetti fondi, in particolare per quanto riguarda il collegamento tra l'utilizzo delle risorse e le finalità di sviluppo territoriale perseguite dai fondi strutturali.
  Inoltre, limitando la garanzia alla sola perdita non attesa, si escluderebbe il rischio di azzardi morali da parte delle banche che fruiscono della garanzia, incentivando le banche stesse ad effettuare un'attenta analisi del rischio di credito, senza scaricare sul garante l'intero rischio del finanziamento.
  Laddove adeguatamente strutturato, il nuovo meccanismo di garanzia consentirebbe di realizzare risultati positivi sia per le imprese, sia per il sistema creditizio.
  In sostanza, per quanto riguarda i vantaggi per le PMI, esso potrebbe:
   a) ridurre il costo del credito per un importo che è stato stimato tra 80 e 120 punti base;
   b) consentire l'erogazione di nuovi crediti a medio termine per un ammontare che è stato stimato tra 100 e 150 miliardi di euro;
   c) liberare nuove risorse da destinare agli investimenti ed allo sviluppo, aiutando le imprese che attualmente si trovano in una condizione di difficoltà finanziaria;
   d) ridurre lo svantaggio competitivo che attualmente penalizza il tessuto produttivo italiano, anche a causa del differenziale negativo sul rischio Paese.

Pag. 23

  Per quanto riguarda invece il settore bancario, i vantaggi perseguibili dal nuovo strumento potrebbero essere:
   a) consentire l'erogazione di nuovo credito senza aggravare i bilanci delle banche, in particolare senza peggiorare i requisiti di capitale per queste ultime;
   b) migliorare il rating dei portafogli di credito detenuti dagli istituti di credito;
   c) offrire alle banche un canale di finanziamento alternativo per questa tipologia di crediti;
   d) interrompere il circolo vizioso tra spread e costo del finanziamento per le banche.

4.2.2 Misure per superare la sottocapitalizzazione delle imprese.
  Un secondo ambito di proposte riguarda misure di più lungo periodo, che aiutino a superare la sottocapitalizzazione e sottopatrimonializzazione delle imprese italiane.
  A tale proposito occorre ricordare come tra i principali elementi che ostacolano il ricorso delle imprese al mercato dei capitali di rischio incidano principalmente, dal lato dell'offerta, la diffidenza nei confronti di un mercato dei capitali spesso non sufficientemente liquido; l'onerosità degli adempimenti per accedere alla quotazione e per rimanere quotati; la ritrosia, specie nelle imprese ad origine familiare, ad aprire gli assetti di controllo e ad assicurare maggiore trasparenza nella gestione; i fattori distorsivi indotti dal sistema tributario.
  Sotto il profilo della domanda, si segnalano invece la debolezza degli investitori istituzionali e l'insufficiente presenza di soggetti specializzati nei servizi per la quotazione, specificamente per quanto riguarda le PMI.
  Con riferimento al tema dell'accesso alla quotazione delle imprese italiane, occorre innanzitutto superare l'equivoco, invalso nel dibattito pubblico su questo tema, secondo cui la quotazione in borsa costituirebbe una sorta di toccasana per risolvere i problemi strutturali del sistema. Tale slogan non tiene infatti conto dell'infondatezza, anche solo teorica, dell'ipotesi secondo cui le imprese di piccole dimensioni possano realisticamente approdare alla quotazione. Tuttavia, fatta tale premessa, non c’è dubbio che il rapporto tra capitalizzazione e PIL che si registra in Italia, al netto del fase congiunturale, non sia certamente compatibile con una prospettiva di crescita duratura e che sia necessario elevare il numero delle medie imprese quotate sul mercato dei capitali, portandola ad una percentuale vicina a quello che si registra in un Paese come, ad esempio, la Francia, che ha caratteristiche paragonabili all'Italia.
  A questo riguardo la lunga discussione che si è sviluppata su questi temi induce a ritenere fondamentale:
   a) ridurre i costi di trasparenza che le imprese devono sostenere per accedere e rimanere sul mercato dei capitali di rischio;
   b) verificare la sussistenza di significativi squilibri nei costi complessivi di quotazione rispetto ai Paesi UE e assicurare una maggiore definizione dei predetti costi;
   c) semplificare, sia pure nel pieno rispetto delle esigenze di trasparenza del mercato e di tutela degli azionisti di minoranza, la governance delle società quotate, in particolare sotto il profilo delle inefficienze e pletoricità oggi esistenti nel sistema dei controlli interni;
   d) migliorare il grado di contendibilità delle società quotate, superando definitivamente i meccanismi che hanno reso opachi gli assetti di controllo delle stesse (patti parasociali, scatole cinesi, sistemi di controllo a catena), assicurando un adeguato bilanciamento tra le esigenze di controllo e le esigenze di ampliamento del mercato;
   e) strutturare maggiormente i segmenti di mercato dedicati precipuamente alle PMI;Pag. 24
   f) cancellare definitivamente gli elementi di distorsione del sistema tributario che hanno favorito il ricorso al capitale di debito rispetto al capitale di rischio, e che sono in parte già in fase di superamento, ad esempio attraverso le misure per l'aiuto alla crescita economica (ACE) recentemente introdotte, le quali potrebbero essere ulteriormente rafforzate in favore delle imprese che si avviano alla quotazione, nonché attraverso forme di agevolazione fiscale per i piccoli investitori che mantengano le azioni in portafoglio per un determinato periodo (ad esempio 5 anni);
   g) favorire lo sviluppo di professionalità dedicate alle PMI nel settore della finanza d'impresa.

4.2.3 Misure per ampliare i canali di finanziamento delle PMI.
  Un altro insieme di misure attiene al rafforzamento di alcuni meccanismi, recentemente introdotti nell'ordinamento, che possono ampliare e differenziare i canali di finanziamento del sistema economico.
  In particolare, si tratta di potenziare gli strumenti dei cosiddetti «mini bond», delle obbligazioni partecipative, nonché dei bond di distretto, delle obbligazioni di progetto e del cosiddetto equity crowdfunding, sui quali sono già intervenuti il decreto-legge n. 83 del 2012 ed il decreto-legge n. 179 del 2012.
   1) Per quanto riguarda i «mini bond», nel sottolineare come le norme del già citato decreto-legge n. 83 del 2012 abbiano consentito di rivitalizzare un istituto che era ormai scomparso dal panorama finanziario italiano, sia per ragioni regolamentari sia a causa del penalizzante regime tributario, si segnala come appaiano utili ulteriori interventi di manutenzione normativa volti a superare alcuni elementi di criticità che ancora possono ostacolare il pieno utilizzo di tale strumento, che, sebbene pensato prioritariamente come canale di finanziamento aggiuntivo per le PMI, è stato finora utilizzato per emissioni di dimensioni relativamente rilevanti.
  In dettaglio, è stata segnalata a questo riguardo l'esigenza di consentire al Fondo centrale di garanzia per le PMI, ovvero ad altro strumento, di rilasciare garanzie a favore dei fondi che acquisiscano i mini bond.
   2) Per quanto riguarda i bond di distretto, la logica dovrebbe essere quella di raccogliere risorse da sottoscrittori privati, creando un portafoglio prestiti erogato in favore di imprese residenti nel medesimo distretto produttivo. In tale contesto, è emersa l'esigenza di:
    a) favorire l'intervento diretto nelle operazioni di emissione delle finanziarie regionali, nonché dei consorzi di garanzia collettivi fidi;
    b) prevedere che le emissioni possono essere assistite da garanzia;
    c) introdurre forme di differenziazione dei titoli in base al livello di rischio e di rendimento;
    d) consentire la liquidabilità dei titoli, attraverso un mercato secondario.
   3) Con riferimento alla tematica del cosiddetto equity crowdfunding, cioè dello strumento, introdotto con il decreto-legge n. 179 del 2012, che consente di raccogliere capitale di rischio tramite portali on line, si evidenzia come esso potrebbe risultare particolarmente utile per sostenere la capitalizzazione di start up innovative e per finanziare iniziative di venture capital. In merito le azioni principali che potrebbero essere assunte in questo campo riguardano:
    a) la valutazione circa l'effettiva efficacia di tale strumento, anche in vista di un suo ampliamento a tutte le tipologie di imprese e non solo alle start up innovative;
    b) l'esigenza di contemperare, in via di normativa primaria o regolamentare, un adeguato livello di tutela degli investitori non professionali con la necessità di evitare eccessivi appesantimenti procedurali e burocratici, che potrebbero pregiudicare l'utilizzo di tale strumento.

Pag. 25

  Su un ulteriore piano, occorre inoltre rendere più efficaci e, se del caso, rafforzare il ruolo dei consorzi di garanzia collettiva fidi, sviluppare l'esperienza dei cosiddetti credit funds, colmare l'assenza di investitori istituzionali e professionali specializzati nel settore delle PMI, nonché riaprire il mercato delle cartolarizzazioni, agevolare ulteriormente il canale di liquidità delle banche con la BCE e sostenere la crescita settore del microcredito.
  In riferimento ai Consorzi di garanzia collettiva fidi, si segnala come l'efficacia dell'azione dei Confidi nel favorire l'accesso al credito da parte delle PMI potrebbe essere notevolmente aumentata:
   a) ricorrendo ad un meccanismo di controgaranzia pubblica, ad esempio secondo l'ipotesi che è stata proposta nel paragrafo 4.2.1;
   b) rafforzando il patrimonio dei Confidi, anche proseguendo il processo di fusione e di crescita dimensionale in atto in tale settore, nonché favorendo l'ingresso nel capitale dei Confidi stessi di imprese non finanziarie e di enti pubblici e privati.

  In merito ai cosiddetti credit funds, cioè ai fondi di investimento specializzati nella sottoscrizione degli strumenti di debito emessi da società, anche di piccole e medie dimensioni, in una prospettiva di lungo periodo non speculativa, ma comunque secondo una logica di portafoglio, essi potrebbero svolgere un ruolo positivo per ampliare la differenziazione dei canali di finanziamento a debito allentando i vincoli di patrimonializzazione delle banche, ponendosi inoltre in sinergia con lo strumento dei mini bond.
  Per quanto riguarda invece il collegamento tra PMI e investitori professionali, occorre superare il gap informativo e la condizione di volatilità che attualmente distoglie tali soggetti dall'investire in imprese troppo piccole per essere da loro conosciute e analizzate. A tal fine appare utile ipotizzare forme di detassazione dei capital gain derivanti dall'investimento nei predetti fondi specializzati.
  Riguardo alla problematica delle cartolarizzazioni, si segnala come la riapertura di tale mercato, drasticamente ridottosi a seguito degli eccessi che sono tra le cause della crisi finanziaria attuale, costituirebbe uno strumento efficace per estendere la disponibilità di credito, soprattutto nei confronti delle PMI, senza incorrere nei vincoli patrimoniali imposti alle banche. In proposito appare prioritario ridurre la diffidenza che il mercato comprensibilmente nutre, sulla scorta delle negative esperienze del recente passato, rispetto a queste operazioni, le quali per tale motivo non risultano al momento convenienti per le banche. A tal fine appare opportuno realizzare operazioni di cartolarizzazioni standardizzate, relative a crediti erogati nei confronti di PMI, emettendo titoli a struttura semplice e facilmente conoscibili dagli investitori.
  In merito al canale di liquidità reso disponibile dalla BCE in favore delle banche, potrebbe essere utile consentire l'ulteriore ampliamento delle attività bancarie che gli istituti di credito possono portare in garanzia presso la stessa BCE in cambio di liquidità, comprendendovi, oltre che i mutui immobiliari, anche i crediti erogati alle PMI.
  Per quanto attiene alle tematiche del microcredito, nel rilevare come tale settore può costituire uno strumento utile a sostenere la piccola e microimprenditorialità nell'attuale congiuntura economico-finanziaria, anche per favorire la crescita dimensionale e la fuoriuscita di tali soggetti dall'area dell'economia sommersa, si suggeriscono le seguenti linee di intervento:
   a) equiparare agli investimenti le risorse pubbliche destinate alle iniziative di microcredito, anche ai fini del Patto di stabilità interno;
   b) emanare la normativa regolamentare di attuazione dell'articolo 111 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB) di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 385 del 1993, recante la disciplina di tale settore.

Pag. 26

4.2.4 Modifiche all'operatività del sistema bancario.
  I malfunzionamenti del modello di operatività bancaria cosiddetto funding wholesale e del mercato dei titoli cosiddetti riskfree, originati dalla perdurante crisi economica-finanziaria e dall'esigenza di mitigare la carenza di liquidità nel sistema, hanno contribuito in maniera indiretta ad innalzare il costo opportunità degli investimenti in economia reale (ovvero abbassare quello degli investimenti in finanza), dirottandoli verso la componente finanziaria.
  Il ripristino di un circuito virtuoso del credito non può quindi prescindere da un riequilibrio dei premi al rischio insiti nelle scelte di asset allocation effettuate dagli istituti di credito. Un maggiore afflusso di capitali all'economia reale avrebbe un indubbio effetto benefico sul tasso di crescita del PIL e, di converso, sui livelli dei non perfoming loans e, quindi, delle relative svalutazioni che attualmente assorbono la maggior parte del margine operativo.
  Occorre quindi ridisegnare il modello di operatività degli istituti di credito, attraverso opportuni interventi normativi e tributari, al fine di riavvicinare le banche al territorio, limitare l'investimento in attività speculative ed incentivare l'erogazione del credito ad imprese e famiglie.
  A tale proposito, criteri di vincolo dell'investimento della raccolta su base territoriale, oltre che favorire l'apertura di nuove nicchie di mercato e fungere da volano per l'economia locale, ben si presterebbero ad un miglioramento di quel rapporto di fiducia tra banca e clientela che è alla base del corretto funzionamento della struttura di intermediazione e delle politiche del credito volte a consentire una allocazione dello stesso più adeguato al tessuto imprenditoriale rappresentativo della nazione. La tutela della solidità di questa categoria di intermediari finanziari potrebbe essere supportata, da un lato, da un vincolo delle alternative di investimento degli attivi verso ben definite forme lontane dalle logiche speculative e, dall'altro, dalla destinazione di una quota parte consistente degli utili a riserva indivisibile.
  Accanto a queste forme di indirizzo dell'operatività, nelle more di una riduzione indiretta del premio al rischio, appare inoltre necessario individuare incentivi che graduino il carico tributario in proporzione al livello di credito erogato, ovvero introdurre un trattamento contabile differenziato per le operazioni di coverage delle attività verso la clientela.
  Il modello di banca universale che si era venuto ad affermare alla fine del processo di consolidamento del settore bancario compiutosi negli anni ’90 sta infatti per essere inesorabilmente modificato a causa della recente crisi finanziaria e le ragioni che hanno motivato in passato l'affermarsi del modello della grande banca che operava sul mercato finanziario a «360 gradi» sono in parte le stesse che ne hanno decretato la crisi. La rivoluzione avvenuta nelle tecnologie della comunicazione e dell'informazione hanno favorito l'innovazione finanziaria, la standardizzazione di molti strumenti finanziari, la riduzione dei costi di relazione con la clientela. In tale contesto, la presenza sul territorio nazionale di un sistema bancario che operi secondo le linee guida sopraesposte favorirebbe l'impostazione di strategie di business più tipicamente relationship lending piuttosto che transaction lending, che rappresentano, allo stato attuale della crisi, una leva sulla base della quale è possibile rilanciare lo sviluppo della nostra economia.

4.2.5 Ulteriori misure di contesto.
  Un ulteriore elemento di contesto che appare fondamentale per consentire un'erogazione di credito adeguata alle esigenze di liquidità delle imprese, riguarda il miglioramento dei meccanismi di risoluzione delle crisi, con particolare riguardo alla disciplina fallimentare.
  La normativa in materia costituisce infatti un fattore chiave per superare le distorsioni ed i disincentivi che, in tale ambito, attualmente ostacolano la continuità aziendale di soggetti imprenditoriali Pag. 27che, pur attraversando una situazione di crisi, avrebbero ancora prospettive di redditività. A tale riguardo, è stato segnalato come i positivi interventi in merito realizzati, prima con il decreto-legge n. 83 del 2012 e, successivamente, con il decreto-legge n. 69 del 2013, opportunamente volti a salvaguardare la continuità aziendale, necessitino di ulteriori correttivi, al fine di evitare distorsioni che potrebbero pregiudicare gli interessi dei creditori e, di conseguenza, la loro disponibilità a sostenere la sopravvivenza economica e produttiva del debitore.
  In dettaglio, si segnala l'esigenza di:
   a) estendere il regime di deducibilità fiscale delle perdite subite dai creditori, già previsto in ogni caso, ai sensi dell'articolo 101, comma 5, del Testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, per le procedure concorsuali e per il concordato preventivo, anche ai piani di risanamento di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), della legge fallimentare (Regio decreto n. 267 del 1942);
   b) reintrodurre la necessità che il consenso, da parte dei creditori, al concordato preventivo, sia espresso in termini espliciti, o comunque consentendo ai creditori di valutare pienamente la proposta di concordato;
   c) prevedere, sia pure con adeguate cautele, la possibilità, per i creditori, di elaborare proposte di concordato preventivo alternative a quella formulata dall'imprenditore;
   d) introdurre uno strumento di soluzione delle crisi di gruppo, attraverso l'introduzione di un nuovo istituto di «concordato di gruppo»;
   e) rafforzare la possibilità di soddisfare i creditori aderenti al concordato attraverso strumenti finanziari di partecipazione;
   f) migliorare e chiarire la disciplina del concordato con continuità aziendale;
   g) incentivare l'erogazione, da parte degli istituti di credito, dei finanziamenti interinali;
   h) prevedere il riconoscimento del diritto di voto ai creditori privilegiati;
   i) disciplinare il regime dei contratti in corso di esecuzione nell'ambito del concordato con continuità aziendale, ad esempio per quanto riguarda i contratti di leasing.

  Un ultimo, ma non meno importante, aspetto di contesto cui occorre dedicare maggiore attenzione, in una prospettiva di medio-lungo periodo, riguarda il miglioramento complessivo della cultura, di impresa, bancaria e professionale, nella quale è calata l'operatività delle aziende, in particolare per quanto attiene alle strategie di finanziamento ed alla risoluzione delle crisi.
  In particolare, appaiono prioritari i seguenti interventi:
   a) migliorare la sensibilità degli imprenditori rispetto all'esigenza di garantire una maggiore trasparenza delle imprese, la quale costituisce un requisito essenziale sia per consentire il finanziamento delle imprese stesse sia per consentire l'accesso di nuovi capitali;
   b) sviluppare la consapevolezza del mondo imprenditoriale rispetto alla necessità di aprire le imprese, soprattutto quelle familiari, ad apporti di capitale esterno ed a contributi professionali qualificati che consentano di migliorare le strategie di finanziamento delle imprese, al fine di incentivare la crescita dimensionale delle imprese stesse e di consentire ordinate dinamiche di trasferimento intergenerazionale.

Pag. 28

ALLEGATO 2

Indagine conoscitiva su: «Gli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita, anche alla luce delle più recenti esperienze internazionali».

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

1. L'OGGETTO DELL'INDAGINE

  L'indagine conoscitiva ha preso spunto dalla considerazione secondo cui la crisi finanziaria internazionale ha inciso su alcune delle caratteristiche del sistema imprenditoriale italiano, che in passato hanno conferito flessibilità e dinamismo al sistema – dimensione media d'impresa piuttosto ridotta, basso livello di capitalizzazione, carattere informale delle strutture imprenditoriali, nonché resistenza ad aprirsi al capitale esterno e forte dipendenza dal credito bancario – trasformandole da elementi di forza in fattore di debolezza.
  Tale evoluzione si inquadra in un contesto normativo europeo nel quale gli stringenti requisiti di patrimonializzazione delle banche introdotti da Basilea 3 hanno peggiorato le condizioni di liquidità delle banche italiane, per lo più focalizzate sulle attività tradizionali di banche commerciali; a ciò si aggiunge un più elevato premio per il rischio (costituito essenzialmente dai premi medi sui credit default swap – CDS) che le banche nazionali pagano rispetto agli operatori creditizi di altri Paesi europei nostri competitori a livello internazionale (ad esempio Francia e Germania), rendendo il costo del denaro più alto per le imprese italiane rispetto a quanto pagato dalle imprese degli altri Paesi europei.
  In quest'ambito la Commissione Finanze della Camera ha ritenuto opportuno svolgere un'indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita, anche alla luce delle più recenti esperienze internazionali.
  L'analisi svolta nel corso dell'indagine ha riguardato soprattutto le misure e le strategie di natura creditizia e finanziaria per assicurare al tessuto produttivo nazionale la necessaria liquidità e un'adeguata dotazione di capitale.
  Sotto questo profilo, la Commissione ha individuato quale nodo fondamentale per l'analisi della crisi e per l'individuazione di strategie di superamento della stessa la problematica concernente il credito alle imprese ed alle famiglie. L'indagine ha quindi inteso approfondire i meccanismi causali, sia contingenti sia strutturali, che hanno portato all'attuale condizione di restrizione del credito, nonché le prospettive evolutive che essa potrà avere sul panorama complessivo dell'economia italiana, per individuare ipotesi di correttivi e soluzioni che possano costituire la base per il lavoro parlamentare e contribuire ad orientare in termini più precisi e concreti il confronto politico su questi temi.
  Tra gli aspetti valutati prioritariamente dalla Commissione con l'obiettivo di individuare gli strumenti per potenziare l'erogazione del credito alle imprese e rafforzare il capitale di rischio delle medesime vi sono:
   il potenziamento del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese e l'individuazione di altri strumenti di garanzia pubblica in questa materia;Pag. 29
   l'ampliamento del mercato nazionale del capitale di rischio e la diversificazione dei canali di erogazione di capitale di debito;
   il potenziamento del ruolo svolto in materia dalla Cassa Depositi e prestiti;
   l'incentivazione del ruolo dei fondi pensioni, dei fondi assicurativi e degli investitori istituzionali nel rafforzamento del capitale di rischio delle imprese italiane;
   l'adozione di forme di «mini bond» per il finanziamento alle imprese;
   la cartolarizzazione dei crediti delle PMI, eventualmente con il supporto della BCE;
   l'incentivazione del ruolo del venture capital e del private equity, sia a sostegno delle start up sia a sostegno delle imprese industrialmente sane ma in difficoltà creditizia.

  Nel corso dell'indagine, che è stata deliberata il 30 maggio 2013 e si è articolata nell'arco di circa cinque mesi, sono stati ascoltati il Direttore di McKinsey & Company, il Direttore generale di Unicredit, il Direttore generale della Banca Finnat Euramerica, il Direttore generale di Unipol Gruppo Finanziario SpA, il Presidente dell'Associazione italiana del private equity e venture capital (AIFI), la Presidente di Action Institute, il Presidente della Banca Monte dei Paschi di Siena, il Presidente della CONSOB, i rappresentanti della Banca d'Italia, il Presidente di Banca Popolare Etica, nonché i rappresentanti di Federcasse.

2. IL QUADRO NORMATIVO

  Per inquadrare meglio le tematiche oggetto dell'indagine conoscitiva appare opportuno, prima di passare a sintetizzare gli elementi emersi nel corso dell'attività conoscitiva, fornire una succinta ricognizione dei principali interventi adottati nel corso degli ultimi anni, sia in ambito finanziario sia in ambito tributario, per il sostegno al sistema delle imprese.
  Per quanto attiene al primo ambito il legislatore, nell'intento di ovviare alla contrazione dei finanziamenti alle imprese, ha approntato misure normative e convenzionali volte, da un lato, ad incentivare gli istituti bancari a riattivare i canali del credito, e, dall'altro, a favorire il reperimento di risorse finanziarie con modalità alternative rispetto al ricorso ai prestiti bancari.
  Sotto il secondo profilo sono stati adottati una serie di interventi fiscali sul settore produttivo che intendono rilanciare la competitività delle imprese italiane e di promuovere la crescita del Paese.
  Inoltre saranno richiamati gli interventi recentemente adottati sulla disciplina fallimentare, che pure costituiscono un elemento di contesto importante per le prospettive del tessuto imprenditoriale.

2.1 Misure tributarie di sostegno alle attività economiche.

  In tale contesto si richiamano anzitutto le misure volte alla concessione di incentivi fiscali per promuovere la costituzione di aggregazioni di imprese, sotto forma di distretti produttivi e di contratti di rete (articolo 6-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 e decreto-legge n. 179 del 2012).
  Sotto un diverso profilo, il legislatore è intervenuto con lo scopo di incentivare la capitalizzazione delle imprese italiane: l'articolo 1 del decreto-legge n. 201 del 2011, al fine di favorire il finanziamento delle imprese mediante capitale proprio, ha introdotto il cosiddetto Aiuto alla crescita economica – ACE, consentendo alle imprese di dedurre dal reddito imponibile la componente derivante dal rendimento nozionale di nuovo capitale proprio. Tale misura ha ridotto in misura significativa i vantaggi fiscali del finanziamento con debito rispetto a quello con capitale di rischio, con la conseguenza, evidenziata dalla Banca d'Italia nel corso dell'indagine, che nel biennio 2012-2013 circa il 6 per Pag. 30cento delle imprese dell'industria e dei servizi e il 5 di quelle delle costruzioni sono state indotte ad accrescere la loro capitalizzazione.
  È stato poi introdotto un trattamento di favore per le perdite registrate dalle imprese di recente costituzione.
  La forma del credito d'imposta è stata altresì spesso utilizzata al fine di promuovere l'assunzione, da parte delle imprese, di personale o l'effettuazione di investimenti. Il legislatore ha previsto crediti d'imposta in favore delle imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca (articolo 1 del decreto-legge n. 70 del 2011), di quelle che assumono lavoratori a tempo indeterminato nelle regioni del Mezzogiorno (articolo 2 del citato decreto-legge n. 70 del 2011 e articolo 2, comma 9, del decreto-legge n. 76 del 2013) e a favore di tutte le imprese che effettuano nuove assunzioni a tempo indeterminato di profili professionali altamente qualificati (articolo 24 del decreto-legge n. 83 del 2012). La misura è stata estesa (dal decreto-legge n. 179 del 2012) anche alle imprese qualificabili come «start-up innovative», con modalità semplificate di fruizione.
  Le imprese «start up» e gli incubatori certificati godono altresì di ulteriori agevolazioni fiscali, operanti nei confronti di amministratori, dipendenti e collaboratori di tali soggetti: in favore di tali soggetti è prevista l'esenzione da imposizione fiscale e contributiva per la parte di reddito di lavoro che deriva dall'attribuzione di azioni, quote, strumenti finanziari o diritti partecipativi nelle predette imprese (ai sensi dell'articolo 27 del decreto-legge n. 179 del 2012). Inoltre, per gli anni 2013-2015, accanto a specifiche detrazioni IRPEF, è stata prevista per i soggetti IRES la possibilità di dedurre dall'imponibile parte delle predette somme investite nel capitale sociale di imprese start-up innovative.
  In materia di agevolazioni IRAP, si ricorda che l'articolo 2 del decreto-legge n. 201 del 2011 ha reso integralmente deducibile ai fini delle imposte dirette (IRES e IRPEF), a decorrere dal 2012, la quota di IRAP dovuta relativa al costo del lavoro. Di segno analogo è l'intervento recato dalla legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi 484 e 485, della legge n. 228 del 2012), che ha modificato la disciplina delle deduzioni IRAP, elevando gli importi per i lavoratori assunti a tempo indeterminato e per i contribuenti di minori dimensioni. Tali disposizioni si applicano a decorrere dal 2014. Infine, sono stati innalzati gli importi deducibili complessivamente dall'IRAP in favore dei soggetti di minori dimensioni, ovvero quelli con base imponibile non superiore a 180.999,91 euro, diversi dalle pubbliche amministrazioni.
  Tali interventi, congiuntamente al fondo istituito dalla legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 95 a 97, della legge n. 228 del 2012) e alle misure di detassazione dei contratti di produttività, si inquadrano nell'alveo delle misure adottate al fine di ridurre il cosiddetto «cuneo fiscale», ovvero la differenza tra l'onere del costo del lavoro per l'imprenditore e il reddito effettivo percepito dal prestatore d'opera o lavoratore.
  Diversi interventi legislativi hanno inteso rilanciare mediante la leva tributaria il settore delle infrastrutture: si ricordano in questa sede le misure per la tassazione agevolata dei cosiddetti project bond (ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge n. 83 del 2012), con l'applicazione di un'imposta sostitutiva con aliquota al 12,5 per cento sulle emissioni obbligazionarie effettuate nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 da parte delle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità.
  A seguito degli interventi apportati con l'articolo 33 del decreto-legge n. 179 del 2012 e con l'articolo 19 del decreto-legge n. 69 del 2013 il legislatore ha delineato tre ulteriori modalità di sostegno alla realizzazione di nuove infrastrutture, le cui procedure sembrano essere sostanzialmente analoghe:
   in via sperimentale, è stato introdotto un credito d'imposta per nuove opere di importo superiore a 200 milioni di euro entro il limite massimo del 50 per cento del costo dell'investimento; esso spetta per Pag. 31la realizzazione di nuove opere infrastrutturali di rilevanza strategica nazionale con contratti di partenariato pubblico privato (PPP) a valere sull'IRES e sull'IRAP generate in relazione alla costruzione e gestione dell'opera stessa; l'approvazione della progettazione definitiva deve avvenire entro il 31 dicembre 2016;
   è prevista l'esenzione dal pagamento del canone di concessione nella misura necessaria al raggiungimento dell'equilibrio del piano economico-finanziario, sempre per nuove opere di importo superiore a 200 milioni di euro, cumulabile con la misura precedente;
   in alternativa, è prevista la «defiscalizzazione» delle nuove opere incluse in piani o programmi di amministrazioni pubbliche previsti a legislazione vigente (ai sensi dell'articolo 18 della legge n. 183 del 2011), consistente nella possibilità di compensare le imposte con quanto dovuto alla PA a titolo di contributo pubblico a fondo perduto.

2.2 Fondi di garanzia e altri interventi agevolativi.
  Nel solco della riattivazione dei tradizionali finanziamenti bancari si collocano gli interventi concernenti il Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese. Il Fondo, costituito dalla legge n. 662 del 1996 (articolo 2, comma 100, lettera a)) e successivamente rifinanziato, ha lo scopo di garantire una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito a favore delle piccole e medie imprese.
  Da ultimo, il decreto-legge n. 69 del 2013, all'articolo 1, ha demandato a un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (non ancora emanato) la definizione di misure volte ad ampliare le possibilità di accesso al credito, a limitare il rilascio della garanzia alle operazioni finanziarie di nuova concessione o erogazione e a prevedere specifici criteri di valutazione ai fini dell'accesso alla garanzia da parte delle imprese sociali e delle cooperative sociali. Tali interventi sono estesi anche ai professionisti iscritti agli ordini professionali e a quelli aderenti alle associazioni professionali di professioni non organizzate. Inoltre, al Fondo di garanzia possono affluire contributi su base volontaria destinati alla microimprenditorialità.
  Dal 2009 al 2012 il Fondo ha concesso garanzie su oltre 31 miliardi di euro di prestiti; nei primi sei mesi dell'anno in corso ha accolto quasi 35.000 domande, per un volume dei finanziamenti pari a 4,8 miliardi, in aumento del 38 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
  Il decreto-legge n. 69 del 2013 ha inoltre previsto un meccanismo incentivante – attraverso l'intervento di Cassa Depositi e prestiti – per le micro, piccole e medie imprese che vogliono effettuare investimenti, anche tramite leasing, di macchinari, impianti, attrezzature ad uso produttivo; l'agevolazione si applica anche all'acquisto di beni strumentali d'impresa, nonché per gli investimenti in hardware, in software ed in tecnologie digitali.
  Tra le principali misure di natura convenzionale, si ricorda che nel febbraio del 2012 è stata sottoscritta l'intesa tra il Ministero dell'Economia e delle Finanze, il Ministero dello Sviluppo economico, l'ABI e le altre associazioni di rappresentanza delle imprese, denominata Nuove misure per il credito alle PMI, volta alla sospensione dei pagamenti da parte di talune imprese e all'allungamento dei piani di finanziamento. Il 1 luglio 2013 l'ABI e le associazioni di impresa hanno sottoscritto l'Accordo per il credito 2013, recante misure analoghe a quelle già messe a disposizione delle PMI con la predetta intesa di febbraio 2012. In merito si segnala che al 31 luglio 2013 risultavano accolte circa 105.000 domande di sospensione e che i rimborsi in conto capitale interessati dalla sospensione erano pari a 4,3 miliardi.

Pag. 32

2.3 Nuovi strumenti finanziari di accesso al mercato dei capitali.
  Con l'intento di facilitare l'accesso alla raccolta del capitale di debito per le società non quotate, quale alternativa al canale di finanziamento bancario, il legislatore ha introdotto diversi strumenti volti a ridurre i vincoli normativi, civilistici e fiscali che hanno sinora limitato il ricorso al mercato dei capitali mediante l'emissione di tali strumenti.
  Infatti, nonostante la riforma del diritto societario attuata con il decreto legislativo n. 6 del 2003 abbia ampliato il novero degli strumenti cartolari di debito che le imprese possono emettere sul mercato, le limitazioni patrimoniali all'indebitamento e gli adempimenti amministrativi richiesti dalla normativa di settore ne avevano consentito di fatto la fruizione esclusivamente alle società con azioni negoziate nei mercati regolamentati e agli istituti di credito.
  Come sottolineato dall'Agenzia delle entrate nella circolare 4/E del 2013, la riforma delle cambiali finanziarie (mini bond) e dei titoli obbligazionari emessi dalle imprese ha inteso ridurre la disparità tra società italiane con azioni quotate e società italiane non quotate, rendendo possibile anche per queste ultime l'emissione di strumenti di debito da destinarsi ai mercati domestici ed internazionali.
  Per quanto riguarda i «mini bond», l'articolo 32 del decreto-legge n. 83 del 2012 (modificato dal decreto-legge n. 179 del 2012) ne ha semplificato e aggiornato la disciplina originaria, contenuta nella legge 13 gennaio 1994, n. 43.
  Sulla base delle modifiche apportate dai citati decreti, la scadenza non può essere inferiore ad un mese e superiore a trentasei mesi dalla data di emissione; le cambiali possono essere emesse da tutte le società di capitali, da società cooperative e mutue assicuratrici (diverse dalle banche e dalle micro-imprese). Tuttavia, le società e gli enti non aventi titoli rappresentativi del capitale negoziati in mercati (regolamentati o non regolamentati) possono emettere i mini bond subordinatamente alla presenza di determinati requisiti, tra cui l'assistenza di uno sponsor (una banca, un'impresa di investimento, una società di gestione del risparmio, una società di gestione armonizzata, una società di investimento a capitale variabile, purché con succursale costituita nel territorio dello Stato), che assista e supporti la società nella procedura di emissione e nella fase di collocamento dei titoli e mantenga nel proprio portafoglio, sino alla naturale scadenza, una quota dei titoli variabile in funzione dell'ammontare complessivo dell'emissione. Le società emittenti, che non siano classificabili tra le piccole e medie imprese (come definite dalla raccomandazione 2003/36/CE) possono rinunciare alla nomina dello sponsor; in ogni caso è richiesto che l'ultimo bilancio della società emittente non quotata sia certificato da un revisore contabile o da una società di revisione iscritta nel registro dei revisori contabili. È altresì previsto che i mini bond emessi da società non quotate devono essere emessi e girati esclusivamente in favore di investitori professionali che non siano, direttamente o indirettamente, soci della società emittente. I mini bond possono essere altresì emessi in forma dematerializzata.
  Per le emissioni dei minibond è stato creato l'apposito mercato ExtraMOT PRO, gestito dalla Borsa italiana; ad oggi sono classificati come minibond e, quindi, quotati all'ExtraMOT PRO, circa 1,5 miliardi di emissioni, concentrati soprattutto in due o tre emissioni.
  In tema di obbligazioni, il richiamato articolo 32 del decreto-legge n. 83 ha inoltre modificato la disciplina dell'emissione, da parte di società non quotate diverse dalle banche e dalle micro-imprese, di obbligazioni e titoli similari che prevedono clausole di partecipazione agli utili d'impresa e di subordinazione.
  In particolare, i commi da 19 a 26 dell'articolo 32 hanno introdotto alcune disposizioni specificamente riferite alle emissioni di obbligazioni partecipative e subordinate da parte di società non emittenti strumenti finanziari rappresentativi del capitale quotati in mercati regolamentati Pag. 33o in sistemi multilaterali di negoziazione (diverse dalle banche e dalle micro-imprese).
  Sono anzitutto disciplinate le caratteristiche civilistiche che i suddetti titoli devono possedere ai fini della loro qualificazione come vere e proprie obbligazioni (rientranti, quindi, nell'ambito dell'articolo 2411, primo e secondo comma, del codice civile). In particolare è prevista la possibilità per le società non quotate di emettere titoli obbligazionari che prevedano clausole di partecipazione agli utili di impresa e di subordinazione, purché presentino alcune caratteristiche relative alla durata (non inferiore a trentasei mesi), alla clausola di postergazione (si deve prevedere il diritto al rimborso subordinatamente agli altri creditori della società, mantenendo la prelazione al rimborso soltanto rispetto agli azionisti) e alla remunerazione (la remunerazione deve essere necessariamente composta da una parte fissa e da una parte variabile, il tasso di interesse riconosciuto al portatore del titolo non può essere inferiore al tasso ufficiale di riferimento pro tempore vigente, mentre la parte variabile del corrispettivo deve essere commisurata al risultato economico dell'impresa emittente).
  L'articolo 32 dello stesso decreto-legge n. 83 del 2012 ha poi operato una revisione della disciplina relativa alla deducibilità degli interessi passivi corrisposti da parte dei soggetti emittenti cambiali finanziarie, obbligazioni e titoli similari.
  Per effetto delle modifiche introdotte, per le cambiali finanziarie, le obbligazioni e i titoli similari emessi da società non quotate, non si applica tout court la regola della indeducibilità degli interessi passivi, purché i predetti strumenti finanziari siano quotati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione di Paesi comunitari o aderenti allo Spazio economico europeo (SEE) inclusi nella white list. Ove le cambiali finanziarie, le obbligazioni e i titoli similari non siano quotati, la disapplicazione delle regole di indeducibilità si verifica qualora gli strumenti siano detenuti da investitori qualificati, i quali a loro volta non devono detenere (direttamente o indirettamente, anche a tramite di società fiduciarie, interposta persona o familiare) più del 2 per cento del capitale o del patrimonio dell'emittente. Sono stati inoltre posti stringenti requisiti ai fini della determinazione della percentuale massima di partecipazione degli investitori qualificati al capitale delle società emittenti.
  Per quanto concerne il trattamento fiscale degli interessi percepiti dagli investitori, il già citato articolo 32 ha disposto l'applicazione dell'imposta sostitutiva nella misura del 20 per cento a:
   cambiali finanziarie, obbligazioni e titoli similari emessi da banche, società per azioni quotate in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione comunitari, o di Stati aderenti all'Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella white list;
   obbligazioni e titoli similari emessi da enti pubblici trasformati in S.p.a. per effetto di disposizioni di legge;
   cambiali finanziarie, obbligazioni e titoli similari emesse da società di capitali, cooperative e mutue assicuratrici, diverse dalle banche e dalle micro-imprese, non quotate o non ex enti pubblici;

  L'imposta sostitutiva si applica agli interessi derivanti da strumenti finanziari emessi a decorrere dal 26 giugno 2012 (data di entrata in vigore del decreto-legge n. 83 del 2012). Restano assoggettati alla ritenuta del 20 per cento (ai sensi dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973) gli interessi derivanti da obbligazioni, titoli similari e cambiali finanziarie non quotati emessi da società per azioni non negoziate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione.
  L'articolo 41 del decreto-legge n. 1 del 2012 (cosiddetto decreto «liberalizzazioni») ha consentito alle società di progetto e alle società titolari di un contratto di partenariato pubblico-privato di emettere, oltre alle obbligazioni, anche titoli di debito, con lo scopo di realizzare una Pag. 34singola infrastruttura o un nuovo servizio di pubblica utilità, anche in deroga ai limiti previsti dal Codice civile (cosiddetti project bond). Gli strumenti sono sottoscritti solo da investitori qualificati; le obbligazioni e i titoli di debito sono nominativi e non possono essere trasferiti a soggetti che non siano investitori qualificati.
  In rapporto ai project bond non trovano applicazione specifiche norme del codice civile in materia di emissioni obbligazionarie (tra cui quelle in materia di riduzione di capitale, garanzie, assemblea degli obbligazionisti). I titoli e la relativa documentazione di offerta devono riportare chiaramente un avvertimento circa l'elevato profilo di rischio associato all'operazione. Tali obbligazioni e titoli di debito possono essere garantiti, sino all'avvio della gestione dell'infrastruttura da parte del concessionario, dal sistema finanziario, da fondazioni e da fondi privati.
  A seguito delle norme contenute nell'articolo 1 del decreto-legge n. 83 del 2012, alle società che emettono project bond non si applicano i già richiamati limiti di deducibilità degli interessi passivi derivanti da obbligazioni. Inoltre è previsto un regime agevolato, ai fini delle imposte di registro e ipocatastali, per le garanzie rilasciate in relazione all'emissione di project bond. L'emissione di detti titoli viene infine consentita anche alle società già operative, per coprire debiti contratti precedentemente sulle infrastrutture esistenti.
  Per effetto delle norme contenute nel decreto-legge n. 69 del 2013, le agevolazioni fiscali in materia di deducibilità degli interessi passivi e il regime agevolato ai fini delle imposte di registro e ipocatastali hanno carattere strutturale. Si applica invece alle sole obbligazioni emesse nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 l'agevolazione relativa al regime fiscale sugli interessi, consistente nell'equiparazione a quello sui titoli di Stato: gli interessi derivanti da tali emissioni sono dunque sottoposte a tassazione sostitutiva con aliquota al 12,5 per cento.

2.4 Il venture capital.
  Al fine di favorire l'afflusso di capitale di rischio verso le nuove imprese, il legislatore ha introdotto (all'articolo 31 del decreto-legge n. 98 del 2011) un regime fiscale di favore in materia di fondi di venture capital (FVC) specializzati nelle fasi iniziali di avvio delle imprese.
  Più in dettaglio, per favorire l'accesso al venture capital e sostenere i processi di crescita di nuove imprese tramite fondi comuni di investimento, sono esenti da imposizione fiscale i proventi derivanti dalla partecipazione ai fondi di venture capital.
  Per l'operatività dell'esenzione occorre rispettare condizioni relative alla misura dell'investimento, alla tipologia dei beneficiari e alle caratteristiche dei soggetti investitori. Anzitutto deve trattarsi di fondi comuni di investimento che investono almeno il 75 per cento dei capitali raccolti in società non quotate nella fase di: sperimentazione (seed financing); costituzione (start-up financing); avvio dell'attività (early-stage financing); sviluppo del prodotto (expansion financing). Per accedere al beneficio, tuttavia, le società destinatarie dei FVC non devono essere quotate; devono avere sede operativa in Italia; devono essere soggette all'imposta sul reddito delle società (o imposta analoga prevista dalla legislazione locale) senza possibilità di esenzione né totale né parziale; devono esercitare attività di impresa da non più di 36 mesi e avere un fatturato non superiore ai 50 milioni di euro (in base all'ultimo bilancio approvato prima dell'investimento del FVC).

2.5 I covered bonds.
  L'articolo 2, comma 4-ter, del decreto-legge n. 35 del 2005 consente alle banche italiane di emettere obbligazioni garantite (covered bonds), cioè titoli obbligazionari connotati dalla presenza di una garanzia su specifiche categorie di attività della banca emittente. Tali strumenti, che si collocano fra i mezzi diretti a favorire un più ampio sviluppo del mercato interno e Pag. 35una maggiore apertura dei mercati, presentano, fra l'altro, il vantaggio di poter essere utilizzati nelle operazioni di rifinanziamento presso la Banca centrale europea.
  La disposizione del decreto-legge n. 35 del 2005 sopra richiamata innesta l'emissione di obbligazioni bancarie garantite sulla disciplina concernente le cartolarizzazioni: l'obbligazione viene cioè emessa con una procedura simile a quella prevista per le cartolarizzazioni.
  In un primo momento la banca (cedente) cede a una società-veicolo (cessionaria, costituita in base alle previsioni della legge n. 130 del 1999) un portafoglio di attivi creditizi di specifiche categorie (crediti fondiari e ipotecari, crediti verso pubbliche amministrazioni o da esse garantiti); tali attivi sono «segregati» dalla società-veicolo cessionaria in un patrimonio separato, a cui si applica la disciplina sulle cartolarizzazione ai sensi della legge n. 130 del 1999.
  Si procede quindi all'emissione di obbligazioni bancarie garantite da parte di una banca emittente (che può essere anche diversa da quella cedente) e alla prestazione, da parte della società cessionaria, di una garanzia a valere sugli attivi segregati in favore dei portatori di covered bonds; tale garanzia è irrevocabile, «a prima richiesta», incondizionata e autonoma rispetto alle obbligazioni assunte dalla banca emittente.
  Successivamente una banca (eventualmente anche diversa sia dalla società cedente sia dalla società emittente) eroga alla società cessionaria un finanziamento volto a fornire i mezzi per l'acquisto degli attivi, il cui rimborso è subordinato all'integrale soddisfacimento dei diritti dei portatori delle obbligazioni garantite.

2.6 Altri strumenti di sostegno alle imprese: la Cassa Depositi e prestiti, il Fondo Italiano di Investimento e il Fondo Strategico Italiano.
  Come già evidenziato in precedenza a proposito del Fondo di garanzia, il legislatore ha attribuito a Cassa Depositi e prestiti (CDP) un ruolo chiave nello sviluppo del sistema delle imprese italiane. Nel solco dell'innesto di liquidità al sistema si collocano infatti le norme che hanno ampliato le competenze della Cassa (per effetto del combinato disposto dell'articolo 22 del decreto-legge n. 185 del 2008 e dell'articolo 3, comma 4-bis del decreto-legge n. 5 del 2009), le quali hanno di fatto consentito di utilizzare la provvista rinveniente dal risparmio postale anche allo scopo di concedere finanziamenti, rilasciare garanzie, assumere capitale di rischio o di debito anche a favore delle piccole e medie imprese per finalità di sostegno dell'economia. In particolare, le operazioni a favore delle piccole e medie imprese possono essere effettuate esclusivamente attraverso l'intermediazione di soggetti autorizzati all'esercizio del credito, nonché attraverso la sottoscrizione di fondi comuni di investimento gestiti da una società di gestione collettiva del risparmio il cui oggetto sociale realizza uno o più fini istituzionali della Cassa Depositi e prestiti Spa.
  La Cassa Depositi e prestiti – insieme a Montepaschi, Intesa Sanpaolo, Unicredit e ad altri investitori – partecipa al Fondo equity per le Piccole e medie imprese «Fondo Italiano d'Investimento» – FII, sponsorizzato dal Ministero dell'economia e delle finanze, dall'Associazione Bancaria Italiana (ABI) e da Confindustria. Il Fondo, riservato ad investitori qualificati, ha come obiettivo quello di generare nel medio termine un nucleo consistente di imprese qualificabili come «medi campioni nazionali» che siano sufficientemente patrimonializzate ed in grado di affrontare le sfide della competitività internazionale. Esso opera attraverso investimenti sia diretti, in imprese con fatturato indicativamente compreso tra i 10 e i 250 milioni di euro, al fine di sostenerne i relativi programmi di sviluppo, sia indiretti, in altri fondi o società di investimento.
  La relazione sull'attività svolta al 31 dicembre 2011 ha evidenziato la realizzazione Pag. 36di 18 investimenti diretti in imprese e di 9 investimenti indiretti in fondi. Gli investimenti diretti deliberati alla predetta data ammontavano a 186,5 milioni di euro, mentre il totale degli investimenti deliberati in fondi ammontava a 230,5 milioni di euro. La somma dei suddetti valori porta ad un ammontare di impegni complessivamente deliberati pari a circa 417 milioni di euro, corrispondente a circa il 38 per cento del capitale gestito dal Fondo Italiano, disponibile per investimenti.
  Inoltre, l'articolo 7 del decreto legge n. 34 del 2011 ha autorizzato la CDP ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese, che risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività. La norma ha autorizzato l'acquisizione di tali partecipazioni anche attraverso veicoli societari o fondi di investimento partecipati da CDP S.p.A. ed eventualmente da società private o controllate dallo Stato o enti pubblici.
  A tal fine è stato creato il Fondo Strategico Italiano, holding di partecipazioni il cui azionista strategico è la Cassa Depositi e prestiti, attiva nel sostegno dell'economia e nello sviluppo infrastrutturale. I fondi disponibili sono pari a 4 miliardi di euro ed il capitale obiettivo è pari a 7 miliardi di euro. L'operatività del Fondo passa attraverso l'acquisizione di quote prevalentemente di minoranza, seguendo una politica di investimento che prevede un orizzonte temporale di lungo periodo, un attivo coinvolgimento nella governance delle aziende partecipate, volto ad assicurare il perseguimento delle finalità dell'intervento. L'obiettivo delle acquisizioni è il raggiungimento di rendimenti di mercato, tramite la combinazione di dividendi e aumento di valore dell'investimento, anche mediante l'apertura a coinvestitori nelle singole operazioni di investimento.

2.7 L'imposta sulle transazioni finanziarie (la cosiddetta «Tobin Tax»).
  In tale contesto merita anche richiamare le norme della legge di stabilità 2013 (articolo 1, commi da 491 a 500 della legge n. 228 del 2012) che hanno introdotto un'imposta sulle transazioni finanziarie, applicabile alle seguenti operazioni:
   trasferimento della proprietà di azioni ed altri strumenti partecipativi emessi da soggetti residenti nel territorio dello Stato, nonché di titoli rappresentativi dei predetti strumenti, indipendentemente dalla residenza del soggetto emittente, con un'aliquota pari allo 0,2 per cento del valore della transazione, se le operazioni di acquisto sono effettuate fuori dai mercati regolamentati (over the counter); l'aliquota è dell'0,1 per cento per le operazioni concluse in mercati regolamentati o con sistemi multilaterali di negoziazione;
   operazioni sui cosiddetti strumenti derivati su azioni o strumenti partecipativi, ad imposta in misura fissa, determinata con riferimento alla tipologia di strumento e al valore del contratto.

2.8  I più recenti interventi sulla legge fallimentare.
  Con riferimento ad altri interventi «di sistema», il decreto-legge n. 83 del 2012 ha modificato alcune norme della legge fallimentare, intervenendo in prevalenza sulla disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione.
  Il concordato preventivo è un mezzo di soddisfacimento delle ragioni dei creditori, previsto dalla legge fallimentare, alternativo al fallimento di cui impedisce la dichiarazione e le conseguenze personali patrimoniali. Il concordato preventivo si sostanzia in un accordo tra l'imprenditore e la maggioranza dei creditori – regolato da un giudice delegato nominato dal tribunale, coadiuvato da un commissario giudiziale – finalizzato a risolvere la crisi aziendale e ad evitare il fallimento mediante una soddisfazione – anche parziale Pag. 37– dei creditori. L'imprenditore che si trova in stato di crisi può quindi proporre ai creditori un piano che può prevedere: a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma; b) l'attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei; d) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
  Le nuove previsioni intendono, da una parte, permettere alle imprese in crisi un accesso più rapido alle procedure di risanamento, consentendo, tra l'altro, l'accesso a nuovi mezzi finanziari, garantendo la continuità aziendale ed estendendo talune tutele già nella fase preliminare di negoziazione con i creditori. Sotto un altro profilo le nuove norme intendono garantire maggior rigore (attraverso correlate sanzioni, anche penali) in materia di attestazioni del professionista.
  Le novità principali introdotte in materia dal citato decreto-legge n. 83 riguardano:
   la possibilità, nel concordato preventivo, di presentare il piano anche dopo la presentazione della domanda di concordato (cosiddetto concordato in bianco o preconcordato o concordato con riserva), entro un termine fissato dal giudice (al massimo 120 giorni, prorogabili di ulteriori sessanta) e consentendo al debitore, fino al decreto di apertura del concordato preventivo, previa autorizzazione del tribunale, di compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione; si è inteso così consentire al debitore di beneficiare degli effetti protettivi del proprio patrimonio connessi al deposito della domanda di concordato, impedire che i tempi di preparazione della proposta e del piano aggravino la situazione di crisi sino a generare un vero e proprio stato di insolvenza e promuovere la prosecuzione dell'attività produttiva dell'imprenditore in concordato (la nuova procedura è ispirata al cosiddetto Chapter 11 statunitense, che ha dato più volte prova di efficienza e rapidità, consentendo, tra l'altro, i salvataggi di General Motors e Chrysler);
   la possibilità di accedere allo strumento dell'accordo di ristrutturazione dei debiti anche dopo aver presentato domanda di ammissione al concordato preventivo, garantendo così piena alternativa tra le due procedure;
   la possibilità, per il debitore che sia in procinto di presentare un piano di concordato preventivo o una proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti, di ottenere «finanza ponte» prededucibile, all'esito di apposito vaglio di congruità e funzionalità effettuato dal professionista nella propria relazione (dunque in pendenza di omologazione del concordato o dell'accordo);
   l'introduzione di un'apposita disciplina del concordato con continuità aziendale, ovvero il concordato che prevede la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell'azienda in esercizio, ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione; il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa;
   il blocco delle azioni esecutive e cautelari dalla data di pubblicazione della domanda di concordato preventivo nel registro delle imprese.

  Successivamente, il decreto-legge n. 69 del 2013 ha inteso offrire maggiori garanzie di carattere informativo per i creditori e per il tribunale nel concordato preventivo «in bianco» (o «con riserva») sopra descritto. È stato a tal fine modificato l'articolo 161 della legge fallimentare, prevedendo che l'imprenditore il quale presenti la domanda per il concordato «in bianco» debba presentare, insieme, non solo i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, ma anche l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti.

Pag. 38

3. LO SVOLGIMENTO DELL'INDAGINE CONOSCITIVA

  Nel corso delle audizioni svolte durante l'indagine conoscitiva sono stati forniti numerosi dati ed elementi di informazione sull'attuale condizione del tessuto imprenditoriale italiano, relativi alle sue peculiarità strutturali e, più in dettaglio, alla situazione economico-finanziaria nella quale esso versa a cagione della crisi.
  L'indagine è stata condotta, in estrema sintesi, lungo i seguenti filoni:
   1) finanziamento attraverso il sistema bancario: sono state esaminate le ragioni congiunturali, normative e strutturali che ne hanno innalzato il costo per il sistema produttivo e che hanno causato, al contempo, una maggiore selettività degli intermediari; sono state formulate proposte e soluzioni che consentano di invertire tale trend;
   2) modalità alternative di reperimento di risorse per le imprese: è stata posta particolare attenzione agli strumenti che consentono alle imprese di finanziarsi attraverso il capitale di rischio;
   3) valutazione delle caratteristiche oggettive del sistema delle aziende italiane: anche in tal caso, sono state individuate le criticità e sono state formulate proposte per il miglioramento del tessuto produttivo italiano, sotto il profilo della gestione aziendale e della cultura d'impresa;
   4) contesto normativo vigente in materia di crisi d'impresa: i soggetti auditi hanno individuato i principali elementi problematici della normativa nazionale.

3.1 Gli elementi emersi nel corso dell'indagine.
3.1.1 Le caratteristiche del sistema imprenditoriale italiano e le modalità del suo finanziamento.

  Durante le audizioni sono state evidenziate alcune peculiarità del sistema imprenditoriale italiano, anzitutto sotto il profilo dimensionale.
  In Italia vi sono poco più di 5.000 aziende con un fatturato superiore ai 50 milioni di euro, a fronte di oltre 10.000 imprese con un fatturato compreso tra i 2 ed i 50 milioni, ed oltre 4.000.000 di micro imprese, con un fatturato inferiore ai due milioni (Action Institute). Le piccole e medie imprese (con meno di 250 dipendenti) del Paese realizzano il 71 per cento del PIL, con una situazione paragonabile a quella spagnola (ove tali imprese costituiscono il 68 per cento del PIL) ma lontana da Gran Bretagna e Germania (in cui le PMI realizzano, rispettivamente, il 50 e il 54 per cento del PIL).
  Ciononostante le PMI, che costituiscono la parte preponderante del tessuto produttivo del nostro Paese, continuano a rappresentare solo una percentuale ridotta (meno del 20 per cento) delle società quotate, risultando fortemente sottorappresentate in Borsa rispetto al loro ruolo nell'economia (CONSOB).
  Con circa 1.300 miliardi di debiti finanziari e 1.400 di patrimonio netto (valutato ai prezzi di mercato), alla fine del 2012 il leverage delle imprese italiane, pari al rapporto tra i primi e la somma di entrambe le voci, era del 48 per cento; il credito bancario rappresentava quasi il 70 per cento dei debiti finanziari; per la media dei paesi dell'area dell'euro i valori erano più contenuti, rispettivamente 42 e 50 per cento. Sia l'incidenza del debito tra le fonti di finanziamento, sia la dipendenza dai prestiti degli intermediari sono più elevate tra le imprese di piccola e media dimensione (Banca d'Italia).
  Infine, secondo i dati di Banca d'Italia, la maggior parte del credito alle imprese viene erogato dal sistema bancario (la quota di debito bancario sui debiti finanziari delle imprese era, nel 2012, del 67 per cento), laddove negli Stati Uniti tale rapporto è del 30 per cento ed in Gran Bretagna e in Germania, rispettivamente, del 29 e del 53 per cento.
  Dal momento che il livello di indebitamento delle imprese è inversamente proporzionale alle loro dimensioni, i dati esposti delineano una fotografia nella quale l'imprenditoria italiana è costituita Pag. 39da imprese medio-piccole, con un elevato indebitamento ed una forte dipendenza dal sistema bancario (McKinsey). In particolare, anche a causa della crisi, delle 9.000 imprese con un fatturato compreso tra i 30 e i 500 milioni, circa un terzo presenta attualmente livelli di debito estremamente elevati. Si tratta di imprese che realizzano circa 200 miliardi di euro di fatturato, hanno complessivamente 500.000 dipendenti e quasi 100 miliardi di debiti (McKinsey).
  Nel corso dell'indagine sono emerse inoltre le sostanziali differenze tra le fonti di finanziamento delle grandi imprese e quelle a disposizione delle PMI: le prime hanno infatti accesso sia al canale di finanziamento bancario, sia al mercato dei capitali, in quanto dotate di risorse e strutture adatte a gestire i costi e gli adempimenti necessari alla quotazione sui mercati finanziari. Mancando analoghe strutture presso imprese di minori dimensioni, queste ultime attingono principalmente al canale di finanziamento bancario (FINNAT), ancorché il legislatore abbia nel tempo predisposto strumenti alternativi per la raccolta di risorse la cui operatività, tuttavia, presenta alcune difficoltà che sono emerse durante l'indagine.
  Il mancato sviluppo del mercato di capitali in Italia riflette dunque alcuni tratti strutturali del nostro sistema produttivo: la ridotta dimensione delle aziende e la natura familiare della proprietà rendono gli imprenditori restii ad aprire il capitale all'ingresso di nuovi soci o a reperire fondi sul mercato o presso investitori istituzionali diversi dalle banche (si tratta infatti di scelte che comportano costi, elevati e permanenti, legati alla maggiore trasparenza richiesta dai finanziatori o ai volumi contenuti degli strumenti finanziari collocabili dalle singole aziende, poco adeguati alle esigenze degli investitori). Pesano anche fattori fiscali che, storicamente, hanno determinato un largo vantaggio del ricorso al debito rispetto al capitale di rischio.
  In tale contesto si è sottolineato come tale modello di finanziamento presenti alcuni punti di debolezza, che divengono ancor più problematici in una fase, come quella attuale, nella quale il credito concesso risulta in calo (-4,6 per cento ad agosto 2013, rispetto a dodici mesi prima) (Banca d'Italia, CONSOB) e più oneroso rispetto ai principali competitori europei.
  In particolare, ad agosto 2013 il tasso medio applicato ai nuovi prestiti di ammontare inferiore a un milione di euro era in media pari al 4,5 per cento, più basso di circa 200 punti base rispetto al picco toccato nell'ottobre del 2008, ma di oltre 160 più elevato rispetto alle condizioni medie applicate su finanziamenti di importo comparabile in Germania e in Francia. Per i prestiti di dimensione maggiore il differenziale era pari a circa 100 punti base.
  Il calo dei prestiti alle imprese in atto in Italia da oltre un anno è in linea con quanto avviene in molti Paesi dell'area (- 2,9 per cento nello scorso agosto nella media dell'area). Esso, tuttavia, penalizza particolarmente le imprese italiane, caratterizzate da una scarsa capacità di accesso ai mercati finanziari e da un indebitamento più elevato, soprattutto nei confronti delle banche (Banca d'Italia). Nel contesto dei bilanci, si stima che ciò generi un costo extra per le imprese quantificabile in circa 2.000 euro per dipendente (McKinsey).
  Durante la crisi si è verificato in Italia un irrigidimento nell'accesso al credito, con solo il 48 per cento delle richieste delle imprese approvate dalle banche, rispetto ad oltre l'82 per cento della Germania (Action Institute, CONSOB).
  In merito ai fattori causali più immediati, sul lato dell'offerta, del deterioramento della disponibilità di credito, la Banca d'Italia ha sottolineato come, in particolare dalla metà del 2011 – con l'acuirsi della crisi e delle tensioni sui mercati dei titoli sovrani nell'area dell'euro – gli intermediari bancari siano stati posti di fronte ad una serie di difficoltà, principalmente riconducibili alla scarsa disponibilità e agli elevati costi della provvista finanziaria sui mercati internazionali, Pag. 40da cui essi dipendono per il finanziamento di una parte non trascurabile dei prestiti.
  Infatti, i dati emersi nel corso dell'indagine (MPS) indicano come in Italia il rapporto fra impieghi e raccolta sia del 120 per cento circa (a 100 euro di raccolta presso famiglie e imprese corrispondono cioè 120 euro di impieghi verso le stesse categorie). Mentre in passato il sistema bancario nazionale copriva questo differenziale vendendo obbligazioni a investitori istituzionali, ora (a seguito della scomparsa o rarefazione di questi investitori) la raccolta a medio-lungo termine è sostenuta con i fondi ottenuti dalla Banca centrale europea (long-term refinancing operations, LTRO), i quali, tuttavia, dovranno essere restituiti, riportando in equilibrio il rapporto impieghi-raccolta.
  Tali difficoltà degli intermediari si sono rapidamente trasmesse alle condizioni di offerta applicate ai prestiti. Le autorità monetarie (la BCE e l'Eurosistema) hanno fatto fronte alle predette congiunture mediante l'abbassamento dei tassi di interesse ufficiali e mediante misure straordinarie (le operazioni di rifinanziamento a tre anni – LTRO), con l'ampliamento della gamma di attività finanziarie accettate come collateral nelle operazioni di rifinanziamento.
  Con riferimento all'Italia, gli effetti di tali misure sulla crescita del PIL sono stati pari a circa due punti percentuali complessivamente nel biennio 2012-13; gli interventi della BCE hanno quindi prevenuto un peggioramento dell'economia più forte di quello osservato.
  In merito al medesimo ambito di problemi, alcuni dei soggetti auditi (Action Institute) hanno rilevato come tale fenomeno di credit crunch, ovvero la contrazione della quantità di credito erogata all'economia, presenti due componenti: una dimensione congiunturale (legata allo spread ed alle sofferenze), e una dimensione legata al cambiamento del ruolo del sistema bancario. Se, da un lato, le banche soggiacciono a requisiti di capitale più stringenti, affrontano una maggiore rischiosità dei propri attivi e necessitano di equilibrare il rapporto tra depositi dei clienti e prestiti alla clientela, dall'altro lato il sistema delle imprese necessita di ingenti capitali per riavviare e sostenere un ciclo di crescita.
  Alcuni auditi hanno poi rilevato come la domanda di credito «sana», vale a dire proveniente da imprese con i conti in ordine, che può essere legata a nuovi investimenti, a crescita dei fatturati e del capitale circolante è oggi stagnante e moderata in tutta l'Europa occidentale, persino in Germania. Al contrario, una forte domanda di credito proviene oggi dalle imprese che vivono situazioni temporanee, o non temporanee, di difficoltà e di crisi di liquidità, di fatturato e di mercato. Si tratta di imprese che partono già da un elevato livello di indebitamento e la cui domanda di credito deriva soprattutto dalla necessità di prorogare o ristrutturare il debito: basti pensare che gli incagli e le sofferenze sono passati, da circa 80 miliardi a fine 2008, a quasi 220 a fine 2012, e continuano a crescere. In tale ambito, il credito alle piccole e medie imprese si è rivelato più rischioso, non solo del credito alle grandi imprese, ma anche di quello alle famiglie (Unicredit).
  A tale proposito è stato evidenziato come non giovi al superamento della condizione di credit crunch l'insufficienza dei fondi di garanzia attualmente esistenti, ritenuti da alcuni auditi (McKinsey, Action Institute) non «scalabili» (cioè non utilizzabili come strumento sistemico), perché basati sull'analisi della singola pratica, con costi amministrativi e burocratici elevati. Sul medesimo punto è stato inoltre affermato come un elemento di criticità degli attuali meccanismi di garanzia pubblica sia dovuto al fatto che essi forniscono una forma di copertura totale della garanzia (dal 50 all'80 per cento dell'importo del credito) e che la garanzia stessa viene attivata a prima richiesta. Secondo alcuni auditi, tale modalità operativa, se, da un lato, garantisce una elevata qualità del credito, dall'altra comporta rilevanti oneri amministrativi e presenta una rilevante Pag. 41«inerzia», limitando dunque l'efficacia e la diffusione dell'attuale meccanismo di garanzia.
  Anche sotto il profilo della qualità degli attivi bancari, i dati emersi nel corso dell'indagine descrivono un panorama in via di deterioramento.
  In particolare, il tasso di ingresso in sofferenza dei prestiti alle imprese ha raggiunto il 4,7 per cento nel secondo trimestre 2013, rispetto a una media dell'1,5 per cento nel periodo precedente la crisi. Degli attuali 200 miliardi di euro di crediti concessi dagli istituti di credito alla clientela e non restituiti o difficilmente restituibili, circa 100 miliardi riguardano le aziende. Nel complesso i finanziamenti alle imprese su cui le banche riscontrano difficoltà nei rimborsi sfiorano ormai il 22 per cento delle consistenze, più del doppio rispetto a quattro anni fa. Il deterioramento della qualità degli attivi ha avuto e continua ad avere rilevanti effetti sulla redditività degli intermediari: gli accantonamenti necessari per far fronte alle perdite potenziali hanno assorbito quasi interamente il risultato di gestione nel 2012 e nella prima parte del 2013 (Banca d'Italia).
  Paragonando la situazione italiana con il panorama europeo, si è evidenziato come, a fine 2012, i principali gruppi bancari spagnoli registrassero una crescita delle consistenze dei crediti in sofferenza prossima al 50 per cento e un conseguente aumento sia dell'incidenza delle sofferenze sui crediti lordi (pari a oltre il 7 per cento) sia del costo del credito (che si attesta su valori superiori al 3 dall'1 per cento circa dell'anno precedente). In Francia e Germania, invece, la qualità del credito è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 2011 (CONSOB).
  L'aumento delle sofferenze, unitamente ai vincoli normativi di tipo patrimoniale in capo agli istituti di credito a fronte dei crediti erogati (in particolare il contesto normativo disegnato dal pacchetto di Basilea 3), rendono molto più selettiva la valutazione del merito creditizio e, di conseguenza, aumentano la difficoltà delle aziende nell'accesso al finanziamento bancario; ciò si traduce in maggiori difficoltà nell'adempimento dei propri debiti ed implica, altresì, un aumento del costo del finanziamento bancario.
  In controtendenza rispetto a tale andamento, gli istituti di credito cooperativo – nonostante la crisi abbia colpito in particolare le PMI, alle quali tali banche si rivolgono in modo preponderante – mostrano una buona qualità del credito rispetto alla media dell'industria bancaria, nei principali settori di operatività. In particolare, il dato delle sofferenze nei confronti delle piccole e micro-imprese, per le banche di credito cooperativo, appare nettamente inferiore rispetto al restante comparto dell'industria bancaria. Per quanto riguarda in particolare le micro-imprese, il quantum delle sofferenze nel 2012 è risultato del 7 per cento, a fronte dell'11,8 per cento registrato per gli altri istituti di credito.
  Un analogo trend è stato registrato da parte degli intermediari di finanza etica (Banca Etica); i dati relativi alle sofferenze lorde nell'ultimo decennio, che si basano su impieghi prevalentemente a favore del Terzo Settore, evidenziano dati nettamente migliori rispetto a quelli medi del sistema bancario (per il 2012 il livello delle sofferenze lorde rispetto agli impieghi, per Banca Etica, è stato dell'1,35 per cento, a fronte del 7,4 per cento registrato nel resto del comparto bancario).
  Sempre con riferimento alle modalità del rapporto tra banche e imprese, è stato segnalato come in Italia (così come in Spagna) si segnali inoltre il fenomeno della «multibancarizzazione», in base al quale le imprese sono solitamente titolari di rapporti di credito con una pluralità di banche (una media impresa che ha debiti per 25 milioni di euro ha, in media, otto rapporti bancari).

3.1.2 Il mercato dei capitali in Italia.
  Per quanto concerne il mercato dei capitali, nel corso dell'indagine è emerso un consenso generale sulle difficoltà dell'accesso diretto ai mercati finanziari in forma di collocamento in borsa di azioni Pag. 42o obbligazioni, stanti gli oneri di trasparenza e amministrativi indotti dalle normative di protezione degli investitori.
  Analoghe considerazioni sono state evidenziate con riferimento all'industria del private equity, le cui difficoltà strutturali sono legate alle modeste dimensioni di scala del sistema industriale italiano. Nel 2012 oltre il 50 per cento delle operazioni sono state fatte da un intermediario semi pubblico, ovvero il già citato Fondo Italiano di Investimento.
  In tale contesto le dimensioni del mercato dei capitali italiano risultano modeste. La capitalizzazione delle azioni delle imprese non finanziarie italiane quotate è infatti pari a circa il 20 per cento del PIL, un rapporto molto più contenuto rispetto a quello dei principali paesi dell'area dell'Euro (oltre il 50 per cento in Francia, circa il 40 in Germania) e dei paesi anglosassoni (oltre l'80 per cento sia nel Regno Unito sia negli Stati Uniti). I titoli obbligazionari sono pari al 9 per cento dei debiti finanziari, in linea con il dato della Germania, ma molto più bassi rispetto al 23 per cento della Francia, al 30 per cento del Regno Unito e a circa il 50 per cento degli Stati Uniti (Banca d'Italia).
  Per quanto concerne specificamente il mercato azionario, i dati della CONSOB evidenziano, per il 2012, un calo del numero di società domestiche quotate sul Mercato telematico azionario (Mta) (da 261 a 253, con 10 cancellazioni e due nuove quotazioni), mentre il numero di società quotate sui sistemi multilaterali di negoziazione (multilateral trading facilities – Mtf) Aim e Mac è invece cresciuto da 24 a 27. La capitalizzazione delle società domestiche quotate in Borsa è cresciuta del 10 per cento, portandosi a 365 miliardi di euro (332 nel 2011); anche il peso in percentuale del PIL è aumentato, passando dal 20,6 al 22,5 per cento, attestandosi tuttavia a livelli molto distanti rispetto a quelli registrati in altri Paesi comunitari (oltre il 110 per cento nel Regno Unito e circa il 56 per cento in Francia).
  La CONSOB ha poi rilevato come il peso degli investitori istituzionali domestici sulla capitalizzazione delle società italiane quotate sia inferiore all'8 per cento, mentre è del 30 per cento nel Regno Unito. L'aggregato dei fondi pensione e delle assicurazioni italiane è pari al 4 per cento, contro il 12 per cento del Regno Unito; solo l'1 per cento del totale del patrimonio gestito dai fondi comuni d'investimento italiani aperti è raccolto da fondi azionari con specializzazione Italia, con un peso pari a poco più dell'1 per cento della capitalizzazione totale del nostro mercato azionario; il mondo della previdenza complementare domestico mostra una ridotta propensione all'investimento in titoli di capitale, ivi compresi quelli italiani. I fondi pensione aperti destinano il 3 per cento dei loro asset all'equity italiano e quelli negoziali meno dell'1 per cento. La stessa dinamica si registra per le riserve tecniche delle assicurazioni. Particolarmente scarsa è la presenza di fondi di investimento italiani specializzati in PMI quotate, i quali sono attualmente solo 5 e mobilitano complessivamente, la cifra, sostanzialmente trascurabile, di 180 milioni di euro di asset.
  Con specifico riferimento al ruolo che in tale contesto è svolto dalle compagnie assicurative, durante l'indagine è stato evidenziato come l'ammontare degli attivi a copertura delle riserve delle compagnie assicurative (pari in Italia a circa 400 miliardi di euro) sia rappresentato, in percentuale superiore al 60 per cento, da titoli di Stato, e per oltre il 21 per cento da obbligazioni. In sostanza, mentre circa l'80 per cento degli investimenti è costituito da titoli di Stato (in particolare le compagnie assicurative detengono una quota pari all'11 per cento del debito pubblico) e da titoli obbligazionari, sia gli investimenti azionari, sia gli investimenti sui titoli non quotati risultano in percentuale nettamente inferiore nei portafogli delle compagnie, stanti gli stringenti limiti normativi posti agli investimenti in titoli diversi da obbligazioni e titoli di Stato.
  Al riguardo è stato affermato che le compagnie assicurative non hanno piena libertà di investimento in ordine agli strumenti non quotati, anche in ragione dei requisiti di liquidità e/o di misurabilità dei Pag. 43rischi dell'investimento fissati a monte dal regolatore (UNIPOL), e sono state altresì sottolineate le problematiche afferenti all'entrata in vigore, dal 2015, della nuova disciplina dei requisiti di capitale delle compagnie assicurative contenuta nel pacchetto «Solvency II», che potrebbe introdurre penalizzazioni consistenti sull'investimento in strumenti diversi dai titoli di Stato. Infatti, a fronte di un assorbimento di capitale pari allo 0 per cento per gli investimenti in titoli di Stato, le compagnie sarebbero costrette a mettere da parte una quota di capitale pari al 15 dell'investimento, ove puntassero su titoli di imprese privi di rating (o su fondi di investimenti che investissero in tali titoli) con durata finanziaria di 5 anni (UNIPOL).
  Relativamente al mercato obbligazionario, la Banca d'Italia ha rilevato come negli ultimi mesi si siano sono registrati segnali di un forte interesse delle aziende e degli investitori. Dall'inizio del 2012 ad oggi le emissioni lorde sono state pari a 65 miliardi; benché si tratti di un flusso di raccolta inferiore a quello di altre economie avanzate, e con costi mediamente più alti a parità di durata e rischio, esso risulta più elevato di circa il 70 per cento rispetto a quello osservato nel periodo precedente la crisi. Hanno fatto ricorso al mercato nuove imprese: tra le circa 70 che hanno emesso obbligazioni nel 2013, poco meno della metà non avevano effettuato collocamenti nei precedenti 10 anni. Alcuni dei nuovi emittenti sono stati indotti a collocare titoli dalla presenza delle agevolazioni fiscali introdotte per i cosiddetti mini bond (Banca d'Italia).

4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE ED IPOTESI DI INTERVENTO

4.1 Problemi e obiettivi.
  Nel corso dell'indagine si è evidenziato un ampio consenso sull'analisi della crisi economica, che risulta la più grave nella quale l'economia italiana sia incorsa a partire dal ’900.
  In particolare, è emerso come il nodo principale della crisi sia legato alla situazione di forte difficoltà finanziaria nella quale versa una percentuale elevata delle imprese italiane.
  Questa condizione è legata ad alcune caratteristiche strutturali che caratterizzano storicamente il tessuto economico nazionale, il quale è basato, in percentuale superiore agli altri Paesi europei, sulle piccole e medie imprese e sulle microimprese. Tali imprese, a loro volta, si caratterizzano per dimensioni ridotte, per una scarsa capitalizzazione e per il conseguente, elevato ricorso al debito bancario, in misura, anche in questo caso, nettamente superiore ai Paesi europei ed agli altri Paesi avanzati, nonché per un basso standing creditizio, legato a sua volta alle ridotte dimensioni ed alla scarsa trasparenza che esse offrono ai fini della valutazione del emerito di credito.
  Nel contesto generale della crisi finanziaria, che si è poi rapidamente trasformata in crisi nell'economia reale, la struttura imprenditoriale italiana è rapidamente incorsa in una situazione di forte difficoltà, avviata dal calo dei consumi e, soprattutto, degli investimenti, la quale ha a sua volta innescato un circolo vizioso nel quale l'aumento dei fallimenti e, conseguentemente, delle sofferenze bancarie, ha indotto le banche a politiche di credito più selettive, rendendo l'accesso al credito più difficile, soprattutto per quelle imprese che più necessiterebbero di liquidità finanziaria.
  In tale quadro si inseriscono, come concause, due ulteriori circostanze: da un lato, l'incremento dello spread sui titoli del debito pubblico italiano e, dall'altro, i nuovi requisiti di capitalizzazione delle banche imposti da Basilea III e dall’European banking Authority che, entrambi, hanno contribuito a precludere l'accesso ai canali di finanziamento interbancario e ad aumentare il costo di finanziamento per le banche, con conseguente aumento del costo del credito per le imprese.
  Ciò ha determinato un doppio livello di squilibrio competitivo in danno del sistema italiano: uno specificamente, riferito Pag. 44alle banche, che sono state coinvolte direttamente nella crisi del credito sovrano; l'altro, riferito alle imprese non finanziarie, le quali scontano condizioni e costi di accesso al credito nettamente più sfavorevoli delle omologhe concorrenti europee, e che hanno visto, negli ultimi anni, ridursi drasticamente la quantità di credito erogato dal sistema bancario.
  In tale contesto le analisi maggiormente accreditate sottolineano come le strategie per riavviare una prospettiva di ripresa dell'economia italiana debbano articolarsi secondo due obiettivi cruciali.
  Da un lato, è necessario, in una prospettiva di medio periodo, affrontare le ragioni strutturali della condizione di sottodimensionamento e sottocapitalizzazione che affliggono il tessuto imprenditoriale italiano, le quali costituiscono gli aspetti nei quali si declina, più in generale, il ritardo di competitività e produttività accumulato dal sistema imprenditoriale italiano, che la crisi non ha generato, ma, casomai, acuito e posto maggiormente in evidenza.
  Emerge ormai con una certa chiarezza come, nel contesto economico e regolamentare attuale, imprese sottocapitalizzate, oltre a incontrare maggiori ostacoli nell'accesso a nuovo capitale, tanto di rischio quanto di debito, mostrino, nel lungo periodo, maggiore fragilità.
  Sotto un primo profilo, infatti, le imprese con più basso livello di patrimonializzazione sono in grado di resistere con minor forza a cali dell'attività produttiva o a fasi avverse del ciclo economico, nella misura in cui non sono in grado di assorbire in modo autonomo le perdite attraverso il ricorso al proprio patrimonio. Sotto un ulteriore profilo, inoltre, imprese meno capitalizzate presentano un più ridotto potenziale di crescita, innanzitutto in quanto hanno minori capacità di finanziare programmi di investimento, di crescita ed innovazione, i quali rappresentano a loro volta gli strumenti chiave per elevare la capacità competitiva dell'impresa e sostenerne la profittabilità di lungo periodo.
  In questa prospettiva la crisi finanziaria ha reso particolarmente difficile la situazione dell'imprenditoria italiana, innestandosi in una situazione pregressa di criticità, nella quale le imprese nazionali soffrivano di un'elevata leva finanziaria media (cioè un elevato rapporto tra patrimonio e debiti finanziari) e di una decrescente redditività e competitività, cui si ovviava attraverso il ripetuto ricorso allo strumento della svalutazione competitiva. Una volta venuta meno, con l'unificazione monetaria europea, la valvola di sfogo rappresentata dalla politica monetaria autonoma, la crisi ha dunque colto il sistema imprenditoriale e finanziario italiano «in mezzo al guado» di una transizione non ancora conclusa e forse nemmeno avviata, impedendo forse di scorgere appieno le radici antiche che si celano sotto i problemi attuali.
  Tale condizione di difficoltà e di ritardo strutturale non può dunque essere superata attraverso interventi e misure di carattere esclusivamente finanziario, ma necessita di un'impostazione di politica industriale complessa, che non può certo essere approfondita in questa sede.
  In quest'ambito merita comunque segnalare il ruolo che a tal fine deve essere ricoperto dalla leva tributaria e dalla differenziazione degli strumenti di finanziamento delle imprese.
  Dall'altro lato, nell'immediato occorre ripristinare normali condizioni di credito in favore delle iniziative imprenditoriali, sbloccando il «rubinetto» della liquidità nei loro confronti. In particolare, secondo stime di Confindustria, per il rilancio dell'economia sarebbero necessari finanziamenti addizionali quantificati in un ammontare che oscilla tra circa 100 e circa 200 miliardi di euro.
  Gli elementi emersi nel corso dell'indagine hanno evidenziato con chiarezza come, nel prossimo futuro, anche in uno scenario di miglioramento delle condizioni finanziarie internazionali e di sostanziale superamento della crisi del debito sovrano, non sia ipotizzabile che le banche italiane possano aumentare facilmente il volume dei crediti erogati alle imprese. Pag. 45
  Infatti, occorre ricordare come sul sistema finanziario nazionale, che pure presenta ancora uno dei più elevati livelli di risparmio tra i Paesi industrializzati, che si è rilevato più solido dei sistemi finanziari di altri Paesi, anche più sviluppati, e che non ha necessitato di massicci interventi pubblici di sostegno o di salvataggio, pesi comunque l'esigenza, anche ai sensi della normativa di vigilanza, di colmare la significativa distanza attualmente sussistente tra prestiti e depositi (cosiddetto funding gap), riportando il rapporto fra prestiti e depositi (loan to deposit ratio) ad un livello più basso di quello attuale, in linea con gli altri Paesi europei. Sebbene, secondo i dati di Banca d'Italia, il funding gap del sistema bancario nazionale si sia ridimensionato rispetto all'ammontare registrato prima della crisi finanziaria (in larga misura a causa della riduzione delle richieste di prestito dovuta alla contrazione dell'attività economica ed al conseguente taglio degli investimenti da parte delle imprese), esso risulta comunque ancora pari a 150 miliardi di euro (circa il 10 per cento dei prestiti) e costituisce un grave ostacolo all'efficace funzionamento del circuito banca – impresa in Italia. Occorre, in sostanza, in questo scenario, ripristinare le condizioni che consentano all'ingentissimo risparmio privato italiano, sopra richiamato, di essere veicolato in quantità sufficiente alle esigenze di finanziamento e sviluppo delle imprese italiane, secondo modalità innovative rispetto al tradizionale modello «bancocentrico».
  Tali considerazioni appaiono rafforzate dalla constatazione di alcuni elementi di debolezza, cui in parte si è già accennato in precedenza, che caratterizzano le banche nazionali. Infatti il sistema bancario italiano, il quale già si caratterizzava storicamente per un livello di redditività più basso rispetto alle principali banche europee, sta affrontando, a causa della crisi, un'ulteriore calo di redditività, nonché un significativo deterioramento della qualità degli attivi, legato al crescere delle sofferenze, degli incagli e dei crediti scaduti.
  Inoltre il sistema creditizio ha subito direttamente le conseguenze dell'aumento dello spread dei titoli pubblici italiani con i titoli pubblici tedeschi, sia in quanto ha visto ridursi il valore dei titoli pubblici italiani di cui detiene un'aliquota consistente, sia in quanto, per approvvigionarsi di finanza, esso deve sostenere un costo aggiuntivo rispetto ai rendimenti dei medesimi titoli pubblici nazionali.
  Le banche italiane dovranno dunque, nel medio periodo, colmare tale gap nelle proprie fonti di finanziamento, sia per restituire le risorse cui hanno, negli ultimi anni, attinto presso la BCE, sia, soprattutto, per superare la sostanziale chiusura del mercato dei finanziamenti interbancari conseguente alla crisi finanziaria, e che ha colpito maggiormente le banche di quei Paesi, come l'Italia, più fortemente colpiti dall'aumento dello spread sui titoli sovrani.
  In tale quadro appare evidente come, soprattutto nel nostro Paese, l'attuale assetto dei rapporti tra banca e impresa, nonché lo stesso modello imprenditoriale ed organizzativo delle banche, dovranno significativamente mutare.
  In primo luogo, occorre acquisire la consapevolezza che il sistema economico italiano deve superare il «bancocentrismo» che lo ha costantemente caratterizzato; in secondo luogo, occorre ricollocare le banche in un nuovo modello di operatività, in cui la redditività non viene più raggiunta prevalentemente attraverso i ricavi da intermediazione, accompagnandole intelligentemente verso una realtà, del resto già attuale, in cui esse non si pongono solo come erogatrici di finanziamento, ma, in termini più vasti, come fornitrici di servizi finanziari, aiutando le imprese a migliorare la capacità di gestire le proprie esigenze finanziarie.
  Sotto un ulteriore profilo, occorre ampliare il ruolo, ancora molto marginale, degli investitori istituzionali (fondi comuni di investimento, fondi pensione), nonché favorire la crescita di investitori specializzati in investimenti nel capitale di rischio.
  Sulla scorta di tali elementi analitici e dei conseguenti obiettivi di riforma è dunque necessario ipotizzare un insieme di misure che possano riattivare un nuovo circuito virtuoso, nel quale gli strumenti di Pag. 46finanziamento alle imprese, sia attraverso il capitale di debito, sia attraverso il capitale di rischio, possano avviare nuovamente lo sviluppo economico.

4.2 Proposte.
4.2.1 Il ruolo delle garanzie pubbliche sui crediti alle PMI.
  In primo luogo l'indagine conoscitiva ha consentito di evidenziare come un primo ordine di misure di carattere immediato dovrebbero riguardare il miglioramento delle condizioni di accesso al credito delle PMI, riducendone innanzitutto i costi, attraverso il potenziamento dei meccanismi di garanzia pubblici sui crediti concessi alle stesse PMI dalle banche.
  In particolare, una prima ipotesi di lavoro può essere sviluppata riprendendo e ampliando l'esperienza del Fondo centrale di garanzia per le PMI, che, sebbene rappresenti uno strumento certamente molto positivo, consente di mobilitare risorse piuttosto limitate, in quanto dipende direttamente, per la propria provvista finanziaria, dal bilancio dello Stato.
  Al fine di superare tale elemento di ostacolo si propone di istituire un nuovo strumento di garanzia, finanziato attraverso il ricorso ai fondi strutturali europei, il quale fornirebbe alle banche garanzie sul 75 per cento delle perdite non attese (cosiddette second loss) sui prestiti erogati dalle banche stesse alle PMI.
  Tale meccanismo di garanzia, che dovrebbe essere realizzato attraverso la costituzione di una società veicolo (SVP), ovvero di una serie di società veicolo a livello regionale, collegate ad una holding a livello nazionale con funzione di capogruppo, consentirebbe di garantire, in una logica di portafoglio, i crediti nei confronti delle PMI, all'interno di determinati requisiti dimensionali, consentendo alle banche eroganti di migliorare il rating dei relativi portafogli crediti sotto due profili:
   1) ridurre l'assorbimento di capitale in relazione ai medesimi portafogli;
   2) favorire la cartolarizzazione dei crediti stessi ed il loro conferimento a garanzia presso la BCE, al fine di ottenere da quest'ultima maggiori linee di finanziamento.

  Il ricorso alle risorse finanziarie dei fondi strutturali europei consentirebbe, oltre che di superare definitivamente l'annoso problema dell'insufficiente utilizzo dei medesimi fondi a causa di lentezze burocratiche, di dotare il nuovo meccanismo di garanzia di un ammontare di risorse ingente, molto superiore a quelle attualmente disponibili per il Fondo centrale di garanzia per le PMI che, essendo finanziato direttamente con trasferimenti dal bilancio dello Stato, non potrà mai disporre, stante le condizioni di difficoltà della finanza pubblica, di disponibilità sufficienti a far fronte alle esigenze di liquidità delle PMI.
  Naturalmente il nuovo strumento non dovrebbe essere posto in concorrenza con il già operante Fondo centrale di garanzia per le PMI, ma collocarsi in una prospettiva di integrazione sinergica con quest'ultimo, per ampliare lo strumentario a disposizione delle politiche economiche volte allo sviluppo.
  In dettaglio, ipotizzando di utilizzare a tal fine una quota dei fondi strutturali disponibili per il nostro Paese pari a circa 10 miliardi di euro, il nuovo strumento di garanzia consentirebbe, operando attraverso una leva finanziaria assolutamente ragionevole, di mobilizzare nuovi finanziamenti in misura pari ad almeno 100-150 miliardi di euro.
  Il ricorso ai fondi strutturali europei comporterà la necessità di calibrare attentamente il funzionamento del meccanismo per renderlo compatibile con la normativa europea in merito all'utilizzo dei predetti fondi, in particolare per quanto riguarda il collegamento tra l'utilizzo delle risorse e le finalità di sviluppo territoriale perseguite dai fondi strutturali.
  Inoltre, limitando la garanzia alla sola perdita non attesa, si escluderebbe il rischio di azzardi morali da parte delle banche che fruiscono della garanzia, incentivando le banche stesse ad effettuare un'attenta analisi del rischio di credito, Pag. 47senza scaricare sul garante l'intero rischio del finanziamento.
  Laddove adeguatamente strutturato, il nuovo meccanismo di garanzia consentirebbe di realizzare risultati positivi sia per le imprese, sia per il sistema creditizio.
  In sostanza, per quanto riguarda i vantaggi per le PMI, esso potrebbe:
   a) ridurre il costo del credito per un importo che è stato stimato tra 80 e 120 punti base;
   b) consentire l'erogazione di nuovi crediti a medio termine per un ammontare che è stato stimato tra 100 e 150 miliardi di euro;
   c) liberare nuove risorse da destinare agli investimenti ed allo sviluppo, aiutando le imprese che attualmente si trovano in una condizione di difficoltà finanziaria;
   d) ridurre lo svantaggio competitivo che attualmente penalizza il tessuto produttivo italiano, anche a causa del differenziale negativo sul rischio Paese.

  Per quanto riguarda invece il settore bancario, i vantaggi perseguibili dal nuovo strumento potrebbero essere:
   a) consentire l'erogazione di nuovo credito senza aggravare i bilanci delle banche, in particolare senza peggiorare i requisiti di capitale per queste ultime;
   b) migliorare il rating dei portafogli di credito detenuti dagli istituti di credito;
   c) offrire alle banche un canale di finanziamento alternativo per questa tipologia di crediti;
   d) interrompere il circolo vizioso tra spread e costo del finanziamento per le banche.

4.2.2 Misure per superare la sottocapitalizzazione delle imprese.
  Un secondo ambito di proposte riguarda misure di più lungo periodo, che aiutino a superare la sottocapitalizzazione e sottopatrimonializzazione delle imprese italiane.
  A tale proposito occorre ricordare come tra i principali elementi che ostacolano il ricorso delle imprese al mercato dei capitali di rischio incidano principalmente, dal lato dell'offerta, la diffidenza nei confronti di un mercato dei capitali spesso non sufficientemente liquido; l'onerosità degli adempimenti per accedere alla quotazione e per rimanere quotati; la ritrosia, specie nelle imprese ad origine familiare, ad aprire gli assetti di controllo e ad assicurare maggiore trasparenza nella gestione; i fattori distorsivi indotti dal sistema tributario.
  Sotto il profilo della domanda, si segnalano invece la debolezza degli investitori istituzionali e l'insufficiente presenza di soggetti specializzati nei servizi per la quotazione, specificamente per quanto riguarda le PMI.
  Con riferimento al tema dell'accesso alla quotazione delle imprese italiane, occorre innanzitutto superare l'equivoco, invalso nel dibattito pubblico su questo tema, secondo cui la quotazione in borsa costituirebbe una sorta di toccasana per risolvere i problemi strutturali del sistema. Tale slogan non tiene infatti conto dell'infondatezza, anche solo teorica, dell'ipotesi secondo cui le imprese di piccole dimensioni possano realisticamente approdare alla quotazione. Tuttavia, fatta tale premessa, non c’è dubbio che il rapporto tra capitalizzazione e PIL che si registra in Italia, al netto del fase congiunturale, non sia certamente compatibile con una prospettiva di crescita duratura e che sia necessario elevare il numero delle medie imprese quotate sul mercato dei capitali, portandola ad una percentuale vicina a quello che si registra in un Paese come, ad esempio, la Francia, che ha caratteristiche paragonabili all'Italia.
  A questo riguardo la lunga discussione che si è sviluppata su questi temi induce a ritenere fondamentale:
   a) ridurre i costi di trasparenza che le imprese devono sostenere per accedere e rimanere sul mercato dei capitali di rischio;Pag. 48
   b) verificare la sussistenza di significativi squilibri nei costi complessivi di quotazione rispetto ai Paesi UE e assicurare una maggiore definizione dei predetti costi;
   c) semplificare, sia pure nel pieno rispetto delle esigenze di trasparenza del mercato e di tutela degli azionisti di minoranza, la governance delle società quotate, in particolare sotto il profilo delle inefficienze e pletoricità oggi esistenti nel sistema dei controlli interni;
   d) migliorare il grado di contendibilità delle società quotate, superando definitivamente i meccanismi che hanno reso opachi gli assetti di controllo delle stesse (patti parasociali, scatole cinesi, sistemi di controllo a catena), assicurando un adeguato bilanciamento tra le esigenze di controllo e le esigenze di ampliamento del mercato;
   e) strutturare maggiormente i segmenti di mercato dedicati precipuamente alle PMI;
   f) cancellare definitivamente gli elementi di distorsione del sistema tributario che hanno favorito il ricorso al capitale di debito rispetto al capitale di rischio, e che sono in parte già in fase di superamento, ad esempio attraverso le misure per l'aiuto alla crescita economica (ACE) recentemente introdotte, le quali potrebbero essere ulteriormente rafforzate in favore delle imprese che si avviano alla quotazione, nonché attraverso forme di agevolazione fiscale per i piccoli investitori che mantengano le azioni in portafoglio per un determinato periodo (ad esempio 5 anni);
   g) favorire lo sviluppo di professionalità dedicate alle PMI nel settore della finanza d'impresa.

4.2.3 Misure per ampliare i canali di finanziamento delle PMI.
  Un altro insieme di misure attiene al rafforzamento di alcuni meccanismi, recentemente introdotti nell'ordinamento, che possono ampliare e differenziare i canali di finanziamento del sistema economico.
  In particolare, si tratta di potenziare gli strumenti dei cosiddetti «mini bond», delle obbligazioni partecipative, nonché dei bond di distretto, delle obbligazioni di progetto e del cosiddetto equity crowdfunding, sui quali sono già intervenuti il decreto-legge n. 83 del 2012 ed il decreto-legge n. 179 del 2012.
   1) Per quanto riguarda i «mini bond», nel sottolineare come le norme del già citato decreto-legge n. 83 del 2012 abbiano consentito di rivitalizzare un istituto che era ormai scomparso dal panorama finanziario italiano, sia per ragioni regolamentari sia a causa del penalizzante regime tributario, si segnala come appaiano utili ulteriori interventi di manutenzione normativa volti a superare alcuni elementi di criticità che ancora possono ostacolare il pieno utilizzo di tale strumento, che, sebbene pensato prioritariamente come canale di finanziamento aggiuntivo per le PMI, è stato finora utilizzato per emissioni di dimensioni relativamente rilevanti.
  In dettaglio, è stata segnalata a questo riguardo l'esigenza di consentire al Fondo centrale di garanzia per le PMI, ovvero ad altro strumento, di rilasciare garanzie a favore dei fondi che acquisiscano i mini bond.
   2) Per quanto riguarda i bond di distretto, la logica dovrebbe essere quella di raccogliere risorse da sottoscrittori privati, creando un portafoglio prestiti erogato in favore di imprese residenti nel medesimo distretto produttivo. In tale contesto, è emersa l'esigenza di:
   a) favorire l'intervento diretto nelle operazioni di emissione delle finanziarie regionali, nonché dei consorzi di garanzia collettivi fidi;
   b) prevedere che le emissioni possono essere assistite da garanzia;
   c) introdurre forme di differenziazione dei titoli in base al livello di rischio e di rendimento;Pag. 49
   d) consentire la liquidabilità dei titoli, attraverso un mercato secondario.
   3) Con riferimento alla tematica del cosiddetto equity crowdfunding, cioè dello strumento, introdotto con il decreto-legge n. 179 del 2012, che consente di raccogliere capitale di rischio tramite portali on line, si evidenzia come esso potrebbe risultare particolarmente utile per sostenere la capitalizzazione di start up innovative e per finanziare iniziative di venture capital. In merito le azioni principali che potrebbero essere assunte in questo campo riguardano:
    a) la valutazione circa l'effettiva efficacia di tale strumento, anche in vista di un suo ampliamento a tutte le tipologie di imprese e non solo alle start up innovative;
    b) l'esigenza di contemperare, in via di normativa primaria o regolamentare, un adeguato livello di tutela degli investitori non professionali con la necessità di evitare eccessivi appesantimenti procedurali e burocratici, che potrebbero pregiudicare l'utilizzo di tale strumento.

  Su un ulteriore piano, occorre inoltre rendere più efficaci e, se del caso, rafforzare il ruolo dei consorzi di garanzia collettiva fidi, sviluppare l'esperienza dei cosiddetti credit funds, colmare l'assenza di investitori istituzionali e professionali specializzati nel settore delle PMI, nonché riaprire il mercato delle cartolarizzazioni, agevolare ulteriormente il canale di liquidità delle banche con la BCE e sostenere la crescita settore del microcredito.
  In riferimento ai Consorzi di garanzia collettiva fidi, si segnala come l'efficacia dell'azione dei Confidi nel favorire l'accesso al credito da parte delle PMI potrebbe essere notevolmente aumentata:
   a) ricorrendo ad un meccanismo di controgaranzia pubblica, ad esempio secondo l'ipotesi che è stata proposta nel paragrafo 4.2.1;
   b) rafforzando il patrimonio dei Confidi, anche proseguendo il processo di fusione e di crescita dimensionale in atto in tale settore, nonché favorendo l'ingresso nel capitale dei Confidi stessi di imprese non finanziarie e di enti pubblici e privati.

  In merito ai cosiddetti credit funds, cioè ai fondi di investimento specializzati nella sottoscrizione degli strumenti di debito emessi da società, anche di piccole e medie dimensioni, in una prospettiva di lungo periodo non speculativa, ma comunque secondo una logica di portafoglio, essi potrebbero svolgere un ruolo positivo per ampliare la differenziazione dei canali di finanziamento a debito allentando i vincoli di patrimonializzazione delle banche, ponendosi inoltre in sinergia con lo strumento dei mini bond.
  In tale contesto appare inoltre utile favorire gli investimenti nell'economia nazionale dei fondi pensione e dei fondi assicurativi, anche prevedendo a tal fine che una quota minima degli investimenti effettuati da tali soggetti sia obbligatoriamente destinata a questa finalità.
  Per quanto riguarda invece il collegamento tra PMI e investitori professionali, occorre superare il gap informativo e la condizione di volatilità che attualmente distoglie tali soggetti dall'investire in imprese troppo piccole per essere da loro conosciute e analizzate. A tal fine appare utile ipotizzare forme di detassazione dei capital gain derivanti dall'investimento nei predetti fondi specializzati.
  Riguardo alla problematica delle cartolarizzazioni, si segnala come la riapertura di tale mercato, drasticamente ridottosi a seguito degli eccessi che sono tra le cause della crisi finanziaria attuale, costituirebbe uno strumento efficace per estendere la disponibilità di credito, soprattutto nei confronti delle PMI, senza incorrere nei vincoli patrimoniali imposti alle banche. In proposito appare prioritario ridurre la diffidenza che il mercato comprensibilmente nutre, sulla scorta delle negative esperienze del recente passato, rispetto a queste operazioni, le quali Pag. 50per tale motivo non risultano al momento convenienti per le banche. A tal fine appare opportuno realizzare operazioni di cartolarizzazioni standardizzate, relative a crediti erogati nei confronti di PMI, emettendo titoli a struttura semplice e facilmente conoscibili dagli investitori.
  In merito al canale di liquidità reso disponibile dalla BCE in favore delle banche, potrebbe essere utile consentire l'ulteriore ampliamento delle attività bancarie che gli istituti di credito possono portare in garanzia presso la stessa BCE in cambio di liquidità, comprendendovi, oltre che i mutui immobiliari, anche i crediti erogati alle PMI.
  Per quanto attiene alle tematiche del microcredito, nel rilevare come tale settore può costituire uno strumento utile a sostenere la piccola e microimprenditorialità nell'attuale congiuntura economico – finanziaria, anche per favorire la crescita dimensionale e la fuoriuscita di tali soggetti dall'area dell'economia sommersa, si suggeriscono le seguenti linee di intervento:
   a) equiparare agli investimenti le risorse pubbliche destinate alle iniziative di microcredito, anche ai fini del Patto di stabilità interno;
   a) emanare la normativa regolamentare di attuazione dell'articolo 111 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB) di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 385 del 1993, recante la disciplina di tale settore.

4.2.4 Modifiche all'operatività del sistema bancario.

  I malfunzionamenti del modello di operatività bancaria cosiddetto funding wholesale e del mercato dei titoli cosiddetti riskfree, originati dalla perdurante crisi economica-finanziaria e dall'esigenza di mitigare la carenza di liquidità nel sistema, hanno contribuito in maniera indiretta ad innalzare il costo opportunità degli investimenti in economia reale (ovvero abbassare quello degli investimenti in finanza), dirottandoli verso la componente finanziaria.
  Il ripristino di un circuito virtuoso del credito non può quindi prescindere da un riequilibrio dei premi al rischio insiti nelle scelte di asset allocation effettuate dagli istituti di credito. Un maggiore afflusso di capitali all'economia reale avrebbe un indubbio effetto benefico sul tasso di crescita del PIL e, di converso, sui livelli dei non perfoming loans e, quindi, delle relative svalutazioni che attualmente assorbono la maggior parte del margine operativo.
  Occorre quindi ridisegnare il modello di operatività degli istituti di credito, attraverso opportuni interventi normativi e tributari, al fine di riavvicinare le banche al territorio, limitare l'investimento in attività speculative ed incentivare l'erogazione del credito ad imprese e famiglie.
  A tale proposito, criteri di vincolo dell'investimento della raccolta su base territoriale, oltre che favorire l'apertura di nuove nicchie di mercato e fungere da volano per l'economia locale, ben si presterebbero ad un miglioramento di quel rapporto di fiducia tra banca e clientela che è alla base del corretto funzionamento della struttura di intermediazione e delle politiche del credito volte a consentire una allocazione dello stesso più adeguato al tessuto imprenditoriale rappresentativo della nazione. La tutela della solidità di questa categoria di intermediari finanziari potrebbe essere supportata, da un lato, da un vincolo delle alternative di investimento degli attivi verso ben definite forme lontane dalle logiche speculative e, dall'altro, dalla destinazione di una quota parte consistente degli utili a riserva indivisibile.
  Accanto a queste forme di indirizzo dell'operatività, nelle more di una riduzione indiretta del premio al rischio, appare inoltre necessario individuare incentivi che graduino il carico tributario in proporzione al livello di credito erogato, ovvero introdurre un trattamento contabile differenziato per le operazioni di coverage delle attività verso la clientela.
  Il modello di banca universale che si era venuto ad affermare alla fine del Pag. 51processo di consolidamento del settore bancario compiutosi negli anni ’90 sta infatti per essere inesorabilmente modificato a causa della recente crisi finanziaria e le ragioni che hanno motivato in passato l'affermarsi del modello della grande banca che operava sul mercato finanziario a «360 gradi» sono in parte le stesse che ne hanno decretato la crisi. La rivoluzione avvenuta nelle tecnologie della comunicazione e dell'informazione hanno favorito l'innovazione finanziaria, la standardizzazione di molti strumenti finanziari, la riduzione dei costi di relazione con la clientela. In tale contesto, la presenza sul territorio nazionale di un sistema bancario che operi secondo le linee guida sopraesposte favorirebbe l'impostazione di strategie di business più tipicamente relationship lending piuttosto che transaction lending, che rappresentano, allo stato attuale della crisi, una leva sulla base della quale è possibile rilanciare lo sviluppo della nostra economia.

4.2.5 Ulteriori misure di contesto.
  Un ulteriore elemento di contesto che appare fondamentale per consentire un'erogazione di credito adeguata alle esigenze di liquidità delle imprese, riguarda il miglioramento dei meccanismi di risoluzione delle crisi, con particolare riguardo alla disciplina fallimentare.
  La normativa in materia costituisce infatti un fattore chiave per superare le distorsioni ed i disincentivi che, in tale ambito, attualmente ostacolano la continuità aziendale di soggetti imprenditoriali che, pur attraversando una situazione di crisi, avrebbero ancora prospettive di redditività. A tale riguardo, è stato segnalato come i positivi interventi in merito realizzati, prima con il decreto-legge n. 83 del 2012 e, successivamente, con il decreto-legge n. 69 del 2013, opportunamente volti a salvaguardare la continuità aziendale, necessitino di ulteriori correttivi, al fine di evitare distorsioni che potrebbero pregiudicare gli interessi dei creditori e, di conseguenza, la loro disponibilità a sostenere la sopravvivenza economica e produttiva del debitore.
  In dettaglio, si segnala l'esigenza di:
   a) estendere il regime di deducibilità fiscale delle perdite subite dai creditori, già previsto in ogni caso, ai sensi dell'articolo 101, comma 5, del Testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, per le procedure concorsuali e per il concordato preventivo, anche ai piani di risanamento di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), della legge fallimentare (Regio decreto n. 267 del 1942);
   b) reintrodurre la necessità che il consenso, da parte dei creditori, al concordato preventivo, sia espresso in termini espliciti, o comunque consentendo ai creditori di valutare pienamente la proposta di concordato;
   c) prevedere, sia pure con adeguate cautele, la possibilità, per i creditori, di elaborare proposte di concordato preventivo alternative a quella formulata dall'imprenditore;
   d) introdurre uno strumento di soluzione delle crisi di gruppo, attraverso l'introduzione di un nuovo istituto di «concordato di gruppo»;
   e) rafforzare la possibilità di soddisfare i creditori aderenti al concordato attraverso strumenti finanziari di partecipazione;
   f) migliorare e chiarire la disciplina del concordato con continuità aziendale;
   g) incentivare l'erogazione, da parte degli istituti di credito, dei finanziamenti interinali;
   h) prevedere il riconoscimento del diritto di voto ai creditori privilegiati;
   i) disciplinare il regime dei contratti in corso di esecuzione nell'ambito del concordato con continuità aziendale, ad esempio per quanto riguarda i contratti di leasing.

  Un ultimo, ma non meno importante, aspetto di contesto cui occorre dedicare maggiore attenzione, in una prospettiva di Pag. 52medio-lungo periodo, riguarda il miglioramento complessivo della cultura, di impresa, bancaria e professionale, nella quale è calata l'operatività delle aziende, in particolare per quanto attiene alle strategie di finanziamento ed alla risoluzione delle crisi.
  In particolare, appaiono prioritari i seguenti interventi:
   a) migliorare la sensibilità degli imprenditori rispetto all'esigenza di garantire una maggiore trasparenza delle imprese, la quale costituisce un requisito essenziale sia per consentire il finanziamento delle imprese stesse sia per consentire l'accesso di nuovi capitali;
   b) sviluppare la consapevolezza del mondo imprenditoriale rispetto alla necessità di aprire le imprese, soprattutto quelle familiari, ad apporti di capitale esterno ed a contributi professionali qualificati che consentano di migliorare le strategie di finanziamento delle imprese, al fine di incentivare la crescita dimensionale delle imprese stesse e di consentire ordinate dinamiche di trasferimento intergenerazionale.