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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

IX Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 32 di Mercoledì 25 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL SISTEMA DEI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI E RADIOFONICI

Audizione del Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli.
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 2 
Giacomelli Antonello (PD) , Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico ... 2 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 8 
Garofalo Vincenzo (AP)  ... 8 
Coppola Paolo (PD)  ... 9 
Liuzzi Mirella (M5S)  ... 10 
Nizzi Settimo (FI-PdL)  ... 10 
Catalano Ivan (Misto-PSI-PLI)  ... 11 
Romano Paolo Nicolò (M5S)  ... 12 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 12 
Giacomelli Antonello (PD) , Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico ... 12 14 
Catalano Ivan , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MICHELE POMPEO META

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul sistema dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, l'audizione del Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli. L'audizione del Sottosegretario chiude il nostro ciclo di audizioni con le quali la Commissione a mio giudizio ha svolto un buon lavoro, che mette a disposizione del Parlamento e del Governo. Io credo che in tempi di riforme avere a disposizione una notevole quantità di elementi e di conoscenze aggiornate sia utile ai fini della qualità del documento conclusivo, che verrà elaborato a conclusione dell'indagine.
  Non mi riferisco soltanto al dibattito che giustamente in queste settimane si sta sviluppando sulla riforma della Rai e sulla governance del servizio pubblico, ma anche a tutti gli altri temi che sono stati trattati. La nostra indagine si è fortemente concentrata anche su altri profili, come ad esempio quello della banda larga. Abbiamo audito gli operatori, gli esperti, i soggetti e le istituzioni.
  Signor sottosegretario, abbiamo raccolto tutti gli elementi che ci sono stati consegnati, e da qui a pochi giorni avremo sia il documento conclusivo che tutto il materiale che ci verrà ancora consegnato da coloro che non hanno potuto prendere parte alle audizioni. È una buona dote che – lo ripeto – mettiamo a disposizione per questo grande e possente processo di riforma che ci auguriamo partirà tra poco.
  Io ringrazio sinceramente il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, per la sua manifesta disponibilità verso la nostra Commissione e gli do la parola per lo svolgimento della sua relazione.

  ANTONELLO GIACOMELLI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Grazie, presidente. Io ho seguito il lavoro dalla Commissione. Non c’è dubbio che merita ritornare su molti dei punti emersi – naturalmente se lei, presidente, lo riterrà – con approfondimenti specifici. Il pregio del lavoro impostato dalla Commissione sta esattamente nella globalità dell'approccio con cui è stato affrontato il tema, rifuggendo dalla microsettorialità, che è uno degli atteggiamenti più negativi nella lettura del fenomeno in atto in questo settore.
  Se lei concorda, io farei una relazione che tocchi tutti i punti, ma che sia breve, lasciando all'interlocuzione il compito di indicare quali dei tanti aspetti di cui potremmo parlare siano ritenuti dai commissari da approfondire.
  Partirei da un punto di vista personale. Me ne scuso, ma è la modalità migliore che ho trovato. Qual è lo scenario che abbiamo trovato quando il Governo si è Pag. 3insediato ? Qual era lo stato dell'arte ? Avevamo un Paese dove si discuteva dei mux e delle frequenze; un Paese che non aveva, come altri, la TV via cavo; un Paese che scontava il ritardo di quella tecnologia; un Paese che era sotto procedura di infrazione per aver favorito il duopolio degli incumbent; un Paese dove la pianificazione e la gestione successiva dello spettro per l'emittenza locale aveva aperto vulnus molto seri.
  Ricordo che la prima visita che ho ricevuto da Sottosegretario – non ricordo se le deleghe fossero già state formalizzate – è stata quella del vicepresidente dell'ITU, Rancy, il quale venne a spiegarci che rispetto al tema della gestione dello spettro c'erano due sorvegliati speciali nel mondo: l'Iran e l'Italia. Siamo partiti così.
  C'era il tema della pianificazione delle emittenti locali. Ho visto che avete svolto audizioni di soggetti del settore e approfondito questo tema. Abbiamo saturato lo spettro, utilizzando, non solo tutto quello che gli accordi internazionali e la pianificazione di Ginevra lasciavano a nostra disposizione, ma occupando anche frequenze che non erano assegnate all'Italia, ma ai Paesi confinanti. Tutto questo, naturalmente, ha fornito ulteriori elementi alla teoria, che aveva portato alla procedura di infrazione, che si intendeva creare complessivamente una protezione, anche nelle condizioni di mercato, a favore degli incumbent, impedendo nuovi accessi.
  Abbiamo trovato un Paese che si trovava a fare i conti con una crescente affermazione di nuovi protagonisti, i cosiddetti over the top (OTT), i giganti della rete, e con nuovi soggetti che entravano ed entrano dentro la dimensione nazionale per molti aspetti.
  Penso all'effetto sulla raccolta pubblicitaria e, dunque, sulle risorse. Penso al tema dei contenuti e dunque dell'affermazione culturale dell'uno o dell'altro. Penso al tema dei diritti nell'utilizzo dei contenuti stessi e del materiale. Penso alla questione dell'assenza di una relazione con gli Stati nazionali, in ordine ai normali oneri che analoghi soggetti tradizionali, dai broadcaster agli editori, invece incontrano.
  Abbiamo trovato un Paese che vedeva ridurre le potenzialità della propria industria della creatività. Sarebbe interessante affiancare un ragionamento sulla realtà attuale del mondo della creatività italiana. Penso ai produttori cinematografici, al mondo delle produzioni di fiction. Penso a quella relazione che sempre più spinge questo mondo della creatività, che è sempre stato uno degli asset fondamentali del Paese, a una competizione sul mercato interno, che è sempre più ristretto, anche per l'effetto sulle risorse a cui poc'anzi accennavo. Questo mondo della creatività solo in rare eccezioni si affaccia sul mercato internazionale, senza avere quella capacità di continuità di presenza e di relazione che caratterizza, per esempio, altre culture e altri Paesi, non soltanto quelli di lingua inglese. Penso alla Spagna e ai Paesi del Nord Europa, che, con una più recente affermazione, tuttavia marcano un loro protagonismo.
  Ci siamo trovati con una Rai che ancora era caratterizzata da un'impostazione tradizionale e da un sostanziale immobilismo del servizio pubblico, incatenato a quell'anomalia italiana che faceva del servizio pubblico il contraltare del soggetto privato nello scenario nazionale, senza regalargli quel ruolo di centralità che, invece, in altre esperienze europee è tipico.
  Ci siamo trovati con un servizio pubblico a cui erano sconosciuti l'idea di un'operatività su ogni piattaforma e il tema della convergenza e che viaggiava – questo è un dato ancora attuale – su un'organizzazione e su una fondamentale tripartizione che è frutto di una logica antica, che era già fuori dagli schermi diversi anni fa.
  Questo è sostanzialmente il quadro in cui ci siamo trovati a operare e in cui operiamo. Da questo punto di vista, quali sono le linee che il Governo ha assunto in questi mesi e che continuerà ad assumere nel periodo che è davanti a noi ?
  Prima di tutto c’è un tema generale, che potremmo declinare in varie forme: Pag. 4un'efficace azione di recupero del ritardo in ordine a un gap tecnologico – penso alla banda ultralarga e non solo – che, a nostro avviso, è forse uno degli elementi centrali, se non il fattore centrale per lo sviluppo del Paese.
  Questo ci ha spinto a varare il Piano della banda ultralarga e della crescita digitale, che ha alcune caratteristiche. Naturalmente mi soffermo solo sui punti generali, rimanendo a disposizione per gli approfondimenti. Questo è il primo piano nazionale in Italia. Finora l'obiezione a Bruxelles, in sede europea, verteva sul fatto che l'Italia aveva una somma di piani regionali, ma mancava una strategia nazionale. Pertanto, già il fatto che vi sia un piano nazionale è di per sé un elemento di novità.
  È un piano ambizioso. Fino a quel momento tutta la discussione era sulla raggiungibilità o meno dei 30 megabit, che è uno degli obiettivi europei. Il piano assume i 100 megabit come obiettivo reale e come collocazione e l'effettiva connessione del 50 per cento dei cittadini, ovvero assume come orizzonte gli obiettivi europei più ambiziosi. Ho visto le polemiche e l'accusa sul dirigismo, la discussione sulla scelta tecnologica, sul rame e la fibra, sul fatto di arrivare al cabinet anziché al building. Si è detto che i 30 megabit sono più che sufficienti. Capisco tutto. Capisco che ci sono in gioco grandi interessi. Mi limito a osservare che, se traguardassimo il piano alla domanda attuale, i 30 megabit sarebbero sufficienti per l'eternità, se non che il punto della carenza di domanda è esattamente uno dei limiti che dobbiamo superare. Siccome realizziamo un'infrastruttura non per l'oggi e nemmeno per il domani, ma per il futuro, dobbiamo evidentemente guardare al punto più avanzato.
  Come a molti di voi che seguite questi temi è noto, nei Paesi più avanzati del mondo si discute già in termini di giga. In Europa l'obiettivo è i 100 megabit, mentre in Italia ci stiamo ancora chiedendo se è giusto parlare del superamento del rame. Da questo punto di vista, la prima azione del Governo è stato il piano nazionale, ambizioso, perché quell'infrastruttura è il perno di un processo di sviluppo complessivo.
  L'altro elemento che è stato assunto è che questo è un tema trasversale. Noi per primi l'abbiamo detto, dal momento che non abbiamo rivendicato una sorta di competenza per delega o per settore. Quello della banda ultralarga è infatti un tema centrale, che coinvolge più Ministeri, e occorre un coordinamento a Palazzo Chigi, che dia l'idea dell'importanza e della trasversalità del tema. È grazie a questa operazione che è nato il piano. Questa è la prima strategia.
  Vengo all'altro punto in ordine agli aspetti tecnici e non di contenuto, su cui, invece, il lavoro è più articolato. Evidentemente non potevamo continuare a tollerare una situazione in cui nessuna frequenza italiana è registrata a Ginevra, nessuna frequenza italiana è riconosciuta a livello internazionale e l'Italia è considerata inadempiente rispetto agli accordi sottoscritti. Ci troviamo ad avere un rapporto progressivamente deteriorato con quasi tutti i Paesi confinanti, perché da tempo utilizziamo frequenze a loro assegnate e ci rifiutiamo di ammetterlo.
  Questa ci pareva una situazione imbarazzante. Per questo motivo, abbiamo varato un riordino, che è uno dei punti della riforma più generale dell'emittenza locale. In una collaborazione stretta con Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, abbiamo individuato le frequenze che non erano assegnate all'Italia e quelle che determinavano le interferenze e abbiamo stabilito un tempo per la chiusura di queste frequenze, come da accordi internazionali.
  Per evitare il danno agli operatori, il Governo ha messo a disposizione dell'Agcom frequenze non assegnate che erano nella nostra disponibilità, che ovviamente non verranno attribuite all'uno o all'altro soggetto, ma verranno affidate, per essere gestite, regione per regione, a un operatore che verrà selezionato e che dovrà utilizzare quelle frequenze per trasportare i migliori dei fornitori di contenuto di quella regione.Pag. 5
  In tal modo si consente a tutti gli operatori, con la coincidenza dei tempi di chiusura e di partenza delle nuove frequenze, di non subire un danno da questa azione di riordino, che porterà anzi un beneficio. Infatti, il nostro obiettivo è arrivare a registrare tutte le frequenze a livello internazionale e finalmente attribuire un valore alle frequenze. Questo valore oggi è pari a zero, perché quelle frequenze hanno un mercato con acquirente unico: lo Stato.
  Ricorderete che ogni tanto prendono avvio i cosiddetti «processi di rottamazione delle frequenze», attraverso i quali l'unico acquirente possibile, cioè lo Stato, si ricompra un po’ delle frequenze che non era possibile attribuire, pagando un po’ di soldi. È un sistema che va superato, perché crea solo difficoltà agli operatori e imbarazzi all'Italia a livello internazionale.
  Questa è solo una parte del processo generale di riforma dell'emittenza locale. Il secondo elemento è la riforma del regolamento dei contributi che lo Stato dà. Io non voglio apparire come una sorta di sindaco revisore del passato. Ci saranno stati molti motivi per cui i regolamenti erano così. Dobbiamo constatare che quelle griglie, che servivano per dare i contributi, non hanno determinato una selezione, un aiuto all'innovazione e una crescita, ma un'attribuzione indistinta a pioggia per molti soggetti. Ci sono più di 600 soggetti a livello nazionale. Questa, più che una libertà di comunicazione, è un'anarchia. Tutti, a cominciare dai soggetti del settore, se ne rendono conto. Noi modificheremo i criteri e metteremo in risalto l'ascolto delle diverse emittenti, privilegiando, dunque, chi fa davvero un'attività editoriale locale e non chi più o meno tiene un monoscopio.
  Il secondo elemento è il numero dei giornalisti, oltre al numero di dipendenti. Siccome la prima ratio del contributo è il pluralismo informativo in sede locale, è impensabile che finora non vi sia stato un criterio che desse valore al numero dei giornalisti in un'emettente.
  C’è poi il tema dell'innovazione tecnologica. Noi abbiamo visto che spesso da questo sono dipesi la mancanza del rispetto dei punti di verifica del piano e le difficoltà.
  Pertanto, vogliamo fare una riforma che dia certezze agli operatori e che faccia emergere chi davvero fa impresa editoriale a livello territoriale, che deve avere l'attenzione e il sostegno delle istituzioni, rispetto a chi semplicemente – purtroppo non sono solo esempi di scuola – si trova ad approfittare di un sistema di distribuzione a pioggia di contributi, senza investire in professionalità, nell'azienda, nel radicamento territoriale e in tecnologia.
  L'altro punto che vogliamo affrontare, collegato a questo, è la riforma del cosiddetto «canone-frequenza». Ci siamo già trovati ad affrontarlo, come avete visto. A questo proposito abbiamo trovato una serie di anomalie. La prima è che questa competenza, con il cosiddetto «decreto Passera», passa all'Agcom, cioè all'Autorità di regolazione del settore.
  Personalmente io ritengo che questa sia una linea di politica industriale e non un'attività di controllo da Authority. La determinazione del canone per un settore di operatori evidentemente si determina sulla base di una scelta di tipo industriale e politica, perché riguarda esattamente il ruolo di un settore dentro una dinamica più ampia. Credo che più correttamente l’Authority debba avere il compito e il potere di vigilare che questa impostazione non vada a privilegiare, dentro lo stesso settore, alcuni a danno di altri. Nel momento in cui è una linea di politica industriale, il trasferimento di competenza mi pare inaccettabile.
  A noi sembrerebbe opportuno che rivedessimo funzioni e ruoli, anche perché la stessa Unione europea su questo tema ha chiesto conto al Governo. Il Governo non può semplicemente mandare una nota in cui dice che c’è una competenza dell'Agcom, perché dal punto di vista dell'Unione europea il tema appartiene agli ambiti della competizione, della politica industriale e della determinazione di linee e, quindi, ne chiede conto al Governo. È un fatto accaduto e che sta accadendo.Pag. 6
  Inoltre, a noi sembra che la normativa che regola questo settore non abbia preso compiutamente atto del passaggio dall'analogico al digitale. Questo determina una serie di incomprensioni anche all'interno dello stesso Governo. Penso al nostro rapporto dialettico con il Ministero dell'economia e delle finanze, che nasce da qui.
  Che cos'era il sistema analogico ? Era un sistema dove non c'era distinzione tra fornitori di contenuti e operatori di rete. Un soggetto era entrambe le cose. Dunque, il canone-frequenza faceva riferimento al complesso delle cose. Infatti, aveva un riferimento percentuale sulla pubblicità. Con il digitale, noi abbiamo diviso il mercato e abbiamo distinto, da un lato, il mercato degli operatori di rete e, dall'altro, il mercato dei fornitori di contenuti, tant’è vero che sono nate esperienze anche nel nostro Paese di operatori cosiddetti «puri», che semplicemente hanno un meccanismo di affitto e di trasporto di altri e che non svolgono attività.
  Come posso immaginare di ritrovare quello che era il gettito di un intero mercato in quello che oggi è un pezzetto del mercato stesso, cioè quello degli operatori di rete ? È chiaro che c’è una sproporzione, non su uno o l'altro soggetto, ma sul settore. Se io trasferisco l'onere, che prima gravava complessivamente su operatori di rete e fornitori di contenuti, solo sugli operatori di rete, evidentemente creo un problema per l'intero settore.
  Detto questo, poi c’è la discussione su come si applica la ripartizione dell'onere all'interno del settore. Anche in questo caso, noi vorremmo intervenire con una riforma di sistema che prenda compiutamente atto del passaggio e chiarisca i termini, senza equivoci, di questo contributo.
  Peraltro, l'obiettivo fondamentale che ci poniamo, oltre a un processo di modernizzazione complessivo, è quello di arrivare alla chiusura della procedura di infrazione aperta nel 2006 e al riconoscimento, finalmente, da parte dell'Unione della creazione in Italia di un sistema di mercato aperto e competitivo.
  I punti che politicamente ritengo più importanti sono due. In primo luogo, noi vorremmo favorire la nascita di una logica di sistema Paese, a partire dall'industria della creatività, per arrivare anche alla logica dell'approccio alla rete, che è ben lontana dall'essersi affermata.
  C’è ancora un'eco dentro di noi e nelle nostre analisi di quella che potremmo chiamare «la guerra dei trent'anni», che è dietro di noi, cioè un mondo dove tutto si svolgeva all'interno del sistema Paese e dove la competizione forte fra due incumbent, anche con momenti in cui, come abbiamo visto, l'interesse veniva accumunato, era il dato dominante.
  Oggi è cambiato il mercato ed è cambiato il modo di fruire del prodotto. Sono molto differenziate le modalità e i devices. Sono cambiati i soggetti ed è cambiato il consumatore, che ha un atteggiamento molto meno lineare, è in grado di essere il protagonista del proprio palinsesto, decide cosa vedere, quando vederlo e attraverso quale tecnologia e sempre più, nella parte del mercato giovanile, si sposta dal device tradizionale al device innovativo e alla piattaforma innovativa.
  Questo favorisce la nascita di nuove modalità di creazione del prodotto, dalle web series alle creazioni di soggetti nati proprio per la rete e poi tradotti. Netflix ne è il paradigma. In Italia c’è Chili.
  Io penso che noi vedremo altre evoluzioni di questo sistema, nel quale la fruizione del contenuto è frammentata. Rispetto a questo noi abbiamo qualche arma. La prima è nella riforma del servizio pubblico. Ne parleremo. Io penso sia giusto, essendo una riforma centrale che investe più competenze, che sia la Presidenza del Consiglio a darne esattamente contenuti e orizzonti. Lo abbiamo già detto in molte occasioni, ma si può tranquillamente ripetere: noi crediamo che la sostanza sia la trasformazione di Rai da broadcaster tradizionale in media company capace di produrre contenuti per tutte le piattaforme e di incrociare la convergenza e il cambiamento tecnologico che è avvenuto.
  Da questo punto di vista, occorre un servizio pubblico capace di parlare il linguaggio Pag. 7tecnologico e di fruizione dei tempi di oggi e capace di essere, non solo soggetto che svolge la funzione attualizzata del servizio pubblico, ma traino e riferimento del comparto della creatività italiana. Bisogna rompere il tabù per cui solo un prodotto su cento tra film e fiction riesce a superare, per interesse e mercato, i confini delle Alpi; il sistema di competizione in cui siamo è internazionale e noi dobbiamo adottare una logica da sistema Paese.
  Secondo noi, è centrale il ruolo del servizio pubblico ma sono centrali, però, anche la capacità e la disponibilità degli altri soggetti, a cominciare dal mondo dell'ideazione a quello della produzione, a ridefinire se stessi in questa logica. Altrimenti noi saremo semplicemente un terreno su cui altre culture faranno viaggiare i loro prodotti, senza essere in grado di proporre una nuova visione.
  La riforma del servizio pubblico e una Rai perno del processo culturale di creatività e affermazione del mercato è il primo strumento.
  Il secondo elemento è la capacità di stare dentro la dimensione innovativa della rete in modo nuovo e di sollecitare una visione europea che non rinunci ad affermare il ruolo degli Stati nazionali, ma che sia qualcosa di più di una velleità gladiatoria che finisce spesso miseramente. Quella degli operatori OTT, over the top, è una realtà con cui occorre un confronto. Il modello di business che nasce dagli Stati Uniti deve trovare una sua capacità di integrazione con il modello europeo. Questo è il punto su cui occorre lavorare.
  Occorre lavorare sui processi della governance di Internet. Proprio la Camera si è data uno strumento, una Commissione che ha svolto un lavoro importante, apprezzato e impegnativo su questo tema, che noi siamo intenzionati a recuperare nella dimensione di una relazione più ampia. Occorre trovare un modo per ristabilire, tra gli OTT, gli editori e i broadcaster, un minimo di level playing field, di terreno di gioco comune, di regole uguali.
  Rispetto a questo, la mia personale opinione – la dico perché ciascuno qui è chiamato a esprimere un punto di vista, ma naturalmente Palazzo Chigi farà la scelta decisiva – è che, se noi attendiamo che lo strumento sia l'armonizzazione fiscale in Europa, possiamo affidare il compito alle prossime generazioni. Infatti, vi sono Paesi che traggono beneficio dalle condizioni fiscali e che mai saranno disponibili a un processo di questo tipo.
  Noi abbiamo provato a impostare un lavoro al riguardo nel semestre e dopo il semestre – abbiamo già scritto alla nuova presidenza lettone – e abbiamo inserito nel piano l'idea che il concetto di servizio universale possa essere il principio che ci consente un percorso importante.
  Cos’è il servizio universale ? Il servizio universale tradizionale è evidentemente quel tipo di servizio che si ritiene essenziale per la vita di ogni cittadino e che, dunque, deve essere assicurato a tutti.
  Io penso che il servizio universale moderno sia un adeguato accesso alla rete. Su questo abbiamo già avuto esperienze e discussioni. Io ricordo che già nella scorsa legislatura – qui vedo colleghi che forse lo ricordano e lo possono dire meglio di me – parlavamo, ipotizzavamo e ci confrontavamo con la proposta di inserire nella Costituzione il diritto di ogni cittadino a un adeguato accesso alla rete. Il tema non è il diritto delle telecom, dei broadcaster o degli OTT a un certo tipo di trattamento. Il punto di partenza non può che essere il punto di vista del cittadino, del consumatore e dell'utente, che ha diritto ad avere quel tipo di accesso adeguato.
  La revisione della direttiva è in corso e l'Italia farà la sua parte. Se questo fosse l'approccio, è evidente che, come conseguenza, ogni autorità nazionale sarebbe chiamata a elaborare criteri per cui ogni soggetto che utilizza commercialmente quelle infrastrutture è chiamato anche a contribuire proporzionalmente alla sua implementazione, indipendentemente dal suo essere soggetto tradizionale o innovativo, cittadino della rete o cittadino di località più tradizionali.
  Noi pensiamo che occorra affrontare il cambiamento in atto, non chiudendosi Pag. 8nella nostalgia di un tempo che non può tornare, né immaginando delle barricate anacronistiche.
  Abbiamo condiviso tutti, all'interno del Governo, la scelta iniziale, nel trattato con gli Stati Uniti, di porre l'eccezione culturale rispetto ad alcuni temi e ad alcuni prodotti. Tuttavia, noi dobbiamo essere chiari: questa non può che essere una prima risposta, che ha un tempo di validità molto limitato. La fase successiva è l'elaborazione di una strategia di sistema. Altrimenti, comunque sia, arriveranno nel nostro Paese soggetti, culture e prodotti di altro tipo, mentre noi ancora invocheremo i confini amministrativi, le barriere doganali o chissà cos'altro come protezione. Da questo punto di vista, occorrono una riforma del servizio pubblico e una strategia innovativa per la rete, che crei in Europa un punto di condivisione, capace di porci con gli Stati Uniti in una relazione positiva. È necessario un recupero della tecnologia, che oggi impedisce all'Italia di essere già protagonista, come potrebbe, con il Piano nazionale banda ultralarga, affermato e realizzato.
  Un altro elemento è una riforma della gestione dello spettro, che evidenzi i criteri di legalità e di rispetto delle convenzioni e degli accordi – sembra enfatico dirlo, ma non so che termine diverso usare – che riporti tranquillamente l'Italia nei consessi internazionali, dove si parla di questi temi, con tutta la dignità che l'Italia merita e che dia agli operatori la certezza, non di uno strumento a pioggia, ma di uno strumento capace di selezionare, premiare e incentivare il lavoro migliore dell'editoria sul territorio.
  Questi sono gli elementi che caratterizzano in questa fase la strategia del Governo. Questi sono i punti che noi consideriamo rispetto al tema che la Commissione sta indagando. Queste sono le riflessioni che noi consideriamo utili rispetto alla determinazione di una visione complessiva.

  PRESIDENTE. Grazie, Sottosegretario, soprattutto per la chiarezza e la sintesi. Questa è l'ultima audizione. Approfittiamone per domande e riflessioni, per consentire al Sottosegretario Giacomelli una replica rispetto alle questioni che solleverete.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VINCENZO GAROFALO. Innanzitutto ringrazio il Sottosegretario Giacomelli per averci fatto questa relazione, per averci chiarito alcuni aspetti e per aver posto al primo punto – è su questo che io mi permetto di concentrare il mio intervento – il divide digitale, cioè il tema della banda ultralarga.
  Ovviamente questo tema rappresenta oggi un elemento essenziale, anche per poter diventare un Paese appetibile da parte degli investitori e realizzare quel sistema Paese che lei ha detto, Sottosegretario. Di fatto, l'inadeguata tecnologia oggi in campo probabilmente non consente di elevare il livello professionale, qualitativo e competitivo che il Paese deve avere con il resto degli operatori all'interno del mercato globale.
  Ritengo che si stiano sicuramente facendo passi avanti. A questo punto, le pongo una domanda. Vorrei sapere qual è l'orientamento del Governo, che vuole accelerare l'investimento, rispetto all'annosa questione che anche in questi giorni è ricomparsa sui giornali: qual è il veicolo, a che tipo di rete ultralarga si pensa e se è un'unica grande rete nazionale, aldilà del sistema FTTC, FTTH o FTTB.
  Io credo che questo sia un tema essenziale, perché ancora oggi sembra esserci una continua trattativa sulla società Metroweb, dove ci sono operatori nel mercato che intendono entrare, alcuni in esclusiva, rispetto a una possibile apertura della compagine azionaria.
  Io mi chiedo qual è il modello sul quale il Paese vuole andare. Faccio un esempio. Io mi sono sempre orientato al sistema energetico nazionale, con una società, la Terna, che è il detentore dell’asset. È quello il modello al quale il Governo si vuole rifare, dove ci possono essere investitori, raccolti tramite operazioni di cessione Pag. 9di quote a società, oppure è un mercato aperto, che è quello della borsa ?
  Oppure si vuole rischiare – dichiaro in qualche modo il mio orientamento – di avere un sistema dove in alcune zone, le fasce di serie A e B, ci possono essere più operatori che ricevono concessioni per fare la propria rete, secondo me creando un po’ di disordine e mettendo in campo molti capitali, ma forse non per una resa finale migliore, e altre zone, le fasce di serie C e D, che devono essere assolutamente assistite per la scarsa remunerabilità o addirittura per la mancanza di remunerabilità ?
  Rispetto a questo, io credo che il Governo debba cominciare a dare un segnale chiaro, perché altrimenti continueremo ad assistere al possibile intervento da parte di società che vogliono fare una propria strada. Il Paese deve avere una rete ultralarga essenziale e poi diversi operatori che utilizzano la rete e, quindi, offrono in competizione il loro prodotto, oppure ognuno fa da sé. Questo è un problema.
  Concludendo, è importante che questo riesca in tempi rapidi, perché l'investimento, che è quantificato intorno a qualche miliardo di euro, immediatamente potrà dare uno slancio all'apertura dei cantieri in tutta Italia. Ciò significa occupazione e soprattutto un servizio adeguato al mercato, che oggi richiede tecnologiche assolutamente superiori.

  PAOLO COPPOLA. Faccio anch'io i complimenti al Sottosegretario per la relazione, che è veramente completa e dà una perfetta visione dello sviluppo nel nostro Paese relativamente a questi temi.
  Faccio una citazione di quello che ha detto il Sottosegretario. Parlando dell'azione che il Governo ha messo in atto per recuperare il ritardo che abbiamo a livello infrastrutturale, a un certo punto ha detto: «Sappiamo bene che in gioco ci sono dei grandi interessi».
  Io parto da qui perché rilevo con molto piacere che finalmente si guarda all'interesse più grande. Se nel nostro Paese abbiamo un ritardo, ciò è dovuto al fatto che purtroppo per troppo tempo abbiamo messo in secondo piano il più grande interesse, che è quello dei cittadini, e abbiamo considerato prioritari degli interessi legittimi, che però sono solo di parte. Noto e sottolineo con piacere che finalmente si cambia passo da questo punto di vista.
  È evidente che anche grazie all'innovazione tecnologica continua, soprattutto quella che vedremo nei prossimi anni, noi ci stiamo spostando velocemente. La problematica della connettività, se facciamo bene il lavoro di infrastruttura, non tra tanti anni, ma tra pochi anni, sarà tecnologicamente risolta. Questo problema è risolvibile e, quindi, se facciamo bene il lavoro, sarà risolto.
  È molto importante la velocità con cui raggiungeremo gli obiettivi ambiziosi che il Governo si è posto. C’è poi tutto un lavoro a parte. È evidente – tutti gli studi dicono questo – che portare l'infrastruttura tecnologica non è sufficiente.
  C’è un bello studio della Fondazione Bruno Kessler che analizza gli effetti della banda ultralarga in provincia di Trento e Bolzano e mostra che questa, a pochi mesi dall'introduzione, ha effetti immediati sull'aumento di fatturato delle imprese. Inoltre, lo studio fa la correlazione con il livello scolastico degli imprenditori e si nota che, se questo è basso, l'impatto sul fatturato è pari a zero.
  Mi lego al tema delle nostre audizioni, che è quello relativo ai media. In tutte le audizioni io ho sempre chiesto a tutti i produttori di contenuti che sono venuti qua se avevano in programma la produzione di contenuti specificatamente concepiti per il canale bidirezionale. Devo dire che le risposte che ho avuto finora, almeno dal mio punto di vista, non sono state soddisfacenti.
  Io vedo un mondo di possibilità dal punto di vista della produzione di nuovi contenuti, che è ancora tutto da esplorare. Pertanto, accolgo con particolare piacere il fatto che nella visione del Sottosegretario la Rai diventa una media company, che ha anche l'ambizione di produrre contenuti, non solo per il mercato nostro, ma anche per il mercato internazionale.Pag. 10
  Io credo che focalizzare in parte l'azione della produzione di contenuti in modo che si tragga il massimo beneficio dalla bidirezionalità del canale Internet potrebbe essere una buona occasione per il nostro Paese.
  Giustamente il Sottosegretario ha detto: «Noi andiamo in una direzione in cui la fruizione dei contenuti è frammentata». Noi senz'altro andiamo in una direzione dove la produzione dei contenuti è frammentata. In molti casi si sono visti benefici. Forse nei contenuti audio-video c’è ancora tutto un mondo da esplorare e da sviluppare. Probabilmente la riforma nell'utilizzo dei contributi potrebbe andare nella direzione di incentivare l'esplorazione di tutte queste nuove opportunità. Secondo me, il nostro Paese, forte del know how di creatività che c’è già in altri settori, può a tutti gli effetti spendersi e diventare leader a livello internazionale. Io credo che, con una visione ambiziosa in questo senso e con un utilizzo dei contributi finalizzato ad aiutare le eccellenze affinché abbiano la possibilità di accedere al mercato internazionale, noi possiamo far sì che il nostro Paese la smetta di avere sempre il problema degli over the top che pagano le tasse da altre parti e che magari impongono modelli culturali concepiti in altri sistemi e iniziare a fare un'azione da protagonisti.

  MIRELLA LIUZZI. Ringrazio il Sottosegretario per la sua relazione. Io vorrei iniziare questo intervento parlando subito di Rai, dato che comunque è un argomento che è in auge in queste ultime settimane. Mi rifaccio proprio ad alcune dichiarazioni del Sottosegretario riguardo all'immobilismo della Rai e alla volontà di riformarla.
  Io segnalo che la Commissione di vigilanza Rai ha licenziato il contratto di servizio il 7 maggio 2014. Il contratto di servizio era scaduto nel 2012 e poi ci sono state le elezioni. La Commissione di vigilanza Rai ha iniziato delle audizioni a ottobre 2013 e sono stati auditi 36 soggetti in sette mesi. Questo per una Commissione bicamerale è un risultato abbastanza notevole. Il contratto di servizio è stato votato con 36 voti favorevoli su 40. Questo testo conteneva dei fortissimi miglioramenti. Proprio questi miglioramenti che erano presenti nel testo, che aveva un forte stampo parlamentare, a distanza di un anno non sono ancora stati recepiti dal Governo.
  Parlare di Rai avendo ancora nel cassetto il contratto di servizio mi sembra assolutamente inaccettabile, a maggior ragione perché nel testo votato dalla Commissione ci sono tantissime novità interessanti condivise da tutti gli schieramenti politici.
  La seconda cosa che vorrei sottolineare è relativa alle frequenze televisive. Questo Governo, dal mio punto di vista, ha fatto delle scelte discutibili. Mi riferisco alla quotazione di Rai Way e alle disposizioni contenute nel decreto-legge cosiddetto «mille proroghe». Si era partiti in un senso, volendo superare i contributi che gli operatori devono versare all'erario e portarli a livelli equi, ma purtroppo non si è andati in porto. Questo è un peccato.
  Vorrei sottolineare due cose, dato che comunque si parla di riforma della Rai e di governance della società, sulla quale già ci siamo espressi e ci continueremo a esprimere, perché aspettiamo con ansia il testo del Governo. Vorremmo sapere se nell'ottica del Governo c’è la volontà di riformare il testo unico per quanto riguarda i conflitti di interesse, per esempio regolamentando in maniera un po’ più stringente gli incroci societari. Poco fa si parlava degli over the top. Vorrei sapere se si intende assoggettarli alle medesime regole degli operatori di servizio, come hanno chiesto, a torto o a ragione, diversi soggetti che abbiamo audito. Le mie domande riguardano soprattutto un'eventuale modifica del Governo per la riforma del testo unico.

  SETTIMO NIZZI. Anch'io ringrazio il Sottosegretario per le informazioni che ha messo a nostra disposizione sui programmi che il Governo vorrebbe mettere in atto.Pag. 11
  Io dico che dobbiamo essere un po’ concreti e chiedo al Sottosegretario se per tutte le cose che si vogliono fare abbiamo dei termini temporali. Dove è stata messa l'asticella ? In che giorno, in che mese, in che anno è stata messa ? Tutti gli italiani vogliono le riforme e tutti vogliamo vivere meglio e lavorare al meglio, ma non facciamo degli annunci che poi difficilmente si tramutano in azioni concrete e in risposte alle esigenze della gente.
  Per quanto riguarda il digital divide, abbiamo fatto numerose audizioni in Commissione e ancora oggi mi viene da pensare che, nonostante le dichiarazioni di intenti, non riusciamo a dare alla nostra nazione la democratica divisione dei servizi che dovremmo dare.
  Abbiamo sentito dire da una delle ultime grandi aziende nazionali che offrono servizi importanti, la Telecom che quest'anno investiranno 580 milioni. Non sono 580 milioni investiti dalla Telecom, ma sono 580 milioni investiti dallo Stato e dalle regioni, ovvero fondi nazionali e fondi regionali, che vengono dati alla Telecom, che partecipa con una minima parte, per fare infrastrutture in determinate regioni del Mezzogiorno, laddove il mercato non è molto remunerativo.
  Io ho ricordato l'eccezione che riguarda la nostra piccola isola, dove vivono 1,7 milioni di persone, che d'estate è un punto di riferimento importante per il turismo e che ha già difficoltà a vivere per la crisi dell'economia, del lavoro e soprattutto per l'alto costo dei trasporti e dell'energia. Ci volete dare almeno il collegamento col mondo esterno ? Volete almeno, nell'ottica del buon padre di famiglia, dare al figlio più disagiato qualcosa che possa permettere alle nuove generazioni di vivere ? Penso che quel quadro vada rivisto. Penso che quella ipotesi che il Governo, nella suddivisione dei finanziamenti, mette in essere debba essere assolutamente rivista.
  Ho una domanda specifica sul problema legato alle tv locali. I cittadini italiani hanno perso la notizia locale. Non abbiamo più la possibilità di metterci in contatto con le tv locali. Infatti, tutte le tv locali stanno morendo, da noi ancor di più, a causa della mancanza di possibilità di accedere al finanziamento da parte dei privati tramite la pubblicità.
  Nella scorsa legislatura è stata votata la disposizione che prevedeva la possibilità della numerazione. Sarebbe sufficiente mettere la doppia numerazione. Sarebbe tutto facile con la doppia numerazione, sia per le tv locali che per le tv nazionali. Non lavora più nessuno nelle tv a livello locale. Naturalmente anche la Rai ha tagliato molti fondi per il terzo canale, per cui è difficile che si sappia realmente quello che succede.
  A questo si aggiunge la grave crisi della carta stampata. Abbiamo difficoltà anche a collegarci a Internet, per cui siamo un po’ limitati per quanto riguarda l'accesso al mondo esterno.
  L'ultima questione di cui voglio parlare riguarda la trasformazione della Rai. Io sono d'accordo: la Rai dovrebbe andare sicuramente sul mercato. Dovremmo sicuramente togliere il canone, in modo che la Rai sopravviva nel mercato, facendo le cose così come in tutto il mondo si usa fare. La possibilità della Rai di lavorare per se stessa e per altri e di avere anche il canone mi sembra una cosa da rivedere.

  IVAN CATALANO. Ringrazio anch'io il Sottosegretario per la relazione. Vorrei chiedergli due cose. Noi abbiamo audito, nell'ambito dell'indagine, l'associazione CONNA (Coordinamento nazionale nuove antenne), che ci ha posto due questioni.
  La prima è per quale motivo, quando si è fatto lo switch dall'analogico al digitale, non si è assegnato un canale digitale a una frequenza analogica, andando a risparmiare frequenze e, ottenendo, quindi, la possibilità di distribuirle. Per quale motivo questo non si è fatto ? Il Governo può fare qualcosa per cercare di tornare indietro, magari nell'ambito della razionalizzazione dei canali, in modo tale da recuperare frequenze, risparmiando mux, e da avere qualche frequenza libera ?
  La seconda proposta che ci hanno fatto riguarda la numerazione dei canali. Siccome sappiamo tutti dove trovare le tv generaliste, che sono seguite dai telespettatori, Pag. 12invece di dare i primi numeri alle tv generaliste, si potrebbe darli alle tv locali, in modo tale che ciascuno trovi le tv locali e cerchi le tv generaliste e le metta dove vuole. Infatti, la gente si va a cercare Raiuno, Raidue, Raitre eccetera, perché le vuole vedere, mentre le tv locali non sa neanche che esistono. Questo è un suggerimento per far sì che le tv locali possano avere più visibilità.

  PAOLO NICOLÒ ROMANO. Oggi ci sono situazioni molto diverse nel nostro Paese. Ci sono città grandi, soprattutto al Nord, come Milano, Bologna e Torino, che sono cablate in fibra, per iniziative di investitori privati, altre zone in cui lo Stato ha fatto qualche investimento e altre città in cui non c’è proprio cablatura e non sanno neanche che cosa è la fibra ottica.
  Nel Piano banda larga il grosso dei finanziamenti è riservato ai cluster A e B1, che sono le zone più remunerative, dove è forte la competizione tra gli operatori e dove molti hanno già investito. Non c’è il rischio di regalare di nuovo soldi ai privati nelle aree di mercato, a scapito delle zone meno coperte, aumentando ulteriormente il digital divide nel nostro Paese ?
  Visto che gli operatori dovranno prenotarsi entro il 31 marzo e manca ancora il via libera della Corte dei conti, vorrei sapere se può dettagliarci i prossimi passaggi istituzionali previsti per l'attuazione del Piano banda larga e quali sono i tempi.
  Ad esempio, vorrei sapere a che punto è il decreto sul catasto delle reti, su cui noi del Movimento 5 Stelle ci siamo tanto spesi.
  Nel piano non c’è nessuna traccia della costituzione di un'unica società della rete a maggioranza pubblica, promossa da Cassa depositi e prestiti, che è quello che diceva il premier Renzi fino a qualche anno fa. Nel contempo, si rincorrono le notizie sulle ipotesi di una società unica della rete pubblico-privata. Le posizioni sul modello di governance divergono.
  In sintesi, si stanno fronteggiando le due linee: una è quella sostenuta da Cassa depositi e prestiti e dagli operatori, come Vodafone e Wind, su una società a maggioranza pubblica con l'ingresso a pari quota di tutti gli altri OLO, e l'altra è quella di Telecom Italia, che vuole entrare come socio di maggioranza senza gli altri competitors intorno.
  Vorremmo sapere qual è la posizione sua e del Governo in merito a questo.

  PRESIDENTE. Do la parola al Sottosegretario Antonello Giacomelli per la replica.

  ANTONELLO GIACOMELLI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Quest'ultima parte dell'intervento dell'onorevole Romano riprende la prima domanda dell'onorevole Garofalo, se l'ho capita bene: quale veicolo, che tipo di rete, che tipo di tecnologia e che tipo di scelta ?
  Sul tema del veicolo, io richiamo quanto ho già detto altre volte. Se noi potessimo toglierci la soddisfazione di ragionare a tavolo sgombro, come se, per una sorta di magia o di miracolo, a seconda dei punti di vista, l'Italia nascesse oggi e fosse tutto da determinare, personalmente avrei difficoltà a sostenere qui che privatizzerei la società della rete, come è stato fatto nel nostro Paese.
  Tuttavia, siccome le magie non esistono, se non in Harry Potter, io prendo atto che il Governo agisce in un contesto. Questa scelta è stata fatta in un contesto in cui l'idea di competizione infrastrutturale tra privati è stata ritenuta più conveniente e più giusta. È in questo contesto che ci muoviamo.
  Per questo, gli strumenti che il Governo ha oggi sono quelli della programmazione – il Piano banda ultralarga sta in questa dimensione – e quelli dell'utilizzo delle risorse secondo i parametri fissati di concerto a livello europeo. Non c’è un margine d'autonomia. Esistono procedure specifiche, esistono procedure sulle quali occorre la notifica, perché Bruxelles vuole verificare, ed esistono procedure che non si possono fare.
  Pertanto, noi attueremo il piano utilizzando le 94.000 sottoaree in cui abbiamo diviso l'Italia, raggruppandole poi nei Pag. 13quattro cluster a cui si è fatto riferimento, proponendo delle gare, anche per aree omogenee, e intervenendo con i modelli di contribuzione, di incentivo o di defiscalizzazione che sono accettati e normati dall'Europa. Non sarebbe possibile fare diversamente.
  Inoltre, possiamo favorire una semplificazione normativa. Abbiamo già iniziato a farlo e proseguiremo. Penso alla possibilità della posa aerea, alle minitrincee, alla possibilità di abbattere gli oneri straordinari e a tutto quello che aiuta. Io credo che l'orizzonte delle prerogative del Governo si fermi qui.
  Che cosa accade poi nel mondo degli operatori ? Se ci sono joint venture, accordi o fusioni, credo che questo appartenga a un'area in cui il Governo non ha la prerogativa di intervenire. L'auspicio che noi facciamo è che vi sia il maggior grado di condivisione di un punto: al centro, come ha detto l'onorevole Coppola, c’è l'interesse nazionale ad avere in tempi rapidi un'infrastruttura moderna.
  Dentro questo concetto, sono legittimi tutti i business particolari consentiti dalla legge degli operatori, delle aziende, dei fornitori di servizi e degli operatori di tecnologia.
  Potrei esprimere un'opinione personale, ma in questa sede e in questa veste finirebbe per essere qualcosa di diverso.
  Abbiamo visto nei diversi Paesi europei i vari modelli. Vedo che in genere tra gli operatori si trovano forme di sinergia, se ci sono investimenti che possono essere utilizzati da tutti. Capisco che il piano del Governo abbia messo in moto un meccanismo in cui ciascun soggetto cerca di ricalibrare se stesso, il proprio business model e il proprio piano industriale dentro questo orizzonte. Tuttavia, su questo non potrebbe esserci – lo dico al collega Romano – né una norma né un'azione del Governo, se non quella di spiegare a tutti che il nostro scopo è creare un mercato aperto, competitivo, trasparente e interessante per gli operatori, ma il primo obiettivo che chiediamo a tutti di assumere anche come proprio è l'interesse nazionale.
  Questo vale anche per la questione FTTH, FTTB e cabinet. Noi poniamo un tema: la fibra, i 100 megabit e l'effettiva connessione sono già punti assunti dall'Europa come obiettivi per il 2020. Non dobbiamo rifare dentro lo scenario nazionale un dibattito tra gli operatori. Il punto è come ogni Paese si attrezza per stare lì o per andare oltre.
  Ripeto che, se volessimo stare nel punto avanzato di discussione su questi temi nel mondo, noi dovremmo chiedere che sia garantito un giga, cioè che sia assunto un punto di vista molto più ambizioso.
  Penso che il modello che è stato finora immaginato non si presti a essere quello che ci fa raggiungere questi obiettivi, quindi occorrono percorsi e progetti più ambiziosi, anche perché non sappiamo quale sarà l'evoluzione della domanda.
  Riprendo un'altra cosa che ha detto l'onorevole Coppola. La rete è importante, ma non è sufficiente. Il passo successivo o contemporaneo, altrettanto necessario, è l'evoluzione della capacità di trasformare le realtà commerciali e produttive del mondo della cultura e della pubblica amministrazione dentro questo schema digitale.
  Quale sarà la portata dei servizi di domani ? Quale sarà la richiesta di banda che arriverà in un futuro che a noi sembra lontano, ma che è dietro l'angolo ? Noi pensiamo che occorra puntare al massimo obiettivo.
  Sono molto grato all'onorevole Coppola del riconoscimento. Il punto di vista del Governo, come ho detto sulla questione del servizio universale, è quello di assumere il punto di vista del cittadino o l'interesse nazionale, se lo si vuol declinare in forma collettiva, come il punto di partenza. In seguito, si mettono in fila i legittimi interessi privati, che noi consideriamo, anzi speriamo che possano trovare sempre più accoglimento, però in una questione dove c’è una priorità.
  Noi oggi paghiamo un dazio pesantissimo per gli anni alle nostre spalle. Non era scritto nelle stelle che dovevamo aspettare questo tempo per fare un piano e per avere una rete adeguata. Non era scritto da nessuna parte e non era un obbligo. Pag. 14Questo è dipeso da molti fattori. Tutti noi abbiamo vissuto gli anni alle nostre spalle e, quindi, lo sappiamo.
  Rispondo alla collega Liuzzi. L'idea è anche quella di andare verso la riforma del TUSMAR, applicando lo stesso concetto. Se potessi, parlerei della necessità di un codice unico della convergenza, per riaffrontare quei temi dentro una dimensione nuova. Certamente oggi c’è un intervento parziale, che è determinato dalla contingenza, che è quello della governance, ma il ragionamento è più generale e affronta quei temi.
  Faccio un esempio. Quando si è parlato dei ruoli egemoni nella pubblicità, se voi fate riferimento agli anni passati, c’è un riflesso condizionato. Chi sono i soggetti forti ? Se voi pensate al presente e ai prossimi anni, io temo che dovremo rivedere il nostro schema. Infatti, Google, che oggi è già secondo per raccolta nel nostro Paese, secondo tutti gli esperti nei prossimi anni sarà il principale soggetto capace di raccolta pubblicitaria.
  È evidente che noi abbiamo bisogno di rivedere il nostro impianto normativo generale, ma anche di provare a fare sintesi di riflessione dei vari aspetti. Qui sarebbe interessante il ragionamento con Antonello Soro sulla privacy, sull'uso dei cookies di terze parti e sulla loro legittimità.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE IVAN CATALANO

  ANTONELLO GIACOMELLI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Sul contratto di servizio, ho visto un'intensa campagna anche del presidente della Commissione di vigilanza. Non ho particolare difficoltà a prendere in esame il contratto di servizio, ma non gli darei ora una visione sacrale. Il contratto di servizio è nato come proposta da un Governo precedente e ha subìto, come ho sottolineato nella prima audizione che ho fatto, alcune indicazioni da parte del Governo attuale. Ricordo che il contratto di servizio parlava del bollino blu. Ricordate Catricalà, il bollino blu sui programmi e quant'altro ? C’è stato un bellissimo lavoro della Commissione di vigilanza, con una grande volontà di approfondimento e con grande spirito positivo di discussione.
  Il contratto di servizio è sicuramente un buon elemento, ma naturalmente va posto in relazione con altri strumenti. Infatti, il contratto di servizio dovrebbe affinare il mandato di servizio pubblico che c’è nella concessione. Il problema è che è svincolato dalla determinazione delle risorse, per cui teoricamente il contratto di servizio può tranquillamente, all'unanimità, fissare molti obiettivi più ambiziosi per la Rai, senza doversi porre il tema dell'adeguamento delle risorse.
  Questo determina un punto: tra l'azienda e il Governo occorre trovare una modalità, perché altrimenti se da un lato – faccio un ipotesi – c’è un intervento di taglio sul canone, come forse è capitato nei mesi scorsi, e dall'altro si aumentano gli oneri e gli impegni di Rai, il meccanismo ha qualche complicazione. Nella sostanza, come sa benissimo l'onorevole Liuzzi, il contratto di servizio è largamente condiviso ed è considerato un punto di valore. Credo che dobbiamo chiederci, insieme ai colleghi della Commissione di vigilanza e insieme alla Rai, se non possiamo considerarlo il contributo di palinsesto per la riscrittura della concessione di servizio pubblico che noi vogliamo sollecitamente avviare.
  Sono contento dell'apprezzamento su quei contenuti, perché abbiamo recuperato davvero una visione che, a mio avviso, non era nella proposta originaria con cui è partito.
  Mi si chiedeva quali sono i termini temporali. Ho parlato di diverse questioni, quindi i termini temporali variano. Il Piano banda ultralarga è già approvato dal Governo, quindi è un punto realizzato. Le fasi successive sono la determinazione delle risorse, perché i fondi europei sono già noti e le regioni hanno già fatto il loro percorso, e la prenotazione da parte degli operatori per la realizzazione dell'infrastruttura nei diversi cluster.
  La riforma delle tv locali è già decreto per quello che riguarda lo spegnimento delle frequenze interferenti e la messa a Pag. 15disposizione delle nuove frequenze. Evidentemente noi faremo coincidere con la pianificazione di Agcom il momento della chiusura: spengo la frequenza in modo definitivo esattamente nello stesso momento in cui la pianificazione di Agcom mi fa partire l'altra, in modo che nessuna emittente abbia problemi.
  Per quanto concerne la riforma della Rai, noi partiremo nei prossimi giorni. Il Presidente del Consiglio ha annunciato di voler rapidamente approvare un progetto di riforma della governance della Rai, che poi seguirà l'iter parlamentare. Dunque, avremo modo di discuterne nel merito.
  Per quanto riguarda il rinnovo della concessione, possiamo immaginare che la discussione avrà luogo già nelle prossime settimane. Mi riferisco a quello che diceva la collega Liuzzi. Per me quella è la riscrittura del servizio pubblico. Il senso del servizio pubblico è il centro della convenzione.
  Ci sono molti punti che dovremo affrontare e potremo farlo già nei prossimi giorni. Una parte di queste cose sono già diventate norma, legge o scelta; altre lo diventeranno nelle prossime settimane.
  Io ho qualche dubbio sulla doppia numerazione. Per la verità, avevo pensato addirittura a una cosa ancora più ambiziosa: avevo chiesto di verificare se la numerazione a tre cifre potesse diventare una sorta di sistema universale. Mi hanno spiegato tutte le controindicazioni rispetto a questo. Del resto, in ordine a questo, come lei sa bene, posso solo darle un'opinione. C’è un ruolo di Agcom, sempre per l'intreccio delle competenze di cui sopra, che viene prima.
  È vero che le tv locali incontrano difficoltà, ma non voglio esaurire il tema in modo semplicistico. Magari, se volete, una volta faremo una discussione fino in fondo su questo tema. Io vengo da quel mondo e un po’ lo conosco. I motivi sono molteplici. Certamente nell'ultima fase hanno influito la dimensione della crisi finanziaria e l'effetto del cambiamento intervenuto nella pubblicità. È logico che, se si determina una riduzione nel mercato televisivo, questo porta i soggetti più forti – penso alle tv nazionali – ad abbassare i costi. Questo fa sì che le tv nazionali risultino appetibili anche per investitori che fino a quel momento si limitavano alle tv locali. Se con una differenza di prezzo impercettibile posso avere lo spazio sulle tv nazionali, è evidente che scelgo quelle. A catena, si determina un meccanismo di restringimento.
  Assumiamo poi il punto che una televisione locale vive anche di una relazione e di accordi positivi con gli enti locali. Penso alle tv che trasmettono le sedute del consiglio comunale e a quelle che hanno gli spazi informativi per i servizi. Anche in questo caso, la riduzione delle risorse a disposizione degli enti locali ha fatto sì che questo spazio si andasse riducendo. Inoltre, l'utilizzo dei contributi pubblici dello Stato, su cui molto ci sarebbe da dire, solo nei casi più virtuosi ha alimentato investimenti, capitalizzazione dell'azienda, rafforzamento del sistema e modernizzazione. In troppi casi ha costituito semplicemente una voce della spesa corrente. Pertanto, nel momento in cui c’è una maggiore selezione la difficoltà è maggiore. Noi vogliamo intervenire anche sul sistema dei contributi, per favorire quei soggetti che vogliono svolgere quel ruolo, che dice lei, di informazione libera sul territorio, per favorire il pluralismo dell'informazione territoriale.
  Ho capito il senso della sua domanda, onorevole Catalano. Nel momento dello switch-off si è fatto il cambio uno a uno in termini di frequenza, cioè una frequenza analogica e una digitale. Il punto è che all'interno della frequenza digitale la portata è molto superiore. C’è la possibilità di sei canali. Il senso della domanda, se lo capisco, è: perché, quando fu fatto lo switch-off non fu fatto semplicemente in rapporto al programma piuttosto che alla frequenza ?
  Questo sarebbe un punto interessante da approfondire, però comporta anche una valutazione. Senza il rapporto uno a uno tra analogico e digitale, secondo me, lo switch-off sarebbe stato accettato difficilmente dalle tv locali. Sicuramente, però, d'altro canto, non si sarebbe saturato lo Pag. 16spettro. Invece, saturando lo spettro, per le locali sembrava iniziata l'età dell'oro, perché ciascuno pensava al piccolo impero televisivo locale. Poi ci siamo resi conto che non esisteva il mercato in grado di sostenere sei programmi, però è stata una scoperta successiva. Lo spettro è stato interamente saturato. Se questo sia avvenuto casualmente, aldilà delle intenzioni di chi lo ha provocato, oppure intenzionalmente o comunque con la consapevolezza che di fatto si andava a tutelare un duopolio e, dunque, il ruolo del soggetto privato che costituiva uno dei corni del duopolio, non lo saprei dire, perché è un'indagine da affidare agli storici o comunque da lasciare alla libera valutazione di ciascun parlamentare.
  L'ultima questione posta dall'onorevole Romano concerne la prenotazione entro il 31 marzo e le risorse nei cluster A e B. Noi dobbiamo raggiungere tutti gli obiettivi. Rispetto al ragionamento di investire nei cluster A e B, ci sarà un percorso di notifica. Per me, questo è il punto di qualità del piano. Lei sa che le aree a fallimento di mercato si chiamano «le aree bianche». Noi abbiamo definito le aree bianche a 100 megabit. Non è sufficiente che ci siano 30 megabit perché io la consideri un'area grigia o un'area nera. È un'area ancora deficitaria se non ha 100 megabit.
  Il cambio di passo evidentemente mette in gioco i cluster A e B, che sono quelli decisivi anche per il raggiungimento dell'obiettivo dell'effettiva connessione. Tuttavia, questo, non solo non ci fa perdere di vista i cluster C e D e la necessità di un'infrastrutturazione complessiva, ma al contrario, a mio avviso, determina una possibilità, per gli operatori, di una valutazione temperata, che tenga insieme gli aspetti in una visione complessiva. Peraltro, lo strumento cambia. Noi nei cluster C e D arriviamo fino a offrire un contributo del 70 per cento.
  A proposito dei tempi, la fine di marzo non è un tempo realmente impegnativo per gli operatori. Alla fine di marzo scatta la cosiddetta «prenotazione», cioè si dichiara l'interesse per le aree e per i cluster. Tendenzialmente molti dichiareranno l'interesse per tutto, visto che non è impegnativo. È nella fase successiva, che traguarda la fine di maggio, che dovranno essere presentati i progetti e si dovrà, dunque, assumere un impegno più concreto. Io penso che nei prossimi giorni il decreto-legge «sblocca Italia» sarà definitivamente uscito da questa complessa fase di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze. Per quel momento avremo i decreti attuativi, che daranno certezza e contezza della percentuale e delle modalità di uso degli strumenti di incentivo e di defiscalizzazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente il Sottosegretario Giacomelli per il suo intervento e dichiaro conclusa l'audizione. Risulta, altresì, concluso il ciclo di audizioni previsto nell'ambito dell'indagine conoscitiva.

  La seduta termina alle 15.10.