Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Giovedì 20 giugno 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE MISURE PER FRONTEGGIARE L'EMERGENZA OCCUPAZIONALE, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

Audizione di rappresentanti di ITALIA LAVORO.
Damiano Cesare , Presidente ... 3 
Reboani Paolo , Presidente di ITALIA LAVORO ... 3 
Damiano Cesare , Presidente ... 8 
Rizzetto Walter (M5S)  ... 8 
Baruffi Davide (PD)  ... 9 
Polverini Renata (PdL)  ... 9 
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 10 
Damiano Cesare , Presidente ... 10 
Reboani Paolo , Presidente di ITALIA LAVORO ... 11 
Damiano Cesare , Presidente ... 14 

ALLEGATO: Documentazione presentata dai rappresentanti di ITALIA LAVORO ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 9,05.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di ITALIA LAVORO.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile, l'audizione di rappresentanti di Italia Lavoro.
  Nel ringraziarli ancora una volta per la loro presenza, e prima di dare loro la parola, avverto che ho messo a disposizione della Commissione una documentazione, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Ringrazio, dunque, il presidente di Italia Lavoro, Paolo Reboani, e l'ingegner Mauro Tringali, responsabile e coordinatore di gestione.
  Continuiamo, dunque, le nostre audizioni nell'ambito dell'indagine sull'emergenza occupazionale, con particolare riguardo al tema del lavoro dei giovani. Ieri abbiamo iniziato il nostro ciclo di audizioni con l'ISFOL e oggi continuiamo con Italia Lavoro (sono previste altre audizioni).
  Ringraziando ancora una volta i nostri ospiti, do la parola al presidente Paolo Reboani.

  PAOLO REBOANI, Presidente di ITALIA LAVORO. Grazie, presidente. Ringrazio la Commissione. È per me un grande onore essere qui per presentare alcune considerazioni sulla base della traccia che la Commissione mi ha fatto avere nei giorni scorsi.
  Consegno anche al presidente alcune copie del materiale di cui ha gentilmente fatto menzione per la presidenza. Si tratta di un materiale molto illustrativo, che vi consegniamo, riguardante un bilancio delle attività in corso in questo momento relative ai programmi maggiormente rappresentativi di Italia Lavoro, con riferimento al target giovani. Riguardano, inoltre, alcune considerazioni sulle spese per i servizi pubblici per il lavoro in Italia e in Europa, da cui evidenzierete alcuni elementi che vi sottoporrò.
  Ci sono anche alcune tavole di governance delle politiche del lavoro in Europa rispetto all'Italia e alcune considerazioni sul programma Garanzia Giovani, che, come voi sapete, in questo momento è di grande interesse, perché rappresenta il primo vero programma dedicato ai giovani della Commissione europea. Troverete alcune considerazioni in merito.
  Mi attengo, ovviamente, alle competenze principali di Italia Lavoro rispetto all'indagine che la Commissione ha voluto sviluppare, che verte sulle condizioni del mercato e sulla situazione dei servizi per Pag. 4il lavoro, con particolare riferimento ai centri per l'impiego, ma non solo.
  Permettetemi, comunque, di fare una considerazione di carattere generale. La crisi del mercato del lavoro in Italia è particolarmente drammatica. Io, però, vorrei ricordare che questa crisi si innesta su una debolezza storica del mercato del lavoro in Italia.
  Ricordo che agli inizi degli anni Duemila il nostro tasso di occupazione era tra i più bassi, anzi era il più basso in assoluto in Europa. Oggi, a causa della crisi, dopo una fase in cui era cresciuto, anche a seguito delle riforme dei primi anni Duemila, il tasso è di nuovo uno dei più bassi in Europa ed evidenzia il problema fondamentale che la crisi ha un po’ oscurato: noi abbiamo una bassa partecipazione al mercato del lavoro, con particolare riferimento al segmento delle donne e dei giovani, mentre, come sapete, il tasso di occupazione degli anziani è particolarmente progredito, anche in funzione delle riforme delle pensioni che sono state attuate in questi anni.
  Non mi soffermerò, in queste mie considerazioni, sull'altra grave emergenza del Paese, che ci vede, peraltro, attivi, quella di coloro che perdono il posto di lavoro a causa della crisi industriale. Si tratta di un bacino particolarmente critico, sul quale, spero, il Governo avrà modo di intervenire.
  Noi siamo attivi con uno dei programmi più importanti, che si chiama Welfare to Work, e assistiamo regioni e Governo in tutte le principali crisi industriali, da ultima la crisi Indesit di questi giorni.
  Per quanto riguarda la situazione del mercato del lavoro, la contrazione dell'occupazione si è particolarmente evidenziata nelle regioni del Mezzogiorno. Effettivamente, noi abbiamo un problema storico, un problema molto grave, che colpisce le regioni del Mezzogiorno, rispetto alle quali il mercato del lavoro non riesce a decollare.
  In secondo luogo, inviterei la Commissione a svolgere alcune considerazioni rispetto al target giovani o a che cosa intendiamo per occupazione o disoccupazione giovanile. La chiave interpretativa, da questo punto di vista, è necessaria per poi, come si dice in gergo molto tecnico, «targettare» le politiche necessarie.
  Mi riferisco al fatto che ci sono due definizioni di giovani: una prima definizione, utilizzata da Eurostat, individua i giovani nella fascia tra i 15 e i 24 anni; una seconda, impiegata dalla Strategia europea 2020, individua i giovani nella fascia tra i 20 e i 29 anni.
  Inviterei innanzitutto la Commissione a fare qualche riflessione su questo punto, perché il riferimento alla categoria giovani, a seconda che si utilizzino categorie di età differenti, è un elemento di differenziazione rispetto alle politiche.
  Faccio notare che, per esempio, se si decidesse di utilizzare la classificazione dai 15 ai 24 anni, avremmo in una prima fascia di età, quella dai 15 ai 19 anni, azioni forse più importanti dal lato del recupero scolastico o educativo e meno dal punto di vista dell'inserimento lavorativo. Il problema dell'inserimento lavorativo si pone, invece, per la fascia superiore.
  Vorrei anche sottolineare che l'aspetto critico che i dati cominciano a evidenziare è quello relativo alla fascia di età dai 29 ai 34 anni, che non possiamo più definire giovanile in senso stretto, almeno se si guardano gli standard europei, ma che comincia a gonfiarsi. Relativamente, il peso è ancora poco significativo, ma comincia a gonfiarsi dal punto di vista dei numeri assoluti, perché il ritardo dell'inserimento nel mondo del lavoro, soprattutto per quanto riguarda i contratti più stabili, fa sì che tale popolazione riesca a trovare meno facilmente un'occasione di lavoro.
  Si tratta, inoltre, della popolazione che tendenzialmente comincia ad avere maggiori carichi familiari. Anche questo aspetto deve far riflettere sulla capacità di costruire politiche del lavoro segmentate.
  Vorrei fare, al riguardo, un riferimento molto importante. Dai dati che voi vedrete, e che noi abbiamo fornito alla Commissione, emerge che il volume delle politiche Pag. 5del lavoro in Italia è fortemente spostato, e non poteva essere diversamente, sulle politiche passive.
  La fase che attraversiamo di crisi e, particolarmente, di gonfiamento del bacino dei giovani impone un cambio di passo. Così almeno noi riteniamo. L'abbiamo scritto, l'abbiamo detto e in parte lo esercitiamo nelle forme e nei modi che è possibile per un'agenzia come Italia Lavoro, che, lo ricordo, è un'agenzia vigilata dal ministero che compie azioni sperimentali. Non facciamo azioni intensive o a larga scala, ma azioni sperimentali.
  Il punto fondamentale del passaggio in questa fase è passare a politiche attive. Il passaggio a politiche attive implica, però, una più attenta sintonizzazione del policy maker rispetto ai target obiettivo. L'esperienza dei Paesi nordici ci ha insegnato che fare politiche attive (inserimento dei giovani, recupero scolastico e qualsiasi cosa voi vogliate intendere con questa espressione) significa avere politiche molto più segmentate per fasce di età. Ciò pone, ovviamente, un problema rispetto sia agli strumenti che vengono utilizzati, sia alla tempistica con cui il tema viene sviluppato.
  Da questo punto di vista mi permetto di far notare che una riflessione andrebbe fatta, in un periodo di riforme strutturali, sui tempi di mezzo. Che cosa intendiamo per tempi di mezzo ? In questi anni noi abbiamo sperimentato riforme strutturali molto pesanti nel mercato del lavoro, come anche nel sistema previdenziale. Il tema fondamentale è che noi abbiamo fatto politiche strutturali, senza mai pensare a che cosa succedeva nel periodo intermedio. Non abbiamo costruito delle politiche di breve periodo che funzionassero in qualche modo da ammortizzatore delle politiche strutturali.
  Questa è una riflessione che, ovviamente, noi mettiamo a disposizione della Commissione. Nella costruzione delle politiche strutturali, bisogna sempre pensare a dei periodi intermedi, che possono permettere di ridurre i fenomeni in controtendenza e anche di ridurne l'impatto sociale.
  L'altro tema su cui vorrei richiamare la vostra attenzione è quello relativo alle fasce di età. Come dicevo in precedenza, su questo tema bisogna prestare molta attenzione. Tra i dati che vi abbiamo messo a disposizione, noi forniamo anche i numeri delle differenti platee, in cui si evidenzia qual è la fascia particolarmente critica del mercato, ovvero, come dicevo prima, quella tra i venti e i ventinove anni.
  Il bacino sostanziale che può essere considerato a rischio riguarda circa 900.000 persone, di cui circa 470.000 hanno tra i venti e i ventiquattro anni e 426.000 tra i venticinque e i ventinove anni.
  Queste categorie evidenziano che si deve fare attenzione anche al rapporto tra numeri assoluti e numeri percentuali. Infatti, l'effetto demografico dei numeri assoluti sulla popolazione complessiva fa sì che a volte noi possiamo incidere molto efficacemente sulla disoccupazione giovanile, riducendo anche, in maniera meno significativa, il numero assoluto.
  L'altro tema che i dati che ho messo a disposizione della Commissione evidenziano, e che in qualche modo sono anche il frutto delle nostre politiche, riguarda i giovani. Nella scheda sul programma giovani, di questa popolazione che è stata definita in diversi modi, tra cui «Neet», noi abbiamo dato una definizione dal punto di vista delle possibili dinamiche e delle possibili categorizzazioni. Permettetemi di dire che è un esercizio di carattere più scientifico e accademico, piuttosto che relativo alle policy.
  In ogni caso, quello che è importante sottolineare è il rapporto che questa fascia di popolazione ha con i centri per l'impiego o i servizi per il lavoro in senso stretto.
  Al riguardo vorrei sottolineare un elemento molto particolare del nostro mercato del lavoro. I dati che abbiamo fornito, così come i dati che l'ISFOL ha fornito nei giorni scorsi, evidenziano che c’è un'ampia popolazione che si rivolge ai centri per l'impiego o ai servizi per il lavoro. Bisogna anche dire, però, che più della metà di questa popolazione che si rivolge ai Centri Pag. 6per l'impiego – rimaniamo sul lato pubblico – lo fa con un solo contatto in oltre sette mesi.
  Dal punto di vista delle considerazioni, questo significa che in realtà il centro per l'impiego non è considerato – di questo credo abbiate assolutamente contezza – il luogo dell'incrocio tra domanda e offerta per il giovane che cerca un lavoro, ma piuttosto il luogo dove, alla luce di alcune legislazioni regionali, provinciali o comunali, ci si reca per iscriversi a strani elenchi che danno garanzia di agevolazioni di vario tipo alla famiglia, ma non sono funzionali all'occupazione o all'incrocio tra domanda e offerta.
  I dati che vi abbiamo proposto in queste schede, che peraltro sono assolutamente pubblici (quindi non sveliamo nessun mistero particolare), evidenziano anche il bassissimo – permettetemi di dirlo – grado di investimento che il sistema pubblico in questi anni ha sviluppato sui centri per l'impiego.
  I dati comparati con gli altri Paesi europei – non parliamo soltanto di Paesi nordici, ma di Paesi industrializzati che si confrontano rispetto a noi, sia dal punto di vista della popolazione che dal punto di vista delle articolazioni territoriali – evidenziano che le spese, sia in assoluto che per disoccupato, sono tra le più basse in Europa e che i Centri per l'impiego hanno una capacità estremamente bassa di intermediare nel gioco tra offerta e domanda di lavoro.
  La riflessione che noi portiamo verte sui numeri. Io non voglio prefigurare nessun assetto futuro o azione sui centri per l'impiego. Dico solo che, rispetto alle nostre politiche o a quello che abbiamo fatto come Italia Lavoro, evidenziamo che la struttura per centri per l'impiego, fondata esclusivamente sull'operatore pubblico, non è sufficiente. Se nei prossimi mesi o nel prossimo biennio vogliamo risolvere, o contribuire a risolvere, il tema dell'occupazione giovanile, al di là del rilancio della domanda e della crescita economica, ciò non passa solo per il potenziamento dei centri per l'impiego. Vorrei dirlo con molta chiarezza. Questo è il mio pensiero, sulla base della nostra esperienza. Questo sarebbe peraltro molto difficile, perché il personale negli altri Paesi è 10 o 20 volte superiore.
  Noi ci rendiamo disponibili, qualora la Commissione volesse approfondire. Se vogliamo affiancare delle politiche attive efficienti, credo che sia necessario pensare anche alla struttura, o, come si direbbe con una bruttissima parola, all’«infrastruttura» del mercato del lavoro, cioè quali sono gli operatori e come può essere articolato il mercato del lavoro.
  Da questo punto di vista, credo che sia assolutamente necessaria la cooperazione tra struttura pubblica e struttura privata, che nell'esperienza di Italia Lavoro ha sempre avuto successo. Gli esempi possibili oggi in Italia sono molti, dall'assoluta – semplifico – concorrenza tra pubblico e privato in una regione come la Lombardia, al modello più fortemente incentrato sul sistema pubblico, sia pure decentrato, cioè provinciale, in regioni come la Toscana o l'Emilia-Romagna.
  Io credo che vada comunque fatta una riflessione, perché anche in queste regioni, dove è forte l'operatore pubblico, la capacità di intermediazione rimane estremamente bassa. Ritengo che dobbiamo andare verso una sana riflessione, se vogliamo aumentare l'efficacia delle politiche.
  Mi permetto di fare un appello a una sede come quella parlamentare, perché è evidente, come vedrete anche dalle schede che vi abbiamo fornito sulla governance del mercato del lavoro, che dal punto di vista delle strutture in Italia abbiamo un modello istituzionale assolutamente inefficace.
  Il trilivello Governo, regioni e province non permette oggettivamente di dare risposte immediate su questo tema ai nostri cittadini, ai lavoratori e ai giovani. Credo che debba essere in qualche modo sciolta, in un senso o nell'altro, l'articolazione istituzionale del mercato del lavoro e che debba essere resa più efficiente e più semplice la cosiddetta «catena di comando». In questo senso, basta andare a vedere esperienze europee non molto lontane Pag. 7da noi, per capire quali sono queste best practice, o migliori esperienze, che ci possono in qualche modo guidare.
  Anche da questo punto di vista, esprimo l'opinione che quando si parla di Europa non se ne parla solo facendo riferimento alle politiche, ma anche sotto il profilo dell'infrastrutturazione. Gli ultimi sviluppi in Europa sono, da una parte, di concentrazione in un solo luogo di comando. Poi, ovviamente, sarà la politica a decidere quale sia questo ruolo di comando. Dall'altra parte, puntano all'unificazione dei centri delle politiche passive e attive, situazione che ha implicazioni molto forti.
  Io credo anche – lo dico qui come l'ho detto ai Ministri del lavoro in altre sedi – che sia venuto il tempo perché il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rifletta sulla sua struttura delle agenzie tecniche. Essa, come sapete, è articolata su due agenzie tecniche: una è Italia Lavoro e l'altra è l'ISFOL, che è un ente di ricerca. Tali agenzie devono essere probabilmente riunificate, o si può pensare di riunificarle, in un processo certamente complesso, ma che non può non essere svolto ai fini di aumentare l'efficienza delle politiche.
  Si parla di Garanzia Giovani. Noi non possiamo immaginare che il programma Garanzia Giovani, comunque sia articolato e comunque vada a incentivare le azioni del policy maker, possa essere gestito e sviluppato attraverso l'attuale struttura, proprio per le caratteristiche che ha – vi invito a leggerle – quel tipo di programma. Si tratta di un programma che deve essere rivolto all'inserimento lavorativo o al recupero educativo e formativo di giovani tra i 15 e i 24 anni – come voi sapete, noi abbiamo alcune flessibilità – e che deve fornire la capacità di rispondere in quattro mesi.
  Vorrei richiamare l'attenzione della Commissione anche sul fatto che questa sembra una grande innovazione, ma che, in realtà, la stessa previsione normativa è già contenuta nella legge italiana. Ai sensi del decreto legislativo legge n. 181 del 2000, infatti, tutto questo è già previsto. È previsto ormai da una decina di anni che i centri per l'impiego, in teoria, offrano entro sei mesi o, in alcuni casi, entro quattro mesi, occasioni di lavoro, ma ciò non è mai avvenuto.
  Ci sarebbe da dire che noi siamo in avanguardia rispetto all'Europa perché abbiamo fatto questo dieci anni fa, ma occorre anche riflettere sul motivo per cui non abbia funzionato. Credo che le informazioni che vi abbiamo fornito possano essere un utile momento di riflessione da questo punto di vista.
  Infine, io penso che in questo discorso un'attenzione particolare debba essere dedicata alle regioni del Mezzogiorno, non perché nel Nord abbiamo livelli di performance più elevati, ma perché, oggettivamente, nel Nord sussistono le due dinamiche del mercato del lavoro, tra offerta e domanda, che sono presenti e si equilibrano, cosa che, invece, nel Mezzogiorno non avviene. In merito ritengo si debba provvedere affinché le regioni, nell'ambito della struttura del Mezzogiorno, possano essere meglio informate a parametri europei, anche dal punto di vista della gestione di tali funzioni.
  Mi permetto anche di richiamare l'attenzione della Commissione su un tema: quandunque noi vogliamo costruire una rete di centri pubblici, o comunque una rete iniziale in cui incrociamo la domanda e l'offerta del mercato del lavoro, noi oggi abbiamo un problema, oltre a quelli che vi ho sottolineato prima. Tale problema risiede nelle basi informative, o meglio, nelle dotazioni informatiche dei centri per l'impiego.
  Non so se è noto, ma lo ribadisco, anche perché credo sia necessario mettere alcune questioni in evidenza, che molti centri per l'impiego, se non tutti, sono tra loro non interoperabili. Se voi andate a Brescia, non è detto che possiate vedere – anzi, nel 90 per cento dei casi non la vedete – la lista dei disoccupati o delle offerte di lavoro che ci sono a Treviso. Analogamente, se andate a Foggia, non vedete quello che succede a Napoli.
  Questo è dovuto a un senso federalista delle basi informative e informatiche, che è assolutamente, a mio avviso, errato. Se Pag. 8c’è una circostanza in cui la dimensione nazionale può svolgere efficacemente la sua funzione, lasciando poi spazio all'articolazione territoriale delle politiche, che è assolutamente necessaria, è questa: le basi informative devono essere messe in grado di colloquiare e di collaborare tra di loro, così come il monitoraggio e la valutazione rimangono, a mio avviso, una funzione estremamente nazionale.
  Ravviso questa necessità anche guardando – credo che sia importante non fare discorsi di best practice teoriche – a un caso pratico. Voi sapete che dal 2009, nell'ambito degli accordi di contrasto alla crisi industriale, l'accordo tra Stato, regioni e parti sociali sull'utilizzo degli ammortizzatori in deroga ha permesso la costruzione della cosiddetta Banca dati percettori presso l'INPS.
  La Banca dati percettori è una banca dati di carattere nazionale, fruibile al livello dei centri per l'impiego e di tutti gli operatori, che ha permesso, teoricamente, ma anche in alcuni casi pratici, la possibilità al percettore di reddito di spostarsi da un territorio all'altro perché aveva occasioni di lavoro. Si tratta di una base dati libera, accessibile e trasparente. Da questo punto di vista, è sicuramente una best practice che dovrebbe essere utilizzata.
  Concludo dicendo che il punto fondamentale della debolezza del sistema è la mancanza della domanda di lavoro. Su questo bisognerà molto lavorare. Noi abbiamo centri per l'impiego, con tutta l'offerta e tutte le persone che arrivano, senza, però, la parte della domanda. Mancano, cioè, le job vacancy e tutto ciò che conferiscono l'impresa, l'università e la scuola.
  Mi auguro che anche la Commissione possa, al termine delle sue audizioni, imprimere un indirizzo in questa dimensione, affinché il conferimento dei dati, che rende trasparente il mercato, operazione che esiste in tutti i Paesi d'Europa, possa essere sviluppato anche in Italia.
  Mi fermerei, perché credo di aver affrontato tutte le questioni poste.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Reboani. Nel caso, l'ingegner Mauro Tringali potrà interloquire successivamente agli intervento dei deputati.
  Vi ringrazio perché con questa seconda audizione si rilevano il carattere complesso della materia e la qualità delle audizioni stesse. Ieri abbiamo avuto modo di esaminare con l'ISFOL l'andamento delle assunzioni per tipologia di lavoro rapportate all'applicazione della riforma dell'ex Ministro Fornero. Oggi mi pare che queste indicazioni relative al target giovani distinto per fasce di età siano per noi molto importanti.
  È evidente che la fascia 15-19 ha una caratteristica e la fascia 20-29 un'altra. La fascia 29-34 ha grandi criticità crescenti, delle quali bisogna farsi carico. Inoltre, il riferimento alla questione dei centri per l'impiego è, credo per tutti noi, molto istruttivo e ci consente di entrare nel merito.
  Prima di dare la parola ai colleghi, vorrei sottolineare un aspetto. Come sapete, il Governo sull'argomento giovani dovrebbe avere un leggero ritardo rispetto alle previsioni. Non è detto che il Consiglio dei ministri di questo venerdì sia in grado di fornire il primo pacchetto di iniziative. Potrebbe esserci uno slittamento di una settimana. Questo ci consente di entrare nell'argomento più approfonditamente e meglio preparati.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  WALTER RIZZETTO. Signor presidente, nel ringraziare gli auditi, sicuramente concordo con lei quando parla della qualità di queste audizioni, perché, pur essendo molto tecniche e di qualità, offrono la possibilità a un'ampia platea di conoscere un po’ di più rispetto a questo argomento.
  Sono particolarmente d'accordo, quindi sottolineo questo spunto, con lo spacchettare le categorie delle fasce di età che vanno dai 15 ai 34 anni; immediatamente dopo, sono d'accordo su quanto detto a proposito dei centri per l'impiego. Negli Pag. 9ultimi anni, qualche fondo per i centri per l'impiego è arrivato: forse bisognava anche capire dove andassero a finire questi soldi destinati alle regioni, che sarebbero dovuti andare a favore dei centri per l'impiego. Probabilmente, come spesso accade, non è colpa di nessuno. Molto spesso abbiamo visto che, invece che rafforzare i centri per l'impiego, sono state fatte delle altre cose.
  Pongo un particolare accento anche sull'apprendistato. Voi sapete meglio di me che un apprendistato a carattere europeo, una volta che il giovane o meno giovane rientra in Italia, molto difficilmente viene riconosciuto, e quindi lo stesso giovane deve rientrare in questo iter di apprendistato, slittando sempre più in avanti il suo ingresso effettivo nel mondo del lavoro.
  Interessante, poi, è anche il dato relativo al numero di persone toccate da questo problema. Se ho ben capito, si tratta di 900.000 persone, ripartite in due fasce: tra 15 e 29 anni e tra 24 e 29 anni.
  Vi ringrazio per questi spunti e vi auguro un buon lavoro.

  DAVIDE BARUFFI. Vorrei capire due elementi che ritengo rilevanti ai fini del lavoro della Commissione e delle politiche che potranno essere implementate, anche rispetto al programma europeo.
  Il primo elemento riguarda i centri per l'impiego. Naturalmente conosco meglio l'esperienza emiliana, che è quella da cui provengo, mentre conosco meno le altre esperienze. Vorrei sapere quali sono i punti di forza e di debolezza dei modelli che ci avete sintetizzato, posto che siamo di fronte a un sistema di debolezza, e quindi non abbiamo eccellenze da spendere. Io non voglio certo vendere come tale l'esperienza modenese o emiliano-romagnola.
  Questo può essere utile anche per capire come aggredire immediatamente uno dei fronti che avete indicato, per poter implementare le politiche a cui facevamo riferimento.
  La seconda questione, invece, concerne il tema della formazione professionale e della formazione tecnica. Nel nostro territorio abbiamo una storia e un'esperienza significativa. È un modello che batte in testa e che non riesce più a ricoprire una dimensione sociale di qualità, nonché a orientare con forza una proposta che catturi l'attenzione dei nostri giovani e delle nostre famiglie, trasformandosi in percorsi finalizzati anche al sistema delle nostre imprese. In questi anni si è determinato un distacco più forte.
  Mi chiedo, dal punto di vista del vostro osservatorio, in che senso queste politiche di formazione, in particolare quella tecnica e superiore, incidono sulla possibilità di allargare o rendere più fluido il mercato del lavoro. Vorrei sapere lato inoltre se avete dei suggerimenti da mettere in campo anche su questo.

  RENATA POLVERINI. Ringrazio anch'io il presidente e il direttore di Italia Lavoro per la relazione sicuramente esaustiva, anche rispetto al materiale già prodotto.
  Ieri ero uscita un po’ sollevata rispetto ai dati che ci aveva fornito l'ISFOL, in particolare riguardo alla riforma Fornero, che avevano messo in discussione alcune convinzioni che avevamo maturato in quest'ultimo anno. I dati adesso forniti, invece, di fatto confermano le debolezze delle quali ci auguriamo di poterci occupare in questa legislatura con serietà e concretezza, dando delle risposte significative.
  Guardando molto velocemente alcuni dei dati, vedo che anche laddove vengono utilizzati strumenti innovativi, il numero dei giovani coinvolti, che pure può sembrare interessante, rispetto alla complessità e ai numeri così straordinari di disoccupazione giovanile o di dispersione scolastica, risultano oggettivamente poco significativi, e non investono tutto il territorio nazionale.
  C’è questa diversificazione, che purtroppo credo si ampli sempre di più, tra il nord e il sud del Paese, che penso richieda da parte nostra, presidente, un intervento diversificato rispetto al lavoro che vogliamo mettere in campo insieme all'attuale Governo.Pag. 10
  Ci sono due domande che mi sento di fare. Innanzitutto mi pare di capire, come è stato già detto, che c’è una convinzione rispetto ai centri per l'impiego, secondo cui bisogna andare verso un sistema misto pubblico-privato, non soltanto per convinzione, ma perché probabilmente il pubblico non riuscirebbe a coprire il divario che ormai si è creato. Conosco pochissimi giovani e adulti che riescono a trovare un'occupazione attraverso il sostegno dei centri per l'impiego, quindi evidentemente dobbiamo approfondire la questione.
  Mi piacerebbe capire, come è già stato chiesto dal collega, quali sono, nei due modelli, gli esempi da seguire e quali quelli da modificare.
  Non ho avuto tempo di esaminare i dati, ma ho visto che c’è un'esauriente spiegazione. La seconda cosa che vorrei sapere è quali sono, tra le pratiche di altri Paesi europei, quelle che possiamo approfondire e che, per tipologia, ampiezza e cultura, possono essere più vicine al nostro Paese. Molto spesso, infatti, indichiamo modelli che poco hanno a che fare con il nostro Paese, e che pur funzionando benissimo, tradotti in italiano, sicuramente non riescono a dare un risultato. Ovviamente su questo ho una mia idea, però vorrei sentire da voi, che siete sicuramente più profondi conoscitori della materia rispetto a me, qual è il modello o i modelli ai quali si può fare riferimento.

  MARIALUISA GNECCHI. Ringrazio Italia Lavoro. La mia domanda è particolare, per una che si occupa tendenzialmente di pensioni. Oltre alla crisi occupazionale e alla crisi del mercato del lavoro, che conosciamo tutti, nel 2010 c’è stata l'introduzione della finestra di un anno obbligatoria per tutti; nel 2011 è intervenuta la manovra Fornero – che io non chiamo riforma, ma proprio «manovra» – che ha determinato lo spostamento in avanti molto significativo dell'età pensionabile e l'abrogazione totale delle quote, incidendo anche rispetto ai giovani e all'andamento normale di ricambio all'interno delle aziende (in termini di possibilità di trovare un lavoro).
  Mi chiedo se è stata effettuata un'analisi che tenga conto, da un lato, della crisi che conosciamo (è chiaro che se un'azienda fallisce non può né tenere i lavoratori che aveva già in servizio, né dare spazio ai giovani), e dall'altro del mancato ricambio su cui hanno inciso le manovre di cui parlavo.
  Da parte nostra vorremmo che tutti quelli che si occupano di inserimento nel mondo del lavoro (servizi all'impiego, Italia Lavoro o altri) facessero una valutazione anche da questo punto di vista. Poiché vorremmo apportare delle correzioni alle ultime manovre che abbiamo subito, ci piacerebbe avere elementi in più, da autorevoli fonti, che dimostrino che non era sicuramente il momento per spostare in là il pensionamento delle persone. Del resto, pare che ci sia una contraddizione tra riuscire a occupare i giovani e tenere i vecchi nelle aziende.

  PRESIDENTE. Prima di dare nuovamente la parola al dottor Reboani e al dottor Tringali vorrei fare un'osservazione e porre alcune domande.
  L'osservazione interessante, che dovremmo far presente al ministro, è che ci sono leggi che già prevedono interventi su cui si vorrebbe legiferare di nuovo. È stato citato il decreto legislativo n. 181 del 2000 relativo alla questione «Garanzia Giovani», al fine di fornire una risposta entro quattro o sei mesi. L'altro esempio è quello della staffetta generazionale: ci sono ben quattro leggi che giacciono, non applicate, dal 1981 fino al 2007.
  Passando alle domande, noi siamo interessati alla cooperazione pubblico-privato per quanto riguarda l'incontro domanda-offerta. Secondo lei, come potrebbe avvenire ? C’è un problema di banche dati, di database, di incrocio di operatori ? Bisogna anche capire come potrebbe esplicarsi sul territorio questa collaborazione.
  In secondo luogo, ho l'impressione che, per la ristrettezza delle risorse, il Governo si orienti a restringere molto la platea di coloro che potrebbero avere un incentivo per essere occupati. Dalla platea caratterizzata Pag. 11dall'attuale stock si passa alla platea caratterizzata dal flusso. Nell'ambito del flusso ci si restringe, per le leggi europee, al solo Mezzogiorno e poi a fasce d'età che non vanno oltre i 29 anni.
  Tutto questo, secondo lei, può creare una contraddizione con l'esigenza di dare una risposta in termini occupazionali a fasce che hanno maggiori criticità al di fuori di quella strettamente giovanile ?

  PAOLO REBOANI, Presidente di ITALIA LAVORO. Cercherò di rispondere alle varie sollecitazioni e comunque spero di rispondere a tutto.
  Mi pare che i filoni siano tre o quattro. Il primo filone è quello dell'apprendistato, che qui è stato citato più volte. Credo che sull'apprendistato, come ricordava l'onorevole Rizzetto, noi abbiamo un problema, di mancata capacità di mobilità di quel contratto, tanto è vero che ricordo che il pacchetto occupazione della Commissione europea prevede una cosiddetta «alleanza» sull'apprendistato. Il tentativo è quello di proporre – visto che in Europa in Francia, in Germania, in Inghilterra, in Spagna e via dicendo si chiama «apprendistato» – la creazione di un «Erasmus» dell'apprendistato.
  Credo che oggettivamente vi siano le condizioni per farlo, purché per l'apprendistato vengano definiti alcuni concetti o elementi base che lo rendano facilmente trasferibile. Ovviamente, uno di questi elementi «incappa» con il tema del piano formativo e delle responsabilità che hanno su di esso le regioni. Questo mi porta a dire che laddove tuttavia l'apprendistato, come abbiamo fatto noi nel nostro programma, viene in qualche modo pilotato e costruito insieme con le aziende, quindi tenendo conto delle esigenze di queste ultime, questo strumento ha una grande capacità di tenuta.
  Alcuni dati preliminari – sebbene in attesa di verifica – sembrerebbero indicare che dove Italia Lavoro ha operato nel contratto di apprendistato, permettendo alle aziende di usufruire di un incentivo economico, oltre a quelli già previsti, la capacità dell'azienda di tenere l'apprendista è molto più lunga.
  Se chiedete all'INPS i dati relativi alla durata dei contratti di apprendistato, vedrete che questi hanno mediamente una durata molto breve. Ciò significa che se noi, anziché fare un'azione generale, siamo in grado di pilotare e di parlare con le imprese, abbiamo risultati positivi. Questo mi porta nella direzione di coloro che chiedevano qual è lo stato e il rapporto degli strumenti di politiche del lavoro, in particolare rispetto alla formazione.
  Come ricordava la vicepresidente Polverini, noi agiamo in una forma sperimentale, quindi non abbiamo capacità di grandi progetti; il nostro progetto sull'apprendistato è di circa 80 milioni, mentre il progetto sulle scuole è di circa 90 milioni. Si tenga conto che per la prima volta lavoriamo sui ragazzi delle scuole superiori, al quarto o al quinto anno, e se il progetto va bene ne intercetteremo 55.000. È la prima volta che questo avviene, ma tenete presente che la platea che esce dalla scuola comprende tra le 400.000 e le 450.000 unità, quindi siamo al 10 per cento.
  Questo, però, mi permette di dire che se siamo in grado di creare una filiera integrata, come se fosse un prodotto, che ci mette in condizione di fare la scuola, la scuola professionale o tecnica, il contratto di apprendistato (o il tirocinio prima e il contratto di apprendistato), l'inserimento dentro l'azienda, noi creiamo – e il nostro sistema è in grado di farlo – un sistema italiano alla tedesca.
  Quando si parla di sistema alla tedesca, ci si dimentica che quello è un sistema cinquantennale, sessantennale, cioè ha una storia dietro; noi, invece, dobbiamo costruirlo oggi, e costruire un sistema di questo tipo è un'operazione molto complessa. Credo che, invece, questo possa essere fatto per giustapposizione, recuperando una tradizione che non c’è più, che è quella delle scuole professionali e degli istituti tecnici – che è stata persa, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno – e valorizzando il turismo, l'agricoltura, alcune Pag. 12filiere caratteristiche del made in Italy, del sistema produttivo o di servizi.
  Noi, come vedete nelle schede, stiamo intraprendendo alcune azioni in questo senso. È ovvio che, per le caratteristiche italiane, occorre la cooperazione di più attori, e questo purtroppo è un elemento del nostro sistema molto complesso. Noi dobbiamo mettere insieme Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, regioni, istituti scolastici, quindi è un'operazione molto complessa, che però, secondo noi, ha alcune valenze. Vi invito a guardare il progetto «Botteghe di Mestiere» che va in questa direzione.
  Vi è un secondo punto, sempre sull'apprendistato. È evidente che l'apprendistato – lo vedete dai numeri che vi forniamo, ma anche in generale – ha una valenza diversa quanto più è in contatto con il sistema produttivo. Non è un caso che il nostro progetto, che doveva fare circa 16.000 contratti di apprendistato incentivati, ne fa 25.000. Andiamo – scusatemi il termine un po’ tecnico – in overbooking rispetto ai fondi nel nord, per oltre 3.000 domande, ma siamo molto sotto al target nelle regioni della Convergenza. Nelle regioni del Mezzogiorno, dove abbiamo una capacità di spesa maggiore, non riusciamo a spendere; mediamente, nelle quattro regioni, vengono fatti cento o duecento contratti di apprendistato, molto al di sotto del target che abbiamo stabilito.
  Oggettivamente, quindi, c’è un problema nelle regioni del Mezzogiorno: per una serie di fattori, perché non c’è domanda, perché non c’è l'abitudine dell'imprenditore, perché il nero è un fenomeno di concorrenza estrema e via dicendo, in queste regioni, come vedete dai nostri dati, il contratto di apprendistato, per quanto agevolato – agevolato dallo Stato, da Italia Lavoro, dalla regione, nella formazione, nell'inserimento – non riesce a decollare. Questo pone, secondo me, un tema sud sugli strumenti molto importante.
  Il secondo filone riguarda i centri per l'impiego. È evidente che siamo in presenza di una realtà molto frastagliata e molto differenziata. Una regione come l'Emilia-Romagna è certamente una regione che ha centri per l'impiego mediamente più efficienti. Tuttavia, anche i centri più efficienti intermediano una quota molto bassa; non è il 3 per cento – perché questa percentuale riguarda in generale tutta la platea dei disoccupati, mentre dovremmo vedere quanti sono quelli effettivamente eleggibili, quindi la soglia è più elevata – ma siamo sempre su livelli molto poco significativi. Non che nel privato le cose vadano meglio: i dati che riguardano il privato sono leggermente più alti, ma sono sempre poco significativi.
  È evidente che deve nascere, anche da queste considerazioni, la necessità di valorizzare certamente le eccellenze – nessuno dice di smantellare i centri per l'impiego – ma dobbiamo essere coscienti che quel sistema continua a essere inefficiente: perché non ci abbiamo investito; perché quando lo abbiamo fatto, come alcuni casi di cronaca anche di queste ore riportano, abbiamo investito su altre funzioni; perché, come vi mostriamo attraverso i dati, la difficoltà di avere tanti investimenti significa che in questo momento i pochi soldi che arrivano devono essere dati al personale, altrimenti avremmo un problema nel problema, cioè la disoccupazione di coloro che sono impiegati nei centri per l'impiego; insomma, per tanti motivi. Certamente, però, come vedete attraverso i grafici che vi abbiamo distribuito, cresce la spesa per il personale o per la struttura, mentre viene compressa quella per i servizi.
  Quindi, noi dobbiamo ragionare di più in termini di servizi e utilizzare, credo in maniera intelligente, sempre più il privato – dipende anche dalle scelte che si vorranno fare – nella funzione di dare i servizi. Si tratta di un privato esteso: quando parlo di privato non penso solo alle agenzie, che pure hanno una tradizione di accoglienza e di orientamento, ma credo che si debba in qualche modo estendere il campo e pensare ad altri attori. Mi riferisco, ad esempio: al sistema scolastico e universitario, fornendo – come stiamo sperimentando noi, quindi si potrà valutare – degli uffici di placementPag. 13sia nelle università sia nelle scuole; alle Camere di commercio, che hanno contatti con il mondo delle imprese, particolarmente quando si parla di imprenditorialità o di auto-imprenditorialità; al sistema delle parti sociali e, da questo punto di vista, gli enti bilaterali o i fondi interprofessionali possono svolgere funzioni molto importanti in questo ruolo; al mondo del no profit. Insomma, penso a una serie di attori che possono fornire i servizi.
  Mi permetterei di suggerire alla Commissione di ascoltare le istituzioni internazionali, anche l'OCSE (laddove peraltro l'attuale direttore delle politiche del lavoro è un italiano), in modo da avere una visione più generale del problema, per capire quali sono i modelli che in qualche modo si possono avvicinare, di cui parlava la vicepresidente Polverini.
  È sempre difficile dire quali possono essere i modelli, però vedo molte somiglianze con il sistema francese, che è un sistema grande, articolato, dove negli anni – come ricorderà sicuramente anche il presidente Damiano, nella sua funzione di Ministro del lavoro – sono stati introdotti contratti molto simili ai nostri. Il contratto della staffetta generazionale corrisponde al contratto di generazione, mentre il contratto di inserimento era il contratto «emploi» francese. Da questo punto di vista, suggerirei di guardare quell'esperienza.
  Guarderei anche all'esperienza di un mondo anglosassone più vicino a noi, quale è quello inglese, tenendo presente le differenze dal punto di vista del diritto, e anche al sistema svizzero. Al di là di tutto, il sistema svizzero è molto articolato sul territorio, dove c’è anche una funzione dei cantoni, dei municipi, che per qualche aspetto può essere molto interessante. L'OCSE ha condotto molti studi in questa direzione.
  Il tema è quello dei servizi, ma io direi che la funzione centrale si deve occupare più di banche dati e di interoperabilità dei sistemi, che permette anche di risparmiare, e di monitoraggio.
  L'altro tema che mi pareva emergesse nelle domande è quello del target e di come i provvedimenti possono influire su di esso. È evidente che noi abbiamo un problema di numeri massiccio. Oggi il tema della disoccupazione è rappresentato da numeri certamente significativi, che devono essere in qualche modo abbattuti.
  Farei una valutazione e, se fossi in voi, la chiederei all'INPS su come sono stati spesi e come sono stati suddivisi i 220 milioni destinati alle stabilizzazioni dall'ex Ministro Fornero in fine della precedente legislatura (al riguardo abbiamo tutti i numeri, e comunque l'INPS è in grado di fornirveli) per vedere quanto un incentivo economico possa influire sugli operatori.
  Mi pare di poter dire che se continuiamo a dare molti incentivi economici rischiamo che, in alcune realtà, non vengano utilizzati. Procederei con molta attenzione. Certamente la riduzione del target non corrisponde troppo alla segmentazione per interesse, ma è una riduzione per risorse. Ricordo, tuttavia, a proposito del nostro protagonismo in Europa, che se vengono utilizzati alcuni margini, anche rispetto ai beneficiari, ai sensi del Regolamento CE n. 800 del 2008, quindi per categorie, è possibile ragionare non solo in termini di Mezzogiorno, ma anche in termini di territorio nazionale.
  Se noi continuiamo a dare incentivi al Mezzogiorno, in una situazione qual è quella attuale, ho l'impressione che non riusciamo ad abbattere troppo efficacemente i numeri. Mi riferisco anche all'osservazione rispetto ai target giovani e anziani. Il tema del contratto di generazione o staffetta generazionale nasce da due esigenze. La prima è quella del trasferimento dei saperi, ne sono abbastanza convinto.
  Quando, in questi mesi, abbiamo molto suggerito e promosso questa misura, partivamo dalla considerazione che sul territorio, soprattutto nel tessuto produttivo adriatico delle piccole imprese, c'era una richiesta. La staffetta generazionale, come è stata pensata, nasce da una richiesta del mondo delle imprese, che, avendo persone in uscita, avevano paura che le stesse si Pag. 14portassero via il «sapere» e che i giovani che entravano non avessero gli skill e le competenze.
  A fronte di questa richiesta, abbiamo creato questa staffetta generazionale, che certamente rappresenta un elemento di riflessione; così come è costruita, essa ha alcuni punti deboli e sarebbe meglio costruirla più nell'ottica legislativa, come era stata pensata all'inizio, cioè in prospettiva della solidarietà espansiva. Come voi sapete, però, il contratto di solidarietà espansiva – lo ricorderà anche il presidente Damiano – è sempre stato bloccato dalla Ragioneria generale dello Stato perché si sosteneva e si sostiene che abbia una visione per cui viene a mancare gettito contributivo, quindi costa. Siccome quella Ragioneria (non so la nuova) non considerava l'aumento fiscale come futuro, come un arrivo di nuovi contributi, ce l'ha sempre bloccato.
  Certamente una riflessione va fatta – e probabilmente il contratto di generazione può essere uno strumento in quella direzione – su come possiamo mantenere al lavoro, in una fase di transizione, gli anziani, che però molte volte vorrebbero andare in pensione o diminuire i loro carichi di lavoro. Non dimentichiamo che molti hanno anche attività secondarie, sebbene ovviamente la crisi abbia molto indebolito questo fenomeno.
  Credo che nell'ottica della segmentazione per target o dell'affrontare i problemi per target, quando e se il Governo e il Parlamento decideranno di affrontare i temi dell'invecchiamento attivo, cioè delle pensioni, nel pacchetto debba essere considerata anche una politica attiva per questa fascia di popolazione. A mio avviso, è importante affrontare il tema di questa fascia di popolazione in termini non solo di pensionamento, ma anche di parziale e progressiva diminuzione del suo carico di lavoro, quando ancora molti di questi soggetti vorrebbero lavorare, indipendentemente dal reddito.
  In base all'esperienza che vi portiamo, credo che sia giunto il tempo di fare politiche attive, ma fare politiche attive significa razionalizzare gli strumenti, semplificare le catene di comando, credere di più nella partnership pubblico-privato, ossia avere più attori a disposizione, immaginare politiche di fine tuning, cioè per segmenti, che non significa diminuire gli investimenti, ma costruire incentivi o investimenti molto più selezionati.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Reboani e Italia Lavoro per l'audizione e tutti voi per la partecipazione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10,10.

Pag. 15

ALLEGATO

Pag. 16

Pag. 17

Pag. 18

Pag. 19

Pag. 20

Pag. 21

Pag. 22

Pag. 23

Pag. 24

Pag. 25

Pag. 26

Pag. 27

Pag. 28

Pag. 29

Pag. 30

Pag. 31

Pag. 33

Pag. 34

Pag. 35

Pag. 36

Pag. 37

Pag. 38

Pag. 39

Pag. 40

Pag. 41

Pag. 42

Pag. 43

Pag. 44

Pag. 45

Pag. 46

Pag. 47

Pag. 48

Pag. 49

Pag. 51

Pag. 52

Pag. 53

Pag. 54

Pag. 55

Pag. 56

Pag. 57

Pag. 58

Pag. 59

Pag. 60