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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Mercoledì 6 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPATTO IN TERMINI DI GENERE DELLA NORMATIVA PREVIDENZIALE E SULLE DISPARITÀ ESISTENTI IN MATERIA DI TRATTAMENTI PENSIONISTICI TRA UOMINI E DONNE

Audizione del sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Pier Paolo Baretta.
Damiano Cesare , Presidente ... 3 ,
Baretta Pier Paolo (PD) , Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze ... 3 ,
Damiano Cesare , Presidente ... 7 ,
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 7 ,
Di Salvo Titti (PD)  ... 9 ,
Baruffi Davide (PD)  ... 10 ,
Giacobbe Anna (PD)  ... 11 ,
Rizzetto Walter (FdI-AN)  ... 11 ,
Gribaudo Chiara (PD)  ... 12 ,
Damiano Cesare , Presidente ... 13 ,
Baretta Pier Paolo (PD) , Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze ... 14 ,
Damiano Cesare , Presidente ... 16 

(La seduta, sospesa alle 15.20, riprende alle 15.25) ... 16 

Audizione della sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Franca Biondelli:
Damiano Cesare , Presidente ... 16 ,
Biondelli Franca (PD) , sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali ... 17 ,
Damiano Cesare , Presidente ... 20 ,
Gnecchi Marialuisa (PD)  ... 20 ,
Dall'Osso Matteo (M5S)  ... 21 ,
Piccolo Giorgio (PD)  ... 21 ,
Tripiedi Davide (M5S)  ... 22 ,
Di Salvo Titti (PD)  ... 22 ,
Damiano Cesare , Presidente ... 22 ,
Biondelli Franca (PD) , sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali ... 23 ,
Damiano Cesare , Presidente ... 24

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale - Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Pier Paolo Baretta.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impatto in termini di genere della normativa previdenziale sulle disparità esistenti in materia di trattamenti pensionistici tra uomini e donne, l'audizione del Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Pier Paolo Baretta, che ringrazio per la sua partecipazione.
  Il sottosegretario è accompagnato dal capo della sua segreteria, dottoressa Daniela Lembo, dalla dottoressa Dora Del Prete, funzionario addetto alla segreteria del Sottosegretario, e dalla dottoressa Angelina Squillacioti, addetto stampa, che ringrazio per la loro presenza.
  Ricordo che la Commissione ha a disposizione per l'audizione circa un'ora, essendo prevista alle ore 15.00 l'audizione della Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Franca Biondelli. Dopo l'intervento del sottosegretario ci sarà tempo per i quesiti dei componenti della Commissione e per la conseguente replica dell'onorevole Baretta, al quale lascio immediatamente la parola.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor presidente, colleghi, l'indagine conoscitiva, come sappiamo, verte sull'impatto in termini di genere della normativa previdenziale e sulle disparità esistenti in materia di trattamenti pensionistici tra uomini e donne.
  Voglio innanzitutto segnalare che l'INPS, già dal 2007, dedica spazio alla prospettiva di genere nel bilancio sociale dell'Istituto, cogliendo: a) sul fronte delle entrate, il flusso monetario derivante dalla produzione, disaggregato per genere, e ciò avviene sulla base di stime elaborate nell'analisi del monte salari proveniente dall'occupazione maschile e femminile; b) sul versante della spesa, considerando le variabili relative alle prestazioni erogate a sostegno del reddito e alle pensioni. Questi elementi potranno contribuire alla definizione di una metodologia finalizzata alla formazione di un bilancio di genere anche per il rendiconto dello Stato.
  Va, tuttavia, precisato che la spesa previdenziale e assistenziale iscritta nel bilancio dello Stato, anche qualora venisse auspicabilmente distinta per genere, non potrà fornire un quadro esaustivo dell'impatto in termini di genere della normativa previdenziale. Per evidenziare in maniera compiuta tali aspetti ci sarà, in ogni caso, da riferirsi a un quadro integrato tra il bilancio dello Stato e il bilancio dell'INPS.
  È opportuno a questo punto evidenziare che le disposizioni per la sperimentazione di un bilancio di genere in Italia erano già state introdotte alcuni anni fa, in occasione della riforma del bilancio, ancorché non applicate. Pag. 4
  Ciò che, però, mi interessa qui sottolineare è che disposizioni in tal senso sono state reiterate e reintrodotte recentemente con l'articolo 9 dello schema di decreto legislativo relativo al completamento della riforma del bilancio, secondo i princìpi e i criteri dell'articolo 40 della legge n. 196 del 2009, che il Governo ha presentato il 15 febbraio 2016. Tale sperimentazione è volta a dare evidenza al diverso impatto delle politiche di bilancio su uomini e donne in termini di denaro, servizi, tempo e lavoro non retribuito, partendo dall'assunto che il bilancio pubblico è rilevante per la realizzazione dell'uguaglianza di genere.
  Venendo ora al tema dell'indagine, che, come detto, si riferisce alla disparità di trattamento in materia pensionistica tra uomini e donne, va innanzitutto rilevato che, di fatto, non esistono differenziazioni di genere per quanto riguarda le regole di indicizzazione dei trattamenti e il computo delle prestazioni.
  Per quanto riguarda, invece, i requisiti di accesso alle prestazioni, con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 è stato previsto il completo allineamento del requisito anagrafico per il pensionamento di vecchiaia delle donne a quello degli uomini entro il 2018; ciò per il settore privato, perché nel settore pubblico tale requisito è già allineato.
  È stata inoltre introdotta una differenziazione strutturale nel requisito contributivo per l'accesso al pensionamento anticipato indipendentemente dall'età anagrafica, prevedendo per le donne un anno in meno di contribuzione rispetto agli uomini. Nel 2016, ad esempio, il requisito in esame è pari a 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, successivamente adeguati nel tempo in base all'incremento della speranza di vita.
  Relativamente a tale ultimo aspetto, ricordo che tale differenziazione è stata oggetto di una procedura di infrazione europea, alla quale si dovrà porre rimedio attraverso la correzione della norma, ovvero nel senso di allineare il requisito contributivo delle donne a quello degli uomini. Su tali aspetti gli uffici tecnici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali si sono comunque riservati di effettuare ulteriori approfondimenti.
  La scomposizione per sesso della spesa pensionistica complessiva, con riferimento sia alle pensioni dirette sia alle pensioni indirette, evidenzia una prevalenza della quota riferita al genere maschile per tutto il periodo di previsione. La differenza è pari a 2 punti percentuali di PIL nel 2010 e tende ad assottigliarsi sino allo 0,3 per cento nel 2060.
  Considerando la distribuzione per sesso delle singole tipologie di pensione, la quota maschile risulta superiore, per quanto attiene alle pensioni dirette, e ampiamente inferiore per quelle indirette. Ciò dipende da una pluralità di fattori, e tra i più importanti c'è la maggiore partecipazione maschile al mercato del lavoro, che determina una maggiore probabilità di conseguire una pensione diretta e di lasciare, conseguentemente, una pensione al superstite di sesso femminile. Tale condizione è ulteriormente sostenuta dalla maggiore longevità delle donne rispetto agli uomini di circa cinque anni.
  Il riallineamento della spesa pensionistica distinta per genere è dovuto essenzialmente alla componente delle pensioni dirette. Il riallineamento è previsto dalla normativa vigente, traducendosi in una significativa riduzione delle differenze di genere nei tassi di attività e di disoccupazione, e nella conseguente possibilità di maturare diritti pensionistici. Il riallineamento della spesa pensionistica tra i due sessi risulta, inoltre, favorito dalla già citata maggiore sopravvivenza delle donne, che produce un effetto «rinnovo» più contenuto per le donne rispetto a quello dei maschi, rallentando così il processo di adeguamento degli importi medi delle pensioni verso i più bassi livelli mediamente imposti dal sistema contributivo.
  Diversamente, sul versante delle pensioni indirette si registra per entrambi i sessi una costante flessione della spesa pensionistica in rapporto al PIL, maggiormente accentuata per le donne. Per il complesso delle prestazioni, la spesa per i dipendenti del settore privato in rapporto al Pag. 5PIL risulta aumentata per effetto della recessione, raggiungendo il 9,2 per cento nel 2014. Successivamente, il rapporto inizia a decrescere, attestandosi all'8,4 per cento nel 2027. A partire da tale anno comincia a riprendere la crescita e raggiunge un massimo di 10,4 per cento nel 2052.
  Per i dipendenti pubblici, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL cresce nella prima parte del periodo di previsione, dal 3,6 per cento del 2010 a un massimo di 4,2 per cento intorno al 2024. Successivamente, scende significativamente, attestandosi intorno all'1,8 per cento nel 2060.
  La crescita iniziale è dovuta alla dinamica del numero delle pensioni, mentre la decrescita è determinata essenzialmente dalla riduzione dell'importo medio delle pensioni in rapporto alla produttività. L'aumento del numero di pensioni nel pubblico impiego, che dai 2,8 milioni del 2010 raggiunge il valore massimo di circa 3,3 milioni nel 2013, oltre a riflettere il fenomeno del ritiro dalla vita attiva dei babyboomer, dipende dalle massicce assunzioni avvenute tra gli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta.
  Con riferimento, invece, ai lavoratori autonomi, la spesa per le pensioni in rapporto al PIL si mantiene pressoché costante, intorno al 2 per cento, nel primo decennio di previsione, per poi decrescere sino a raggiungere l'1,1 per cento nel 2060.
  Secondo gli ultimi dati forniti dall'INPS a marzo del 2016, le pensioni vigenti al 1° gennaio 2016 sono 18.136.850, di cui 14.299.048 di natura previdenziale, cioè prestazioni originate dal versamento di contributi durante l'attività lavorativa del pensionato. L'importo complessivo annuo risulta pari a 196,8 miliardi di euro, di cui 176,7 sostenuti dalle gestioni previdenziali.
  Oltre la metà delle pensioni è in carico alle gestioni dei dipendenti privati, delle quali quella di maggior rilievo, per il 95,7 per cento, è il Fondo pensioni lavoratori dipendenti, che gestisce il 49,2 per cento del complesso delle pensioni erogate e il 61,8 per cento degli importi in pagamento. La gestione dei lavoratori autonomi eroga il 27,2 per cento delle pensioni, per un importo pari al 23,6 per cento, mentre le gestioni assistenziali gestiscono il 21,2 per cento delle prestazioni, per un importo di poco superiore al 10 per cento del totale.
  Le prestazioni assistenziali presentano un tasso di genere maschile costantemente inferiore al 50 per cento. La causa di ciò può essere attribuita a una maggiore presenza delle donne nelle classi di età avanzata, con maggiore rischio di invalidità, nonché a una maggiore esposizione alla povertà per il genere femminile. Molte donne in età avanzata non hanno avuto, infatti, versamenti sufficienti per la maturazione di una prestazione previdenziale.
  Particolarmente significativi per il problema di cui stiamo trattando sono gli importi medi mensili al 1° gennaio 2016, che risultano così distribuiti: per la pensione di vecchiaia, il cui importo mensile medio è pari a 1.121,70 euro, gli uomini maturano un importo medio di 1.415,23 euro, mentre quello delle donne è di 755,17 euro; per la pensione di invalidità previdenziale, il cui importo mensile medio è pari a 663,73 euro, gli uomini percepiscono un importo medio di 801,3 euro, mentre quello delle donne è di 532,74 euro; per la pensione ai superstiti, il cui importo mensile medio è pari a 604,32 euro, gli uomini hanno un importo medio di 411,03 euro, mentre, in questo caso, è quello delle donne ad essere superiore, essendo pari a 630,50 euro; per le pensioni e gli assegni sociali il cui importo mensile medio è pari a 422,29 euro, gli uomini percepiscono in media 427,23 euro, le donne 419,52 euro; per le prestazioni per gli invalidi civili, il cui importo mensile medio è pari a 422,48 euro, gli uomini maturano un importo medio di 404,37 euro, mentre le donne di 434,61 euro.
  L'età media dei pensionati è di 73,6 anni, con una differenza tra i due generi di 4,5 anni, 71 anni per gli uomini e 75,5 anni per le donne. In particolare, per le pensioni di vecchiaia, il 23 per cento è erogato a persone di età compresa tra i 65 e i 69 anni. Tale percentuale si alza al 24,1 per cento per i pensionati di vecchiaia di sesso maschile. Ciò è giustificato dall'elevato numero di pensioni di anzianità liquidate negli anni passati. Pag. 6
  Per le pensioni di invalidità previdenziale, si rileva che il 59,6 per cento delle pensionate titolari ha un'età uguale o superiore a 80 anni. Tale percentuale scende per i maschi al 49,9 per cento. Anche nell'invalidità civile, i titolari di sesso maschile si concentrano nelle prime classi di età: il 54 per cento dei titolari maschi ha un'età inferiore ai 60 anni, mentre la percentuale di donne in questa fascia di età scende al 31,9 per cento.
  Analizzando la distribuzione per classi di importo mensile delle pensioni, si osserva una forte concentrazione nelle classi basse. Il 63,4 per cento delle pensioni ha, infatti, un importo inferiore a 750 euro. Questa percentuale per le donne raggiunge il 77,1 per cento.
  Se si guarda, invece, alle classi di importo superiore ai 2.000 euro mensili, queste rappresentano il 9 per cento del totale delle pensioni erogate, ma, mentre per gli uomini tale percentuale è del 14,1 per cento, per le donne scende al 2,6 per cento.
  Secondo il rapporto INPS 2014, l'ultimo rapporto completo disponibile, le uscite per prestazioni previdenziali per tale anno sono ammontate a 303,4 miliardi di euro, di cui 268,8 miliardi per prestazioni pensionistiche e 34,6 miliardi per prestazioni economiche per eventi di carattere temporaneo. Il 75,2 per cento dei pensionati percepisce una sola pensione, per un valore medio di 1.240 euro, 910 euro per le donne e 1.536 euro per gli uomini. Il restante 27,5 per cento dei pensionati cumula due o più pensioni, raggiungendo in media 1.541 euro lordi al mese. I beneficiari di più pensioni sono in maggioranza donne, il 69,1 per cento del totale.
  L'analisi di genere fa emerge la concentrazione delle donne nelle classi di importo più basso e una progressiva riduzione del peso delle donne al crescere delle classi di importo. Oltre i 3.000 euro mensili, solo un pensionato su quattro è donna.
  In conclusione, si può affermare che oggi permangono rilevanti differenze di genere nei trattamenti pensionistici che non possono essere ignorate. Pertanto, appare evidente la necessità di agire ancora sul fronte previdenziale, non tanto attraverso una modifica strutturale dell'impianto legislativo in essere, che – non dimentichiamolo – ha assicurato la sostenibilità dei conti pubblici nel lungo periodo, concludendo una lunga fase di riforme, bensì correggendo, con tempi e modalità da definire, alcuni limiti e rigidità ancora presenti nel sistema, come bassi trattamenti minimi, eccessiva onerosità delle ricongiunzioni, sovrapposizioni di bilancio tra prestazioni assistenziali e previdenziali.
  Mi sembra utile, a questo punto del nostro discorso, sottolineare due annotazioni a margine. La prima riguarda l'eccessiva rigidità in uscita dal lavoro verso la pensione prevista nel sistema attuale in relazione all'età di pensionamento. Sono conseguenze di quest'eccesso di rigidità: a) la delicata questione degli esodati, che pure è stata affrontata dal Governo e dal Parlamento, investendo ingenti risorse e avendo corrisposto il trattamento previdenziale a un rilevante numero di persone interessate; b) l'altrettanto delicata necessità di ricorrere all'«Opzione donna», che, seppur risponde alla domanda di uscita anticipata, è definita a condizioni onerose per lo Stato e faticose per le interessate.
  È diffusa l'esigenza di affrontare la problematica introducendo forme di flessibilità in uscita, che, peraltro, favorirebbero nel sistema produttivo l'avvio di un mix generazionale. Come ha opportunamente affermato recentemente il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Tommaso Nannicini, il Governo ha allo studio, in previsione della prossima legge di stabilità, l'intera problematica e le valutazioni delle condizioni finanziarie e sociali per poter eventualmente intervenire.
  La seconda annotazione riguarda l'ancora insufficiente diffusione della previdenza complementare. La strada percorsa è importante e ha prodotto risultati validi. Si pensi alla capitalizzazione accumulata. Per favorirne gli investimenti in economia reale, il Governo ha predisposto un importante bonus fiscale. Nondimeno, appare necessario, anche alla luce delle precedenti osservazioni sui trattamenti pensionistici in essere e sul tasso di sostituzione di quelli Pag. 7attesi, rilanciare la previdenza complementare favorendone ulteriormente, anche fiscalmente, le adesioni. Un impegno particolare va sviluppato nel settore del pubblico impiego, che a tutt'oggi risulta il meno coinvolto.
  Tornando, però, e concludendo, al cuore di quest'audizione, è necessario affermare che non possiamo prescindere dalla considerazione che la riforma pensionistica del 2011 ha realizzato il completamento del passaggio al sistema di calcolo contributivo e che, pertanto, l'importo dei trattamenti pensionistici è ormai direttamente dipendente dai contributi versati. L'attenzione va, quindi, allargata alla regolarità e alla quantità dei contributi versati, regolarità e quantità che sono determinate dal mercato del lavoro e dalle necessità individuali e familiari di ciascuno.
  Da questo punto di vista, le differenze di genere nella spesa pensionistica futura saranno sempre più effetto di quanto avviene nella vita lavorativa. Pertanto, a parità di regole per l'accesso alla pensione e per il calcolo della rendita pensionistica, a determinare la differenza nelle retribuzioni pensionistiche sarà il permanere delle differenze retributive e, quindi, contributive tra uomini e donne.
  Come affermato nel corso delle considerazioni che ho fin qui svolto, si intravede la necessità di un assestamento all'interno del sistema previdenziale, ma dobbiamo con molta chiarezza dirci che i problemi delle disuguaglianze di genere, e non solo, insite nel sistema pensionistico possono essere seriamente affrontati e risolti se sapremo intervenire a monte, ovvero sulla condizione lavorativa e nel mercato del lavoro, in particolare rafforzando le azioni necessarie a realizzare la completa uguaglianza di retribuzione e contribuzione tra i sessi, a parità di mansioni e di orario di lavoro, nonché migliorando l'offerta di servizi di prossimità alla famiglia e alle persone, in modo da consentire a entrambi i sessi di partecipare maggiormente ai lavori di cura, alleviando le donne dal peso che ancora grava prevalentemente su di loro e sul loro impegno non adeguatamente riconosciuto.
  Vi ringrazio dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Sottosegretario Baretta.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, ricordando loro che abbiamo ancora mezz'ora a disposizione.

  MARIALUISA GNECCHI. Ringrazio il sottosegretario per tutti i dati forniti, dei quali siamo totalmente consapevoli, che conosciamo e che confermano quanto sosteniamo da anni, anche perché l'ISTAT e l'INPS, ogni anno, pubblicano un focus statistico sulle differenze di genere nelle pensioni. Proprio alla luce di questi dati abbiamo promosso l'indagine sull'impatto di genere delle riforme previdenziali e della «manovra Fornero». È chiaro, quindi, che tutta la prima parte della relazione conferma le motivazioni che ci hanno portato a svolgere quest'indagine.
  Siamo molto contenti del riferimento a futuri interventi, sosterremo e continueremo a ripetere anche al Governo, quindi anche al Ministero dell'economia e delle finanze, che appare evidente la necessità di agire ancora sul fronte previdenziale. Sottolineeremo e continueremo a sottolineare le affermazioni riportate nella sua relazione.
  Peraltro, siamo anche confortati dal Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, riferito al 2015, recentemente pubblicato dalla Corte dei conti – ma non voglio anticipare l'intervento del presidente Damiano – che ci ha dimostrato che tutte le ultime riforme pensionistiche e, in particolare, la «manovra Fornero», hanno portato a risparmi del sistema previdenziale, posti però a copertura del debito pubblico. Ovviamente, quindi, riteniamo che con il decreto-legge n. 201 del 2011 non si sia realizzata una riforma previdenziale, ma una manovra «Salva Italia». Abbiamo salvato l'Italia con risorse del sistema pensionistico, e adesso, quindi, siamo contenti di leggere che appare evidente la necessità di agire sul fronte pensionistico in termini positivi. Di sicuro, il Pag. 8sistema pensionistico a questo punto è in credito per aver salvato l'Italia.
  Sempre della parte finale del suo intervento memorizzeremo che il principale aspetto negativo della «manovra Fornero» è l'eccessiva rigidità in uscita dal lavoro in relazione all'età di pensionamento. Di questo siamo felici e ricordiamo anche il lavoro svolto dal Ministero dell'economia e delle finanze nel luglio 2013 sulle diverse aspettative di vita in relazione alle differenti tipologie di lavoro. Su questo veramente ci aspettavamo, a dire la verità, che il Ministero dell'economia e delle finanze ci aiutasse. Molti colleghi, anche in questa Commissione, sono specificatamente impegnati su tale tema. Vogliamo veramente riuscire a lavorare su questo. Non siamo stati, invece, aiutati dall'INPS sulla valutazione dell'aspettativa di vita di alcune categorie di pensionati e pensionate che vengono da lavori particolarmente faticosi, non necessariamente riconosciuti come lavori usuranti.
  Delle conclusioni del suo intervento non condividiamo, ma speriamo che il Sottosegretario Baretta concordi con noi, sull'avverbio «eventualmente» che accompagna la parola: «intervenire». Per quell'«eventualmente», anche se messo in bocca al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Tommaso Nannicini, ovviamente noi soffriamo.
  Abbiamo reagito d'impulso rispetto alla possibilità di intervenire per parificare i 41 anni di anzianità contributiva richiesti alle donne per accedere alla pensione anticipata ai 42 anni richiesti agli uomini, per risolvere il problema posto dalle istituzioni europee. Su questo abbiamo già fatto una grande discussione nel 2009, quando la Corte era intervenuta con l'intento di favorire maggiori retribuzioni delle donne nel pubblico impiego in modo da avere pensioni di ammontare uguale agli uomini. Il Governo Berlusconi ha scelto, invece, di alzare l'età della pensione di vecchiaia delle donne nel pubblico impiego.
  In Italia, però, già dalla legge n. 903 del 1977 e, in particolare, dall'articolo 30 del decreto legislativo n. 198 del 2006 – vorrei veramente che il sottosegretario l'avesse chiaro – le donne hanno la possibilità di rimanere in servizio fino all'età del pensionamento degli uomini; ribadisco dal 1977, come confermato dall'articolo 30 del decreto legislativo 198 del 2006. Ovviamente, pensiamo che si potrebbe ridurre l'anzianità contributiva degli uomini a 41 anni e 10 mesi e non alzare quella delle donne a 42 e 10 mesi, ma allora, magari, abbassiamo loro di due o tre anni l'età per l'accesso alla pensione di vecchiaia, visto che l'età della pensione di vecchiaia delle donne era inferiore di cinque anni. La Corte di giustizia europea non era intervenuta su questo aspetto. Su questo poniamo veramente un problema reale.
  Quanto all'ultima frase del suo intervento e al fatto di favorire uguaglianza di retribuzione e contribuzione tra i sessi, è esattamente l'aspetto su cui cerchiamo di lavorare. Le pari opportunità partono dalla culla, e non dalle pensioni. Questo è chiaro. Lo prevedeva già esplicitamente l'articolo 1, comma 2, lettera e), della legge n. 125 del 1991, la legge sulle azioni positive per la realizzazione della parità tra uomo e donna nel lavoro, che ha anche previsto, all'articolo 8, la consigliera di parità: la richiamata lettera e) prevedeva pari responsabilità familiari e professionali. Ce l'abbiamo già una legge, la legge n. 125 del 1991: cerchiamo di attuarla.
  Allora, però, magari il Governo, quando propone incentivi per le assunzioni, potrebbe cercare di differenziarli e prevedere un incentivo maggiore per l'assunzione delle donne o, comunque, per altre situazioni di svantaggio. Ci aspettiamo che quest'indagine conoscitiva sull'impatto di genere della normativa previdenziale serva a promuovere misure specifiche a favore delle donne, a favore dell'occupazione femminile e delle retribuzioni delle donne.
  Avevamo sottolineato e continuiamo a dire che la «manovra Fornero» recava un unico comma per un'applicazione graduale della nuova disciplina, il comma 15-bis dell'articolo 24, per l'anno 1952, anno di nascita più penalizzato dalla riforma. Tuttavia, l'aver previsto nella circolare n. 35 del 2012 dell'INPS che si debba essere occupati alla data del 28 dicembre 2011, il Pag. 9giorno di entrata in vigore della manovra «Salva Italia», per potere accedere al pensionamento con requisiti inferiori a quelli introdotti dall'articolo 24 medesimo penalizza proprio le donne, in quanto esse, in generale, hanno perso il lavoro o si sono ritirate dal lavoro negli anni passati, prima della crisi o durante la crisi.
  Siccome ci è stato detto dall'INPS che l'introduzione di tale requisito nella circolare è stata una richiesta del Ministero dell'economia e delle finanze, chiediamo esplicitamente al Ministero di chiedere all'INPS se erano davvero in servizio le 55.000 persone previste dalla relazione tecnica, con 17.400 euro di importo medio di pensione annua. Verifichiamo se i 55.000 soggetti stimati erano davvero in servizio, occupati alla data del 28 dicembre 2011, quando la Ministra Fornero ha proposto quest'unica previsione di gradualità. Non abbiamo capito perché la circolare abbia un contenuto diverso.
  In sostanza, siamo molto soddisfatti dell'idea della redazione di un bilancio di genere. L'abbiamo sempre chiesto, e quindi è chiaro che non aspettiamo altro che venga attuato. L'abbiamo ottenuto per legge, ma, come ci ha detto, l'avevamo già ottenuto per legge e non era stato attuato, quindi, adesso che lo abbiamo ripetuto per legge, vogliamo anche che venga attuato.
  Siamo felici che non ci sia differenza di genere nei coefficienti utilizzati per il calcolo del trattamento pensionistico. Temiamo molto le scelte che potrebbero essere fatte per chiudere la procedura di infrazione n. 4199 del 2013, ma speriamo che se ne possa discutere con il Parlamento.
  Notiamo, però, con sofferenza che non è stato fatto nell'intervento del sottosegretario nessun riferimento alla contribuzione figurativa da riconoscere alle donne rispetto ai lavori di cura e alla maternità. Negli altri Paesi europei queste misure ci sono, in Italia non ce n'era forse bisogno perché erano previsti cinque anni di differenza tra l'età della pensione di vecchiaia delle donne e l'età della pensione di vecchiaia degli uomini, quale intervento risarcitorio per il doppio, triplo, quadruplo, quintuplo lavoro delle donne. Adesso non c'è più tale differenza e vorremmo che, allora, ci allineassimo agli altri Paesi europei sulla contribuzione figurativa. Anche se il punto non è stato trattato nella relazione di oggi, chiediamo che, magari anche in tempi brevi, ci venga data la disponibilità ad un approfondimento su questo tema.
  È chiaro che siamo assolutamente soddisfatti di aver promosso l'indagine. Non siamo soddisfatti del fatto che non siano stati assunti impegni specifichi nel corso di questa audizione, ma li chiediamo comunque, perché siamo assolutamente convinti che, proprio per i dati che anche il Ministero dell'economia e delle finanze riconosce come veri, ci sia bisogno di intervenire in modo sollecito e tempestivo. Le donne in tutta la scorsa legislatura hanno pagato troppo pesantemente le conseguenze della riforma. L'innalzamento dell'età della pensione di vecchiaia nel pubblico impiego ha comportato quattro miliardi di euro di risparmi, e benché la legge prevedesse che venissero reinvestiti in favore delle donne, essi sono spariti.
  La pagina 97 dell'atto Camera n. 4829 della XVI legislatura, che è il decreto-legge «Salva Italia» come è stato presentato alla Camera, ci dimostra che l'innalzamento dell'età della pensione di vecchiaia delle donne, con l'aumento di due anni in una notte, da 60 a 62, per l'accesso al pensionamento di vecchiaia, ha comportato 8,5 miliardi di euro di risparmio. Ci sembra che un intervento a favore delle donne sia non solo auspicabile, ma doveroso.

  TITTI DI SALVO. L'onorevole Gnecchi ha già detto tutto quello che c'era da dire. Faccio semplicemente un'osservazione e una domanda.
  L'osservazione è questa, e mi rivolgo al presidente Damiano. Nella legge finanziaria per il 2008, presentata nel 2007 dal Governo Prodi, era stato previsto lo stanziamento di due milioni di euro per i bilanci di genere. Ovviamente, questa è un'osservazione. Mi conforta sempre di più immaginare che, quando si prevede una posta di bilancio, bisogna esplicitare la destinazione delle risorse se non utilizzate. In quel caso, venne appunto definita tale destinazione Pag. 10 – probabilmente, l'allora Ministro Damiano lo ricorderà – poi, evidentemente, a tale destinazione non è stato dato seguito.
  Una seconda osservazione, sempre brevissima: i dati che lei, sottosegretario, ci ha fornito dimostrano l'utilità delle statistiche di genere, e l'impegno sul bilancio di genere ce lo conferma. Colgo l'occasione per dire che le statistiche di genere e i bilanci di genere sono molto importanti. Penso che dovremmo fare una legge per rendere obbligatorie le statistiche di genere. Lo dico pensando che all'ISTAT è stata recentemente fatta una riforma amministrativa che ha soppresso la direzione affidata a Linda Laura Sabbadini, che è stata una rivoluzionaria da questo punto di vista. È grazie a lei che abbiamo tanti dati su cui possiamo basare le nostre valutazioni.
  Vengo poi a una domanda. A un certo punto, tra le osservazioni fatte dal sottosegretario, si sottolineava che «Opzione donna» è una soluzione molto onerosa per lo Stato e molto faticosa per le donne. La questione è questa: io non penso che sia molto onerosa per lo Stato. C'è un costo che viene, ovviamente, affrontato dallo Stato derivante dall'accesso al pensionamento prima di quanto previsto dalle regole vigenti, ma con una decurtazione della pensione dal 25 al 30 per cento, cosa che fa sì che, nel tempo, questo costo venga recuperato. Non mi ritrovo in quest'affermazione, e quindi vorrei capire bene perché è stata fatta.

  DAVIDE BARUFFI. Mi associo anch'io ai ringraziamenti rivolti al Sottosegretario Baretta per una relazione molto ricca di dati puntuali, di considerazioni, in generale condivisibile, ancorché un po' parca, per la verità, dal punto di vista degli impegni che il Governo intende assumere.
  C'è, però, tra le considerazioni conclusive che il sottosegretario ha fatto una che, se lasciata così o letta letteralmente, non può essere condivisa, laddove si dice che la riforma pensionistica del 2011 ha realizzato il completamento del passaggio al sistema di calcolo contributivo e che, pertanto, l'importo dei trattamenti pensionistici è ormai direttamente dipendente dai contributi versati. L'affermazione è vera in linea teorica, ma non lo è se si considera il fatto che ci stiamo ancora misurando con il problema delle ricongiunzioni onerose.
  Questa Commissione ha ripreso l'esame del testo unificato delle proposte di legge Atto Camera n. 225 e Atto Camera n. 929 sulle ricongiunzioni pensionistiche, su cui ha chiesto al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e all'INPS di riaprire un confronto. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha assunto anche alcuni impegni, ribaditi in Parlamento non più di qualche giorno fa. A me tocca ribadire, ancora una volta, che giacciono nelle casse dell'INPS contributi versati dai lavoratori a cui questi lavoratori non possono accedere, avendo in futuro, pertanto, trattamenti previdenziali che non avranno una diretta corrispondenza con i contributi versati.
  Su questo tema, quella del 2011 non è stata una riforma, perché non ha posto rimedio a questo problema, che si è generato, in particolare, con la legge n. 122 del 2010, che ha provocato difficoltà a tutti, uomini e donne, in particolare alle donne, che hanno più spesso carriere discontinue, e che, quindi, versano, nel corso della propria vita lavorativa, contributi in gestioni diverse.
  Ricollegandomi alla considerazione che faceva anche l'onorevole Di Salvo, se avessimo consentito alle donne di valorizzare i contributi versati, ad esempio, nella gestione separata, anche «Opzione donna» avrebbe dato una performance diversa, dal punto di vista del numero delle adesioni, e, quindi, avremmo risolto molti dei problemi che invece ancora occupano sia il Parlamento sia il Governo.
  Aggiungo solo una considerazione. Diceva prima l'onorevole Di Salvo che, se «Opzione donna» fosse onerosa per lo Stato, significherebbe che qualcosa non funziona. Ripeto che, in via generale, l'affermazione del Sottosegretario potrebbe essere condivisibile, ma non lo è alla prova dei fatti. Auspico che, nell'impegno ad un intervento correttivo, spero non eventuale, che il Governo vorrà assumere già a partire dal Documento di economia e finanza che approverà il prossimo venerdì, ci sia anche Pag. 11quello generale di risolvere alcune di queste criticità. Nel più generale capitolo della flessibilità di accesso al pensionamento, infatti, queste criticità stanno impedendo a molti lavoratori e a molte lavoratrici di andare in pensione, e di andarci valorizzando tutti i contributi che hanno versato.

  ANNA GIACOBBE. Ringrazio il sottosegretario Baretta. Tra le strade per affrontare i problemi che sono stati evidenziati e documentati, si indica anche quella degli interventi sul lavoro, sul mercato del lavoro e sulle condizioni della prestazione lavorativa, esplicitamente prioritaria rispetto a quella del fronte previdenziale, su cui agire – si dice – correggendo limiti e rigidità in tempi e modalità da definire. L'onorevole Baruffi faceva ora riferimento alla necessità che negli impegni del Governo ci sia la scelta di agire, rinviando la definizione di tempi e modalità. Questo costituisce un primo punto importante.
  In secondo luogo, l'eccessiva rigidità in uscita dal lavoro è sottolineata da tempo ed è importante che sia definita come una delle questioni da affrontare. Come sappiamo, gli strumenti per favorire la flessibilità in uscita, in qualche caso, risolvono più i problemi dei maschi, in qualche altro caso, più quelli delle femmine. Quando viene prevista comunque un'età avanzata e un numero di contributi significativo per accedere al pensionamento, molte donne non si trovano nella condizione per accedere a un trattamento previdenziale se non si affronta, appunto, il problema – anche questo veniva già segnalato – del riconoscimento, non solo per l'avvenire, ma anche per il passato, del carico di lavoro di cura. Ci sono cose che è importante garantire per il futuro, ma che è importante anche garantire per il passato.
  Vengo a un'ultima questione. Quando si fa riferimento ai limiti di rigidità ancora presenti nel sistema, si citano anche i bassi trattamenti minimi: una delle ragioni per cui le donne hanno pensioni basse è che il limite minimo di importo pensionistico per potere accedere al pensionamento è basso. Questo limite è, in un numero significativo di casi, raggiunto solo attraverso l'integrazione al trattamento minimo. Credo che sia condivisibile la scelta di collocare tale strumento nell'ambito della previdenza. Bisogna che questo principio venga considerato fondante anche in altri ambiti di discussione, come quello che riguarda il disegno di legge delega in materia di contrasto alla povertà, attualmente all'esame delle Commissioni riunite XI e XII. Al riguardo, considero positivamente quello che è stato affermato in questa sede.

  WALTER RIZZETTO. Sottosegretario, ho letto, e sto rileggendo, con attenzione il testo della sua relazione, e la ringrazio. In realtà, cercherò di essere un po' meno buono rispetto ai colleghi della maggioranza.
  Nella sua relazione non vedo nessun tipo di azione concreta rispetto al tema trattato. È un dipinto, un'istantanea, una fotografia rispetto allo status quo, allo stato dell'arte inerente alle differenze in termini di pensione tra maschi e femmine, ma, di fatto, non vedo nessun tipo di impegno da parte del Governo. Tanto meno, vedo indicazioni da parte del Governo.
  Sottosegretario, lei dice – cito nuovamente quanto ricordato dal collega Baruffi poc'anzi – che la legge di riforma pensionistica del 2011, la «riforma Fornero», «ha realizzato il completamento del passaggio al sistema di calcolo contributivo e che, pertanto, l'importo dei trattamenti pensionistici è ormai direttamente dipendente dai contributi versati»: ciò significa che, allo stato attuale, maschi e femmine andranno in pensione con un sistema totalmente contributivo, per cui, se la pensione sarà più o meno alta, al netto della differenziazione tra maschi e femmine, questo sarà dovuto soltanto alla quantità dei contributi versati.
  C'è, però, presidente, qualcosa da sottolineare, che non leggo nella relazione e che non è stato sottolineato da nessuno: ancora attualmente, a parità di mansione, che siano manageriali o anche di professionalità inferiori, il salario tra maschi e femmine è ancora differente di circa 16 punti percentuali. Se un maschio prende uno stipendio, tanto per essere chiari, di x euro e versa y euro di contributi, e una donna prende uno stipendio di y euro e Pag. 12versa x euro di contributi, è chiaro che la pensione che sarà percepita sarà differente. Attualmente, quindi, si sottolinea che le pensioni sono differenti, ma non che i salari tra maschi e femmine, ancora oggi, sono differenti, anche a parità di mansioni.
  Vorrei capire se, quando lei, sottosegretario, parla – arrivo a un paio di domande che vorrei rivolgerle – anche giustamente, di flessibilità in uscita, il Viceministro dell'economia e delle finanze, Enrico Zanetti, è d'accordo. Mi pare che su questo punto abbiate due posizioni differenti. Forse sarebbe meglio mettersi d'accordo prima. Il Viceministro Zanetti parlava di flessibilità in termini diversi, almeno così mi pare, fino a qualche giorno fa, non so se ha cambiato idea nelle ultime ore. Non avrò sentito le ultime dichiarazioni di Zanetti, ma forse risalgono a 24 ore fa, non di più.
  Vorrei avere una affermazione chiara da parte del Governo rispetto alla flessibilità. Mi pare, invece, che ci sia un tira e molla abbastanza evidente. In questo senso, vorrei fare questa domanda: quando? Subito, con una proposta di legge della Commissione? O una volta per tutte ci dite che la flessibilità sarà trattata soltanto in occasione della prossima legge di stabilità? La prima domanda è: quando?
  La seconda questione riguarda i due punti che ha trattato il sottosegretario: «esodati» e «Opzione donna». Ci sarà, per quanto riguarda gli «esodati», un'ulteriore salvaguardia? Ne sono rimasti fuori un po', da quanto risulta dai conti fatti. Ci sarà o non ci sarà un'ulteriore salvaguardia?
  Più che una domanda, vorrei fare ora una considerazione. Lei dice che «Opzione donna» – ricordiamolo, 2,5 miliardi di euro per circa 36.000 pensionande – è onerosa per lo Stato e faticosa per le interessate. Lasciamo stare il fatto che si tratta di una scelta «faticosa» per le interessate, lasciamo decidere a loro se è faticoso o meno rinunciare al 25-30 per cento dell'assegno pensionistico mensile con un sistema meramente contributivo.
  Quando parla di condizione onerosa per lo Stato – concludo, presidente, sono l'unico dell'opposizione che è intervenuto – è quasi come se ci dicesse che, in modo abbastanza settario, se mi passa il termine, avete fatto un regalo a una determinata categoria di donne di 57-58 anni, indipendentemente dal fatto che siano state dipendenti private o lavoratrici autonome, e a nessun altro. Perché è stata assunta questa decisione onerosa per lo Stato soltanto per questa determinata categoria di lavoratrici e non si ricomincia a parlare, ad esempio, della proroga di «Opzione donna» al 2018, e non si inizia a ipotizzare, quanto meno, di estendere «Opzione donna» anche ai maschi, tanto per essere chiari?
  Se è vero che le donne hanno avuto dei «buchi» contributivi nella loro carriera lavorativa, perché si sono occupate della famiglia, dei figli, dei parenti disabili, fondamentalmente della casa, è anche vero che, ad esempio, i maschi non sposati in teoria avrebbero potuto fare le stesse cose.
  Se un istituto oneroso per lo Stato viene applicato soltanto a una categoria, perché creare «figli di un Dio minore» e non applicare questo sistema a tutte le categorie di lavoratori?
  Direi, sottosegretario, che ci sono domande sufficienti per creare un interessante dibattito.

  CHIARA GRIBAUDO. Anch'io mi unisco ai ringraziamenti per la disponibilità del sottosegretario.
  Riprendo l'ultima parte della sua relazione, dove fa riferimento all'importanza del miglioramento dell'offerta dei servizi di prossimità alla famiglia, segnalando una problematica tutt'oggi aperta rispetto a una norma, io credo decisamente innovativa, che abbiamo introdotto nella legge di stabilità 2016, al comma 283 dell'articolo 1. Con tale disposizione, abbiamo esteso la possibilità di beneficiare dei voucher per l'acquisto di servizi di baby-sitting ovvero per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati alle lavoratrici autonome, in modo particolare alle donne iscritte alla gestione separata INPS, quindi, titolari di partita IVA.
  A oggi, ancora non è stato emanato il decreto interministeriale attuativo di tale disposizione. Anche questo è uno strumento, non solo innovativo e sperimentale, Pag. 13ma anche assolutamente utile a riconoscere anche a quelle lavoratrici un diritto che fino a oggi è stato loro negato. Abbiamo lavorato in questa direzione. La sollecito in questo senso, perché è un provvedimento che si sta aspettando con impazienza. Ogni giorno perso è un giorno in cui un diritto non viene fatto rispettare. La ringrazio.

  PRESIDENTE. L'occasione per me è ghiotta, quindi vorrei non farmela sfuggire.
  Ho notato nel testo della relazione quattro argomenti. Il primo è questo: la questione dell'allineamento a 42 anni e 10 mesi dell'anzianità contributiva per l'accesso al pensionamento anticipato, per le donne e per gli uomini. Noi abbiamo già subito nel passato – lo ricordava l'onorevole Gnecchi – l'allineamento verso l'alto, ai 65 anni di età anagrafica, del requisito di accesso alle pensioni di vecchiaia, prima nel settore pubblico e poi nel settore privato.
  Richiamandomi, onorevole Baretta, alla nostra storia comune, ricordo perfettamente, e lo avevo già raccontato in questa Commissione, in occasione della conclusione tumultuosa del rinnovo del contratto dei metalmeccanici a Mirafiori, nonostante i nostri segretari confederali, Trentin, Carniti e Benvenuto, illustrassero una piattaforma complessa, che prevedeva l'estensione del diritto all'informazione ai metalmeccanici, l'approvazione del contratto si è giocata sull'una tantum, il punto simbolico che faceva la differenza per approvare o bocciare un contratto.
  Non so se esagero – l'onorevole Gnecchi in tal caso mi correggerà – ma in questo momento, nel quale parliamo di disparità uomo-donna, di flessibilità e di anticipo nell'accesso al pensionamento, se il Governo commettesse l'errore di toccare un punto simbolico, e decidesse addirittura l'innalzamento di un anno dell'età pensionabile, quando noi chiediamo l'abbassamento di tale requisito per le donne, sarebbe un graffio simbolico. Penso che non si possa, non si debba fare. Sarebbe un grave errore: di comunicazione, di impostazione, di simbologia, in un momento nel quale stiamo affrontando questo tema delle pensioni. Lo dico perché mi rendo conto che sarebbe gettare un sasso nello stagno, ma un sasso molto grande, assolutamente controproducente.
  In secondo luogo, ho fatto la somma dell'incidenza sul PIL delle percentuali della spesa pensionistica dei settori privato, pubblico e autonomo: 9,2 per cento più 3,6 per cento, più 2,0 per cento dà 14,8 per cento. Inviterei, però, anche il Ministero dell'economia e delle finanze a dire con chiarezza che questa percentuale di incidenza sul PIL comprende, non solo, i trasferimenti assistenziali, ma anche le tasse che si pagano sulle pensioni, a meno che sbagli. Diversamente, rischiamo di essere disomogenei rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea, in quanto, per esempio, la Germania non fa pagare o fa pagare meno tasse di noi sui trattamenti pensionistici. Corriamo il rischio di fare riferimento alla spesa lorda quando, in realtà, dovremmo riferirci alla spesa netta, perché le entrate tributarie vengono restituite allo Stato.
  Pregherei anche di considerare, come ha detto la Corte dei conti, che il nostro sistema – questo ci aiuterà per le riforme – è sostenibile nel lungo periodo, grazie alle riforme che si sono succedute, per prima, la «riforma Dini». Nella riforma che abbiamo fatto insieme io e lei – eravamo su due parti del tavolo, io ministro del lavoro e lei segretario della CISL – ci siamo «inventati» le quote e abbiamo fatto risparmiare, per quindici anni, un punto di prodotto interno lordo all'anno, vale a dire, complessivamente, 225 miliardi di euro, ai quali si sommano quelli della cosiddetta «riforma» Fornero: noi, senza causare «esodati», il Governo dei tecnici causando gli «esodati». Anche dal punto di vista dei dati, quindi, credo che una proiezione di sostenibilità ci potrebbe aiutare.
  Sulla previdenza complementare siamo d'accordo. Io e lei ci siamo battuti per la previdenza complementare. Ricordo, purtroppo, che il Governo ha aumentato la pressione fiscale sulla previdenza complementare. Sono d'accordo se torniamo indietro. Equiparare la previdenza complementare e il risparmio del lavoratore ai fini previdenziali agli investimenti in borsa è stato, secondo me, un errore. Pag. 14
  Il quarto punto è quello relativo alla questione della flessibilità del sistema pensionistico. Al di là delle aggettivazioni, ovviamente puntiamo molto a questa soluzione. Immagino che il Governo la voglia introdurre nella legge di stabilità. È importante, come veniva già ricordato, poiché l'8 aprile prossimo al Consiglio dei ministri sarà discusso il Documento di economia e finanza, che quel documento contenga una frase nella quale si accenni alla disponibilità del Governo a discutere del problema previdenziale. Vorremmo anche che il Governo mettesse in conto, oltre alle sue autonome deliberazioni, la possibilità di un confronto di merito con il Parlamento, dal momento che il Parlamento ha elaborato alcune proposte che lei conosce molto bene.
  L'ultima osservazione è «fuori sacco». Sarebbe molto importante se il Governo considerasse, nell'esigenza di dare qualche modesto segnale immediato di attenzione al tema previdenziale, la correzione della circolare dell'INPS n. 35 del 2012. Tale circolare fissa arbitrariamente il requisito della presenza di un rapporto di lavoro attivo al 28 dicembre 2011. È un arbitrio che blocca persone, e in particolare le donne. Dico che, alle volte, piccoli, modesti segnali possono dare grandi risultati. Si può fare. Bisognerebbe, su questo punto, fare un esame, anche immediato. Non è necessario, secondo me, aspettare la legge di stabilità.
  Ciò detto, cedo la parola al Sottosegretario Baretta per la replica alle domande, che mi pare siano state numerose.

  PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Ringrazio il presidente e gli onorevoli colleghi delle domande.
  Innanzitutto, ho un'osservazione generale di tipo metodologico. Quest'audizione avviene all'interno di un'indagine conoscitiva. Questo concede al Governo anche la chance di limitarsi a esplicitare le sue posizioni, senza arrivare a tutti i punti politici che, invece, nel corso di un dibattito sono necessari.
  Rispondo sulla base dell'ordine delle domande, per comodità reciproca. Quanto all'«eventualmente» che l'onorevole Gnecchi ha rilevato – la sua osservazione riassume anche osservazioni di altri deputati – voglio essere molto chiaro su questo punto. Il concetto dell'«eventualmente» è legato a due aspetti specifici, che è necessario approfondire.
  Il primo attiene all'impatto finanziario del problema. Sappiamo che sulla questione delle conseguenze sui conti pubblici dell'eventuale introduzione della flessibilità in uscita c'è un panorama di opinioni troppo ampio, che si deve cominciare a delineare ai fini di una chiarezza sulle quantificazioni che trovi la maggiore intesa possibile tra i vari soggetti. La misura dell'impatto finanziario non è secondaria, è decisiva ai fini del fatto che l'«eventualmente» diventi un impegno concreto.
  Come sapete bene, infatti, l'impatto finanziario è duplice. C'è un impatto attuariale di lungo periodo e ce n'è uno a breve termine, derivante dall'anticipo dell'accesso al pensionamento. Sono due tipologie di effetti, che possono anche essere tenute distinte, ma che entrambe hanno bisogno di una risposta. Quella che il Governo in questo momento sta dando è una risposta che esclude oneri per la finanza pubblica. Il concetto di «senza oneri» è chiaro dal punto di vista del risultato, ma ha margini di discussione dal punto di vista della sua realizzazione: «senza oneri» può voler dire senza nessun costo aggiuntivo, ovvero con compensazioni interne tra costi e risparmi e così via. Non c'è dubbio, però, che, mentre, dal punto di vista attuariale, ma anche, direi forse, addirittura dal punto di vista congiunturale, l'impatto dell'anticipo del pensionamento è più complicato da calcolare, l'impatto immediato, in termini di finanza pubblica, è una questione di cassa.
  La seconda ragione, però – voglio essere chiarissimo su questo punto, se è possibile – su cui si basa l'«eventualmente» è tutta politica. Il dibattito l'ha affrontata nel momento in cui si è discusso dell'approccio del Governo su alcuni aspetti, compresa la valutazione dell'impatto delle riforme pensionistiche. La valutazione del Governo è che non c'è bisogno di nuove riforme e che Pag. 15la attuale disciplina consente un equilibrio complessivo dei conti pubblici, che non può essere messo in discussione nei suoi aspetti strutturali.
  Se la flessibilità in uscita è, all'interno dell'impianto della legislazione attuale, una soluzione che consente a lavoratrici e lavoratori di accedere alla pensione in modo meno gravoso di quello attuale, alle condizioni finanziarie suddette, è un discorso; se la flessibilità in uscita è la riduzione del requisito anagrafico previsto dall'attuale sistema, è un'altra questione. Non so se è chiaro.
  Vale a dire, «io posso andare in pensione prima dell'età richiesta», che è diverso dal ridurre l'età pensionabile.
  Ad ogni modo, sto semplicemente rispondendo a una domanda, per chiarire le ragioni sulle quali si basa un «eventualmente», perché, se nel dibattito politico prevalesse la tesi che stiamo andando verso una riduzione dell'età pensionabile, e non verso un'uscita anticipata, indipendentemente dalle conseguenze finanziarie, è chiaro che l'«eventualmente», non solo, si rafforzerebbe, ma si trasformerebbe in una vera e propria impossibilità.
  Siccome l'intenzione del Governo è di provare ad affrontare il tema, così come è stato sostenuto da me – e non a caso ho voluto ricordare le affermazioni del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Nannicini – per provarci ci sono due condizioni che, attualmente, rendono ancora «eventuale» la possibilità di farcela.
  Questo è un punto di chiarezza, sul quale si può essere d'accordo o meno, ma che è la ragione per la quale noi sosteniamo questa possibilità, all'interno di questa impostazione di fondo, che mi sembra accettabile ai fini del dibattito, indipendentemente dalle posizioni politiche.
  Quindi, non parliamo della riforma della «riforma Fornero». Parliamo, eventualmente, di aggiustamenti, di correttivi. Non è una questione lessicale; è una questione di approccio e di impostazione da dare alla discussione.
  Non a caso, ciò mi porta ad affermare che, anche quando abbiamo affrontato altre questioni, ci siamo mossi all'interno di questo impianto.
  Per esempio, ho citato esplicitamente la questione della onerosità delle ricongiunzioni. Ricordo che cosa ho sostenuto in un mio intervento alla Camera. Ho detto, cioè, una cosa, che può essere interpretata come la riforma o come, invece, un giusto riequilibrio di una condizione, che oggi causa uno squilibrio, in questo caso, tra uomini e donne.
  Ho fatto riferimento anche alle pensioni basse, cioè, tra gli esempi di quello che c'è ancora da fare, ho citato cose non secondarie, ma che non mettono in discussione, o che possono non mettere in discussione, l'impianto strutturale su cui si regge il sistema pensionistico italiano, che oggi è costituito dal calcolo dell'età pensionabile collegato all'attesa di vita.
  Stabilito questo, si vanno a considerare le situazioni di stortura il cui aggiustamento è necessario, dal punto di vista sia dell'equità sia della sostenibilità.
  L'onorevole Di Salvo pone l'attenzione sul tema del bilancio di genere. Sono d'accordo e, tra l'altro, nella mia introduzione ho ricordato che ero io il relatore in occasione della prima introduzione del bilancio di genere, che poi non è stato applicato.
  Perché ho detto che l'«Opzione donna» è costosa? Perché tutto ciò che si discosta dai tendenziali di calcolo degli effetti derivati dalla «riforma Fornero» è, oggettivamente, per lo Stato un costo. La misura può essere opinabile, ma questo è il dato obiettivo che il Ministero dell'economia e delle finanze ha il dovere di ricordare.
  Non a caso, però, ho affrontato l'argomento a ridosso della riflessione sulla flessibilità in uscita. Se mi è consentito restituire la cortesia al presidente Damiano, se io prendessi in considerazione la sua proposta di legge – non voglio citare gli altri firmatari per ragioni di ufficio – potrei dire che forse in alcune situazioni è più vantaggiosa dell'«Opzione donna».
  Quindi, il mio non è un giudizio critico sull'operazione «Opzione donna», che, peraltro, il Governo ha prorogato recentemente, ma è una riflessione complessiva sull'intera materia. In questo senso, alla Pag. 16domanda se ci sarà o non ci sarà la «ottava salvaguardia», rispondo esplicitamente e con la stessa chiarezza: è evidente che dipende da questa discussione, è evidente cioè che noi abbiamo un numero – ormai limitato fortunatamente – di «esodati» che hanno bisogno di una risposta.
  Questa risposta, però, non è isolabile dalla discussione complessiva che stiamo facendo, tant'è che lo scorso anno, appena il Governo, prima della presentazione del disegno di legge di stabilità, fece presente che non era in condizione di affrontare l'intera materia pensionistica, ci occupammo del tema specifico della salvaguardia, e ricordo che vennero in audizione presso le Commissioni riunite Bilancio e Lavoro di Camera e Senato i Ministri Padoan e Poletti.
  Se la domanda è se lasciamo a piedi 24 mila persone, la risposta esplicita è «no». Non le lasciamo a piedi perché abbiamo continuato ad affrontare questo problema. Ricordo che siamo arrivati a salvaguardare più di 170 mila persone e, peraltro, a proposito di onerosità, impiegando una cifra superiore ai 10 miliardi di euro. Quindi, la volontà del Governo è esplicita.
  Tuttavia, è chiaro che sarebbe bene che tale problema non fosse disgiunto dal quadro complessivo che abbiamo di fronte. Queste mi sembrano sostanzialmente le questioni più rilevanti.
  Un altro aspetto è stato sollevato dall'onorevole Baruffi. Io ho citato appositamente l'onerosità delle ricongiunzioni. Insisto, però, nel dire che non considero un intervento al riguardo una riforma, ma lo ritengo – esprimo una mia opinione – un assestamento di un'ingiustizia, di un errore, che è venuto maturando in precise situazioni, anche di finanza pubblica.
  Siamo a conoscenza della delicatezza della questione, in quanto l'onerosità, in questo caso, non riguarda solo il singolo, ma anche lo Stato. Sicuramente è una stortura del sistema, soprattutto in un mercato del lavoro che oggi presenta determinate caratteristiche.
  Non a caso, onorevole Rizzetto, ho citato esplicitamente la parità di salario come uno dei problemi, perché, effettivamente, stiamo affrontando un tema che ha bisogno di essere risolto a causa di alcune storture, ma le cui conseguenze di medio periodo sono legate sicuramente alle distorsioni a monte, che sono quelle del mercato del lavoro e del trattamento differente tra uomo e donna nel mondo del lavoro.
  Prendo buona nota delle osservazioni del presidente Damiano, non di quella sull'allineamento delle età di accesso alla pensione anticipata, ma di quella sul calcolo delle tasse e di quella sulla correzione della circolare INPS n. 35 del 2012, che, tra l'altro, va oltre le mie competenze.
  Per quanto riguarda la possibilità, visto che questa è un'indagine conoscitiva, di continuare ad approfondire alcuni aspetti anche con il Ministero dell'economia e delle finanze, do la mia totale disponibilità.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il sottosegretario per un'audizione che mi pare sia stata esaustiva.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 15.20, riprende alle 15.25.

Audizione della sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Franca Biondelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impatto in termini di genere della normativa previdenziale e sulle disparità esistenti in materia di trattamenti pensionistici tra uomini e donne, l'audizione della sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali, onorevole Franca Biondelli, che ringrazio per la sua partecipazione.
  La sottosegretaria Biondelli è accompagnata dal dottor Stefano Listanti della Direzione generale per le politiche previdenziali e assicurative del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  Ricordo che la Commissione ha a disposizione per l'audizione circa cinquanta minuti e, dopo l'intervento della sottosegretaria, ci sarà tempo per i quesiti dei componenti della Commissione e per la Pag. 17conseguente replica dell'onorevole Biondelli.
  Cedo quindi la parola alla Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Franca Biondelli.

  FRANCA BIONDELLI, sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali. La ringrazio, presidente, e ringrazio tutta la Commissione. Questa è un'opportunità per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di fornire il proprio contributo su alcune tematiche molto importanti, che meritano approfondimento.
  È nota alla Commissione, anche grazie ai dati che ha fornito l'INPS, la differenza di trattamento pensionistico delle donne rispetto a quello degli uomini, il quale è mediamente più alto del 40 per cento.
  Detta disparità di genere è determinata da due fattori fondamentali: le condizioni economiche e normative concernenti il mercato del lavoro, i livelli retributivi e il tasso d'occupazione, e la normativa pensionistica.
  Per quanto riguarda il mercato del lavoro, bisogna prendere atto che, nonostante il divieto, stabilito nel nostro ordinamento, di discriminazione fra donne e uomini nelle condizioni economiche e normative, in Italia l'occupazione femminile è al di sotto della media europea e si registrano divari retributivi tra uomini e donne, che, anche negli ultimi anni, non hanno evidenziato una tendenza alla riduzione.
  Le donne infatti sono sottorappresentate nelle professionalità più retribuite e più continuative e ricoprono posizioni di lavoro che, frequentemente, sono riconducibili anche a forme di lavoro precario; spesso hanno rapporti di lavoro part-time, necessitati anche dalle indifferibili esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Questa situazione determina un tasso di sottoccupazione femminile significativo e, di conseguenza, aumenta rispetto agli uomini il rischio di povertà e di esclusione sociale.
  Per quanto riguarda l'aspetto pensionistico, l'elemento di differenziazione più marcato riguarda le regole di accesso al trattamento, che nel corso degli anni, di fatto, hanno avvantaggiato più gli uomini delle donne.
  Una rilevante componente della disparità nei trattamenti è stata determinata dalle pensioni di anzianità, che hanno storicamente avvantaggiato gli uomini, che, generalmente, hanno carriere contributive più continuative e, quindi, maggiore anzianità contributiva rispetto alle donne, che invece, con carriere spesso discontinue e frammentarie, hanno conseguito meno pensioni e con importi più bassi, usufruendo, al contempo, di trattamenti di reversibilità, pari circa all'88 per cento del complesso di tale tipologia di pensione, e di trattamenti assistenziali in misura maggiore degli uomini.
  Un ulteriore elemento di valutazione è costituito oggi dall'irrigidimento nell'accesso al pensionamento, introdotto dal decreto-legge n. 201 del 2011, il cosiddetto «Salva Italia», che ha penalizzato le donne, allontanandone la prospettiva di accedere al pensionamento. Nell'intento di armonizzare i requisiti anagrafici per il conseguimento della pensione di vecchiaia, il decreto «Salva Italia» prevede anche, nel 2018, l'allineamento a 66 anni e 7 mesi dell'età pensionabile, che era diversificata tra uomini e donne.
  Vorrei, tuttavia, segnalare i requisiti di accesso differenziati previsti a tutt'oggi in relazione ai seguenti casi: il caso dei lavoratori non vedenti o con invalidità non inferiore all'80 per cento, per cui la normativa che ne disciplina i benefici, il Regio decreto n. 636 del 1939, avendo carattere eccezionale, non è stata modificata dalle varie leggi di riforma succedutesi nel tempo; pertanto l'età pensionabile per tale categoria di lavoratori risulta fissata a 55 anni per gli uomini, 50 per le donne – 5 anni in più per i lavoratori autonomi –, fermi restando l'applicazione dell'adeguamento alla speranza di vita e il differimento di un anno per la decorrenza della prestazione per effetto delle cosiddette «finestre mobili»; per talune categorie di lavoratori dello spettacolo e per gli sportivi professionisti, tutti iscritti a fondi ex ENPALS gestiti dall'INPS, per i quali, nell'ambito dell'intervento di armonizzazione Pag. 18a più ampio respiro effettuato con il decreto del Presidente della Repubblica n. 157 del 2013, è stata prevista la parificazione dei differenti requisiti di accesso alla pensione entro il 2022.
  Tuttavia, ricordo ancora che il decreto «Salva Italia» ha introdotto disposizioni che prevedono la differenziazione nei requisiti di accesso tra uomini e donne per il conseguimento della cosiddetta pensione anticipata, calcolata esclusivamente sulla base dell'anzianità contributiva.
  Per la maturazione del requisito pensionistico, infatti, si richiede alle donne un anno di contribuzione in meno degli uomini, quindi, ad esempio, nel 2016 sono richiesti 42 anni e 10 mesi di contribuzione, per gli uomini, e 41 anni e 10 mesi, per le donne, successivamente adeguati nel tempo in base all'incremento della speranza di vita.
  Va segnalato al riguardo, tuttavia, che la disposizione in esame è oggetto di specifica procedura di infrazione in sede europea per la introdotta disparità di trattamento tra uomo e donna. Allo stato attuale, il Governo italiano ha richiesto comunque una riconsiderazione delle conclusioni formulate dalla Commissione europea, in quanto la modifica dell'attuale quadro normativo nel senso auspicato dalla Commissione si ripercuoterebbe sulle condizioni dell'equilibrio finanziario esistente; pertanto la questione è oggetto di un'attenta analisi e di un'attenta riflessione, proprio per l'estrema delicatezza.
  Alcune misure sono state adottate dal Governo nell'ambito del mercato del lavoro per compensare le differenze di genere esistenti in ambito pensionistico. In attuazione del Jobs Act, con il decreto legislativo n. 80 del 2015, sono state adottate alcune misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, che incidono positivamente sulla carriera lavorativa delle donne. Alcune di esse modificano il decreto legislativo n. 151 del 2001, il cosiddetto Testo unico sulla maternità e paternità, ampliando la portata delle sue disposizioni.
  In particolare, la possibilità di fruire del congedo parentale su base oraria, introdotta dalla legge n. 228 del 2012, è stata resa effettiva anche in mancanza di apposita regolamentazione da parte della contrattazione collettiva. Il decreto legislativo n. 80 ha introdotto la modalità oraria di fruizione in assenza di apposita disciplina nel contratto collettivo, anche di livello aziendale.
  La disposizione ha permesso di superare le difficoltà dovute al fatto che, fino al primo semestre 2014, ben pochi contratti collettivi avevano provveduto a regolamentare il congedo orario, con gravi ripercussioni sulla gestione della vita lavorativa e familiare di tanti lavoratori. Si evidenzia, infatti, che la disposizione è volta a incoraggiare l'utilizzo del congedo parentale da parte dei papà.
  Altra modifica introdotta dal decreto legislativo n. 80 del 2015 è quella che contempla, in caso di adozione nazionale o internazionale, per le lavoratrici iscritte alla gestione separata INPS il diritto a un'indennità per i cinque mesi (non più soltanto tre) successivi all'effettivo ingresso del minore in famiglia, in analogia a quanto previsto per le lavoratrici subordinate. La novella legislativa è stata attuata con il decreto ministeriale 24 febbraio 2016.
  Un'ulteriore misura volta a migliorare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è quella introdotta dal decreto legislativo n. 81 del 2015, che ha previsto la possibilità per il lavoratore di chiedere per una sola volta, in luogo del congedo parentale o entro i limiti del congedo ancora spettante, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale per il periodo corrispondente, purché con una riduzione di orario che non superi il 50 per cento.
  Ricordo ancora l'innovativo istituto della cessione dei riposi e delle ferie, introdotto nel nostro ordinamento sulla scorta di un analogo provvedimento francese. L'articolo 24 del decreto legislativo n. 151 del 2015 prevede la possibilità per il lavoratore di cedere a titolo gratuito ai colleghi i riposi e le ferie maturati, al fine di assistere figli minori che, per particolari condizioni di salute, hanno bisogno di assistenza Pag. 19 e di cure costanti da parte dei genitori.
  Ancora, la legge di stabilità 2016 eleva da uno a due giorni la durata del congedo di paternità obbligatorio per il padre lavoratore dipendente. La medesima legge estende in via sperimentale per il 2016 alle madri lavoratrici autonome o imprenditrici la possibilità, già prevista per la madre lavoratrice dipendente, di richiedere, in sostituzione anche parziale del congedo parentale, un contributo economico da impiegare per il servizio di babysitting o per servizi per l'infanzia erogati da soggetti pubblici o da soggetti privati accreditati.
  Il Governo, ritenendo che vadano comunque incoraggiate e sostenute tutte le azioni che si muovono nella direzione del potenziamento delle forme di welfare aziendale, ha introdotto con la legge di stabilità 2016 specifiche agevolazioni fiscali per le aziende che concedono servizi e prestazioni di welfare aziendale ai dipendenti (asili nido, buoni pasto, assistenza integrativa).
  Un altro importante intervento adottato dal Governo in tale ambito è rappresentato dal disegno di legge sul lavoro autonomo, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso mese di gennaio, che introduce misure in favore delle donne. In particolare, si prevedono tutele per le lavoratrici autonome, che, di fatto, permettono di continuare a prestare l'attività lavorativa durante il periodo di maternità.
  Ciò agisce su un elemento fondamentale della disparità di genere, cioè la frammentarietà delle carriere delle lavoratrici, che in tal modo possono lavorare durante la maternità.
  Voglio inoltre ricordare che tale disegno di legge promuove anche il lavoro agile quale modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, allo scopo di agevolare sempre la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
  Una soluzione adottata dal Governo in materia pensionistica è la possibilità per le donne, una volta consolidata una certa anzianità contributiva, di anticipare l'uscita dal mondo del lavoro di diversi anni rispetto alle regole ordinarie per il pensionamento, previa opzione per il calcolo dell'assegno pensionistico interamente con il metodo contributivo.
  Questa possibilità, la cosiddetta «Opzione donna», prorogata dalla legge di stabilità 2016, è riservata alle donne che hanno maturato entro il 31 dicembre 2015 il requisito congiunto di 35 anni di contribuzione e dei 57 anni e 7 mesi di età – 58 anni e 7 mesi di età per le lavoratrici autonome – ferma restando l'applicazione della finestra mobile, di 12 mesi per le lavoratrici dipendenti e di 18 mesi per quelle autonome.
  Da ultimo, voglio ricordare l'incisiva funzione di promozione e controllo dell'attuazione dei principi di uguaglianza, di pari opportunità e di non discriminazione tra donne e uomini nelle condizioni di lavoro in tutto il loro evolversi, ivi inclusi gli aspetti retributivi, svolta dalle consigliere e dai consiglieri di parità, istituto di matrice europea che, con il decreto legislativo n. 81 del 2015, è stato comunque potenziato e reso più efficiente.
  In conclusione, gli interventi per contrastare il divario di genere possono svilupparsi sulle seguenti direttrici fondamentali: interventi organici e incisivi di stimolo del mercato del lavoro, in termini di incentivazione della partecipazione femminile e di adozione di concorrenti ed efficaci azioni di sostegno nei confronti delle donne lavoratrici (asili nido, assistenza domiciliare per anziani e disabili); interventi sulle pensioni, che consentano una flessibilità nell'accesso al pensionamento, a fronte di una riduzione dell'importo pensionistico, una volta consolidata una certa anzianità contributiva (si pensi, ad esempio, all'«Opzione donna»), l'introduzione di una maggiore flessibilità in un'ottica di genere, che dovrebbe privilegiare requisiti di natura anagrafica e non contributiva, fermo restando un valore soglia del trattamento pensionistico per poter assicurare importi comunque dignitosi; interventi per favorire la ricongiunzione dei periodi contributivi, in quanto per le donne, che hanno carriere lavorative maggiormente frammentate, è molto più frequente l'esigenza di ricorrere Pag. 20all'istituto della ricongiunzione dei contributi pensionistici.
  Si ricorda che la ricongiunzione è l'unificazione, presso un'unica gestione previdenziale, dei diversi periodi di assicurazione maturati dal lavoratore presso casse o gestioni differenti. Lo scopo è quello di ottenere un'unica pensione, calcolata su tutti i contributi versati; la ricongiunzione può essere chiesta dai lavoratori dipendenti, pubblici e privati, e dai lavoratori autonomi che hanno contributi in diversi settori di attività, o dai loro superstiti.
  È stato più volte richiesto al Governo di considerare la possibilità di modificare l'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte in cui ha reso oneroso l'istituto della ricongiunzione, modificando la previgente disciplina che sanciva il generale principio della gratuità.
  Su questo tema comunque il Governo e il Parlamento, già in vista della legge di stabilità per il 2016, si erano confrontati al fine di trovare una soluzione. È intenzione del Governo riprendere il confronto con il Parlamento per riproporlo nella prossima legge di stabilità (so che è stato richiesto un intervento anche prima dalla legge di stabilità), nella convinzione di risolvere questo problema.
  Si potrebbe prendere in considerazione, comunque, un intervento per il riconoscimento della contribuzione figurativa per i periodi di congedo parentale e per i periodi in cui le donne e gli uomini si dedicano al lavoro di cura e di assistenza di familiari disabili gravi, al fine di ridurre il divario esistente tra i trattamenti pensionistici. Credo che anche nel lavoro di cura dei disabili le donne siano in prima linea.
  Concludo dicendo che, sicuramente, dal decreto-legge n. 201 del 2011 sono emerse tante criticità, che voi avete anche più volte sottolineato. Ne sono esempio le lavoratrici nate nell'anno 1952, laddove, a fronte di una differenza di età di pensionamento di vecchiaia di 4 anni, la differenza di età anagrafica è di 5 mesi; quindi, una donna nata nel 1952 può avere una differenza di età di pensionamento di vecchiaia di 4 anni a fronte di una differenza di età anagrafica di 5 mesi.
  Si tratta quindi di una criticità molto forte, che, non solo come rappresentante del Governo, ma anche come donna prendo in considerazione. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Biondelli. Lascio quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIALUISA GNECCHI. Grazie presidente. Ringraziamo la Sottosegretaria Biondelli per l'attenzione riservata alle nate nel 1952, contiamo veramente che si possa correggere la circolare dell'INPS n. 35 del 2012 che, in applicazione del comma 15-bis dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, prevede l'obbligo del possesso del requisito di essere occupati alla data del 28 dicembre 2011, che vale per le donne nate nel 1952 e anche per gli uomini che avrebbero raggiunto la «quota 96» nel 2012.
  Ringraziamo anche per l'impegno rispetto alla tematica contribuzione figurativa per i periodi di congedo o, comunque, di lavoro di cura, perché è evidente che, se è stata innalzata l'età della pensione di vecchiaia delle donne, sopprimendo la differenza di cinque anni tra l'età pensionabile di uomini e donne, l'unico «risarcimento» esistente nell'ordinamento, adesso almeno dovrebbero essere riconosciuti realmente i periodi di astensione dal lavoro per i lavori di cura familiare. Anche su questo valutiamo positivamente l'attenzione dimostrata, così come sui ricongiungimenti dei periodi contributivi.
  Chiediamo scusa ma, rispetto a «Opzione donna», siccome quanto detto in queste audizioni resta agli atti della Camera, è necessario ricordare che questa è riservata alle donne che hanno maturato entro il 31 dicembre 2015 il requisito congiunto di 35 anni di contribuzione e 57 anni e 3 mesi, – e non 7 mesi, come per un lapsus lei ha detto – perché i 4 mesi in più sono richiesti a decorrere dal 1° gennaio 2016. Quindi, 57 anni e 3 mesi e 58 anni e 3 mesi, da cui tutta la discussione sulle nate nell'ultimo trimestre dell'anno, altrimenti Pag. 21sarebbero state escluse da «Opzione donna» tutte le lavoratrici nate nell'ultima metà dell'anno 1952. Quindi è una correzione importante da fare per non gettare scompiglio e preoccupazione tra le donne aspiranti a «Opzione donna».
  Teniamo a sottolineare con riferimento alla procedura d'infrazione n. 4199 del 2013 che, qualora la Commissione europea richiedesse una parificazione del requisito contributivo di uomini e donne necessario per il pensionamento anticipato – è vero che la «manovra Fornero» è stata la prima manovra che ha differenziato i requisiti (c'era una differenza nell'età, che non è mai stata contestata, e non c'era mai stata una differenza nell'anzianità contributiva) –, ci auguriamo che l'allineamento avvenga ai 41 anni e 10 mesi abbassando il requisito di anzianità contributiva attualmente richiesto agli uomini.
  Auspichiamo soprattutto che non si peggiori la situazione per le donne senza aver fatto le altre cose che la Sottosegretaria Biondelli ci ha detto, cioè il riconoscimento della contribuzione figurativa o un'altra soluzione relativamente ai periodi di cura familiare, perché altrimenti siamo in una situazione analoga a quella della scorsa legislatura, che è stata contro le donne. Inoltre, dobbiamo dare attuazione alle cose che riusciamo ad ottenere.
  Come la collega Gribaudo prima ha ricordato al Sottosegretario Baretta, infatti, con la legge di stabilità 2016 abbiamo conquistato due milioni di euro per i baby voucher per le lavoratrici autonome ma il comma 283 dell'articolo 1 di tale legge prevedeva un decreto interministeriale di attuazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'economia e delle finanze. I 60 giorni di tempo per l'emanazione sono scaduti il 28 febbraio, siamo ai primi di aprile e ancora il decreto non c'è. Quindi è ovvio che bisogna riuscire a dare attuazione alle cose positive che si riescono ad avere. Pertanto, altre cose peggiorative nei confronti delle donne non ci potranno mai vedere disponibili, anzi ci vedranno fortemente mobilitati e attivati contro qualunque peggioramento. Noi siamo solo ed esclusivamente in attesa di miglioramenti.
  Rispetto alla procedura d'infrazione n. 4199 del 2013, ricordo che, non solo la legge n. 903 del 1977, ma anche l'articolo 30 del decreto legislativo n. 198 del 2006 già riconoscevano alle donne la possibilità di andare in pensione di vecchiaia con l'età pensionabile degli uomini. Quindi ci sono situazioni che già riconoscono alle donne la possibilità di scegliere. Di sicuro non si possono accettare modifiche peggiorative sul requisito dell'anzianità contributiva.

  MATTEO DALL'OSSO. Intervengo solo per segnalare un punto: trovo davvero squalificante che a parlare di diritti delle donne debbano essere le donne, mentre devono essere gli uomini in prima persona a portarli avanti e per questo, Sottosegretaria Biondelli, le chiedo di portare avanti le istanze dell'onorevole Gnecchi perché così deve essere. Faccio veramente fatica a pensare in maniera diversa, grazie.

  GIORGIO PICCOLO. Ringrazio la Sottosegretaria Biondelli e vorrei fare solo un'osservazione. Ho partecipato alle due audizioni e, come dicevo all'onorevole Gnecchi, non ho avuto risposta nella prima audizione e invece in questa ho ottenuto delle risposte rispetto alla contribuzione figurativa e ai congedi parentali. Infatti, da quanto emerso nella prima audizione sembrava che il problema pensionistico fosse risolto con la «riforma Fornero», perché con la parità di accesso alla pensione non ci dovrebbe essere questa disparità, mentre la disparità sta a monte e deriva dalla situazione del mercato del lavoro e dalla disoccupazione femminile, non tanto dalla disparità di mansioni, che non dovrebbe esistere per legge, quanto dalla disparità di carriera e di promozione, di tempi di lavoro.
  In questa audizione, rispetto al Jobs Act, ai congedi parentali e alla possibilità di contributi figurativi, lei ha dato risposte, perché è chiaro che servono risposte diverse rispetto a situazioni che non sono omogenee.
  Vista la disparità nel mercato del lavoro anche rispetto alla disoccupazione, sono Pag. 22condotte anche indagini statistiche per aree geografiche? Sono convinto che, anche rispetto alla disparità di genere, nel Mezzogiorno il problema sia sicuramente aggravato, quindi, visto che siamo intervenuti per eliminare gli incentivi strutturali, come potremo garantire questa parità di genere anche nel Mezzogiorno?

  DAVIDE TRIPIEDI. Accolgo l'invito dell'onorevole Dall'Osso e anch'io vorrei fare un po' di pressione per quanto riguarda il problema delle donne. Sappiamo che sono state martoriate dalla «riforma Fornero», ma non dobbiamo dimenticare che anche il mondo del lavoro è stato preso di mira dalla riforma, perché non c'è una vera differenziazione tra lavori.
  Si è fatta una norma che va a colpire tutti indistintamente, a parte le poche categorie dei lavori usuranti, quindi chiediamo anche un impegno in più al Governo: ampliare le categorie di addetti ad attività usuranti perché bisogna fare una differenziazione tra i lavori: un muratore non può lavorare fino a 70 anni in cantiere, un camionista non può lavorare fino a 70 anni su un camion. Bisogna differenziare i requisiti di pensionamento, perché, altrimenti, mettiamo veramente in difficoltà persone già martoriate, non solo le donne, anche se magari le donne ancora di più. Quindi cerchiamo di tenere conto delle differenze tra lavori, perché i lavori non sono tutti uguali.

  TITTI DI SALVO. Un'annotazione brevissima alla Sottosegretaria Biondelli, che ringraziamo per le cose già dette dai miei colleghi e dalle mie colleghe: nell'elenco delle cose fatte dalla legge di stabilità 2016 per ridurre il divario di genere, quindi per consentire che l'impatto sulla prestazione previdenziale sia diverso, manca la menzione del riconoscimento del periodo di astensione obbligatoria di maternità ai fini dell'erogazione del premio di produttività aziendale.
  Naturalmente, questo fa differenza, perché vuol dire che, in assenza di tale norma, per quell'anno, l'importo del reddito annuale di quella donna sarebbe inferiore di importi che, per esempio, nel welfare aziendale arrivano fino a 2.000 euro, con la conseguente riduzione anche della contribuzione per il medesimo anno.
  Penso quindi che andrebbe segnalato il fatto che è stato introdotto dalla legge di stabilità 2016 il vincolo per le imprese di considerare l'astensione obbligatoria del periodo di maternità utile ai fini dell'erogazione del premio di produttività. Essendo il premio di produttività legato alla presenza al lavoro, è evidente che considerare o meno i cinque mesi di astensione obbligatoria come presenza al lavoro significa consentire che il premio di produttività venga erogato o negato: prima era negato e ora, grazie alla legge di stabilità, è erogato.
  Ci sono state importanti aziende, come la FIAT, in cui si sono consumate molte discussioni su questo.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, come ho fatto in precedenza – poiché lei e l'onorevole Baretta siete, ovviamente, sottosegretari di due Ministeri diversi, se ascoltano i due ministri è meglio – vorrei intervenire su un punto.
  Intanto la ringrazio perché ha ripreso nella sua relazione il tema della circolare dell'INPS n. 35 del 2012, in quanto un piccolo segno di correzione di una palese ingiustizia ci farebbe bene. Non è una cosa eclatante, il decreto-legge n. 201 del 2011 già recava le previsioni necessarie e si tratta solo di correggere una circolare.
  Volevo invece, come hanno fatto già le mie colleghe e i miei colleghi, soffermarmi sul punto, che comincia a preoccuparmi molto, delle differenti anzianità contributive per l'accesso alla pensione anticipata, pari a 41 anni e 10 mesi per le donne e a 42 anni e 10 mesi per gli uomini. Mi sto riferendo, cioè, alla procedura di infrazione n. 4199 del 2013. So che la tendenza di qualsiasi Governo, dovendo portare tutti allo stesso livello e dovendo scegliere tra i requisiti di 41 anni e 42 anni di anzianità contributiva, è di allineare tutti a 42 anni. È un istinto naturale, anche perché farebbe risparmiare soldi, mentre il contrario comporta dei costi, però io, onorevole Biondelli, vorrei fare un ragionamento: lei immagina cosa significherebbe per il Governo e per i Pag. 23cittadini una scelta che, pur motivata dalla necessità di intervenire a seguito di una procedura di infrazione, elevasse addirittura di un anno il requisito richiesto alle donne per andare in pensione?
  Non solo c'è questa indagine conoscitiva, ma c'è un dibattito nel Paese che evidenzia la questione di genere e le iniquità di cui soffrono le donne. Quindi ricalcheremmo la cattiva esperienza del 2009, quando è stato aumentato il requisito anagrafico da 60 anni a 65 anni in un solo colpo, con la conseguente decisione del Governo che ha reso onerose le ricongiunzioni per evitare la fuga dall'INPDAP delle donne del pubblico impiego, con una catena di eventi disastrosi di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze.
  Lo dico perché sarebbe un evento simbolicamente pesante e noi non mancheremmo di far notare questa questione per la sua delicatezza. Stiamo discutendo di flessibilità, stiamo discutendo di anticipo dell'accesso al pensionamento, tutti riconoscono che ci vuole una flessibilità eventualmente compatibile con i vincoli di bilancio. Il Presidente del Consiglio dice: «diamo dei soldi alle pensioni basse» – giusto o sbagliato ne discuteremo – e noi, come coronamento di un dibattito che mira ad alleviare il peso indotto dalle nuove regole, aumentiamo l'età pensionabile delle donne per la pensione di anzianità? Sarebbe un suicidio politico per il Governo, non ho timore di dirlo.
  Credo che questo problema vada considerato tra le priorità, perché, tra l'altro, c'è una forte richiesta dei lavoratori precoci, che non sono una massa sterminata di persone, perché, come lei sa, appartengono alla generazione mia o immediatamente dopo la mia, vale a dire una generazione in via di estinzione come i mammuth, come dice l'onorevole Gnecchi, nel senso che cominciare a lavorare a 15 anni appartiene ad un'altra storia di questo Paese. Oggi i nostri figli, purtroppo, con la lodevole eccezione dell'onorevole Tripiedi, cominciano a lavorare regolarmente con il versamento dei contributi magari a 39 anni. Quindi c'è anche il tema dei lavoratori precoci.
  Si chiede un intervento. Quindi, se andassimo nella direzione opposta, sarebbe davvero un graffio nei confronti delle donne, nello specifico, ma anche nei confronti di una tematica, che, viceversa, potrebbe trovare una sua composizione se l'allineamento dei requisiti di anzianità contributiva richiesto dall'Unione europea fosse verso il basso, con i costi relativi, di cui non discuto. Ma si tratta di platee dimensionabili.
  Le chiedo quindi di considerare questo aspetto e di riferirlo ovviamente al Ministro, che lo condivida con gli altri componenti del Governo, perché è un problema. Non vorrei che si scivolasse su una buccia di banana, perché a volte capita di non considerare un emendamento per l'impatto finanziario che può avere e poi si scatena l'ira di Dio. Questa è la classica buccia di banana, è il classico caso che segnala un'insensibilità. Noi siamo stanchi di dover tener conto esclusivamente (per carità, in qualche modo lo si deve fare, ma non in assoluto) dei vincoli finanziari e delle imposizioni europee, senza considerare che dietro i conti ci sono le persone, la società.
  So che lei è molto sensibile, quindi non a lei devo indirizzare questa raccomandazione, però vorrei che si evidenziasse questo punto, perché comincio a vedere che la questione può diventare davvero incandescente. Nel momento in cui ci apprestiamo a mettere mano positivamente, con riguardo alle compatibilità finanziarie necessarie, all'alleggerimento delle regole pensionistiche e all'anticipo dell'accesso al pensionamento, noi, invece, introduciamo per le donne un posticipo di un anno. Sarebbe veramente controproducente e grave. Non dico altro, perché credo di essermi abbastanza espresso, ma il mio discorso non era rivolto specificamente a lei, ma al Governo in generale.
  Lascio quindi la parola alla Sottosegretaria Biondelli per la replica.

  FRANCA BIONDELLI, sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali. La ringrazio, presidente, per le raccomandazioni, per le sottolineature che vengono dagli onorevoli parlamentari, per la precisazione dell'onorevole Gnecchi, in modo Pag. 24che non mettiamo in agitazione chi ci sta ascoltando con riguardo all'«Opzione donna». Il requisito anagrafico richiesto è di 57 anni e 3 mesi (e non 7 mesi): si tratta di un errore di battitura e mio, che ho letto quello che era scritto, sbagliando.
  Ringrazio anche l'onorevole Titti Di Salvo per la sua precisazione e l'onorevole Piccolo, che ha chiesto di avere dei dati precisi per capire bene quali aree del Paese soffrano di più questa disparità, dati che in questo momento non ho, ma che sicuramente sarà mia cura farle avere.
  Ringrazio gli onorevoli Dall'Osso e Tripiedi per i loro interventi e la sottolineatura sui lavori usuranti, che credo sia importante prendere in considerazione. Conosco la sensibilità dell'onorevole Dall'Osso e quindi lo ringrazio per questa attenzione che, da uomo, guarda al mondo femminile, di cui abbiamo proprio tanto bisogno.
  Porterò le raccomandazioni del presidente Damiano al Ministro. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare l'onorevole Biondelli per la sua presenza e per la sua dettagliata relazione, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.