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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 27 maggio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Rizzetto Walter , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI RAPPORTI DI LAVORO PRESSO I CALL CENTER PRESENTI SUL TERRITORIO ITALIANO

Audizione di rappresentanti di AlmavivA Contact S.p.a.
Rizzetto Walter , Presidente ... 3 
Tripi Marco , Presidente di AlmavivA Contact S.p.a ... 3 
Damiano Cesare , Presidente ... 10 
Piccolo Giorgio (PD)  ... 10 
Cominardi Claudio (M5S)  ... 11 
Rizzetto Walter (M5S)  ... 11 
Damiano Cesare , Presidente ... 12 
Albanella Luisella (PD)  ... 12 
Miccoli Marco (PD)  ... 12 
Damiano Cesare , Presidente ... 13 
Tripi Marco , Presidente di AlmavivA Contact S.p.a ... 13 
Damiano Cesare , Presidente ... 14 

Audizione di rappresentanti di Comdata S.p.a.:
Damiano Cesare , Presidente ... 14 
Canturi Massimo , Amministratore delegato di Comdata S.p.a ... 15 
Damiano Cesare , Presidente ... 18 
Rizzetto Walter (M5S)  ... 18 
Albanella Luisella (PD)  ... 19 
Miccoli Marco (PD)  ... 19 
Piccolo Giorgio (PD)  ... 19 
Placido Antonio (SEL)  ... 19 
Damiano Cesare , Presidente ... 19 
Canturi Massimo , Amministratore delegato di Comdata S.p.a ... 19 
Polverini Renata (FI-PdL)  ... 21 
Damiano Cesare , Presidente ... 21 
Polverini Renata (FI-PdL)  ... 21 
Canturi Massimo , Amministratore delegato di Comdata S.p.a ... 21 
Polverini Renata (FI-PdL)  ... 21 
Canturi Massimo , Amministratore delegato di Comdata S.p.a ... 21 
Polverini Renata (FI-PdL)  ... 21 
Canturi Massimo , Amministratore delegato di Comdata S.p.a ... 21 
Damiano Cesare , Presidente ... 22 
Canturi Massimo , Amministratore delegato di Comdata S.p.a ... 22 
Damiano Cesare , Presidente ... 22

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE WALTER RIZZETTO

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di AlmavivA Contact S.p.a.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui rapporti di lavoro presso i call center presenti sul territorio italiano, l'audizione di rappresentanti di AlmavivA Contact S.p.a. Sono presenti il Presidente Marco Tripi, l'ingegner Andrea Antonelli, amministratore delegato, e la dottoressa Marina Irace, direttore risorse umane e organizzazione.
  Nel ringraziarli ancora una volta per la loro presenza, do loro la parola.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  MARCO TRIPI, Presidente di AlmavivA Contact S.p.a.. Buongiorno a tutti. Sono Marco Tripi e sono, insieme alla mia famiglia, proprietario del gruppo AlmavivA, amministratore delegato della capogruppo AlmavivA Spa e presidente di tutte le società controllate, fra cui anche AlmavivA Contact, società oggi convocata in questa audizione.
  Sono molto contento di essere qui. Reputo che questa sia un'ottima opportunità, perché mai come in questo momento un colloquio franco e diretto fra Istituzioni e imprese è importante. Questo colloquio, nella mia esperienza, non è così frequente, ragion per cui ancor di più reputo questa come un'occasione preziosa.
  A questo fine ho voluto scrivere quello che mi appresto a raccontarvi, in maniera da essere sintetico, ma altresì esaustivo, rispetto a tutto quello che noi vediamo accadere o che è accaduto in questi anni nel nostro settore.
  Inizio presentando meglio il gruppo AlmavivA nel mondo. Il gruppo AlmavivA è stato fondato nel 1983 dall'ingegner Alberto Tripi, mio padre, e oggi è presente, oltre che nel nostro Paese, anche in Brasile, Cina e Tunisia. Entro la fine del 2014 sarà, altresì, attivo in America, Colombia e Sudafrica. Con oltre 37.000 dipendenti e più di 50 sedi operative, il gruppo AlmavivA si colloca all'undicesimo posto nella graduatoria dei gruppi industriali italiani nel mondo per numero di addetti e al sesto posto nella medesima graduatoria fra i gruppi privati. Solo cinque gruppi italiani al mondo hanno più persone di noi.
  Nel nostro Paese il gruppo è presente con due ambiti di attività: Information Technology e CRM, ossia Customer Relationship Management. Il call center è all'interno di questo secondo settore.
  La componente IT, Information Technology, vede impegnati circa 3.500 dipendenti, tutti a tempo indeterminato, realizza ricavi annui per oltre 400 milioni di Pag. 4euro e ha sedi a Roma, Milano, Torino, Genova, Padova, Bologna, Firenze e Cosenza.
  In tale contesto il nostro gruppo è tra i principali fornitori della pubblica amministrazione. Tra gli altri servizi le nostre aziende gestiscono la piattaforma informatica e tutti i servizi connessi del gruppo delle Ferrovie dello Stato, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'AGEA, ente strumentale del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, elaborano le buste paga dei dipendenti dello Stato e contribuiscono alla gestione di attività essenziali per la sicurezza nazionale.
  Il nostro gruppo ha, inoltre, una presenza consolidata nel settore bancario e ha tra i suoi clienti il principale istituto di credito nel nostro Paese nel mercato assicurativo e in quello delle utility.
  Ancora, negli ultimi quattro anni il gruppo AlmavivA, tramite la società Almawave, ha compiuto importanti investimenti nell'ambito della ricerca e della produzione di software in tema di interpretazione del linguaggio, investimenti che gli hanno consentito di dotarsi di una tecnologia proprietaria e di essere inserito, nei report stilati dai più autorevoli analisti di mercato, tra le dieci aziende del mondo, unica italiana, capace di un'offerta qualificata in tale contesto.
  In ambito CRM – vengo in maniera più specifica all'oggetto di questa audizione – il gruppo AlmavivA opera attraverso la società AlmavivA Contact ed è tra i leader indiscussi nel mercato, con quasi 10.000 collaboratori, sedi operative a Roma, Milano, Napoli, Rende, Catania e Palermo e ricavi per circa 200 milioni di euro.
  Soffermandoci sui dati inerenti al personale, osservo come molto spesso si tende a rappresentare il nostro settore come una realtà in cui sono impiegati lavoratori precari o alla prima esperienza: non è assolutamente così. Nel nostro gruppo, per esempio, nel settore CRM, dei 10.000 collaboratori di cui ho poco fa parlato il 90 per cento è assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il 70 per cento è collocato in regioni meridionali e il 68 per cento è composto da donne. L'età media è di 38 anni (questi sono i famosi giovani in prima occupazione !), mentre oltre 3.000 persone hanno superato i quarant'anni. L'anzianità aziendale media è di oltre otto anni. Oltre 3.000 persone vantano una presenza in azienda di oltre dieci anni. I familiari fiscalmente a carico dei nostri dipendenti sono circa 4.000.
  Penso che questi siano dati su cui non serve soffermarsi per spiegare. Essi confermano come questo sia un settore non di precari, ma di persone che lavorano dando il sangue da anni e che hanno basato la propria esperienza lavorativa e familiare e il loro futuro su questo lavoro.
  Con riferimento al periodo 2000-2013 – penso che questo non lo sappia nessuno – il gruppo AlmavivA è di gran lunga il gruppo italiano, di qualunque comparto industriale, che ha creato più posti di lavoro in Italia. Parlo di posti di lavoro stabili, a tempo indeterminato: sono circa 15.000. Non penso che nessun altro gruppo in Italia abbia creato 15.000 posti come delta positivo.
  Nel frattempo, non abbiamo licenziato nessuno. Si tratta, come osservato, di lavoro «buono», perché stabile e generato prevalentemente nelle aree più svantaggiate del Paese. Questo è stato possibile anche grazie a un Ministro della Repubblica che nel 2006 ha dato al settore del CRM un quadro di riferimento normativo certo. Ciò va a conferma che la politica e le Istituzioni, se fanno il loro mestiere, possono contribuire in maniera determinante alla predisposizione, da parte delle imprese, di piani industriali credibili e alla conseguente creazione di posti di lavoro.
  È nostro parere, ma penso che questa non sia una considerazione controvertibile, che compito della politica e delle Istituzioni sia creare, almeno per le imprese, un contesto di regole chiare e uguali per tutti. Compito delle imprese è attivare piani industriali rispetto a quelle regole.
  Della crisi del mercato del CRM in Italia vi ha già parlato Assocontact. Noi ci permettiamo di aggiungere due notazioni.Pag. 5
  Oltre il 90 per cento delle aziende del settore ha chiuso in perdita gli ultimi due bilanci, al netto dei risultati eventualmente prodotti all'estero e di contributi od operazioni straordinarie. Tra il 2009 e il primo trimestre del 2014 un elevato numero di imprese del CRM italiane, almeno una su tre, ha cessato l'attività, non di rado a seguito di assoggettamento a procedure concorsuali. Solo nell'ultimo mese due società sono state messe in liquidazione e una terza ha attivato un concordato in bianco, per un totale di circa 3.000 lavoratori coinvolti.
  Chi dice che questo è un settore che va bene, che non è in crisi, penso faccia finta di non leggere o vedere quello che succede. Ovviamente, questo non riguarda voi, altrimenti non avreste indetto un'audizione di questo tipo.
  Il nostro, dunque, è un comparto industriale in grave crisi, come vedremo, e, in assenza di urgenti interventi delle autorità preposte, in rapida liquefazione. I motivi della crisi, a nostro avviso, sono riconducibili a sette tematiche: evoluzione tecnologica, crisi economica generale, fiscalità, utilizzo distorto di incentivi per la nuova occupazione, utilizzo distorto di ammortizzatori sociali, atteggiamento della committenza pubblica, delocalizzazione.
  Il rapido, e, a nostro avviso, ineludibile sviluppo di tecnologie che consentono di evitare o di ridurre il ricorso alla voce ha avuto certamente un impatto significativo. Così pure è evidente che il settore del CRM non ha potuto sottrarsi agli effetti della più grande crisi economico-finanziaria degli ultimi cento anni, crisi che ha riguardato tutti i Paesi europei, ma dalla quale l'Italia mostra più difficoltà di altri a uscire.
  Si tratta, però, di problemi sui quali non ci pare opportuno indagare per evitare di condurre il ragionamento su temi troppo generali. Per parlare di crisi del Paese o di effetti della tecnologia non pensiamo sia questo il tavolo adeguato. Ci soffermeremo, di conseguenza, su altri problemi.
  Sulla fiscalità fornisco solo un dato. Il gruppo AlmavivA, per quanto attiene il solo comparto CRM in Italia – vi ho detto poco fa che noi facciamo tante altre cose in Italia – nel periodo 2005-2013, a fronte di un risultato operativo cumulato ante imposte positivo per circa 6,7 milioni di euro, ha pagato tasse per 53 milioni di euro. Lo ripeto: 6,7 milioni di utili prima delle imposte e tasse per 53 milioni di euro.
  Noi non pensiamo che sia uno Stato civile quello che assoggetta le società a una tassazione infinita. Non pensiamo, quindi, che questa sia una situazione sostenibile, equa e ragionevole.
  Oltretutto, a noi non è chiaro il motivo per il quale non si possa eliminare una tale smisurata e incomprensibile ingiustizia. Questo soprattutto ricordandosi che il totale della quota IRAP sul costo del lavoro delle società private vale circa 6 miliardi di euro su un totale di 33. Un intervento di poche centinaia di milioni di euro inerente a tutti i settori human-intensive, non solo quello dei call center, potrebbe cancellare una distorsione unica al mondo e salvare diverse centinaia di migliaia di posti di lavoro.
  Passo all'utilizzo distorto degli incentivi per la nuova occupazione. Un tema altrettanto importante è quello rappresentato dall'utilizzo degli incentivi volti a creare nuova occupazione. Quante aziende ancora dovremo vedere chiudere le proprie attività, magari per delocalizzarle, dopo la fine degli incentivi, a partire da quelli rappresentati dalla legge n. 407 del 1990 ? Come sapete, è la legge che per le nuove assunzioni toglie per tre anni i contributi sul costo del lavoro.
  È così complicato legare realmente questi incentivi alla creazione di lavoro stabile e non a un «mordi e fuggi» su base triennale, che non solo non crea occupazione vera, ma, creando una competizione senza reali basi industriali, distrugge quella delle aziende concorrenti ? Se si va a vedere la storia di tante aziende del settore, si nota che stranamente durano tre anni – con riferimento a quelle localizzate al Sud – perché dopo tre anni Pag. 6finiscono gli incentivi. Si chiude, magari con ammortizzatori in deroga, di cui andrò a parlare, oppure si delocalizza.
  Quanto all'utilizzo distorto degli ammortizzatori sociali, a seguito della crisi del mercato molte società di CRM in Italia chiudono e ricorrono agli ammortizzatori sociali. Fare l'elenco sarebbe facile, ma molto lungo. AlmavivA Contact è inquadrata dall'INPS nel settore industria e, quindi, paga i contributi richiesti alle imprese così catalogate in relazione al complesso di ammortizzatori sociali. Praticamente tutte le altre imprese di call center – se non erro, ma potrei sbagliarmi; la sola Comdata è inquadrata come noi – pur avendo identico oggetto sociale di AlmavivA Contact, sono inquadrate nel settore terziario e, di conseguenza, non sono tenute a pagare detti contributi.
  Negli ultimi dieci anni AlmavivA Contact ha versato nelle casse dell'INPS, per il titolo di cui sopra, oneri aggiuntivi per circa 30 milioni di euro. La quasi totalità dei suoi concorrenti, come detto, non ha versato neppure un centesimo. Non è possibile che delle società che fanno lo stesso lavoro per gli stessi clienti sugli stessi territori alcune debbano pagare contributi e altre no. Se si fa una veloce proporzione, si nota che si è verificato un ammanco di 200 milioni di euro nelle casse dello Stato.
  Oppure abbiamo sbagliato noi, ma non penso sia una scelta aziendale, per cui uno decide: «Che faccio: pago o non pago ? Mi conviene o non mi conviene ?». Sono le Istituzioni a doverlo decidere e verificare, in base alla legge, ovviamente.
  Pertanto, se AlmavivA Contact utilizza gli ammortizzatori sociali, lo fa a proprie spese. Se, invece, sono le altre aziende di CRM a farlo, ciò avviene in deroga e, quindi, a carico della fiscalità generale. Questo genera, a nostro avviso, una grave disparità di trattamento e una conseguente distorsione del mercato – vi ho detto che per noi vale 3 milioni l'anno – della quale, beninteso, non sono responsabili i nostri concorrenti, ma le autorità preposte.
  Tale distorsione può determinare situazioni paradossali, per cui il sistema-Paese paga due volte la delocalizzazione, la prima volta con la perdita del lavoro «buono» in Italia per creare lavoro sottopagato e senza tutela in Albania e la seconda perché finiscono per far gravare sulle spalle dei contribuenti italiani i giusti sussidi che lo Stato assicura ai lavoratori delle aziende poste in crisi dalla delocalizzazione.
  Su questa tematica, come su altre, dato che noi non amiamo fare enunciazioni generali, ma agire, abbiamo scritto, il 4 febbraio 2014, all'INPS e ai ministeri interessati su questi argomenti. Purtroppo, in pieno stile italiano, non abbiamo ricevuto alcuna risposta. C’è un'azienda che sostiene che ci possono essere 200 milioni di euro di mancati incassi dello Stato oppure che altre aziende come la nostra non devono essere messe nelle condizioni di usare la cassa integrazione. Qualcuno ci dica chi ha torto e chi ha ragione. Non sono io a doverlo decidere, ma qualcuno forse sì.
  Vengo alla committenza pubblica. In questo quadro devastato e devastante ci si aspetterebbe un atteggiamento delle pubbliche amministrazioni tale quantomeno da non appesantire e rendere ancora più precaria una situazione di grande difficoltà. Invece, assistiamo alla pubblicazione di bandi di gara che prevedono una base d'asta non in grado di coprire il puro e semplice costo del lavoro di un dipendente italiano correttamente inquadrato e dotato della necessaria seniority.
  Emblematico e recentissimo – ne avete già parlato – è il caso del comune di Milano. Ne parliamo in maniera più approfondita perché era un nostro cliente. AlmavivA Contact eroga il servizio di relazione con i cittadini di tale amministrazione, ossia il comune di Milano, fin dal 2007, in esito a una gara pubblica. Nell'attività sono oggi impiegati circa 200 lavoratori, tutti dipendenti a tempo indeterminato. Il contratto d'appalto scade il 31 luglio 2014.
  Ai fini del rinnovo, il comune ha bandito una gara, com'era giusto che facesse. Il problema è che tale gara prevede una remunerazione oraria a base d'asta che Pag. 7non comprende neanche il costo del lavoro degli operatori calcolato sulla base dei minimi contrattuali del contratto nazionale di riferimento. Come in altre occasioni, escono gare o vi sono trattative con clienti privati che vogliono imporre tariffe sotto il minimo del contratto delle telecomunicazioni. Non si tratta, quindi, del discorso: «siediti a un tavolo con i sindacati, tratta, hai dato troppi soldi, riprendi gli integrativi». Normativamente è quantomeno improbabile che io possa andare sotto il minimo, oltre che eticamente ingiusto.
  AlmavivA, come altri operatori, non ha potuto partecipare a causa dell'assoluta non sostenibilità economica del prezzo posto a base d'asta. Il costo del lavoro nell'attività di CRM call center è l'80 per cento. Sono calcoli molto facili da fare. A conferma di ciò, come sapete, Assocontact ha deliberato di invitare tutte le sue associate a fare altrettanto. Si tratta di una deliberazione inedita, che segnala il punto di non ritorno al quale stiamo velocemente approssimandoci.
  In pratica, per le ragioni viste poco fa, l'esito della gara bandita dal comune di Milano comporterà la perdita di 200 posti di lavoro «buoni» – AlmavivA Contact sarà costretta a gestire l'esubero dei propri dipendenti a tempo indeterminato impegnati da oltre sei anni nella commessa – e la creazione di altrettanti posti di lavoro necessariamente pagati al di sotto delle condizioni stabilite dal contratto nazionale di riferimento.
  Il caso del comune di Milano è comunque solo l'ultimo di una lunga e inaccettabile serie di gare pubbliche sottocosto. Purtroppo, non è l'unica.
  D'altro canto, e solo per non abusare del tempo che oggi ci è concesso, non entriamo sul tema del ritardo dei pagamenti – a livello di gruppo le Istituzioni pubbliche ci devono oltre 100 milioni di euro di scaduto – o di altri problemi collegati alle società di proprietà dello Stato. Basti, a questo proposito, fare riferimento ai 7 milioni di euro che ancora aspettiamo dal fallimento della vecchia Alitalia di proprietà pubblica.
  Venendo al tema della delocalizzazione, noi rileviamo che oltre 15.000 lavoratori albanesi prestano servizi dal loro Paese per i clienti italiani. Si tratta di persone che hanno un costo pari a un terzo dei loro colleghi italiani (non un terzo in meno, ma un terzo in assoluto) e sprovviste di qualsiasi tutela giuslavoristica. Lo so bene perché volevano che per primi facessimo partire il servizio in Albania alcuni anni fa. Noi ci siamo rifiutati, ma abbiamo offerte, situazioni e analisi.
  AlmavivA Contact ha inserito nel proprio statuto una clausola che fa divieto di delocalizzare. Noi siamo, io penso, una delle poche società al mondo che a livello di statuto si sono autoimposte l'impossibilità di delocalizzare.
  Perché facciamo questo ? Perché riteniamo che la pratica della delocalizzazione sia contraria agli interessi delle imprese, dei consumatori e dei lavoratori italiani e che non sia compatibile con la definizione di un piano industriale che garantisca uno stabile sviluppo sul territorio nazionale. Quando mi riferisco alla delocalizzazione, che noi riteniamo incongrua e contro gli interessi della società, parlo di delocalizzazione fuori dal territorio dell'Unione europea. L'Unione europea ha altre regole, che noi accettiamo pienamente.
  Nel tempo vedrete, peraltro, che, non appena nazioni come l'Albania vivranno un giusto progresso economico, con le ovvie conseguenze sul costo del lavoro, anche per i lavoratori di questi Paesi parleremo di posti di lavoro effimeri.
  A questo riguardo basterebbe analizzare quello che sta accadendo in India o studiare la storia delle delocalizzazioni nel mondo di questo settore. Partono società in Paesi che sfruttano il basso costo del lavoro. Poi, come questi Paesi, fortunatamente, aumentano il proprio benessere economico, aumentano i costi del lavoro e, quindi, le società chiudono improvvisamente tutti i centri che hanno e iniziano a girare il mondo. Non si tratta neanche di creare in Albania un futuro. Non si crea niente in Albania. Creiamo un problema: Pag. 8quello che adesso sta vivendo l'Italia lo vivrà l'Albania tra due, tre o quattro anni. Lo vedremo.
  A livello industriale la pura delocalizzazione in Paesi fuori dall'Unione Comunità europea basata esclusivamente sulla ricerca continua del minor costo del lavoro possibile non ha alcun senso, se non quello di massimizzare i profitti nel breve periodo e, nel contempo, spingere, se possibile, ancora più in basso le tariffe presenti nel mercato italiano. Tuttavia, si tratta di un'attività lecita, purché si svolga negli ambiti ben definiti dalla normativa vigente.
  Ci chiediamo, quindi, e vi chiediamo: chi e come vigila sul rispetto della corretta applicazione dell’ articolo 24-bis del decreto legge n. 83 del 2012 ? Chi e come vigila sull'applicazione del provvedimento prescrittivo in materia di trattamento dei dati personali effettuato mediante l'utilizzo di call center siti in Paesi fuori dall'Unione europea, secondo il Regolamento del 10 ottobre 2013, pubblicato in Gazzetta Ufficiale da parte dell'Autorità della privacy ?
  Parimenti ci chiediamo come sia compatibile la delocalizzazione fuori dalla Comunità europea rispetto ai corretti controlli esercitati attraverso la Guardia di finanza da parte dell’Authority della concorrenza e tutela del consumatore, in riferimento al compimento di possibili pratiche commerciali scorrette. Il nostro gruppo in Italia – non siamo gli unici in Italia, ovviamente – è stato assoggettato più volte a controlli del genere. Subire controlli vuol dire che viene la Guardia di finanza a verificare tutte le procedure che si devono rispettare nel trattamento dei clienti.
  Di nuovo ci chiediamo che tipo di controlli possano essere eseguiti in Albania. Può darsi che tali e doverose attività di vigilanza siano state e siano costantemente e severamente effettuate da chi di competenza. In tal caso non avremmo che da auspicare un mutamento del quadro normativo, ma può darsi anche il contrario. In tal caso saremmo di fronte a un'inaccettabile e censurabile negligenza, rispetto alla quale il Parlamento potrebbe, e a nostro sommesso avviso dovrebbe, levare la sua voce.
  Passando all'applicazione delle leggi dello Stato, ricordiamo e richiediamo la verifica della mancata applicazione a oggi dell'articolo 1, comma 22, della legge n. 147 del 2013, recante misure per salvaguardare la continuità occupazionale del settore dei servizi di call center, nonché la verifica dei possibili effetti del rifinanziamento della legge n. 608 del 1996 relativa agli sgravi contributivi in regime di contratti di solidarietà.
  Sapete bene che questa legge è stata rifinanziata in collegamento alla vicenda Electrolux. Ovviamente questo non può essere stato fatto per l'Electrolux. Poiché noi facciamo ricorso allo strumento dei contratti di solidarietà in percentuali pari a quattro volte quelle riferite all'Electrolux, pensiamo che qualcuno forse, oltre che con l'Electrolux, debba parlare anche con noi, come con tutte le altre aziende che utilizzano i medesimi strumenti.
  Quanto al lavoro a progetto, mi sia consentito un riferimento finale, ma non per questo di scarsa importanza, alla tematica del lavoro a progetto. Questa forma contrattuale, come è noto, è consentita in relazione a determinate tipologie di servizio. I recenti accordi stipulati tra le parti sociali al riguardo hanno perfezionato il quadro normativo di riferimento e assicurato a questi lavoratori maggiori tutele.
  Noi non pensiamo che possano essere di attualità ulteriori interventi legislativi sulla materia, ma riteniamo, al contempo, che una corretta politica industriale per il settore non possa dimenticarsi delle prospettive di queste persone. Di nuovo vi è l'effetto delocalizzazione su questa attività, di nuovo si tratta di lavoratori a progetto, ma, ahimè, spesso, soprattutto al Sud, ma non solo, si parla di gente di quarant'anni senza alternative. Bisogna riflettere su questo contesto.
  Venendo alle conclusioni, la vostra iniziativa è meritoria. Vi ringraziamo sinceramente dell'opportunità odierna. Purtroppo, in questi ultimi anni non abbiamo avuto molto successo nel tentativo di richiamare Pag. 9l'attenzione dei Governi centrali e regionali sulle tematiche sulle quali voi avete deciso di investigare. Dobbiamo, tuttavia, segnalarvi che i tempi che vi siete posti per completare la vostra analisi potrebbero non essere compatibili con l'esigenza di tutelare ciò che rimane – fortunatamente, è ancora molto – dell'industria del CRM in Italia.
  Noi, come abbiamo cercato di rappresentarvi, pensiamo di aver fatto in questi anni tutto quanto fosse possibile e doveroso per garantire il lavoro ai nostri dipendenti e la prosperità alle nostre aziende. Abbiamo privilegiato forme di lavoro stabili – assumere più di 15.000 persone a tempo indeterminato era complicato – abbiamo investito in ricerca e innovazione, ci siamo affermati su importanti mercati esteri. Non da ultimo, i soci della capogruppo AlmavivA, nell'estate del 2012, hanno eseguito un aumento di capitale in Italia per oltre 50 milioni di euro. Negli anni in cui il gruppo in altri settori ha generato utili mai alcun dividendo è stato distribuito, ma, al contrario, è stato costantemente reinvestito.
  In sostanza, abbiamo fatto tutto quello che tutti i Governi di tutti i colori politici hanno chiesto in questi anni alle imprese italiane – creare occupazione, innovare, internazionalizzare, ricapitalizzare e investire – e siamo stati ripagati come abbiamo visto, con tasse inique, distrazione sul fenomeno della delocalizzazione, gare pubbliche sotto il costo del lavoro, leggi non applicate o applicate male, ritardati, se non mancati, pagamenti della pubblica amministrazione.
  Ci sia consentito, per quel che vale, un parallelo. In Brasile siamo presenti da sette anni e fatturiamo – ovviamente solo per il mercato locale, non delocalizziamo nulla – circa 250 milioni di euro nell'ambito del solo CRM. Abbiamo oltre 24.000 dipendenti a tempo indeterminato. Negli ultimi mesi stiamo assumendo oltre 300 persone a settimana e, quindi, migliaia di persone. In un anno ne assumeremo 12-13.000.
  In Brasile abbiamo, dunque, investito, portato know-how e creato occupazione, soprattutto nel Nord-Est del Paese, corrispondente per tassi di sviluppo e di disoccupazione al nostro Sud. In quel Paese esiste una legge, la Lei Brasil Maior, che non punisce l'assunzione di personale, ma anzi la premia, garantendo a tutte le imprese che, come quelle del comparto CRM, svolgono attività labour-intensive, particolari sgravi contributivi e fiscali.
  Ancora, in Brasile le Istituzioni, anche ai massimi livelli, non si sottraggono mai a un'interlocuzione trasparente con gli operatori economici. Incontrare le massime rappresentanze politiche del Paese, a partire dal Presidente Dilma Rousseff, è più facile che essere ricevuti dal presidente di qualche regione italiana o dai sindaci di città in cui abbiamo migliaia di lavoratori. Siamo presenti in tutta Italia e in tutte le regioni.
  Questo non è un attacco a nessuno in particolare, ma vi sono, purtroppo, anche in questi mesi – non porto alla vostra attenzione casi specifici, che mi gestirò personalmente – situazioni in cui noi abbiamo difficoltà ad aprire ragionamenti di politica industriale in posti in cui abbiamo migliaia di lavoratori.
  Sempre in quel Paese – mi riferisco al Brasile – la delocalizzazione è resa praticamente impossibile da una severa e costante vigilanza sul rispetto delle regole che la disciplinano poste a tutela del lavoratore e dei consumatori.
  Il nostro impegno in Italia non è, dunque, per mancanza di alternative. Se ragionassimo solamente in termini economici, da anni non avremmo alcun motivo per continuare a insistere in Italia nel settore CRM. La difesa della nostra storia industriale, dei risultati ottenuti in trent'anni di impresa, dei lavoratori che ci hanno accompagnato nella realizzazione dei nostri successi e che oggi stanno condividendo le nostre apprensioni sono le uniche motivazioni che ci hanno spinto e ci spingono a resistere.
  Non abbiamo la minima intenzione di abbandonare i nostri lavoratori al loro destino, seguendo il censurabile esempio Pag. 10di tantissimi gruppi industriali che spesso, anche strumentalizzando la situazione, stanno fuggendo dal nostro Paese.
  Vale la pena ricordare, a questo proposito, che nel settore Information Technology e telecomunicazioni fra le prime trenta aziende a livello di fatturato presenti nel nostro Paese solo quattro sono rimaste sottoposte al controllo italiano. La mia previsione è che entro due o tre anni non ci sarà più alcuna impresa sotto il controllo italiano fra le prime venti.
  Ogni sforzo e ogni resistenza hanno un limite, dato non dalla volontà, ma dalle condizioni obiettive. Vorremmo trasmettervi la consapevolezza che le aziende del nostro settore sono probabilmente molto prossime a superare tale limite. Come imprenditore, io non posso che puntare sull'ottimismo, altrimenti sarebbe quantomeno complicato continuare. Ci sono comunque buoni motivi per dichiararsi, ancora una volta e nonostante tutto, ottimisti.
  La sensibilità che il Parlamento ha dimostrato con l'avvio della presente indagine conoscitiva, da un lato, e la presenza di un Governo autorevole, dall'altro, ci fanno credere che sia possibile attenderci la tempestiva assunzione di azioni e provvedimenti che, idealmente ricollegandosi a quelli emanati quasi dieci anni fa e ai quali ho già fatto riferimento, consentano al nostro comparto industriale di evitare il rischio della dissoluzione e anzi di riprendere la via della crescita. Quando, qualche anno fa, sono state poste delle regole chiare e uguali per tutto il mercato, noi abbiamo assunto 7.000 persone. Più che dare questo esempio non posso.
  Come vi è noto – vado a concludere – il prossimo 4 giugno vi sarà una manifestazione dei lavoratori del settore per richiamare l'attenzione delle Istituzioni e dell'opinione pubblica sui temi oggetto di quest'audizione. Per evitare strumentalizzazioni e fraintendimenti di ruolo, come azienda – ovviamente, parlo di me e dei nostri manager di primo livello – noi non parteciperemo, seppure le tematiche (lotta sulla delocalizzazione, lotta alle gare al massimo ribasso) non ci possano che vedere in prima linea accanto ai nostri lavoratori.
  Come hanno già evidenziato altri imprenditori del settore – cito Umberto Costamagna, che avete recentemente audito – anch'io ritengo che mai come in questo momento storico del nostro Paese preoccupazioni e interessi degli imprenditori e dei lavoratori finiscano per convergere.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Presidente Tripi per quest'ampia illustrazione. Credo che gli onorevoli abbiano delle domande da porre. Questa si rivela un'indagine molto complessa, approfondita e interessante. Si tratta di un settore importante. Ci sono 80.000 addetti in Italia con un futuro difficile. Penso che il Parlamento possa fare molto in modo unitario.
  Mi auguro che tutti possano mettere passione su questo argomento, perché, come sapete bene, interessa l'occupazione giovane e non più giovane, i laureati e i diplomati di questo Paese. Non si tratta più di un lavoro di passaggio, ma di un lavoro di prospettiva, se lo vogliamo salvaguardare.
  Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIORGIO PICCOLO. Svolgo solo alcune considerazioni. Non conosco il management dell'azienda, che ho il piacere di conoscere in questa sede. Conosco, però, la realtà. Ho avuto modo di avere rapporti e di partecipare ad assemblee con i lavoratori per il mio impegno precedente e devo dire che ho trovato sempre una realtà solida, da questo punto vista, specialmente nel Mezzogiorno e a Napoli, la città da cui provengo.
  Peraltro, ho visto sempre lavoratori motivati e anche impegnati nel lavoro, non solo come fatto transitorio. Spesso, infatti, quando si parla di contact center, si pensa a un lavoro da inizio attività lavorativa – del tipo: non puoi fare altro – mentre in questo caso stiamo parlando di lavoro stabile, di un lavoro che si pensa di fare Pag. 11anche per tutta la vita. Che questo sia o meno un limite, questa è la realtà.
  Il lavoro, quindi, è sicuramente buono, con diritti e con la possibilità di una prospettiva. Anche chi lavora in un posto e vede che si fanno assunzioni e ci sono possibilità di crescere sicuramente lavora in un modo diverso. È chiaro che la questione principale, che dobbiamo approfondire, e vedremo in che modo, è la delocalizzazione.
  Ne ho visto un esempio, in questi giorni, in treno. Ho incontrato una persona di Napoli che si è aperta un contact center in Albania. Diceva che erano felici quei lavoratori albanesi, che, peraltro, parlavano italiano, perché percepivano 350 euro al mese, 50 euro in più rispetto alla media lavorativa.
  Il problema non è tanto quello di aprire il contact center in Albania, che è legittimo, come quello aperto in Brasile, con quelle condizioni, quanto quello dello svolgimento dell'attività delle aziende italiane in Albania. Il problema, quindi, è impedire la delocalizzazione, perché parliamo di aziende di servizio. La questione riguarda come si vuole raggiungere la competitività, perché quest'ultima non deve essere perseguita incidendo sul costo del lavoro e non deve essere fatta con regole diverse.
  Da questo punto di vista, quindi, vorrei fare, se possibile, un richiamo ad un'azienda che ha comunque investito nel Mezzogiorno. Negli ultimi tempi, forse, rispetto alle discussioni di carattere più generale, c’è una difficoltà nelle relazioni industriali. Sarebbe utile fare discussioni anche nelle difficoltà, per fare in modo di condividerle. So che vi sono dei limiti, ragion per cui, se possibile, in una veste che non mi è usuale in questo momento, chiedo di ripristinare le corrette relazioni industriali.

  CLAUDIO COMINARDI. Innanzitutto vorrei soffermarmi sulla questione dell'amministrazione di Milano, che ha fatto una gara d'appalto al massimo ribasso. È una situazione che si sta verificando in tanti altri comuni importanti ? Questa è la prima domanda. Mi pare di aver capito che Roma, fortunatamente, non abbia ancora una situazione di questo tipo.
  Leggendo il comunicato da voi scritto, vorrei chiederle se potesse esplicitare meglio un passaggio. Glielo leggo testualmente: «Non sarebbe né il primo, né l'ultimo settore produttivo che viene sacrificato in nome di una totale mancanza di politica industriale e dal non controllo del rispetto delle leggi dello Stato». Le chiedo se magari può specificare a quali leggi faceva riferimento. Forse ne ha anche parlato precedentemente, ma le chiedo di contestualizzare.
  Vorrei poi un vostro punto di vista rispetto alla possibilità di limitare quanto meno i costi della società. L'applicazione del telelavoro è qualcosa che si può fare ? Mi viene subito da pensare al costo dei locali, per esempio. Se si incentivasse quel tipo di attività, forse si riuscirebbe ad abbattere i costi. Sicuramente non serve agire sul discorso delle tutele di chi ci lavora, perché già siamo messi non molto bene. Se ci mettiamo in concorrenza con un Paese come l'Albania, va peggio ancora.
  È vero, l'Albania non fa parte dell'Unione europea, ma ricordiamoci che è uno dei Paesi candidati a farne parte e, quindi, un discorso anche in ambito europeo andrebbe fatto per evitare il problema del dumping sociale.

  WALTER RIZZETTO. Ringrazio per quest'ampia rappresentazione rispetto al vostro lavoro. Effettivamente io porto un'esperienza personale. Conosco abbastanza il lavoro del Customer Relationship Management e so che, ad oggi, in Italia, questo tipo di settore è veramente una giungla.
  Mi meraviglio positivamente di due cose, ossia che voi avete – e in questo rispondo anche in parte al collega – contratti a tempo indeterminato per i vostri dipendenti e avete fatto delle scelte nei confronti anche di altri Paesi che potrebbero entrare nell'Unione europea; nello specifico, intendo fare riferimento all'Albania, a Tirana. Tirana l'ho visitata diverse volte, proprio per andare a contattare Pag. 12dei contact center. Se in Italia c’è il Far West, là siamo allo stato brado rispetto a questo tipo di lavoro.
  Venendo alle domande da voi poste, ovvero al decreto-legge n. 83 del 2012, prima lei ha chiesto di sapere chi vigila sull'applicazione di quel provvedimento. Io posso confermarle che, per la mia esperienza, sul decreto-legge n. 83 del 2012 non vigila nessuno, né nessuno vigila attualmente in Italia nei confronti di queste aziende, soprattutto rispetto alla tutela dei dati personali. Nessuno vigila attualmente in Italia sui dati personali, al contrario.
  Arrivo alla domanda. Io apprezzo il passaggio che voi avete fatto sulle tasse, sulla delocalizzazione, sulla lotta alle gare al massimo ribasso, che non devono, lo ricordo, essere al massimo ribasso, ma non soltanto per questo settore, bensì, per quanto mi riguarda, per tutti i settori italiani. Quando un'amministrazione va in gara al massimo ribasso, forse qualche politico dovrebbe prendersi un bilancio e capire che cosa succede al bilancio di questa azienda con una gara al massimo ribasso. Questa è forse una formazione che noi dovremmo iniziare a fare.
  Su tasse e IRPEF siamo perfettamente d'accordo. Mi pare un'esperienza positiva quella del Brasile, dove voi operate non delocalizzando. Questa era la domanda che inizialmente avevo intenzione di porvi. Voi avete iniziato a dire che siete presenti in Brasile e in altri Stati. La mia domanda, allora, è: tutelate il lavoro in Italia, ma siete in Brasile ? Allora, operate in Brasile per call center fondamentalmente brasiliani e per clienti brasiliani ?
  Ho due domande. La prima è se la vostra società si occupa maggiormente di business to consumer o di business to business. Vorrei capire, cioè, dove andate a chiamare i clienti, se vi occupate più di aziende o di privati.
  La seconda domanda è: che cosa pensate, qualora doveste andare a fare un lavoro anche sui privati cittadini, del registro delle opposizioni, nello specifico della Fondazione Ugo Bordoni, il cui presidente all'epoca era Enrico Manca ? Per quanto mi riguarda e per quanto ne so, questa Fondazione Ugo Bordoni e il registro delle opposizioni creano problemi alle aziende che fanno questo tipo di lavoro, pur tutelando il consumatore in termini di privacy.

  PRESIDENTE. Vi prego di attenervi ai tempi, perché poi dovremo svolgere un'altra audizione.

  LUISELLA ALBANELLA. Fermo restando che io sono convinta che gli elementi di forte criticità nel mondo del call center siano proprio quelli che sono stati enunciati dal presidente di AlmavivA, come la questione della delocalizzazione e quella delle gare al massimo ribasso, vorrei che mi fosse chiarito un aspetto – forse è stato anche detto – relativo alla questione della correlazione fra incentivi alle assunzioni erogate e ricorso agli ammortizzatori sociali.
  Assocontact, precedentemente a voi, aveva detto che è sbagliato il principio per il quale a livello regionale si determinano degli incentivi per le aziende, riportando il ragionamento all'importanza di gestire gli incentivi a livello nazionale. È così anche per voi ? Quando voi parlate, nella vostra comunicazione, dell'utilizzo distorto degli incentivi per la nuova occupazione, vi riferite alle stesse cose che ha detto Assocontact ?
  Ancora, secondo voi, quali sono le commesse di committenti di interesse nazionale che operano a seguito di autorizzazioni governative nel settore delle telecomunicazioni, delle emittenti e dell'energia e che hanno volumi di traffico consistenti ? Vengono gestite nei Paesi che non sono dell'Unione europea ? Queste commesse, se fossero gestite in Italia, quanti posti di lavoro potrebbero determinare ? Infine – penso che in definitiva l'abbiate già detto – nei Paesi esterni all'Unione europea è certo il rispetto delle norme sulla privacy, così come avviene in Italia ?

  MARCO MICCOLI. Sarò brevissimo, solo per dare una mano al lavoro della Commissione, in quanto lo spirito con cui abbiamo insieme deciso i lavori della Pag. 13Commissione e, quindi, l'indagine conoscitiva, è uno spirito che ci porterà – mi auguro – a suggerire all'azione di Governo alcuni provvedimenti e al Parlamento un intervento. Per agevolare questo compito chiedo alcune cose.
  Ovviamente, dalla dimensione aziendale che è stata descritta e, quindi, dalla vostra postazione voi potete darci una mano a sviluppare questi ragionamenti. Mi ha colpito questa tematica. Sulle delocalizzazioni sarà utile intervenire e dire alcune cose. Mi rendo conto che c’è un tema – l'abbiamo già ribadito – di rapporto con la committenza, che, mi pare di capire, è il tema sul quale la ricaduta della scelta della delocalizzazione appare incidere.
  Ovviamente, un'azienda può scegliere di delocalizzare e di svolgere la sua attività in un Paese in cui la sua attività è più conveniente. Questa scelta viene determinata dal fatto che i committenti richiedono il continuo abbassamento del prezzo. Poiché questo Paese, in questo settore, non può intervenire sull'abbassamento del costo del lavoro, si decide di delocalizzare laddove ciò, invece, è consentito.
  Visto che è stato citato l'esempio del Brasile e che la delocalizzazione è resa praticamente impossibile da una severa e costante vigilanza sul rispetto delle regole che la disciplinano, mi chiedo se sia stato fatto da voi un ragionamento su cosa si potrebbe suggerire in Italia rispetto a questo. Va considerato, ovviamente, il nostro ordinamento legislativo, perché si tratta sostanzialmente di intervenire su leggi di mercato, che regolano un mercato anche privato. Questo per capire anche in Brasile quali sono i punti che hanno impedito la delocalizzazione da quel Paese.
  In proposito, che cosa suggerireste, sempre in termini di committenza ? Capisco che anche su questo il tema è costituito dall'attualità che vivono gli enti locali, ossia i tagli lineari, le politiche di risparmio e di spending review. È chiaro che c’è un tema di questo genere. Mi chiedo, in un eventuale codice etico, che cosa consigliereste di prevedere nell'ambito degli enti locali e degli enti e delle aziende a partecipazione statale.

  PRESIDENTE. Do la parola al Presidente Marco Tripi per la replica, pregandolo davvero di essere telegrafico, anche se le domande sono state numerose. Abbiamo esaurito praticamente il nostro tempo.

  MARCO TRIPI, Presidente di AlmavivA Contact S.p.a. Cercherò di essere il più veloce possibile. Deciderò se coinvolgere o meno i miei colleghi. Certo, in un minuto è complicato.
  Onorevole Piccolo, i lavoratori motivati a Napoli vedono questo lavoro per tutta la vita ? Sicuramente sì, ma i nostri lavoratori sono anche molto stanchi, perché quello che sto dicendo a voi, giustamente, lo dico anche a loro tramite le rappresentanze sindacali. Lavorare con l'assillo che il proprio posto di lavoro è a tempo indeterminato, ma può finire, perché alla fine di indeterminato non c’è niente, non è facile. Di conseguenza, sono stanchi.
  Noi continuiamo a fare accordi sindacali per controbattere a cali di volume derivanti dalla delocalizzazione e da altre situazioni. C’è serietà totale dei sindacati. I nostri lavoratori sono motivati, ma stanno perdendo la loro motivazione, il che diventa un problema.
  Sulle difficoltà delle relazioni industriali non sono totalmente d'accordo. Non da ultimo noi abbiamo firmato la scorsa settimana un accordo con tutte le rappresentanze sindacali. Ci può essere qualche sensibilità territoriale, che però gestiremo.
  Sulla questione della delocalizzazione, delle leggi e di quali leggi noi vorremmo, noi non vogliamo altro che vengano rispettate le leggi già presenti, riprese dall'Autorità della privacy e che l'Autorità garante della concorrenza faccia quello che deve fare – non solo su di noi – come controlli. Chiederei un intervento sull'IRAP e sugli ammortizzatori sociali. Su questo qualcuno deve intervenire. Anche quella, però, è un'interpretazione corretta delle leggi, che devono essere valide per tutti.Pag. 14
  Nel documento ho citato tutte le leggi e le situazioni. Non è compito mio dire chi rispetta la normativa e chi no. Non lo devo fare io e non avrei alcuna autorità e credibilità per farlo. Noi non chiediamo nuove leggi. Sul 90 per cento dei problemi del settore basta verificare il rispetto delle leggi o dei pronunciamenti delle Authority che già ci sono.
  Onorevole Cominardi, oltre al comune di Milano, ci sono altre realtà, ma non abbiamo tempo per entrare e indicare ognuna di queste.
  Il telelavoro fa parte del nostro accordo sindacale e non è del tutto semplice da realizzare in Italia. C’è anche un dibattito legislativo in corso, come sapete, che non ci vede contrari.
  Onorevole Rizzetto, lei diceva che il settore CRM in Italia è una giungla e in Albania è ancora peggio. In Albania è peggio e in Italia non è necessariamente una giungla. Per esempio, dopo di me incontrate il mio più grande concorrente, che è Comdata. Per me Comdata è tutto tranne che una giungla. Mi piacerebbe dire: «Guardate loro !», ma non voglio fare l'elenco dei buoni e dei cattivi.
  Tantissime aziende in Italia sono tutto tranne che una giungla. Il mio problema non è tanto di come si muovono in Italia, anche perché dopo le leggi e le circolari del 2006 la situazione è cambiata. Prima era una giungla. Adesso questa giungla è stata disboscata, ma ne abbiamo creata un'altra in Albania e, quindi, ritorniamo al punto di partenza.
  In Brasile non delocalizziamo. Qualche anno fa abbiamo iniziato a delocalizzare in Tunisia. Il processo è durato un anno. Dopodiché, dopo quel cambiamento del nostro statuto, abbiamo cancellato qualsiasi attività fuori dall'Italia. Ribadisco: non una chiamata viene delocalizzata dall'azienda. Noi lavoriamo per aiutare le aziende a gestire i loro clienti, sia consumer che business. Il nostro cliente è business, ma in realtà parliamo con il cliente finale.
  Onorevole Albanella, sì, siamo d'accordo, in sintesi, con Assocontact. Il problema degli incentivi regionali è che possono essere distorsivi, ma soprattutto bisogna vedere, a mio avviso, la durata di questi incentivi e legarli in maniera più stringente. Sono incentivi per la nuova occupazione. Tre anni per noi non è una nuova occupazione.
  Quanti posti di lavoro vengono creati e quali sono i clienti che operano in base a concessioni ? Non lo so.
  Quali sono quelli che delocalizzano ? Lo immagino, ma non posso essere io a fare l'elenco dei clienti che delocalizzano.
  Quanti posti di lavoro ci sono ? Ho detto che in Albania, a mio avviso, ci sono 15.000 posti di lavoro, il che vuol dire che il fenomeno dei Paesi che non sono membri dell'Unione europea è più elevato.
  Rispetto alle norme sulla privacy, io parto dall'assunto che le rispetteranno tutti. Basta che qualcuno verifichi e io sono contento.
  L'ultimo punto, onorevole Miccoli, riguarda la committenza. Non so quanto le aziende continuino a delocalizzare e quanto qualcuno delocalizzi con gioia o meno. In Brasile ci sono delle leggi, ma io, più che riprendere le leggi brasiliane e portarle in Italia, prenderei quella sull’«IRAP brasiliana», chiamiamola così. Le leggi, come ho detto, in Italia già ci sono e, quindi, non mi metterei in questi contesti a farne altre.
  Ho rispettato quasi il minuto.

  PRESIDENTE. Grazie. Ringraziamo i rappresentanti di AlmavivA per l'audizione, per noi molto importante. Naturalmente non finiranno qui i nostri contatti, perché, proseguendo l'indagine, vi terremo anche al corrente dell'evoluzione. Si tratterà poi di arrivare a un momento conclusivo, di sintesi, che sia utile per le imprese e per i lavoratori.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Comdata S.p.a.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui rapporti di lavoro presso i call centerPag. 15presenti sul territorio italiano, l'audizione di rappresentanti di Comdata. Sono presenti il dottor Massimo Canturi, amministratore delegato, e la dottoressa Amalia Bigatti, direttore del personale. Nel ringraziarli per la loro presenza, do loro la parola.

  MASSIMO CANTURI, Amministratore delegato di Comdata S.p.a. Buongiorno, signor presidente. Buongiorno a tutti i membri della Commissione e grazie per questo invito. Noi abbiamo preparato una memoria che segue un po’ le indicazioni della vostra richiesta di audizione.
  Comdata oggi è un gruppo che fattura 300 milioni di euro nell'anno fiscale che si chiuderà a giugno. Ormai abbiamo quasi finito l'anno fiscale. Di questi 300 milioni di euro, 260 milioni sono fatturati in Italia e, quindi, sono servizi che facciamo per clienti italiani.
  I nostri clienti sono i rappresentanti di tutte le maggiori società che operano nel mondo delle telecomunicazioni, dell'energia, delle utility, degli istituti finanziari e dei media. I servizi che svolgiamo sono quelli che noi definiamo di Customer Management Contact Center e BPO, ossia Business Process Outsourcing. In particolare, gestiamo tutte le attività che vengono richieste dai clienti finali dei nostri clienti.
  In questo contesto il 50 per cento del totale del fatturato in Italia è costituito da attività cosiddette di call center. Il resto è suddiviso tra attività di back office, gestione documentale e gestione del credito, credit collection. Il tutto viene supportato da attività di sviluppo di tecnologie e, quindi, di soluzioni IT che permettono una continua innovazione dei processi che gestiamo.
  Comdata ha sviluppato un modello di offerta di servizi integrati combinando i servizi di customer management con tecnologie innovative e con la capacità di analisi e miglioramento dei processi. Le società del gruppo propongono al mercato un'offerta completa, che va dall'infrastruttura tecnologica su cui poggiano le applicazioni alla loro realizzazione e integrazione, alla presa in carico di interi processi di business, fino ad attività di business process transformation. In pratica noi ci offriamo anche per ottimizzare i processi dei nostri clienti.
  Comdata è particolarmente attenta alla crescita dell'innovazione. Oltre a consistenti investimenti per l'acquisizione di aziende o di rami di azienda fatti negli ultimi anni in Italia, Comdata sta investendo ormai da anni circa 5 milioni di euro all'anno per l'apertura di nuovi centri anche in Italia – gli ultimi in ordine sono stati il nuovo centro di Lecce e il nuovo centro di Cagliari – per progetti innovativi e per automazione di processi.
  L’headquarter di Comdata è a Milano. Comdata è presente in Italia con dodici centri operativi in svariate regioni d'Italia, per un totale di 4.450 postazioni. La capillarità dei poli produttivi garantisce la gestione ottimale degli overflow e la business continuity nella produzione. Tutti i centri Comdata sono, infatti, interconnessi attraverso una rete dedicata e operano in costante collegamento grazie a cabine di regia che assicurano il continuo monitoraggio delle attività.
  I dipendenti di Comdata sono 12.000 nel mondo, di cui 7.000 in Italia, 1.800 in Romania e tutti gli altri in Turchia, Argentina e Repubblica Ceca, dove eseguono servizi per i mercati locali.
  Come vediamo l'evoluzione di questo mercato ? La tendenza negli ultimi anni da parte di molti clienti e, in particolare, da parte degli operatori delle telecomunicazioni è stata quella di ridurre in modo considerevole la loro spesa per i servizi di BPO, riducendo quindi il numero di chiamate, internalizzando alcune attività e abbassando in modo consistente i prezzi per compensare la costante riduzione dei fatturati. Questa riduzione sta continuando e noi pensiamo che continuerà, creando nel settore dell’outsourcing, nell'ambito dei processi di customer care, la continua necessità di riposizionamento su altri settori in controtendenza.
  Un altro elemento fondamentale dell'evoluzione del mercato è l'ingresso delle nuove tecnologie e dell'utilizzo di nuovi canali di contatto. Per ora questo fenomeno Pag. 16è poco significativo, ma assumerà una connotazione sempre più importante. Come in tutti i settori, questo elemento di innovazione porterà mutamenti considerevoli del modo in cui verrà erogato il servizio e, di conseguenza, del tipo di attività che dovrà essere sviluppata. Questo porterà a una continua necessità di formare nuovamente le persone che oggi operano nei servizi esistenti per poter essere impiegate nei nuovi servizi richiesti dai nostri clienti.
  Il passaggio a nuovi touchpoint di origine diversa aumenterà la necessità di rendere premium quanto resta del customer service fisico. In quest'ottica il mercato degli outsourcer appare destinato a concentrare i volumi verso pochi provider in grado di garantire alti livelli di qualità e affidabilità.
  Che tipologia di contratti abbiamo noi in Comdata ? In Italia i dipendenti a tempo indeterminato sono 6.500 su 7.000, ai quali si aggiungono circa 400 full-time equivalent, mediamente 5-600 persone l'anno, assunte come personale somministrato per rispondere agli andamenti ciclici del mercato e per le fasi di start-up delle nuove commesse.
  Comdata nel corso degli ultimi tre anni ha scelto, a differenza di molte altre aziende appartenenti al settore del customer care, di garantire un elevato livello di sicurezza occupazionale con la stabilizzazione di 2.500 contratti di lavoro nei dodici poli produttivi presenti in Italia. L'occupazione nel sito di Lecce è più che raddoppiata, con 1.050 dipendenti, è stato aperto il sito di Cagliari con 800 dipendenti e sono stati stabilizzati oltre 1.200 lavoratori nel Centro e Nord Italia.
  Mi preme aggiungere che noi, al contrario di moltissime aziende di questo settore, abbiamo una prevalenza di dipendenti nel Nord Italia, in particolare in Piemonte, dove abbiamo circa 2.500-3.000 persone.
  Inoltre, pur operando in un contesto caratterizzato da una grande variabilità dei volumi di attività ed elevata flessibilità per l'ottimale gestione dei servizi, l'azienda ha scelto di assicurare ai propri dipendenti una certa stabilità economica. In Italia il 50 per cento dei lavoratori ha contratti a 30 ore settimanali, il 12 per cento a 20 ore e il 38 per cento ha contratti full-time a 8 ore al giorno.
  Quest'ultimo è un dato che in parte ci preoccupa per il futuro, perché i servizi di front end e, quindi, di contact center sono in crescita, mentre quelli di back office sono in parziale contenimento, anche per la politica di internalizzazione di alcuni clienti. Il contratto full-time del call center non risponde alle esigenze di far corrispondere la presenza delle persone alle curve di traffico.
  Comdata non ha utilizzato il contratto di collaborazione a progetto dal 2005. Solo successivamente all'emanazione dell'articolo 24-bis e alla sottoscrizione dell'Accordo collettivo per la disciplina delle collaborazioni a progetto nell'attività di vendita di beni e servizi e di recupero crediti realizzati attraverso call center outbound, Comdata ha sottoscritto circa 90 contratti di collaborazione a progetto nelle sedi di Lecce e di Ivrea.
  Attualmente ci sono altri 310 lavoratori a progetto, esclusivamente per attività di televendita, nella società FlipCall. Tale società è controllata da Comdata, è nata nel 2011 ed è specializzata nell'erogazione di questi servizi e di recupero crediti.
  In Italia il customer care non è più un lavoro temporaneo, per un certo periodo della vita, come probabilmente è iniziato qualche anno fa. È sempre più il luogo della propria vita professionale. La dimostrazione di questo è il dato del turnover: negli ultimi quattro anni la percentuale di turnover è stata del 2,5 per cento all'anno, decrescente fino al 2 per cento. Oggi siamo al livello dell'1,5 per cento. Per fare un paragone, all'estero mediamente abbiamo dati di turnover del 4-5 per cento al mese e, quindi, quasi del 50 per cento all'anno.
  Chi sono i nostri dipendenti ? La percentuale di laureati è del 25 per cento, mentre gli altri hanno come titolo di istruzione il diploma di scuola media superiore. L'alto livello di scolarità permette alle aziende di garantire un buon livello di servizio in una professione caratterizzata Pag. 17da complesse competenze professionali. Gli operatori del customer care, infatti, devono avere buone conoscenze informatiche, ottime capacità di relazione, comunicazione chiara ed efficace e una conoscenza specialistica dei servizi gestiti, requisiti che fanno dell'addetto al call center un ruolo professionale qualificato, almeno per quanto ci riguarda.
  Per garantire il continuo miglioramento del livello di servizio, Comdata ha investito e continua a investire nella formazione dei propri dipendenti. Le ore di formazione erogate da Comdata nel corso dell'anno fiscale 2013-2014 ammontano a 98.000 ore di formazione operativa e a 3.100 ore di formazione manageriale.
  La percentuale di donne è del 67 per cento. L'età media dei dipendenti è di 36 anni, con differenze tra i vari centri: Lecce, che è più giovane, ha una media di 32, mentre La Spezia ha una media di 41 anni.
  Preme evidenziare che, a differenza di molte altre aziende del nostro settore, il gruppo Comdata ha fatto un uso molto limitato degli ammortizzatori sociali. Solo durante gli anni 2009-2010 e i primi mesi del 2011 c’è stato un ricorso alla cassa integrazione ordinaria e straordinaria per il personale indiretto per circa 60 persone, molte delle quali sono rientrate al termine della procedura.
  Una volta esaurita tale procedura, il gruppo non ha più fatto uso di alcun ammortizzatore sociale, fatta eccezione per la società Innovis, che sta usufruendo di contratti di solidarietà per circa 150 persone.
  Questo non esclude che possano esserci in futuro criticità in Italia, in particolare in relazione a due temi: il costo del lavoro superiore del 30 per cento rispetto a quello dei dipendenti medi di Comdata di alcune società del gruppo, che rende impossibile l'eventuale collocazione di queste persone su altri servizi, nel caso in cui i servizi che stiano erogando oggi siano in riduzione; e un'eccessiva dispersione sul territorio, come abbiamo visto prima, che potrebbe determinare, per i centri più piccoli una situazione di criticità legata a costi fissi troppo alti.
  Sul tema della delocalizzazione Comdata, come abbiamo detto, ha una presenza in Romania, Paese membro dell'Unione europea che ha recepito le norme europee in materia sia di lavoro, sia di protezione dei dati personali.
  In Romania lavorano oggi circa 1.800 persone. Fin da subito, da agosto 2012, Comdata ha ottemperato alle disposizioni contenute nell'articolo 24-bis del decreto legge n. 83 del 2012, convertito in legge nella legge n.134 del 2012, inviando formale comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Garante della privacy per informare le istituzioni a ciò proposte della volontà di collocare in Romania attività relative a nuove commesse o ad ampliamenti di commesse esistenti. Tutto ciò fino al momento in cui il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Garante della privacy hanno emesso i provvedimenti applicativi, chiarendo che per «Paesi esteri» si intendono solo Paesi situati al di fuori dell'Unione europea.
  Mi preme ricordare, in ogni caso, che il nearshoring di attività in Paesi dell'Unione europea può, nel momento in cui non provoca, come nel caso di Comdata, conseguenze occupazionali negative sul territorio nazionale, avere effetti positivi anche in Italia, in quanto consente di conseguire alte flessibilità richieste dalle attività che svolgiamo.
  Pur avendo Comdata usufruito di incentivi in occasione dell'apertura di due nuovi importanti centri nella regione Puglia e nella regione Sardegna, noi pensiamo che la politica sino a oggi seguita in tema di incentivi a sostegno dell'occupazione non sia stata del tutto efficace. Gli incentivi contribuiscono in massima parte a drogare l'offerta, in particolare quando non vengono utilizzati per migliorare strutturalmente la competitività aziendale, ma per ottenere commesse a prezzi ribassati, non sostenibili per la stessa natura temporanea degli incentivi.Pag. 18
  In altri casi hanno caratteristiche di retroattività, premiano comportamenti del passato, privilegiano certi tipi di stabilizzazioni rispetto ad altri e si rivolgono, dunque, solo ad alcune aziende.
  Noi pensiamo, quindi, che il sostegno migliore all'occupazione per i settori labour-intensive come il nostro sia da ricercarsi in una modifica della tassazione, più che in nuove forme di incentivi temporanei, localizzati su alcuni territori o finalizzati ad alcune aziende piuttosto che ad altre.
  È per questo che riteniamo che l'IRAP sia il punto chiave dal punto di vista della modifica della tassazione. L'IRAP, infatti, è una tassa odiata un po’ da tutti, ma, in particolare dal nostro settore, che ha nel costo del lavoro più dell'80 per cento del costo totale e può rappresentare veramente una distorsione del sistema fiscale.
  Infatti, pur apprezzando il recente intervento del Governo in tema di IRAP, per il nostro settore, caratterizzato da una sempre più ampia forbice tra una continua e molto significativa riduzione dei prezzi e un progressivo aumento del costo del lavoro, sarebbe auspicabile un'azione finalizzata a ottenere l'integrale deducibilità della base imponibile IRAP.
  L'IRAP viene calcolata e liquidata sulla base dell'ammontare dei costi per il personale sostenuti dalle imprese. Infatti, la base imponibile dell'IRAP è data dalla differenza tra la sommatoria delle voci di valore alla produzione e i costi della produzione, con l'eccezione dei costi del personale.
  Faccio un esempio: se una società che fattura 100 milioni di euro ha una redditività del 5 per cento, nel nostro settore paga, oltre che il 27 per cento di IRES, che vale circa 1,8 milioni, anche circa 2,5 milioni di IRAP, il che porta la percentuale di tassazione sull'imponibile a superare abbondantemente il 65 per cento. Ovviamente questo dipende dalla redditività dell'azienda e lascia poco spazio a eventuali risorse per fare ulteriori investimenti.
  Di conseguenza, per le nostre aziende e per tutte quelle labour-intensive la pressione fiscale complessiva risulta essere più alta del 50 per cento, come abbiamo già detto. Oltre alla riduzione del 10 per cento dell'IRAP, applicabile a tutte le aziende italiane, sarebbe opportuno, quindi, prevedere l'integrale deducibilità dalla base imponibile dell'IRAP delle spese per il personale e di quelle assimilate per tutte le imprese che sostengono questi costi in misura superiore al 60 per cento del complessivo ammontare dei costi di produzione.
  Ringrazio il Presidente Cesare Damiano e la Commissione tutta per averci convocato e per l'interesse che tutti voi dimostrate con questa indagine conoscitiva per l'attività del nostro settore.

  PRESIDENTE. La ringraziamo per la relazione, molto importante e interessante.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Vi ricordo che abbiamo tempo fino alle 16.

  WALTER RIZZETTO. Innanzitutto, grazie. Sicuramente sono d'accordo quando voi dite che gli incentivi contribuiscono a drogare l'offerta. È del tutto evidente, infatti, che, quando questi incentivi vengono a mancare, l'offerta e la domanda decadono. Questa è proprio una questione lineare.
  Sono d'accordo anche sull'IRAP, che, secondo noi, rappresenta la vera patrimoniale ai danni dell'azienda. Evidentemente il Ministro Visco, all'epoca, ci aveva visto abbastanza lungo.
  Passo alle domande. Sugli ammortizzatori sociali, voi parlate di una situazione di criticità legata ai margini troppo bassi a causa di costi fissi troppo alti. Volevo capire se questi costi fissi sono legati al mero costo del lavoro, che è già alto a sufficienza, o a quali altri costi fissi rispetto alla vostra attività.
  La seconda domanda è se in Romania esistono dei contributi, in questo caso, per avviare e per mantenere questo tipo di attività.
  Inoltre – domanda che ho fatto anche prima ai vostri colleghi – vorrei sapere Pag. 19che cosa pensate della Fondazione Ugo Bordoni e se, per esempio, i contatti che vengono chiamati dalla Romania sono soggetti al registro delle opposizioni.

  LUISELLA ALBANELLA. Relativamente agli ammortizzatori sociali, mi piacerebbe capire cosa intendete per «personale indiretto».
  Voi dite che, pur avendo Comdata usufruito di incentivi, pensate che la politica sino a oggi seguita in tema di incentivi a sostegno dell'occupazione non sia stata del tutto efficace. Potrebbe spiegare meglio come si potrebbero affrontare le criticità che lei espone sulla questione degli incentivi ?

  MARCO MICCOLI. Ho ascoltato i dati sulle ore di formazione erogate. La cifra è riferita al 2013-2014. Volevo sapere se è in media anche con i bienni precedenti e se, per via anche della vicenda dell'innovazione tecnologica o per altri fattori che riguardano la concorrenza, le cifre aumentano o diminuiscono oppure sono costanti su questi livelli.
  Inoltre, volevo sapere se – non l'abbiamo chiesto ad altri prima – questo livello di formazione è un picco che avete voi, che siete molto attenti alla formazione, oppure se è un dato che avete riscontrato simile ad altre aziende.
  Quando suggerite la riduzione dell'IRAP per le aziende che sostengono un costo per il personale superiore al 60 per cento sull'ammontare complessivo dei costi di produzione riguardo al personale, vorrei sapere se questa è una media che ricavate dalla vostra esperienza o una media riscontrabile, come costi di produzione sul personale, per tutte le aziende del settore.

  GIORGIO PICCOLO. Ho due domande. Capisco che in Romania siamo nell'Unione europea e, quindi, assoggettati alle direttive europee, ma, per quanto riguarda le commesse in quel territorio, ci sono anche commesse di clienti italiani ? Questa potrebbe essere, anche se mascherata, una forma di delocalizzazione.
  Sull'altra questione è già intervenuta la mia collega. Voi criticate molto la questione degli incentivi rispetto al territorio, rispetto al Mezzogiorno. In merito c’è un problema nel Paese. Stiamo parlando di attività che comunque possono essere allocate anche in sede diversa.
  Proprio in queste attività io credo che sia utile e giusto incentivare la possibilità di aprire più imprese nel Mezzogiorno. Ovviamente, non intendo imprese «mordi e fuggi». Dovrebbero esserci dei correttivi da questo punto di vista, ma eliminare questi incentivi intervenendo sulla fiscalità generale significa mettere tutti sullo stesso piano e non farsi carico del problema del gap esistente dal punto di vista dell'occupazione. L'impegno complessivo è di unificare il Paese.

  ANTONIO PLACIDO. Si è fatto cenno al turnover italiano rispetto al turnover degli altri Paesi in cui operate; mi sembra un dato assolutamente asimmetrico, vorrei capire il perché.
  In secondo luogo, avete fatto riferimento all'uso dei contratti di solidarietà in relazione ad aziende del gruppo che hanno costi del 30 per cento superiori. Vorrei capire che cosa significa questo riferimento.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Canturi per la replica.

  MASSIMO CANTURI, Amministratore delegato di Comdata S.p.a. Per quanto riguarda i costi fissi, non sono legati ai costi del personale, ma ai costi delle sedi. Come tutte le attività, la dimensione e, quindi, il raggiungimento di una massa critica sufficiente è fondamentale per ottenere delle economie di scala. Di conseguenza, ci sono alcune sedi particolari su cui abbiamo posto grande attenzione per valutare quanto sia sostenibile mantenere i costi fissi di tali sedi. Stiamo valutando, ovviamente, ipotesi di raggruppamento di sedi, in questo caso, non di riduzione.
  La Romania non ha contributi. Noi non abbiamo rapporti di alcun tipo con il Governo rumeno. Noi facciamo gli investimenti Pag. 20in Romania come li abbiamo fatti in Repubblica Ceca e in Turchia, dove abbiamo acquisito una società in particolare, oltre che in Italia, ovviamente. Questa era la domanda.
  Riguardo alla Fondazione Bordoni, purtroppo sono un po’ ignorante. Non so cosa faccia, ma, se si riferisce al registro delle opposizioni, questo riguarda le chiamate outbound e, quindi, tipicamente il teleselling, che noi non facciamo dalla Romania. Noi lo facciamo solo ed esclusivamente dall'Italia, dal Sud.
  Il personale indiretto è tutto il personale che serve per far funzionare le aziende, quindi i team leader, i supervisor, i capi centro. Nel 2010, nel riassetto organizzativo, noi cambiammo il rapporto tra il numero di questo personale e il numero dei dipendenti. Avendo un numero di dipendenti molto alto ed essendo cresciuto in maniera abbastanza abnorme questo tipo di struttura, decidemmo di riportarla a un valore più consono alle proprie caratteristiche.
  Sul tema delle criticità degli incentivi, ci è stato chiesto perché riteniamo che gli incentivi non siano la risposta giusta a questo settore. Intanto per l'uso che se ne è fatto in passato. Noi oggi ci confrontiamo con svariate crisi sul territorio nazionale, purtroppo principalmente al Sud, dove hanno abusato di questi incentivi, i quali tecnicamente servono per supportare, come diceva il suo collega, l'inizio dell'attività e per patrimonializzare le aziende e, quindi, renderle sufficientemente solide da poter affrontare sia sviluppo e, quindi, investimento, sia eventuali momenti di crisi. Ciò non è avvenuto e non sta avvenendo perché gli incentivi che vengono distribuiti secondo determinati criteri di legge vengono utilizzati principalmente per ridurre il prezzo.
  Come avete capito dall'audizione precedente, ma anche dalla nostra, la nostra è un'attività molto labour-intensive e quindi, il costo del nostro prodotto è il costo del lavoro. Diverso è dare un incentivo a una fabbrica che deve comprare delle macchine e trasformare del materiale in cui il costo del lavoro ha mediamente un'incidenza che varia tra il 10 e il 15 per cento e, in alcuni casi, è anche meno del 10 per cento, un conto è dare un incentivo a una società che ha nel costo del lavoro l'unico elemento di costo del prodotto. Considerato che l'incentivo, in quel caso, viene dato e non può essere distribuito a tutti, questo ha creato una distorsione del mercato.
  Che cosa comporta questo ? Comporta che, quando si finiscono gli incentivi, le società che hanno utilizzato questa tecnica – mettiamola così – di incentivi si trovano immediatamente a dover affrontare un problema: hanno costi che sono superiori al prezzo con cui hanno venduto e vanno in crisi. È quello che succede, purtroppo, tutti i giorni.
  Perché questo succede di più al Sud che al Nord ? Perché probabilmente al Sud oggi viene utilizzato molto di più questo elemento e, quindi, essendo le società piccole, si ritrovano immediatamente in difficoltà, quando finiscono i tre anni in cui hanno utilizzato questi incentivi.
  Noi, che abbiamo una dimensione molto più ampia, riusciamo in qualche modo, anche con l'innovazione dei prodotti e dei processi, a sopperire a questi problemi, anche se, devo essere franco, in alcuni casi è complesso, perché la differenza è in alcuni casi del 20 per cento. Gli incentivi assommano al 20 per cento del costo del lavoro. Praticamente sono i contributi. Ci ritroviamo così ad avere un 20 per cento di costo del prodotto in più cui dobbiamo sopperire in altri modi.
  La formazione è un dato medio. Per noi è un dato costante. Probabilmente è in crescita, ma lo è per un semplice motivo. Questo ci tengo a dirlo e la ringrazio per la domanda. Noi abbiamo utilizzato una filosofia che non è comune. Tipicamente in questi servizi si tende ad associare l'operatore che risponde al telefono al committente, anche perché deve rispondere in un dato modo. Noi abbiamo cercato, invece, di dare una connotazione un po’ diversa, dicendo: «Voi siete dipendenti della società. Noi vi garantiamo la capacità di essere associati a diverse commesse e a diversi clienti».Pag. 21
  Questo cosa comporta ? Comporta per noi grandi costi di formazione, ma comporta anche la possibilità che, nel momento in cui le commesse riducono il loro volume d'affari, noi riconvertiamo le risorse su altre commesse, cercando sempre di non creare esuberi di carattere strutturale. Ciò comporta, ovviamente, il ricorso alla formazione. Per noi la formazione è un'attività continua. Comporta anche la capacità di trasferire attività da un centro all'altro in funzione delle proprie capacità e della saturazione del centro.
  È per questo che ho puntato anche a spiegare che noi abbiamo delle regie centrali che permettono di verificare giornalmente la saturazione delle nostre 7.000 persone in Italia e 1.800 in Romania. Credo che questa sia una tipicità della nostra azienda.
  L'altra domanda riguarda il peso dell'IRAP. Quando parlo di percentuale sull'imponibile, tipicamente, un'azienda di trasformazione metalmeccanica ha un'incidenza del costo del lavoro del 10-15 per cento sugli utili, paga il 27 per cento di IRES e poi su quella piccola percentuale del costo del lavoro paga l'IRAP e quel 27 per cento arriverà al 29-30 per cento.
  Dato che per noi è tutto costo del lavoro il costo del prodotto, l'incidenza dell'IRAP è enorme. La nostra azienda paga 4,5 milioni di IRAP e mediamente altri 5 o 6 milioni di IRES. Fortunatamente, poi facciamo utile. Questa è la distorsione dal punto di vista fiscale.
  Facciamo l'esempio di un caso eclatante: se un'azienda non fa utili, paga l'IRAP e, quindi, dell'imponibile addirittura non si può calcolare la percentuale, ma può arrivare anche al 100 per cento, se questa era la domanda.
  Quello che proponiamo noi non è un'applicazione solo al nostro settore, che è tutto ovviamente in queste condizioni, ma anche ad altri settori che sono nella nostra stessa condizione, perché, così com’è iniquo per noi, immagino che sia iniquo per altri, che non conosco, peraltro.
  Dalla Romania noi serviamo clienti italiani. Concettualmente, quindi, delocalizziamo, secondo la definizione di delocalizzazione, anche se, come dicevo, vorrei puntualizzare che, essendo la Romania parte dell'Unione europea, credo che ciò sia conforme ai principi costituzionali. La Romania l'abbiamo scelta apposta, peraltro, proprio in quest'ottica.
  Sugli incentivi al Sud penso di aver già risposto. Gli incentivi, secondo me, servono se si garantisce la loro utilizzabilità per il loro vero scopo, ovvero quello di capitalizzare le aziende.

  RENATA POLVERINI. Posso fare una domanda ?

  PRESIDENTE. Prego.

  RENATA POLVERINI. Rispetto alla risposta che ha fornito al collega Piccolo, voi comunque su appalti italiani utilizzate i call center in Romania e, quindi, anche il costo del lavoro della Romania.

  MASSIMO CANTURI, Amministratore delegato di Comdata S.p.a.. Assolutamente sì. Fin dall'uscita dell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, che ha normato questo elemento, noi abbiamo comunicato dal mese successivo tutte queste attività e, tutte le volte che l'abbiamo fatto, abbiamo presentato la comunicazione, fino a quando il Garante della privacy ha dichiarato...

  RENATA POLVERINI. Scusate, però, ma, se l'incentivo è un elemento di concorrenza che chiamiamo sleale, anche questo è un elemento in questo senso. O no ? Vorrei capire.

  MASSIMO CANTURI, Amministratore delegato di Comdata S.p.a.. Ritengo di no, visto che tutti possono farlo.

  RENATA POLVERINI. Che vuol dire ? Possono utilizzare anche gli incentivi, laddove ci sono.

  MASSIMO CANTURI, Amministratore delegato di Comdata S.p.a.. Io non sono contro gli incentivi, ma contro l'utilizzo Pag. 22che è stato fatto degli incentivi. Se gli incentivi vengono utilizzati per fare dumping sui prezzi e, quando finiscono gli incentivi, l'azienda va in difficoltà o fallisce, come è successo e come succede, il problema si ripercuote, perché lo Stato paga gli incentivi e poi paga la cassa in deroga ed eventualmente ulteriori ammortizzatori sociali. Quindi, paga due volte.

  PRESIDENTE. Bene, abbiamo afferrato il concetto. Prego, concludiamo.

  MASSIMO CANTURI, Amministratore delegato di Comdata S.p.a.. Ci sono ancora due domande. Una è sul turnover. Perché il turnover italiano è diverso da quello estero ? Io credo che questa sia una dinamica, purtroppo, dell'occupazione del nostro Paese.
  Il turnover all'1,5 per cento per un settore come il nostro è assolutamente basso. In Turchia, un Paese che cresce del 4 per cento all'anno, il turnover medio è del 3-4-5 per cento al mese nel nostro settore. Mediamente è molto più alto che in Italia. Questo è lo specchio della crisi occupazionale del nostro Paese.
  Quanto al tema dei costi, noi su queste società sviluppavamo delle commesse che avevano dei prezzi adeguati a certi costi. Queste commesse si stanno riducendo. Pertanto, avremo il problema di dover riallocare queste risorse su commesse che hanno prezzi più bassi e, quindi, avremo un problema di costo da affrontare. Non è un problema occupazionale, ma di costo.
  Noi proporremo di trovare una soluzione al costo di queste risorse. Il tema occupazionale per noi è sempre l'ultima risorsa, visto anche quello che è successo in questi ultimi 4-5 anni.

  PRESIDENTE. Grazie, abbiamo terminato. Mi pare che dalle audizioni fin qui fatte emergano con prepotenza il tema della riorganizzazione degli incentivi e la distinzione tra internazionalizzazione e delocalizzazione. Naturalmente, sarà nostra cura tenere informate Comdata e le altre aziende e associazioni dell'evoluzione della nostra indagine, anche per arrivare a qualche conclusione.
  Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.