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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

XIII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 26 novembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sani Luca , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE RICADUTE SUL SISTEMA AGROALIMENTARE ITALIANO DELL'ACCORDO DI PARTENARIATO TRANSATLANTICO SU COMMERCIO E INVESTIMENTI (TTIP)

Audizione del Vice Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda.
Sani Luca , Presidente ... 3 
Calenda Carlo , Vice Ministro dello sviluppo economico ... 3 
Sani Luca , Presidente ... 10 
Gallinella Filippo (M5S)  ... 10 
Sani Luca , Presidente ... 11 
Taricco Mino (PD)  ... 11 
Sani Luca , Presidente ... 11 
Romanini Giuseppe (PD)  ... 11 
Sani Luca , Presidente ... 11 
Bordo Franco (SEL)  ... 11 
Sani Luca , Presidente ... 13 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 13 
Sani Luca , Presidente ... 13 
Anzaldi Michele (PD)  ... 13 
Sani Luca , Presidente ... 13 
Calenda Carlo , Vice Ministro dello sviluppo economico ... 14 
Sani Luca , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LUCA SANI

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Vice Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle ricadute sul sistema agroalimentare italiano dell'accordo di partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP), del Vice Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda.
  Saluto il Viceministro Calenda, accompagnato dalla dottoressa Di Mario, funzionario del servizio sindacato ispettivo Ufficio legislativo, e dall'avvocato Giovanni Rossoni, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Cedo immediatamente la parola al vice ministro per lo svolgimento della sua relazione.

  CARLO CALENDA, Vice Ministro dello sviluppo economico. Quando guardiamo al TTIP, accordo su cui c’è un grandissimo fiorire di paure, giuste in alcuni casi, in altri mitologiche, bisogna prendere un punto di riferimento, che non può essere altro che il mandato negoziale.
  Il mandato negoziale è un documento vincolante che attribuisce i poteri negoziali e definisce le linee guida in termini sia di interessi offensivi sia di interessi difensivi alla Commissione per negoziare il trattato. Questo mandato, fino a 15 mesi fa sostanzialmente segretato, come tutti gli altri mandati negoziali, è stato desegretato su iniziativa della Presidenza italiana e, in particolare, del sottoscritto, che è presidente di turno del Consiglio dei ministri del commercio estero dell'Unione europea.
  Perché il mandato è importante in questa discussione ? Certamente, il TTIP è un accordo che può presentare delle complessità, dei pericoli, ma bisogna capire quali di questi sono reali e contrastarli e in quali casi non lo sono.
  Prima di passare a un'analisi, a partire dal mandato, di quelli che sono stabiliti come interessi difensivi e offensivi, al di là del settore agricolo, su cui va fatta particolare attenzione, proprio perché oggi dazi e barriere non tariffarie sono molto alti da tutti e due i lati dell'Atlantico, come sono molto accentuate le differenze culturali riguardo al consumo di prodotti, vorrei preliminarmente dire che il mandato stabilisce, per esempio, con chiarezza che cultura, servizi pubblici, politiche pubbliche, welfare, tutta quest'area è esclusa dal negoziato e non solo dal negoziato con gli Stati Uniti, ma da tutti i negoziati che l'Unione europea porta avanti.
  Il trattato, inoltre, si configura e si configurerà come misto, in cui cioè la responsabilità anche in sede di approvazione non è esclusiva dell'Unione europea, Pag. 4e quindi della Commissione e del Consiglio, ma dovrà essere ratificato dai Parlamenti nazionali.
  Perché è importante dire questo ? C’è stato un grande dibattito sulla trasparenza del TTIP – che abbiamo ritenuto giustificato (c'era poca trasparenza) e per questo abbiamo declassificato il mandato – ma anche sulla sua approvazione. In altre parole, nel tempo è passata l'idea che questo Trattato potesse essere approvato attraverso un accordo tra Commissione europea e Office of the United States Trade Representative (OUSTR), che è la controparte americana, ma ciò non corrisponde al vero.
  Il processo di approvazione del trattato funzionerà in questo modo: una volta che sarà concluso, sarà firmato e, come si dice, parafato, vale a dire scritto, il Consiglio europeo dovrà approvarlo all'unanimità; il Parlamento europeo dovrà approvarlo; i Parlamenti nazionali dovranno ratificarlo. È, dunque, un Trattato nel pieno del controllo democratico sia delle strutture democratiche europee, Parlamento europeo, sia di quelle nazionali.
  Premesso ciò, in termini di prodotti agricoli e agroindustriali, prima di tutto gli interessi difensivi, il Trattato non cambierà il principio cardine per il quale oggi pollo alla clorina, carne agli ormoni e OGM non entrano in Europa, vale a dire il principio di precauzione, che ci divide dagli americani, i quali adottano il principio cosiddetto di evidenza scientifica (di fatto un'inversione dell'onere della prova).
  Negli Stati Uniti, per non autorizzare un prodotto, si deve dimostrare che è nocivo. In Europa, per autorizzare un prodotto, si deve mostrare che non è nocivo. Questo è un elemento sostanziale, perché evidentemente comporta che, in caso di dubbio, in caso l'evidenza scientifica non sia conclusiva, la Commissione e le competenti autorità europee possono vietare l'ingresso di un determinato tipo di prodotto. Questo è alla base della nostra normativa.
  Aggiungo che la normativa sugli OGM è, in qualche modo, in corso di innovazione. Come sapete, a giugno c’è stata una risoluzione del Consiglio, che di fatto comincia a spostare la competenza anche sul piano nazionale, un'ulteriore barriera, un ulteriore filtro di guardia per l'ingresso dei prodotti OGM. Ciò si concluderà – su questo credo che il ministro Martina vi abbia aggiornato (ho visto le speaking notes del suo intervento) – entro la fine dell'anno.
  Vi è, dunque, il mantenimento del principio di precauzione. Tengo a leggere in questo senso il mandato, a pagina 11 nella versione italiana: «Le disposizioni del capo SPS» – sostanzialmente, le misure sanitarie e fitosanitarie, capitolo entro il quale rientra la questione del principio di precauzione – «mireranno a migliorare i princìpi chiave dell'accordo SPS dell'OMC» (Organizzazione mondiale del commercio), «inclusa la prescrizione che le misure SPS delle parti devono essere basate su risultati scientifici e standard internazionali o valutazioni scientifiche di rischi, pur riconoscendo» – questa è la parte importante – «il diritto delle Parti di valutare e gestire il rischio conformemente al livello di tutela che ciascuna considera appropriato, in particolare quando le pertinenti prove scientifiche sono insufficienti, ma applicati solo nella misura necessaria per tutelare la vita o la salute umana, animale o delle piante e sviluppati in modo trasparente senza ritardi inutili». Questa è la parte del mandato che obbliga a mantenere il principio di precauzione nella negoziazione. Di nuovo, il mandato non è una linea guida. È totalmente vincolante. Per approvarlo, ci sono volute 18 ore di Consiglio europeo ed è approvato all'unanimità.
  Cos’è in ballo, dunque, nel TTIP per quanto riguarda l'agricoltura ? Sono in ballo due categorie di misure, che colpiscono moltissimo i prodotti italiani: da un lato, i dazi, cioè le misure tariffarie; dall'altro, quelle barriere chiamate non tariffarie.
  Sulle tariffe l'obiettivo dell'accordo è raggiungere un abbattimento, che si orienterà a essere totale. È plausibile, ciononostante, che proprio nel settore agricolo si mantengano alcune tariffe e quote – in Pag. 5particolare, penso a quelle relative alla carne bovina, ma non solo – e che, dunque, mentre sulla parte industriale ci sarà un abbattimento quasi totale delle tariffe, sulla parte agricola rimarranno alcune barriere.
  Ora, prendete questa come un'indicazione che deriva dai primi sette round negoziali, ma assolutamente non conclusiva, perché ciò fa parte, invece, della potestà della Commissione, salvo il processo di approvazione che vi ho descritto, di negoziare e discutere. Cosa possiamo fare per avere ancora più informazioni, dunque, su questo processo di negoziazione ?
  Vi ho detto dalla desecretazione del mandato. L'Italia ha chiesto alla Commissione la pubblicazione di un resoconto dei round negoziali. La Commissione, nel Consiglio commercio di venerdì, si è presentata dicendoci che è sua intenzione, entro la fine dell'anno, proporre un nuovo pacchetto di trasparenza che si basi sempre sul principio delle reading room, cioè del fatto che questi documenti non possono essere ovviamente disseminati sul Web, perché rappresentano anche le nostre posizioni negoziali, che credo non vogliamo gratuitamente dare alla nostra controparte, ma allo stesso tempo che si allarghi la platea di soggetti che possono controllare l'andamento delle negoziazioni.
  Di quest'ulteriore pacchetto di trasparenza, che va deciso secondo l'ufficio legale del Consiglio con il Consiglio, l'Italia ne fa la priorità dell'ultima parte del Semestre di Presidenza. Tutto il nostro lavoro, il mio lavoro da qui a dicembre nell'ultimo Comitato tecnico per le questioni politiche commerciali, sarà concentrato ad aiutare il commissario a far passare un nuovo pacchetto di trasparenza in maniera da fugare le paure che giustamente ci sono in Europa su questo tema.
  L'altra questione importante è che le altre commissioni del Parlamento europeo hanno individuato dei rapporteur sul TTIP. Nello specifico, la Commissione Agricoltura del Parlamento europeo ha indicato per tale ruolo l'onorevole De Castro, già presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo. Lui avrà pieno accesso ai documenti, ovviamente con un limite di riservatezza nel divulgare quello che vi leggerà. Ripeto che questa è una negoziazione, e non vogliamo dare gratuitamente ai nostri amici americani informazioni sui nostri interessi, ma egli avrà pieno accesso ai documenti negoziali.
  Quali sono gli interessi offensivi ? Se vogliamo, in questo caso sono molto più importanti di quelli difensivi, una volta che si è stabilito che gli OGM e le regole fitosanitarie qui non sono in discussione per due ragioni.
  Oggi, l'insistenza dei dazi sui prodotti agricoli e agroindustriali varia, arriva fino a cifre elevatissime, sul tabacco per esempio al 350 per cento, ma ha una media intorno al 10 per cento, quindi molto significativa. Considerate che tra il 2 e il 3 per cento è la media generale dei rapporti commerciali tra Stati Uniti ed Europa.
  Dall'altro lato, le non-tariff barriers pesano fino al 40 per cento in media, cioè sono enormi. Pensate cosa vuol dire provare a vendere un bene il cui costo di produzione, proprio grazie a tutto quanto va fatto per essere compliant con la normativa americana, costano a un produttore fino al 40 per cento. Stiamo parlando del secondo impatto in ordine di importanza settoriale dopo il settore tessile.
  Ho depositato un documento di Prometeia che misura l'impatto sui settori italiani, cioè sull'economia italiana, del TTIP a seconda delle varie configurazioni più o meno estensive, commissionato dal Ministero dello sviluppo economico, già depositato alla Commissione Attività produttive quando feci l'audizione sul TTIP. È importante, però, siccome è organizzato per settori, che possiate vedere cosa succede esattamente nel settore dell'agricoltura oggi e cosa può succedere.
  Oggi, le nostre esportazioni verso gli Stati Uniti sono significative. Stiamo parlando di 3 miliardi di euro circa, con una crescita costante e una crescita ancora più costante nel futuro. Nella buona analisi della SACE con l’Oxford Economics, il profilo della crescita della domanda internazionale Pag. 6sul settore dell'agroindustria mostra che, probabilmente, è in assoluto il settore in cui la domanda internazionale crescerà di più.
  Questo vuol dire che abbiamo l'esigenza, come Governo e credo come Parlamento, di dare più sbocchi possibili ai nostri prodotti. Siccome proprio sul settore agroindustriale e agricolo le barriere tariffarie e non tariffarie sono quelle che in generale colpiscono di più negli Stati Uniti (dopo il tessile) per ragioni storiche particolari, abbiamo bisogno dei trattati internazionali, altrimenti i nostri prodotti non vi avranno accesso.
  Credo che abbiate un quadro abbastanza chiaro delle barriere non tariffarie. Abbiamo problemi molto consistenti per quanto riguarda l'olio d'oliva e il prosciutto, su cui abbiamo lavorato per la tolleranza zero sulla listeria, ma non solo. Nelle barriere non tariffarie, infatti, il diavolo è davvero nei dettagli. Ad esempio, per quanto riguarda i prosciutti, l'Amministrazione americana fa il test della listeria bucando il prosciutto dalla cotica: evidentemente, essendo la listeria spesso annidata nella cotica, trovano valori di listeria superiori a quelli previsti per il consumo. Per loro, teoricamente, la cotica del prosciutto è consumabile.
  Abbiamo casi in cui, invece, sono le barriere tariffarie a colpire moltissimo. Penso al caso della pasta (anche su questo abbiamo un'analisi dettagliata, che poi ci farà piacere condividere) e penso all'ortofrutta. Di fatto, oggi è enormemente difficile esportare negli Stati Uniti. Deve esserci un importatore autorizzato e il processo di autorizzazione è lunghissimo. Stiamo parlando, dunque, di un mercato molto chiuso.
  A questo si affianca il tema dell’Italian sounding, su cui vorrei essere molto chiaro al di là di quello che si racconta o si legge sui giornali. Non c’è alcuna possibilità nell'universo di impedire a un produttore americano di chiamare un prodotto con un nome italiano. Vi cito un esempio a contrario: una società, che si chiama Original Marines, importa e produce da Nola e ha una bellissima bandiera americana con sopra scritto, appunto, Original Marines. È del tutto evidente che questo è a tutti gli effetti un American sounding, ma possiamo citarne diecimila, come Harmont & Blaine, che ha un nome anglofono. Cioè, una cosa è dare una informazione al consumatore che punti in qualche modo a ingannarlo sulla provenienza del prodotto, altro è la libertà di poter chiamare un prodotto in qualunque parte del mondo con un nome in qualunque lingua in cui ci piaccia chiamarlo. Questo non si può normare in nessun modo.
  Come si sconfigge l’Italian sounding ? Prima di tutto, c’è il lavoro che stiamo facendo sulle indicazioni geografiche. Molto di quella parte dell’Italian sounding che, invece, si orienta a costruire una confusione nel consumatore è legato al non riconoscimento delle nostre indicazioni geografiche.
  Ora, lo status delle nostre indicazioni geografiche in termini di riconoscimento è il seguente: l'Europa ne ha fatto una sua priorità di politica commerciale e, in generale, di nuovo, il mandato negoziale indica come un obiettivo prioritario offensivo il riconoscimento nella negoziazione con gli Stati Uniti. Su questo la partita è molto complessa, globale.
  Il consorzio dei nomi comuni, la struttura di lobby dei produttori, specialmente di formaggi, negli Stati Uniti, ma non solo di formaggi e prosciutti, sta di fatto cercando di escludere il riconoscimento delle indicazioni geografiche in tutti i Paesi con cui gli Stati Uniti stanno negoziando un trattato internazionale.
  Stiamo negoziando, ad esempio, con il Giappone un accordo di libero scambio che prevede il riconoscimento delle indicazioni geografiche: nel frattempo, gli Stati Uniti stanno negoziando con il Giappone nell'ambito di quello che viene chiamato il TPP, la Trans-Pacific Partnership, che raggruppa 11 Paesi del Pacifico più gli Stati Uniti, coi quali gli Stati Uniti stanno includendo nella negoziazione, anche se non formalmente, che nella nostra negoziazione non siano riconosciute le indicazioni geografiche, quindi è una grande partita.Pag. 7
  Per darvi la dimensione dell'interesse che suscita negli USA, è accaduto che, prima in 50, poi l'intero Senato americano ha scritto al negoziatore americano non solo dicendogli di non riconoscere le indicazioni geografiche, ma anche di smantellare le indicazioni geografiche in Europa essendo barriere non tariffarie. La partita è dunque estremamente complessa.
  L'anno scorso, abbiamo segnato due goal importantissimi, il primo dei quali è stato l'accordo col Canada. Il livello di riconoscimento delle nostre indicazioni geografiche in un Paese di lingua anglosassone ha raggiunto un traguardo molto significativo. In particolare, c’è stato il riconoscimento di circa 145 indicazioni geografiche, ma soprattutto sono stati regolati in maniera estremamente vantaggiosa i casi più controversi. Più controverso in assoluto era quello del prosciutto di Parma. Maple Leaf, un produttore nordamericano, da quarant'anni commercializzava un prosciutto che si chiama Parma Ham e questo impediva al nostro prosciutto di entrare come prosciutto di Parma: entrava in Canada come Original Prosciutto.
  L'accordo ha stabilito che il Parma Ham continua a essere commercializzato – è del tutto evidente che non si può pretendere che sia chiusa un'azienda che opera da quarant'anni – ma che il nostro prosciutto di Parma entrerà come prosciutto di Parma e si chiarirà che l'indicazione di dove il prosciutto viene prodotto deve essere ben evidenziata sulla confezione.
  Aggiungo a questo, molto importante soprattutto nei casi più generici, i casi dell'Asiago, della Fontina e del Gorgonzola, in cui ci sono produzioni locali. In Canada, un produttore che si chiama Sappino, il cui nome vi fa capire la provenienza, ha costruito un impero sui prodotti agroalimentari. Adesso vado a memoria, ma mi pare di ricordare che la sua società, quotata in borsa, ha un valore intorno ai 3-4 miliardi di dollari, per darvi la dimensione.
  Cosa è stato fatto nei casi più controversi su Asiago, Fontina e Gorgonzola ? È stato detto che si riconosce l'indicazione, il fatto che c’è una produzione esistente, ma che si applica una cosiddetta grandfathering clause, la quale stabilisce che dalla data di entrata in vigore dell'accordo non potranno esserci nuove produzioni di quei formaggi. A esso e a tutto l'accordo è associato il divieto cosiddetto di evocazione, cioè che siano costruite etichette packaging che possano disinformare il consumatore circa il luogo di produzione del formaggio, del prosciutto, dell'indicazione geografica.
  Lo schema di questo accordo è quello sulla base del quale stiamo cercando di impostare la negoziazione con gli Stati Uniti ed è e sarebbe un risultato straordinario per l'Italia pensando che i prodotti considerati in senso ampio dell’Italian sounding ammontano negli Stati Uniti a circa 24 miliardi di euro contro i 3 miliardi dell'esportazione italiana, anche se in questi 24 ci sono le casistiche che vi dicevo, cioè casi in cui sono semplicemente chiamati con nomi italianeggianti dei prodotti, pertanto non è una violazione dell'indicazione geografica come noi la consideriamo, ma semplicemente l'utilizzo di un nome italiano. Tuttavia, il riconoscimento delle indicazioni geografiche sul modello canadese offrirebbe ai prodotti italiani una straordinaria opportunità.
  Non possiamo, però, pensare di risolvere il problema dell’Italian sounding giocando solo in difesa. Come vi dicevo, un numero elevatissimo di casistiche sfugge a una regolamentazione di natura giuridica, non può essere regolata neanche nei trattati internazionali. Soprattutto, che ci sia riconoscimento delle indicazioni geografiche non vuol dire in nessun modo che il consumatore americano sappia cosa sia un'indicazione geografica. Al momento, il sistema delle indicazioni geografiche per il consumatore americano è totalmente sconosciuto.
  Io ho dovuto difendere le indicazioni geografiche con un editoriale scritto sul Wall Street Journal l'anno scorso, perché era sotto attacco proprio lo strumento delle indicazioni geografiche, che i consumatori americani considerano in qualche Pag. 8modo una struttura di natura protezionistica. Non capiscono perché quest'indicazione geografica dovrebbe dire che un prodotto è di qualità rispetto a un prodotto normale.
  Per questo, nel piano made in Italy recentemente approvato e utilizzando fondi sia del Ministero dell'agricoltura sia del Ministero dello sviluppo economico, il prossimo anno realizzeremo una campagna di contrasto all’Italian sounding negli Stati Uniti dell'importo di circa 30 milioni di euro. È la più grande campagna mai fatta nella storia dell'Italia di contrasto e di spiegazione di quale sia il valore delle indicazioni geografiche e dei prodotti originali italiani. Credo che questo sia il modo giusto di affrontare la questione, perché non si rivolge al consumatore americano solo parlandogli di una regola. Ripeto che questa regola, ancorché fosse riconosciuta nel Trattato con gli Stati Uniti, non avrebbe alcun valore di mercato se non appoggiata da una campagna di comunicazione.
  Adesso assoceremo un lavoro con la grande distribuzione organizzata. Abbiamo chiesto alla Prometeia un'analisi sul potenziale dei mercati internazionali per definire dove investiremo con il piano made in Italy. Direi che quest'analisi sul potenziale identifica sorprendentemente negli Stati Uniti il mercato a più alto potenziale in assoluto per l’export italiano, potenziale inespresso, non considerando la conclusione del TTIP, ma la situazione a oggi. Abbiamo, a fronte di esportazioni che arriveranno a sfiorare i 30 miliardi di euro, un potenziale aggiuntivo di 10 miliardi negli Stati Uniti.
  Il potenziale è un elemento positivo, ma anche negativo, perché vuol dire che non stiamo facendo il lavoro come dovremmo. Questo potenziale deriva dal fatto che abbiamo concentrato tutte le nostre attività di promozione sostanzialmente in tre città: New York, Los Angeles e Miami, come se gli Stati Uniti finissero sulle città costiere dell'ovest e dell'est. Il piano che abbiamo varato centrerà l'attività sul Midwest e sugli Stati ad alta crescita, primo tra tutti il Texas, dove non credo ci sia mai stata un'operazione di promozione del sistema produttivo italiano.
  Il secondo elemento per cui i nostri prodotti non entrano è la questione della grande distribuzione organizzata. Per un produttore di prodotti agroalimentari, piccolo o medio, negoziare con una grande catena come Kroger è assolutamente impensabile. Lì è la seconda parte del piano Stati Uniti, che ammonterà ad altri 30 milioni di euro, ovviamente non tutti nell'agroindustria, ma nel settore dei beni di consumo, e che lavora secondo uno schema che abbiamo testato quest'anno, che illustrerò brevemente.
  Si va da un distributore americano e gli si dice che siamo pronti a mettere un incentivo affinché compri più prodotto italiano, ovviamente sulla base del bilancio dell'anno precedente, ma che, del prodotto italiano che compra in più, una certa percentuale, che si definisce in sede di negoziazione, deve derivare da nuovi prodotti e nuove referenze. Successivamente, sulla base delle indicazioni delle referenze, come l'olio di oliva, parliamo con le associazioni di settore, ci facciamo dare il riferimento delle aziende che hanno sufficiente struttura dimensionale, di prezzo e di logistica per entrare nella distribuzione, li facciamo incontrare, così che questi prodotti entrano nella distribuzione americana. Abbiamo terminato adesso una sessione di questo genere sui beni di consumo a Milano, in cui più di cento buyer americani sono venuti e hanno incontrato 350 imprese italiane preselezionate: questo ha dato il via a contratti. La cosa importante di questo modo di promuovere è che non si parla di degustazioni nelle ambasciate, ma di un meccanismo lineare di aumento dell’export e delle referenze che entrano nella grande distribuzione organizzata. Questo è il piano che partirà il prossimo anno.
  Fatemi concludere offrendovi solo un flash sullo stato delle negoziazioni con gli Stati Uniti. Purtroppo, siamo in una situazione molto difficile, perché gli Stati Uniti stanno dando priorità a quello che vi raccontavo prima essere l'altro grande Pag. 9accordo negoziale, la Trans-Pacific Partnership. La ragione di questo è molteplice.
  Innanzitutto, hanno iniziato prima. L'accordo per il TTP è iniziato prima di quello europeo TTIP. La seconda ragione, però, è anche che in Europa ha cominciato a nascere un'opposizione dell'opinione pubblica molto forte al TTIP e questo per gli americani è un segnale che c’è scarso commitment europeo a chiudere l'accordo. Questa è la ragione per cui il Governo italiano, sia in Consiglio commercio sia a Brisbane, in occasione del G20, ha spinto molto perché fossero adottate delle conclusioni, dal Consiglio, e una dichiarazione, a Brisbane, che ribadissero l'importanza di chiudere rapidamente il TTIP.
  Se non lo chiuderemo entro il 2015, inizierà la stagione delle presidenziali americane e vorrà dire che ci troveremo a negoziare intorno al 2017 con gli Stati Uniti, perché è impensabile chiudere un accordo in piene presidenziali. A quel punto, se ben riflettiamo, avremo a che fare con degli Stati Uniti che saranno cresciuti più di noi – credo che i dati che leggete oggi sul giornale siano eclatanti – avranno avuto un surplus energetico ancora superiore a quello che hanno oggi e avranno chiuso un accordo con 11 Paesi del Pacifico, garantendo a chi produce negli Stati Uniti accesso a questi mercati.
  Ora, sapete che è in atto un fenomeno che si chiama reshoring: molto banalmente, quando la Cina entrò nel WTO (World Trade Organization), il differenziale di costo di produzione tra Stati Uniti e Cina, cioè tra un prodotto fatto negli Stati Uniti e uno fatto in Cina, consisteva in un prezzo 22 volte meno caro in Cina. Il prossimo anno questa distanza sarà intorno al 10 per cento. È cambiato un mondo.
  Quando si aveva un prodotto 22 volte più conveniente da produrre in Cina, la delocalizzazione ovviamente accelerava, mentre oggi sta cominciando il fenomeno opposto del reshoring e gli Stati Uniti stanno giocando questa partita da protagonisti. Se l'Europa non sarà in grado di mettersi sullo stesso piano giocando questa partita, fatta di condizioni più convenienti di produzione, ma allo stesso tempo di sbocco delle produzioni fatte qui, il rischio è che il reshoring delle aziende, anche quelle europee, non vada verso l'Europa, ma direttamente verso gli Stati Uniti.
  Questa è la ragione per cui il Governo italiano ha proposto un cambiamento della struttura del negoziato. La proposta è di guardare la ragione per cui ci sono delle differenze sostanziali ancora tra Stati Uniti ed Europa come in parte derivante da argomenti molto dentro la cultura dei due Paesi: gli OGM sono un esempio classico. È anche una questione economica, ma è soprattutto una questione di differenza culturale. Potrei citarvene delle altre dal lato americano. Per gli americani, il trasporto marittimo è, per ragioni storiche, un settore protetto, legato anche a molte competenze statali. La possibilità di aprirlo al traffico marittimo europeo è vicina allo zero.
  Abbiamo allora detto loro che possiamo anche continuare a negoziare per altri cinque anni, ma anche che gli OGM in Europa non entreranno mai, così come nel loro trasporto marittimo non entreremo mai, perché sappiamo che le condizioni politiche sono quelle che sono.
  Abbiamo allora proposto di raggiungere un interim agreement cioè un accordo su ciò su cui possiamo trovare un accordo: sulle tariffe; sul procurement – oggi, il procurement americano è chiuso a livello sia federale sia statale –; sull'energia – dobbiamo avere accesso illimitato, mentre oggi la vendita di shale gas e shale oil è limitata, soggetta a un processo autorizzativo, ma se ci sobbarchiamo il carico delle sanzioni alla Russia, è impensabile che gli americani ci rispondano dicendo che comunque l'energia non può essere liberalizzata nei rapporti con l'Europa tanto che su questo sia il Governo italiano sia la Commissione hanno preso una posizione molto dura –; sulla convergenza degli standard in sei settori (e già si è raggiunto un accordo tra le due sponde dell'Atlantico in termini di business community) e, infine, un accordo sulle indicazioni geografiche che sia ragionevole. Non pensiamo, infatti, di chiudere la produzione Pag. 10di Asiago negli Stati Uniti, come non succederà mai, ma vogliamo che sia riconosciuto il fatto che esiste un Asiago americano e uno nostro, originale, che ha caratteristiche diverse. Per noi, che qualcosa si chiami Asiago like cheese va bene, ma deve essere chiaro che è un Asiago like cheese, non un Asiago cheese. Su questo, stiamo orientando tutta la nostra spinta per dire che nel 2015 va chiuso un accordo, lasciando fuori le questioni più controverse, su cui non si raggiungerà un accordo, e subito su questo, altrimenti l'Europa dovrà trovare canali di accordo alternativi, segnatamente anche riflettendo sulla possibilità di aprire un FTA con la Cina, l'unica risposta su cui gli americani possono effettivamente rivalutare la loro timeline di negoziazione. Questo è lo status.
  Voglio ringraziare il presidente e voi per averci chiesto di venire. Fino a poco tempo fa, lo scambio tra Parlamento e Governo su questa negoziazione è stato abbastanza inesistente. Nell'ultimo periodo si è accentuato. È molto importante che ci sia, perché poi dovrete approvare e ratificare quest'accordo. Pensare a un accordo non ratificabile per la sensibilità politica degli Stati membri è semplicemente una fesseria, perché negozieremmo qualcosa che non può essere ratificato.
  Ovviamente, sono aperto a qualunque domanda.

  PRESIDENTE. Ringrazio il viceministro.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
  Inizia l'onorevole Gallinella.

  FILIPPO GALLINELLA. Ringrazio il viceministro. Come ha detto lei, se ne parla da poco tempo. Fortunatamente, si è cominciato. Meglio tardi che mai.
  Porrò poi una breve domanda, se posso, anche su un argomento collegato all’export dei prodotti italiani, in generale, e non solo di quelli agricoli.
  Entro nel dettaglio: nel mandato negoziale si parla di due temi che abbiamo ripreso nella mozione, che sono quello dell'arbitrato internazionale e dell'origine.
  Per quanto riguarda l'arbitrato internazionale, in un'intervista lei aveva ripetuto che non è possibile escludere a priori l'ISDS (Investor-state dispute settlement), perché ci si vuole inserire la questione dell'esproprio. Vorremmo dei dettagli, così saremo edotti anche su questo tipo di differenziazione. La paura che nutriamo, come tanti comitati da quando si è cominciato a parlare del trattato internazionale di libero scambio – giustamente, non si sapevano tante cose, trapelavano notizie e, come ha detto lei, magari in qualche caso anche sbagliate – è che questo strumento possa delegittimare le scelte di un Parlamento nazionale, immagino sull'etichettatura o su altre questioni.
  Con riferimento all'origine e all'etichettatura, mi chiedo tecnicamente come si potrà trovare un accordo sull'etichettatura dei prodotti, visto che abbiamo normative diverse, e quale sia il livello, del riconoscimento o del mancato riconoscimento delle DOP, che potrebbe indurre l'Unione europea a dire di no a questo Trattato. Lei ha parlato delle 155 riconosciute sull'accordo con il Canada: con 100 l'accettiamo, con 50 no ? C’è già un ordine di grandezza ?
  Ha parlato anche del piano di promozione dell’export del Governo (ne aveva accennato anche al convegno dell'Agrinsieme): sicuramente, è positivo lo stanziamento di 30 milioni di euro per partire, a cui se ne aggiungeranno, poi, ulteriori 30: I primi 30 saranno usati per spiegare quali siano i prodotti italiani, per farli conoscere, mentre i secondi saranno utilizzati proprio per creare una catena nella grande distribuzione. Ci appoggiamo a una distribuzione già esistente, per promuovere i nostri prodotti ?
  Questa partirebbe da subito, perché politicamente può anche darsi che il trattato di libero scambio con gli Stati Uniti possa non andare in porto per tanti motivi, anche da parte dell'Unione europea. Comunque, non tutti i Paesi, da quanto ho letto, sono favorevoli, ognuno per i propri motivi. In ogni caso, quello è un piano Pag. 11parallelo da perseguire. Questo, però, si potrebbe ripetere non solo con gli Stati Uniti, ma anche con altri partner, come il Sudamerica o direttamente la Cina. Esiste per il futuro anche questo piano ?
  Per quanto riguarda il rientro in patria, il reshoring, che lei ha richiamato, in ultimo Obama ha spinto molto perché le imprese tornino in patria. Noi dovremmo farlo, ma non rientrano perché non siamo competitivi sotto tanti profili. Mi chiedo se esista un'idea anche a questo proposito. Abbiamo finanziato la delocalizzazione: c’è un piano del Governo per far rientrare le imprese che si sono delocalizzate ?
  Infine, e concludo perché mi sono allargato anche troppo, sempre sull'origine e l'etichettatura, visto che adesso entra in vigore il nuovo Regolamento UE 1169/2011, vorrei sapere se vi è un piano del Governo per coprire la mancata possibilità di inserire lo stabilimento in etichetta, visto che non esiste un obbligo, perché, sicuramente, oltre alle DOP, potrebbe esser prevista qualche altra modalità per far sapere che un prodotto è italiano.

  PRESIDENTE. Do ora la parola all'onorevole Taricco.

  MINO TARICCO. Intervengo solo per una considerazione e una domanda, anche se è già stata accennata prima.
  Innanzitutto, la ringrazio per la chiarezza dell'esposizione, perché ci ha fornito un bello spaccato dello stato della trattativa. Dietro a quello che lei chiamava giustamente un approccio culturale molto diversificato, il tema degli OGM negli Stati Uniti come tema che da noi non è una questione tecnica, ma culturale, mi verrebbe da dire ontologica, credo che trasversalmente ci sia tutto il tema della trasparenza nei confronti dei consumatori.
  Se creiamo un meccanismo per il quale chi acquista sa cosa acquista effettivamente, poi compri ciò che vuole. Lo dico brutalmente in questi termini. Su questo tema c’è una riflessione in essere e, se sì, di che genere ?
  L'altra questione, già accennata, è l'arbitrato. Credo che una delle grandi preoccupazioni che rimangono, a volte esplicitata e a volte latente, sia che questo tipo di approccio si presti a un confronto tra territori e multinazionali talvolta non proporzionato rispetto ai mezzi messi in campo. Anche su questo tema mi piacerebbe sentire parole di chiarimento.

  PRESIDENTE. Do ora la parola all'onorevole Romanini.

  GIUSEPPE ROMANINI. Anch'io ringrazio il viceministro per la chiarezza dell'esposizione, per gli aspetti problematici e anche per il tema della strategicità di quest'accordo per la nostra agricoltura e per l'agroindustria.
  Ho una domanda tecnica, una curiosità. Ci ha spiegato il caso di Milano, delle 300 imprese che si sono confrontate con 150 buyer, ma nei piani del Governo chi è l'interlocutore di questi accordi con la grande distribuzione statunitense ? Mi pare che abbiamo problemi di carattere dimensionale e non sempre le associazioni di settore o i consorzi di tutela dei prodotti tipici possono essere i migliori protagonisti di questi accordi di carattere commerciale.
  La domanda riguarda proprio gli aspetti di problematicità e di strategicità e tutto quanto emerso soprattutto negli ultimi tempi sul tema dell'arbitrato, come ricordava anche l'onorevole Taricco. Penso che il Governo, per quanto riguarda le prospettive nei nuovi mercati, debba soprattutto investire nella comunicazione e nella informazione all'interno della comunità nazionale ed europea. Questo mi sembra un investimento altrettanto importante e fondamentale. Viceversa, non credo che, nemmeno se l'accordo avesse uno sbocco favorevole nei confronti dei partner oltre Atlantico, ci sarebbe la possibilità di arrivare a una sua conclusione qui in Italia e in Europa.

  PRESIDENTE. Do ora la parola all'onorevole Bordo.

  FRANCO BORDO. La ringrazio, sottosegretario, per la sua esposizione molto Pag. 12chiara, che devo dirle non fuga in me e nella forza che rappresento l'insieme di preoccupazioni che non sono dettate, come lei ha avuto modo nella fase iniziale di definire, da paura (infatti quando c’è la paura, ci sono comportamenti e ragionamenti non razionali), ma sono invece dettate da una serie di dati conosciuti e da mancanza di dati rispetto a elementi di conoscenza sul Trattato. Parlo di elementi ripresi, come lei sa, da rappresentanze importanti della nostra economia nazionale e della nostra agricoltura nazionale nonché, come è già stato ricordato da alcuni colleghi, direi da tutte le associazioni di consumatori del nostro Paese. Non penso che i comportamenti di tutte queste categorie rappresentative e corpi intermedi possano essere derubricati a un atteggiamento di ansia e paura.
  Non da molto tempo abbiamo avuto il primo momento di vera trasparenza. Soltanto recentemente, con questo passaggio nel mese di ottobre, appunto in occasione della derubricazione di come era stato impostato il mandato, abbiamo acquisito una serie di informazioni.
  Su questo punto, nella fase conclusiva, come ci ha illustrato in modo molto trasparente, ha sostenuto di non vedere bene questa possibilità di arenarsi del negoziato. Lo vedrebbe, appunto, come una situazione negativa per il nostro Paese e ha auspicato un cambiamento – ho scritto le sue parole – di struttura del negoziato. Questo presuppone una modifica del mandato negoziale o può presupporla ? Per deficit mio non ho capito e vorrei capire, anche da un punto di vista tecnico, come si modifica la struttura.
  Non mi dilungherò perché quella già sollevata dell'arbitrato è una delle questioni su cui c’è una fortissima preoccupazione da parte di chi, in modo particolare le nostre aziende, i nostri produttori, potrebbe trovarsi a subire questo tipo di impostazione. Non mi dilungherò su altre osservazioni già sollevate prima di me dall'onorevole Gallinella, che sostanzialmente condivido.
  Aggiungo un'osservazione. Per me, per l'agricoltura italiana, siamo di fronte a un periodo in cui si compiranno scelte importanti. Penso che saranno scelte che incideranno anche sul futuro di questo tipo di economia, di questo settore e anche, di conseguenza, sull'economia e sulle strategie del nostro Paese.
  Un approccio come quello, ovviamente, ha una sua motivazione, che però condivido poco, ma è condivisa da altri esponenti politici. Vorrei capire se si tratta di una strategia condivisa dal Governo. Dal Ministro Martina, quando lo incontriamo in audizione, abbiamo altri tipi di sensazioni e di sensibilità rispetto a quello che vuole essere il futuro e l'approccio al Governo per l'agricoltura.
  Cosa voglio dire ? Il nostro deve diventare un Paese contoterzista, che mette il bollino made in Italy su tutto ciò che può anche arrivare da fuori Italia ? Sostanzialmente, così contrastiamo, o meglio rinunciamo a contrastare l’Italian sounding perché avremo magari maggiori esportazioni e capacità di esportazione di un prodotto che poi non sarà più, se non quelli veramente di nicchia, un prodotto originale italiano. Penso che questa non debba essere la strada perché porterà, dopo un breve periodo, a essere perdenti anche sui mercati internazionali nel momento in cui non c’è la volontà di contrastare in modo significativo l’Italian sounding.
  A me, onestamente, non pare bene arrendersi di fronte al fatto che negli Stati Uniti debba esserci l'Asiago americano. L'Asiago è di proprietà della comunità di produttori di quell'area, di Asiago. Dal mio punto di vista, questo deve essere affermato nelle trattative. Se non posso usare l'espressione Coca Cola italiana, devo affermare che, appunto, Asiago ha la stessa valenza del termine Coca Cola.
  Aggiungo una battuta sugli OGM. Per questa Commissione, ma anche per gli atti votati da questo Parlamento, non è una questione di cultura, signor sottosegretario, ma di economia. Così abbiamo affermato nei nostri documenti e negli atti e così il Ministro Martina ci assicura che si sta comportando anche nella gestione del Semestre europeo sulla partita relativa agli OGM.

Pag. 13

  PRESIDENTE. Do ora la parola all'onorevole Russo.

  PAOLO RUSSO. Per parte mia, poca è la meraviglia per la lucidità e la chiarezza dell'esposizione del viceministro Calenda. C’è apprezzamento per il lavoro che si sta svolgendo, semmai la sollecitazione è: fate e fate presto. Ovviamente, questo non esclude di sollecitare valutazioni su criticità che pure mi pare ci siano e stiano emergendo proprio per la complessità della trattativa in campo. Vorrei segnalare subito due di queste.
  Guardi, viceministro, io appartengo a una forza politica che non ritiene l'OGM il male assoluto ma, in una prospettiva di produzione del nostro Paese, assolutamente inutile e dannoso per il nostro modello di approccio alla produzione agricola, non mi spavento per trattative che abbiano un profilo di assoluta chiarezza rispetto alle opzioni che hanno i consumatori. Mi spiego meglio.
  Il tema non è OGM sì o OGM no: basta che sia chiaro. Il tema per noi italiani è che non ci serve la produzione OGM perché abbiamo uno straordinario patrimonio fatto di tradizioni, di eccellenze, di marchi e su questo fronte vogliamo continuare la nostra prospettiva agricola.
  A questo proposito, il Viceministro ha offerto con grande garbo a questa Commissione anche il tema del combinato disposto di una resistenza, che egli registra e che noi misuriamo, sui prodotti a marchio nel mercato americano. Se a questa resistenza per i prodotti a marchio, che rappresentano non soltanto 7 miliardi di export per il nostro Paese, ma un elemento di centralità di quella prospettiva agricola del nostro Paese, sommiamo un'iniziativa – me lo consentirà – indistinta di promozione all'estero, hai voglia a sentire marchio e poi sentiamo che marchio non è, e poi ombrello e poi capiamo che ombrello non è, e poi distintivo e comprendiamo che nemmeno distintivo è.
  Il risultato sarà di un'importante, imponente azione di marketing sui mercati americani che trascina il prodotto italiano. Trascinando il prodotto italiano, però, il rischio che solleviamo è che possa penetrare più facilmente su quei mercati la passata di pomodoro, che, come immagino lei sappia, ci viene per l'80 per cento da prodotto cinese, la mozzarella di bufala non campana DOP, ma quella fatta legalmente in Italia con cagliata ucraina e giù di lì, i vini a basso costo, così gli oli, così quant'altro.
  Nel ribadire l'apprezzamento per il lavoro e, soprattutto, come questo trattato sia indispensabile e strategico per la prospettiva del nostro Paese, la solleciterei però a darci qualche ulteriore elemento di tranquillità e, soprattutto, a porre ulteriore attenzione sul fronte di una proiezione tutta politica, che indicherebbe per il nostro Paese un'agricoltura totalmente diversa, che probabilmente avrebbe anche qualche vantaggio in una prima fase, ma che sarebbe indistinta e non riconoscibile rispetto alle agricolture degli altri Paesi e, addirittura, massificata nel modello di Europa che a noi nemmeno interessa: quella di un'agricoltura tutta uguale, che non riconosce le straordinarie distinzioni e le straordinarie eccellenze del territorio. Solo per questo, mi permetto di invitarla, conoscendo la sua sensibilità, a ulteriori elementi di riflessione su questo fronte.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Russo e do la parola all'onorevole Anzaldi.

  MICHELE ANZALDI. Ringrazio il Viceministro. Ho solo un flash. Vorrei sapere, visto che il Viceministro ha precisato che, secondo lui, una delle strade principali è quella della comunicazione, se esista un piano di comunicazione e, in particolare, se si sia pensato a una comunicazione come quella molto in voga quand'ero bambino, per capirci, dei film con il pacchetto delle Marlboro, la bottiglia di whisky e così via, chiaramente di segno inverso.

  PRESIDENTE. Aggiungo una domanda che esula dal TTIP, ma che si rifà a ciò che diceva l'onorevole Russo e, da ultimo, anche l'onorevole Anzaldi. La scorsa settimana, abbiamo avuto modo di sentire Pag. 14l'Istituto nazionale per il commercio estero. A questa Commissione preme, com’è ovvio, l'aspetto della promozione del nostro agroalimentare. Su questo negli ultimi anni c’è stata un po’ di confusione sui soggetti cui competeva effettuare questo tipo di promozione.
  L'esperienza di Buonitalia non è stata ancora risolta, come sappiamo, rispetto alla gestione del personale che proviene da quella realtà. È riconosciuto un ruolo alle camere di commercio all'estero, ma su di esse il Governo ha assunto un'iniziativa della quale vorremmo capire che ricadute possa avere anche rispetto alle realtà che sono all'estero. Vorrei capire se nelle attività di razionalizzazione dei soggetti ci sia anche un'iniziativa che riguardi il settore di cui ci occupiamo.

  CARLO CALENDA, Vice Ministro dello sviluppo economico. Vi ringrazio molto degli spunti, che sono molti e interessanti.
  Parto con un tema toccato sia dall'onorevole Gallinella, sia dall'onorevole Taricco, sia dall'onorevole Romanini, sia dall'onorevole Bordo, il tema dell'ISDS, Investor-state dispute settlement, la clausola che consente, in alcuni casi ben determinati, a un investitore di chiamare in causa attraverso il meccanismo dell'arbitrato internazionale uno Stato per provvedimenti di una data natura. Dipende da come è scritta la clausola. Mi spiego meglio.
  Prima di tutto dico che le paure e le spiegazioni certe volte sono irrazionali. Vedete, l'ISDS è un problema, perché se scritta in maniera sbagliata, può aprire il vaso di Pandora di una serie di iniziative di richiesta di indennizzo da parte delle multinazionali non accettabili, ma sta di fatto che oggi abbiamo la clausola ISDS. In Europa, esistono 1.400 bilateral investment treaties, cosiddetti BIT, accordi bilaterali d'investimento, che contengono la clausola ISDS. Questo è il primo punto.
  Il secondo punto è che le società che più usano la clausola ISDS sono europee, non americane.
  In terzo luogo, un numero molto significativo di richieste di adire l'arbitrato viene da una società di uno Stato europeo contro un altro Stato europeo. Significativamente, una delle azioni più eclatanti è stata quella della società svedese, mi pare la Vattenfall, contro il Governo tedesco sulla chiusura delle centrali nucleari.
  È un po’, mi perdoni il parallelismo, la questione dell'Asiago. Oggi, gli Stati Uniti producono Asiago e noi possiamo avere due approcci: dire che è sbagliato che producano Asiago, che mi rendo conto che ci rende tutti molto soddisfatti interiormente, ma poi non cambia di una virgola il fatto che gli Stati Uniti producano e vendano Asiago, o cercare di trovare delle soluzioni pragmatiche.
  Torno all'ISDS: qual è il punto di caduta ? Dobbiamo avere questa clausola perché, se chiudiamo un accordo, come stiamo facendo con la Cina sugli investimenti o col Vietnam per l'accordo di libero scambio, Paesi in cui la presenza dello Stato nell'economia è fortissima, e non possiamo proteggere un nostro investitore che abbia a che fare con il tribunale di un Paese che rischia di condannarlo sulla base di un principio di discriminazione, possiamo anche non chiudere quegli accordi, perché non avranno nessuna possibilità di enforcement.
  Quale strada va trovata ? Bisogna avere una clausola ISDS, ma, come dice il mandato negoziale, che non deve pregiudicare il diritto dell'Unione europea e degli Stati membri di adottare e applicare, conformemente alle loro rispettive competenze, le misure necessarie al perseguimento non discriminatorio di legittimi interessi di politica pubblica negli ambiti sociale, ambientale, della sicurezza nazionale, della stabilità del sistema finanziario e della sanità pubblica. L'accordo deve rispettare le politiche dell'Unione europea e degli Stati membri per la promozione e la protezione della diversità culturale. Ciò significa che nella scrittura di questa clausola ISDS bisognerà fare un passo avanti rispetto alla situazione di oggi, vale a dire limitarla ai casi in cui ci sia in sostanza una discriminazione tra un investitore nazionale e uno internazionale o un esproprio per il quale non è previsto un indennizzo.Pag. 15
  Questa è la posizione del Governo italiano, ma attenzione, perché cerchiamo di ignorare un fatto che forse dovrebbe interessare molto politiche che stanno attente alla giustizia sociale: rischiamo di sollevare questo problema adesso, ma finché sono state le aziende francesi, tedesche o svedesi a usare questa clausola rispetto ad altri Paesi più deboli, come nel caso Veolia con l'Egitto, non c’è stata una voce in Europa che si sia alzata per difendere questo principio. I francesi lo stanno mettendo in discussione adesso perché stiamo negoziando con gli americani, ma non l'hanno messo in discussione quando negoziavano con gli egiziani.
  Francamente, tornare a un principio per il quale, come sapete, oltre la linea tutto è consentito, mi sembra moralmente discutibile e non giustificabile secondo ogni punto di vista. È questa la ragione per cui la posizione francese e quella tedesca sono ipocrite, perché non dicono che smantellano i loro BIT perché l'ISDS è sbagliato in assoluto, ma si tengono le loro clausole, così possono rivalersi contro tutti i Paesi più deboli. Quando, però, hanno a che fare con un continente di pari forza, allora è meglio di no.
  Quest'atteggiamento è miope. Quando ci negozieremo, sarà la Cina a fare a noi questo discorso, chiedendoci come pensiamo di voler imporre loro una clausola ISDS che non abbiamo inserito nel trattato con gli americani. Lavoriamo sul concreto di quello che c’è dentro, non sulle dichiarazioni di principio, che vanno bene quando i princìpi sono rispettati da tutti, non quando lo sono solo nei confronti dei forti e non nei confronti dei deboli.
  Quanto al riconoscimento delle DOP e delle IGP, non sono in grado di definire preliminarmente la soglia sulla base della quale potremmo accettare o meno il trattato nel suo insieme, perché sarà una valutazione di tutti gli interessi ponderati lì dentro. Sarà fatto, come abbiamo fatto nel caso del Canada, in primo luogo lavorando con i consorzi. L'Asiago, per esempio, nell'accordo col Canada ha ottenuto una cosa molto importante, la grandfathering clause di cui vi ho raccontato. Se, però, l'Asiago non lo riteneva sufficiente, avrei comunque approvato l'accordo, per il prosciutto, per le 145 indicazioni geografiche e così via.
  Torno sul tema dell'Asiago. Il mio, e credo il nostro lavoro, è quello di migliorare le condizioni esistenti per i produttori italiani. Qui partiamo da un sistema che non riconosce le indicazioni geografiche, non da uno che stiamo negoziando se ne riconosce un po’ meno o un po’ di più. Non le riconosce tout court.
  Inoltre, certo, l’Italian sounding va combattuto e nessun Governo della Repubblica italiana ha messo in campo le risorse che stiamo mettendo noi per farlo. Ho posto – lo sapete perché ne parlammo l'anno scorso – il veto, primo caso, alla ratifica dell'accordo coi Paesi del centro America, perché il Consortium for common food names americano aveva fatto opposizione alla registrazione delle nostre indicazioni geografiche.
  Pertanto, sulla base di un cavillo tecnico, ho posto il veto alla ratifica finché non fossero riconosciute le nostre indicazioni geografiche. Ho anche subito una minaccia di procedura d'infrazione dalla Commissione europea, ma le ho risposto che potevano anche procedere con l'infrazione, ma che non avrei ratificato un accordo se le indicazioni geografiche non fossero state riconosciute sulla base dell'opposizione di consorzi americani, che, sotto mentite spoglie, facevano opposizione. Mi pare che fossero Nicaragua, Costarica e non ricordo chi altro. Abbiamo ottenuto lo sblocco della situazione. Nessuno sarà più assertivo di noi lo abbiamo dimostrato nel difendere questo assertivo, però, significa anche essere capaci di capire quale sia l'obiettivo raggiungibile. Se mi si chiede, infatti, di dire agli americani che devono impedire a Pizza Hut di chiamarsi così perché pizza è un nome italiano, posso garantire che questo non ha nessuna base giuridica, come ho dimostrato.
  Lasciamo stare la pizza. Quando i 24 miliardi di Italian sounding hanno a che fare con un'informazione sbagliata data al consumatore o un non riconoscimento di Pag. 16indicazione geografica, dobbiamo combatterlo fino alla fine. Quando si tratta di chiamare il prodotto col nome che si vuole, bisogna fare attenzione, perché lo fanno tutti. Andate a farvi un giro dei negozi italiani qui sotto, a via del Corso: ci sono più nomi americani che italiani e sono tutti italiani. Di questo si tratta, di mirare bene l'obiettivo, come sull'ISDS.
  Ripeto che vale in entrambi i casi. Oggi, l'ISDS c’è e ci espone molto più di quanto ci esporrebbe nella versione, per esempio, che abbiamo approvato nell'accordo col Canada. Oggi, le indicazioni geografiche non sono riconosciute in America e l'accordo sul modello del Canada sarebbe un passo avanti siderale. Metterei la firma domani mattina per raggiungerlo.
  Come sapete, a livello europeo il made in non è più competenza del Consiglio commercio, quindi non è nella mia area di responsabilità. La situazione è molto semplice, se vogliamo molto complessa. Oggi, ci sono due blocchi di Paesi: nordici e del sud Europa, con la Germania in mezzo. Quelli del nord sono Paesi sostanzialmente importatori; quelli del sud sono sostanzialmente Paesi produttori, con l'aggiunta della Polonia, una variabile importante perché ha un peso significativo.
  La Germania, che fino a un certo momento era stata un Paese molto allineato con quelli industrialisti, si è progressivamente spostata verso quelli importatori, perché è molto più integrata nel global value chain, che non considero per definizione un fatto positivo. Sostengo, invece, che la nostra scelta di tenere più produzione in Italia sarà vincente sul medio e lungo periodo proprio per la ragione che dicevo dei nuovi consumatori e del reshoring. Allo stesso tempo, però, oggi c’è una maggioranza di Paesi che non vuole questa clausola. Il Governo italiano, come sapete, a livello di Presidente del Consiglio – ripeto che non è nell'area di mia competenza – si è impegnato a fare di tutto per arrivare a convincere la Germania a darci questo passaggio, anche in una forma intermedia, limitata ad alcuni settori, anche qualcosa che introduca il principio, che io considero di civiltà.
  Apro e chiudo la parentesi. All'epoca, lavoravo in Confindustria e ho fatto in prima persona una battaglia per convincere il commissario Mandelson, che era liberista, a presentare questa proposta, cosa che riuscimmo a fare, ma poi fu bocciata se non mi sbaglio per un voto. Nessuno più di me, quindi, è committed nel fare qualunque cosa si possa fare su questo.
  Gli OGM sono una questione culturale ontologica o economica ? Qui forse mi sono espresso male. Ritengo le questioni culturali e ontologiche molto più forti di quelle economiche, che possono sempre avere un contro bilanciamento da altre questioni economiche. Si può sempre dire: fammi entrare gli OGM e io domani ti spalanco tutti gli altri mercati. Per le questioni culturali non è così, perché risiedono nel sentire profondo di un Paese.
  Al di là di come singolarmente ognuno di noi può pensarla sugli OGM, questi sono considerati dal popolo italiano, nella sua larghissima maggioranza, come un fattore negativo per ragioni culturali, non economiche. Anche se spiegassi loro, e probabilmente sarebbe anche vero, che costerebbe meno una serie di prodotti, direbbero che non li vogliono. Ciò è largamente condiviso in Parlamento, e quindi, quando dico un'opposizione culturale e aggiungo, perché mi piace molto, ontologica, dico molto più forte di quella economica, che pure esiste, quindi vi do un livello di forza di avversione superiore.
  Vi è poi un'ulteriore questione ha a che fare col piano che stiamo portando avanti. Non è legato al TTIP. I 10 miliardi di euro di export potenziale ci sono senza TTIP. Col TTIP aumenterebbero, ma adesso stiamo parlando della situazione attuale. Partirà subito. Gli interlocutori sono quelli indicati nella cabina di regia, praticamente tutto l'universo possibile e immaginabile, dalle cooperative alla Confindustria, alla Confcommercio. Non posso metterne più di così nella cabina di regia.
  È chiaro che abbiamo fatto degli incontri su tale questione, sia con la Coldiretti sia con la Confagricoltura. Sono stato ad un incontro con l'Agrinsieme ad Pag. 17esporre le basi di questo piano. Saranno tutti coinvolti. Devono fare un lavoro di selezione delle imprese, perché non tutte possono entrare nella grande distribuzione. Non ci sarà bisogno di cambiare il mandato negoziale, che stabilisce dei limiti che, come vedete, sono molto stringenti. Nello spirito totale del mandato negoziale, dobbiamo evitare di perder tempo a discutere di cose che non ci saranno in quest'accordo, perché abbiamo noi o loro delle red lines.
  Ho detto che le paure irrazionali sono comprensibili. Le paure sono tali quando hanno motivo e quando non lo hanno. Sulle associazioni di consumatori cito a esempio una puntata di Report a cui sono intervenuto. Il postulato era: cosa succederà quando mangeremo polli alla clorina, manzo agli ormoni e OGM ?
  Quando ho fatto la mia intervista, ho detto che mi dispiaceva dare una delusione, ma che nel mandato, desegretato, si dice che questo non accadrà in forza del TTIP, com’è evidente. Lasciamo perdere il fatto che sia scritto nel mandato, ma secondo voi oggi, se fossi il commissario europeo e aprissi agli OGM, che possibilità avrei di vedere l'accordo ratificato da 28 Paesi ? Zero. Vedete noi, la Francia, la Spagna ratificare un accordo che fa entrare gli OGM ? No.
  Basterebbe un Paese, per cui non è solo una questione vincolante scritta nel mandato, ma anche una questione di logica. Questo non potrà entrare in forza nel mandato, perché nessuno vuole farli entrare. L'Unione europea sta andando nella direzione opposta, addirittura, di dare agli Stati il potere di non farli entrare anche se autorizzati a livello europeo.
  La risposta è stata che così non ci sarebbe stata la trasmissione e si è proposto un vote if: cosa succede se invece entrano. Questo modo di procedere è sbagliato. O riteniamo di agire in un contesto in cui c’è una norma, una procedura di approvazione, un documento ufficiale del Consiglio vincolante e ci regoliamo o come si fa una discussione chiedendosi cosa faremo benché il Consiglio dica che non possono entrare, lo dica il mandato e noi poniamo comunque quel caso ? Come si fa una discussione così ? Nonostante tutte le evidenze, si dice che, comunque, ci si farà corrompere dalle aziende americane e si faranno entrare gli OGM: allora, basta. Cosa devo fare ? Lasciamo perdere.
  Guardate, ho incontrato le organizzazioni non governative (ONG): sono sempre stato disponibile per tutti. Sono andato recentemente al convegno dell'ONG Stop TTIP: fino a oggi, non ho incontrato una persona che mi ha dato un'argomentazione strutturale, dimostrata da un numero, che quest'accordo è pericoloso per noi. La clausola ISDS è l'unico elemento vero, ancorché nel mandato sia chiaramente individuato il perimetro di applicazione.
  Facciamo discussioni finché volete, ma vi prego, facciamone basate sulla realtà. L’export verso gli Stati Uniti è circa tre volte quello verso la Russia. Nel momento in cui le variabili geopolitiche chiuderanno alcuni mercati, se non saremo in grado di dare alle nostre imprese sbocchi alternativi, perderemo l'unico contributo positivo alla crescita del PIL che abbiamo, l'unico (Commenti).
  Il mercato russo oggi è chiuso per i vostri prodotti, non per gli altri, ma nel momento in cui si chiuderanno questi mercati, quando per variabili geopolitiche alcuni mercati chiuderanno e non si apriranno, come il Mercosur, ad esempio in Brasile. Provate a esportare qualcosa in Brasile, good luck !
  Pertanto, o assicuriamo un accesso che possa produrre un bilanciamento o rischiamo di veder deperire l'unico settore che oggi tira, che è quello delle esportazioni. Gli Stati Uniti sono il primo mercato sia come potenziale sia per facilità di essere raggiunto rispetto, per esempio, al mercato cinese per le piccole e medie imprese.
  Il marchio è l'altro tema molto importante.
  Il marchio, come sapete, non può essere obbligatorio, e quindi è un marchio, per definizione, o un segno distintivo, come vi pare, facoltativo. Il mio ragionamento Pag. 18è questo: qualunque cosa sia facoltativa, ha intanto un valore in quanto si costruisce il valore con campagne di comunicazione. Se domani lancio il marchio «Italian quality» – dico per dire, un'altra Commissione se ne sta occupando – ma dico che è facoltativo, mi spiegate perché un'impresa dovrebbe mai usarlo ? Soprattutto, quando vedrà sullo scaffale un prodotto con la scritta Italian quality, che non potrà essere più grande dell'etichetta, cosa capirà il consumatore americano se qualcuno non glielo spiegherà ?
  È questa la ragione per cui la prima cosa che va fatta, come in tutte le iniziative che hanno a che fare con il rebranding di un prodotto – è di questo che stiamo parlando – è costruire il valore di un marchio. Noi abbiamo il made in Italy, quindi bisogna stare attenti quando si costruiscono altri marchi. Bisogna farlo prima costruendo il valore e poi dicendo alle imprese che facciamo una campagna da 30 milioni di euro negli Stati Uniti, la più grande mai fatta, e che, usando un segno distintivo o marchio, avranno il vantaggio di farsi ricondurre a quello che adesso i consumatori americani considerano come prioritaria perché l'ho messo all'interno del Superbowl.
  Qualunque operazione a qualunque livello che abbia a che fare con un segno distintivo vale se si costruisce il valore di quel segno prima di farlo. Quello che trovo – scusate l'espressione diretta, ma credo che qui siamo tutti per parlarci apertamente – risibile è lanciare un marchio, un segno distintivo, qualunque cosa immaginiate, prima di aver chiarito ai consumatori se ha un valore o meno.
  Diventerebbe l'ennesimo marchio fatto in Italia, che non serve assolutamente a niente, dove ci facciamo tra ministri e viceministri una bella conferenza stampa per dire che ci difendiamo dal fenomeno del cosiddetto Italian sounding e si risolve per le imprese nello zero. Personalmente, non sono disponibile a questo tipo di attività, mentre lo sono a costruire qualcosa con l'ICE, il soggetto che lo farà e che non farà direttamente la campagna promozionale. Nella vita, bisogna anche capire le cose che si possono e quelle che non si possono fare.
  Indiremo una gara europea aperta esclusivamente a grandi player internazionali, sicuramente con sede negli Stati Uniti, possibilmente con l’headquarter negli Stati Uniti, per quest'attività di promozione del made in Italy. L'ICE sarà l'ente che indirà la gara europea insieme a noi, ma non metto nelle mani di una struttura non specialistica, che non sia la migliore al mondo, la promozione dell'agroalimentare italiano su tutti i media americani. Se sbagliamo qualcosa – e Dio sa se nel passato abbiamo sbagliato qualcosa – creiamo un danno sesquipedale per i prodotti italiani, e io non sono disponibile a farlo.
  L'ICE, quindi, farà un lavoro di assegnazione, con la grande distribuzione organizzata, che di pari passo garantirà l'accesso al prodotto, mentre è in corso la campagna promozionale. Quello sanno fare sulla grande distribuzione e l'hanno fatto, ma per quanto riguarda la campagna d’advertising, si farà, secondo un principio di gara, con le più grandi agenzie del mondo, che non dovranno essere necessariamente italiane, ma anzi dovranno essere e saranno probabilmente molto radicate sul mercato americano.
  Certo, il product placement è una parte integrante della campagna, soprattutto quello televisivo. Oggi, i programmi di cucina sono straordinariamente visti negli Stati Uniti. Il fatto di avere prodotto italiano lì, con il meccanismo del product placement, come una volta si faceva con le sigarette di James Bond per intenderci, è importantissimo, ma oggi è molto più televisivo che cinematografico.
  Nessun passo indietro, in conclusione, nel contrasto dell’Italian sounding, ma nessuna visione penitenziale sul futuro dell'agroindustria italiana. Dal 2015 al 2030, l'Organizzazione mondiale del turismo stima un aumento dei turisti di circa 800 milioni. Identifico i turisti come cluster medio. Oggi, sono un miliardo. Stiamo quasi parlando del raddoppio. Potenzialmente, non saremo mai in grado di sod
Pag. 19 disfare questa domanda. Pensate un attimo alle proporzioni di cui parliamo.
  Oggi, l'Italia fattura circa 400 miliardi con i beni. Lasciamo perdere i servizi di esportazione. Pensate a cosa possa voler dire raddoppiare questo numero. Vorrebbe dire aver risolto i nostri problemi di crescita sine die.
  Questi 800 milioni di persone vogliono comprare prodotto italiano. La strategia del Governo è qualificarlo attraverso i trattati commerciali e le campagne di promozione, portare le imprese che oggi non lo fanno a essere stabili esportatrici. Questo è il problema cruciale. Tutto il piano del made in Italy gioca sul portare più imprese a esportare, perché è dove ci giochiamo la partita. Il terzo elemento è dare accesso ai mercati attraverso gli accordi internazionali bilaterali, che tutto il mondo sta facendo e su cui l'Europa è in drammatico ritardo. Credo che questa sia una battaglia che possiamo condividere tutti.
  Lei mi chiedeva quale sia l'approccio: è di vendere più prodotto. Per vendere più prodotto, la strategia non è andare in basso, snaturare il prodotto italiano, ma valorizzarlo attraverso campagne di comunicazione di grande distribuzione commerciale che funzionino. Questa è la strategia del Governo.
  Ritengo che per la prima volta, sicuramente in termini assoluti, il Governo abbia impegnato delle risorse vere, non come nella campagna agroalimentare negli Stati Uniti con 500.000 euro, che potevano spendere facendo altro, perché era a impatto zero. Per la prima volta, qui stiamo parlando di soldi veri, seri. Credo che vedremo i risultati il prossimo anno. Ovviamente, li condivideremo con il Parlamento. Mi pare che l'onorevole Fantinati, del Movimento 5 Stelle abbia fatto una richiesta, e cioè che tutte le spese dell'ICE siano ben analizzate. Ho dato parere positivo, perché penso che su questo argomento serva la massima trasparenza. Sbaglieremo di sicuro delle cose, perché non è facile attaccare quel mercato, ma credo che le possibilità di fare un buon lavoro ci siano tutte.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Viceministro.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.