Sulla pubblicità dei lavori:
Bordo Michele , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE E L'EFFICACIA DELLE POLITICHE UE IN ITALIA
Audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega agli affari europei, Sandro Gozi.
Bordo Michele , Presidente ... 3
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega agli affari europei ... 4
Bordo Michele , Presidente ... 9
Bergonzi Marco (PD) ... 9
Schirò Gea (PD) ... 10
Galgano Adriana (SCpI) ... 11
Moscatt Antonino (PD) ... 12
Bordo Michele , Presidente ... 12
Camani Vanessa (PD) ... 12
Kronbichler Florian (SEL) ... 13
Bordo Michele , Presidente ... 13
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega agli affari europei ... 13
Bordo Michele , Presidente ... 16
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MICHELE BORDO
La seduta comincia alle 9.40.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-TV e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.
Audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega agli affari europei, Sandro Gozi.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione e l'efficacia delle politiche UE in Italia, l'audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega agli affari europei, Sandro Gozi.
Ringrazio il Sottosegretario Gozi per l'audizione odierna, che si colloca nel contesto dell'indagine conoscitiva sull'attuazione e l'efficacia delle politiche UE in Italia.
Intendiamo oggi approfondire due questioni strettamente connesse tra loro. La prima è costituita dalle iniziative recentemente assunte dall'Unione per rilanciare la crescita e gli investimenti, soprattutto grazie all'azione svolta dal nostro Governo nel semestre di presidenza. Il Piano Juncker e la Comunicazione dello scorso gennaio sulla flessibilità del Patto di stabilità segnano certamente un'importante inversione di tendenza nell'approccio e persino nel lessico che era stato seguito in precedenza dall'Unione. Prima tenevano banco, in tutte le discussioni che si facevano a Bruxelles, i temi dell'austerità e del rigore, adesso sono in campo anche i temi dello sviluppo e della crescita. Al tempo stesso, non si possono nascondere le perplessità suscitate da alcune delle soluzioni proposte per attuare concretamente l'obiettivo del Piano di mobilizzare 315 miliardi di investimenti aggiuntivi. Ci aspettiamo, in particolare, che il negoziato in corso sulla proposta di Regolamento istitutiva del Fondo europeo per gli investimenti strategici ne assicuri la destinazione a investimenti realmente addizionali e concentrati nei Paesi e nelle regioni afflitte da un calo più pronunciato degli investimenti pubblici e privati. L'orientamento generale approvato dal Consiglio costituisce sotto questo profilo un passo avanti. Confidiamo, tuttavia, in ulteriori miglioramenti nel corso dell'esame presso il Parlamento europeo, per effetto dell'approvazione di alcuni emendamenti che ci ha illustrato lo scorso giovedì il collega Gualtieri, in audizione presso la Commissione Bilancio. Vorremmo acquisire le sue valutazioni sullo stato e sulle prospettive del negoziato.
La seconda questione attiene alla politica industriale europea. Dopo la presentazione della Comunicazione sulla rinascita industriale, il dibattito su questo tema a livello europeo sembra essersi affievolito, nonostante rimangano di estrema urgenza gli interventi volti a rilanciare i settori industriali europei, a partire da quello manifatturiero.Pag. 4
Anche su questa questione vorremmo sapere quali iniziative il Governo ha assunto o intende assumere a livello europeo.
Do la parola al Sottosegretario Gozi per il suo intervento.
SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega agli affari europei. Grazie, presidente. Grazie per l'invito e anche per i due temi che avete scelto di approfondire con me.
Il contesto l'ha già ben delineato il presidente nel suo intervento. È un contesto in cui c’è una grave carenza di investimenti. Se si prende l'Europa a 15, pre-allargamento, ci sono almeno 200 miliardi di gap negli investimenti. Questa è la stima minima. A mio avviso, il gap è molto più elevato.
C’è anche una forte esigenza di ridare fiducia. C’è una mancanza di risorse pubbliche, di investimenti pubblici, ma c’è anche la necessità di ridare fiducia agli investitori privati europei e non europei, perché la liquidità nel settore privato resiste, ma sinora non ha dato fiducia all'Europa, non ha dato fiducia all'Unione monetaria, non ha dato fiducia per mettere soldi – mi esprimo in maniera molto semplice, da investitore privato – scommettendo su di noi, sulla zona euro e sull'Italia in particolare.
Questo è il contesto in cui abbiamo lavorato – il presidente l'ha giustamente ricordato – come Governo Renzi. Abbiamo lavorato perché si indicasse nel nuovo ciclo politico, con le nuove istituzioni europee, come priorità assoluta una nuova politica di investimenti. Ripeto, il Piano Juncker per noi è solo uno degli strumenti di questa nuova politica degli investimenti. Il Piano Juncker non è la risposta completa alla necessità di una nuova politica di investimenti. È uno strumento, un primo strumento, oggetto di negoziato. Tra un attimo scenderò nel dettaglio rispondendo alle sue domande, presidente.
Il Piano Juncker è un primo strumento, che però ha una grande valenza politica, perché il primo atto con cui la Commissione Juncker si è presentata ufficialmente ai Governi, ai parlamentari europei e ai Parlamenti nazionali è stato un Piano per gli investimenti, a testimonianza dell'impegno che ha assunto con noi il Presidente Juncker nel momento in cui l'abbiamo designato in Consiglio europeo e dell'impegno che ha assunto davanti ai nostri colleghi europei nel momento in cui l'hanno eletto presidente del Parlamento europeo.
È evidente che questo, all'interno del Piano Juncker, sta insieme anche con l'altro atto principale che la Commissione europea ha pubblicato all'inizio del suo mandato, ossia la Comunicazione sulla flessibilità.
Per noi la Comunicazione sulla flessibilità ha la valenza di un ulteriore tassello di questa nuova politica degli investimenti euronazionali che stiamo sviluppando. È chiaro che, ai fini dell'audizione di oggi, l'aspetto rilevante principale della Comunicazione sulla flessibilità è che essa applica, in maniera più favorevole agli investimenti, le regole comuni europee. È un altro tassello di questa nuova politica degli investimenti, accanto al Piano Juncker.
Non è un caso – lo vedremo tra poco – che la stessa proposta legislativa relativa al Piano Juncker faccia riferimento proprio alla Comunicazione sulla flessibilità, indicando anche – a livello normativo e a livello operativo – il legame che c’è tra i due atti fondamentali.
Il Piano per gli investimenti si basa su una logica che è quella di possibili partenariati pubblici-privati. Si basa su una logica di messa a disposizione di risorse pubbliche per cercare di mobilitare e moltiplicare ulteriori risorse private, ossia su una logica di partenariato pubblico-privato, e si concentra sull'utilizzo di strumenti finanziari innovativi.
Da questo punto di vista almeno, la mia definizione del Piano Juncker è che forse è il primo strumento finanziario a servizio dell'economia reale. Per come è concepito, è un Piano finanziario che vuole elaborare nuovi meccanismi finanziari per facilitare gli investimenti. Questa volta, però, c’è una Pag. 5finanza che si mette, attraverso il Piano Juncker, al servizio dell'economia reale, della crescita e della produzione.
Se ci pensate bene, questo è il senso più profondo del Fondo europeo per gli investimenti strategici. Le cifre, come sapete, sono di 21 miliardi di euro di risorse pubbliche, che provengono per 16 miliardi dal bilancio dell'Unione europea e per 5 miliardi dalla Banca europea per gli investimenti, che sono destinati a mobilitare, secondo la Commissione, alla luce delle esperienze fatte dalla BEI a livello di effetto leva e di moltiplicatore, fino a 315 miliardi di euro.
Si tratta di uno strumento che, a mio modo di vedere, si inserisce in una logica di partenariato pubblico-privato e si affianca – questo è il terzo tassello di questa nuova strategia degli investimenti – ai fondi strutturali. I fondi strutturali sono erogati, invece, a fondo perduto e sono più tipicamente investimenti pubblici, e dovranno andare innanzitutto a finanziare dei progetti a livello sia di istruzione, sia di infrastrutture, sia di ricerca su cui sarà meno facile attirare gli investimenti privati.
Dobbiamo, quindi, vedere i tre strumenti insieme, non solo nella logica in cui sono elaborati, ma anche negli obiettivi settoriali ai quali i tre strumenti, ossia il Piano Juncker, la Comunicazione sulla flessibilità e i fondi strutturali, sono destinati.
L'esempio che possiamo fare per comprendere meglio è che dobbiamo finanziare le infrastrutture, le strade e le autostrade. È molto probabile che i fondi strutturali andranno a finanziare la costruzione di strade senza pedaggi in aree rurali, che però sono necessarie, ed è molto probabile che il fondo, con la partecipazione dei privati, tenderà a costruire una strada in area urbana con pedaggio.
Faccio due esempi molto semplici per capire come le sinergie tra il Piano Juncker e i fondi strutturali debbano tenere conto anche delle esigenze – per esprimersi con un termine europeo – di servizio universale, che vanno comunque coperte nel momento in cui abbiamo una logica anche di investimenti puramente pubblici. Questo è il quadro all'interno del quale, dal punto di vista politico, dobbiamo guardare questi primi strumenti.
Passiamo a un'analisi più dettagliata di quanto detto. Parlavo del legame tra Piano Juncker e Comunicazione sulla flessibilità. Voi sapete, ma lo ricordo, che la Comunicazione ha introdotto per gli Stati membri degli incentivi a contribuire al Fondo europeo per gli investimenti, oppure a cofinanziare, attraverso piattaforme nazionali, progetti infrastrutturali in ambiti nazionali che siano cofinanziati dal Fondo europeo per gli investimenti.
Qual è l'incentivo ? L'incentivo è un trattamento più flessibile dei contributi nazionali a questa nuova politica di investimenti europei attraverso un'applicazione più flessibile delle regole del Patto di stabilità e crescita. Per quanto riguarda possibili contributi diretti al Fondo europeo, questa flessibilità vale sia per la cosiddetta parte preventiva, sia per la parte correttiva del Patto, sia per gli Stati che devono evitare di sforare alcuni parametri, sia per gli Stati che sono sotto procedura, avendo sforato questi parametri.
In sostanza, cosa vuol dire questo ? Vuol dire che, per quanto riguarda i contributi diretti, il versamento del contributo al Piano non influenza né il raggiungimento dell'obiettivo di medio termine, ossia il pareggio strutturale di bilancio per quanto riguarda l'Italia, né il sentiero di aggiustamento verso tale obiettivo. Per quanto riguarda i cofinanziamenti a progetti in ambito nazionale, la maggiore flessibilità si limita alla parte preventiva del Patto, ma è quella che a noi interessa. Questo aspetto non dico sia un abito su misura per l'Italia, ma quasi. È evidente, infatti, che questa maggiore flessibilità, che si limita alla parte preventiva del Patto, fa in modo che la Commissione tenga conto di questi cofinanziamenti nell'ambito della cosiddetta clausola degli investimenti. I contributi italiani al Piano Juncker saranno considerati alla stessa stregua dei cofinanziamenti nazionali per progetti cofinanziati dall'Unione europea Pag. 6all'interno delle politiche strutturali di coesione, per quanto riguarda le reti transeuropee o la nota iniziativa per collegare l'Europa, cioè la Connecting Europe Facility.
Per esprimersi in maniera semplice, rispettando il parametro del tre per cento, questi cofinanziamenti, questi contributi azionari, sono un fattore rilevante e, quindi, non vengono computati ai fini della valutazione del rispetto dei parametri. Capite che, essendo noi sotto il tre per cento e avendo fatto una battaglia per lo scomputo o comunque la valutazione in maniera diversa dei cofinanziamenti nazionali e regionali ai fondi strutturali, dei cofinanziamenti alla Connecting Europe Facility e dei contributi al Piano, questa è una clausola che, al momento, si applica direttamente proprio al caso italiano ed è un elemento su cui noi dobbiamo certamente lavorare.
L'altro aspetto relativo al Piano Juncker è il negoziato a cui il presidente Bordo faceva riferimento. Avete audito il presidente Gualtieri su questo tema. Noi abbiamo, da questo punto di vista, delle priorità temporali e delle priorità di modifiche ulteriori, oltre a quelle che abbiamo già ottenuto nel negoziato in Consiglio dei ministri, rispetto alla proposta della Commissione.
La prima esigenza temporale è che il fondo possa essere pienamente operativo a partire dalla metà del 2015. È un obiettivo ambizioso pensare che entro giugno 2015 la procedura legislativa ordinaria, cioè la codecisione tra Consiglio dei ministri e Parlamento, possa essere completata. Noi riteniamo, però, che, nonostante sia ambizioso, questo obiettivo sia raggiungibile e dobbiamo lavorare d'intesa e anche in stretto contatto col Parlamento europeo. Anche da questo punto di vista sono molto importanti i rapporti che voi stessi, come Parlamento nazionale, avrete con i nostri parlamentari europei.
Riteniamo, dunque, che questo sia un obiettivo assolutamente da raggiungere. È evidente che dobbiamo subito essere operativi anche perché c’è un contesto generale, su cui il Presidente del Consiglio ha riferito anche in Assemblea, favorevole a una nuova politica degli investimenti. Penso al cosiddetto allentamento monetario – quantitative easing – di Mario Draghi, che metterà sui mercati una liquidità pari a 60 miliardi al mese, volta a facilitare indirettamente un rilancio degli investimenti attraverso una facilitazione dell'accesso al credito, oltre che una diminuzione di quanto paghiamo sul debito pubblico in termini di interessi.
Inoltre, abbiamo un prezzo del petrolio particolarmente basso e abbiamo finalmente un valore dell'euro molto più compatibile con le esigenze della nostra industria – dico nostra intendendo innanzitutto italiana – nel rapporto euro-dollaro. Pertanto, è evidente che dobbiamo subito partire anche col nuovo strumento del Piano degli investimenti. Anche da questo punto di vista è importante riuscire a concludere positivamente il negoziato entro giugno.
Sapete anche che, in occasione del primo accordo generale raggiunto nel Consiglio ECOFIN sul Piano, l'Italia ha annunciato di voler fornire, attraverso la Cassa depositi e prestiti, un contributo di 8 miliardi di euro al Fondo. So che ieri è stato audito qui alla Camera il presidente Bassanini, ragion per cui rimando semplicemente, per quanto riguarda la partecipazione della Cassa e alle modalità, a quanto il presidente vi ha riferito.
È un accordo generale che noi abbiamo sostenuto perché ha già recepito molte – non tutte, e per questo il lavoro deve continuare – delle priorità negoziali dell'Italia. Se voi prendete la proposta iniziale della Commissione e la proposta di Regolamento uscita dal Consiglio ECOFIN, notate che ci sono tanti elementi modificati di grande rilevanza.
Innanzitutto abbiamo ottenuto che la nostra esigenza di celerità fosse inserita, dato che, attraverso questo meccanismo del warehousing della Banca europea per gli investimenti possiamo anticipare l'avvio dei progetti anche attraverso l'anticipazione da parte della BEI nel quadro del contesto del Piano.Pag. 7
Abbiamo sostenuto le ragioni delle imprese e, in particolare, abbiamo sostenuto le ragioni delle piccole, piccolissime e medie imprese, che al momento nella proposta di Regolamento trovano molta più attenzione rispetto alla proposta iniziale.
Abbiamo ottenuto che all'interno del Comitato degli investimenti – Comitato che, come voi sapete, all'interno del fondo dovrà valutare quali sono i progetti meritevoli di finanziamento – siano annoverati anche degli economisti esperti di economia reale, non solo degli esperti finanziari, per ragioni che non devo spiegare qui, in questa Commissione, dato che le avete giustamente evocate sin dall'inizio della legislatura. Mi riferisco all'accento sulla produzione e sull'economia reale che devono avere questi interventi.
Abbiamo fatto in modo che la Comunicazione sulla flessibilità fosse espressamente citata nel Regolamento, ma su questo io ritengo e spero che in Parlamento europeo il legame giuridico tra il fondo e la Comunicazione sulla flessibilità sia rafforzato.
Abbiamo ottenuto che ci fosse un'indicazione più diretta ed esplicita ai temi dell'istruzione e della formazione, che fanno parte, dal nostro punto di vista, degli obiettivi di una politica di investimenti per la crescita di tipo sostenibile.
Abbiamo ottenuto un riferimento esplicito ai due temi, che sono molto importanti, dei fallimenti del mercato e della mancanza di investimenti, dei gap degli investimenti. Perché sono importanti ? Perché, a nostro modo di vedere, la logica del Piano deve essere, posto che è evidente che non possiamo avere esplicitamente un equilibrio geografico, quella di partire dai settori in cui sono maggiori i fallimenti del mercato, che richiedono, quindi, maggiormente un intervento dell'autorità pubblica per far ripartire gli investimenti. Dobbiamo partire anche dai settori e dai territori in cui è particolarmente grave la mancanza degli investimenti. Voi capite che con questi due criteri si ha l'assicurazione che un certo equilibrio geografico di fatto e le nostre esigenze come Italia possano essere maggiormente presi in considerazione e tutelati.
Abbiamo insistito anche sulla necessità, in questa strategia di investimenti, soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture energetiche, di rafforzare nel Piano il rapporto con i Paesi terzi. Per noi è molto importante includere nelle strategie di sviluppo i Paesi vicini dell'Europa, innanzitutto Balcani e Mediterraneo. Pensate solo alle infrastrutture energetiche. Noi non possiamo limitare la priorità di cooperazione tra Paesi e regioni solo ai progetti transfrontalieri, cross-border, perché, essendo l'Italia un Paese di frontiera dell'Unione europea, è evidente che, se limitassimo unicamente l'attuazione del Piano nella priorità di cooperazione tra regioni e tra Stati ai progetti cross-border, rischieremmo di essere marginali.
A nostro modo di vedere, invece, una vera strategia degli investimenti non può non tenere conto, soprattutto per la questione energia, ma direi anche per i trasporti e le infrastrutture marittime, dell'importanza di una strategia coi Paesi vicini e, quindi, con i Balcani e anche con il Mediterraneo.
È proprio per questo motivo che nelle nostre proposte per l'Unione per l'energia noi abbiamo indicato la priorità che il Mediterraneo nelle strategie europee diventi una sorta di hub, quantomeno del gas.
Vogliamo anche continuare a operare in quel lavoro di cooperazione per l'energia attorno alla Comunità dell'energia del Sud-Est dei Balcani, che certamente è un'altra parte strategica. È per questo che vogliamo che ci sia un riferimento esplicito ai Paesi vicini per quanto riguarda le modifiche ulteriori che dovranno essere apportate in Parlamento.
Abbiamo lavorato per il rafforzamento delle banche nazionali di finanziamento e di promozione – rimando anche su questo a quanto ha detto il presidente Bassanini – e sul tema delle piattaforme degli investimenti.
Adesso, però, anche su altri temi più specifici, oltre a quelli già evocati, occorre Pag. 8insistere maggiormente attraverso il Parlamento europeo. Abbiamo discusso con il presidente Gualtieri e con la nostra delegazione al Parlamento europeo delle nostre priorità, come Italia. Abbiamo fatto sapere esplicitamente, anche per iscritto, quali sono, a nostro modo di vedere, i punti su cui nel negoziato legislativo ora al Parlamento europeo occorre insistere. Alcuni li ho citati.
Certamente, occorre presidiare la clausola di addizionalità, che dovrà fare riferimento sia a parametri macroeconomici, sia a parametri microeconomici. Su questo, quando ho incontrato Katainen qui a Roma, lo stesso vicepresidente della Commissione, che è responsabile del Piano, mi ha confermato l'intenzione di puntare a progetti che siano differenti dai progetti ordinariamente finanziati dalla Banca europea per gli investimenti. Tuttavia, è chiaro che dobbiamo assicurarci che questo sia giuridicamente un impegno ben indicato.
Un'altra questione sulla quale io ho avuto occasione di attirare l'attenzione del Vicepresidente Katainen e sulla quale credo che il Parlamento europeo debba insistere di più è il raccordo tra Piano Juncker e disciplina europea sugli aiuti di Stato. È evidente che occorre una valutazione di compatibilità, da parte della Commissione, degli interventi pubblici nazionali, alla luce della disciplina degli aiuti di Stato, molto più semplificata e più rapida di quanto non accada normalmente.
La Commissione deve prendere l'impegno di fare chiarezza su quali procedure semplificate vorrà introdurre per quanto riguarda gli interventi pubblici nazionali o subnazionali diretti a progetti legati al Piano Juncker per gli investimenti dal punto di vista della disciplina degli aiuti di Stato.
Questo per quanto riguarda, presidente, il Piano Juncker, su cui mi sembrava molto importante utilizzare questa occasione per comunicare dei messaggi specifici.
Più brevemente – devo dire, purtroppo – mi soffermo sul secondo punto su cui mi avete chiesto di intervenire. Sapete quanto il nostro Governo abbia sostenuto, sia prima del nostro semestre di presidenza, sia durante il semestre di presidenza, la Comunicazione sulla rinascita industriale, preceduta da un'ulteriore Comunicazione del 2012.
Noi riteniamo che ci siano due debolezze a livello di strumenti per quanto riguarda la politica industriale. La prima debolezza è legata alle competenze. La politica industriale è un'azione di sostegno dell'Unione europea.
Peraltro, vi ho già detto che in prospettiva io credo che dovremo pensare, prima della fine di questa legislatura europea, anche a una revisione limitata dei Trattati, se mai fosse possibile questo, per rafforzare le competenze dell'Unione europea in materia di politica industriale. Farne almeno una competenza concorrente e condivisa credo che dovrebbe essere uno degli obiettivi da perseguire. Non è per oggi e neppure per domani, ma certamente è un obiettivo su cui dobbiamo lavorare e credo che dovremo lavorare insieme, come Governo e come Parlamento.
C’è, quindi, un problema di competenze e c’è un problema di strumenti. Sulle competenze non possiamo oggi fare nulla, se non evocare questa necessità. Sulla questione degli strumenti noi abbiamo lavorato durante il nostro semestre. Abbiamo lavorato per un rafforzamento del ruolo di coordinamento in materia di politica industriale del Consiglio competitività, che per noi deve diventare sempre di più il Consiglio dell'economia reale, e abbiamo anche creato un nuovo strumento, un gruppo di alto livello, cui attualmente per l'Italia partecipa come vicepresidente l'ex ministro ed ex presidente dell'ISTAT Enrico Giovannini, accanto ad altri nostri funzionari, che ha proprio il ruolo di essere uno strumento per l'elaborazione di una più efficace politica industriale.
Si tratta di qualcosa che deve svilupparsi attraverso un approccio orizzontale, perché è chiaro che deve riguardare tanti aspetti: l'aspetto dell'energia, l'aspetto dell'ambiente, Pag. 9l'aspetto della nuova strategia contro il cambiamento climatico, l'aspetto del commercio, l'aspetto della ricerca e dell'innovazione, l'aspetto della concorrenza.
Anche da questo punto di vista dobbiamo ripensare il modo in cui la disciplina della concorrenza in Europa è applicata. Vogliamo una vera politica estera europea ? È chiaro che, se la vogliamo, dobbiamo applicare la disciplina degli aiuti di Stato in un senso che favorisca l'emergere di grandi realtà industriali europee. Se noi diciamo che con la destra vogliamo la politica estera europea e con la sinistra applichiamo in maniera molto rigida la disciplina degli aiuti di Stato, è evidente che rendiamo più difficile l'emergenza di grandi poli industriali europei, anziché favorirla.
Questo è un grande tema politico, che fa parte di una nuova politica industriale. Voi capite che, quindi, occorre un approccio più integrato, un approccio coordinato. Secondo noi, ed è quello il lavoro che abbiamo fatto durante il semestre, questo deve essere fatto dal Consiglio competitività sfruttando questo nuovo strumento, il gruppo di lavoro di coordinamento, che deve rendere meno frammentato il lavoro.
Abbiamo insistito e ottenuto al Consiglio competitività del 25 settembre l'impegno da parte della Commissione, che però era ancora la precedente Commissione in carica, di dare seguito a quanto avevamo già chiesto al Consiglio europeo di marzo, ossia di sviluppare una tabella di marcia, una roadmap per la realizzazione dei vari obiettivi indicati in quella Comunicazione sulla rinascita industriale.
Per ora, con la nuova Commissione, non vediamo una forte spinta in questo senso. Pertanto, credo che, da questo punto di vista, dovremo lavorare insieme per spingere la Commissione Juncker, che pure non è la Commissione autrice della Comunicazione sulla politica industriale, a fare propri almeno alcuni dei grandi obiettivi di quella Comunicazione. Il nostro Governo, insieme ad altri, innanzitutto la Francia, ha sempre sostenuto anche l'obiettivo del 20 per cento di produzione manifatturiera e industriale che era stato indicato come obiettivo mobilitante in quella Comunicazione.
PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Gozi per la sua relazione.
Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
MARCO BERGONZI. Intanto voglio ringraziare il Sottosegretario perché abbiamo già avuto modo di ascoltarlo più volte e riesce – parlo almeno per me – a farmi sentire molto vicino a tematiche da cui, diversamente, senza questi appuntamenti, siamo un po’ lontani, ancorché uno cerchi, nell'ambito della propria attività, di seguirle e di impegnarsi, anche quale membro di questa Commissione. Innanzitutto, quindi, grazie per questa disponibilità e chiarezza espositiva.
Volevo porre due domande, stimolate dall'intervento del Sottosegretario, anche perché io sono stato tra coloro che sono andati ieri all'audizione di Bassanini e Cassa depositi e prestiti (CDP).
L'Italia contribuisce per 8 miliardi attraverso lo strumento CDP al Piano Juncker. Mi piacerebbe sapere quali sono le intenzioni degli altri paesi e se abbiamo una griglia, un elenco, o uno strumento che ci faccia «mappare» le intenzioni degli altri paesi riguardo a questo aspetto. Sappiamo che c’è una certa libertà paese per paese. Le intenzioni, quindi, sono la cartina di tornasole degli intendimenti politici dei vari paesi riguardo a questo strumento. Questo mi interessa molto.
Passando a un altro tema toccato, quando parliamo di investimenti pubblici nel settore energetico, uno dei temi cruciali è il fatto che, anche in virtù delle crisi che ci sono sul posizionamento energetico e, quindi, sulla sicurezza energetica europea, manca l'interconnessione paese-paese nell'ambito dell'infrastruttura.
Mi riferisco, per esempio, al gas. È bene sentire che l'intenzione è quella di vedere il nostro paese un po’ come un hub del gas, anche in funzione del fatto che gli approvvigionamenti del Nord Africa passano Pag. 10da qui. Parlando anche con ENI, per intenderci, so che le interconnessioni paese-paese non sono un investimento conveniente per la società che le realizza.
Normalmente, quando si costruisce un'infrastruttura, è il passaggio del gas che consente di ammortizzare l'infrastruttura stessa. Nelle interconnessioni paese-paese, questo investimento non si ripaga esclusivamente con l'esercizio dell'attività. Poiché si tratta di un investimento necessario – perché aumenta moltissimo, oltretutto, la sicurezza energetica europea nel suo complesso e per l'Italia è sicuramente strategico, vista la posizione che ha – questo è un settore che deve essere tenuto nella dovuta considerazione nell'ambito degli investimenti pubblici. Se aspettiamo che lo facciano i privati, non andiamo da nessuna parte.
Questa è la ragione per la quale queste interconnessioni non ci sono, perché non interessano. Neppure l'ENI le realizzerà, per intenderci, se non c’è l'investimento pubblico che ne giustifica la realizzazione. Poiché questo è un tema strategico, secondo me, a buon diritto dovrà essere tenuto particolarmente presente nell'ambito degli investimenti pubblici.
GEA SCHIRÒ. Grazie, Sottosegretario, per la relazione. Io mi concentrerò essenzialmente – poiché il primo pilastro è rappresentato dai fondi strutturali, che sono lì – sul secondo e terzo pilastro, ossia sul definire la riserva e la qualità dei progetti, completando un po’ la domanda del collega Bergonzi.
Noi abbiamo visto, qualche giorno fa, un elenco dei paesi che hanno già presentato dei progetti da realizzare. Di recente, fonti di stampa non istituzionali dicevano che in Italia soltanto la regione Toscana, con l'ampliamento del porto di Livorno, ha presentato un vero progetto da iscrivere nel terzo pilastro della tabella di marcia, per completare il percorso.
La prima domanda, quindi, sta nel capire se – sicuramente – e come, il Governo stia monitorando regioni ed enti locali e probabilmente anche soggetti pubblici e privati per sollecitarli ad attivarsi nella proposta dei progetti plausibili.
Evidentemente, uno schema c’è. Lei ha parlato sia della collaborazione con Cassa depositi e prestiti, sia della concorrenza. Il Governo, quindi, ha un'idea ben precisa. Oltretutto, la risoluzione di maggioranza approvata da questo Parlamento sicuramente focalizza l'attenzione sulla banda larga e l'energia. C’è, dunque, un progetto nazionale che verrà supportato. Ricollegandomi sempre a quanto detto dal collega che mi ha preceduto, sia per mettere in sinergia dei soggetti, sia per trasparenza di informazione nostra, per poter sollecitare nei rispettivi territori, vorrei capire come si svolgerà la scelta dei progetti. Questa è una parte della domanda.
Vengo all'altra parte della domanda: mi domandavo, a proposito della semplificazione delle regole, che sono anche queste raccomandate dal terzo pilastro del Piano Juncker, la nuova banca di investimenti euro-cinese, a cui partecipa anche l'Italia, sarà un soggetto che parteciperà da protagonista a questo blocco di investimenti ?
La penultima domanda è sull'Agenzia di coesione, che ancora non è matura, tant’è che nell'articolo 1 della legge di stabilità una parte dei fondi di investimento sono indirizzati, per esempio, allo sviluppo delle ferrovie in Sicilia. Il progetto è anche piuttosto incompleto, perché manca un Piano per le ferrovie nella Sicilia meridionale. Io ho partecipato a un'audizione proprio in Commissione trasporti. Vorrei sapere se è possibile intervenire attraverso il Piano Juncker per completare questa parte.
Passo all'ultima domanda. Il moltiplicatore che si è usato generalmente a livello europeo è 1 a 15 per cui 1 euro di investimenti dovrebbe, quindi, produrre 15 euro di guadagno. In un Parlamento impegnato essenzialmente in un lavoro di riforme, in cui noi siamo impegnati sia come soggetti passivi, in quanto votanti, sia come soggetti attivi nel lavoro delle Commissioni, dobbiamo avere una consapevolezza del divisore minimo di una nazione. Questo 1 a 15 sarà stato calibrato Pag. 11dalla Germania alla Sicilia. Come dobbiamo comportarci noi, come soggetti decidenti, nell'applicare questo moltiplicatore in Italia ?
ADRIANA GALGANO. Grazie, Sottosegretario, per la relazione. Noi apprezziamo del Piano Juncker quello che lei ha detto, ossia che si tratta di nuovi strumenti finanziari per l'economia reale. È un modo nuovo di fare sviluppo profondamente focalizzato sui risultati che dobbiamo avere: i soldi pubblici devono ritornare. Questo è molto importante.
Naturalmente, però, questo pone forte il tema delle priorità con le quali saranno selezionati i progetti. Lei ci ha spiegato molto bene quale è la logica, che condividiamo. Tuttavia, dal momento che abbiamo avuto l'audizione del vicepresidente della BEI, il quale ci ha detto che non ci sarà ripartizione territoriale, che sarà considerato solo il rendimento economico e sociale e che la lista ex ECOFIN dei progetti sarà solo indicativa, per tutti i Paesi si pone il tema di quali progetti saranno finanziati e soprattutto quali saranno gli aiuti e come il fondo interverrà nei vari Paesi.
Sarebbe assurdo se – prendendo come unica indicazione il rendimento economico sociale – la Germania, per esempio, per non fare nomi e cognomi, che è molto capace di fare progetti, avesse la maggior parte delle risorse, quando, dal 2007 a oggi, gli investimenti pubblici in Germania sono cresciuti.
Quello che Scelta Civica ha chiesto è stato proprio che si ponga in modo forte il tema degli investimenti nelle zone in cui si è avuto un calo di investimento. Diversamente, sarebbe veramente un'assurdità. Io vorrei sapere da lei qual è la possibilità che questa scelta venga fatta, o comunque quali sono le possibilità del Governo italiano di influenzare questo tipo di decisioni.
Sempre dall'audizione del vicepresidente della BEI abbiamo appreso che le garanzie funzioneranno per il 50 per cento. C’è un Piano europeo per il restante 50 per cento ? Sarà a carico dei proponenti del progetto dover identificare questi fondi ?
Mi ricollego poi alla domanda del collega Bergonzi per quanto riguarda le interconnessioni, che sono un tema molto importante. L'interconnessione delle reti potrebbe portare a un risparmio di 40 miliardi per i consumatori di energia in Europa. Noi abbiamo sempre chiesto che i progetti di interconnessione abbiano una velocizzazione rispetto a quanto è stato stabilito nel 2014. Tuttavia, abbiamo letto che, se ci fosse un'accelerazione, comunque ne sarebbero esclusi due Paesi, tra i quali l'Italia.
Vorrei verificare con lei questa informazione. Se fosse effettivamente così, perché l'Italia è esclusa da questi progetti aggiuntivi ? Ci sono 127 progetti aggiuntivi che riguardano le interconnessioni e ci sono due Paesi esclusi da questi progetti, che non hanno progetti aggiuntivi. Uno di questi Paesi è l'Italia.
L'ultima osservazione che faccio è sulla politica industriale. Noi siamo assolutamente d'accordo con lei sul fatto che la politica industriale dovrebbe diventare una delle materie concorrenti. Vorrei anche segnalare il fatto che, andando a vedere le percentuali di investimenti pubblici nell'industria, l'Italia in Europa ha la percentuale più bassa, cioè lo 0,23 per cento, contro lo 0,24 della Gran Bretagna. Noi sovvenzioniamo, quindi, le nostre aziende industriali meno di un Paese assolutamente liberista nel suo approccio alla politica industriale e tre volte meno della Germania, che ha lo 0,63 per cento del suo PIL.
Questo, ovviamente, pone le nostre aziende in una posizione di grandissima debolezza, perché, da una parte, le sosteniamo di meno e, dall'altra, abbiamo applicato nel passato regolamenti e direttive europei in maniera più restrittiva. È chiaro, quindi, che sono deboli. L'acquisizione di Pirelli da parte dei cinesi non è un problema in sé, ma il fatto è che ci acquisiscono le aziende e che noi non abbiamo lo stesso effetto. Sostanzialmente, il problema non è che le aziende vengano acquisite dagli stranieri, ma che noi veniamo Pag. 12solo acquisiti e che non c’è da parte nostra la forza per fare altrettanto. Se andiamo a vedere le decisioni della politica in merito alla politica industriale, ci rendiamo conto del motivo per cui questo accade. È assolutamente indispensabile cambiare rotta.
ANTONINO MOSCATT. Grazie, Sottosegretario, anche per la relazione, che ha dato un quadro ampio di tutta la situazione. Mi limito solo a una domanda telegrafica.
Lei ha citato una volta la parola «Mediterraneo». Bisogna capire, sia il Piano Juncker, sia complessivamente l'Unione europea che visione abbiano del Mediterraneo e se il Mediterraneo viene visto solo come operazione Triton e Mare Nostrum e via dicendo, ossia come un'emergenza umanitaria da provare a risolvere con interventi, o se viene visto anche in una prospettiva economica.
Se viene visto in una prospettiva economica, come io penso che debba essere considerato, vorrei capire se si possano prevedere degli investimenti, al di là della considerazione che lei ha fatto parlando del gas, affinché il Mediterraneo diventi rotta commerciale e uno strumento reale di laboratorio economico, come è sempre stato, nonché di laboratorio culturale.
PRESIDENTE. Abbiamo ancora gli interventi dei deputati Camani e Kronbichler. Poi, se non ci sono altri interventi, darei la parola al Sottosegretario per la replica.
VANESSA CAMANI. Grazie, presidente. Cercherò di essere veloce. Mi associo, ovviamente, ai ringraziamenti al Sottosegretario e anche al presidente di Commissione, che puntualmente cerca di sollecitare la Commissione stessa ad approfondire alcune questioni rilevanti.
Mi vorrei concentrare sull'aspetto che, a mio avviso, è quello più importante dell'intervento del Sottosegretario, ossia sulla considerazione, che condivido profondamente, di trovare i meccanismi perché questi strumenti finanziari di fatto, di cui oggi l'Unione europea si dota, possano avere degli effetti e produrre delle conseguenze immediate nell'economia reale.
A me questa sembra, da un punto di vista politico, la cifra della nostra presidenza del semestre e anche del lavoro del sottosegretario per gli affari europei. Occorre cercare di rendere fattiva la collaborazione tra gli interventi della Banca centrale europea, che in questo momento, ovviamente, incidono sulle politiche monetarie e il nuovo ruolo della BEI.
Da questo punto di vista io ho apprezzato il quadro che il Sottosegretario ci ha fatto in riferimento al tentativo di costruire un quadro di valutazione ex ante dei progetti che provi ad avere questo obiettivo di lungo periodo, partendo dalla considerazione che, ovviamente, queste valutazioni e, quindi, queste scelte di investimenti andranno a incidere nell'immediato nella sfera della fiducia e delle aspettative dei mercati, in modo che possano poi produrre quel volano di cui si parlava.
La prima domanda è per capire se sono già previste anche valutazioni ex post, cioè se all'interno della progettazione siano già previsti degli strumenti che ci consentano di misurare, magari a step, la capacità effettiva che i progetti selezionati e gli investimenti attivati hanno di produrre effetti concreti di sviluppo nell'Eurozona.
La seconda considerazione è collegata all'impostazione che ha dato il Sottosegretario, legata alla necessità di mettere in relazione gli strumenti di diversa natura di cui oggi si dispone, ossia il Piano Juncker, la Comunicazione sulla flessibilità e i capitali disponibili per i fondi strutturali, con la necessità di un rilancio di politica industriale e, quindi, all'idea di vedere questi strumenti non solo come dei tecnicismi o del denaro di debito europeo, ma come effettivi strumenti all'interno di una visione politica più generale.
Siamo arrivati, a mio avviso, in una fase in cui non ci si può più permettere di interpretare semplicemente, in maniera più o meno elastica, le regole delle istituzioni e della flessibilità. Mi pare necessario che le istituzioni europee facciano un salto ulteriore. Probabilmente è necessario definire Pag. 13un equilibrio nuovo tra la Commissione e il Parlamento per procedere nella direzione che lei indicava, ossia per far sì che non ci si limiti a utilizzare strumenti finanziari, ma si provi a coordinarli all'interno di una visione politica più generale.
Da questo punto di vista vorrei chiederle, Sottosegretario, se ritiene che il Parlamento italiano e la nostra Commissione possano – e, se sì, in quale misura e in quale modo – sostenere il percorso del Governo in questa direzione e rendere, quindi, più efficace, da un punto di vista politico, l'azione del nostro Paese e del Parlamento europeo all'interno delle istituzioni comunitarie.
FLORIAN KRONBICHLER. La mia domanda è sulle decisioni e sul fondo d'investimento strategico. Le scelte degli investimenti in opere pubbliche strategiche saranno gestite da un organo politico o tecnico ? Da questa scelta dipende molto, io penso. Se vengono gestite da un organo tecnico, gli investimenti avverranno laddove si prospetta il maggior ricavo. Soprattutto vorrei chiedere o auspicare una gestione politica per intervenire in casi di zone disagiate, in casi di sofferenza.
PRESIDENTE. Do la parola al Sottosegretario Gozi per la replica.
SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega agli affari europei. Grazie, presidente. Grazie, colleghi, per le varie domande.
Rispetto alle considerazioni che faceva l'onorevole Bergonzi, noi abbiamo stanziato, attraverso la Cassa depositi e prestiti, 8 miliardi. Così hanno fatto i tedeschi, attraverso un'agenzia che è l'equivalente della Cassa depositi e prestiti e così hanno fatto i francesi, attraverso la Caisse des dépôts. Entrambi hanno stanziato sempre 8 miliardi, mentre hanno stanziato 1,5 miliardi gli spagnoli. Questi sinora sono stati gli impegni presi dagli Stati membri per contribuire direttamente ai progetti o alle piattaforme.
Per quanto riguarda il tema delle interconnessioni, ribadisco che è fondamentale. Per questo motivo ho citato, in questo mosaico di nuova politica degli investimenti, il tema delle interconnessioni, dell'Unione dell'energia e della Connecting Europe Facility.
Quanto all'obiettivo a livello soprattutto di Unione dell'energia, a cui lei faceva riferimento, nelle proposte della Commissione che noi abbiamo sostenuto, sulle quali abbiamo lavorato moltissimo anche già dal Consiglio europeo di ottobre, quello sotto la nostra presidenza, nel momento in cui abbiamo elaborato la nuova posizione dell'Unione europea nella lotta contro il cambiamento climatico, all'interno della quale evidentemente c’è stato il tema delle interconnessioni, c’è l'obiettivo di raggiungere un 10 per cento di interconnessioni per tutti gli Stati membri.
È evidente che ci sono dei nodi particolari. Io direi che è tanto più critica la posizione della penisola iberica. C’è la necessità di proseguire e di rafforzare le interconnessioni tra penisola iberica e resto d'Europa, proprio perché senza interconnessioni il cumulo di energia della penisola iberica non può arrivare.
Non faccio questo come esempio di scuola, ma perché è stato uno dei temi più difficili del negoziato. È evidente, però, che il tema delle interconnessioni da affrontare attraverso il Piano Juncker, attraverso la Connecting Europe Facility e attraverso l'Unione dell'energia per quanto riguarda energia e trasporti è uno dei temi fondamentali. Del resto, è un tema in cui si deve dimostrare il valore aggiunto europeo, ragion per cui rimane una nostra priorità. Ci abbiamo lavorato e proseguiremo in questa direzione.
Per quanto riguarda le osservazioni della collega Schirò, i progetti, soprattutto se parliamo del Piano Juncker, devono essere appetibili. L'Italia ha già presentato, in ottobre o novembre, una lista molto lunga di progetti possibili che noi riteniamo finanziabili dal Piano Juncker. Siamo quelli che hanno presentato la lista più lunga di progetti. Mi sembra, ma vado a mente, che solo i progetti che abbiamo Pag. 14presentato fossero pari a un valore di circa 80 miliardi di euro. Questo significa che noi abbiamo presentato tanti possibili progetti che potrebbero essere finanziati dal Piano Juncker.
Il Piano Juncker, come dicevo nella mia introduzione, secondo me – lo spiego così – si basa su una logica di partenariato pubblico-privato, ragion per cui i progetti, attraverso il Piano Juncker, devono essere attrattivi per quanto riguarda gli investitori privati. È, invece, attraverso i fondi strutturali che bisogna lavorare sugli interventi pubblici, su cui non intervengono i privati. È questa la divisione dei compiti ed è su questo che noi stiamo impostando il lavoro. Ecco perché anche i fondi strutturali sono un altro tassello di questo mosaico della nuova politica degli investimenti.
È evidente che noi, come Italia – questa è una questione che stiamo affrontando e che non vale solo per il Piano Juncker, ma vale in generale per l'utilizzo dei fondi strutturali, europei ma anche nazionali – dovremo essere in grado di selezionare progetti cantierabili e sostenibili.
Questo si collega al lavoro che – non in maniera passiva, cara collega, ma in maniera attiva, come Parlamento, anche in Assemblea – voi state facendo per una serie di progetti di riforma. È evidente che la riforma del modo in cui usiamo i fondi strutturali e parte della riforma della pubblica amministrazione sono parte della risposta alla sua domanda. È chiaro che anche da questo punto di vista occorre certamente poter contare su una pubblica amministrazione efficiente a livello soprattutto locale. Occorre poter garantire un iter celere e trasparente delle opere infrastrutturali e occorre poter attrarre capitali privati verso progetti selezionati italiani. Questo fa parte della riforma del nostro Paese e va ben al di là del Piano Juncker. Il Piano Juncker, però, è un'altra ragione che rende necessario questo lavoro che noi stiamo facendo attraverso il lavoro del Parlamento.
Passo alle considerazioni dei colleghi Galgano e Kronbichler, che hanno posto un tema che io avevo solo accennato nella mia introduzione. La ripartizione esplicita territoriale e geografica non è possibile nella logica europea in generale. Tuttavia, proprio per questo noi abbiamo insistito e abbiamo già ottenuto nella prima lettura in Consiglio dei ministri, Consiglio ECOFIN, che il Comitato di valutazione degli investimenti, un Comitato tecnico che prepara la decisione di Commissione e Banca europea degli investimenti, tenga conto e parta da due considerazioni, da due parametri che sono fondamentali per rispondere alla vostra esigenza, che è anche la nostra. Occorre partire dai settori e dai territori in cui ci sono particolari fallimenti del mercato – per i quali è necessario l'intervento pubblico, perché, se ci sono fallimenti di mercato, gli investimenti privati sono da soli – e dal cosiddetto investment gap, ossia da una particolare mancanza di investimenti. È da questi due criteri che bisogna partire.
Perché noi abbiamo insistito su questi aspetti ? Perché noi vogliamo essere molto attenti nell’iter al Parlamento europeo e auspicheremo addirittura che il Parlamento europeo possa rafforzarli ? Proprio per rispondere alle vostre esigenze, ossia proprio per avere la garanzia che il Piano Juncker parta dai settori e dai territori in cui è particolarmente acuta o grave la mancanza di investimenti ed è particolarmente acuta l'esigenza di fare nuovi investimenti.
È evidente anche che, dal punto di vista della strategia nazionale e al di là del contributo che soggetti come la Cassa depositi e prestiti o altre banche fanno direttamente al fondo, anche i progetti nazionali all'interno delle cosiddette piattaforme noi dobbiamo cercare di svilupparli e di pensarli in collegamento con le grandi strategie del Piano Juncker. È anche così, infatti, che si possono creare sinergie positive.
Questa seconda parte dipende molto da noi. Come Italia, dobbiamo ripensare in maniera strategica anche ai fondi italiani che vanno a progetti e a territori italiani, Pag. 15ma che devono collegarsi alle strategie del Piano di investimenti, ossia del Piano Juncker.
Per quanto riguarda la questione delle garanzie, è questo il tema del moltiplicatore. Il resto deve venire o da ulteriori risorse pubbliche nazionali, o da investitori privati che ritengano che valga la pena di mettere dei soldi su questi progetti.
Dobbiamo tenere conto che le garanzie che il Piano Juncker offre sono più ampie e coprono un ventaglio di progetti potenziali più ampio rispetto alle normali garanzie che offre la BEI. Con il primo strato di garanzie del Piano Juncker ci assumiamo rischi maggiori rispetto a quelli che normalmente si assume la BEI. È evidente che questo ci offre la possibilità di finanziare un ventaglio più ampio di progetti rispetto a quelli che sarebbero finanziabili solo attraverso la BEI, che, come sapete, è molto legata alla tripla A. Questo è certamente un valore aggiunto molto importante del Piano Juncker rispetto a quello che la BEI di solito fa.
Ho già detto delle reti transeuropee e della Connecting Europe Facility.
Per quanto riguarda gli eccessi normativi o gli eccessi di vincoli che noi abbiamo posto in passato attraverso il recepimento delle direttive europee ai nostri operatori, questo è il lavoro su cui dobbiamo fare attenzione proprio noi, in questa Commissione e nella Commissione omologa del Senato.
Voi sapete che nella legge n. 234 abbiamo introdotto, nella passata legislatura, il divieto di aggravare, attraverso il recepimento di direttive europee, di ulteriori oneri gli operatori economici e soprattutto le imprese. È evidente che questo è un lavoro che dobbiamo fare ogni volta che recepiamo, attraverso la legge di delegazione europea, nuove direttive. Richiede un'assunzione di responsabilità collettiva e una capacità di resistere alle istanze e alle esigenze di questo o quel settore, di questo o quell'operatore, di questo o quel gruppo d'interesse.
Si tratta di istanze ed esigenze perfettamente legittime, ma è evidente che dobbiamo scegliere delle priorità. Se la priorità è l’ industria, è chiaro che su talune esigenze di altri settori dobbiamo essere più resistenti. Se la priorità è l'ambiente in assoluto, allora dobbiamo elevare moltissimo i vincoli che mettiamo all'industria. Dobbiamo fare scelte politiche e, direttiva per direttiva, vedere dove sta in particolare l'interesse della collettività, l'interesse nazionale.
Io capisco – è una considerazione di cui sono destinatario anch'io, come membro del Governo – che ogni volta che si applica una direttiva si tratta di fare un pezzetto di riforma nel nostro Paese. Recepire direttive vuol dire fare dei pezzetti di riforma di un Paese, spesso in settori su cui non si riuscirebbe a farli se non ci fossero direttive europee. È evidente che, nel momento in cui si riforma, in generale si fa il bene della collettività, ma c’è qualcuno o qualche settore che paga un prezzo e che magari urla di più della collettività.
Sta a noi, colleghi, del Governo e del Parlamento, vedere se valga la pena di ascoltare molto quello che urla o se nella valutazione costi-benefici dobbiamo dire che c’è un costo, ma che i benefici per la collettività, per quel territorio, per quel settore sono molto più ampi, anche se capiamo che si paga un costo.
Io spero di riuscire a presentarvi quattro proposte legislative quest'anno. Una è già in Senato, ed è la legge di delegazione europea. La legge europea partirà dalla Camera. Poi, nella seconda parte dell'anno, invertiremo le cose e la legge di delegazione europea partirà da voi e la legge europea dal Senato. Saremo tutti sottoposti a questo test di responsabilità.
Onorevole Moscatt, ho citato il Mediterraneo perché è una nostra grande priorità. Già nell'Unione dell'energia abbiamo insistito sull'importanza di vicinato e nel paper sull'energia del nostro Governo – se per caso non ne avete preso conoscenza certamente sarà mia cura farvelo trasmettere dai miei servizi – indichiamo chiaramente, come priorità della nuova strategia per l'energia europea, il Mediterraneo, che deve diventare innanzitutto un Pag. 16hub per quanto riguarda il gas. È evidente che questo fa parte di una nostra strategia.
La politica di vicinato, così come è stata attuata dalla Commissione precedente, non ha portato i risultati sperati. C’è la necessità di rilanciare una nuova politica mediterranea. La nostra ex collega Mogherini, ora Alto rappresentante, si è impegnata a presentare per ottobre una nuova politica di vicinato. Nel frattempo, dobbiamo subito intervenire innanzitutto sulla Tunisia, perché dobbiamo a maggior ragione – questo era valido anche prima della tragedia del Museo del Bardo – dimostrare che, quando ci sono delle storie di successo nel Mediterraneo e nel Nord Africa, noi europei e noi italiani siamo pronti ad assisterle anche a livello economico, perché queste storie di successo si consolidino.
Certamente la Tunisia è una priorità. L'ha ricordato anche ieri mattina il Ministro degli Esteri Gentiloni a Tunisi. Questo fa parte della nostra grande priorità per quanto riguarda il Mediterraneo e anche il nostro lavoro di equilibrio.
È vero che l'Europa è stata strabica. Un po’ si è guardata l'ombelico e un po’ è stata strabica. Si è guardata l'ombelico nel senso che, durante la crisi economico-finanziaria, abbiamo completamente dimenticato probabilmente il resto del mondo, ma sicuramente il nostro vicinato e il Mediterraneo, che sono scomparsi dalla priorità e dal radar europeo.
Inoltre, è stata strabica perché anche recentemente ha guardato molto più a est che a sud. Pertanto, dobbiamo dare degli occhiali e aggiustare la vista dell'Europa perché non sia strabica e cominci anche a riguardare a sud. Questo è il lavoro su cui la Commissione europea si è impegnata ed è il lavoro che noi vogliamo fare come Italia.
Onorevole Camani, ringrazio innanzitutto per il sostegno all'approccio. Io credo che si debba lavorare soprattutto sull'individuazione dei settori di priorità – digitale, energia, infrastrutture, ricerca, formazione e istruzione – e sulla necessità di riequilibrare il modo in cui si lavora a livello di Unione europea. È troppo sbilanciato sull'ECOFIN. È troppo sbilanciato il lavoro, sia in Consiglio, sia in Parlamento, sulla questione economia e finanze.
Questo è un approccio limitato, perché mette sempre e solo in primo piano alcuni aspetti. Ci sono stati dei passi in avanti. Il modo in cui è stato negoziato il Piano Juncker in Consiglio ECOFIN è positivo. L'Italia ha ottenuto concessioni importanti anche in ECOFIN sul Piano Juncker, ma è evidente che noi dobbiamo uscire, per quanto riguarda i grandi progetti industriali, dalla logica strettamente ECOFIN.
Ecco perché noi abbiamo lavorato sul Consiglio competitività, perché abbiamo creato questo gruppo di alto livello e perché a livello di Parlamento, di Parlamento nazionale e di Parlamento europeo, il contributo che i Parlamenti nazionali possono fornire è proprio quello di aiutarci a continuare a lavorare in questa direzione. Credo che questo sia un lavoro molto importante, che potrà fare veramente la differenza in questa nuova legislatura europea.
PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Gozi e i colleghi intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10.50.