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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Giovedì 9 marzo 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA RELAZIONE ALL'ASSEMBLEA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI E SULL'ATTUAZIONE DEGLI STATUTI SPECIALI

Audizione di rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dell'ANCI, dell'UPI e dell'UNCEM.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 
Iacop Franco , Coordinatore della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome ... 2 
Ganau Gianfranco , Presidente del Consiglio regionale della Sardegna ... 5 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 7 
Garavaglia Massimo , Coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ... 7 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 8 
Bianco Enzo , Presidente del Consiglio nazionale dell'ANCI ... 8 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 9 
Spanu Filippo , Assessore agli Affari generali, personale e riforma della Regione Sardegna ... 10 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 13 
Riva Vercellotti Carlo , Vicepresidente dell'UPI ... 13 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 14 
Borghi Enrico (PD) , Presidente dell'UNCEM ... 14 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 15 

Allegato 1: Documentazione consegnata dalla Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome ... 16 

Allegato 2: Documentazione consegnata dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome: Sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali ... 26 

Allegato 3: Documentazione consegnata dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome: Sull'attuazione degli Statuti speciali ... 45 

Allegato 4: Documentazione consegnata dall'ANCI ... 49 

Allegato 5: Documentazione consegnata dall'UPI ... 51 

Allegato 6: Documentazione consegnata dall'UNCEM ... 58

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dell'ANCI, dell'UPI e dell'UNCEM.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dell'ANCI, dell'UPI e dell'UNCEM.
  Nel ringraziare i presenti per la loro disponibilità, do ora la parola al Coordinatore della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, Franco Iacop, e successivamente al Presidente del Consiglio regionale della Sardegna, Gianfranco Ganau, per lo svolgimento della relazione.
  Prego tutti gli audendi di contenersi nei tempi che abbiamo prestabilito in ragione dei lavori della nostra Commissione.

  FRANCO IACOP, Coordinatore della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome. Grazie, presidente e onorevoli membri della Commissione bicamerale. Grazie di quest'opportunità. Cercherò di essere veloce e sintetico.
  A fronte dello stato della consultazione referendaria, si pone l'esigenza di ricercare soluzioni ulteriori e diverse, nel tentativo di rispondere ad alcune questioni, ancora oggi aperte, in relazione all'ordinamento costituzionale e ai suoi meccanismi di funzionamento, che impongono l'individuazione di soluzioni praticabili e condivise, specie in considerazione del fatto che per lungo tempo non si parlerà – credo – di riforma o di riforme costituzionali.
  A tal fine, richiamiamo sia il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al ’sistema delle conferenze’, presentato al Senato lo scorso 27 ottobre, che le posizioni già espresse da questa Conferenza e depositate agli atti nel corso dell'audizione del 23 marzo 2016.
  Preciso, inoltre, che nel corso del mio intervento mi limiterò a illustrare i punti salienti delle nostre riflessioni in materia, le quali sono state ampiamente sviluppate in una memoria, che si deposita agli atti.
  Come premesso, la mancata attuazione della riforma costituzionale non può indurre a ritenere che i problemi preesistenti sul piano dell'assetto istituzionale decentrato siano esauriti, poiché, al contrario, i corpi intermedi della rappresentanza istituzionale avvertono profondamente il bisogno di costruire un collegamento funzionale con le istituzioni nazionali, necessità che potrebbe divenire ancora più pregnante, laddove la crisi istituzionale dell'Unione europea dovesse riaprire istanze di governance accentrate. Pag. 3
  La perdurante crisi economica ha, infatti, marcato ancora di più la differenza esistente tra le varie aree del Paese, contribuendo a ridisegnare una geografia istituzionale del decentramento, da cui emergono, come elementi di novità, gli stessi profili che, al contempo, determinano un aggiornamento del concetto di specialità.
  Si tratta di una differenziazione di matrice politica, in cui i territori non sono considerati esclusivamente come bacini e cluster amministrativi, bensì quali luoghi deputati alla manutenzione di valori costituzionali, anche quelli differenziati.
  Da questo punto di vista, con riferimento all'individuazione di forme di partecipazione dei rappresentanti degli enti territoriali all’iter di elaborazione della legge statale non può che segnalarsi la perdurante vigenza, nonché ovviamente la mancata attuazione, dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, che chiama i Regolamenti parlamentari a provvedere all'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle Regioni e degli enti locali, dotandola altresì di poteri non secondari nei procedimenti legislativi che incidono sulle materie di legislazione concorrente o relative all'autonomia finanziaria.
  In questo senso, del resto ancor prima dello svolgimento del referendum costituzionale e anche del deposito della sentenza n. 251 del 2016 della Corte costituzionale, si è espressa la stessa Commissione bicamerale per le questioni regionali nel documento conclusivo dell'indagine conoscitiva svolta sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al ’sistema delle conferenze’, approvato il 13 ottobre 2016.
  Lo stesso articolo 11 individua nei Regolamenti parlamentari la sede per la determinazione delle modalità di integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
  Al riguardo, riteniamo che risulta fondamentale un intervento anche sulla fonte legislativa, almeno per quanto concerne la composizione della Commissione e la definizione dei criteri di integrazione, lasciando poi alle fonti regolamentari la disciplina dei profili funzionali, specie in relazione all'attivazione della Commissione integrata rispetto ai procedimenti.
  Più precisamente, allo scopo di evitare la creazione di un organo con funzionalità limitate, a fronte della parità tra le due componenti menzionate, condividiamo, come abbiamo anche più approfonditamente esposto nella memoria depositata, la proposta di ridurre il numero dei parlamentari attualmente membri della stessa Commissione.
  La fissazione delle dimensioni di ciascuna componente a trenta unità consentirebbe di strutturare la composizione della rappresentanza territoriale in modo da riconoscere un membro a ciascuna Regione o Provincia autonoma, per un totale di ventuno membri, ai quali si aggiungerebbero gli ulteriori nove membri, in rappresentanza degli enti locali e principalmente dei Comuni.
  In particolare, la preponderanza della componente regionale e delle Province autonome deve propriamente leggersi come necessaria, in relazione all'esclusiva titolarità da parte di tali enti della funzione legislativa.
  Quanto ai meccanismi di selezione dei rappresentanti regionali, si potrebbe prevedere in ciascuna regione, nell'ambito della sua autonomia, un'elezione consiliare con maggioranze qualificate, pari o anche superiori, a seconda dei casi, alla maggioranza assoluta del Consiglio regionale, in modo appunto da assicurare la partecipazione, nel percorso di nomina, delle minoranze.
  La designazione dei rappresentanti locali, invece, a maggior ragione, visto il numero limitato di questi ultimi, sembra preferibilmente dover passare per la Conferenza Stato-città, alla quale andrebbero forniti principi generali cui attenersi, in ordine alla rappresentatività dei territori, per loro dimensionamento, e dei sindaci delle Città metropolitane.
  Tuttavia, al fine di garantire un'opportuna differenziazione tra i tipi e le caratteristiche dei rappresentanti individuati in tale sede potrebbero essere previste in via normativa una serie di criteri, tesi a indicare, Pag. 4 per esempio, la necessità della ricerca di un equilibrio tra le varie provenienze nonché l'elencazione dei criteri finalizzati a orientare la scelta.
  Preme tuttavia evidenziare come l'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali rappresenti un tassello sì importante e in qualche misura necessario, al fine di colmare il deficit di rappresentanza al centro degli interessi territoriali, ma di per sé non sufficiente.
  Parimenti necessario diviene un parallelo ripensamento dei meccanismi di dialogo strutturato anche a livello di esecutivi, da sviluppare attraverso un'attenta riflessione sul ruolo e sulle modalità di funzionamento del ’sistema delle conferenze’ nonché creando opportuni canali di dialogo e di raccordo tra gli organi, nei quali si realizza l'integrazione tra la rappresentanza statale e regionale.
  È indubbio, come comprovato dall'esperienza di questi anni, che, al fine della comprensione dei meccanismi decisionali, spesso sia mancato l'accesso diretto dei legislativi regionali alle risultanze delle decisioni assunte.
  A titolo esemplificativo, basti pensare che la conoscenza di percorsi delle istruttorie delle cosiddette «intese», la cui ricaduta in ambito regionale non di rado concerne la messa a punto di articolati provvedimenti normativi, avrebbe agevolato e migliorato la qualità del procedimento legislativo stesso e non solo, in quanto anche la pubblicità degli esiti dei lavori, specie nei confronti dei soggetti destinatari dei provvedimenti stessi, è stata limitata a un circuito strettamente intergovernativo.
  Lo hanno sottolineato qualche giorno fa anche il professor Luciani e il professor D'Atena in questa sede. Ci riferiamo alle cosiddette «intese bilaterali» o patti politico-istituzionali, che si sono moltiplicate in questi ultimi anni, soprattutto in materia di finanza pubblica, uscendo così dal seminato stesso che la Corte costituzionale ha disciplinato sulla corretta applicazione del principio di leale collaborazione.
  Non sfuggiranno certamente anche al legislatore nazionale le conseguenze del perdurare di questi meccanismi pattizi: assenza di conoscenza e trasparenza sul merito e sui corollari delle intese e forzatura delle procedure finalizzate all'assunzione di norme, anche al di fuori dei circuiti della rappresentanza istituzionale.
  Bisogna, inoltre, considerare che, in più occasioni, il funzionamento stesso dell'attività istituzionale delle assemblee regionali ha trovato nella Conferenza Stato-Regioni un punto di sintesi politica, che ha visto la partecipazione dei rappresentanti delle assemblee stesse, e in particolare dei loro presidenti, come è avvenuto per l'attuazione del decreto-legge n. 174 del 2012, in qualità di meri osservatori, allo scopo di addivenire a impegnative decisioni di natura legislativa.
  Per questi motivi, riteniamo che alcuni ambiti di attività debbano essere ricondotti, secondo i principi di omogeneità e rappresentanza istituzionale, in seno alla sede istituzionale, appunto la Commissione bicamerale per le questioni regionali.
  Parimenti reputiamo, altresì, che, in considerazione del ruolo assunto dalle conferenze negli ultimi dieci anni, sia di tutta evidenza la necessità di un riequilibrio e di una razionalizzazione stessa del loro sistema. Un riordino che non può trascurare l'importanza che, all'interno di tale sistema, appunto per garantire l'efficace funzionamento, assumono le Conferenze cosiddette «orizzontali», in particolare la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative regionali.
  Queste ultime, infatti, potrebbero svolgere un ruolo di primo piano, sia nell'ipotesi che si proceda all'attuazione dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, ben potendo essere e fungere da trait d'union tra la Commissione bicamerale integrata, da una parte, e le Conferenze Stato-Regioni e unificata, dall'altra, sia nell'ipotesi che tale disposizione dovesse rimanere inattuata.
  Appare ampiamente condivisibile la soluzione prospettata dalla relazione del Presidente D'Alia, con cui si abbina, alle elezioni dei componenti delle Regioni e delle Province autonome da parte dei Consigli regionali, la garanzia della partecipazione Pag. 5ai lavori della Commissione parlamentare per le questioni regionali degli esecutivi regionali con un ruolo analogo a quello svolto in quella medesima sede dal Governo nazionale.
  Si tratterebbe di una soluzione coerente con il funzionamento della forma di governo parlamentare, che rafforza le tesi che sostengono l'opportunità di rinsaldare il legame tra i rappresentanti delle Assemblee legislative, nazionale e regionale, e i rispettivi esecutivi, nel disegno di legge delle politiche pubbliche.
  Credo sia opportuno in chiusura soffermarsi su un dato politico. È indispensabile lavorare oggi per raccogliere domani, senza più rinvii. Il Parlamento deve lavorare appunto per consegnare al prossimo legislatore un quadro armonizzato, al fine di poter procedere all'integrazione della Commissione bicamerale.
  Sul versante del Governo, abbiamo ascoltato le valutazioni abbastanza prudenti del Sottosegretario Bressa. In merito vorremmo commentare: «eppure qualcosa si muove». C'è il peso della sentenza richiamata da tutti, la n. 251 del 2016 della Corte costituzionale, che non lascia spazio a ulteriori temporeggiamenti, perché se, da una parte, il meccanismo dell'intesa concerne gli organi esecutivi, dall'altra, il principio della leale collaborazione estesa al procedimento legislativo ordinario non può comunque porre vincoli ulteriori rispetto a quelli tipizzati dalla Costituzione, quindi non resta altro che sanare il vulnus di tutti questi anni con un innesto del legislatore regionale nel procedimento legislativo parlamentare, dunque con l'integrazione della bicamerale.
  Al di là di qualsiasi giudizio sulla pronuncia, il dato politico dopo la sentenza della Corte è che, qualsiasi meccanismo procedurale si voglia mettere in campo nei rapporti Stato-Regioni, non si possono escludere rappresentanti degli organi regionali deputati ad approvare le leggi. Questo è un fatto che dovrà trovare una propria composizione, anche qualora il Governo volesse – perigliosamente, a nostro avviso – avventurarsi con sperimentazioni istituzionali finora mai esperite.

  GIANFRANCO GANAU, Presidente del Consiglio regionale della Sardegna. Buongiorno a tutti e a tutte. Mi preme ringraziare il Presidente D'Alia e tutti i Commissari per il lavoro che la Commissione per le questioni regionali continua a portare avanti.
  Premesso che sono ovviamente in sintonia con quanto esposto, a nome della Conferenza, dal Presidente Iacop, vado subito al punto per il quale mi è stato chiesto di intervenire, in quanto coordinatore delle speciali, ossia quello dell'attuazione degli Statuti di dette Regioni e delle Province autonome e delle Commissioni paritetiche, oggetto dell'indagine del 2015.
  Anche in questo caso, mi pare di poter dire che le conclusioni della Commissione possano essere un buon punto di partenza.
  Su un primo ambito di intervento, quello delle norme di attuazione degli Statuti speciali, sono fondamentalmente due i temi su cui si può nell'immediato insistere: stabilire modalità e tempi certi entro i quali il Governo deve pronunciarsi sul lavoro delle Commissioni paritetiche, e assicurare la continuità delle stesse, da un lato, stabilendo un termine ampio per la durata dell'incarico e, dall'altro, disponendo la prorogatio dell'organo sino alla nuova nomina.
  Anche questi sono interventi che si possono collocare bene in questa fase e che possono realizzarsi probabilmente con semplici modifiche legislative di carattere ordinario.
  Altro ambito di intervento è quello della revisione degli Statuti speciali e dell'individuazione di una procedura concertata, che si rifaccia all'intesa prevista dal disegno di riforma costituzionale.
  Su entrambi gli aspetti, bene fa la Commissione bicamerale a richiamare il lavoro svolto in sede tecnico-politica dal gruppo che ha fatto riferimento al coordinamento delle Regioni speciali e al Sottosegretario Bressa. Si tratta di un lavoro che ha portato a importanti spunti di riflessione e anche a proposte condivisibili, ma che ha visto inspiegabilmente coinvolte esclusivamente l'Assemblea sarda e quella del Friuli e che si è bruscamente arrestato con il cosiddetto «documento di Aosta», maturato Pag. 6 esclusivamente tra esecutivi e non condiviso dai Consigli.
  Dopo i chiarimenti intervenuti con il Sottosegretario Bressa e con i rappresentanti degli esecutivi, lo scorso 25 luglio, in occasione della riunione convocata presso la sede della Conferenza, resta auspicabile che il comitato tecnico venga permanentemente integrato con i rappresentanti degli organi legislativi.
  Sulla modifica degli Statuti, un punto emerso nella discussione con il Sottosegretario Bressa mi sembra acquisito. La modifica degli Statuti speciali passa per procedure a concertazione rafforzata. A riguardo, si parla appunto di intesa. Esclusivamente tali procedure possono consentire un aggiornamento degli Statuti a misura delle singole specialità. Infatti, considerato l'esito referendario e superata la questione dell'intesa cosiddetta «forte» per l'adeguamento del Titolo V, rimane aperta la discussione sulle procedure d'intesa per la modernizzazione degli Statuti.
  Su questo punto, nella riunione del 25 luglio 2016, siamo stati tutti concordi sul fatto che le modifiche statutarie non possono prescindere dal pieno coinvolgimento delle Regioni. Le ragioni della specialità non sono superate, ma, in taluni casi, rafforzate, e meritano di essere riproposte e rielaborate in funzione dell'attualità in cui si trovano le singole Autonomie speciali. Tutte richiedono, per ragioni diverse, politiche propriamente a dimensione regionale e articolazioni istituzionali conseguenti, attagliate a quei territori.
  In quest'ottica, pur collocandolo in un tempo più disteso e in un orizzonte più ampio, un effettivo ripensamento degli Statuti speciali non solo è necessario, ma potrebbe concorrere in modo rilevante all'evoluzione complessiva del sistema regionale, anche quello ad autonomia ordinaria.
  Fermo restando, infatti, che gli obiettivi attuali vanno commisurati ai tempi, in ogni caso brevi, che ci separano dalla conclusione della legislatura, non possiamo ignorare che la questione del regionalismo si pone, oggi, in termini più ampi e non più vincolati dai binari alquanto rigidi, segnati dalla riforma respinta dal corpo elettorale.
  Il tema, in estrema sintesi, riguarda come debba realizzarsi un regionalismo efficiente, realmente cooperativo e rispettoso delle reciproche competenze di Stato e Regioni e delle specificità di ciascuna Regione.
  La domanda riguarda il dubbio per cui ci si chiede se un regionalismo efficiente debba percorrere necessariamente le vie della legislazione della crisi e dell'accentramento o, piuttosto, cercare con più convinzione forme di integrazione e cooperazione fra i due livelli, più rispettose dell'impianto costituzionale e del ruolo effettivamente svolto dalle Regioni, anche rispetto alla crisi economica.
  Una prima constatazione riguarda il fatto per cui lo Stato, per primo, non ha adeguato la propria struttura alle esigenze del regionalismo e non ha adottato una legislazione adeguata e rispettosa delle previsioni costituzionali. Si pensi soltanto al mancato sviluppo della legislazione sui principi delle materie concorrenti, che è causa di tanto contenzioso tra Regione e Stato.
  Soprattutto preme sottolineare un aspetto che la Commissione bicamerale ha mostrato di cogliere nel suo lavoro. Un regionalismo evoluto e ispirato alla cooperazione deve potersi declinare secondo le diversità e le esigenze dei territori e delle forme che l'autonomia vi assume. Raccordi, cooperazione ed efficienza non coincidono insomma con omologazione e appiattimento.
  Quello che in sostanza si vuole dire è che i temi proposti dalla Commissione per le questioni regionali sono urgenti e meritano di essere rapidamente trasformati in proposte, per favorire un adeguamento del regionalismo al quadro istituzionale e una prima soluzione dei nodi che hanno ostacolato una sua effettiva attuazione.
  Essi possono, nel contempo, collocarsi utilmente in un orizzonte più ampio, quale prima soluzione dei nodi che hanno ostacolato un'effettiva ed efficiente attuazione del regionalismo italiano e quale premessa per un'evoluzione complessiva in chiave di un'autonomia responsabile ed efficiente dell'intero sistema. Si tratterebbe di un obiettivo di più lungo termine, che potrebbe, Pag. 7tuttavia, contribuire non poco alla maturazione della nostra democrazia.

  PRESIDENTE. Grazie, Presidente Ganau. Do, quindi, la parola a Massimo Garavaglia, coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e assessore all'economia, crescita e semplificazione della Regione Lombardia, per lo svolgimento della relazione.

  MASSIMO GARAVAGLIA, Coordinatore della Commissione Affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Grazie, presidente. Lasciamo agli atti un testo, dove tutti gli aspetti sono sviluppati puntualmente. Io, anche per questioni di tempo, mi limito a commentare i punti salienti.
  Vorrei sottolineare tre punti. Il primo punto riguarda i rapporti bilaterali di legislazione, le leggi delle Regioni e la potenziale impugnativa da parte dello Stato, quindi dal basso verso l'alto; il secondo punto concerne, viceversa, le leggi che fa lo Stato e il meccanismo delle intese, quindi dall'alto verso il basso; il terzo punto è un focus sulla sessione di bilancio.
  Fatta la premessa che il clima è oggettivamente cambiato, quindi, mentre prima il pendolo andava tutto verso l'accentramento come soluzione, il referendum ha detto che così non è. Potremmo cogliere l'occasione di questo periodo di sostanziale tregua nei rapporti centro-periferia per mettere un po’ di ordine; anticipo le conclusioni. In realtà, ci sarebbe già tutto, perché basterebbe regolamentare e mettere qualche punto legislativo per precisare bene le cose che ci sono.
  Mi spiego ed esemplifico. Per quanto riguarda il rapporto tra la legislazione regionale e il Governo, quindi le impugnative, viene mitizzato il tema delle tantissime impugnative alla Corte costituzionale. Innanzitutto, non è poi tanto vero che siano così tante, ultimamente soprattutto. In secondo luogo, la giurisprudenza è talmente chiara che ormai è perimetrato cos'è concorrente e da che parte sta. Inoltre, sarebbe opportuno regolamentare una prassi.
  Faccio l'esempio della Regione Lombardia. In questa legislatura, ci sono pochissime impugnative. Questo è accaduto perché, quando ci viene detto che c'è un rischio di impugnativa, chiamiamo, cerchiamo di capire il problema e ci spieghiamo, per cui il 90 per cento delle volte l'impugnativa non viene fatta, sia perché si è capito qual è il problema sia perché si può anche arrivare a un impegno di una successiva modifica che rimuove il vincolo. Ora, se questa prassi fosse regolamentata, dicendo, prima che ci sia l'impugnativa al Consiglio dei Ministri, «c'è questo rischio, se non si fa qualcosa», buona parte del contenzioso si potrebbe eliminare.
  Passo al secondo punto, dall'alto verso il basso, quello del meccanismo delle intese. Probabilmente il funzionamento della Conferenza Stato-Regioni è poco conosciuto, non solo all'esterno, ma anche dal Parlamento, quindi c'è una necessità di maggiore conoscenza di come questa Conferenza funziona. Di fatto, un organismo simile al Bundesrat c'è già, perché c'è la Conferenza delle Regioni. Abbiamo fatto una grande ipotesi di riforma costituzionale, quando probabilmente era più semplice mettere ordine in quello che c'è.
  Il Bundesrat è la Conferenza delle Regioni ed è la rappresentanza degli esecutivi. Che cosa fanno gli esecutivi? A fronte delle leggi che arrivano, gli esecutivi danno dei pareri, che poi vanno in Conferenza e ci può essere o meno un'intesa.
  Ora, se anche in questo caso si prendesse la giurisprudenza costituzionale e, ove serve, si facesse una leggina che la legifera, mentre, ove basta un regolamento, si facesse un regolamento, si inizierebbe a mettere ordine in una prassi consolidata, che sta funzionando e funziona, anzi ne abbiamo visto un esempio perché, quando si tenta di bypassare questo meccanismo (si veda legge n. 124 del 2015, cosiddetta riforma Madia), sorgono grossi problemi, quindi è molto più semplice mettere ordine in quello che c'è.
  Si potrebbe fare qualcosa anche sulla logistica, perché, se magari qualche seduta delle Conferenze si facesse in sedi istituzionali, Pag. 8 si darebbe anche la misura di istituzionalizzare una cosa che già.
  L'ultimo tema riguarda la sessione di bilancio. Sono poco conosciuti i pareri dati in sede di conferenza. Lo dico perché ho esperienza di commissario delle Commissioni bilancio di Camera e Senato. In effetti, già i pareri delle altre Commissioni non vengono considerati molto, per cui figuriamoci quanto possano essere considerati i pareri della Conferenza Stato-Regioni. Quindi, se si desse un peso maggiore a questi pareri e, nelle sedi opportune, se ne tenesse debitamente conto, probabilmente si eviterebbe tutta una serie di errori in cui si incorre, perché poi dobbiamo correggere cose che erano note già prima. Queste sono già note a chi è dentro la materia nella fase di interlocuzione con il Governo, quella prelegislativa, quindi prima dell'arrivo della legge in Parlamento, perché sono temi noti e sviluppati da chi quella materia la deve applicare. Purtroppo, questi temi vengono spesso derubricati a formalità.
  Anche sulla sessione di bilancio, in teoria, c'è già tutto. Tutti noi conosciamo il rito delle audizioni, ma il problema è che si tratta di un rito: quando si fanno le audizioni, in una bella giornata si svolgono audizioni del mondo e, il giorno dopo, viene fatta la legge di bilancio, quindi hai rispettato la forma, ma la sostanza è zero.
  Ora, se anche in questo caso si mettesse un po’ di ordine nella tempistica delle audizioni, probabilmente si passerebbe dalla forma a una sostanza più importante, quindi sono fondamentali i tempi, così come potrebbe essere fondamentale il ruolo dell'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) e della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF).
  Il ruolo dell'UPB, visto che stiamo parlando della sessione di bilancio, potrebbe essere fondamentale per quanto concerne la sostenibilità delle manovre di bilancio in capo ai sottosettori della pubblica amministrazione. Per esempio, adesso stiamo vedendo la situazione imbarazzante per cui sono stati fatti tagli esagerati alle Province, poi a loro volta tagliati.
  Com'è possibile che non lo si sapeva prima? Certo, che lo si sapeva prima, però è mancata quella fase di approfondimento prima di predisporre la legge di bilancio, per cui si dava per scontato che determinate cose potessero funzionare. Al contrario, ci dovrebbe essere una fase di approfondimento preventiva, soprattutto in sede di Documento di economia e finanza (DEF), perché quello è il momento in cui il contributo al sostenimento della finanza pubblica da parte dei singoli sottosettori deve essere giustamente quantificato e valorizzato. Quindi, se si riuscisse a regolamentare un po’ meglio questa fase preparatoria dei documenti di bilancio, sentendo nelle sedi opportune e con le modalità opportune i singoli sottosettori della Pubblica amministrazione, probabilmente si metterebbe ordine nel processo legislativo di bilancio e si eviterebbero poi errori, anche perché sappiamo che dover correggere quegli errori è sempre più complicato.
  Per quanto riguarda il tema specifico, il documento che lasciamo agli atti contiene anche una serie di suggerimenti, appunto per arrivare in particolare a questa regolamentazione e legificazione delle prassi che già esistono.

  PRESIDENTE. Grazie. Leggeremo con interesse il vostro documento.
  Do ora la parola al Presidente del Consiglio nazionale dell'ANCI, Enzo Bianco, per lo svolgimento della relazione.

  ENZO BIANCO, Presidente del Consiglio nazionale dell'ANCI. Presidente, vorrei ringraziare lei e la Commissione non con un ringraziamento di circostanza per un'audizione di routine, ma per questa occasione che probabilmente ci consente di promuovere un'iniziativa che ha un particolare rilievo e un'indubbia utilità.
  Parto da una considerazione che mi sembra ovvia: le esigenze e i problemi che si sarebbero dovuti affrontare con la riforma costituzionale non confermata dal referendum ovviamente ci sono tutti e naturalmente non è facile né agevole dare una lettura della mancata conferma. Ovviamente io ho una posizione diversa da Pag. 9quella del Presidente Garavaglia, ma è certo e indubbio che quei problemi ci siano e vadano affrontati.
  Quali sono i problemi che, secondo noi, meritano attenzione particolare? Innanzitutto, c'è l'esigenza di una più efficiente ponderazione degli interessi territoriali nella fase dell'elaborazione delle leggi. La seconda esigenza è di semplificazione del sistema istituzionale, con una maggiore chiarezza dei compiti e delle responsabilità tra i livelli di Governo. La terza questione riguarda la deflazione del contenzioso, che certamente si è attenuato, ma che è ancora elevato. L'ultima riguarda un più efficiente funzionamento della macchina amministrativa pubblica nell'interesse generale, per ragioni evidenti, anche legate all'esigenza di economicità, che, in un periodo di crisi e difficoltà economiche, assume un particolare valore.
  Ora, se questa è la condizione, credo che, una volta che sia chiaro un disegno complessivo di intervento, questa fase terminale della legislatura – se si andasse alla scadenza ordinaria avremmo sostanzialmente dieci mesi di tempo – potrebbe essere utilmente utilizzata per far sì che alcuni dei punti, quelli su cui c'è condivisione tra le forze politiche nel Parlamento e i rappresentanti delle Regioni, dei Comuni e delle Province, quindi alcuni elementi di questo disegno complessivo, potrebbero essere introdotti in questa fase di legislatura. Ecco perché questa è un'occasione di straordinario rilievo e di grande importanza.
  A che cosa mi riferisco? Ovviamente c'è l'esigenza di innestare nel circuito legislativo una diretta rappresentanza dei Comuni e delle città, quindi ci riferiamo evidentemente, come prima cosa ovvia, all'attuazione dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
  Siamo in una fase molto avanzata, perché abbiamo un'eredità di studi e di approfondimenti, ma anche di condivisioni; su alcune di queste c'è stato un accenno da parte del Presidente Iacop, che noi largamente condividiamo.
  Mi riferisco a una rappresentanza sul modello di quello che già avviene in organismi europei, come il Comitato delle regioni, o a meccanismi che consentano una rappresentanza dei Consigli regionali anche per le minoranze nonché a un ruolo della Conferenza Stato-città, dell'ANCI e degli altri organismi in materia di designazione delle rappresentanze degli enti locali. Questa potrebbe essere una strada da cui probabilmente si può partire. Si valuti se la soluzione migliore e più rapida sia una modifica dei Regolamenti parlamentari o quella, altrettanto prospettata, di una legge ad hoc, che intanto lo istituisca in questo modo.
  Si tratta, inoltre, di verificare come il sistema delle Conferenze, con ulteriori iniziative, possa intanto essere rafforzato, per consentire – lo ripeto – una migliore elaborazione e una migliore rappresentazione degli interessi territoriali nella formazione del processo legislativo.
  Il messaggio che l'ANCI desidera confermare in questa sede è quello di utilizzare l'opportunità di una larga condivisione tra Regioni, Comuni e Province – la Commissione da lei presieduta sicuramente è interprete di questa disponibilità e di questo bisogno – per far sì che quest'occasione sia portata avanti. Mi riferisco a un disegno unitario, un'anticipazione di due o tre provvedimenti che, nel prossimo anno o nei prossimi dieci mesi, vadano nella direzione di affrontare alcune delle questioni, che l'esito del referendum non ha risolto.
  Su questi argomenti, l'ANCI è pronta a dare una mano, anche con suggerimenti concreti e operativi, attraverso un documento che faremo avere a questa Commissione.

  PRESIDENTE. Grazie, Presidente Bianco. Poiché pensiamo di concludere i lavori di quest'indagine conoscitiva entro la fine del mese di marzo, o al massimo la prima settimana di aprile, perché intendiamo fare una relazione al Parlamento ampia e molto concreta sulle cose che pensiamo debbano essere cambiate del ’sistema delle conferenze’ e in attuazione dell'articolo 11, le chiediamo se, cortesemente, può inviarci la documentazione. Pag. 10
  Do la parola a Filippo Spanu, assessore degli affari generali, personale e riforma della Regione Sardegna.

  FILIPPO SPANU, Assessore agli Affari generali, personale e riforma della Regione Sardegna. La ringrazio, Presidente, e ringrazio gli onorevoli senatori e deputati. All'interno del contesto della Conferenza delle Regioni, parlo a nome delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome.
  Questa è un'occasione per noi è molto importante per ritornare su temi che sono stati già oggetto, come ricordato in precedenti interventi, dell'attenzione di questa Commissione, nell'ambito dei rapporti in particolare della Conferenza dei Consigli regionali.
  L'Italia ha un problema di qualità istituzionale complessivo, certificato da molte ricerche internazionali, che riguarda certamente anche lo Stato centrale. L'esperienza regionale ha mostrato che, intorno a questa media dello Stato centrale, che non è particolarmente alta, c'è stata una distribuzione di comportamenti, da cui sono emersi anche risultati ed esperienze molto virtuosi.
  Da questo punto di vista, le esperienze regionali hanno una certa varietà, ma sicuramente ci sono state delle performance di assoluta eccellenza, in termini di qualità dei servizi erogati con efficienza ed efficacia.
  La diversità delle esperienze regionali, a nostro modo di vedere, deve essere ulteriormente valorizzata – e uno Stato saggio deve rendersi conto che questa differenziazione è una ricchezza – e le buone esperienze devono essere diffuse sul territorio.
  Si è parlato tante volte di un decentramento o di un federalismo a velocità differenziata nonché di un autogoverno attuato con grande responsabilità, nella convinzione che, in alcuni casi, si possa migliorare la performance media dello Stato centrale.
  Il federalismo differenziato, secondo le Regioni a statuto speciale, significa consentire forme di policentrismo autonomistico laddove ci sono miglioramenti, per cui occorre identificare le buone pratiche, anche attraverso il ruolo dello Stato, e trovare il modo di diffonderle in Regioni che autonomamente non sono riuscite a generarle.
  Nello spirito di offrire un contributo fattivo all'ulteriore valorizzazione delle differenziazioni regionali e in linea con la necessità prospettata alla Commissione di presentare all'Assemblea parlamentare una relazione, che individui proposte concrete sulle tematiche in oggetto e sulla sua attività, sin dal 2015 i Presidenti delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome di Trento e Bolzano hanno avviato un produttivo unitario confronto sulle modalità e sulle procedure per il rilancio della specialità, come componente della ricchezza culturale, oltre che politico-istituzionale, del Paese.
  Adesso, intendo soffermarmi su due punti specifici, che troverete nel documento che vi lasceremo. Il primo punto riguarda lo stato di attuazione degli Statuti speciali, mentre il secondo punto concerne l'efficacia delle norme di attuazione.
  Diversamente dagli Statuti delle Regioni ordinarie, gli Statuti speciali si connotano, oggi, per un'elevata rigidità e per la loro formale unilateralità. Essi hanno, purtroppo, dimostrato finora una scarsa propensione a evolvere, malgrado la loro formulazione vigente sia ormai già molto datata, stante la loro speciale procedura di modificazione, che attualmente prevede soltanto l'espressione, limitatamente ai progetti di iniziativa governativa o parlamentare, di un semplice parere del Consiglio regionale o provinciale interessato.
  L'obiettivo, finora disatteso, di aprire una fase di rapida e complessiva riforma statutaria era già stato annunciato dall'articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 ed è stato poi rilanciato dalla proposta di riforma costituzionale sul superamento del bicameralismo paritario e sulla revisione del Titolo V della parte seconda della Costituzione, che prevedeva espressamente che: «Le disposizioni di cui al capo IV della presente legge costituzionale non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome.» Pag. 11
  La previsione di una clausola di salvaguardia, che disciplini, com'è necessario, l'intesa per la revisione degli Statuti, era, a nostro modo di vedere, comunque sicuramente una soluzione positiva. Per la prima volta infatti sarebbe stato sancito in Costituzione, in forma espressa, lo strumento pattizio e, con esso, un importante strumento di leale cooperazione tra lo Stato e le Regioni a statuto speciale e le Province autonome.
  L'esito del referendum confermativo dello scorso 4 dicembre non deve, perciò, distogliere l'attenzione dall'assoluta e confermata necessità, per rilanciare l'operatività degli Statuti speciali, che il processo della loro riforma debba svilupparsi attraverso l'introduzione di un binario di stretto e fattivo coinvolgimento delle Regioni interessate.
  La previsione di innovative procedure di preventiva intesa sui contenuti delle riforme può, infatti, aprire concretamente la strada a una stagione di produttività e modernizzazione del regime di specialità, che, in tutti i sistemi ad autonomia differenziata, include sempre, in maggiore o minor misura, fasi di negoziato e di concertazione tra il Parlamento, che approva la modifica, e la Regione e la Provincia destinatarie, o meglio beneficiarie, degli esiti della stessa.
  La soluzione che, oggi, vi prospettiamo, pur rimanendo nell'alveo del procedimento previsto per l'approvazione delle leggi costituzionali, punta a superare la logica puramente antagonista dei pareri e dei veti e risponde pienamente a quanto preteso dalla Corte costituzionale, nel rimarcare che le intese tra lo Stato e le Regioni o le Province autonome debbano essere di tipo forte, non superabili con una determinazione unilaterale dello Stato, se non nell'estrema ipotesi, che si verifica allorché l'esperimento di ulteriori procedure bilaterali si sia rivelato inefficace. Su quest'aspetto, si è già pronunciata più volte la Corte costituzionale.
  Nel procedimento di revisione degli statuti si prospetta la previsione di un'intesa da parte della Regione interessata, espressa con apposita deliberazione da parte del Consiglio regionale o provinciale. Nel caso di mancato accordo sul testo, si potrebbe pensare alla nomina di una commissione paritaria di convergenza, composta da senatori, deputati e consiglieri regionali o provinciali, che, entro un termine perentorio, possa approvare una proposta condivisa di revisione dello statuto. In caso di ulteriore disaccordo, si può ipotizzare che non si faccia luogo all'ulteriore iter di modifica dello statuto speciale.
  Punto qualificante dell'ipotesi prospettata è la previsione di un percorso concertativo attraverso l'attivazione di una commissione paritaria di convergenza, composta da senatori, deputati e consiglieri regionali, designati dai Presidenti delle rispettive Assemblee. Da questo punto di vista, c'è stato un fattivo confronto con la Conferenza dei Consigli regionali, il cui rappresentante ha parlato precedentemente.
  Tale soluzione richiama il modello europeo del Comitato di conciliazione, che riunisce, allo scopo di formulare un testo condiviso per superare l’impasse di possibili disaccordi, i membri del Consiglio dell'Unione e i rappresentanti del Parlamento europeo nella procedura legislativa di cui all'articolo 294 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
  Relativamente alle norme di attuazione, il binomio Commissioni paritetiche e decreti legislativi, che contengono le norme di attuazione, dal punto di vista strettamente tecnico, costituisce ancora la migliore soluzione a tutela dell'autonomia, come espressamente affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 213 del 1998.
  Probabilmente, a seguito del fallimento della riforma costituzionale, il potenziamento delle norme di attuazione costituisce anche lo strumento più efficace e facilmente percorribile, secondo un metodo il più possibile unitario, in funzione degli interessi riscontrabili per ciascuna delle Regioni e Province autonome interessate.
  Le norme di attuazione sono state, infatti, unanimemente indicate, anche nelle recenti audizioni presso codesta Commissione, come lo strumento per eccellenza in grado di dare flessibilità e dinamismo agli ordinamenti speciali. Esse sono dotate di Pag. 12una particolare forza formale nel sistema delle fonti di diritto, in quanto si riferiscono direttamente alla legge costituzionale, con lo Statuto, e si impongono sulle leggi ordinarie.
  Inoltre, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha attribuito ad esse non solo funzioni di attuazione, ma anche di integrazione degli Statuti speciali, i quali, come tutte le disposizioni costituzionali, devono conservare la capacità di adeguarsi alle novità istituzionali.
  Tramite tale strumento è possibile circoscrivere la congiunturale azione accentratrice dello Stato, in sede di approvazione degli atti legislativi, e della Corte costituzionale, in sede di giudizio sul rispetto delle competenze legislative attribuite, contrattando l'ampiezza delle funzioni di competenza regionale.
  Le norme di attuazione consentono di non lasciare alla sola iniziativa del legislatore nazionale la determinazione dei rispettivi ambiti di competenza legislativa dello Stato e della Regione. La più recente giurisprudenza della Corte costituzionale ha posto in evidenza, infatti, come, in presenza di norme di attuazione ben redatte, sia possibile ancorare le competenze regionali a un parametro costituzionale certo, rendendo particolarmente difficile la sottrazione delle competenze alle Regioni speciali.
  I decreti legislativi che contengono le cosiddette «norme di attuazione» degli Statuti svolgono appieno questo ruolo di implementazione dello Statuto stesso. Tuttavia, nonostante l'esperienza complessivamente positiva, secondo le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome, è indispensabile apportare alcune modifiche integrative, che consentano di valorizzare ulteriormente la funzionalità di tale strumento. Da una parte, è necessario intervenire sul meccanismo di funzionamento delle Commissioni paritetiche e, in particolare, è necessario porre rimedio al verificarsi fisiologico e ripetitivo di alcune situazioni, che troppo spesso portano alla paralisi della funzionalità delle Commissioni.
  In primo luogo, a causa delle conclusioni delle legislature nazionali, regionali e provinciali, le Commissioni affrontano lunghi periodi di inattività. C'è un'asimmetria nel loro periodo di legittimazione dovuta alle procedure di sostituzione dei membri di designazione governativa o regionale e provinciale. Inoltre, considerando il disallineamento tra la conclusione della legislatura nei diversi livelli di governo, tali periodi di inattività possono ripetersi con cadenza molto ravvicinata, determinando il blocco del funzionamento delle Commissioni, sul lato del Governo o della Regione e Provincia.
  Con riferimento alle procedure di nomina o di sostituzione, occorrerebbe sottrarre la Commissione a meccanismi esasperati di spoil system. La soluzione più percorribile in tale senso parrebbe essere l'estensione, alle Commissioni paritetiche, del regime di prorogatio, fino a che i rispettivi organi politici non provvedano alla sostituzione dei Commissari.
  In secondo luogo, a causa della debole razionalizzazione dell'operato delle Commissioni paritetiche, vi è una carenza di coinvolgimento diretto del Governo nei lavori istruttori delle Commissioni. Tale carenza si riflette nel fatto che i membri di nomina statale si confrontano esclusivamente con gli apparati burocratici preposti all'assistenza dei lavori delle Commissioni. La proposta – un po’ più dettagliata nel documento – è quella di fare in modo che, attraverso un organismo che fondamentalmente si radichi all'interno della Presidenza del Consiglio dei ministri e specificamente nel Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, si formuli, già in sede di definizione delle posizioni delle Commissioni paritetiche, una posizione unitaria del Governo, senza rimettere tutto in discussione.
  In terzo luogo, in ordine ai profili sostanziali delle norme di attuazione, si propone di ampliarne lo spettro di azione, per adeguarle, nei loro contenuti, all'evoluzione del sistema delle fonti del nostro ordinamento giuridico.
  Infine, si propone l'introduzione di uno strumento concertativo nuovo che permetta di superare il gravoso contenzioso costituzionale, che ha accompagnato l'applicazione Pag. 13 della riforma del Titolo V della Costituzione.
  Questi punti hanno uno sviluppo ulteriore nel documento che lasceremo a disposizione della Commissione.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola al Vicepresidente dell'UPI, Carlo Riva Vercellotti, per il suo intervento.

  CARLO RIVA VERCELLOTTI, Vicepresidente dell'UPI. Grazie, signor presidente. Le anticipo che abbiamo già presentato un documento come Unione delle province italiane, per cui mi limiterò in pochissimi minuti a riassumerne i contenuti.
  Intanto, abbiamo letto con grande attenzione la relazione del Presidente, che riteniamo condivisibile, perché tocca, già nelle premesse, alcuni aspetti positivi: l'esigenza di un completamento della legge Delrio e l'esigenza di un completamento del federalismo fiscale. Insomma, si tratta di un'analisi certamente lucida e corretta, che prende ancor più forza, dopo l'esito non confermativo del referendum del 4 dicembre.
  Per noi diventa fondamentale una premessa di ordine politico, come Unione delle province italiane, perché noi abbiamo vissuto una fase di transitorietà che dura ormai da tre anni e a cui deve essere posta la parola fine, perché gli effetti disastrosi sui servizi ai cittadini e sulla pubblica incolumità sono sotto gli occhi dell'intera nazione.
  La premessa fondamentale è che chiediamo un adeguamento alla Costituzione italiana, fatto in modo chiaro, e, come anche lei ha evidenziato, un completamento della legge Delrio.
  In che modo si può fare? Semplicemente, si potrebbe fare un'analisi di ciò che è andato bene e di ciò che è andato meno bene, per cui consolidiamo gli aspetti positivi e modifichiamo quelli non positivi. Chiariamo definitivamente il perimetro delle funzioni fondamentali, rafforziamo le funzioni di supporto sui Comuni e superiamo ovviamente anche la provvisorietà che riguarda le Province delle Regioni a statuto speciale. Inoltre, chiediamo il finanziamento integrale delle funzioni, perché, se mi assegni una funzione, mi devi assegnare, per il principio della corrispondenza, che lei intelligentemente ha evidenziato nel rapporto essere fondamentale, anche il finanziamento. Infine, sistemiamo le storture del sistema elettorale, che portano i Presidenti a essere completamente abbandonati e isolati nel loro ruolo di governo dell'ente di area vasta.
  Come anche lei ha evidenziato, dobbiamo fare i conti con un esito referendario che, in realtà, è il secondo rispetto a un primo esito, e che chiude una vicenda, insieme alle varie sentenze della Corte costituzionale, da ultima la n. 251 del 2016, più volte citata anche questa mattina, per cui è necessaria una riflessione su cosa fare. Dobbiamo dare attuazione all'articolo 11 e farlo il più velocemente possibile.
  Devo dire che su tanti aspetti siamo in linea con la relazione e vengo rapidissimamente ai punti salienti.
  Per quanto riguarda le fonti, la modifica dei regolamenti parlamentari, ancorché, come a voi ben noto, non è un momento così facile da un punto di vista politico, è importante, insieme alla previsione di una legge ordinaria per modificare le disposizioni legislative che attualmente regolano la composizione della parte parlamentare.
  Per quanto riguarda la sua composizione, la nostra proposta è quella di lasciare il numero dei parlamentari a 42, quindi 21 deputati e 21 senatori, e considerare 21 rappresentanti delle Regioni e delle Province autonome eletti dai rispettivi Consigli e 21 rappresentanti per Comuni, Città metropolitane e Province. In questo modo, si potrebbe consentire una partecipazione paritaria di tutte le componenti nella Commissione, appunto come integrata.
  Per quanto riguarda il sistema di voto, quello per componenti ci vede d'accordo.
  Per quanto riguarda la disciplina delle Conferenze, la cosa fondamentale è evitare duplicati, per cui non può la Commissione integrata fare la stessa cosa che fanno la Conferenza unificata o altri. Da un lato, la Commissione integrata deve lavorare sul processo legislativo e, dall'altra parte, crediamo Pag. 14 che le Conferenze possano essere ben valorizzate come sedi di confronto sulle problematiche amministrative connesse all'attuazione degli accordi e delle leggi.
  Inoltre, la Conferenza dovrebbe essere sempre più valorizzata anche sugli indirizzi generali e sugli accordi che impegnano tutte le istituzioni della Repubblica. Questo potrebbe essere un ruolo importante e forte della Conferenza.
  Nella mia Regione un processo di questo tipo è già attuato, perché c'è una Conferenza Regione-Autonomie locali, che si occupa di confrontarsi sui regolamenti e sulle delibere di Giunta, e poi c'è un Consiglio delle Autonomie locali, che si occupa del processo legislativo regionale. Ecco, potremmo contemplare qualcosa di questo tipo.
  Giungo alla conclusione dicendo che riteniamo ugualmente positiva l'idea di una co-presidenza e di un sostegno di tutte le istituzioni della Repubblica per la formazione dell'ordine del giorno, come riteniamo sia fondamentale che tutte le procedure siano velocizzate e procedimentalizzate.
  C'è un ultimo punto che vorrei sottolineare. Voi ponete alcune alternative per quanto riguarda la composizione della Conferenza, mentre noi saremmo per l'idea di una Conferenza unica, quindi una sede plenaria e due sezioni o sedi distinte, quella regionale e quella locale.
  In conclusione, Presidente, da parte nostra c'è grandissimo interesse e attesa. Chiediamo naturalmente un'accelerazione di tutto questo processo, perché riteniamo, come hanno detto bene alcuni dei relatori che mi hanno preceduto, che questo sia fondamentale per semplificare il sistema, per evitare il contenzioso e anche per migliorare la qualità delle leggi italiane.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto per il suo contributo e anche per il testo che ci ha lasciato.
  Do la parola al Presidente dell'UNCEM, Enrico Borghi, per lo svolgimento dell'ultima relazione.

  ENRICO BORGHI, Presidente dell'UNCEM. Grazie, presidente. Svolgerò molto rapidamente la mia relazione, perché molte delle questioni citate in precedenza fanno parte anche del contributo, che lasciamo all'attenzione della Commissione.
  Vorrei focalizzare l'attenzione su un aspetto. Nel quadro della indispensabile definizione del percorso applicativo di una riforma, che purtroppo risale al 2001 e che non ha trovato, sino a questo punto, un'adeguata capacità di traduzione in pratica, occorre recuperare un elemento, che già nei lavori della XIV Legislatura venne debitamente considerato, cioè l'esigenza della rappresentanza plurale e composita dei territori del nostro Paese, all'interno di un organismo così importante.
  C'è una richiesta che ci sentiamo di dover fare in questa circostanza. Vorremmo sottolineare che, dal nostro punto di vista, è possibile e in qualche misura doveroso intervenire sotto il profilo regolamentare, senza dover accedere a un percorso di carattere legislativo, per un'integrazione di una Commissione con i rappresentanti delle Regioni e delle autonomie locali, tenendo conto anche della rappresentanza dei territori montani e dei territori rurali.
  Lo dico anche in connessione con le politiche, che Governo e Parlamento hanno avviato lungo questa prospettiva, e che i componenti della Commissione ben conoscono e che debbono trovare una naturale sede di confronto, di compensazione e di dialogo all'interno di un organismo come questo, proprio per andare nella direzione ricordata in precedenza e soprattutto per andare in una direzione di sostenibilità delle politiche fiscali, delle politiche finanziarie e delle politiche tributarie e di bilancio, che lo Stato interpretata, nel momento in cui assume le proprie leggi fondamentali.
  Ora, se noi accedessimo all'idea che il percorso di definizione del DEF, da un lato, e delle leggi di bilancio, dall'altro, fosse costruito dentro un percorso di concertazione e di confronto in questa sede, sicuramente eviteremmo problemi a cascata, che poi si riverberano in un'esigenza di Pag. 15dovere intervenire successivamente, così come è stato ricordato in precedenza.
  Quindi la questione della composizione e dell'integrazione della Commissione è uno degli elementi che può consentire di affrontare il tema delle competenze e delle modalità di deliberazione e di funzionamento.
  Riguardo agli effetti, nell'ambito del procedimento legislativo, dei pareri espressi dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali, si ritiene adatta la soluzione che limita l'intervento nelle materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e all'articolo 119 della Costituzione, in maniera tale da definire anche il perimetro del lavoro.
  Concludo con una osservazione alla Commissione, nella sua competenza, relativamente al sistema di raccordo tra Stato e autonomie locali e al suo riordino. Avevamo già affrontato questo tema nella discussione relativa all'organizzazione del ’sistema delle conferenze’. Ora, appare di tutta evidenza che questo percorso è il necessario completamento di quel lavoro. Il ’sistema delle conferenze’, così com'è, è stato immaginato e pensato come un percorso transitorio verso la realizzazione di un obiettivo di questa natura.
  Credo che non si possa continuare a trasferire in quella sede competenze, dibattiti e riflessioni, che sono propri di una discussione di natura parlamentare e di una sintesi di natura più politica, quindi appare logico che il discorso delle conferenze debba afferire alle questioni amministrative applicative e di concreta attuazione, mentre il tema di questa Commissione debba necessariamente tornare ad essere quella sede di confronto politico, che probabilmente fino a questo punto è mancata, determinando una serie di problematiche.
  Da ultimo, segnalo alla Commissione la peculiarità, oltre alle situazioni di regime di autonomia speciale, che la legislazione in questo anno ha riconosciuto alle Province montane. Sotto questo profilo riteniamo che si debba tenere in considerazione anche questo particolare focus, che è entrato all'interno del nostro sistema legislativo e che potrebbe utilmente trovare una sua rappresentanza all'interno di questo contesto.

  PRESIDENTE. Grazie, Presidente Borghi.
  Prima di concludere l'audizione, ricordo ai colleghi che il 16 marzo alle ore 8.15 si svolgerà l'audizione della Ministra per i rapporti con il Parlamento, senatrice Anna Finocchiaro.
  Ringrazio tutti gli intervenuti ed autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.

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