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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 29 marzo 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA RELAZIONE ALL'ASSEMBLEA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI E SULL'ATTUAZIONE DEGLI STATUTI SPECIALI

Audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Enrico Costa.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Costa Enrico (AP-CpE-NCD) , Ministro per gli affari regionali e le autonomie ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 7

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Enrico Costa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Enrico Costa, nell'ambito dell'indagine conoscitiva deliberata dalla Commissione per l'esame della relazione all'Assemblea sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali e sull'attuazione degli Statuti speciali.
  Nel rinnovare i ringraziamenti al ministro per la disponibilità, cedo subito a lui la parola.

  ENRICO COSTA, Ministro per gli affari regionali e le autonomie. Signor presidente, onorevoli colleghi, mi fa piacere poter partecipare a questa indagine che, nel tempo, è venuta acquisendo un rilievo molto particolare, sia per i contributi autorevoli della dottrina, sia per la passione con la quale tutti gli intervenuti hanno partecipato al dibattito e all'approfondimento dei temi di volta in volta affrontati.
  Rivolgo un ringraziamento particolare al presidente D'Alia che ha saputo, con passione e sicurezza, tenere la rotta nella prima fase dei lavori della Commissione quando, per mesi, ci si è interrogati sulle istituzioni di raccordo tra Stato, Regioni e autonomie locali, in un quadro costituzionale per così dire in mezzo al guado: tra il precedente e attuale testo della Costituzione, del quale conoscevamo e conosciamo i limiti e i problemi, ed un nuovo quadro istituzionale, ancora tutto da esplorare, rispetto al quale chiaramente era fondamentale affrontare i temi dei rapporti tra lo Stato e le Regioni, ivi compresa la revisione delle conferenze.
  Ovviamente dopo il risultato del referendum, la Commissione si è trovata a navigare in acque diverse ed è stata molto importante la capacità di prefigurare delle proposte e fare un'istruttoria molto puntuale e precisa.
  Quindi, la relazione del Presidente rappresenta un importante punto di riferimento. Sottolineo in particolare un aspetto in proposito. Essa, richiamandosi al documento conclusivo del 13 ottobre 2016, propone di porre al centro dell'attenzione l'ineluttabilità di portare a compimento la riforma costituzionale del 2001, adeguando finalmente ad essa le procedure parlamentari e riordinando il ’sistema delle conferenze’, tuttora regolato da una disciplina precedente alla riforma.
  La parte più ampia è dedicata a come dare attuazione al mai attuato articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, che prevede l'attribuzione di compiti speciali e complessi alla Commissione parlamentare per le questioni regionali, in composizione allargata ai rappresentanti delle Regioni e degli enti locali. La relazione è dunque orientata a un ambizioso piano di rivisitazione dell'attuazione del dettato costituzionale, comprese le parti che sono rimaste inattuate; è un'impostazione certamente apprezzabile. Pag. 4
  L'analisi si fonda sulla praticabilità, specialmente per quanto riguarda il rapporto generale fra Stato e Regioni, e in particolare il rapporto tra il potere legislativo statale e regionale, della via maestra di tornare su una norma complessa, quale quella dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Si tratta di una disposizione che, come la stessa relazione dimostra, richiede, per assicurare un funzionamento accettabile, una serie di provvedimenti legislativi e regolamentari, nonché lo scioglimento di nodi rilevanti circa la composizione e la convocazione della Commissione e anche il suo raccordo con il quadro costituzionale in materia di formazione della legge. Del resto, non è un caso se, malgrado il lungo tempo intercorso e il succedersi di diverse maggioranze parlamentari, essa non sia stata attuata.
  Chiediamoci quindi se il lungo tempo intercorso, con il formarsi di una cospicua giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di leale collaborazione, renda oggi più fondata l'ipotesi che l'attuazione di quella disposizione possa costituire una piattaforma solida con la quale dare una risposta adeguata alla necessità di leale collaborazione tra Stato, Regioni ed enti territoriali.
  Ho citato due volte la leale collaborazione, perché penso debba costituire un punto di riferimento essenziale, non soltanto formale, ma anche e soprattutto sostanziale. Non sembra infatti discutibile che mano a mano che si è proceduto con l'attuazione della riforma del 2001, proprio la leale collaborazione si sia sempre più delineata come il fulcro dell'asse dell'equilibrio tra le competenze normative dello Stato e quelle delle Regioni, quando in un medesimo ambito concorrano interessi distinti, ma anche una fitta trama di relazioni tra essi.
  In questi casi infatti, se per un verso si giustifica la disciplina statale unitaria di fenomeni sociali complessi, dall'altra sorge la necessità di assicurare, in un quadro appunto di leale collaborazione, il rispetto dei diversi legislatori e, anche al di fuori della legislazione, dei diversi decisori, compresi gli enti territoriali.
  Aggiungo che, rispetto alla sentenza n. 251 del 2016, va evitato un errore nel quale talvolta, a una prima lettura, si è caduti. La sentenza n. 251 non comporta affatto l'estensione dell'intesa all'attività legislativa dello Stato, ma riguarda soltanto l'attività di rango primario delegata al Governo; ovviamente non voglio addentrarmi in temi che sono stati già oggetto di analisi puntuale da parte di costituzionalisti e lo saranno anche in futuro. A me pare che, se guardiamo al quadro costituzionale e anche agli insegnamenti della Corte costituzionale, vada detto chiaramente che al centro della nostra analisi deve esserci il principio di leale collaborazione. Si tratta di un principio che la Corte aveva elaborato anche prima della riforma costituzionale del 2001, ma che con il nuovo Titolo V è diventato l'architrave centrale delle relazioni tra Stato, Regioni e, per provvedimenti non legislativi, anche altri enti territoriali.
  Già prima della riforma costituzionale quindi, la Corte costituzionale aveva affermato che il ’sistema delle conferenze’ rappresenta una sede privilegiata di negoziazione politica e uno strumento di cooperazione dello Stato e delle Regioni. Questi stessi concetti, con la riforma del 2001, si estrinsecano appunto nell'obbligo di leale collaborazione, un obbligo che scatta ogni volta che in determinate materie possa esserci una sovrapposizione o un intreccio tra legislazione statale e regionale. Il sistema delle Conferenze rappresenta, o dovrebbe rappresentare, non soltanto una sede istituzionale a competenze definite e atti tipizzati, ma anche la sede privilegiata del confronto e della negoziazione politica tra lo Stato e le Regioni, e quindi è anche uno strumento di cooperazione tra Stato e regioni.
  L'esigenza di individuare la leale collaborazione si è articolata secondo diverse modalità formali, intese, accordi o pareri, ma anche in modalità informali di confronto e negoziazione politica, che ha trovato nella Conferenza la sua sede ideale. Infatti, sono innumerevoli le decisioni che fanno proprio riferimento alla leale collaborazione e alle Conferenze come sede di procedure decisionali e collaborative.
  Sull'aspetto del rapporto informale e non tipizzato farò un riferimento, anche Pag. 5legato all'attività quotidiana del Dipartimento degli affari regionali.
  La citata sentenza n. 251 richiama addirittura l'opportunità che le conferenze possano essere le sedi di confronto tra Stato e Regioni nel procedimento legislativo. Va ricordato però che il riferimento non riguarda tanto la necessità della previsione dell'intesa sulla legge di delega, ma nella legge di delega.
  Il ’sistema delle conferenze’, come ho detto, è nato prima del 2001. La prima Conferenza Stato-Regioni fu istituita dal Governo Craxi e, fino ai giorni nostri, vediamo che è segnata da una crescente costruzione di relazioni tra Stato, Regioni e autonomie locali improntate a sviluppare la cooperazione reciproca e la leale collaborazione; e lo stesso vale per ciò che attiene al percorso Stato-Città.
  Questo è un sistema che ha retto anche alla riforma del 2001, tanto da prevedere successivamente anche il meccanismo dell'intesa forte, che ha accompagnato tutto il successivo sviluppo dell'attuazione del Titolo V, consentendo alla Corte di trovare, nel complesso delle conferenze, un punto di riferimento molto importante.
  Il punto centrale del ragionamento deve essere quello che ho anticipato: aspetto formale della leale collaborazione o aspetto sostanziale? Io penso che sia l'aspetto formale che l'aspetto sostanziale siano elementi molto, molto importanti, perché quando la Corte individua tipologie di potere, o forme di atti, che devono essere oggetto di attività collaborativa, più che fare una fredda elencazione, chiusa, di fattispecie, indica una direzione di marcia precisa. Infatti, non per nulla, la Corte ha dichiarato in numerose sentenze che l'intesa data in sede di conferenze costituisce indizio sintomatico del venir meno della lesione giuridica o del vizio d'invasione di competenze denunciato dalla Regione impugnante. Al medesimo modo si comporta la Corte quando sottolinea che il solo fatto della mancanza della previsione dell'intesa da parte della legge di delegazione costituisce vizio di legittimità di questa; mentre invece, per ciò che riguarda il decreto legislativo, si riserva, ove l'intesa continuasse a mancare, di verificare che il contenuto sia in sé illegittimo.
  Quindi, più riflettiamo sulla complessa giurisprudenza della Corte e sulle apparenti variazioni, più ci rendiamo conto che essa guarda alla sostanza molto più che alla forma, e sostanza significa confronto, dialogo, cooperazione anche nelle forme tipizzate in modo specifico.
  Ecco perché a mio giudizio, oggi, l'analisi che viene fatta da questa Commissione con l'obiettivo di dare attuazione all'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001 deve essere oggetto di riflessione dall'esito non scontato, soprattutto nelle sue sfumature. Basta infatti leggere quella norma e la pregevolissima sintesi che ne fa il presidente D'Alia nella sua relazione, con riguardo alle possibilità di attuazione, per renderci conto dell'esigenza di scongiurare procedure macchinose, tempi lenti, dialoghi ingessati e risultati a colpi di voti, magari su singoli emendamenti.
  Ecco, sono convinto che in questa fase noi abbiamo bisogno di questo, e il vostro lavoro è molto apprezzabile, anche per la forte sensibilità politica, perché non ci deve essere soltanto una valutazione tecnica, ma ci vuole anche la sensibilità politica di comprendere come determinate procedure possano incidere nella sostanza e nell'esperienza del procedimento parlamentare.
  Penso che abbiamo bisogno anche di altro: nelle audizioni svolte si è discusso se ipotizzare forme positive nelle quali il legislatore italiano, magari tra una fase e l'altra dell'esame di un testo di legge da parte delle due Camere, possa decidere di confrontarsi in Conferenza con le Regioni. Aggiungerei un'altra possibilità. Su questo vorrei soffermarmi: mi domando se non possa essere opportuno mettere a punto, analizzare una procedura con la quale, di sua iniziativa, una Regione possa chiedere di sottoporre a un confronto preventivo con il Governo un testo in fase di elaborazione.
  Cerco di spiegarne le ragioni. Quanto alla prima ipotesi, l'ha già spiegata il sottosegretario Bressa. So che c'è già stato un dibattito su questi temi, e non vorrei tornarci. Voglio invece soffermarmi sull'ipotesi di un rapporto più elastico e più fluido Pag. 6tra le Regioni e lo Stato anche dal punto di vista delle leggi regionali, perché questa è l'esperienza che facciamo quotidianamente.
  Nel corso degli anni, abbiamo avuto un numero molto significativo di leggi regionali approvate: nel 2016 sono state 722; nel 2015, 692; nel 2014, 663. Le impugnative nel 2016 sono state 58; nel 2015, 62 e nel 2014, 47. Quindi, parliamo di percentuali del 7,1 per cento nel 2014, dell'8,9 per cento nel 2015 e dell'8 per cento nel 2016. Se confrontiamo questi dati con quelli relativi al 2011 e al 2012, verifichiamo che nel 2011 le impugnative erano state pari al 17 per cento e nel 2012 pari al 18 per cento. C'è un'evoluzione molto chiara. A fronte di un numero rilevante di leggi regionali, nel 2015 le impugnative statali accolte sono state 20, poi ve ne sono state 5 accolte parzialmente, 6 rigettate e una estinta; mentre nel 2016 le impugnative accolte sono state 25, quelle accolte parzialmente sono state 5, quelle rigettate 10 e quelle estinte 2.
  Come si vede, il numero delle impugnative statali è molto contenuto, anche per una scelta precisa del Governo. Come sapete, già i miei predecessori avevano adottato una linea di cooperazione tra il Governo e le Regioni, sempre ribadita da tutti i ministri che si sono succeduti e che io ho riconfermato. Si tratta di una linea che, di fronte alle leggi regionali che le amministrazioni statali ritengono viziate di incostituzionalità, spinge a ricercare un'intesa con la singola Regione e a ottenere da essa un impegno a modificare il testo, evitando così l'impugnativa statale. In molti casi la modifica arriva prima della scadenza del termine per impugnare, altre volte la modifica arriva successivamente. È una prassi positiva che però ha dato, bisogna dirlo, risultati in chiaro scuro. Ho fatto un'analisi, esaminando i dati tra il 2015 e il 2016. Sui numeri ci può essere qualche variazione. Su oltre 130 impegni, ne sono stati attuati una novantina, pari al 72 per cento. Il 5 per cento è stato attuato parzialmente; 29 impegni, pari al 23 per cento, non sono stati attuati. Sono dati che dovrebbero essere analizzati caso per caso e Regione per Regione; tuttavia, ci dicono che comunque il fenomeno è molto rilevante.
  Tutto questo si sviluppa non nella sede della Conferenza, ma nel rapporto con il Dipartimento che tiene i collegamenti con le altre amministrazioni e talvolta avvia dei tavoli per affrontare in modo puntuale e tecnico le questioni. Dico questo perché l'analisi di cui parlo è svolta a legge regionale pubblicata. Talvolta però sarebbe possibile – e ciò forse consentirebbe anche una maggiore consapevolezza da parte della Regione delle posizioni delle singole amministrazioni statali – permettere alle Regioni di sottoporre al Governo i testi di legge in corso di elaborazione, in forme e modalità da determinare, e nella fase dell'esame legislativo che si ritenesse più opportuna. Questo consentirebbe loro di interloquire con lo Stato, secondo modalità analoghe a quelle che ho prefigurato nel caso di una richiesta parlamentare. Si contribuirebbe a una degiurisdizionalizzazione del contenzioso, trasformando i rapporti tra Governo e legislatori regionali secondo modalità più dinamiche e positive di confronto.
  Quello che voglio sottolineare è che la leale collaborazione non è soltanto uno strumento giuridico. Ci sono strumenti giuridici, ci sono atti e procedure tipizzate che sono sintomatici di leale collaborazione. Significa che se essi ci sono, si presume la leale collaborazione; se vengono omessi, si presume che la leale collaborazione non ci sia, però ci sono anche metodologie di lavoro che possono essere ancora più utili.
  Ho fatto questo esempio perché attiene alla vita quotidiana. Accade assai raramente che una commissione di un Consiglio regionale trasmetta un testo chiedendo una valutazione alle amministrazioni competenti, in un'ottica di confronto preventivo, per evitare poi di intervenire a legislazione pubblicata. Soprattutto, penso che ciò consenta anche di articolare un dibattito nei Consigli regionali, magari in assemblea, conoscendo le posizioni dell'amministrazione centrale. Non vi è dubbio, come ho detto prima, che la leale collaborazione sia anche uno strumento giuridico e che tale debba rimanere, ove essa non sia praticata correttamente o addirittura sia violata; ma ogni strumento giuridico è sempre l'ultima, mai la prima, risorsa di un sistema Pag. 7di relazioni che vuole consentire il confronto tra i diversi soggetti che agiscono.
  Mi avvio alla conclusione e dico che siamo in un momento molto complesso, anche dal punto di vista ordinamentale; quindi è fondamentale muovere dagli spunti e dalle analisi puntuali, anche dei costituzionalisti. Ho apprezzato molto l'analisi che è stata fatta in questa Commissione, perché c'è stato un confronto di posizioni, un dialogo. Si è cercato soprattutto, sulla base dell'esperienza parlamentare, di guardare alle conseguenze che possono derivare dall'applicazione di regole che potrebbero sembrare equilibrate e proporzionate, rispetto all’iter di evoluzione delle norme.
  In questo quadro assolutamente dinamico, cito un altro esempio di leale collaborazione che ritengo possa costituire una base anche per il vostro lavoro legislativo. Lunedì, il Presidente del Consiglio ha convocato a Palazzo Chigi tutti i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome. Chi ha partecipato – io ho partecipato – ha potuto cogliere il concreto spirito di collaborazione e di confronto che si è sviluppato. Abbiamo avuto l'esempio concreto di un confronto politico che si è affiancato al confronto tecnico che si sviluppa nelle conferenze, perché il lavoro delle conferenze è per lo più tecnico e si svolge sui singoli provvedimenti, ponendosi in chiave di collaborazione, ma con un intento emendativo, finalizzato a modulare il percorso in termini di cooperazione.
  La riunione presieduta dal Presidente Gentiloni è stata in chiave molto politica. Si sono toccati temi importanti, dai fondi strutturali all'assetto istituzionale, al ruolo delle Province, fino ai rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni. Quindi si sono trattati temi importanti, che hanno qualificato il dibattito come un dialogo di portata politica molto rilevante. Penso che anche il confronto politico sia un elemento importante che potrebbe non essere lasciato soltanto alle iniziative delle parti, quindi alla richiesta della Conferenza o all'iniziativa del Presidente del Consiglio, ma potrebbe far parte di un percorso che si sceglie periodicamente di attivare. Dico questo perché il rapporto settimanale tra il Governo e le Regioni in Conferenza secondo me fatica a decollare dal punto di vista politico generale. Dal punto di vista tecnico funziona; dal punto di vista politico, ha necessità di un'evoluzione, e l'ho percepito molto bene nella riunione che si è svolta lunedì.
  Ringrazio molto per il lavoro che è stato svolto e per il tempo che i parlamentari mi hanno dedicato. Penso che ci possa essere ancora un'attività di confronto certamente proficua, come è negli obiettivi del presidente D'Alia e della Commissione tutta. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il ministro. Se non ci sono domande, prima di chiudere l'audizione vorrei dire due cose.
  La prima è che l'iniziativa del Presidente Gentiloni sulla convocazione di una cosiddetta Conferenza dei Presidenti delle Regioni, che è un organo di consultazione sulle politiche pubbliche e che prescinde dal formalismo procedimentale della Conferenza Stato-Regioni, è da noi auspicata e condivisa, anche alla luce di ciò che sia lei, ministro Costa, che il sottosegretario Bressa ci avete detto in più riprese in Commissione.
  Auspichiamo peraltro che il Governo possa assumere un'iniziativa di riforma del ’sistema delle conferenze’, proprio per semplificarne le procedure, renderle più accessibili ai cittadini e contemporaneamente concentrare il confronto tra Stato e Regioni proprio sul tema delle politiche che il Governo centrale e i Governi regionali devono condividere, al di là di una sede formale e procedurale complicata.
  Ricordo ai colleghi che concluderemo il ciclo di audizioni, prima di predisporre e discutere in Commissione la relazione al Parlamento, con l'audizione dell'onorevole Maria Elena Boschi, sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, giovedì 6 aprile alle ore 8.15.
  Dichiaro chiusa la seduta.

  La seduta termina alle 8.45.