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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Mercoledì 20 maggio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 

SULLE PROBLEMATICHE CONCERNENTI L'ATTUAZIONE DEGLI STATUTI DELLE REGIONI AD AUTONOMIA SPECIALE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL RUOLO DELLE COMMISSIONI PARITETICHE PREVISTE DAGLI STATUTI MEDESIMI

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 2 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 7 
Laniece Albert  ... 7 
Ribaudo Francesco (PD)  ... 8 
Dalla Zuanna Gianpiero  ... 8 
Kronbichler Florian (SEL)  ... 8 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 9 
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 9 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 11 
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 11 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche connesse alle procedure di attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale e, in tale contesto, al ruolo delle commissioni paritetiche previste dagli statuti medesimi.
  Do la parola al Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Grazie, presidente, mi scuso non essere potuto intervenire la scorsa settimana per motivi di salute.
  Ho avuto modo di vedere, come è ovvio, gli atti delle precedenti audizioni e ho inteso procedere con una sorta di relazione sistematica, affrontando quello che è il tema principale del quale mi occupo, cioè il ruolo delle Commissioni paritetiche ma soprattutto la funzione delle norme di attuazione.
  Per fare questo, però, ho inteso immaginare di inquadrare il problema nel suo aspetto generale ma anche storico, perché altrimenti rischiamo di fare delle affermazioni unilaterali, che possono anche essere giuste nelle intenzioni, ma rischiano di sfocare l'oggetto di cui dobbiamo discutere oggi. Mi riferisco soprattutto ad alcune audizioni recentemente avvenute, che a mio modo di vedere rischiano di creare più confusione che non aiutare una dimensione di comprensione di un fenomeno che è estremamente complesso.
  Per motivi di brevità perché altrimenti rischierei di parlare veramente molto, lascerò agli atti un testo scritto.
  Comincio con una prima premessa relativa alla storia delle specialità. La storia della specialità è in realtà la storia delle cinque autonomie speciali. Per la Sicilia la Sardegna c’è l'istituzione nella seconda metà del 1944 di due Alti Commissariati e successivamente di Consulte regionali; per Trento e Bolzano c’è l'Accordo di Parigi De Gasperi Gruber ed è opportuno ricordare che questo è l'unico statuto di autonomia predisposto sulla base di un disegno di legge del Governo, cosa che avviene nel settembre del 1946.
  A questo proposito è utile ricordare la testimonianza di Karl Gruber, il Ministro degli esteri austriaco, resa l'11 settembre del 1991 a monsignor Igino Roger, un sacerdote della diocesi di Trento a cui era stato affidato l'incarico delle procedure per il processo di beatificazione di De Gasperi. In quell'occasione ci fu un interessante incontro tra Monsignor Roger e Karl Gruber, durante il quale Gruber ebbe Pag. 3a fare un'affermazione che storicamente era acquisita, ma mai come in quel momento fu esplicitata.
  Roger riporta infatti (i nastri testimoniano la veridicità di queste affermazioni) che confidò che entrambi, cioè De Gasperi e Gruber stesso «si erano resi conto che non sarebbe bastato siglare un grande documento internazionale, l'Accordo di Parigi, per vedere realizzare le cose contenute in esso, concordando che la strada per realizzare i diritti etnici della popolazione tedesca dell'Alto Adige sarebbe stata agevolata dalla compresenza e dalla compartecipazione dei trentini».
  Questo a significare che l'Accordo di Parigi cita Trento e Bolzano non in virtù di una vicinanza geografica, perché altrimenti anche altre realtà avrebbero potuto essere assimilate, ma in ragione di alcune motivazioni storiche, che derivavano dalla storia dei due territori, ma anche dagli avvenimenti che erano accaduti in quegli ultimi anni con il secondo conflitto mondiale.
  Per la Valle d'Aosta abbiamo il decreto legislativo luogotenenziale n. 545 del 7 settembre 1945; per il Friuli Venezia Giulia, che si trova in una posizione leggermente diversa rispetto alle altre quattro autonomie speciali, abbiamo però in sede di Assemblea costituente una discussione molto accesa su tale autonomia speciale, che si risolve con la decima disposizione transitoria finale per Trieste, perché, come voi sapete, allora non si era ancora chiuso il contenzioso post-bellico, che è una sorta di rinvio al futuro della specialità, che viene poi risolta nel 1963 con l'approvazione dello statuto delle autonomie.
  Tutto questo ha fatto sostenere a Livio Paladin che il dibattito in Assemblea costituente sul carattere speciale si muoveva dalla constatazione di una sorta di fatto compiuto, del quale la costituente avrebbe dovuto prendere atto.
  Questo atteggiamento si trova esplicitato non solo nella relazione scritta di Gaspare Ambrosini alla conclusione dei lavori del Comitato da lui presieduto, ma già prima, nell'agosto 1946, nell'ordine del giorno di Attilio Piccioni, che conteneva l'indicazione di tenere presenti le situazioni particolari esistenti e si richiamava espressamente la Sicilia, la Sardegna, la Valle d'Aosta e il Trentino Alto Adige.
  Seconda importante premessa: un anno fa, il 26 maggio 2014, a Trieste, nella seduta solenne in ricordo del cinquantesimo dell'Assemblea legislativa del Friuli Venezia Giulia, il professor Gaetano Silvestri allora Presidente della Corte costituzionale così si esprimeva: «come la creazione di regioni a statuto speciale non è stata l'effetto di pure evoluzioni politiche, ma è stato un portato della storia, allo stesso modo non è possibile la loro cancellazione per pura volontà politica.
  Se le regioni speciali e le province autonome vogliono avere un futuro, come è giusto che sia, è necessario che esse valorizzino le loro peculiarità, facendole diventare componenti della ricchezza culturale e sociale della nazione».
  Parole che devono fare riflettere non solo per l'autorevolezza di chi le ha pronunciate e per la solennità dell'occasione in cui sono state dette. Se vogliamo essere all'altezza di questa sfida, ci si deve chiedere non solo quanta specialità ci sia nei singoli statuti, ma quanto le regioni abbiano saputo far vivere le loro esigenze particolari nell'attuare concretamente le possibilità concesse degli statuti (si badi bene che non tutte le regioni speciali hanno una storia eguale ed egualmente positiva), quanto questo sia vissuto come una parte della storia repubblicana e quanto conti in tempi di crisi istituzionale finanziaria e politica.
  Qui entra in gioco la questione della centralità, dell'importanza delle norme di attuazione. Una prima, fondamentale considerazione: la Corte costituzionale ha riconosciuto che il significato profondo della specialità è costituito dalla cooperazione paritetica tra la regione e lo Stato, la motivazione ultima e definitiva della specialità sta nel rispetto del principio pattizio, per cui, quando viene fatta la domanda se abbia ancora senso parlare di norme di attuazione, la risposta è automaticamente sì, perché il sistema pattizio che è alla base delle norme di attuazione Pag. 4è il contenuto stesso dell'autonomia speciale, così come è stato ripetutamente ribadito dalla giurisprudenza costituzionale conforme.
  Vi cito la principale e forse più significativa tra queste, che è la sentenza della Corte Costituzionale n. 213 del 1998, dove (leggo testualmente) «il metodo paritetico da cui scaturiscono le norme di attuazione degli statuti speciali determina i contenuti storico concreti dell'autonomia regionale».
  Il primo punto è quindi la negoziazione, la volontà di rendere più efficace lo strumento bilaterale pattizio. Questo ci deve fare riflettere, come del resto ha ben fatto il professor Sergio Bartoli, sull'importanza del principio di collaborazione, quando sostiene che «la individuazione della rilevanza costituzionale della collaborazione si configura come un problema di interpretazione del sistema complessivo e, pur non potendosi fregiare di una qualità materialmente costituzionale, si configura come l'espressione di un indirizzo più flessibile e adeguabile a una situazione politica che richiede un assetto delle competenze statali e regionali difforme da quello fondato su una rigida e garantita separazione».
  Questo significa essenzialmente due cose: che il binomio supremazia/collaborazione non può essere declinato in chiave centralistica, ma deve trovare una composizione paritetica, perché questa è la sostanza della specialità, la pariteticità nei rapporti; che la questione non si riduce al solo diritto, ma ha evidenti implicazioni di tipo politico.
  Mi verrebbe da dire, mutuando un'espressione del professor Roberto Bin, «più politica e meno diritto». Faccio un esempio per chiarire. Trento e Bolzano hanno dimostrato come la capacità di iniziativa e proposta politica possa pagare, il recente Accordo di Roma dello scorso ottobre in materia finanziaria non ha prodotto solo una semplice modifica dell'articolo 79 dello Statuto del Trentino Alto Adige – Südtirol, ma ha introdotto una visione nuova e concordata tra province autonome e Stato dell'autonomia finanziaria, basata su certezza, responsabilità e solidarietà, che rappresenta non tanto un modello riproducibile, ma una scelta culturale e istituzionale significativa per l'intero Paese.
  L'aver riconosciuto che le province di Trento e Bolzano concorrono direttamente a pagare gli oneri per gli interessi della propria parte del debito pubblico costituisce un esempio di come, a fronte di un contributo speciale, ci sia una responsabilità speciale, ma l'aver riconosciuto che è il sistema territoriale integrato, cioè l'insieme di regioni, province, enti locali, autonomie, amministrazioni socio-sanitarie, università che concorre al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica significa non solo aver cancellato un contenzioso pluridecennale con lo Stato, ma aver responsabilizzato al massimo livello il ruolo istituzionale e politico delle province autonome sia verso lo Stato, sia rispetto ai propri comuni ed enti di amministrazione all'interno dei confini provinciali.
  Questo evidenzia un dato politico fondamentale: dove le esigenze particolari delle collettività territoriali sono più forti e più sentite, gli strumenti sono utilizzati meglio e le soluzioni adottate sono differenziate; dove al contrario è più difficile individuare queste esigenze, vi sono spazi di erosione delle competenze pure in astratto più forti e garantite rispetto a quelle delle regioni ordinarie.
  Non sono dunque solo gli statuti a generare la specialità, ma è piuttosto la specialità sentita e declinata in un disegno di autonomia a determinare gli spazi di vera differenziazione e di vera efficienza delle regioni speciali.
  Qui c’è anche la ragione per cui abbiamo cinque storie diverse, perché le reazioni e la capacità di sentire questa autonomia speciale e di tradurla in progetti politico-amministrativi è sicuramente diseguale tra le cinque regioni a statuto speciale. Questo non va sottovalutato perché questo dato ha a che fare non con il diritto, ma esclusivamente con la politica.
  La seconda importante considerazione: il ruolo delle norme di attuazione rispetto alla definizione del contenuto della materia. Qui c’è da fare una prima osservazione Pag. 5di carattere generale. Si possono scrivere e riscrivere gli elenchi delle materie, ma per quanto accurata sia la scrittura (se volete, ne possiamo prendere i due più recenti e più raffinati esempi degli elenchi di materie, quello fatto dallo Scotland Act nel 1998, dove ci sono 25 pagine di elenchi di materie divise millimetricamente, oppure il nuovo statuto catalano in cui ci sono 63 articoli, dal 110 al 173, rispetto ai 3 articoli del precedente statuto dove si fa questa differenziazione delle materie) non è per questa via che si possono chiarire i mille problemi applicativi. La vita si svolge per problemi e non esclusivamente per materie.
  Le regioni ad autonomia speciale hanno però, a differenza di tutte le altre, le norme di attuazione, strumento per negoziare il contenuto delle materie, creando un legame tra le materie e le loro articolazioni, provando a predeterminare i contenuti delle materie in modo da prefigurare con anticipo un minimo di certezza per il regionalismo speciale.
  Esempio tipico che si può agire così lo fornisce la sentenza della Corte Costituzionale n. 314 del 2009, una norma di attuazione della Valle d'Aosta relativa al finanziamento dell'Ateneo valdostano, che si riferisce ad una norma di attuazione sufficientemente dettagliata da implicare un parametro sicuro per la regione e rendere così difficile le sottrazioni delle competenze speciali.
  Anche in questo caso, però, il problema è più politico che di diritto: da un lato si deve superare la lentezza e a volte la superficialità delle varie burocrazie ministeriali, che non riconoscono una potenzialità costituzionalmente garantita di operare questa accurata definizione dei confini tra Stato e regioni speciali attraverso lo strumento delle norme di attuazione, dall'altro occorre la capacità di iniziativa politico-legislativa delle regioni speciali.
  Queste devono infatti uscire dal loro guscio statutario, avendo il coraggio istituzionale di rendere dinamica la propria autonomia, sfidando lo Stato anche su temi che nel corso degli anni si sono imposti come decisivi per governare e amministrare (esempio tipico l'ambiente).
  Questo consentirebbe di superare il criterio storico-normativo, sempre più incerto, per determinare i contenuti concreti di una materia, per affidarsi invece ad un accurato lavoro di ricognizione, compiuto con le norme di attuazione. Questo ci riporta all'essenzialità del rapporto pattizio bilaterale con lo Stato, al principio dell'intesa, ma ci riporta anche alla capacità di iniziativa politica, perché noi abbiamo Commissioni paritetiche che hanno sfornato nel corso di questi vent'anni decine di norme di attuazione e commissioni paritetiche la cui ultima norma di attuazione risale al 2008 !
  Comprendete quindi come questa dimensione sia estremamente complessa (sfido chiunque a fare un sondaggio e a chiedere agli italiani cosa siano le norme di attuazione; credo che le risposte corrette non raggiungerebbero lo 0,1 per cento), però la norma di attuazione è non solo lo strumento che definisce il contenuto materiale dell'autonomia speciale, ma anche lo strumento che consentirebbe alle regioni a statuto ordinario (credo che questo argomento al Senato dovrà essere ripreso) per definire nel modo migliore quel confine che rischia di restare incerto tra l'interesse dello Stato e l'interesse regionale.
  Paradossalmente in questo momento sono in crisi le regioni a statuto ordinario, perché le regioni a statuto speciale hanno uno strumento che dovrebbe essere affinato, ma funziona. Il problema riguarda le regioni a statuto ordinario, che dovrebbero trovare un meccanismo parlamentare per essere davvero incidenti sulla definizione dei limiti tra Stato e autonomie regionali in materia di legislazione.
  Per concludere vorrei fare un riferimento alla riforma costituzionale in atto. Nel testo già votato una prima volta da Senato e Camera, tra le disposizioni transitorie è stata introdotta la clausola di salvaguardia per le autonomie speciali, che prevede che le nuove norme della Costituzione non si applichino fino all'adeguamento Pag. 6dei rispettivi statuti sulla base di intesa con le medesime regioni e province autonome.
  La novità procedurale di grande importanza anche rispetto al passato sta nell'assumere il principio dell'intesa, che per la prima volta viene richiamato in sede di riforma della Costituzione, questione decisiva quando si parla della riforma degli statuti.
  Il tema più urgente, nei confronti del quale rilevo un'inerzia preoccupante e generalizzata, sarebbe quello di un approccio comune delle cinque autonomie speciali rispetto al processo di aggiornamento costituzionale dei rispettivi statuti. Quando si parla di revisione della seconda parte della Costituzione, la questione più importante e più seria è quella di rinsaldare il carattere pattizio della specialità e cominciare a riscrivere insieme, regioni, province autonome e Stato, il percorso della revisione degli statuti.
  A questo fine mi sembrerebbe opportuno e utile aprire un confronto unitario tra regioni e province speciali e Stato, anche promuovendo un confronto presso questa Commissione, confronto che potrebbe concludersi con una convenzione tra lo Stato e le autonomie speciali che tracci le linee procedurali per la revisione degli statuti, facendo di questo un passaggio repubblicano capace di esaltare il pluralismo costituzionale italiano e rimotivare i fondamenti della specialità in chiave di responsabilità e solidarietà. Ha ragione Roberto Chieppa quando dice che specialità fa rima con solidarietà.
  Nella storia delle autonomie speciali c’è un precedente in cui ci si è mossi in questo modo, una legge costituzionale che ha affrontato per tutti e cinque gli statuti la modalità con cui si doveva eleggere il presidente delle rispettive regioni. Ovviamente ogni regione si è mossa sulla base di quelli che erano i suoi intendimenti e le sue possibilità giuridiche, ma il percorso fu comune, la legge fu una legge costituzionale comune.
  Con le affermazioni che ho appena fatto ho quindi proposto di immaginare una riforma uguale per tutti e cinque gli statuti regionali, in cui il principio dell'intesa e lo strumento delle norme di attuazione diventano strumenti utilizzabili per la definizione dei rapporti tra Stato e regioni speciali per quanto riguarda le competenze e le materie.
  Sarebbe uno strumento di enorme e straordinaria flessibilizzazione, ma anche di certezza, perché altrimenti anche nel caso del rapporto tra Stato e regioni speciali il conflitto davanti alla Corte è un conflitto piuttosto intenso.
  A dimostrazione di quanto sto dicendovi vale (anche se questo può essere doloroso per qualche regione a statuto speciale) la sentenza della scorsa settimana della Corte costituzionale che ha bocciato i ricorsi di Sardegna e Sicilia (non so se fossero coinvolti anche la Valle d'Aosta e il Friuli, che però hanno comunque fatto ricorsi identici relativamente agli accantonamenti) che ha dichiarato non accoglibile quel ricorso, prendendo ad esempio l'accordo tra lo Stato, Trento e Bolzano, a dimostrazione che un accordo e un'intesa sono lo strumento perfetto, utile e necessario per evitare i possibili contenziosi e per dare certezza e responsabilità nella certezza tanto allo Stato quanto alle regioni speciali.
  Quell'accordo ha segnato un punto importante anche nella giurisprudenza costituzionale, ma ci dà anche il senso che il principio dell'intesa e il regime pattizio, il rapporto bilaterale, è la strada che deve essere percorsa.
  Immaginare pertanto una riforma per tutti e cinque gli statuti che vada in questo senso è utile e importante, e dovrebbe essere un percorso fatto da tutti e cinque insieme con il Parlamento. Non avrebbe senso se ogni singola realtà autonoma si muovesse in proprio, perché l'autonomia speciale appartiene alla storia della Repubblica, la cultura dell'autonomia in questo Paese è fatta anche della cultura dell'autonomia delle regioni speciali ed è un valore che deve essere recuperato in quanto valore repubblicano.
  Come ho più volte ribadito, ci vuole forse più politica e meno diritto per garantire davvero e meglio i diritti costituzionali Pag. 7dei cittadini italiani che sono tutti eguali. Le regioni ad autonomia differenziata devono essere protagoniste di questo rinnovato, imprescindibile principio di eguaglianza, dimostrando di essere all'altezza della responsabilità che la Costituzione ha assegnato loro.
  Il senso del rapporto tra le speciali e il resto del Paese è il rapporto che c’è tra un quarto della popolazione del territorio italiano e il resto, e questo deve essere fatto attraverso un confronto produttivo, fecondo e basato sul principio fondamentale dell'autonomia ma anche della responsabilità e della solidarietà.
  Credo che questa sia la nuova stagione dell'autonomia speciale e che sia l'iniziativa politica che immagino che il Governo assumerà, ma che vede il ruolo del Parlamento, quindi, anche se non siete le Commissioni di riferimento, in questa prima fase siete la sede istituzionalmente più pronta e più preparata ad affrontare questo discorso.
  Questo finisce con il coinvolgere l'iniziativa del Governo, delle autonomie speciali e del Parlamento, in questa prima fase ritengo necessariamente attraverso di voi, salvo poi arrivare, nel momento in cui si dovesse chiudere questa convenzione tra Stato e Regioni, ad affidare alle Commissioni permanenti competenti di Camera e Senato l'ipotesi di una legge costituzionale siffatta. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Bressa per il contenuto della relazione che mi trova totalmente d'accordo e anche per le proposte e le iniziative che il Governo su questa materia intende portare avanti e rispetto alle quali posso dichiarare a nome di tutta la Commissione l'assoluta disponibilità ad iniziare questo lavoro comune, sostenendo il Governo in questa iniziativa, che mi sembra l'unica praticabile per evitare che il concetto di autonomia sia un concetto statico, mentre l'autonomia è un concetto dinamico.
  Nell'ambito di procedure che devono responsabilizzare tutte le regioni, quindi anche le regioni a statuto speciale, soprattutto per come nel testo di riforma costituzionale queste vengono preservate anche dal punto di vista dell'applicazione delle disposizioni costituzionali, è chiaro che questo non può comportare il fatto che non si faccia nulla, ma deve comportare il fatto che nell'ambito di procedure concordate ciascuna regione, in base alle proprie caratteristiche, ai propri problemi, alle proprie istituzioni, alle proprie sensibilità e alle proprie culture giuridiche, politiche, economiche e sociali, si organizzi e si autodetermini in un quadro di responsabilità nazionale.
  La nuova riforma costituzionale, che valorizza, come diceva il Sottosegretario Bressa, la natura pattizia del rapporto fra le speciali e lo Stato, rischia di trasformarsi in una sorta di privilegio all'inverso, in quanto, senza alcuna iniziativa, la riforma costituzionale e quindi anche la riorganizzazione del sistema delle competenze e delle funzioni per ciascuna regione, resterebbe ferma.
  L'unica cosa che non possiamo fare è questa, dobbiamo fare in modo che il percorso di valorizzazione delle autonomie speciali parta insieme alla riforma costituzionale e che abbia un percorso certo, nell'ambito del quale ciascuna regione eserciti le libertà che statutariamente e costituzionalmente le sono garantite.
  La ringrazio quindi di cuore per questo e per la sua disponibilità e ci fa piacere vederla in una condizione di salute migliore rispetto a quella della volta scorsa.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALBERT LANIECE. Molto brevemente, per complimentarmi per la relazione del Sottosegretario Bressa e soprattutto per sottolineare la prima parte del suo intervento, che si riferisce alle basi e alle motivazioni delle autonomie speciali.Pag. 8
  Credo che questo sia un punto focale per riuscire finalmente a spiegare con calma, anche se adesso naturalmente sono stati fatti dei cenni veloci. Ero infatti già intervenuto una volta per evidenziare come uno dei punti deboli di tutto il discorso delle autonomie speciali sia la scarsa cultura generale sulle speciali.
  Credo che questo intervento permetta di capire che le autonomie speciali sono nate da un periodo storico importante, sono nate dalla Resistenza, quindi chi sostiene le motivazioni della Resistenza, della lotta per la liberazione sostiene le motivazioni delle autonomie speciali, che uscivano da un periodo storico di centralismo che non ha nulla a che fare con la storia italiana. L'Italia e per definizione non potrà mai essere uno Stato centrale e centralista come lo è stata ad esempio la Francia ai tempi del re Sole.
  La ringrazio quindi per questo cenno e considero interessante la proposta che è stata fatta alla fine. Per definizione le speciali sono tutte speciali, ogni specialità ha la sua storia quindi auspico che si tenga in considerazione la peculiarità.
  Spero che nelle competenze future, essendo le regioni speciali, a parte le isole, regioni di confine, siano dotate di strumenti per potersi interfacciare con le regioni di confine degli altri Stati, tenendo in considerazione che si stanno sviluppando sempre di più le euroregioni e quindi dando loro la possibilità e gli strumenti per collaborare e interfacciarsi in questo senso.

  FRANCESCO RIBAUDO. Sono convinto che l'approccio dovrebbe essere più politico. A tale proposito, il Consigliere di Stato Roberto Chieppa evidenziava come le Commissioni paritetiche in questi anni purtroppo, essendo organi tecnici e non politici, non abbiano spesso avuto la forza di mandare avanti le norme di attuazione, rimanendo bloccate le proposte delle Commissioni paritetiche per l'attuazione e generandosi contenziosi.
  Probabilmente questo approccio politico si dovrà declinare in strumenti che abbiano anche una componente politica più forte nelle Commissioni paritetiche. Vorrei conoscere la sua opinione in merito.

  GIANPIERO DALLA ZUANNA. Molto brevemente, anch'io mi complimento per il respiro della relazione, però vorrei chiedere una cosa. Anche con riferimento al dibattito che c’è stato in Senato per quanto riguarda la modifica degli articoli 117 e 118 della Costituzione, in cui in particolare alcuni emendamenti da me proposti con altri colleghi del Veneto non sono stati accettati dal Governo, ho l'impressione che le regioni a statuto ordinario dovrebbero guardare alle regioni a statuto speciale perché quarant'anni di vita hanno determinato una specialità anche delle altre regioni, perché ognuna ha costruito una sua storia, un suo percorso amministrativo.
  In questa grande occasione di riforma questo dovrebbe essere considerato, costruendo anche la possibilità che tutta l'articolazione territoriale dell'Italia trovi un maggiore riconoscimento per andare verso una generalizzazione della specialità, pur riconoscendo, come lei ha detto, il significato storico per cui sono nate.
  Volevo chiedere quale sarà nel passaggio ulteriore in Senato la posizione del Governo su questo, in particolare se strumenti come le Commissioni paritetiche possano essere viste in prospettiva come un'interlocuzione fra lo Stato e le regioni, e non solo nell'ambito delle specialità.

  FLORIAN KRONBICHLER. Mi fa piacere rilevare questo atteggiamento del Sottosegretario, di cui non mi sono meravigliato conoscendo il suo credo autonomista, ma mi ha sorpreso questa affermazione secondo cui ci avvieremo a una stagione delle politiche autonomiste, dell'autonomia politica, dato che nel corso delle audizioni che abbiamo avuto finora e che sono ormai una ventina, la preoccupazione Pag. 9di molti era incentrata sull'estinguersi delle ragioni della specialità delle regioni e addirittura delle regioni speciali stesse.
  Nell'ultima audizione, un autorevole esponente delle regioni speciali, il sindaco di Catania Bianco, addirittura ha affermato che «rinuncerebbe» all'autonomia.
  Nella logica che non esistono domande stupide, chiedo al Sottosegretario di darci una risposta intelligente, per capire se, a fronte di questa solidarietà fra le regioni speciali che negli ultimi periodi si è tentato di tenere, dobbiamo prepararci a una distinzione, a dividerci quindi tra regioni più speciali e meno speciali, perché a molti ormai si nega la ragione di sentirsi speciali.
  Non vedo quindi una stagione autonomista, anche se siamo ancora nell'ambito della riforma costituzionale. Le gelosie delle regioni ordinarie sono notevoli, abbiamo sentito molto parlare di adeguamenti e della necessità di evitare l'ulteriore differenziazione tra ordinarie e speciali.

  PRESIDENTE. Grazie, le domande sono sempre intelligenti.
  Do la parola al Sottosegretario Bressa per la replica.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Il senso del mio intervento (non a caso organizzato con una relazione e non come una risposta a singole domande) era proprio quello di cercare di definire una sorta di filo rosso che deve tenere obbligatoriamente insieme le cinque regioni speciali, perché sono un pezzo della storia istituzionale e della cultura dell'autonomia del nostro Paese.
  Le motivazioni che hanno portato alla specialità che ho ricordato per pillole non sono sostanzialmente venute meno. Il problema è che nel corso di questi sessant'anni di storia repubblicana, come ho cercato di dire, questa specialità è stata giocata politicamente in maniera diversa dai soggetti autonomistici. Questo è il vero problema e a questo non ho risposte, nel senso che io posso indicare il punto di difficoltà, ma poi sta ai soggetti diventare interpreti del superamento di questa difficoltà.
  L'occasione per cercare di superare questo senso di difficoltà credo sia proprio quella della riforma degli statuti, ma non intesa come una sorta di riforma palingenetica degli statuti, ma come riforma di quel pezzo che è identico per tutte e cinque le specialità, che è il modo con cui le specialità possono diventare dinamiche, possono cioè in qualche modo stare al passo con i tempi.
  Arriviamo infatti al punto che alcune regioni speciali sono in grave ritardo anche rispetto alla riforma del 2001; laddove non c’è stata iniziativa politico-legislativa alcune regioni si trovano in difficoltà rispetto anche al rapporto tra regione ed enti locali rispetto alle regioni ordinarie.
  Il tentativo è quello di fissare una riflessione molto approfondita su questo, immaginando che il principio dell'intesa, il sistema pattizio e lo strumento delle norme di attuazione possa consentire di rendere non solo alcune, ma tutte le specialità più dinamiche.
  Questo nell'interesse generale del Paese, perché nel momento in cui un'autonomia speciale funziona è in grado di contribuire per la propria parte al risanamento complessivo della finanza pubblica e per alcune questioni può rappresentare modello di amministrazione che può essere preso ad esempio anche da altre regioni a statuto ordinario.
  Quello che io lamento, e lo lamento perché il terzo comma dell'articolo 116, quello che dice che «condizioni e forme particolari di autonomia possono essere attribuite alle regioni a statuto ordinario», è il frutto di un emendamento che io feci in Commissione bicamerale e che poi durante la discussione diventò testo. Quando lo presentai la prima volta in Commissione bicamerale, raccolsi tre voti (il mio, quello dell'onorevole Zeller e quello di Marco Boato) e tutti in qualche modo mi presero in giro chiedendomi Pag. 10come potessi pensare che nel nostro Paese ci fosse una condizione a geometria variabile delle regioni.
  Sarà stato il fatto che ero stato sindaco di una città come Belluno, che è schiacciata tra Trento, Bolzano, Pordenone e Udine, tutte realtà speciali, per cui io vedevo la differente capacità di risposta di cui disponevo rispetto ai comuni confinanti sugli stessi problemi, ma avevo immaginato che ci potesse essere questa strada, che era una strada politica e normativa.
  Quello che mi fa veramente perdere il senso della ragione è che è dal 2001 che c’è questa norma e dal 2001 al 2015 non c’è stata una regione a statuto ordinario che l'abbia attuata. Ci ha provato una volta la Lombardia, è caduto il Governo Prodi e non l'ha più coltivata, ci ha provato una volta la Toscana, ma per una questione infinitesimale che riguardava i beni culturali, e non si è andati avanti neanche su quella. Tutte le altre regioni è come se avessero voluto ignorarla.
  Se devo fare un'analisi spietata, dico che, se le regioni a statuto speciale hanno dei problemi, il regionalismo ordinario è profondamente in crisi. Anche il frutto delle discussioni che ci sono state al Senato e alla Camera relative alla ridiscussione del terzo comma dell'articolo 116 va bene, nel senso che supera l'errore di ingenuità che io commisi quando immaginai che doveva essere su iniziativa delle regioni la possibilità di chiedere questo, perché scommettevo nella capacità politica di iniziativa delle regioni a statuto ordinario. Adesso abbiamo uno strumento che può consentire una maggiore flessibilità.
Non vedo però strade diverse, anche perché queste forme di specialità, questa è una mia opinione, non devono essere elenchi infiniti di materie, ma elenchi precisi di competenze che si vogliono esercitare, in quanto l'autonomia di una regione a statuto ordinario non si misura in base al numero di materie che chiedi allo Stato, ma in base alla qualità e alle modalità di realizzazione delle cose che chiedi dentro quelle materie.
  Se si arrivasse a questo, in un'ipotesi di questo genere uno strumento molto simile a quello delle norme di attuazione potrebbe essere, dal punto di vista di legislazione ordinaria e non paracostituzionale come sono le norme di attuazione, applicabile e utilizzabile anche per le regioni a statuto ordinario.
  Per quanto riguarda la questione delle Commissioni paritetiche, io sono stato per cinque anni presidente di una Commissione paritetica ed è del tutto evidente che, al di là di quelle che possono essere le mie competenze in materia, il mio era un ruolo eminentemente politico, per cui quello che dice l'onorevole Ribaudo è giusto, però va in qualche modo misurato, perché all'interno delle Commissioni paritetiche, almeno in quelle che sono state nominate dagli ultimi due Governi, c’è una presenza politica più rilevante che nel passato, perché in passato si immaginava che lo Stato dovesse essere il «contro-interlocutore» delle autonomie regionali.
Si riempivano quindi le Commissioni paritetiche di Consiglieri di Stato, di Consiglieri della Corte dei conti, di persone che avevano la funzione di controllare più che di promuovere.
  Questa fase è stata de facto modificata, però il vero problema è quello di forzare la mentalità delle amministrazioni statali, le quali hanno scarsa sensibilità e spesso nessuna attenzione per la funzione costituzionalmente propria delle norme di attuazione.
  È un problema che stiamo faticosamente cercando di risolvere, perché anche quando hai delle Commissioni paritetiche in cui la parte autonomista e la parte nazionale dal punto di vista politico vogliono portare avanti le cose rischi di scontrarti con burocrazie che sono proprio cieche, nel senso che ignorano la dimensione della specialità.
  Io sono diventato tristemente famoso per avere cacciato dalla mia Commissione, quando la presiedevo, due rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze, perché, mentre si discuteva una Pag. 11norma che riguardava la scuola in provincia di Trento, avevano sostenuto che non avessimo titolo per parlare di quelle cose perché la competenza era statale.
  A quel punto ho detto loro che facevano bene ad uscire ma avrebbero fatto bene soprattutto a non rientrare, perché, pur essendo dirigenti dello Stato chiamati per discutere le norme di attuazione non sapevano nemmeno di chi fosse la competenza in materia e chi potesse fare cosa. Il problema quindi è più questo che non la politicizzazione, e questo è frutto del nostro lavoro quotidiano.
  Da questo punto di vista, in questi giorni, abbiamo convenuto con la responsabile dell'Ufficio legislativo della Presidenza del Consiglio di fare una riunione entro qualche settimana con tutti gli uffici legislativi di tutte le amministrazioni, per cercare di procedimentalizzare in maniera più rapida e razionale i vari passaggi che ci sono nel momento in cui una Commissione paritetica confeziona una norma che deve ricevere i pareri.
  Sono convinto che sia una materia complessa, ha ragione Kronbichler quando dice che non vede tutto questo entusiasmo per la specialità, ma io lo considero un problema di miopia politica complessiva. Ci siamo attardati nei labirinti delle polemiche di poco conto anche all'interno delle regioni speciali e abbiamo perso di vista l'orizzonte, che è quello che ho cercato di tratteggiare nella mia relazione.
  Sono convinto che, se anche con la vostra collaborazione fossimo in grado di rimettere il ragionamento lungo i binari che ho indicato per arrivare a questa convenzione, faremmo dei passi avanti importanti, anche perché dal punto di vista della finanza pubblica avere certezze sui rapporti tra le speciali e lo Stato centrale significa fare i conti in maniera seria con la specialità anche rispetto alla responsabilità e alla solidarietà delle speciali rispetto ai conti di finanza pubblica.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Bressa. Se il Sottosegretario è d'accordo, poiché dalla seconda settimana di giugno inizieremo la seconda parte delle nostre audizioni che riguarderanno le singole regioni a statuto speciale, integreremmo i quesiti che già stiamo preparando per ciascuna delle regioni introducendone uno che riguarda la sua sollecitazione.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Io non l'ho ancora fatto perché attendevo di fare questa audizione, ma adesso darò comunicazione a tutti i cinque presidenti di quello che ho detto oggi, in modo da concordare con loro una prima riunione del tutto informale, che vi consentirebbe di avere un interlocutore.

  PRESIDENTE. In questa fase potremmo quindi sincronizzare il nostro lavoro, approfittando della nostra indagine conoscitiva e dell'istruttoria che stiamo facendo sui singoli statuti, sull'attuazione delle norme statutarie, sul funzionamento delle Commissioni paritetiche, sulla criticità dei rapporti finanziari o sugli accordi che prescindono anche dalle procedure tipiche previste dagli statuti.
  Potremmo integrare tutto questo cominciando a comprendere l'opinione dei presidenti di regione e delle assemblee legislative regionali, che poi hanno il compito di coinvolgere le assemblee legislative in questo percorso fondamentale, su questa idea di creare una sorta di coordinamento e una procedura condivisa per realizzare questo cammino di revisione.
  Se il Sottosegretario Bressa lo riterrà, a chiusura di questo ciclo di audizioni e quindi della nostra indagine conoscitiva, che noi speriamo di chiudere prima dell'estate, potremmo a fine luglio o alla ripresa realizzare un supplemento di indagine avendo chiaro il quadro degli Pag. 12orientamenti e quindi potendo dare un supporto parlamentare più concreto e dettagliato alla proposta del Governo.
  Se siamo d'accordo, ci potremmo muovere in questa direzione, ringraziandola molto per il contributo e per la disponibilità a lavorare con noi, merce di questi tempi molto rara.
  Ringrazio il Sottosegretario Bressa e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.05.