Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI
Audizione del Ministro dell'interno, on. Angelino Alfano.
Ravetto Laura , Presidente ... 3
Alfano Angelino (AP) , Ministro dell'interno ... 3
Ravetto Laura , Presidente ... 10
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA RAVETTO
La seduta comincia alle 8.35.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
(Così rimane stabilito)
Audizione del Ministro dell'interno, on. Angelino Alfano.
PRESIDENTE. Buongiorno, Ministro. La ringrazio di essere tornato. Sarò particolarmente breve perché il Ministro ha un impegno alle 9.15.
L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro dell'interno Angelino Alfano.
La mia introduzione sarà molto breve in modo da dare spazio alle parole del Ministro, cui eventualmente poi chiederemo la cortesia di tornare in replica per le nostre domande.
Ministro, le saremo grati se vorrà darci maggiori informazioni o le sue valutazioni in ordine alla riunione del Consiglio dell'Unione europea straordinario dei Ministri dell'interno che si è tenuto il 22 settembre scorso e informazioni in ordine alla creazione dei cosiddetti «hot spots», perché risulta al Comitato che, al termine della riunione informale dei Capi di Stato e di Governo che si è svolta il 23 settembre scorso a Bruxelles, il Presidente del Consiglio europeo Donald Tusk abbia dichiarato, tra l'altro, che vi è un impegno alla creazione degli hot spots. Vorremmo sapere da lei se c’è quest'intenzione in Italia, se avete intenzione di aprirne. Poiché lei ha fatto delle dichiarazioni in ordine a Lampedusa, le chiediamo se può darci delle informazioni in merito.
Lei ha rivendicato la realizzazione di un sistema di rimpatrio europeo che prevede anche il blocco degli aiuti a quei Paesi che non collaborano con l'Unione europea. In proposito, ha dichiarato all'ANSA, il 24 settembre, che dobbiamo condizionare gli aiuti della cooperazione internazionale ai Paesi africani al fatto che questi Paesi ci diano una mano nei rimpatri. Anche su quest'aspetto le chiediamo delle considerazioni e se eventualmente ci vuol dire quali sono le azioni intraprese.
Inoltre, in ordine alle procedure di infrazione per inadempienze nell'applicazione delle norme europee relative al sistema comune d'asilo, che riguarderebbero molti Paesi ma non l'Italia, le chiediamo se può dirci qualcosa e se ha delle considerazioni in merito.
In relazione alla situazione delle frontiere italiane, alla luce dei massicci afflussi di migranti lungo la rotta balcanica, le chiediamo se ci può dire qualcosa in relazione all'area Schengen in generale. Abbiamo visto controlli più intensi ai confini con la Germania, l'Ungheria e l'Austria. Vogliamo da lei sapere se ci conforta sull'applicazione dell'accordo di Schengen, se secondo lei eventualmente va potenziato e comunque delle considerazioni su quanto sta accadendo in quei territori.
Do la parola al Ministro Alfano e lo ringrazio.
ANGELINO ALFANO, Ministro dell'interno. Grazie, Presidente. Torno ancora una volta in Comitato Schengen non solo per ragioni di cortesia nei confronti del Presidente del Comitato, ma anche perché Pag. 4credo nella funzione di esso. Il tempismo dell'audizione peraltro mi consente di ragguagliarvi sugli esiti degli sviluppi più recenti che si stanno registrando in ambito europeo.
Com’è noto, all'inizio della scorsa settimana si è tenuto a Bruxelles un Consiglio Giustizia e affari interni in cui sono state prese decisioni importanti su come fronteggiare l'emergenza migratoria e, come è altrettanto noto, a questo ha fatto seguito, il giorno successivo, sempre a Bruxelles, il summit informale dei Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea. Su questi aspetti tornerò dopo, per andare in ordine.
Dovendo scegliere la formula da utilizzare per questo mio intervento, ho valutato di fare un esame esaustivo, quindi di non andare per pillole. Ribadisco la disponibilità a tornare per rispondere alle domande. Ho fatto questa scelta, piuttosto che quella opposta di fare una relazione molto breve e poi dare per scontato che le domande su tutto il resto mi sarebbero arrivate, perché ho preferito dare un'impostazione di maggiore esaustività. Ovviamente non risponderò in anticipo a tutte le possibili domande, ma a questo serve lo spazio successivo riservato ai quesiti.
La precedente audizione fu caratterizzata dal dispiegarsi prevalente dei flussi nel Mediterraneo centrale: quando venni qui l'ultima volta il tema era il flusso dal Mediterraneo centrale. Nel Mediterraneo, a presidiare le frontiere meridionali dell'Unione europea, c'era l'Italia, praticamente da sola, con quella meritoria straordinaria missione umanitaria che ha risposto al nome di «Mare Nostrum», avviata dopo la tragedia di Lampedusa dell'ottobre di due anni fa.
Ciò che, in buona sostanza, il Governo da quel momento in poi ha chiesto all'Europa, sempre e in ogni occasione, era di non arroccarsi sulle rigidità del regolamento di Dublino. I princìpi su cui esso ancora poggia già cominciavano infatti a rivelare la loro palese inadeguatezza e perfino la loro iniquità, sia nei confronti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, spesso impediti nel loro progetto di vita, sia nei confronti degli Stati membri che sono frontiera esterna dell'Unione europea.
La realtà di questi ultimi mesi ci consegna uno scenario molto diverso dall'ultima volta che son venuto qui. Intanto sono cambiate le dimensioni della migrazione. L'esacerbarsi delle grandi crisi umanitarie e belliche in Africa, e ovviamente anche di quelle in Asia, ha portato a una deflagrazione del fenomeno.
Secondo i dati forniti dall'agenzia Frontex, sono stati ben 506.000 i migranti che dall'inizio dell'anno e fino al 31 agosto del 2015 hanno attraversato i confini esterni dell'Unione europea, con un aumento del 213 per cento rispetto al corrispondente periodo del 2014. Sono poi cambiate le direttrici di marcia dei flussi, che prima privilegiavano la rotta del Mediterraneo centrale e ora hanno cominciato a percorrere con insistenza anche quella balcanica, con conseguente diretto coinvolgimento di altri Paesi prima appena lambiti dal problema.
D'altra parte, a fronte dell'urgenza, dell'importanza e della drammaticità dei problemi, stiamo assistendo da alcuni mesi a un nuovo approccio dell'Europa. Vi sono ancora – è vero – all'interno del contesto europeo posizioni egoistiche che riguardano alcuni Paesi e che guardano ai problemi dell'immigrazione in un'ottica troppo asfittica e solamente nazionale; tuttavia, la Commissione europea, unita a un buon numero di Stati membri, sta operando per un riequilibrio della situazione a favore dei Paesi in prima linea, nella consapevolezza, forse per la prima volta, della necessità di un cambio di registro.
Agli osservatori imparziali non sfuggirà che già oggi vi è una maggiore presenza dell'Europa nel Mediterraneo. Dal primo novembre dello scorso anno si sta svolgendo, sotto l'egida di Frontex, la missione Triton, la più grande operazione di controllo delle frontiere mai messa in campo dall'Unione europea. Essa vede la partecipazione di ben 25 Stati, compresa l'Italia, e vanta un budget che dagli iniziali 6 Pag. 5milioni 340 mila euro è stato progressivamente incrementato agli attuali 37 milioni 700 mila euro.
Vorrei ricordare anche che nello scorso mese di giugno, a seguito del via libera dato dal Consiglio degli Affari esteri dell'Unione europea, ha avuto inizio un'operazione fondamentale ai fini dello sradicamento dal Mediterraneo della piaga del traffico di esseri umani. Mi riferisco ad EUNAVFOR Med, la missione navale europea a guida italiana e con comando operativo a Roma, anch'essa molto partecipata – vi aderiscono infatti 14 Stati membri – la cui prima fase, avente prevalentemente scopi informativi e di intelligence, ha avuto avvio nello scorso mese di giugno e si è da poco conclusa. Nel prossimo mese di ottobre essa lascerà il passo alla fase successiva, più propriamente operativa, in cui gli assetti navali dell'operazione saranno autorizzati alle attività di abbordaggio e neutralizzazione dei barconi in acque internazionali e all'arresto degli scafisti. Quindi, già ora vi è più Europa nel Mediterraneo.
Dopo l'approvazione dell'Agenda europea sulla migrazione e i seguiti che ne sono scaturiti, è certo che vi sarà più Europa anche nei settori dell'accoglienza dei migranti e delle procedure di riconoscimento della protezione internazionale.
Il 14 settembre scorso il Consiglio dell'Unione europea ha approvato una decisione attuativa dell'Agenda europea sulla migrazione che prevede la ricollocazione, nell'arco di due anni, dall'Italia e dalla Grecia rispettivamente di 24.000 e 16.000 persone.
In attuazione di tale decisione, il 16 settembre l'Italia ha inviato alla Commissione europea una precisa road map recante l'indicazione delle misure attuative nei settori dell'asilo, della prima accoglienza e del rimpatrio, per rafforzare la capacità, la qualità e l'efficienza del sistema. Nella road map sono individuati anche i cosiddetti hot spots, dove personale dei competenti servizi nazionali, con il supporto di rappresentanti delle agenzie europee e delle organizzazioni internazionali, procederà allo screening – sanitario in primo luogo – dei migranti, alla loro identificazione, al fotosegnalamento, alla registrazione dell'eventuale volontà di chiedere asilo e al trasferimento nei CIE di coloro che, non avendo alcun titolo a rimanere in Italia, saranno interessati dalle procedure di rimpatrio forzoso.
In merito, c’è un punto che mi pare molto importante: noi abbiamo chiesto, come Paese, come Italia, ad aprile scorso, dopo l'ultima tragedia nel Mediterraneo, un Consiglio dei Capi di Stato e di Governo straordinario. Il Presidente del Consiglio lo ha chiesto, lo ha ottenuto, è andato lì e il seguito è quello che vi ho appena narrato: questo che io vi ho appena detto non nasce a caso, ma nasce come frutto di una richiesta italiana, di una battaglia italiana, di un risultato italiano.
Tuttavia, il principio della solidarietà è stato chiesto dagli altri Paesi europei che fosse compensato da un altro principio, che è quello della responsabilità. In altre parole, essendo solidali, i Paesi hanno chiesto responsabilità, identificazione e quant'altro ho appena elencato. Noi abbiamo spiegato, e la cosa è passata – l'ho fatto io nello scorso Consiglio dei Ministri degli Affari interni e ha ripetuto anche il Presidente del Consiglio nel corso dell'incontro dei Capi di Stato e di Governo del giorno dopo – che ci sono tre pilastri, e questi tre pilastri stanno insieme o cadono insieme. Essi sono: la solidarietà, ossia la relocation, quindi il fatto che passi il principio della redistribuzione dei migranti, che significa sostanzialmente che salta il basamento del regolamento di Dublino; gli hot spots, ossia la modalità per discernere coloro i quali hanno diritto all'asilo da coloro i quali vengono avviati alla procedura di rimpatrio; dopo il discernimento, il rimpatrio. In sostanza – voglio dirlo, Presidente, perché resti anche agli atti di questo Comitato – noi abbiamo voluto, attraverso la mia persona, in Consiglio dei Ministri degli Affari interni, fare presente che, come due anni fa avevamo avvisato in anticipo di un qualcosa che sarebbe avvenuto, non vogliamo essere facili profeti anche questa volta.Pag. 6
Due anni fa, dopo la strage di Lampedusa, il cui secondo anniversario ricorrerà esattamente fra tre giorni, avevamo detto che era inimmaginabile che il flusso dei profughi che si preannunciava imponente attraversasse il Mediterraneo per arrivare in Europa solo dalla rotta del Mediterraneo centrale, quindi sulla rotta Africa-Lampedusa-Sicilia-Italia-Europa; avevamo detto che ciò era impossibile e che si sarebbero aperte forzosamente altre porte, quindi era meglio prevenire che curare. Non hanno voluto capirlo e sono intervenuti in emergenza con due anni di ritardo.
Su cosa oggi noi non vogliamo essere facili profeti ed è la ragione per la quale il punto centrale saranno i rimpatri ? Man mano che oltre alle guerre e alla fuga si alimenterà il flusso dei disperati e morti di fame che scappano non da una guerra ma dalla fame, quindi alla ricerca di un futuro migliore, e questi, essendo qualificati come migranti economici, dovranno essere rimpatriati, il sistema dei rimpatri deve funzionare. Se non funziona il sistema dei rimpatri, il meccanismo potrà collassare, non solo in Italia ma anche in Europa.
In merito, noi abbiamo chiesto – così rispondo a un altro pezzo della domanda della Presidente Ravetto – che sia l'Europa dal punto di vista del procedimento, della responsabilità finanziaria e della responsabilità politica e giuridica nella sottoscrizione degli accordi di riammissione, a farsi carico dell'intera procedura del rimpatrio, perché un conto è che sia uno dei ventotto Paesi che firma l'accordo di riammissione o che prova a ottenerlo, un conto è che lo fa l'Europa nel suo insieme.
Inoltre, per essere più forti, abbiamo consigliato all'Europa di far valere una sorta di principio del «more for more» o, se lo si vuol dire in un'altra e a mio avviso più efficace maniera, di condizionalità: poiché l'Europa investe tanto nella cooperazione internazionale – e noi siamo d'accordo e a favore, e potrebbe investire ancora di più – si tratta di condizionare con alcuni Paesi il sostegno al ricevuto aiuto. In altre parole, io ti aiuto, ma tu aiutami nel non far partire o nel riaccogliere coloro i quali sono partiti dal tuo territorio.
Questo è quanto abbiamo chiesto e ottenuto nei documenti europei e, ne siamo convinti, anche nella pratica europea, ossia il fatto che tre pilastri siano insieme: relocation, hot spots e rimpatri. Ripeto, queste tre cose stanno insieme.
Le attività di ricollocazione inizieranno congiuntamente all'attivazione degli hot spots, rappresentando due aspetti complementari e inscindibili di una medesima politica. Esse riguarderanno gli stranieri arrivati in Italia – questo punto della procedura mi sembra sia da sottolineare – nell'intervallo che va dal 16 settembre scorso al 17 settembre del 2017, cioè esattamente in quel range di due anni indicato dalla decisione del Consiglio, e potranno riguardare però anche quelli arrivati in Italia dal 15 agosto di quest'anno, a condizione che abbiano avanzato domanda per il riconoscimento della protezione internazionale.
La ricollocazione dei migranti non si fermerà, tuttavia, a 24.000 persone, essendo destinata a crescere ulteriormente. Il 22 settembre, infatti, il Consiglio straordinario Affari interni ha approvato a maggioranza – purtroppo non ancora all'unanimità, ma come voi sapete il numero dei Paesi che era contrario è passato da cinque a quattro perché la Polonia poi non ha votato contro, e in tutti i casi la procedura è vincolante per tutti – una seconda decisione, anch'essa valida per due anni, che prevede la ricollocazione di ulteriori 120.000 persone bisognose di protezione internazionale. A riguardo è stata prevista la relocation di 15.600 persone provenienti dall'Italia e di 50.400 dalla Grecia. Entrambi i Paesi, però, potranno vedere crescere la propria quota di ricollocazione grazie al meccanismo residuale, in virtù del quale il restante contingente di 54.000 migranti da ricollocare, qualora non assorbito, potrà andare a beneficio appunto di Grecia e Italia.
In sostanza, se nei due anni sarà assorbito questo ulteriore contingente di 54.000 persone, bene, ma se non sarà Pag. 7assorbito – sapete che l'Ungheria ha detto di «no» a tale beneficio – i beneficiari saranno nuovamente Italia e Grecia.
È di tutta evidenza come l'insieme delle iniziative appena descritte abbiano aperto una breccia significativa nel muro di Dublino, postulando una più equa distribuzione dei richiedenti protezione internazionale. È l'idea per la quale ci siamo sempre battuti e che corrisponde alla realtà dei fatti: chi fugge da guerre e persecuzioni non sceglie l'Italia in quanto Italia, ma la sceglie in quanto parte della più grande area di democrazia del mondo.
Altro aspetto di grande rilievo sta nel fatto che la relocation non è concepita dall'Unione europea come il frutto episodico di una situazione emergenziale, bensì l'abbrivio di una soluzione duratura. In tal senso, la Commissione, facendo seguito a quanto previsto dall'Agenda europea sulle migrazioni, ha appena presentato una proposta di regolamento che prevede, in forma strutturata e stabile, un meccanismo di ricollocazione obbligatorio finalizzato a distribuire all'interno dell'Unione europea le persone con evidente bisogno di protezione internazionale, in caso di afflusso massiccio e sproporzionato di cittadini di Paesi terzi. Quindi, si sta intervenendo in sede giuridica e direttamente sul regolamento di Dublino.
Le misure che l'Unione europea sta portando avanti non si limitano alla relocation, ma vanno oltre. Nell'Agenda europea sulle migrazioni viene, infatti, delineato un sistema di reinsediamento dei migranti che si avvicina molto all'idea di creare dei corridoi umanitari. In uno degli annessi all'Agenda si tracciano le linee di un intervento che, sotto la guida dell'Unione europea e in collaborazione con l'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati, individua direttamente nel territorio dei Paesi terzi le persone vulnerabili e bisognose di protezione. Il loro trasferimento in Europa non sarà dunque il frutto di una scelta disperata e carica di rischi, bensì l'approdo finale di un percorso garantito e protetto.
Secondo la proposta della Commissione, il reinsediamento per il 2015 e il 2016 dovrebbe riguardare 20.000 persone e sarebbe connotato, in questa fase sperimentale, dal requisito della volontarietà. Tuttavia, in seguito, anche in forza di un apposito provvedimento normativo, potrebbe diventare, sulla falsariga degli interventi di relocation, una misura strutturale obbligatoria alla cui attuazione verrebbero dedicati adeguati finanziamenti europei.
Un altro punto fondamentale delle nuove politiche migratorie dell'Unione europea è il rilievo che viene dato a una efficace politica dei rimpatri. Colgo in questo punto specifico due profili di estremo interesse: il primo è che i Paesi membri possono contare sull'aiuto europeo per gestire al meglio non solo il peso dell'accoglienza, ma anche quello degli interventi di segno opposto, cioè di rimpatrio di chi non ha diritto e titolo a rimanere; il secondo aspetto, altrettanto significativo, è che il confronto con i Paesi terzi e la negoziazione di accordi di riammissione non dovranno più vedere l'Unione europea semplice spettatrice ma soggetto attivo di queste politiche di collaborazione.
È positivo e incoraggiante che la Commissione nel testo dell'Agenda abbia sottolineato l'importanza di avviare negoziati con i Paesi di origine dei migranti irregolari così da alleggerire la pressione sia sui Paesi di transito sia sugli stessi Stati membri dell'Unione.
Un ulteriore tassello delle politiche migratorie è stato posto durante la riunione informale dei Capi di Stato e di Governo dello scorso 23 settembre. In tale sede è stata sottolineata l'importanza di intensificare la collaborazione con la Turchia, nel cui territorio sono presenti oltre 2 milioni di profughi, e di sostenere finanziariamente gli altri Paesi confinanti con la Siria, come Libano e Giordania. È emerso, quindi, un accordo unanime sull'esigenza di aumentare in maniera significativa, per un totale di almeno un miliardo di euro, gli stanziamenti dell'Unione europea e nazionali a favore delle agenzie dell'ONU, in particolare l'UNHCR e il World Food Programme, Pag. 8con l'obiettivo di migliorare le condizioni per i rifugiati in quelle aree.
Più in generale, si è convenuto sull'incremento delle disponibilità finanziarie dei fondi dell'Unione dedicati alla gestione del fenomeno migratorio.
Inoltre, segnalo che su iniziativa italiana il testo della dichiarazione finale della riunione contiene un esplicito riferimento al legame diretto, che ho già sottolineato più volte, tra gli hot spots e le attività di ricollocazione e rimpatrio, misure la cui attivazione dovrà avvenire al più tardi entro il prossimo mese di novembre. Si tratta di un passaggio significativo che rispecchia l'idea, sostenuta in questi mesi dall'Italia, secondo cui gli interventi dell'Unione devono rispondere a una logica di sistema nel rispetto dei princìpi fondanti del Trattato.
In sostanza, dall'insieme delle misure che ho appena delineato emerge un quadro di convergenza dell'Europa sulle posizioni che l'Italia ha sostenuto con forza in questi anni. Riteniamo che l'Europa si stia muovendo nella direzione giusta, anche se il superamento del principio base del regolamento di Dublino non è ancora divenuto fatto giuridico definitivo, come avremmo auspicato. Abbiamo più volte rilevato come di fatto tale principio è saltato.
È innegabile che in questi mesi è stato possibile assestare più di qualche colpo a quel principio e abbiamo in realtà favorito l'affermazione di istituti che prefigurano di già l'approdo più ambizioso, ossia il diritto d'asilo europeo e il rimpatrio europeo. Il principio che ci guida è che un continente politico che si fa Unione, che stabilisce di darsi il diritto di circolazione attraverso un nome (che dà vita anche a questo Comitato) e di condividere una moneta, e che è già un mercato, non può insieme a questo diritto di circolazione non avere un diritto di cittadinanza e un diritto d'asilo che siano comuni, altrimenti l'architettura è squilibrata.
Cari colleghi e signor Presidente, completo questa audizione fornendo i dati salienti che riguardano i flussi migratori e il sistema dell'accoglienza. Dall'inizio dell'anno sono giunti in Italia, quasi esclusivamente dalla Libia – su questo si potrebbe aprire un amplissimo capitolo e rimandare anche a quanto detto dal Presidente del Consiglio ieri all'ONU in riferimento – 130.577 migranti e gli eventi di sbarco sono stati 864, dato inferiore di circa 8.000 unità rispetto a quello dell'analogo periodo del 2014, ove si erano registrati 138.674 arrivi nel corso di 854 eventi di sbarco. Altri dati di interesse riguardano la nazionalità dei migranti, che sono in prevalenza eritrei (27 per cento), nigeriani (13 per cento), somali (7 per cento), sudanesi e siriani (ciascuno al 6 per cento).
Per quanto riguarda alcuni elementi che possono essere utili a inquadrare la dimensione del sistema nazionale di accoglienza e lo sforzo che si sta producendo, dico immediatamente che attualmente le varie tipologie di strutture del sistema accolgono complessivamente circa 98.000 migranti, di cui 8.000 sono ospitati nei centri governativi, cioè nei Centri di primo soccorso e accoglienza, e presso i CARA; 20.000 sono invece i residenti presso gli enti locali che compongono la rete dello SPRAR; 69.000 infine sono presenti nei Centri di accoglienza allestiti in via temporanea.
Come ho più volte riferito in sede parlamentare, la distribuzione territoriale degli immigrati nelle strutture temporanee viene gestita secondo una logica di partenariato con le regioni e il sistema degli enti locali mediante quote proporzionali definite a livello regionale e poi provinciale, anche sulla base di quanto disposto ora dal decreto legislativo n. 142 del 2015, in vigore appunto da oggi.
Nello stesso decreto legislativo n. 142 si è intervenuto anche a migliorare il rapporto tra istituzioni nell'accoglienza, stabilendo che il prefetto, prima di attivare strutture straordinarie, debba sentire il sindaco, in maniera che la collocazione dei migranti possa avvenire con il minore impatto possibile, e nel pieno rispetto delle autonomie.
L'attenzione del Governo si è concentrata anche su tre ambiti cruciali: il sistema Pag. 9SPRAR, i minori stranieri non accompagnati e le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale. Negli ultimi anni abbiamo aumentato esponenzialmente i posti disponibili all'interno dello SPRAR, portandoli dai 3.000 del 2012 agli attuali 21.817 collocati nei 376 comuni che volontariamente hanno aderito alla rete dello SPRAR.
È in fase di registrazione alla Corte dei conti un bando straordinario per l'attivazione di ulteriori 10.000 posti nel biennio 2016-2017. Ciò consentirà di rendere ancora più incisivo l'intervento dei comuni nel sistema di accoglienza, nella consapevolezza che affrontare un fenomeno così complesso richiede una strategia inclusiva, piuttosto che strumenti di governo verticistici e autoritativi.
Resta l'auspicio che il sistema SPRAR venga ad acquisire nuove adesioni, perché solo un ampliamento significativo della platea dei comuni, invero ancora troppo modesta, potrà garantire una distribuzione dei migranti più capillare, più sostenibile e proprio per questo anche più equa.
Voglio ricordare che lo SPRAR fornisce un'adeguata risposta anche alle esigenze dei minori non accompagnati. È previsto infatti che essi, richiedenti asilo o meno, siano destinatari di un'accoglienza di primo livello in strutture governative ad alta specializzazione e successivamente di un'accoglienza di secondo livello nell'ambito dello SPRAR. Ai minori sono destinati già ora 968 posti dello SPRAR, ai quali se ne aggiungeranno a breve altri 1.000. Nelle more, il Ministero dell'interno ha attuato una soluzione ponte finanziando con appositi fondi europei diversi progetti che hanno permesso l'attivazione temporanea di 737 posti collocati in diverse regioni, in cui, alla data dello scorso 20 settembre, sono transitati 1.688 minori.
Una delle condizioni ineludibili per garantire che il meccanismo funzioni, e quindi la fluidità del sistema di accoglienza, sta nella piena efficienza della rete delle commissioni territoriali deputate a esaminare le domande dei richiedenti la protezione internazionale. La loro attività, come voi ben sapete, rappresenta il filtro indispensabile a separare gli aventi diritto dai migranti economici, i quali, non avendo altro titolo sono destinati a lasciare il nostro territorio.
Con il contributo determinante del Parlamento, abbiamo dunque introdotto lo scorso anno alcune misure organizzative che accelerano e semplificano i procedimenti di riconoscimento. In particolare, abbiamo più che raddoppiato la possibilità di istituire le Commissioni territoriali e le relative sezioni, portandone il numero massimo teorico da 20 a 50, introducendo anche i colloqui one to one al posto dei colloqui collegiali.
Tali misure, anche se andate a regime da poco, hanno già prodotto apprezzabili risultati. Dall'inizio dell'anno alla data del 25 settembre, le istanze definite dalle Commissioni territoriali sono state 42.801, con un aumento di circa il 74 per cento rispetto all'analogo periodo del 2014 e attendiamo risultati ancora più significativi nel prosieguo, considerato che le neoistituite Commissioni e sezioni stanno operando solo ora a pieno ritmo e che non è ancora stato del tutto raggiunto il loro tetto massimo, essendone attive 41 delle 50 che abbiamo deliberato.
Per completezza, comunico gli esiti delle istanze di protezione internazionale definite quest'anno: status di rifugiato, 5 per cento; status di protezione sussidiaria, 16 per cento; trasmissione degli atti al questore per il rilascio del permesso umanitario, 24 per cento; diniego di protezione internazionale, 51 per cento; archiviazione del procedimento per irreperibilità del richiedente, 4 per cento. Anche in questo ambito è intervenuto il nostro decreto legislativo, il n. 142 di cui parlavo prima.
In particolare nell'ottica di rendere più efficiente l'iter per il riconoscimento e la protezione internazionale, le disposizioni mirano a migliorare la qualità del procedimento di esame delle domande con misure di garanzia, quali la possibilità di registrazione del colloquio e un servizio di informazione legale gratuito.
Al fine, invece, di limitare il ricorso meramente strumentale alla domanda di protezione internazionale, sono state introdotte Pag. 10misure deterrenti, in particolare intervenendo a rafforzare l'istituto del trattenimento dello straniero quando si ravvisi il pericolo di fuga.
Accanto al tema della doverosa accoglienza dei richiedenti asilo, si pone quello della gestione della immigrazione irregolare. Ho già accennato prima alla rilevanza in questo settore degli accordi di riammissione nonché al rilievo che viene dato dall'Unione europea a una efficace politica dei rimpatri e da noi stessi a questo argomento in riferimento al nostro rapporto con l'Unione europea.
Aggiungo soltanto che, allo scopo di conseguire risultati apprezzabili nel breve periodo, il Dipartimento della pubblica sicurezza ha intrapreso iniziative mirate che sono volte a stabilire forme di collaborazione operativa con le competenti autorità dei Paesi principali di origine dei flussi illegali, in modo da codificare eventualmente, anche attraverso il ricorso a strumenti pattizi più agili degli accordi di riammissione, quali per esempio il memorandum of understanding, dei protocolli che siano veramente operativi.
In questo contesto, il 6 giugno di quest'anno è stata sottoscritta un'intesa tecnica con il Gambia e contemporaneamente sono stati assunti contatti con il supporto del Ministero degli affari esteri, per la conclusione di intese analoghe sia con la Costa d'Avorio che col Ghana, il Senegal, il Bangladesh e il Pakistan.
Concludo questo mio intervento ringraziando per l'attenzione e mettendomi nuovamente a disposizione per ogni eventuale richiesta di chiarimento o ulteriori notizie o nuova presenza che il Comitato dovesse richiedermi.
PRESIDENTE. Grazie, Ministro. Naturalmente richiederemo la sua presenza, che da noi è sempre gradita. Indubbiamente lei ha già anticipato, immagino, molte domande che vorranno farle i colleghi, però avremo una replica.
Saluto chi l'accompagna: il prefetto Bruno Frattasi, direttore dell'Ufficio centrale per gli Affari legislativi, il prefetto Felice Colombrino, dirigente dell'Ufficio stampa, il dottor Antonio Cananà, capo dell'Ufficio relazioni parlamentari, il dottor Roberto Rametta, capo Segreteria particolare del Ministro dell'interno, e la dottoressa Danila Subranni, portavoce del Ministro.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 9.10.