Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 16 di Giovedì 25 febbraio 2016

INDICE

Sui lavori del Comitato:
Ravetto Laura , Presidente ... 2 

(La seduta, sospesa alle 8.25, è ripresa alle 8.35) ... 2 

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI

Audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega alle politiche europee, onorevole Sandro Gozi.
Ravetto Laura , Presidente ... 2 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 8 
Mazzoni Riccardo  ... 8 
Filippi Marco  ... 8 
Orellana Luis Alberto  ... 9 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 9 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 8.25.

Sui lavori del Comitato.

  PRESIDENTE. Avverto che si è in attesa dell'arrivo del Sottosegretario di Stato, on. Sandro Gozi.
  Sospendo, quindi, la seduta in attesa del suo arrivo.

  La seduta, sospesa alle 8.25, è ripresa alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega alle politiche europee, onorevole Sandro Gozi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con delega alle politiche europee, onorevole Sandro Gozi, che ringraziamo di essere tornato da noi.
  Sottosegretario, il 18 e 19 febbraio si è svolto il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo, che ha discusso la questione delle migrazioni. Sul tema delle migrazioni i leader dell'UE hanno ribadito in sostanza l'esigenza di un'accelerazione sulle misure già concordate, ma l'argomento verrà dibattuto più a fondo nel vertice con la Turchia, che si terrà nel Consiglio europeo del 17-18 marzo prossimi.
  Oggi si svolge inoltre un Consiglio dei ministri dell'interno europei. I ministri discuteranno l'attuazione delle misure esistenti in materia d'immigrazione ed eventualmente anche possibili azioni future. Risulta in particolare al Comitato che il Consiglio si impegnerà per raggiungere un orientamento generale sulla proposta di regolamento finalizzata a modificare il Codice frontiere Schengen, mirante a rafforzare le verifiche nelle banche dati pertinenti alle frontiere esterne. I ministri discuteranno inoltre la proposta relativa a una guardia costiera e di frontiera europea, presentata dalla Commissione nel dicembre 2015. Ci risulta che su questa proposta si dovrebbe raggiungere e chiudere un accordo entro il 30 giugno. Sappiamo che lei ha dichiarato nel corso di una riunione che c'è un impegno a concludere, sotto la Presidenza olandese, un accordo politico.
  Sappiamo anche che c'è stato uno scambio di opinioni sull'eventuale applicazione dell'articolo 26 del Codice frontiere Schengen e sulle questioni connesse.
  Su questi tre punti, sottosegretario, per noi è determinante avere da lei delle informazioni. Lei è certamente la persona che ha più competenza in merito all'interno del Governo e, quindi, le saremmo grati se vorrà darci ulteriori elementi di conoscenza.
  Il secondo punto su cui le chiediamo informazioni è relativo alla reintroduzione di controlli alle frontiere interne da parte di vari Stati appartenenti all'area Schengen. Abbiamo avuto molte audizioni in merito. Abbiamo sentito quasi tutti gli ambasciatori dei Paesi coinvolti. L'ultimo è Pag. 3stato il Belgio, non audito ancora da noi, che ha ristabilito temporaneamente i controlli alla frontiera con la Francia, in vista dello smantellamento dell'accampamento noto come «la giungla di Calais».
  Ci risulta inoltre (agenzia LaPresse del 23 gennaio scorso) che un gruppo di Paesi, sull'onda di quanto avrebbero dichiarato alcuni esponenti del Governo olandese, potrebbe prendere in considerazione la possibilità di costituire una «mini-Schengen». Ovviamente per il Comitato questa è un'ipotesi non ricevibile e immagino lo sia anche per lei, per il Governo italiano e per tutti i Paesi che credono nella libertà di circolazione in Schengen come pilastro europeo. Noi abbiamo ascoltato anche l'ambasciatrice della Repubblica federale di Germania, Susanne Wasum-Rainer, che nel corso dell'audizione presso di noi il 10 febbraio scorso ha peraltro smentito l'ipotesi della creazione di una «mini-Schengen», però vorremmo sentire dalla sua viva voce se questi sono rumor o invece ci sono effettivamente degli Stati che prendono in considerazione questa ipotesi e qual è la sua opinione.
  Un altro tema è il ripristino dei controlli di frontiera con l'Italia da parte delle autorità austriache. Secondo quanto riferitoci dall'ambasciatore austriaco Pollitzer nel corso dell'audizione svolta presso il Comitato il 17 febbraio scorso, l'Austria ha deciso di ampliare i controlli al confine sud. I confini italo-austriaci maggiormente interessati sarebbero quelli di Passo Brennero, Prato alla Drava e Passo Resia in Alto Adige, ma anche quello friulano di Tarvisio. Il Ministro dell'interno austriaco Johanna Mikl-Leitner, secondo quanto risulta al Comitato da notizie di stampa (ANSA del 16 febbraio 2015), avrebbe dichiarato all'agenzia austriaca APA che attualmente le misure previste dall'Austria ai valichi di frontiera sono in fase di pianificazione e che i tempi dipenderanno dall'evolversi delle rotte seguite dai migranti. Il Ministro Leitner avrebbe auspicato in particolare una cooperazione estremamente intensiva per quanto concerne i controlli al valico del Brennero, a causa della particolare situazione storica, e anche l'eventuale utilizzo di recinzioni. Risulta al Comitato, anche da notizie di stampa (ANSA del 18 febbraio 2016) che il governatore del Trentino Ugo Rossi, che – le anticipo – avremo in audizione oggi dopo di lei alle 14.00, abbia assunto una delibera, assieme al suo omologo altoatesino Arno Kompatscher e al capitano della regione austriaca del Tirolo Günther Platter, con cui si chiede che tutte le misure nazionali di contenimento dei confini siano concordate con i territori. A questo proposito, le chiediamo se può aiutarci a comprendere meglio la situazione, perché l'ambasciatore austriaco da noi audito ha parlato solo di pianificazione e ha affermato che non ci sono chiusure. Abbiamo colleghi su quei territori – penso, ad esempio, al vicepresidente – che ci dicono che in realtà materialmente nulla è cambiato. Leggiamo queste dichiarazioni dei ministri austriaci, in particolare quello dell'interno, e non capiamo se sono misure volte a disincentivare l'afflusso di migranti. Pertanto, le chiediamo se può chiarirci questa questione.
  Il penultimo punto, sottosegretario, concerne la situazione alle frontiere esterne della Grecia e la prospettiva di estendere i controlli alle frontiere interne fino a due anni. La Commissione europea ha adottato, martedì 2 febbraio, la relazione di valutazione sulla situazione migratoria in Grecia e una proposta di raccomandazione del Consiglio su come affrontare le gravi carenze individuate in materia di gestione delle frontiere esterne da parte di Atene. Tale decisione potrebbe preludere all'attivazione dell'articolo 26 del Codice frontiere Schengen, che prevede, nel caso di particolari e persistenti carenze nel controllo delle frontiere esterne, che il Consiglio dell'Unione europea adotti, su proposta della Commissione, una decisione che consenta di estendere i controlli temporanei alle frontiere interne, con proroghe di sei mesi in sei mesi, fino al limite massimo di due anni. Da un'agenzia ANSA del 23 febbraio 2016 risulterebbe che i ministri austriaci Sebastian Kurz e Johanna Mikl-Leitner abbiano invitato gli omologhi di Albania, Bosnia, Bulgaria, Kosovo, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Slovenia per un Pag. 4incontro ieri a Vienna sul problema migratorio, da cui sono stati esclusi Commissione UE, presidenza olandese di turno e Grecia.
  A tale proposito risulterebbe al Comitato (ANSA del 19 febbraio 2016) che lei abbia dichiarato che nell'attuare le decisioni prese insieme per la crisi dei migranti bisogna lavorare insieme, non pensare di risolvere le questioni con vie nazionali, isolando i Paesi più in difficoltà. Ci trova naturalmente d'accordo e le chiediamo chiarimenti su cosa è successo.
  Infine, questo Comitato ha discusso in più di un'audizione la questione relativa agli hotspot. Abbiamo ascoltato più volte il Ministro dell'interno Alfano spiegarci che gli hotspot fanno parte di tre pilastri che tra loro non sono assolutamente separabili. Gli altri due sono la guardia di frontiera esterna e i rimpatri. Tuttavia, noi abbiamo visto progressi nella costituzione degli hotspot e meno reazioni da parte dell'Europa. Le abbiamo già chiesto della guardia di frontiera esterna e le chiediamo chiarimenti anche in relazione ai rimpatri europei. Abbiamo visto soprattutto una posizione critica della Croazia. Secondo quanto risulta da un'agenzia Dire del 24 febbraio 2016, il Ministro degli affari esteri croato Mirko Kovac, a margine dell'incontro avuto alla Farnesina con il Ministro degli esteri Paolo Gentiloni, avrebbe dichiarato la disponibilità a proseguire il percorso di gestione dei migranti rifugiati in Europa, però avrebbe precisato: «La Croazia non è disponibile a diventare un hotspot per l'UE, poiché non ne abbiamo le capacità». Anche su questo vorremmo conoscere la sua posizione.
  Sottosegretario, lei è stato presidente di questo Comitato e, quindi, sa che dopo i colleghi le porranno delle domande.
  Do la parola al sottosegretario Sandro Gozi per lo svolgimento della sua relazione.

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Innanzitutto, scusatemi per il ritardo e grazie per l'invito a tornare a questo Comitato.
  Le questioni che lei ha sollevato, presidente, sono tantissime. Io cercherò di essere sintetico, per offrire spazio al dibattito.
  Partirei dalla questione più politica: no al mini-Schengen. Voglio che rimanga agli atti: No al mini-Schengen, anche perché noi non riusciamo a vedere come rinunciare alla nostra libertà aumenterebbe la nostra sicurezza. È proprio un'impostazione illogica e crediamo sia anche molto controproducente e nell'operatività molto lontana dal modo in cui noi facciamo politiche europee e rimaniamo in Europa. Nell'incontro ufficiale con il presidente in esercizio del Consiglio affari generali della presidenza olandese, il Ministro degli affari europei Bert Koenders, chiaramente ho chiesto se ci fosse veramente una proposta ufficiale della presidenza olandese o di qualche altro Governo per costruire il mini-Schengen. La risposta è stata assolutamente negativa. Tuttavia, questo termine è utilizzato nel dibattito pubblico politico in alcuni Stati membri. Noi riteniamo invece che questa ipotesi vada assolutamente respinta, perché, quando ci sono delle grandi urgenze o comunque delle grandi questioni politiche da affrontare nell'Unione, la soluzione non può essere escludere quelli che magari in quel momento sono più sotto pressione o sono più in difficoltà. La risposta deve essere invece dimostrare la capacità politica e la solidarietà necessaria, nel momento in cui ci sono uno o più Paesi in difficoltà, per intervenire insieme. La risposta non può essere: «Isoliamo questo o quel Paese, perché in questo momento è sotto forte pressione di flussi migratori». La risposta deve essere: «Vediamo cosa possiamo fare insieme, per aumentare le capacità dell'intera Unione e in particolare di quel Paese di gestire un afflusso eccezionale di rifugiati o comunque flussi di vario tipo all'interno dei quali ci sono una gran parte di rifugiati».
  È evidente, però, che nel dibattito politico europeo la questione mini-Schengen a volte viene sventolata come una minaccia: «Se ognuno non fa la propria parte, allora potremmo fare anche una piccola Schengen tra noi». Questa è la realtà. La nostra risposta vi è nota, anche perché credo che sia la terza volta che vengo nel vostro Pag. 5Comitato. La prima volta venni per illustrare il programma della presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea. Voi ricorderete bene che una delle priorità dell'Italia all'epoca era quella di riaprire il dibattito in Europa sulla creazione di un corpo di polizia europea delle frontiere esterne. Eravamo assolutamente originali all'epoca nel proporre questa cosa. La nostra seconda proposta era quella di costituire, come via al principio del mutuo riconoscimento, un vero sistema europeo comune dell'asilo e, quindi, di superare, di ammorbidire ulteriormente o di rendere flessibile e adattabile a seconda delle circostanze il principio della responsabilità dello Stato di primo approdo, alla luce del Regolamento di Dublino.
  Vi ricorderete anche che insistevamo molto sul fatto che la politica dei rimpatri deve essere una politica sempre più europea e comune e non unicamente lasciata alla responsabilità dei singoli Stati membri, nel momento in cui si tratta di rimpatriare da uno spazio comune, che è lo spazio Schengen. Oggi questo è l'oggetto, non solo del dibattito politico, ma anche dell'attività legislativa, oltre che negoziale, dell'Unione europea. Voi sapete che la Commissione ha già emesso due comunicazioni e presenterà due proposte legislative. Ne ha presentato una prima sul corpo di polizia europeo delle frontiere esterne ed è imminente – sarà presentata in marzo – la seconda proposta della Commissione sulla revisione del Regolamento di Dublino.
  Certamente la nostra risposta è questa ed è anche la risposta che la Commissione europea e alcuni Paesi, che sono strategici in questa vicenda, oggi sostengono. Voi avete audito l'ambasciatore della Repubblica federale di Germania. Vi ricorderete che la posizione della Repubblica federale di Germania, quando mi audiste la prima volta, non era esattamente quella di oggi. Questa evoluzione va molto bene. È un fatto positivo che la Germania sia pienamente schierata per la costruzione di una politica delle frontiere esterne, perché considera le frontiere esterne un problema comune. Noi diciamo addirittura che sono frontiere europee piene e siamo proprio per l'europeizzazione, ma il fatto che a livello europeo si dica che sono una questione comune è già un passo in avanti importante, sul quale dobbiamo assolutamente lavorare. Altrettanto importante è il fatto che altri partner, come la Germania ma anche come la Svezia, con la quale noi abbiamo una posizione molto convergente sul tema dei rifugiati, dell'asilo e delle frontiere esterne, siano tra i Paesi che oggi più invocano una revisione del sistema di Dublino, oltre che un rafforzamento delle frontiere esterne. Questa è la nostra risposta alle vostre preoccupazioni sulla questione del mini-Schengen. Noi dobbiamo lavorare su questo aspetto, che, come vi ha illustrato più volte il Ministro degli interni, si deve basare su un approccio a tre pilastri, che vale sia nella gestione dell'emergenza sia nella costruzione di nuove politiche.
  Conoscete bene la gestione dell'emergenza. Abbiamo raggiunto un accordo con difficoltà, ma l'abbiamo raggiunto e adesso pretendiamo che tutti rispettino i propri impegni. Mi riferisco all'accordo di ottobre, che prevedeva: la creazione degli hotspot, primo passo verso una gestione più coordinata e comune delle frontiere esterne; una politica dei rimpatri per coloro che non hanno diritto di restare nello spazio Schengen, con responsabilità europee e con un contributo maggiore dell'Unione europea; e la questione della relocation, ovvero della redistribuzione all'interno. Certamente non siamo soddisfatti di come quell'accordo temporaneo è attuato – tra un attimo magari vi darò qualche informazione più precisa – però è chiaro che la nostra posizione rimane la stessa, anzi è ancora più determinata, nel momento in cui parliamo, non unicamente della gestione dell'emergenza, ma anche della costruzione di nuove politiche.
  La costruzione di nuove politiche delle frontiere esterne e del corpo di polizia per noi deve andare di pari passo con la revisione di Dublino, per la stessa logica: nel momento in cui noi lavoriamo di più in comune e creiamo dei sistemi di coordinamento più integrati tra polizie per la gestione delle frontiere esterne, dobbiamo altrettanto avanzare nella condivisione dell'onere Pag. 6 dei rifugiati e nella redistribuzione di questi ultimi all'interno dell'Unione europea. Infatti, è chiaro che le due cose devono stare insieme, perché nessun Paese – non solo i nostri amici e partner croati – vuole diventare un grande hotspot per tutta l'Unione europea. Non ho incontrato io il rappresentante del Governo croato, ma prendo atto di quello che lei, presidente, mi riporta. Non c'è nulla di nuovo sotto il sole: nessun Paese di frontiere esterne vuole diventare un grande hotspot o un grande centro di identificazione per tutta l'Unione europea. Ecco perché le due cose devono procedere insieme: la costruzione di una gestione comune delle frontiere e la revisione e costruzione di un vero sistema europeo comune dell'asilo.
  Peraltro, presenteremo anche – lo vorrà fare certamente il Ministro dell'interno – una nostra posizione dettagliata sulla revisione di Dublino sulla quale come Governo stiamo lavorando e che vogliamo far avere alla Commissione europea in questi giorni, cioè prima che quest'ultima presenti le proprie proposte. Ci sembra un modo auspicabilmente efficace di difendere le nostre posizioni: non aspettiamo che la Commissione abbia delineato la proposta, ma presentiamo le nostre su come noi rivedremmo Dublino prima che lo faccia. Credo che sarete certamente interessati a un'audizione del Ministro dell'interno o di chi per lui possa presentare tale posizione. Nel momento in cui sarà definita, la trasmetteremo certamente.
  Questo è il lavoro e su questo abbiamo insistito, durante la preparazione dell'ultimo vertice, con la presidenza olandese, affinché si fissasse un termine entro il quale raggiungere un accordo politico sul corpo di polizia europea delle frontiere esterne. Nelle conclusioni dell'ultimo vertice del 18-19 febbraio, come lei ricordava, questo termine è stato fissato a fine giugno, cioè entro il semestre di presidenza olandese. Riteniamo che dovremo fare tutti gli sforzi necessari affinché questo termine venga rispettato veramente e ci sia un accordo politico sul corpo di polizia europea delle frontiere esterne, perché, a nostro modo di vedere, questo è anche lo strumento che attenua la spinta verso un'utilizzazione molto o troppo frequente delle clausole di cui agli articoli 23 e 26 di Schengen.
  Credo che, se noi avanziamo veramente in maniera concreta su una maggiore efficacia della gestione delle frontiere esterne, queste pianificazioni possono anche rallentare. Lei ha già risposto alla sua domanda: si tratta di pianificazioni. Non so quali dei commissari vengano da quei territori. Lei non viene dal Trentino-Alto Adige, ma dal Friuli; lo so bene. Sapete che in realtà nulla è cambiato nell'operatività. Mi sembra assolutamente opportuno e legittimo che i presidenti Kompatscher, Rossi e Platter chiedano, in una regione così particolare, che peraltro si vuole anche euroregione, che tutto venga concordato con i due Governi (soprattutto con il Governo di Vienna in questo caso, ma certamente anche con il Governo di Roma), però al momento nulla è cambiato.
  Io credo che più siamo rapidi nell'avanzare verso alcuni risultati concreti a livello europeo, meno ci saranno queste spinte e questi rischi. Ricordo che la discussione è collegata al fatto che l'articolo 23 non è più utilizzabile, perché il tempo previsto in tale articolo (mi sembra si tratti di 30 giorni) è ormai stato utilizzato e, quindi, si chiede di poter passare all'articolo 26, che potrebbe estendere il periodo fino a due anni, con la valutazione della Commissione, però non siamo ancora lì.
  È altrettanto importante, per gli stessi motivi politici, l'attuazione del piano d'azione congiunto UE-Turchia, che è l'altro tema su cui mi avete chiesto di esprimermi. Da quando il piano è stato formalmente adottato ed è stato raggiunto un accordo anche sul contributo finanziario dell'Unione europea, le autorità di Ankara hanno preso dei provvedimenti. Noi vogliamo che vadano ancora più veloci su altri, ma a partire dall'8 gennaio 2016 i cittadini siriani in ingresso in Turchia da un Paese terzo necessitano di visto. Questa è una prima richiesta che noi avevamo fatto. Il Consiglio dei ministri turco il 12 gennaio 2016 ha adottato un decreto per favorire l'occupazione legale dei siriani titolari di Pag. 7protezione temporanea. Questo è un altro aspetto che noi chiedevamo e siamo pronti a sostenere i turchi nel lavoro di integrazione e di gestione, su un periodo abbastanza lungo, della presenza dei rifugiati siriani sul loro territorio. Il 18 gennaio 2016 UE e Turchia hanno trovato l'accordo per la convocazione di incontri regolari di alto livello, al fine di monitorare fase per fase i progressi compiuti nel quadro del piano di azione congiunto. Proprio in questo contesto di incontri regolari ad alto livello sull'attuazione del piano d'azione, è stato convocato tra una settimana il vertice europeo, in cui i Capi di Stato e di Governo dell'Unione Europea incontreranno il Primo ministro Davutoğlu. È esattamente un seguito di questo aspetto. Quest'incontro avrà luogo il 7 marzo prossimo. Chiaramente noi riteniamo che in Grecia il numero di arrivi dalla Turchia rimanga ancora troppo elevato e che occorra arrivare a una riduzione sostanziale e sostenibile. Per questo, sono certamente decisivi gli ulteriori sforzi che le autorità di Ankara dovranno compiere nella piena attuazione di questo piano d'azione.
  Avevo accennato, presidente, all'attuazione dell'accordo temporaneo, quello dei tre pilastri. Voi sapete che rispetto al nostro lavoro di identificazione l'Italia ha fatto importanti passi in avanti. Infatti, il tasso di rilevazione delle impronte digitali è salito all'87 per cento e per gli ultimi sbarchi al 100 per cento. Pertanto, ritengo che, anche dal punto di vista strettamente tecnico-formalistico, la procedura d'infrazione che si commenta da sé e che la Commissione europea aveva deciso di aprire contro l'Italia possa essere chiusa in breve tempo. Infatti, credo che anche dal punto di vista tecnico i dubbi della Commissione – non entro nei dettagli – possano essere superati, o almeno questa è la nostra posizione.
  Per quanto riguarda gli hotspot, lei ha ricordato che due sono già operativi. Il terzo, quello di Trapani, è formalmente aperto e, secondo le informazioni che il Viminale mi ha fornito, dovrebbe diventare operativo a giorni. L'apertura di altri due siti è prevista in tempi molto rapidi; penso che a marzo si aprirà quello di Taranto e successivamente si dovrà aprire anche quello di Porto Empedocle. I rimpatri coordinati da Frontex sono stati 3.565 nel 2015. Riteniamo che sia un inizio ma che si debba fare molto di più per quanto riguarda quella parte dell'accordo su cui noi insistiamo. Anche i rimpatri sono compito europeo. Quelli operati dalle autorità italiane sono stati invece, nello stesso periodo, poco meno di 15.000. Dal punto di vista degli hotspot greci, Atene, secondo le nostre informazioni, sarebbe sul punto di dichiarare operativi tutti gli hotspot previsti. Oltre a Lesbo, dove, come è noto, l’hotspot è attivo da ottobre 2015, i centri saranno a Kios, Leros, Samos e Kos. In particolare, il centro di Kios sarebbe già inizialmente operativo e 70 richiedenti asilo sarebbero già arrivati. Dico questo per rispondere alla sua domanda sullo stato di attuazione dell'accordo.
  I ricollocamenti, come è noto, al 15 febbraio sono molto bassi: solo 583 richiedenti asilo sono stati ricollocati, di cui 288 dall'Italia e 295 dalla Grecia. È evidente che c'era una fase iniziale di avviamento di un sistema completamente nuovo, che non è assolutamente semplice, né dal punto di vista dell'identificazione né dal punto di vista del matching tra le varie amministrazioni degli interni. Tuttavia, adesso noi vogliamo che ogni Stato membro faccia la sua parte. Ci sono degli Stati che dimostrano di avere la consapevolezza che la solidarietà non è solo un grande valore europeo, ma è anche un principio giuridicamente vincolante. Basta leggere – vado a memoria – gli articoli 78 e 79 dei trattati, relativi all'immigrazione e all'asilo, per vedere che la responsabilità congiunta e la solidarietà sono dei princìpi giuridicamente vincolanti. Alcuni Paesi ne hanno la consapevolezza.
  Il Portogallo, ad esempio, non solo ha confermato di voler rispettare pienamente la propria parte di richiedenti asilo, ma ha addirittura dato la disponibilità, con il nuovo Governo guidato da Antonio Costa, ad aumentare la parte di richiedenti asilo che il Paese è disposto a ricevere. Altri Paesi, come è noto, sono invece molto più reticenti a farlo. Il Governo italiano ha avuto Pag. 8modo di ricordare a questi Governi che la solidarietà in Europa non è a senso unico, ma è a doppio senso; non la si può invocare solo quando si tratta di fondi di sviluppo regionale e dimenticarla quando si tratta di immigrazione e di asilo.
  Visto che questa è una posizione che in più occasioni il Governo ha ribadito, io vi confermo, se fosse necessario, che questa è la posizione del Governo italiano su questo aspetto, perché è certamente una delle questioni chiave sia di operatività dell'accordo sia di coerenza generale dell'azione dell'Unione europea. Peraltro, è evidente che, se permangono gli ostacoli all'attuazione dell'accordo temporaneo – siamo tutti in buona fede, ma nessuno è ingenuo – questi ostacoli verranno utilizzati nel negoziato per il sistema permanente: dato che l'accordo temporaneo fatica a funzionare, come pretendete di riformare il sistema di Dublino? Questo mi sembra un gioco abbastanza scoperto, a cui la maggioranza degli Stati non intende sottostare, però è certamente una delle questioni politiche aperte.
  Voglio lasciare spazio al dibattito, presidente. Credo di aver passato in rassegna tutti i punti su cui lei mi aveva chiesto di intervenire.

  PRESIDENTE. Grazie, sottosegretario. Naturalmente capisco che è competenza del Ministero dell'interno – audiremo il sottosegretario Manzione – però le chiediamo se può commentare o se lei è a conoscenza della situazione italiana relativamente alla costituzione di un corpo di polizia europeo per le frontiere esterne, come lei l'ha chiamato. Vorrei sapere se conoscete già la posizione dei corpi di polizia o comunque della Guardia costiera italiana in merito. Quali sono, secondo lei, le disponibilità?
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RICCARDO MAZZONI. Sottosegretario, io credo che noi siamo dentro a una grande fiction, che lei ci ha un po’ illustrato, nel senso che la relocation è ferma a quello che è, la Commissione europea vara un'agenda migranti che non viene rispettata al 90 per cento e si afferma da mesi che il Regolamento di Dublino va modificato.
  Tutti affermiamo che, se cade Schengen, cade l'Unione europea. Tuttavia, Schengen di fatto resta in piedi solo grazie alle deroghe, perché è sospeso in diversi Paesi. Il Ministro Alfano aveva detto che il muro di Dublino era caduto. Io non glielo chiedo, perché lei ci ha già risposto. Questo muro è tuttora in piedi e sta facendo nascere altri muri.
  Detto questo, passo alle domande. La nuova guardia di frontiera comune che compiti avrà? Che cosa farà di diverso rispetto a quello che ha fatto Mare nostrum e a quello che fanno le missioni ora in atto nel Mediterraneo? Respingeranno i migranti o li porteranno nei Paesi di prima accoglienza?
  In secondo luogo, l'Unione europea che cosa pretende da noi sugli hotspot? Anche qui siamo in attesa che il Governo dia una configurazione giuridica precisa a questi centri. A Trapani un centro di identificazione e di espulsione (CIE) è stato trasformato direttamente in hotspot. Cosa sono? Sono CIE? Sono centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA)? Non si sa bene. I migranti possono uscire? Sono trattenuti?
  Il rilevamento delle impronte digitali è obbligatorio, però a Lampedusa ci sono alcune centinaia di eritrei e di etiopi che rifiutano di darle e la polizia italiana, per le nostre leggi, non può coattivamente prelevarle, perché questo è previsto solo per la saliva e per i capelli. Questi migranti staranno a tempo indefinito nell’hotspot di Lampedusa? Che cosa ne facciamo, non avendo la possibilità e non avendo neanche un aiuto dai Paesi dove vorrebbero andare e dove dovrebbero essere ricollocati?
  Infine, se si blocca la rotta balcanica, che rischi corriamo? Rischiamo che si apra un fronte adriatico-pugliese come nuova rotta di migranti?

  MARCO FILIPPI. Devo dire, sottosegretario, che mi ero appuntato diversi aspetti su cui pensavo di doverle chiedere dei chiarimenti, ma il mio intervento sarà molto rapido, forse perché questa audizione è stata ben istruita. Pag. 9
  Mi ritengo soddisfatto sia per gli aspetti di dettaglio sia per il quadro più complessivo, anche se, in maniera molto sincera, devo dire che avverto uno scarto tra la politica che viene delineata e i tempi necessari affinché questa abbia cadenze, atti, costruzioni e concretezza. Pertanto, non manifesto delle perplessità, ma ovviamente permangono delle preoccupazioni rispetto ai tempi con cui si concretizza questa politica e per gli atteggiamenti che nella quotidianità vengono messi in atto dagli Stati membri.
  Detto questo, ho due domande molto brevi e specifiche. Quanto spendiamo noi, come Paese, per il controllo delle nostre frontiere esterne? Lo dico pensando a una serie di implicazioni di facile intuizione, tra cui l'atteggiamento che abbiamo avuto rispetto alle richieste pervenute dalla Turchia. Vorrei sapere quanto pesa questa richiesta, anche in rapporto all'altra frontiera esterna indicata come la Grecia.
  Sempre riguardo agli hotspot, mi sembra di aver capito che noi attualmente ne abbiamo costituiti due. C'è quello a Lampedusa e un altro che non ricordo. Mi sembra di capire che gli altri due, che sono in fase di costituzione, sono a Trapani e a Taranto. A regime quanti dovrebbero essere? Vorrei sapere quanto viene a costare un hotspot e quanto complessivamente il sistema degli hotspot incide sulla spesa che sosteniamo per il controllo delle frontiere esterne.
  In ultimo, le pongo una domanda a cui riservo una particolare attenzione. Vorrei sapere qual è il livello di integrazione che già oggi si registra tra chi gestisce gli hotspot e i nostri servizi, anche in ragione di episodi di infiltrazione che si sono verificati. Vorrei sapere quale rapporto esiste tra i nostri servizi e gli altri su questo tema specifico.

  LUIS ALBERTO ORELLANA. Grazie, sottosegretario. Ho due domande molto brevi. Vorrei sapere se l'Austria condivide con l'Italia la pianificazione della reintroduzione dei controlli alle frontiere. Abbiamo sentito che per ora non c'è nessuna evidenza di azioni, però il Governo austriaco si è espresso chiaramente, dicendo che sta pianificando e sta anche ipotizzando di usare il filo spinato (è quasi un muro). Vorrei sapere se questa pianificazione viene in qualche modo condivisa con l'Italia.
  Inoltre, vorrei sapere se qualcuno ha cominciato a stimare il danno economico che un eventuale controllo più stringente alle frontiere potrebbe portare a entrambi i Paesi o comunque a tutta la realtà europea.
  Infine, per quanto riguarda la ricollocazione, lei ci ha riportato dei numeri desolanti: 588 tra Italia e Grecia. Ho capito le motivazioni che ci ha illustrato: una difficoltà di partenza di un meccanismo nuovo e una certa strumentalità da parte di qualche Stato per farlo fallire, perché magari in successive trattative si può giocare questo dato. Esistono anche altre ragioni che possono rallentare?
  Per quanto impossibile o difficile, cerco di mettermi nei panni di un migrante, che magari è partito dalla Siria o dall'Iraq, ha rischiato la vita e ha fatto un percorso lunghissimo che è durato parecchio tempo. Magari vorrà cercare di scegliere il Paese dove vivere, perché ha una comunità di connazionali oppure perché, banalmente, essere ricollocati in un Paese dell'Est europeo, dove gli stipendi sono di 300 euro al mese, è diverso dall'essere ricollocati in Germania, dove gli stipendi sono di 3.000 euro. Chi è lì piuttosto, visto che ha fatto una fatica così grande, aspetta ancora un po’, nella speranza di avere una ricollocazione in uno dei suoi due o tre Paesi di scelta.
  A parte questa che può sembrare una battuta, d'altro canto non si può pensare che le persone siano dei pacchi postali e decidere le quote mandandole un po’ di qua e un po'di là. Questo è più un commento che una domanda.

  GIORGIO BRANDOLIN. Ringrazio anch'io il sottosegretario e condivido tutta l'impostazione e anche il lavoro che sta facendo il nostro Governo – penso con grande difficoltà – nel portare a casa i tre pilastri di cui lei ha parlato, che in parte sono stati realizzati. Pag. 10
  Io pongo subito delle domande abbastanza precise. L'ambasciatore d'Austria circa due settimane fa ci ha ricordato che il Parlamento austriaco (non il Governo) ha deciso di stabilire dei numeri ben precisi sulla possibilità di accogliere richiedenti asilo: 35.000 nel 2016, 27.000 e 20.000 negli anni seguenti (vado a memoria). In primo luogo, mi domando come faranno e, in secondo luogo, se ne avete discusso.
  Come diceva il collega, mi sembra una cosa un po’ empirica. Non riesco ancora a capire come faranno. Ne beccano 1.000 a Tarvisio, li sommano coi 5.000 del Brennero e poi a un certo punto non fanno entrare più nessuno? C'è anche il confine sloveno, dove c'è un altro passaggio importante, da quello che abbiamo capito.
  Vorrei sapere se avete discusso anche di questo e come affrontare questa cosa, che mi sembra un elemento molto strano della politica austriaca.
  Gli austriaci ci hanno riferito che stanno predisponendo questa pianificazione. Io, che l'ho verificata puntualmente, sul confine di Tarvisio non ho visto niente, neanche una pattuglia di polizia austriaca in più rispetto a quelle che ho visto nei mesi passati.
  Cosa vuol dire questo? È solo propaganda? È solo preoccupazione? Si tratta solo di tranquillizzare la popolazione austriaca? Ne avete parlato? È stata ufficialmente chiesta alla Commissione, nel Consiglio europeo, l'applicazione dell'articolo 26, oppure è solo stato minacciato questo?
  Le chiedo questo perché secondo me – lo dico con molta franchezza – i media locali stanno facendo un'azione di disinformazione incredibile, da parte italiana, ma anche da parte slovena e croata, per spaventare la gente. Si sta affermando che nei prossimi mesi riavremo le file di macchine sul confine, i TIR bloccati e tutte queste cose brutte che conosciamo, che io ho già vissuto nella mia vita e che ovviamente non vorrei più vedere.
  Inoltre, vorrei sapere se la Slovenia ha già ipotizzato un ragionamento come quello dell'Austria.
  Ho una terza domanda; non so se posso rivolgerla a lei o devo rivolgerla al Ministro dell'interno. Vorrei sapere se è previsto un hotspot a Trieste, a Gorizia o al Brennero oppure lo smentite. Ho chiamato la RAI affinché assista a questa sua audizione, visto che è pubblica, in modo che si smentisca tutto questo. C'è una volgare campagna – lo dico così, presidente – di disinformazione, anche da parte di giornali teoricamente a noi vicini, che mi spaventa. La gente alla fine, spaventata da questa disinformazione, non è neanche capace di discernere e, quindi, possiamo avere anche brutti comportamenti.
  Infine, la quarta domanda è sulla sua interpretazione dell'incontro a Vienna, che anch'io ho visto negativamente, data l'assenza di alcuni Paesi europei e della Commissione europea. Vorrei sapere cosa ne pensa, se ha informazioni su che cosa si è deciso in quell'incontro tra i Paesi «balcanici» organizzato da Vienna e se anche questo può portare alla creazione, se non di un mini-Schengen, di un rapporto tra Paesi che escludono altri. Secondo me, queste cose si devono discutere sempre e comunque in Europa. Dopo l'accordo in quella città che non ricordo, adesso facciamo l'accordo a Vienna. Di paci di Vienna ce ne sono state tante e ricordano brutti periodi di qualche centinaio di anni fa. Non è il caso di crearne una nuova, secondo me. Vorrei una sua interpretazione.

  PRESIDENTE. Do la parola al sottosegretario Gozi per la replica.

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Vi ringrazio. I temi che avete sollevato sono di grande importanza.
  Non condivido, collega Mazzoni, la sua valutazione sul mancato rispetto al 90 per cento; mi sembra assolutamente eccessiva. Anche tra di noi, vista l'importanza della questione, dovremmo cercare di essere il più determinati possibile nel portare avanti i nostri interessi nazionali anche nell'analisi di quello che facciamo. Lei sa bene quanto era tabù parlare della revisione di Dublino. Io le posso garantire che, quando il sottoscritto parlò di revisione di Dublino, su indicazione del Presidente del Consiglio e su decisione del Governo – io mi facevo Pag. 11portavoce di un'impostazione – all'inizio del Governo Renzi, alcuni alti funzionari di varie amministrazioni, in particolare una, mi risposero: «È assolutamente improponibile». Oggi chi lo propone è la Commissione europea. Sono d'accordo con lei sulla difficoltà del tema, però io credo che bisogna dare prova di determinazione, perché spingendo si fanno avanzare le cose. Avanzano come vorremmo? Assolutamente no. Ci piacciono le misure che alcuni hanno preso? Assolutamente no. Ci piacciono i muri e i fili spinati? Proprio per niente, perché noi riteniamo, come dicevo nell'introduzione, che, non solo non servono a nulla per gestire la questione che in teoria dovrebbero gestire, ma sono assolutamente dei passi indietro operativi e soprattutto politici rispetto al modo in cui si sta in Europa.
  A questo proposito mi collego a quanto affermava il vicepresidente Brandolin. Noi dobbiamo lottare quotidianamente – quando dico «noi» mi riferisco soprattutto a coloro che in questo periodo della loro vita sono prestati alla cosa pubblica – per uscire dalla dittatura della paura nella quale ci vogliono collocare alcuni media e alcune forze estremiste, che sarebbe devastante per l'Europa e anche per la nostra volontà di raggiungere questo obiettivo. C'è la costruzione scientifica, da parte di alcuni attori politici, mediatici eccetera, di una dittatura della paura, che ci porta a rimanere prigionieri dei muri che costruiamo. Mi sembra che Machiavelli affermasse che più costruisci dei castelli e più crei degli assedi. Noi non possiamo cedere a questa strategia dell'assedio. È per questo che dobbiamo lavorare sui temi che abbiamo detto.
  Da questo punto di vista, non c'è la previsione di creare hotspot in Friuli-Venezia Giulia. Gli hotspot sono sei e sono quelli che sono stati citati. Rispondo anche al collega Filippi. Il sesto, che abbiamo citato poc'anzi, è quello di Porto Empedocle.
  Per ciò che concerne la sospensione di Schengen, c'è una discussione su alcuni aspetti del Regolamento. C'è la questione dell'articolo 7, ovvero aumentare lo scambio di informazioni su tutti coloro che escono ed entrano dalla frontiera esterna Schengen, che secondo noi è una cosa che va nella direzione giusta, poiché questo scambio di informazioni può essere utile nella prevenzione e nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. Non credo che cambi molto al nostro quotidiano sapere che il fatto che abbiamo preso un aereo per andare in Turchia viene registrato. Non mi sembra che questo sia un grande passo indietro. Se, come ci dicono i servizi di polizia e di intelligence, questi sono dati molto utili, ad esempio, per monitorare i movimenti dei cosiddetti foreign fighters, credo che si tratti di qualcosa di positivo.
  L'articolo 26 è dibattuto soprattutto rispetto alla questione della gestione dei flussi eccezionali in arrivo dalla Turchia e dalla Grecia. Si farà una valutazione di qui a tre mesi, per vedere come questi flussi eccezionali sono gestiti tra Turchia e Grecia e, alla luce di questo, si analizzerà la possibilità o meno di procedere sull'articolo 26. Tuttavia, la Grecia sta andando avanti sugli hotspot e noi stiamo insistendo – questa è la posizione del Governo italiano a tutti i livelli, a partire dai livelli tecnici fino ai livelli più alti e politici – per cooperare ancora di più e per assistere, per quanto possibile, i greci in questo loro sforzo, proprio perché noi riteniamo che la via maestra ovviamente sia quella di aiutare la Grecia ad avere una capacità piena di gestione dei flussi.
  Io rimanderei ai miei colleghi del Viminale alcune questioni specifiche, perché non mi competono e non ho gli elementi su alcuni aspetti relativi all'identificazione e ai costi. Li rimanderei al mio collega Manzione, perché non mi sembra serio citare cifre o informazioni di cui non ho la certezza.
  Collega Orellana, certamente ci sono contatti in corso tra le autorità di Vienna e di Roma, soprattutto dopo l'incontro che c'è stato tra il cancelliere Faymann e il Presidente del Consiglio Renzi, durante il quale ovviamente abbiamo insistito sulla gestione per quanto più possibile condivisa della questione. Degli scambi di informazioni sono in corso soprattutto tra le amministrazioni Pag. 12 degli interni austriache e italiane. Io non le ho, ma sicuramente le province autonome di Trento e Bolzano e il Sud Tirolo avranno fatto delle stime sul potenziale danno economico di un ristabilimento delle frontiere. Se li audirete, vi daranno le cifre.
  Secondo uno studio che ho potuto consultare, che non è uno studio ufficiale di istituzioni pubbliche – non ricordo la fonte, ma potrò farvela avere – il costo della reintroduzione delle frontiere in tutta l'Unione Europea potrebbe arrivare a 100 miliardi. I danni che il turismo riceverebbe da un ripristino delle frontiere sarebbero tra i 10 e i 50 miliardi. Magari anche questi aspetti potrebbero essere valutati nel dibattito.
  La valutazione di Orellana è un elemento importante. Io non ho insistito su questo, ma è certamente uno dei punti centrali. Spesso c'è un rifiuto o un'assenza di volontà da parte di alcuni richiedenti asilo di farsi identificare oppure, una volta identificati, di andare nei Paesi previsti. D'altra parte, su questo ci sono delle posizioni ufficiali dell'Unione europea. Noi siamo obbligati e vogliamo garantire a tutti il diritto d'asilo, perché ci sono delle norme europee, perché ci sono delle norme costituzionali e perché ci sono degli impegni a livello di Nazioni unite. Tuttavia, di fronte a dei flussi così eccezionali, non possiamo garantire al richiedente asilo anche il diritto di scegliersi lo Stato. Questo è impossibile. Si è deciso di andare verso un'altra direzione. Certamente a coloro che scappano dai terroristi islamici, che tagliano le teste alla gente – non è un'immagine figurata, purtroppo – va riconosciuto l'asilo, ma in questa fase non va riconosciuto loro il diritto di scegliere se andare ad Amburgo, a Milano o a Bratislava.

  PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario e coloro che lo accompagnano, la dottoressa Giulia Massotti e il dottor Gregorio Pallone. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.25.