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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 19 di Mercoledì 9 marzo 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI

Audizione del Sottosegretario di Stato per l'interno, Domenico Manzione.
Ravetto Laura , Presidente ... 3 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 5 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 5 
Ravetto Laura , Presidente ... 5 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 5 
Ravetto Laura , Presidente ... 6 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 6 
Ravetto Laura , Presidente ... 7 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 8 
Ravetto Laura , Presidente ... 8 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 8 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 11 
Arrigoni Paolo  ... 11 
Frusone Luca (M5S)  ... 12 
Mazzoni Riccardo  ... 12 
Ravetto Laura , Presidente ... 13 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 13 
Ravetto Laura , Presidente ... 13 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 13 
Ravetto Laura , Presidente ... 13 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 13 
Ravetto Laura , Presidente ... 13 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 13 
Campana Micaela (PD)  ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Arrigoni Paolo  ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 15 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 15 
Ravetto Laura , Presidente ... 15 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 15 
Ravetto Laura , Presidente ... 16 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 16 
Ravetto Laura , Presidente ... 16 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 16 
Ravetto Laura , Presidente ... 16 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 16 
Ravetto Laura , Presidente ... 17 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 17 
Frusone Luca (M5S)  ... 17 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 17 
Ravetto Laura , Presidente ... 18 

Allegato: Documentazione prodotta nel corso dell'audizione ... 19

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 8.40.

Sulla pubblicità dei lavori

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web tv della Camera dei deputati.

(Così rimane stabilito).

Audizione del Sottosegretario di Stato per l'interno, Domenico Manzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, con particolare riferimento alle politiche dei Paesi aderenti relative al controllo delle frontiere esterne e dei confini interni, l'audizione del Sottosegretario di Stato per l'interno, Domenico Manzione, che ringrazio per essere qui.
  Intanto le fornisco una traccia su cui può orientarsi, ma lei naturalmente dica quello che ritiene opportuno. Poi lascerò la parola ai colleghi per le domande.
  Come prima cosa, le chiedo se ci può dare dei numeri aggiornati. Noi li abbiamo recuperati, però naturalmente da lei vorremmo dati più certificati, in ordine al 2015, relativamente ai migranti, quindi le chiediamo se ha sia dei dati sui flussi sia sui risultati delle analisi delle Commissioni territoriali e se può darci delle percentuali rispetto alle richieste d'asilo riconosciute e rispetto ai dinieghi. Naturalmente sappiamo che c'è una differenza tra l'analisi delle Commissioni e i ricorsi, gli esiti dei ricorsi e i ricorrenti, però tutti i dati che ci può dare su questo sono benvenuti e la ringraziamo sin da ora. Le chiediamo, se non li avesse in seduta, di trasferire al Comitato i dati appunto relativi al 2015.
  Vorremmo sapere se può dirci qualcosa sulla valutazione relativamente alla roadmap di costituzione di quella che il Sottosegretario Gozi mi pare abbia chiamato la «Polizia comune di frontiera esterna», quindi rispetto a questa necessità di chiudere entro il 30 giugno, come a noi risulta in base agli accordi, per un controllo, a opera di un corpo comune, di frontiere che ormai noi abbiamo imparato a chiamare frontiere piene, perché, di fatto, sono frontiere europee. Ad avviso del Comitato, questo è un passo necessario per salvare l'accordo Schengen che, di fatto, come ricordano spesso molti colleghi, tra cui Mazzoni, è sospeso in questo momento, per cui per noi è importantissimo capire a che punto siamo con questa roadmap e se ci può dare degli elementi.
  Inoltre, già avevamo appreso dall'audizione del Sottosegretario Gozi di questa necessità e poi ne abbiamo anche visto, in realtà, la formalizzazione da parte del Ministro dell'interno Angelino Alfano insieme al Ministro dell'interno Thomas de Maizière, che nei giorni scorsi hanno inviato una lettera alla Commissione europea in cui chiedono una riforma del Regolamento di Dublino. In particolare, a noi risulterebbe che rilanciano il progetto per identificare i migranti candidati alla protezione internazionale già nei Paesi di origine o comunque in quelli di transito, arrivando poi alla creazione di un sistema istituzionalizzato di ricollocamento. Che è un po’ anche il suggerimento che è sempre venuto dal Comitato. Le chiediamo, dunque, se ci può parlare di questa proposta alla Commissione. Sappiamo che la Commissione Pag. 4dovrebbe discutere il tema il 16 marzo prossimo, per cui le domandiamo se ci può dire qualcosa.
  Inoltre, le chiediamo se ci può dare qualche indicazione sui costi dei migranti perché risulterebbe al Comitato che, in relazione ai costi dell'accoglienza dei migranti del 2015, il Ministero dell'interno ha stimato un costo di 1.162 milioni di euro, pari allo 0,14 per cento della spesa pubblica. In proposito, ci risulta che lei avrebbe dichiarato che i costi di accoglienza non sono né pochi né tanti e che devono essere quelli giusti, per cui le chiediamo di riferire in merito.
  Uno degli ultimi due punti, riguarda la realizzazione degli hotspot. Sappiamo che ce ne sono già di operativi, per cui le chiediamo se ci può spiegare bene, visto che a noi risultano tre operativi e due in fase di operatività, se in questi sono compresi i sei dell'Unione europea oppure sei è il numero totale. Inoltre, dobbiamo arrivare a sei oppure ce ne sono altri sei? Poi, è vero o non è vero che dovremmo costituirne uno anche nel nord-est? Le chiediamo se su questo ci può dare indicazioni precise.
  Ultima cosa: vorremmo un suo commento sul flusso dall'Albania. Abbiamo visto il rischio della chiusura di Macedonia e Grecia e la possibilità di un flusso dall'Albania verso la Puglia. Il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, si è già pronunciato su questo dicendo che lo scongiurerà in ogni modo, per cui le chiediamo se ci può dare delle indicazioni. Grazie.
  Lascio la parola al Sottosegretario Manzione.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Grazie mille. Vado molto rapidamente perché le domande sono tante, anzi spero di non dimenticare niente. Eventualmente lei, presidente, mi riprenda pure, se dimentico qualcosa. Parto dai flussi. Per quanto riguarda l'anno attuale, cioè il 2016, i migranti sbarcati dall'inizio dell'anno all'8 marzo, quindi a ieri, sono 9.307. Nella prima fase dell'anno, c'era stato un incremento significativo che poi è stato, però, in parte recuperato perché, se si guardano i dati relativi al 2015, ci siamo attestati sui 9.117 migranti sbarcati, quindi alla fine quel balzo in avanti che era stato compiuto nei primi giorni dell'anno è stato appunto recuperato. Per quanto riguarda, invece, i numeri complessivi: nel 2014 abbiamo avuto circa 170.000 sbarchi e nel 2015 ne abbiamo avuti 153.842, quindi c'è stata una leggera flessione rispetto all'anno precedente, come è evidente dal numero, che è ovviamente distribuita in maniera diversa nel corso dei mesi degli anni. Per esempio, nel 2015 all'inizio dell'anno, esattamente come all'inizio di quest'anno, avevamo avuto un'impennata e poi un leggero calo, fino ad attestarsi alla cifra che vi ho appena indicato.
  Sono cambiate due cose essenzialmente in questi due anni, a mio modo di vedere. Il numero grosso modo è rimasto lo stesso e, come si deve, la variabile è abbastanza limitata. Tuttavia, è cambiata la componentistica del flusso, cioè le nazionalità di origine dei flussi, perché ancora nel 2014, per esempio, c'erano importanti presenze sia dei siriani sia degli eritrei, invece nel 2015 i siriani e gli eritrei sono fortemente diminuiti e nel 2016 i siriani e gli eritrei rappresentano numeri sostanzialmente di scarsissimo rilievo, tant'è che le nazionalità principali sono tutt'altre: Nigeria, Gambia, Senegal, Mali, Guinea, Costa d'Avorio, Marocco, Somalia, Sudan e Camerun. Queste sono le principali. Il tutto ovviamente è legato alla grande ripresa che c'è stata sulla rotta dei Balcani, quindi i siriani e gli eritrei preferiscono in larghissima parte passare su quella rotta.
  All'interno di questi flussi, ci sono ovviamente moltissimi richiedenti asilo. Io vi posso dare i dati di quest'anno, però sono in grado recapitarvi anche tutti i dati degli anni precedenti, se voi lo ritenete necessario. Calcolate che nel 2014 i richiedenti asilo sono stati circa 64.000, che nel 2015 abbiamo avuto un incremento di circa il 30 per cento, quindi siamo saliti sopra gli 80.000, e che quest'anno siamo a 16.080 domande. In realtà, sono 16.610 le persone perché la domanda è rappresentata dal Modello C3 e qualcuno ha anche il minore accompagnato al seguito, quindi il numero delle domande non è esattamente corrispondente Pag. 5 al numero delle persone che è appunto leggermente superiore. Comunque, se ci si basa sul Modello C3, le domande a oggi – dico «a oggi» perché il dato che ho io è fermo al 4 marzo, quindi è abbastanza attendibile – sono state 16.080, quindi, se facciamo una proiezione di carattere aritmetico, di qui alla fine dell'anno probabilmente supereremo quel numero già superiore alle 80.000 che abbiamo registrato l'anno passato.
  All'interno di queste, posso dire che le Commissioni, anche grazie al decreto-legge che è stato approvato dal Parlamento, hanno cominciato a produrre un consistente numero di esiti perché – come dato, credo che sia abbastanza significativo – su 16.080 Modelli C3 depositati le Commissioni hanno esitato, dall'inizio dell'anno al 4 marzo, 16.152 domande, quindi praticamente hanno esitato un numero maggiore di domande rispetto a quelle che sono state introitate. Ovviamente ci sarà lentamente da abbattere anche l'arretrato che avevamo. Stiamo cercando di affrontare, adesso, il problema del versante giudiziario perché la decisione della Commissione chiaramente non esaurisce l'intera procedura, per cui il versante giudiziario è quello che può creare qualche problematica in più rispetto alla tempistica dell'esito definitivo della domanda, quindi stiamo ipotizzando insieme al Ministro della giustizia una modifica delle procedure che consenta di accelerare significativamente i tempi di...

  PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo. C'è una mozione, tra altro a mia prima firma, votata da tutto il Parlamento, in cui chiedevamo già mesi fa l'istituzione, se non di sezioni specializzate, almeno di una procedura accelerata, quindi ci sta dando una buona notizia.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. In parte, presidente, qualcosa è già stato fatto perché lo stesso Parlamento, in un decreto-legge, ha inserito un'ipotesi di applicazione straordinaria sulle sedi dove ci sono le Commissioni che hanno una maggiore produttività. Tuttavia, a noi è sembrato che questo non fosse ancora sufficiente.
  Un'altra iniziativa, secondo me molto utile, che noi abbiamo intrapreso, è quella di ipotizzare, anzi è già partito, il primo corso di formazione comune tra i componenti della Commissione e i magistrati che poi si devono occupare di queste tematiche perché un altro dei dati che a noi è sembrato poco soddisfacente è lo scarto veramente considerevole...

  PRESIDENTE. Il 70 per cento.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Esattamente, in alcuni casi tale scarto è molto elevato. Certo, lei non troverà statistiche obiettive in questo campo perché il Ministero della giustizia non aveva immaginato di disaggregare i dati, fino a ricomprendere anche questa tipologia di provvedimenti. Si stanno, però, attrezzando, dopo che è stata segnalata l'evenienza, quindi immagino che prima o poi avremo delle statistiche sulle quali si potrà lavorare anche in questo settore. Intanto, per incominciare, siccome in alcune sedi c'era sembrato che la divaricazione fosse troppo significativa e avevamo la sensazione che da una parte o dall'altra ci fosse qualche eccesso, abbiamo immaginato di poter avere una formazione comune tra tutti gli operatori del settore, il che ovviamente non vuol dire affatto ingerirsi, rispetto ad attività che rimangono assolutamente autonome. Tra l'altro, sono attività autonome sia quella dei magistrati che si occupano della materia sia quella delle Commissioni, tant'è che la Commissione centrale non ha un potere gerarchico rispetto alla decisione delle Commissioni territoriali, quindi la cosa dovrebbe funzionare. Per ora, abbiamo sperimentato il primo corso congiunto.
  Per quanto riguarda i dati più complessivi, se lei crede sia opportuno, posso anche lasciarli. Comunque, si tratta dei dati di Eurostat. Come voi sapete, secondo Eurostat sono 1,2 milioni i richiedenti asilo, in tutta Europa. Tuttavia, gli ingressi complessivi vengono calcolati, secondo i dati di Frontex, per circa due milioni. Inoltre, a questi vanno sottratti ovviamente i dati che vi ho dato io, per quanto riguarda gli sbarchi. Pag. 6 Poi, abbiamo un'altra piccola frontiera che è di carattere territoriale e che, come è noto, riguarda essenzialmente gli afgani e i pachistani che arrivano in realtà via terra, molto spesso di rientro dall'Austria, tant'è che abbiamo avuto, dal primo gennaio all'8 marzo, 1.654 migranti rintracciati via terra. Il dato non è comparabile perché non ho quello dell'anno precedente, infatti è una innovazione statistica che abbiamo introdotto di recente. Comunque, il problema della frontiera esiste.
  Questo rende evidente, in prospettiva, l'altro problema, cioè che la realizzazione di quei controlli e di quelle barriere – l'ultima, come avete visto, è quella della Slovenia – creino, in realtà, una forma di imbuto e di sacco, in cui la Grecia sostanzialmente rimane isolata. Dalla Grecia, quindi, è ipotizzabile, attraverso un passaggio in Albania, una nuova rotta che sarebbe la cosiddetta «rotta adriatica». Da questo punto di vista, le iniziative che possono scongiurare questo rischio – è inutile nasconderlo perché obiettivamente c'è, infatti se ne parla da diversi mesi – sono essenzialmente due. La prima è che arrivi in porto l'accordo con la Turchia che, come avete potuto constatare, ha avuto qualche difficoltà a decollare. L'ultimo Consiglio europeo si pensava che fosse un Consiglio lampo perché doveva semplicemente limitarsi a ratificare gli accordi di Malta, invece così non è stato perché la Turchia ha significativamente alzato il tiro, anche come richiesta di carattere politico, sostanzialmente. È stato prodotto un documento, che è in realtà il documento iniziale elaborato dal Coreper, a cui è stato aggiunto un primo punto nel quale sono condensate tutte quelle che, come poi avete visto, sono le richieste della Turchia, cioè un sostanziale raddoppio degli stanziamenti, ovviamente non destinati alla Turchia (questa è la posizione che viene rappresentata) ma per mettere in sicurezza i campi. Penso comunque che parte di questi soldi sicuramente saranno utilizzati per mettere in sicurezza i campi. Tuttavia, c'è un'altra serie di richieste di carattere politico. Alcune riguardano l'ingresso della Turchia in Europa e i visti.
  Ovviamente da questo punto di vista, la rappresentanza italiana (il Presidente del Consiglio in particolare) ha messo un paletto, perché è evidente che qualsiasi passo ulteriore per l'approdo in Europa da parte dalla Turchia non può prescindere da alcune verifiche, per limitarci al minimo, come diceva lei Presidente, su alcuni valori, cioè, quanto meno, la libertà di stampa e di espressione e la parità di genere, vista anche la coincidenza con la Festa della donna, quindi torna anche bene come argomento. Poi, c'è il tema delle minoranze, che non è cosa da poco conto perché lì il problema è piuttosto avvertito. Tutti ciò è stato inserito in questo punto preliminare. Inoltre, è stato dato in carico alle strutture tecniche di predisporre un documento.
  Alla fine, tutto si è ridotto a una decisione di carattere politico che ha la sua importanza, soprattutto in vista di alcune scadenze elettorali, come quelle che arriveranno a breve in Germania, tant'è che uno dei maggiori sostenitori dell'accordo era la Merkel. Inoltre, si è trattato, allo stesso tempo, di una decisione interlocutoria perché, senza una predisposizione di tutti i dettagli rispetto a questo punto inserito, cioè al punto primo del documento finale, evidentemente tutto rimane sospeso fino a che il 17 e il 18 non si riunirà nuovamente il Consiglio.
  La missiva che è stata trasmessa dal Ministro Alfano e dal Ministro de Maizière riguarda, in realtà, un complesso di misure. Io credo di averla, quindi eventualmente, se volete, posso anche lasciarvela.

  PRESIDENTE. Possiamo allegarla al verbale della sua seduta?

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Assolutamente, anche perché è ufficiale ed è stata trasmessa ufficialmente al Presidente della Commissione, quindi non c'è niente di misterioso, anzi io vengo dall'incontro con i francesi di ieri che appunto sono rimasti un po’ perplessi, quasi come se si trattasse di un'iniziativa di carattere unilaterale assunta dall'Italia e dalla Germania. In realtà lo scopo vero, presidente, ovviamente non Pag. 7era questo, cioè lo scopo vero non era quello di proiettarsi in posizione solitaria verso soluzioni che non siano condivise da tutti gli altri Stati europei, anzi era, all'opposto, quello di focalizzarsi su alcuni punti, in maniera tale da rimettere sul tavolo dell'agenda europea una serie di punti senza dei quali evidentemente si suppone che la tenuta del piano o la tenuta dell'accordo Schengen possa essere a rischio, quindi era un modo per riportare all'attenzione di tutti gli altri Stati l'esigenza di muoversi con una certa rapidità su certi fronti, altrimenti il rischio che l'accordo Schengen sia in pericolo diventa effettivamente concreto. Tra l'altro la missiva, a mio modo di vedere, non è esaustiva, nel senso che sui singoli punti, che sono tutti centrali, non scende nel dettaglio delle soluzioni concrete che possano essere adottate con riferimento a ogni singolo punto.
  Lei mi chiedeva prima, facendo riferimento all'intervento del Sottosegretario Gozi, a che punto sia l'ipotetica realizzazione di una polizia di frontiera perché è da molti vista astrattamente come uno dei passaggi indispensabili per poter tutelare lo spazio interno e quindi per poter mantenere ben vivo lo spazio Schengen. Indiscutibilmente, in linea di principio il ragionamento non fa una grinza, però non è declinato il modo con cui deve funzionare la polizia di frontiera; non alludo, qui, tanto a quello che è stato l'ostacolo principale alla discussione che c'è stata fino a ora a livello europeo, che è da tener presente continuerà da domani, se non erro, perché domani è fissato un altro Consiglio giustizia e affari interni con all'ordine del giorno questo argomento, oltre che altri. L'ipotesi è quella di creare appunto una polizia di frontiera che metta insieme gli appartenenti alle polizie di frontiera nazionali e che possa individuare un Corpo di polizia che si spinga al controllo di tutti i border esterni dell'Unione europea. Certo, questo va bene in linea di principio, poi però bisognerebbe declinare in che modo viene esercitato quel controllo. Qui, secondo me, cominceranno le prime problematiche.
  Vi ripeto che io non alludo tanto all'esigenza di bilanciare le potenzialità della nuova struttura o di una Frontex allargata, perché non è detto che sia necessario costruire nuove agenzie, anzi si potrebbe tranquillamente utilizzare quelle che già esistono, allargandone il raggio d'azione, quanto meno come mission. Evidentemente, distinguendo tra frontiere terrestri e frontiere marittime, bisogna vedere questo contenimento, rispetto agli ingressi, in che modo avviene, altrimenti detta così è dal punto di vista logico ineccepibile, ma concretamente non si capisce come opera. La mia preoccupazione che è di carattere personale, quindi, per carità, prendetela per quello che vale, cioè poco meno di niente, non è relativa al punto su cui si è un po’ incagliata in prima battuta la discussione a livello europeo, cioè sui rapporti tra la direzione dell'Agenzia, la struttura europea e il singolo Stato, quindi, quando l'Agenzia ritiene di dover fare certe cose, in che modo si deve rapportare rispetto allo Stato. Lo dico perché l'oggetto della discussione principale finora, sostanzialmente, è stato quello, infatti ogni singolo Stato vuole conservare la propria sfera di autonomia sul proprio territorio e non è disposto ad assecondare fino in fondo evidentemente i desiderata della struttura sovranazionale. Io credo, invece, che il problema fondamentale sia nello stabilire in che modo i controlli debbano essere affrontati e quali tipi di conseguenze possano essere riconnesse a questa tipologia di controllo. Per dirla in soldoni, immaginando il controllo di una polizia di frontiera a carattere europeo sul Mediterraneo, rimane pur sempre da stabilire, di fronte a un'imbarcazione in difficoltà, che tipo di controllo...

  PRESIDENTE. Mi scusi, sottosegretario. Lei è stato chiarissimo e la ringraziamo. Relativamente ai rimpatri crede che questo in qualche modo potrebbe aiutare, nel senso che oggi ci dicono che i dati sui rimpatri a livello Frontex siano bassissimi, cioè non più di 3.500, mentre le nostre Forze di polizia ne hanno fatti circa 15.000. Mi sembra che questi siano i dati al 2015. Crede che almeno su questo si potrebbero trovare delle modalità, rafforzando Frontex o con una polizia di frontiera esterna per aiutare...

Pag. 8

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Io credo, presidente, che lei abbia perfettamente ragione, nel senso che i rimpatri sono sicuramente uno degli strumenti fondamentali per poter arrivare a una migliore gestione del fenomeno. Dico anche che fino a oggi non sono stati la punta di diamante dell'intera Europa. In Italia, i dati sono grosso modo vicini a quelli che lei diceva, cioè tra i 15.000 e i 16.000 rimpatri, però tenete conto che sono dati aggregati, quindi sono dati che ricomprendono all'interno non solo gli allontanamenti, ma anche i respingimenti alle frontiere e tutte le varie tipologie di allontanamento dal territorio nazionale che sono presenti. Credo che questo sia previsto anche nella missiva che il Ministro Alfano e il collega tedesco hanno mandato al Presidente della Commissione. Noi siamo tuttora convinti che il sistema migliore sia quello di organizzare i rimpatri a livello europeo, soprattutto perché pensiamo che l'accordo di riammissione – senza accordo di riammissione i rimpatri non si fanno da nessuna parte – possa essere in qualche maniera parte degli accordi alla cooperazione e allo sviluppo che l'Europa fa con i Paesi di origine, quindi, se si intraprende questa strada, evidentemente si può spendere un peso politico economico, per carità, molto più significativo di quanto non possano fare i singoli Stati. C'è l'idea non solo che possa essere uno strumento utile, ma che sia sicuramente da praticare. D'altra parte, non vedo come se ne possa prescindere, nel momento in cui il piano europeo approvato distingue tra migranti economici e migranti richiedenti protezione internazionale, cioè è evidente che la distinzione presuppone, di necessità, che tutti quelli che appartengono alla prima categoria debbano essere rimpatriati verso i luoghi di origine.
  In realtà, di iniziative posso dirvi che ne possono essere prese anche altre. Noi ne abbiamo presa una individuale alla quale spero presto si aggiunga l'Olanda, perché ha manifestato interesse verso la nostra iniziativa, cioè quella di creare, data la situazione in Libia che è quella che tutti conosciamo, una sorta di prima barriera nell'Africa sub-sahariana. Da questo punto di vista, abbiamo avuto contatti col Niger dove abbiamo realizzato una serie di strutture in cooperazione con l'OIM e dove facciamo formazione e rimpatri volontari assistiti, con risultati tutto sommato abbastanza apprezzabili perché, da quando è in piedi l'operazione, cioè pochi mesi, siamo riusciti a fare tra 1.500-1.600 rimpatri volontari assistiti. Abbiamo pensato di fare la stessa cosa con il Sudan, dove siamo stati di recente. Lì, per la verità, la situazione un po’ più complicata perché la struttura amministrativa del Paese è un po’ diversa rispetto al Niger. Tuttavia, credo che per ora potremmo realizzare ugualmente, cosa alla quale hanno manifestato interesse le autorità di quel Paese, un lavoro di addestramento delle loro Forze di polizia per il controllo delle frontiere. Ovviamente, dovrà essere un controllo sensibile rispetto agli eventuali asilanti, tenendo conto che ci sono una serie di problemi soprattutto legati ai confini con l'Eritrea e che evidentemente in quel caso c'è la necessità non solo di saper leggere i documenti e di poterli avviare verso i Paesi di origine, ma anche di saper distinguere chi ha effettivamente diritto a un'eventuale asilo o a una eventuale protezione internazionale.
  Mi sembra, presidente, che...

  PRESIDENTE. Riguardo agli hotspot, può dirci il numero e se è vera la proposta di un hotspot nel nord-est?

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Gli hotspot attualmente attivi sono quattro e sono quelli di cui avete potuto leggere sostanzialmente e di cui vi hanno già parlato. Quello nel nord-est non è stato mai ipotizzato come hotspot. Il problema del nord-est era legato a quei flussi terrestri di cui parlavo prima. C'è stato un certo periodo, prima che si ipotizzasse la via adriatica, in cui si era ipotizzata una sorta di deviazione della via balcanica, come era già successo esattamente nel 2000. Rispetto a quella possibilità di deviazione, noi abbiamo ipotizzato il tipo di atteggiamento da tenere, che ovviamente era ed è condizionato dal numero Pag. 9degli arrivi; quindi c'era l'ipotesi, entro i limiti della gestibilità, di individuare delle strutture che potessero, in qualche maniera, consentirci di dare soccorso e di fare prima accoglienza, salvo poi verificare tutto il resto. Era – lo ripeto – una mera ipotesi e comunque non si trattava assolutamente di hotspot.
  Peraltro, il nostro problema principale è quello degli sbarchi. Raramente si riesce a far sbarcare le navi, anche perché altrimenti bisognerebbe toglierle da uno scenario principale (ma questo accadeva anche prima). Gli hotspot sono stati individuati in Sicilia e uno a Taranto, per l'ottima ragione che lo scenario di azione è quello. Per esempio, non è pensabile far muovere una nave dal Canale di Sicilia fino a Trieste, senza aver ben presente che per qualche settimana sarà fuori dallo scenario. Qualsiasi cosa accada nel frattempo, evidentemente sarà difficilmente gestibile, perché la nave si è recata da un'altra parte. Gli hotspot sono quelli; si può immaginare di farne altri. Questo è uno dei punti citati nella missiva di cui si parlava poc'anzi. Ancora una volta vi esprimo un'opinione personale: il sistema dell’hotspot non dovrebbe essere particolarmente afflittivo, ma dovrebbe servire esclusivamente per fare primo soccorso e per identificare. Capisco che la parola possa generare sconcerto o apprensione in taluni, ma in realtà l'unica cosa in più che dovrebbe fare è questa. Non dovrebbe essere una parola a valenza così tanto negativa, come quella che qualcuno gli attribuisce. Tuttavia, è evidente che la tenuta dell’hotspot non può che essere calibrata sul numero degli sbarchi e sul tipo di permanenza all'interno di quella struttura. Faccio un esempio banale: in Grecia all'inizio di quest'anno sono arrivate più di 120.000 persone e l'anno passato ne sono arrivate 830.000; mi riesce difficile immaginare come organizzare hotspot in Grecia capaci di contenere un numero così rilevante di persone. Facciamo una sorta di proiezione ancora una volta aritmetica, ipotizzando che in Grecia siano talmente bravi, pur con tutte le difficoltà che hanno, da organizzare sistemi di hotspot contenenti 100.000 persone. Ho volutamente preso un dato esasperato verso l'alto, perché 107.000 sono le persone che noi attualmente abbiamo nel sistema di accoglienza italiano, che è cresciuto in maniera estremamente significativa negli ultimi due anni e che è stato fortemente allargato, ma, proprio per questo allargamento così repentino in così breve tempo, ha patito degli squilibri. Faccio un esempio banale. Di queste quasi 110.000 persone che noi abbiamo nel sistema di accoglienza, circa 7.000-8.000 sono nel circuito della primissima accoglienza, ovvero nei Centri di prima accoglienza (CPA), nei Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA) eccetera, circa 21.000 sono in quello che noi riteniamo il fiore all'occhiello del sistema dell'accoglienza italiana, vale a dire il sistema SPRAR, e quasi il 70 per cento sono nei centri di accoglienza straordinaria.
  Lo sforzo significativo che noi stiamo cercando di fare è quello di riequilibrare, riportando tutto il sistema dell'accoglienza straordinaria allo SPRAR, che evidentemente è quello che dà maggiori garanzie da tutti i punti di vista. In effetti, di recente abbiamo allargato il sistema di 10.000 posti. È stato già fatto il bando e in prima battuta sono stati presentati progetti per circa 5.000 posti. Abbiamo pensato di procrastinare i termini del bando, proprio per consentire ai comuni che non sono arrivati in tempo di poter presentare nuove progettualità. Questa è una delle tante tappe che dovrebbero portare verso un assorbimento progressivo di tutta la straordinarietà nell'ordinarietà. Ovviamente ci vorrà un po’ di tempo, la cosa non è semplice, anche perché le risorse sono quelle che sono.
  Immaginando 100.000 persone e ipotizzando che ne arrivino, come accade in Grecia, tra i 2.000 e i 3.000 al giorno, capirete che un hotspot per 10.000, 20.000 o 30.000 persone si riempirebbe veramente in poco tempo. Questo è un problema legato al numero di posti disponibili, ma anche al tempo di permanenza all'interno del centro, perché, quando il sistema è fluido, evidentemente la possibilità di ricevere diventa decisamente maggiore. È un po’ lo stesso discorso che abbiamo fatto Pag. 10accorciando tutti i tempi nel percorso. È evidente che, se un sistema d'accoglienza mette a disposizione – faccio un'ipotesi – 100.000 posti SPRAR e riesce a far completare il percorso nel giro di sei mesi, in fondo all'anno c'è la possibilità di un ricambio significativo. Ciò significa aumentare esponenzialmente la capacità del sistema di ricevere ed eventualmente di integrare. Il problema è che finora l'Europa non ha ancora affrontato la tematica di questa durata. Se l’hotspot, oltre a essere il punto di primo soccorso e di identificazione del soggetto, deve assumersi anche il compito, che è in carico allo Stato, di valutare se questo soggetto ha o meno il diritto d'asilo, allora i tempi di permanenza inevitabilmente sono destinati ad allungarsi.

  PRESIDENTE. Qual è l'alternativa?

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. L'alternativa maggiormente drastica sarebbe un burden sharing vero, in cui ogni Stato, superata la fase della prima identificazione...

  PRESIDENTE. Fa la ricollocazione già a monte della richiesta.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Questo sarebbe l'unico modo per rendere estremamente fluido il sistema. Evidentemente sarebbe una cosa costosa, perché bisognerebbe immaginare spostamenti significativi di persone sul territorio europeo, però questo consentirebbe verosimilmente di far fronte. L'Europa sembra prediligere lo spostamento dei confini verso l'esterno. Purtroppo, per quelli che sono già arrivati, credo che nemmeno l'accordo con la Turchia riuscirà a riportarli sul territorio turco. Infatti, questa idea di un rimpatrio degli irregolari che arrivano dalla Turchia alla Grecia non va tanto a braccetto con l'idea della Turchia, che invece propone una soluzione di carattere diverso: per ogni immigrato irregolare che arriva sul territorio della Grecia, l'Europa dovrebbe fare una relocation dai campi della Turchia. Ma se lo fa dai campi della Turchia, una prima ipotesi di ridistribuzione non condizionata, come quella che è avvenuta fino a oggi, evidentemente c'è.
  Lei ha perfettamente ragione, presidente. I due aspetti sono senz'altro collegati. Io l'ho percepito nitidamente ieri, incontrando i colleghi francesi. In alcuni Stati dove si sono verificati attacchi di carattere terroristico, come è accaduto l'anno passato in Francia, con dei segni logicamente molto significativi sulla pelle dei nostri vicini e amici francesi, si comprende che si carica di significato l’hotspot, perché, prima di fare una relocation, si vorrebbe fare uno screening molto approfondito. Questo, però, non è del tutto compatibile con le tempistiche. Ripeto che è assolutamente comprensibile – non voglio essere frainteso – però, se per ognuno di quelli che devono essere ricollocati vanno fatti una serie di accertamenti così approfonditi sotto il profilo della sicurezza, questo significa esattamente quello che si è verificato. Alla fine dal nostro Paese ne sono partiti circa 300 e abbiamo grosso modo altre 400 richieste. Quando va bene, nel giro di un anno, saremo riusciti a ricollocarne 1.000 (ma non ci arriviamo) su 170.000 sbarcati, come dicevo prima, nel 2014 e 154.000 nel 2015. Di questo passo, è evidente che si va poco lontano. Tuttavia, vi ripeto che questa è un'esigenza molto avvertita, non solo dai francesi, che si ricava abbastanza nitidamente da una lettera che Avramopoulos ha indirizzato a tutti gli Stati europei, in cui cercava di rappresentare che la relocation avrebbe sicuramente ripreso forza e vigore, se avesse ben funzionato tutto il sistema dell'identificazione.
  Mi avvio alla conclusione, perché mi rendo conto che vi ho preso troppo tempo e anche perché, presidente, alle 09,30 avrei un impegno in Aula. Credo che i passi più avanzati, soprattutto con riferimento alle banche dati riguardanti le impronte, vadano fatti nell'implementazione dei raccordi di una piattaforma comune, perché altrimenti accade esattamente ciò che è accaduto in Francia o in altri Paesi: noi potremo sapere, col senno di poi, che una persona che ha fatto qualcosa di sgradevole Pag. 11è transitata nel tal posto, grazie alle impronte e magari a un documento contraffatto, ma niente di più. Invece, se si vuol fare prevenzione, c'è bisogno che all'interrogazione segua l'indicazione di qualche dato un po’ più significativo.

  PRESIDENTE. Grazie, sottosegretario. Dispongo che la documentazione prodotta nel corso dell'audizione sia allegata al resoconto della seduta odierna (vedi allegato).
  Faccio solo un appunto. Visto che anche il Ministro dell'interno ha sempre insistito sui tre pilastri, che dovrebbero stare tutti e tre insieme, mi chiedo se nella negoziazione con l'Europa, prima di continuare ad aprire degli hotspot, non sarebbe bene almeno avere chiaro dall'Europa stessa che intenzioni ha. Se, come ci dice lei, l'intenzione è quella di lasciarli tutti da noi e di non procedere alle ricollocazioni, io, al posto dell'Italia, prima di aprire un altro hotspot, ci penserei bene. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PAOLO ARRIGONI. Sottosegretario, avrei decine di domande da porle, ma non voglio rubarle tempo. Farò prima una serie di richieste di dati e poi delle domande. Innanzitutto, vorrei sapere se lei ci può fare avere il dato degli arrivi dell'ultimo triennio, non solo quelli degli sbarchi, che sono dati ufficiali, ma, se li avete, i dati degli ingressi via terra. In secondo luogo, vorrei sapere quali sono i tempi di evasione delle richieste di asilo nell'ultimo triennio, suddivisi tra prima istanza, ovvero procedimento delle commissioni territoriali, e giustizia ordinaria. In terzo luogo, le chiedo se ci può far avere i dati, sempre relativi all'ultimo triennio, in ordine ai rimpatri disaggregati, ovvero allontanamenti e respingimenti. Infine, vorrei conoscere, alla data attuale o di quando ce lo farà avere, il numero delle persone inserite nel sistema di accoglienza. Il Ministro Alfano due settimane fa parlava di circa 120.000 persone e di una richiesta di ulteriori 30.000 persone alle prefetture.
  Passo alle domande. Lei ha affermato che nel 2015 sono diminuiti i siriani e gli eritrei. Non so che cosa sia successo per gli iracheni, ma penso che sia avvenuto altrettanto. Lo stesso andamento si ha negli sbarchi di quest'anno. Sottosegretario, al di là dei suoni di tromba del Ministro Alfano, il motivo del fallimento dei ricollocamenti sta forse nella mancanza di disponibilità dei Paesi di destinazione, ma anche nel fatto che il protocollo del ricollocamento prevedeva che venissero ricollocati coloro che avevano effettivamente bisogno di protezione internazionale, leggasi siriani, eritrei e iracheni. Mi riferisco a quelli da ricollocare. Era chiaro a tutti alla base che questo sistema di ricollocamento sarebbe fallito. Mi domando se l'Italia vuole ricontrattare questa caratteristica dei potenziali soggetti da ricollocare oppure andiamo avanti così, perché sicuramente non raggiungeremo mai l'obiettivo dei 40.000 da ricollocare nel biennio.
  In secondo luogo, lei ha parlato di sistema di eccellenza dei posti SPRAR. Ne abbiamo 20.000 e forse adesso saliamo a 25.000 con l'ultimo bando. Nel sistema di accoglienza noi avevamo al 31 dicembre 103.000 persone; Alfano afferma che arriveremo alla fine dell'anno a 150.000. I posti temporanei ora sono già tre su quattro. Questo è un fallimento. I costi non sono 1,162 miliardi, come dice Alfano. Io guardo il dato di Padoan, che ha dichiarato, proprio per beneficiare dello 0,2 per cento di flessibilità europea, che il costo della gestione degli immigrati è di 3,3 miliardi e che almeno il 50 per cento finisce nella gestione dell'accoglienza. Le domando quali sono i dati reali.
  Passo all'ultima domanda, anche se ne avrei veramente tante. Sulle strutture temporanee, sottosegretario, c'è un vero e proprio business. Ne hanno parlato anche ieri sera trasmissioni nazionali. Su questo business si stanno buttando delle cooperative e dei soggetti economici stanno riconvertendo la loro attività. In questo settore ci sono degli scandali, sottosegretario, che sono numerosi. Ci sono profonde inadempienze, che non vengono assolutamente controllate da parte del soggetto che aggiudica l'appalto, ovvero le diverse prefetture. Faccio riferimento, per esempio, a Domus Caritatis. Pag. 12 A Scontrone, in provincia di L'Aquila, c'è la cooperativa Arcobaleno, che per sei mesi ha tenuto in sovraffollamento dei richiedenti asilo con condizioni igienico-sanitarie pessime. Ritroviamo sempre le stesse cooperative, che continuano a beneficiare di contratti. Io mi domando perché, nel momento in cui viene trovata una violazione contrattuale, non si risolve il contratto con queste cooperative e non le si inserisce in una black list, in modo tale che non possano più accedere ai diversi bandi che le prefetture continuano a pubblicare. Questi sono problemi seri. C'è un business sul sistema dell'accoglienza. Io dico – e penso di non sbagliare – che oltre l'80 per cento degli immigrati che sono nel sistema di accoglienza sono in strutture temporanee. Ciò significa business per privati e cooperative. Mettete mano a questo scandalo, perché altrimenti vi scoppierà il bubbone in mano.

  LUCA FRUSONE. Grazie, sottosegretario, per essere qui oggi. Io ho solo due domande. Una riguarda la sicurezza rispetto alla rotta dei Balcani. Faccio una premessa: io non ho mai parlato di jihadisti sui barconi, perché ero in linea con queste carenze di possibilità, però rispetto alla rotta terrestre, per quanto riguarda i jihadisti nei Balcani, inizio a essere preoccupato, considerando i movimenti in quell'area. La storia ci insegna che, anche ai tempi del Kosovo, i movimenti jihadisti in quell'area erano forti. Che cosa sta facendo l'Italia in termini di sicurezza?
  L'altra domanda, invece, è molto semplice: che cosa sono gli hotspot? È una domanda che noi poniamo da molto tempo. Io ho visitato molti centri, che non sono hotspot, ma centri di primo soccorso e accoglienza, come Lampedusa. Sono stato anche ad Augusta, dove forse sorgerà un hotspot. A questo proposito, visto che si parla di Messina e di Augusta, le chiedo se mi può dire oggi qual è il piano del Governo. Che cosa cambia rispetto a un centro di primo soccorso come Lampedusa, dove ci sono anche delle zone per l'identificazione in loco, rispetto a un centro di identificazione e di espulsione (CIE), dove ci sono identificazioni in loco, e via dicendo? Abbiamo solo cambiato il nome a delle strutture che già c'erano, tanto per far vedere che si fa qualcosa? So che c'è tutto il discorso della ricollocazione dietro e lo capisco, ma effettivamente che cosa cambia?

  RICCARDO MAZZONI. Sarò molto rapido. Gli hotspot sono centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA), sono CIE o sono un ibrido? Era stato detto che doveva essere definita la configurazione giuridica di questi hotspot, ma mi sembra che ancora non sia arrivata.
  Rispetto al rilevamento delle impronte e all'identificazione, a che percentuale siamo? Siamo vicini al 100 per cento che ci chiede l'Europa? Chi rifiuta di dare le impronte che fine fa?
  Lei ha detto, giustamente, che gli hotspot servono per identificare. In realtà, ci sono eritrei ed etiopi a Lampedusa che sono lì quasi da mesi ormai e le condizioni del centro di Lampedusa non sono consone per trattenere a lungo i migranti. Sottosegretario, nei primi due mesi del 2015, a fronte di 7.800 sbarchi, furono registrati 3.666 irregolari (sono dati del Ministero). Nei primi due mesi di quest'anno gli irregolari, a fronte di un numero simile di sbarchi, sono cresciuti a 5.254, tanto che il Tavolo asilo ha detto che gli hotspot sono diventati di fatto una fabbrica di clandestini.
  Questo incremento di irregolari a cosa è dovuto? È dovuto a controlli più accurati oppure al fatto che, siccome il foglio che devono compilare i migranti nelle prime 48 ore dal loro sbarco è abbastanza sommario e molte questure non stanno applicando la circolare Morcone, un migrante può ritornare sui suoi passi, dicendo: «Io sono un richiedente asilo e non sono qui per motivi economici»? Che cosa succede a questi irregolari? Vengono espulsi dagli hotspot, vengono accompagnati alla stazione più vicina, entro sette giorni devono lasciare il Paese, ma di fatto vengono lasciati liberi sul territorio nazionale?
  La seconda considerazione si riallaccia a quello che ha detto il collega Arrigoni. È appena uscito il libro di Mario Giordano, Profugopoli. Se l'1 per cento di quello che c'è scritto è vero, quelli di Mafia capitale Pag. 13erano dei dilettanti. Io credo che il Governo e il Ministero dovrebbe attuare un controllo accurato su questi centri improvvisati che fanno business sui migranti.

  PRESIDENTE. Rammento che hanno voluto costituire una Commissione d'inchiesta apposita sui CIE, che credo dovrebbe occuparsi anche di questo; anzi, durante la prossima riunione andrò e lo farò presente. Visto che hanno chiesto la proroga, secondo me dovrebbero fare indagini proprio su questo.

  MARIA CHIARA GADDA. Su questo abbiamo lavorato in questi mesi. Io faccio parte di quella Commissione. Abbiamo svolto numerose visite e anche...

  PRESIDENTE. Anche alla Domus Caritatis?

  MARIA CHIARA GADDA. L'indagine è partita da diversi centri di accoglienza. Mi permetto una battuta: io ci vado sempre in questa Commissione e sarà un piacere ricevere la visita della presidente di questa Commissione, che ne fa parte, però ribadisco che abbiamo svolto numerose indagini...

  PRESIDENTE. Non voglio entrare in una polemica. Come ho fatto presente quando è stata costituita, la mia perplessità era che si sovrapponesse a questo Comitato nelle sue competenze, per cui ne faccio parte per ragioni istituzionali. Da oggi sarò sempre presente, perché mi sono stupita che quello che ho letto nel libro di Mario Giordano non fosse affrontato dalla Commissione stessa, quindi d'ora in poi verrò sempre a farlo presente.

  MARIA CHIARA GADDA. Non so come questo si possa dire, quando agli atti della Commissione sono state depositate più di 120.000 pagine. L'indagine è partita dal centro di Mineo, che abbiamo anche visitato, e da altri centri diffusi sul territorio nazionale. Le osservazioni del collega della Lega Nord sono condivisibili e soprattutto sono legate ad alcune cooperative che, come abbiamo riscontrato anche in sede di Commissione d'inchiesta, in molti casi non rispettano i requisiti minimi. Il punto è questo. Io capisco l'osservazione, ma questo sbilanciamento tra strutture temporanee e sistema SPRAR è legato anche alla collaborazione e alla volontarietà degli enti locali, che al momento non si dimostrano sempre sensibili. Io vengo da una provincia, Varese, che ha 139 comuni, di cui soltanto 32 ospitano migranti in varie forme, sia con strutture temporanee che col sistema SPRAR, che è assai poco diffuso. Vengo alla domanda, per passare alla concretezza, al di là della polemica politica. Vorrei capire se possono essere immaginati dei sistemi di incentivazione del sistema SPRAR, proprio per portare a una diversa gestione del sistema di accoglienza, da strutture temporanee a sistema SPRAR. Se rimane soltanto la volontarietà, risulta difficile incentivare questi percorsi, perché la pratica sul territorio non è quella che lei ha raccontato.

  PRESIDENTE. Se è riferita al senatore Arrigoni, dicendo che la pratica non è quella che lui ha raccontato, lei non può fare commenti politici su quello che ha affermato il collega, altrimenti devo aprire un dibattito con quest'ultimo.

  MARIA CHIARA GADDA. Non è un commento politico – mi permetta di concludere – è un dato di fatto: su 10.000 posti disponibili per il sistema SPRAR sono arrivate soltanto 5.000 richieste. Ciò identifica in modo chiaro che questo sistema è ancora lontano dal divenire una prassi. Pertanto, chiedevo come la volontarietà può essere superata in termini di incentivazione. Se il sistema rimane volontario in questi termini, rimane una lettera quasi morta.
  La seconda domanda riguarda un altro problema che sul territorio si riscontra molto spesso: cosa succede a questi migranti che vengono ospitati nelle strutture, con i tempi legati alla prima richiesta di asilo che viene effettuata e al lungo iter della giustizia ordinaria? Nel momento in cui si arriva all'ultimo stadio, quindi al Pag. 14diniego, quando in via definitiva si decreta che la persona non ha diritto ad accedere alle varie forme di protezione, cosa può essere ipotizzabile per gestire uno status che al momento è difficilmente identificato? Infatti, ci si trova ad accogliere per lungo tempo delle persone che poi, nei fatti, se la domanda non viene accolta, non hanno più diritto a permanere nel centro di accoglienza o in quelle strutture. La domanda è: come si può gestire il passaggio successivo?

  MICAELA CAMPANA. Anch'io mi associo ai ringraziamenti al sottosegretario, anche per la chiarezza dell'esposizione. Io faccio una valutazione e una domanda, la prima di carattere europeo e la seconda di carattere più nazionale. Fino a un anno e mezzo fa era impossibile pensare a una consapevolezza europea sul tema della ricollocazione dei richiedenti asilo politico sul territorio europeo e all'idea di una redistribuzione dei campi profughi attualmente esistenti nel Nord Africa. L'Italia ha una possibilità in più rispetto al sistema di protezione internazionale classico, proprio in previsione della richiesta fatta dal Governo italiano alla Commissione europea, che mi sembra sia già presente, ovvero di allargare ulteriormente le etnie di provenienza rispetto alla richiesta di asilo politico, come l'UNHCR già ci chiede.
  Vorrei sapere in che situazione sono dal punto di vista numerico i campi profughi attualmente esistenti nel Nord Africa, quelli che contano milioni di persone e che oggi, anche grazie alla cooperazione internazionale dell'Italia, riescono a evitare un aumento degli arrivi nel nostro Paese. L'Italia, con il suo lavoro, ha contribuito, come ci diceva poc'anzi, alla costruzione dei rapporti bilaterali in Niger e in Sudan. Vorrei sapere se esistono, oltre a queste, altre ipotesi di lavoro per le barriere subsahariane.
  Io condivido l'idea che l'Agenzia europea già esiste e forse va allargata nelle modalità di azione. Vorrei sapere se attualmente le operazioni di allargamento della missione nel Mediterraneo sono già attive sulla parte italiana.
  L'ultima domanda concerne il sistema di accoglienza. Non è solo la politica ad elogiare il sistema di accoglienza SPRAR, quello della diffusione di piccoli numeri sul territorio nazionale. È un modello che anche gli altri Stati stanno utilizzando ed è il modello migliore dal punto di vista qualitativo rispetto all'integrazione successiva, ma anche rispetto alla trasparenza, non andando in emergenza rispetto a tempi passati. So che il Ministero, insieme all'ANCI e alla Conferenza Stato-regioni ha già identificato una strada, non tanto per il superamento della volontarietà, ma per attuare un sistema premiale nei confronti dei comuni che fanno accoglienza e che chiedono la possibilità di farlo. Vorrei sapere dal sottosegretario se questa procedura sta già andando in porto.

  PRESIDENTE. Senatore Arrigoni, solo per una breve integrazione, altrimenti entriamo in un dibattito infinito, dove tutti hanno ragione.

  PAOLO ARRIGONI. Il problema principale non è quello di trovare dei posti ulteriori nel sistema di accoglienza, perché troveremmo un mare di offerte da parte di privati o cooperative che si buttano in questo business. Il problema principale di questo Governo è interpretare i numeri. I numeri dicono che la percentuale di coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato è passata dal 13 per cento del 2013 al 10 per cento del 2014 e al 5 per cento del 2015. Non voglio fare riflessioni sullo status di protezione umanitaria, sul quale, però, inviterei il Governo a riflettere veramente. Io affermo che, di fronte a questi numeri, ovvero alla percentuale di coloro che ottengono lo status di rifugiato, si deve capire perché ci sono delle persone che rimangono per mesi o per anni. Io, infatti, ho chiesto al Sottosegretario Manzione di riferirci i dati e la tempistica dell'ultimo triennio nella prima fase dell'istanza e nella seconda, perché non è possibile dover continuare ad assistere delle persone che, alla fine di un lungo percorso, si rivelano – ma lo si capisce dall'inizio – non meritevoli di uno status di protezione. Questo è il problema Pag. 15 principale. Altrimenti, scoppia il bubbone e aumenta la necessità di ricorrere a delle risorse finanziarie che questo Paese non ha.

  PRESIDENTE. Sono due posizioni politiche. Giustamente, è importante avere i dati. Lo ripeto, ci sono ragioni ovunque.

  GIORGIO BRANDOLIN. Ricordo al collega della Lega che l'altra settimana, se non sbaglio, l'ambasciatore della Svezia ci ha illustrato che la ricollocazione nei vari comuni è obbligatoria: il Governo decide e li mette nei vari comuni. Il sistema di accoglienza simile al nostro SPRAR in Svezia è obbligatorio: il Governo decide e ogni comune si prende la sua parte. Tanto per capirci, nel mio Friuli-Venezia Giulia, nel nord-est, di 317 comuni solo 60 si sono resi disponibili a un ragionamento SPRAR. Questa indisponibilità di cui parlava la mia collega effettivamente c'è dappertutto, al di là di chi governa. In Svezia è obbligatorio, punto. Il Governo decide, dà i soldi e i comuni lo fanno.
  La riflessione più importante che ho sentito questa mattina è proprio quella di attivare un'azione di filtro nella parte subsahariana. Pertanto, domando a che punto siamo, come ha già chiesto la collega, perché questo è veramente fondamentale. L'ipotesi della Turchia di fare una zona cuscinetto, se ho ben interpretato, tra Siria e Turchia è un qualcosa di folle o è un qualcosa di praticabile e futuribile? Mi fermo qui, anche se avrei altre domande.

  PRESIDENTE. Do la parola al Sottosegretario Manzione per la replica.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. L'ipotesi di una fascia subsahariana è già concreta; per ora, però – lo ripeto – sostanzialmente la stiamo portando avanti a livello unilaterale. Si sono offerti di dare una mano gli olandesi e ovviamente io spero che questo funzioni da volano, in maniera da poter coinvolgere il più possibile tutti gli altri Paesi. Vi posso assicurare che le condizioni di vivibilità di alcuni campi che io ho visto in Sudan sono tali per cui temo che sia inutile lamentarsi del fatto che la gente parta da quei posti. Fintanto che l'Occidente pensa di poter mantenere la vita di 15.000-30.000 persone (sono tante quelle che sono nel campo di Cassala) legata a un generatore che porta l'acqua, che un giorno funziona e un altro giorno non funziona, credo che sia inutile spendere ulteriori parole.
  Ovviamente io spero che il sistema si allarghi, così come spero – lo dicevo poc'anzi – che quella lettera sortisca qualche effetto con riferimento all'assunzione della responsabilità economica e politica soprattutto dell'Europa, con riferimento ai rimpatri. È indiscutibile che, essendo il piano limitato a occuparsi dei richiedenti asilo e protezione internazionale, per tutti gli altri bisogna procedere diversamente. Io personalmente preferisco i rimpatri volontari e assistiti, non perché abbiamo tante risorse da poter destinare, ma semplicemente perché in genere sono quelli che producono meno inconvenienti, sul piano traumatico personale di chi ritorna nel proprio Paese, ma soprattutto sul piano prospettico, in quanto impedisce alle persone di ritornare sulle coste della Libia e di riprendere quel barcone che hanno preso la prima volta. Altrimenti, diventa una specie di catena che non si interrompe sostanzialmente mai.
  Per ciò che concerne il piano interno, scusatemi, ma diffido un po’ delle inchieste giornalistiche che si occupano dell'accoglienza, che normalmente tendono sempre a esasperare le situazioni. Io ricordo una bellissima prima pagina de L'Espresso, in cui si vedevano due persone che scendevano dalle grate di una cancellata, con il giornalista che commentava: «Guardate che razza di situazione. Questi “evadono” scendendo dalla cancellata, a 100 metri c'è una camionetta della polizia, ma nessuno interviene, neanche per chiedere qualcosa ai due». Quello era un CARA. La domanda che il giornalista doveva porsi era: «Scusa, perché stai scendendo dalla cancellata, visto che la porta è aperta e puoi entrare e uscire direttamente dalla porta?»
  Qualche giorno fa, parlando di Civitavecchia, una nota trasmissione televisiva ha evidenziato le pecche della politica dell'accoglienza Pag. 16 del Governo, perché a Civitavecchia verrebbe costruito un hub e ancora non si sarebbe capito che l'unico sistema per ottenere qualche risultato nell'accoglienza ed eventualmente nell'integrazione è quello della distribuzione in piccoli numeri. Il concetto era che i CARA sono superati. Siccome ormai battezziamo tutto con delle sigle, l’hub non è il CARA e non è nemmeno l'accoglienza. L’hub doveva servire per una ragione molto semplice. Devo dire che le regioni da questo punto di vista sono un po’ in ritardo. Non possiamo far finta che non sono sbarcati, perché, quando sbarcano sul molo di Lampedusa o sul molo di Catania, sono sbarcati. Non voglio nemmeno prendere in considerazione tutto quello che succede prima di questo momento (problemi di crisi internazionale eccetera). Lasciamo da parte tutto il resto. Il problema del Ministero dell'interno e del Dipartimento delle libertà civili in particolare è: sono sbarcati, quindi non possiamo far finta che su quel molo non ci siano. Mi sembra una cosa elementare.
  Gli hub servivano esclusivamente per farli transitare dal luogo di sbarco, dopo il primo soccorso, la prima accoglienza e l'eventuale identificazione, in luoghi dai quali potesse prendere inizio il percorso della seconda accoglienza, per evitare di lasciarli ai giardinetti o alle stazioni ferroviarie. È molto semplice; non c'è nessuna costruzione di particolare complessità dietro a questo concetto. Si levano da Catania, perché la nave inglese ce ne ha sbarcati 2.500; si trasportano nei luoghi di destinazione, secondo quell'equa ripartizione che il piano del luglio 2014 ha stabilito; si crea una stanza di compensazione, all'interno della quale possa poi prendere avvio il percorso della seconda accoglienza, senza lasciarli in mezzo alla strada. Questa è la struttura che si sta ipotizzando a Civitavecchia. Non c'entra niente con la politica dell'accoglienza e non c'entra niente con tutto il resto. Scusate, questa premessa serve per dire che non credo che tutta l'accoglienza italiana sia fatta di farabutti o di persone che vogliono...

  PRESIDENTE. Nessuno l'ha detto in questo Comitato. Si è semplicemente detto che, se ci sono delle indagini giornalistiche, forse sono necessari degli approfondimenti. Magari saranno tutti perfetti.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Ne sono consapevole, presidente, la mia non era un'accusa. Volevo solo dire che si usa con troppa disinvoltura l'espressione business rispetto all'accoglienza, anche straordinaria, che invece in qualche caso – le posso assicurare – dà lavoro onesto a italiani. Sarà diverso l'approccio, però il problema è sempre della catena, nel senso che, quando sono a Catania, non posso lasciarli sul molo, ma in qualche maniera devo provvedere. Siccome i comuni italiani che fanno accoglienza sulla base della volontarietà sono solamente 800 su 8.000, sono costretto a ricorrere al centro di accoglienza straordinaria (CAS), cosa che non vorrei – le assicuro – per un motivo molto semplice. Non è tanto un problema di business. Peraltro, lei sa che i prezzi pro capite sono parecchio diminuiti rispetto al passato, quindi il range sul quale si può «lucrare» è molto ridotto.

  PRESIDENTE. Tuttavia, lei è d'accordo con me che, se si fa più programmazione, magari si riesce anche a coinvolgere. Il trend dovrebbe essere coinvolgere più il pubblico e i comuni, piuttosto che favorire degli affidamenti diretti a privati, che forse dovrebbero fare altro, perché hanno altre vocazioni, come affermava la collega Campana.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Io sono assolutamente d'accordo.

  PRESIDENTE. I comuni a volte non aderiscono anche per la programmazione che devono avere. Non entro nella querelle, però siamo d'accordo che il Ministero dell'interno ha la volontà di potenziare la parte pubblica rispetto a quella privata. Ce lo conferma?

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Le assicuro che non volevo assolutamente polemizzare, anzi Pag. 17volevo dire che siamo completamente convinti di questo, esattamente come voi. Questa è proprio la strada che stiamo cercando di percorrere, che intendiamo privilegiare, tant'è che stiamo studiando, insieme all'ANCI, un sistema di distribuzione più capillare sul territorio nazionale, in maniera tale che, anche con piccolissime presenze, si possa arrivare a cifre più significative. Abbiamo chiesto da tempo la previsione, come veniva rammentato, di meccanismi compensativi o di incentivi per i comuni che fanno accoglienza, che non è un modo per dare premi o castighi – per carità di Dio – ma è un modo di assicurare servizi collaterali che consentano di fare accoglienza in termini di tranquillità per le persone e per i comuni che lo fanno.
  Per ora non abbiamo avuto risposta positiva da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e, quindi, ci abbiamo pensato in proprio, tant'è che nei progetti SPRAR abbiamo portato al 5 per cento delle spese complessive il contributo del comune, che precedentemente era al 20 per cento. Ci sono una serie di misure che vanno a incentivare nella maniera più significativa possibile lo sviluppo dello SPRAR, a discapito di quello delle strutture straordinarie, per l'ottima ragione che il percorso SPRAR non consiste nella consegna di un mazzo di chiavi con una stanza, in cui poi si fa fatica, data la distribuzione sul territorio, a controllare se la mediazione culturale avviene, se c'è l'assistenza sanitaria e via discorrendo. Il percorso SPRAR ha maggiori garanzie.
  Ancora una volta, questo ovviamente presupporrà, non tanto una responsabilizzazione del centro – perché, nel momento in cui la distribuzione sarà veramente capillare, sarà impossibile riuscire a controllare tutto – quanto una responsabilizzazione dei comuni e in particolare dei sindaci, che invece avranno possibilità di constatazione diretta rispetto alla realizzazione del programma che dallo SPRAR è previsto. Da questo punto di vista, le posso dare subito alcuni dati. Se lei crede, eventualmente li lascio, oppure li rileggo tutti e poi ve li faccio avere senza problemi.

  PRESIDENTE. C'era una domanda dell'onorevole Frusone sugli hotspot.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Il problema degli hotspot è che, come dicevo, nessuna delle indicazioni europee ne dà una definizione. Tuttavia, conosciamo lo scopo della nascita di queste strutture. Io non li chiamerei CIE, perché i CIE sono strutture dedicate e funzionali a tutt'altro tipo di servizio. Peraltro, nel nostro Paese nell'ultimo anno hanno presenze piuttosto limitate (mediamente tra le 300 e le 400 persone, ma non di più). È vero che l’hotspot di Lampedusa ha creato qualche problema, come si diceva, perché la sua funzionalità è legata all'identificazione e tuttora ci sono una fetta di cittadini extracomunitari che non vogliono essere identificati. In questo caso, la permanenza all'interno dell’hotspot è destinata inevitabilmente a protrarsi. Probabilmente c'è la necessità di una copertura normativa, perché non è una protrazione che può durare all'infinito (questo è fuori discussione). Tuttavia, non può neppure essere accolto d'emblée il suggerimento che ci viene dall'Europa di identificare anche con la forza, perché non si capisce entro quali limiti la forza può essere usata in casi di questo genere. L'alternativa è il transito per il CIE, perché a quel punto, se la persona non è identificata, l'unica possibilità residua è quella di riavviarla verso il Paese d'origine, ma previa identificazione.

  LUCA FRUSONE. Io non intendevo riferirmi ai CIE. Io ho visitato Lampedusa nel 2013, ancor prima del primo grande naufragio. Si può dire che già era un hotspot come oggi è definito: c'era la possibilità di identificare, dopodiché c'era il transito in altre strutture. A oggi, in un certo senso, non è cambiato nulla. Quello che volevo dire è che questi hotspot alla fine sono solo una mano di vernice nuova su qualcosa che già esisteva. Capisco quello che afferma lei: l'Unione europea vi ha detto di fare gli hotspot, ma non vi ha detto che cosa sono.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'interno. Fortunatamente è Pag. 18così, altrimenti lascio immaginare tutte le tensioni che ci si sarebbero scaricate intorno, tant'è che molto spesso l'equivoco nasce dall'equiparazione tra l’hotspot e il CIE. È chiaro che, se si deve arrivare all'identificazione anche di fronte a persone che la rifiutano, un minimo di osservazione e di controllo ci devono essere; altrimenti è inutile parlare di identificazione, se poi ognuno fa come crede e va dove crede. A Lampedusa non è cambiato niente, per l'ottima ragione che Lampedusa è un hotspot naturale: al di là dell'isola non si va da nessuna parte. Il primo hotspot è stato individuato lì non a caso, ma proprio per questa ragione, ovvero per evitare di creare sin dall'inizio frizioni fra gli operatori di polizia e i migranti che non si vogliono far identificare.

  PRESIDENTE. Grazie, sottosegretario. Probabilmente siamo stati particolarmente incisivi, ma era un'occasione importante. Ricordo che la prossima settimana audiremo l'ambasciatore di Norvegia.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.

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ALLEGATO

Indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, con particolare riferimento alle politiche dei paesi aderenti relative al controllo delle frontiere esterne e dei confini interni.

Documentazione prodotta nel corso dell'audizione del Sottosegretario di Stato per l'interno, Domenico Manzione

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