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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 56 di Martedì 19 settembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI

Audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei, on. Sandro Gozi.
Ravetto Laura , Presidente ... 3 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei ... 5 
Ravetto Laura , Presidente ... 9 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei ... 9 
Ravetto Laura , Presidente ... 9 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei ... 9 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 12 
Orellana Luis Alberto  ... 12 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 12 
Ravetto Laura , Presidente ... 13 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 13 
Ravetto Laura , Presidente ... 13 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Gozi Sandro (PD)  ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Gozi Sandro (PD)  ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 15 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Sottosegretario Gozi al Comitato nel corso dell'audizione e traduzione di cortesia ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 12.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, i processi verbali delle sedute precedenti si intendono approvati.
  Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante trasmissione diretta attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e diretta streaming sperimentale sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei, on. Sandro Gozi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le politiche e gli affari europei, l'onorevole Sandro Gozi, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen.
  Naturalmente il Sottosegretario è la persona più titolata per spiegarci che cosa sta succedendo per la potenziale modifica del codice delle frontiere Schengen o comunque dirci sulle prospettive di riforma quali siano le discussioni in essere, quindi la ringraziamo per essere qui.
  La prima questione è relativa alla discussione in sede europea perché, in occasione del discorso sullo stato dell'Unione europea del 13 settembre 2017, il Presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha sottolineato la necessità di aprire immediatamente lo spazio Schengen di libero movimento a Bulgaria e Romania e di consentire alla Croazia di divenire membro dello spazio Schengen a pieno titolo, una volta che siano rispettati tutti i criteri.
  Inoltre ci risulta, da un'ANSA del 14 settembre 2017 e da Il Sole 24 Ore del 7 settembre 2017, che il commissario Avramopoulos avrebbe preannunciato la presentazione a breve di una proposta della Commissione europea per adeguare il codice Schengen.
  Risulterebbe altresì che, all'indomani del Consiglio dell'Unione europea della settimana scorsa, Francia, Germania, Danimarca, Austria e Norvegia si sarebbero orientate a chiedere una modifica del codice Schengen, a seguito del pericolo latente dell'attività terroristica.
  Questo Comitato, come lei sa, Sottosegretario, si è sempre orientato nel dire che nascondersi dietro modifiche di Schengen per incapacità nella gestione degli effetti migratori o nell'impossibilità di gestire eventuali effetti dovuti a potenziali atti terroristici da parte dei Paesi membri non giustificherebbe, a nostro avviso, una volontà di chiusura delle frontiere interne o perlomeno non risolverebbe il problema.
  Le chiediamo, quindi, in che cosa consistono questi desiderata da parte di alcuni Stati. In più, le chiediamo come mai questi Stati si muovono un po’ in solitaria o comunque in bilaterale? Perché ci sembra ci sia di nuovo un accordo Francia-Germania. In merito, come si è posta Italia? L'Italia è ai tavoli? A che punto siamo effettivamente della discussione e dove si vuole arrivare?
  Tutto ciò è strettamente correlato alla riforma del sistema comune europeo di asilo.
  Abbiamo sentito anche il Presidente Gentiloni dire che se ci fosse una valutazione Pag. 4sulla flessibilità di Schengen correlata a un'eventuale modifica del Regolamento di Dublino, forse la prospettiva non sarebbe così negativa. In effetti, se si cambiasse la regola dello Stato di primo approdo in cambio di un po’ di flessibilità, forse quella potrebbe essere una cosa ragionevole.
  Abbiamo veramente necessità di sapere a che punto siamo perché da parte della Commissione, di fatto, è stato quasi previsto un nuovo regolamento, in specie le norme sulla ripartizione della competenza degli Stati membri a trattare le richieste di asilo. Pur tenendo fermo il principio dello Stato di primo approdo, che è fortemente penalizzante per noi e per tutti gli Stati posti sulla prima linea di confine esterno dell'Unione Europea, si prevedrebbe l'istituzione di un meccanismo di solidarietà: superata una certa soglia di richiedenti asilo presso uno Stato membro, sarebbe possibile beneficiare della redistribuzione dei rifugiati tra gli Stati dell'Unione europea fino a quando il numero di domande non sia ridisceso al di sotto della quota di riferimento.
  Inoltre questa riforma prevedrebbe una maggiore armonizzazione delle procedure di asilo e degli standard di protezione internazionale, compresi i livelli di qualità dell'accoglienza dei richiedenti, al fine di eliminare differenze in trattamento dei richiedenti da Stato a Stato.
  Infine la riforma dovrebbe prevedere un regime comune per quanto riguarda i Paesi di origine sicuri e i Paesi terzi sicuri e un nuovo quadro giuridico in materia di reinsediamento nonché un rafforzamento dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo, che verrebbe trasformato in una vera e propria agenzia.
  Tuttavia, da quanto risulta al Comitato, l'iter dei principali provvedimenti indicati sconterebbe significativi rallentamenti. In merito, Il Sole 24 Ore dell'11 settembre 2017 riporterebbe che la proposta di revisione del Regolamento presentato dalla Commissione dell'Unione europea sarebbe stata fatta oggetto di oltre 1.000 emendamenti da parte del Parlamento europeo e bloccata dal Consiglio dell'Unione europea. Sembra sempre la solita storia: la Commissione dispone e il Consiglio affossa.
  In tal senso, riguardo alla revisione del Regolamento di Dublino, si continuerebbe a registrare il dissenso di alcuni Stati membri, in particolare dei cosiddetti «Paesi del Visegrád», ossia Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia, rispetto ai meccanismi obbligatori di redistribuzione dei richiedenti asilo. Anche su quest'aspetto le chiediamo di fornirci informazioni.
  Poi, vorremmo sapere quali sono le sue osservazioni sulle ricollocazioni e sui reinsediamenti, anche a fronte della decisione della Corte del 6 settembre 2017, e le chiediamo se potesse darci indicazioni sulle modifiche al piano Triton.
  Il piano operativo di Triton ha lo scopo di sostenere lo sforzo dell'Italia nel fronteggiare la pressione migratoria sulla frontiera meridionale italiana. All'inizio di luglio 2017, il Governo italiano ha manifestato ai Paesi europei la richiesta di modificare i termini della missione Triton, anche perché questa era in scadenza, pianificando in maniera diversa lo schieramento in mare e la distribuzione delle navi nei porti.
  A tal proposito, l'11 luglio 2017, si è svolta una riunione tra l'Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera, le autorità italiane e gli Stati membri partecipanti all'operazione Triton, al fine di rafforzare il sostegno al nostro Paese nella gestione della crisi per i flussi migratori. È stata approvata, tra l'altro, l'istituzione di un gruppo di lavoro incaricato di presentare una proposta di revisione del piano operativo di Triton. Inoltre, un primo incontro di tale gruppo, al quale hanno partecipato funzionari di Frontex e le autorità italiane, si sarebbe svolto il 24 luglio 2017.
  Da agenzia ANSA dell'11 settembre, risulterebbe che la revisione del piano operativo dell'operazione Triton sarebbe proseguita con due bilaterali a livello tecnico, ad agosto e a settembre, e vi sarebbe la possibilità di avere il nuovo piano nei prossimi mesi, almeno secondo quanto riferito dal direttore dell'Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera, Fabrice Leggeri. Pag. 5
  Le chiediamo anche su quest'aspetto di esporre le sue considerazioni.
  Poi, c'è un aspetto che, pur esulando dai compiti del nostro Comitato, riguarda le frontiere e la libertà di circolazione. Come sappiamo benissimo, il Regno Unito non era nell'area Schengen, però le chiediamo, anche in merito all'effetto Brexit sulla libera circolazione delle persone, di esporre le sue considerazioni.
  Grazie.

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei. Grazie, presidente. Mi fa molto piacere tornare in audizione con il vostro Comitato.
  Riguardo ai vari punti che lei ha citato, non andrò in ordine, ma li riprendo tutti, a partire dalla considerazione politica più generale, che ha citato implicitamente nel suo speech facendo riferimento al discorso di Juncker di fronte al Parlamento europeo sullo stato dell'Unione.
  Juncker ha pronunciato il discorso in inglese, in francese e in tedesco, ma, in realtà, ha parlato molto in italiano, cioè Juncker ha usato il linguaggio dell'Italia, in un passaggio di cui non chiediamo il copyright, anche se, due anni fa, io stesso avevo detto che l'Italia stava salvando l'onore e la dignità dell'Europa, come penso di aver detto anche di fronte al vostro Comitato. Si tratta delle stesse parole che Juncker ha usato di fronte al Parlamento europeo e ci fa molto piacere che Juncker le abbia usate, come ci fa molto piacere che le massime istituzioni europee ora prendano completamente atto del fatto che effettivamente abbiamo salvato l'onore e la dignità dell'Europa nel Mediterraneo.
  Al di là di questo passaggio comunque rilevante, Juncker ha indicato come priorità dell'Unione europea alcuni punti, che sono le priorità della politica europea dell'Italia in materia di immigrazione e che si collegano, direttamente e indirettamente, ai punti che dovremo affrontare.
  Per quanto riguarda le aree di intervento prioritarie, Juncker ha indicato il miglioramento delle condizioni dei migranti che si trovano in Libia e il tema dei centri sotto l'egida dell'ONU, dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite e dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni, di cui abbiamo più volte discusso e su cui l'Italia insiste da tempo.
  Ora, c'è un bilancio – mi sembra ci siano quasi 190 milioni – dell'Unione europea per studiare e per verificare la possibilità di creare questi centri in Libia, ma anche, secondo una richiesta nostra e una richiesta dei francesi emersa al vertice di Parigi, in altri Paesi di origine e di transito, come prima priorità. Siamo d'accordo sulla creazione dei centri nei Paesi di origine e di transito e, in particolare per noi, in Libia, però si deve agire nel rispetto dei diritti fondamentali, con garanzia della presenza fisica dell'organizzazione, come primo punto fondamentale.
  Il secondo punto fondamentale è quello della ripartizione equa perché quello della redistribuzione dei rifugiati, la cosiddetta relocation, rimane un tema essenziale e rimane un pezzo del puzzle che dobbiamo costruire. In tal senso, è stato ribadito da parte della Commissione l'impegno a lavorare su questo tema, che fa parte della riforma del diritto d'asilo e fa parte dell'auspicabile nuovo sistema d'asilo comune europeo.
  Il terzo punto è migliorare le percentuali di rimpatrio, che sono basse in tutta l'Unione europea. Com'è evidente, questo non può essere unicamente un problema o una responsabilità degli Stati membri, ma deve essere anche una responsabilità dell'Unione europea, quindi quella dei rimpatri deve essere una priorità di bilancio e di politica anche nell'Unione europea.
  Il quarto punto riguarda il tema del migration compact, il tema del piano Juncker per gli investimenti e il tema di una nuova politica che stiamo portando avanti.
  Anche in questo caso, c'è un'iniziativa italiana che si basa su uno scambio virtuoso tra un maggiore impegno da parte dei Paesi di origine e di transito nella lotta contro i trafficanti di esseri umani, ma anche nei rimpatri e nelle riammissioni attraverso accordi informali, senza necessariamente negoziare nuovi accordi formali di riammissione, che richiedono molto tempo e sono molto complessi, in cambio di Pag. 6una nuova strategia di cui il piano Juncker, per la dimensione esterna e per lo sviluppo dell'Africa, fa parte: investimenti pubblici e privati da parte degli Stati membri dell'Unione europea, per creare in loco condizioni che veramente si trasformino in vere alternative al viaggio e al pagamento di varie migliaia di euro ai trafficanti di esseri umani.
  Il quinto punto che ci ha soddisfatti in maniera particolare, e sul quale credo che i lavori andranno ben oltre la scadenza naturale della Commissione Juncker, riguarda il tema delle possibilità d'ingresso legale in Europa. Finora l'Europa sta lavorando sul tema dei rifugiati, dei trafficanti di esseri umani, dei rimpatri per immigrati irregolari – tutte cose necessarie – però, come abbiamo detto da vario tempo e adesso ha detto anche Junker, manca una strategia europea per la migrazione economica regolare, cioè per governare i flussi economici regolari.
  Noi siamo molto interessati a questo punto e lo sosteniamo con forza come obiettivo, però aspettiamo le proposte concrete della Commissione, al di là della carta blu e di strumenti che già esistono e favoriscono un'immigrazione particolarmente qualificata, anche perché sappiamo benissimo che il tema va oltre l'immigrazione particolarmente qualificata.
  Questo è un punto molto importante e, anche se siamo ancora all'inizio, credo sia rilevante ricordarlo.
  Si tratta di una strategia che Junker ha fatto propria e che abbiamo discusso con i nostri principali partner europei al vertice di Parigi. Mi riferisco al vertice del 28 agosto, cui hanno partecipato Germania, Francia e Spagna, alla presenza dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. In sostanza, nel vertice sono stati condivisi i punti che abbiamo poi ritrovato nel discorso Juncker, che riprende in toto le priorità del vertice di Parigi e su cui non mi soffermo perché lo conoscete benissimo. Inoltre, se volete, vi lascio anche i documenti del vertice.
  Il primo punto da lei citato, presidente, riguarda le sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea. Io sono particolarmente soddisfatto delle sentenze della Corte di giustizia e sono particolarmente soddisfatto anche dell'altra decisione che finalmente ha preso la Commissione europea, quella di aprire delle procedure di infrazione nei confronti di alcuni Paesi.
  Sono particolarmente soddisfatto perché, da più di un anno e per la prima volta in un'intervista a Il Mattino, ho indicato chiaramente che c'erano tutte le condizioni per avviare procedure di infrazione nei confronti della Polonia, nei confronti dell'Ungheria e nei confronti della Repubblica Ceca, dato che Polonia e Ungheria si sono rifiutate di ricevere anche un solo richiedente asilo e che la Repubblica Ceca non riceve più nessun richiedente asilo dall'agosto del 2016.
  Sono, quindi, soddisfatto del fatto che finalmente la Commissione europea abbia avviato le procedure di infrazione e auspico che queste procedure di infrazione siano gestite nella maniera più celere possibile.
  Ora, sappiamo che il termine per adempiere ai propri compiti scade il 26 settembre, ma gli obblighi durano: il programma di relocation scade il 26 settembre, ma gli obblighi del programma di relocation non scadono il 26 settembre.
  Auspico che se Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca continuano a rifiutarsi di fare la propria parte per il programma di relocation d'urgenza, ci siano due conseguenze. Innanzitutto, questa subito deve portare a sanzioni. Non c'è bisogno di modificare alcunché nel sistema delle procedure di infrazione, ragion per cui – apro una parentesi – la priorità dell'Italia in questi anni è stata quella di dimezzarle: abbiamo trovato 121 procedure di infrazione il 2 marzo 2014 e oggi ci sono, secondo l'ultimo dato di luglio, 75 procedure. Questo dato dovrebbe essere inferiore a 75 adesso, ma mi fermo all'ultimo ufficiale.
  In Italia, in tre anni e mezzo, è stato dimezzato il numero delle infrazioni perché le infrazioni, come sappiamo, possono portare a sanzioni e le sanzioni possono portare a multe. Tra infrazioni, lotta alle frodi e gestione di utili di Stato, in tre anni e mezzo, l'Italia ha risparmiato 2 miliardi Pag. 7di euro. Lo dicono i dati ufficiali che abbiamo distribuito a luglio.
  Vogliamo che, se, come temo, Budapest, Varsavia e Praga continuano a rifiutarsi di attuare quella decisione, si arrivi a sanzioni pecuniarie nei confronti di questi Paesi. Questo è già possibile.
  Poi abbiamo fatto partire un'altra proposta che viene rafforzata dalla sentenza della Corte di giustizia. Lei ha citato la sentenza della Corte di giustizia che ha respinto il ricorso palesemente infondato, sia dal punto di vista del merito sia dal punto di vista delle ragioni istituzionali, che avevano invocato i due Paesi per annullare la decisione di relocation. Noi siamo intervenuti come parte in giudizio, quindi rivendichiamo la sentenza della Corte di giustizia come una vittoria del buonsenso, ma anche dell'Italia.
  Sulla base di ciò, riteniamo che, in futuro, non potrà essere accettabile che nell'Unione europea tu possa essere europeista quando ricevi fondi e soldi europei per finanziare il tuo sviluppo economico e diventi nazionalista quando devi fare la tua parte in materia di richiedenti asilo.
  Questo è stato l'atteggiamento di alcuni Paesi, tra cui Polonia e Ungheria, per cui, in un documento che riguarda il futuro bilancio dell'Unione Europea, quello che cominciamo ad organizzare adesso e che varrà per il periodo 2020-2027, abbiamo proposto di introdurre una nuova condizionalità: la sospensione dei fondi europei e, in particolare, dei fondi della coesione – non vi sfuggirà il motivo per cui l'ho detto – ai Paesi che violano lo stato di diritto.
  Siamo molto preoccupati – questo va oltre i lavori del vostro Comitato – per quanto sta accadendo in Polonia rispetto alle leggi di modifica per la nomina di magistrati della Corte costituzionale e stiamo a sostegno dell'azione della Commissione europea, di Juncker e di Timmermans, per la procedura nei confronti della Polonia, degli Stati che violano lo stato di diritto e degli Stati che violano i diritti fondamentali.
  Siamo stati dalla parte della Commissione nel momento in cui ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell'Ungheria per quanto riguarda la chiusura della sua famosa università, non perché ci piacesse particolarmente quell'università ma perché, nell'Unione europea, non puoi chiudere un'università solamente perché non insegna le cose nella maniera in cui vorrebbe il Governo.
  Stiamo parlando di rischi di violazioni concrete, per cui riteniamo che, ai Paesi che violano lo stato di diritto e i diritti fondamentali e che vengono meno ai loro obblighi di solidarietà, a partire dalla migrazione e dall'asilo, debbano essere negati i fondi europei.
  Questa è la posizione che l'Italia ha presentato per prima e sulla quale c'è un sostegno dalla Germania. Il documento del Ministero dell'economia e delle finanze tedesco di maggio – mi sembra al punto 34 – riprende questa nuova condizionalità, sostenuta anche dalla Svezia, soprattutto per la parte degli obblighi di migrazione, ed evocata nella comunicazione ufficiale della Commissione di giugno sulle finanze pubbliche dell'Unione europea del futuro, in cui la Commissione fa propria questa ipotesi.
  Riteniamo che si debba continuare a lavorare in questa direzione e parleremo con i francesi, anche di questo punto, nel vertice di Lione del 27 settembre. Ho già sollevato questo punto con la mia omologa francese, la Ministra per gli affari europei, a luglio.
  Si tratta di un punto molto rilevante che risponde alla sua domanda su come valutiamo la sentenza della Corte di giustizia e le azioni da portare avanti per assicurarsi che, in futuro, alcune decisioni che attuano i trattati e l'articolo 78 e seguenti possano dare senso in maniera concreta alla solidarietà in materia di immigrazione e asilo e siano veramente rispettate e non ignorate.
  Aggiungo solo che trovo grave che i rappresentanti del Governo ungherese abbiano definito come politica la decisione della Corte di giustizia e ritengo altrettanto grave che ci siano dei Paesi che continuano a dire che, nonostante la sentenza della Corte di giustizia, continueranno a non attuare le decisioni in materia di relocation. Pag. 8
  Ritengo che, in quelle parole, ci sia il rischio di una grave violazione dello stato di diritto europeo perché le sentenze delle Corti, soprattutto quelle supreme, si attuano.
  Il secondo punto che lei ha sollevato riguarda il tema del negoziato sulla revisione del Regolamento di Dublino. Come sapete benissimo, si tratta di un negoziato estremamente complesso, su cui, secondo noi, ancora le proposte sul tavolo non sono soddisfacenti. Non lo sono per due motivi, di cui il primo è rappresentato dal fatto che vogliamo assicurare che ci sia un vero automatismo o, comunque, che il meccanismo di ricollocazione possa scattare attraverso criteri più efficaci. Al momento, per esempio, per criterio degli arrivi è stato proposto di fare riscattare la relocation solamente quando c'è un 150 per cento.
  Nelle proposte di revisione, ogni Stato membro ha identificato una sorta di capacità di accoglienza, ossia un massimo che, anche nelle crisi, ogni Stato membro dovrebbe accogliere, per cui, se vai oltre il 100 per cento, deve scattare la relocation. La proposta sul tavolo parla del 150 per cento, che per noi è troppo elevato. Per noi, subito dopo aver superato il 100 per cento, deve esserci un meccanismo almeno di allerta, con cui si cominci a lavorare tra Paesi europei.
  Questo è il primo criterio, ma ce ne sono altri che sono legati al livello di disoccupazione e alle capacità economiche e che dovrebbero essere un po’ rivisti.
  Il negoziato per noi è importante e vorremmo chiarire – a voi interessano i dettagli – questo punto. La nostra perplessità sulla proposta è che questo è un punto insoddisfacente perché si rende effettiva la solidarietà solo quando la crisi è troppo avanzata. Questa è la nostra perplessità sulla proposta.
  Sul tema dei movimenti secondari e del controllo alle frontiere, capiamo che, nel momento in cui si riforma il Regolamento di Dublino, occorre anche limitare i movimenti secondari e rafforzare ancora di più le azioni per quanto riguarda il controllo delle frontiere e l'identificazione.
  I passi in avanti fatti dall'Italia sono stati certificati anche nell'ultimo rapporto della Commissione europea, però è chiaro che, per noi, le tre cose continuano ad andare insieme.
  Il Consiglio europeo di giugno si è basato molto su aspetti di responsabilità e su aspetti anche condivisi, come il fatto che dobbiamo fare ancora di più per rafforzare insieme e gestire in maniera comune le frontiere esterne. Su quest'aspetto c'è condivisione, però siamo assolutamente d'accordo che si debba capire come farlo e che la condivisione non può bastare.
  Sulla parte esterna, ci sono meno divisioni in Europa, almeno in questa fase di negoziati e dichiarazioni. Sulla parte esterna ci sono molto meno divisioni anche nei i Paesi più recalcitranti in materia di asilo e anche con i Paesi del gruppo di Visegràd sulla dimensione esterna c'è una volontà di fare di più, sia per quanto riguarda la politica di sviluppo e la cooperazione con i Paesi africani sia per quanto riguarda la gestione delle frontiere esterne.
  Sappiamo benissimo, però, che questo non è sufficiente e se vogliamo – e lo vogliamo – rendere più efficaci le limitazioni e i movimenti secondari e rendere più efficace l'identificazione di tutti coloro che arrivano sul nostro territorio, dobbiamo rendere più efficace, anche nei momenti di crisi, la redistribuzione.
  Questo è un lavoro che io ritengo possa essere affrontato in vista del Consiglio europeo di dicembre, come tappa ultima politica, anche se, come sapete benissimo, sono i Ministri dell'interno che negoziano queste cose nel Consiglio Giustizia e affari interni.
  C'è un dato politico evidente: c'è stata una prudenza, soprattutto per quanto riguarda la questione del meccanismo di solidarietà, che noi abbiamo letto come prudenza anche legata ad alcune scadenze importanti interne.
  Dopo le elezioni tedesche, a ottobre o novembre, crediamo che ci sia la necessità di intensificare il negoziato, anche per quanto riguarda la solidarietà, che è la parte che lei ha citato. Pag. 9
  Puntiamo a raggiungere un accordo in Consiglio, sapendo che la presidenza di turno della Bulgaria, a partire da gennaio 2018, è molto interessata, per vari motivi, a fare dell'immigrazione, del controllo del frontiere esterne e dell'allargamento dell'area Schengen, una priorità. Sappiamo, quindi, dopo gli estoni, che quel Paese è molto interessato a considerare questi temi come priorità e questo per noi è certamente positivo.
  Un altro punto che lei ha sollevato riguarda il tema dell'inizio del negoziato per la revisione del codice di Schengen.
  Ho pensato di portare il non paper degli Stati per consentirvi di leggerlo. Non ne faccio l'esegesi, lo sintetizzo. Devo dire che anche l'Italia ha presentato vari non paper, da sola o con altri Stati. Non c'è nulla di nuovo o di sorprendente e, soprattutto, non c'è nulla che debba far paura: quando c'è una convergenza su un certo tema, questo si presenta, noi lo abbiamo fatto per il Mercato unico e per alcune modifiche alla legge elettorale del Parlamento europeo, loro lo hanno fatto su un punto specifico. In particolare, Francia, Austria, Germania, Danimarca e Norvegia lo hanno fatto sull'articolo 25 e sull'articolo 29 del codice di Schengen.
  Si tratta di misure temporanee che, come voi sapete bene in questo Comitato, i Paesi possono introdurre, se si presentano delle circostanze eccezionali, che possono essere di vari tipi, come un grande evento o un G7...

  PRESIDENTE. ...un atto terroristico.

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei. Un atto terroristico, esattamente. È appunto il caso dell'atto terroristico, cioè dei motivi che portano alla circostanza eccezionale di terrorismo, che interessa in particolare ai Paesi che hanno presentato il non paper.
  Si chiede la possibilità di una proroga più lunga rispetto al massimo di due anni, con proroghe di tre mesi in tre mesi. Come sapete benissimo, il massimo della proroga è di due anni, anche perché la circostanza deve essere eccezionale e non strutturale.
  Nei non paper, come vedrete, ci sono proposte di emendamento senza la relazione illustrativa, però è evidente l'obiettivo: sulla base dell'articolo 25, rivedendo, in parte, le procedure che chiedono l'autorizzazione preventiva, che questi Paesi confermano ex articolo 29, poter allungare i tempi nel caso di minaccia terroristica. Questo è il punto.
  La procedura autorizzativa rimane, mentre la questione del prolungamento per attività terroristica oltre i due anni è molto lunga e siamo all'inizio di questo negoziato.
  Per l'Italia è sempre fondamentale garantire la massima libertà di circolazione per l'ordinario, per cui queste preoccupazioni comprensibili rispetto a certi fenomeni, come il terrorismo, non devono portare a una limitazione permanente della libera circolazione per i cittadini europei, che devono continuare a poter girare per l'Europa, se questi studiano, lavorano, fanno attività di impresa o vogliono spostarsi per qualche mese.
  Insomma, il punto è che la libertà di circolazione per noi deve essere preservata. Poi, vogliamo vedere in dettaglio quali aspetti del codice Schengen, per motivi specifici e molto determinati, come il terrorismo, possano essere modificati, ma siamo all'inizio del negoziato.

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna del documento consegnato dal Sottosegretario Gozi (vedi allegato). Mi scusi, sottosegretario ma è abbastanza strano che gli atti terroristici, come abbiamo visto, siano compiuti per lo più da cittadini degli stessi Stati e che questi Stati chiedano di chiudere le frontiere, quasi per difendere gli altri da se stessi. Non le sembra un po’ strumentale questo non paper?

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei. Lo giudicate voi strumentale. Avete visto tutti quello che è successo tra Francia e Belgio all'epoca agli attentati e potete giudicarlo. Non è una proposta dell'Italia: per noi comunque va garantita la libera circolazione. Pag. 10
  Nel caso della Francia, c'è un altro aspetto che va oltre il non paper: la Francia sta chiedendo di potere protrarre, oltre il 1° novembre, in base all'articolo 25, la possibilità di controllare le frontiere. Si tratta di una questione aperta su cui la Commissione, innanzitutto in base al codice Schengen, deve esprimersi.
  Aspettiamo che questi Paesi, oltre al non paper che hanno presentato, approfondiscano le motivazioni vere perché la prima obiezione è quella che ha fatto lei.

  PRESIDENTE. In ogni caso, qual è la procedura? Ci vuole l'unanimità, in ogni caso e in qualunque variazione? Lo chiedo perché Germania e Francia pesano e c'è una valutazione critica dell'Italia, che ringraziamo di aver risposto ai commissari. Qual è il peso? Che cosa succede oltre ai negoziati?

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei. Ormai con la comunitarizzazione del Regolamento di Schengen, ci sono vari aspetti a maggioranza qualificata, però mi sembra molto difficile che, in assenza di un accordo più ampio che deve riguardare anche il sistema di Dublino, si possa forzare questo specifico aspetto.
  Non sono in condizione di farvi previsioni ma vi dico che l'impostazione politica nostra e di altri Paesi è quella di aspettare il pacchetto complessivo.
  Un altro aspetto riguarda Triton e Frontex. Effettivamente sono stati avviati a livello tecnico i lavori per quanto riguarda la revisione del piano operativo Triton 2017. Quest'attività, com'è noto, è stata avviata su iniziativa dell'Italia, che ha posto l'accento sulla necessità di condividere di più e di avere maggiore responsabilità condivisa tra tutti coloro che partecipano al piano Triton, per quanto riguarda le operazioni in mare e per quanto riguarda gli sbarchi fuori dalla zona SAR.
  L'Italia vuole ottenere un maggior coinvolgimento dei vari Stati membri nelle operazioni di soccorso dei migranti e nella condivisione degli oneri. Sono state fatte due riunioni a livello tecnico, in cui è stata fatta una presentazione dettagliata delle richieste e della posizione dell'Italia e una prima reazione limitata degli altri partner, che hanno soprattutto preso nota della posizione dell'Italia.
  Il direttore dell'Agenzia Frontex ha detto che, entro novembre, dovrebbero arrivare delle proposte operative di modifica. Al momento, non sono in grado di dire quali siano gli specifici aspetti della modifica e credo che sia prematuro parlarne ma, se il Ministro degli interni ha più elementi da darvi la prossima settimana, ne guadagnerete per i vostri lavori.
  So benissimo che potrei sollevare un po’ di dibattito ma vorrei fare un commento su quello che è stato detto per Triton nelle settimane e nei mesi precedenti.
  Sono state dette delle sciocchezze enormi da gente che conosce le cose e sa come funzionano le cose. Quelle sono delle sciocchezze perché tutti i piani di gestione delle frontiere esterne in cui si chiede all'agenzia Frontex di sostenere l'azione di Stati membri richiedono un centro di comando e di coordinamento, che poi riceve le persone salvate, come accade per il programma che riguarda la Spagna e per il programma che riguarda la Grecia.
  Ho trovato il dibattito italiano stupefacente, del tutto inutile e buono a farci male da soli, come noi italiani siamo soliti fare perché siamo sempre i primi in Europa, abbiamo la Champions League di coloro che si fanno del male da soli.
  È evidente che queste sono le regole non negoziate dall'Italia in maniera specifica per Triton, ma il metodo di funzionamento...

  PRESIDENTE. Non entro nella polemica perché lei ha ragione. Noi avevamo individuato da subito quella che abbiamo chiamato «Dublino telefonica». Tuttavia, è indubbio che quelle siano prassi perlomeno anomale. Per carità, capisco che lei abbia voluto dire che qualcuno ha forzato gli strumenti giuridici per dire che la colpa sia di Triton, però c'è un sistema di cui non siamo soddisfatti.

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche Pag. 11e gli Affari Europei. Il fatto che il sistema non ci renda soddisfatti è una cosa condivisa dal Governo, tanto che ha chiesto di modificarlo ma dire: «hanno scambiato con la flessibilità economica» o «l'Italia non ha letto» o «c'era un documento segreto» e «quel documento non è segreto», non è giusto.
  Ricordo che da novembre 2014, a Triton prendono parte ventisei Paesi, ci sono 350 esperti, undici navi e cinque aerei.
  Anche in questo Comitato, quando si dibatteva di Mare Nostrum, si lamentava il fatto che, per fare attività simili, eravamo da soli, mentre, adesso, ci sono ventisei Paesi, 350 esperti, undici navi e cinque aerei. Pensavo che fosse utile metterlo agli atti.
  Tema Brexit. Il Regno Unito è fuori da Schengen, quindi non dovrebbe preoccuparvi ma ve ne volete occupare, anche perché sono 600.000 gli italiani registrati. Magari ce ne sono anche altri che non sono registrati, però le cifre ufficiali parlano di 600.000.
  Auspichiamo che ci siano delle parole di apertura e di accelerazione da parte di Theresa May, che il 22, a Firenze, farà un discorso importante sulla Brexit e sui negoziati.
  Per noi comunque è chiaro che, in questa fase del negoziato, ci sono tre priorità.
  La prima priorità è rappresentata dai diritti dei cittadini dell'Unione europea residenti nel Regno Unito e, su base di reciprocità, i diritti dei residenti britannici nell'Unione europea. Il secondo punto riguarda la frontiera irlandese. Il terzo punto concerne gli obblighi finanziari che il Regno Unito ha assunto in quanto Stato membro e a cui deve adempiere, anche se ha deciso di uscire dall'Unione europea.
  Al momento, qualche passo in avanti è stato fatto per quanto riguarda i diritti dei cittadini, però auspichiamo molto di più.
  Sono stati fatti passi avanti su alcuni sistemi legati alla sicurezza sociale, ma ci sono due punti che vanno certamente approfonditi.
  Il primo riguarda il passaggio che parte dalla cosiddetta permanent residency, ossia la residenza permanente, procedura per la quale tanti nostri connazionali si sono attivati e per cui la Brexit diventerà effettiva dal punto di vista giuridico, alla settled status, cioè allo status definitivo, come lo chiamano i britannici.
  Ho parlato molto chiaramente in una missione a Londra di dieci giorni fa, in cui ho incontrato David Davis, il Segretario alla Brexit, insieme al Ministro della giustizia Lidington e al Ministro per l'Europa Duncan, oltre che vari parlamentari di maggioranza e opposizione.
  A David Davis, ho detto chiaramente: «il passaggio dalla permanent residency al settled status non può essere oggetto di valutazione discrezionale». Nel momento in cui stabiliamo che ai nostri connazionali residenti già nel Regno Unito vanno garantiti, per oggi e per il futuro, gli stessi diritti, non possiamo metterli in una condizione aleatoria per cui, nel momento in cui si chiede lo settled status, l’Home Office possa rifiutarlo ad alcuni.
  David Davis mi ha anche richiamato la scorsa settimana per spiegare che si tratta di un passaggio formale e che non ci sarà discrezionalità, però questo punto è ancora aperto, per cui vogliamo avere la garanzia che ci sia una sorta di automatismo.
  Si tratta di un punto molto importante. Tra l'altro, a Londra, quando ho incontrato le principali associazioni rappresentative dei nostri connazionali, loro hanno sollevato la questione e io l'ho sollevata con David Davis.
  Rispetto al post Brexit, c'è poi il tema dei ricongiungimenti familiari. Per un cittadino italiano o di un altro Paese dell'Unione europea che risiede nel Regno Unito, in base alla direttiva n. 38 del 2004, è previsto il diritto a ricongiungimenti familiari, con determinate modalità e condizioni.
  Si parla di quid post Brexit, per i ricongiungimenti familiari di coloro che sono cittadini dell'Unione europea. I britannici dicono che non può essere a tempo indefinito e, al momento, la loro impostazione è molto restrittiva. Noi diciamo invece che quel diritto deve essere garantito. Potrebbe essere garantito per un lungo periodo transitorio, in modo che le situazioni umane si Pag. 12possano risolvere, e, in futuro, quelli possano essere equiparati ai cittadini di Stati terzi.
  Il tema dei ricongiungimenti familiari riguarda il momento in cui in cui Regno Unito non sarà più soggetto alla direttiva 38/2004. Questo problema verrà affrontato come aspetto molto rilevante.
  Penso di aver risposto a tutte le vostre domande e vi ringrazio dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Ringraziamo lei, che, come sempre, è uno dei più precisi tra i nostri auditi.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare domande, a cominciare dal primo iscritto a parlare, il senatore Orellana.

  LUIS ALBERTO ORELLANA. Grazie, presidente. Ringrazio il Sottosegretario per l'esposizione molto ampia, che mi ha convinto per molti aspetti. Faccio anche fatica a fare qualche domande, ma ne avevo preparato alcune.
  In particolare, sul codice di Schengen, lei ha parlato della sospensione dell'articolo 25 e dell'articolo 29. Sappiamo che questa in Francia, per motivi terroristici, scade il 31 ottobre e ce ne ha già parlato.
  Mi domando che cosa accada, per esempio, all'Austria nei confronti della frontiera slovena e ungherese o tra l'Austria e la Germania. Ho ricordato solo i due più vicini, ma ci sono numerosi Paesi che la stanno rinnovando di sei mesi in sei mesi. Attualmente, se ho capito bene, si sta parlando, nel non paper, di fare qualche modifica, ma la modifica è sempre legata al tema della minaccia terroristica, invece in quel caso, se ricordo bene, si trattava di minaccia per l'arrivo dei migranti.
  Di queste cose se ne è parlato? Le state verificando? Qual è la posizione dell'Italia?
  Credo che con questa motivazione stiamo facendo saltare, come si è detto, anche il principio della libera circolazione delle persone, che è il fondamento della nostra Unione.
  Per quanto riguarda il secondo punto, sul tema dei rimpatri lei ha citato anche quanto ci ha detto il Presidente Juncker: aumentare e migliorare i tassi di rimpatri.
  C'è un'idea particolare? Si utilizzerà sempre di più il cosiddetto «RVA», ossia il rimpatrio volontario assistito, oppure anche quelli forzati? Su quale delle due possibilità ricadrà la scelta? Lo chiedo perché, per me, non è indifferente la scelta che si farà.
  Per quanto riguarda l'ingresso legale in Europa, vorrei sapere se, di fatto, stiamo parlando di canali umanitari per arrivare o, più specificatamente, i cosiddetti «migranti economici» anche in un'ottica di necessità di manodopera più o meno qualificata in alcuni Stati europei.
  Infine, c'è un tema molto grave di cui si è occupata anche la stampa. Mi riferisco alla situazione di alcuni migranti rimasti bloccati in Libia. Il transito si è sbloccato e quelli non devono più rischiare la vita per tentare di arrivare in Italia e in Europa. Tuttavia, quei migranti, non rientrando nei Paesi di origine, restano in Libia, dove sono spesso vittime di maltrattamenti e di situazioni gravissime. Lei al riguardo ha citato giustamente la presenza di alcune organizzazioni, che sono tutte riconducibili all'ONU.
  In tal senso, anche se quest'aspetto non riguarda direttamente l'Europa, il Governo italiano potrebbe portare questo coinvolgimento dell'Onu anche al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, considerando che l'Italia a novembre lo presiederà e detterà l'agenda, il che, secondo me, è molto importante per l'Italia. Mi chiedo se, per quel consesso, considerando che stiamo parlando di coinvolgere due agenzie delle Nazioni Unite, l'OIM e l'UNHCR, si sia pensato a qualche iniziativa in tal senso. Il mio è quasi un suggerimento, ma spero che non ci sia bisogno di un mio suggerimento perché già ci sta pensando qualcuno. Grazie.

  GIORGIO BRANDOLIN. Grazie, presidente. Ricordo che, attraverso l'ex Agenzia Frontex eccetera, l'Europa ha predisposto un contingente di militari, che mi sembra sia composto da 1.500 persone, per aiutare i Paesi di frontiera esterna.
  La mia domanda è: quel contingente è stato utilizzato? Ricordo che lei ci aveva Pag. 13detto che il contingente viene utilizzato soltanto su richiesta dei Paesi e non per difficoltà riscontrate dall'Europa, quindi vorrei capire, visto che è passato già quasi un anno da quando questo contingente è stato costruito, se il contingente ha funzionato, per l'Ungheria o la Polonia e la Slovenia.
  La mia seconda domanda in parte è stata già posta dal mio collega senatore. Sui confini orientali c'è sempre un problema, che c'era 70 anni fa e che c'è ancora e che è rimasto tale, anche dopo l'importante intervento fatto sulla questione dei migranti via mare. Assistiamo a un controllo delle frontiere da parte dell'Austria, che è quantomeno minacciato. Sono passato anch'io da Tarvisio per vederlo e non ho ben capito se il controllo c'è o meno.

  PRESIDENTE. È peggiore quello della Francia su di noi.

  GIORGIO BRANDOLIN. Esatto. Per questi Paesi, in particolare nel caso dell'Austria più che della Slovenia, che fanno il controllo nella direzione sud-nord, vorrei capire se avete pensato di fare anche un controllo nella direzione nord-sud.
  Le commissioni territoriali, non solo del Friuli-Venezia Giulia, ma anche del Veneto, sono «intasate» dai migranti che arrivano, come ci dicono i migranti stessi quando vengono sentiti, dalla Germania, dall'Ungheria, dall'Austria eccetera.
  Come si pensa di porre rimedio anche a questo problema? Certo, si può discutere con l'Austria sul problema del controllo della frontiera e del transito sud-nord, però poco si parla del transito nord-sud.
  Devo dire che il Ministro Minniti è stato quindici giorni fa a Trieste per parlare con i sindaci del Friuli-Venezia Giulia e del Veneto e credo che abbia presente il problema: si tratta di qualcosa che va oltre rispetto alla discussione nazionale. Probabilmente i numeri sono anche piccoli, però, per un territorio altrettanto piccolo, anche numeri piccoli in percentuale sono alti.
  Terza domanda. La presidente aveva posto il problema dell'entrata nell'area di Schengen per la Bulgaria e la Romania e ha accennato alla Croazia, che mi interessa molto, anche perché, se uno d'estate volesse fare un bagno a Lussino, potrebbe impiegare due ore e mezzo sulla frontiera Slovenia-Croazia. Lo dico per fare una battuta, anche se si tratta di quanto mi è capitato.
  In quel caso, c'è stato un inasprimento del controllo, laddove – lo dico anche ai colleghi – non esiste un confine e non c'è mai stato perché quella è Istria, quindi si tratta di un confine nato nel 1991, dopo il disfacimento del Jugoslavia, ed è un confine del tutto innaturale.
  Mi ricordo che, qualche anno fa, la Croazia doveva entrare nell'area di Schengen, per cui le chiedo se lei ha degli elementi per poterci assicurare che, magari tra un anno, magari prima dell'estate 2018, si possa andare liberamente in Istria, senza dover stare due ore sul confine. Ora, questa è una battuta, ma vorrei capire dove si è bloccato questo meccanismo.
  Lo chiedo perché anche gli amici croati hanno grande aspettativa per l'ingresso nell'area di Schengen. Certo, poi loro dovranno controllare la frontiera con la Bosnia e con la Serbia, che è abbastanza complicato storicamente.
  Anche in questo caso, le chiedo se l'ex Agenzia Frontex possa o potrebbe o potrà aiutare questo Paese ad affrontare i dettami e le responsabilità dell'accordo Schengen.

  PRESIDENTE. Grazie, vicepresidente.
  Mi permetto di aggiungere una chiosa campanilista. Anch'io posso raccontare di esperienze personali: al ritorno dalla mia vacanza in Francia, sulla statale della Valle Roja, una meravigliosa strada che forse lei conoscerà e che io, da cuneese, faccio al posto dell'autostrada: c'erano controlli della polizia francese, che fermava ogni macchina. Sappiamo che magari ci possano essere controlli occasionali, il che è sempre possibile ma, in quel caso, si fermava ogni macchina.
  Non ho gli intenti idealisti di Brandolin, ma la mia domanda è: non potremmo, visto che quella situazione crea dei disagi, mettere anche noi i controlli? Con la scusa dei migranti, degli sbarchi fantasma e delle Pag. 14non registrazioni, loro lo fanno, ma noi potremmo creare gli stessi disagi a loro.

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei. Io sono molto contento di non essere il Ministro dell'interno. Sono appassionato della politica europea, quindi lascio volentieri al bravo Ministro Minniti tante delle domande che avete fatto e che vi consiglio di porre al Ministro stesso.
  Avete sollevato il tema dei controlli, che, al momento, possono durare al massimo due anni. Ecco perché dicevo che, in base all'articolo 25, c'è una questione francese che non c'entra con il non paper: a novembre, loro saranno arrivati al termine dei due anni, quindi c'è una questione da affrontare e su cui la Commissione europea deve esprimersi.
  Io stesso ho rischiato di fare tardi a Charles De Gaulle perché c'era una fila enorme per il controllo dei passaporti. Tra l'altro, quei controlli non sono permanenti, ma sono random.
  In merito, non ci sono proposte di modificare, per tutte le circostanze eccezionali, gli articoli 25 e 29. Al momento, le proposte, come vi ho detto, riguardano unicamente per il caso di terrorismo.
  Siamo disposti a discuterne, ma riteniamo che il sistema Schengen vada bene e non sentiamo il bisogno di introdurre ulteriori restrizioni. Siamo disposti ad ascoltare le ragioni di altri, ma devono dimostrarle. Per quanto riguarda il terrorismo, ci sono degli aspetti da rivedere, su cui siamo disposti a parlarne, ma in generale siamo per mantenere il sistema Schengen.
  Lei faceva riferimento a quel contingente eccezionale. Lo si usa in circostanze eccezionali e non lo si usa per accompagnare le politiche. Per esempio, ci sono oltre 350 esperti in Italia.

  PRESIDENTE. Ma quel contingente è stato usato o no?

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei. Sì, nel quadro per l'operazione Triton ci sono 350 esperti.

  PRESIDENTE. Non sui confini esterni però.

  SANDRO GOZI. Noi siamo un confine esterno. Nel quadro dell'operazione Triton sono 350 esperti.
  Sul tema dei rimpatri, certamente sono necessari nuovi incentivi per i rimpatri volontari assistiti e, per questo motivo, ho insistito sui rimpatri con una responsabilità europea, il che vuol dire anche responsabilità di bilancio europea.
  Ciò detto, siamo d'accordo a rimpatriare coloro che non hanno diritto di rimanere, quindi, se la via dei rimpatri volontari assistiti è la via più veloce perché, essendo volontario, i tempi del rimpatrio sono molto rapidi, nel momento in cui il migrante irregolare decide di ritornare. Ovviamente i rimpatri forzati richiedono tempi e procedure complessi, ma riteniamo che, anche sui rimpatri forzati, coloro che vorrebbero rimanere qui, ma non sono richiedenti asilo, non rischiano la vita e non sono perseguitati, per cui semplicemente sono irregolari e le nostre leggi prevedono il rimpatrio, questo deve essere effettivo.
  In Europa, al momento, i tassi dei rimpatri sono troppo bassi. Ecco perché insistiamo anche su quest'aspetto.
  Per quanto riguarda il tema dell'immigrazione economica regolare, che Junker ha evocato e che noi sosteniamo, non si tratta solo della questione dei corridoi umanitari, che sono legati alle emergenze. Riteniamo che, per governare la migrazione economica regolare, cominciare ad avere alcune politiche comuni sia fondamentale.

  PRESIDENTE. Le quote.

  SANDRO GOZI. Per esempio, pensiamo una programmazione europea, che potrebbe arrivare a quote o ad altri meccanismi. Dobbiamo cominciare a lavorare a livello europeo anche sul tema della migrazione economica regolare, come tema dell'agenda.
  Questo è un punto che Junker ha messo in agenda e che noi riteniamo buono, per cui riteniamo ci si debba lavorare. Pag. 15
  Le domande su Tarvisio potrebbero essere poste al Ministro Minniti.
  Essendo quella di Schengen un'area di libera circolazione e di standard elevati di controllo delle frontiere e di identificazione, per noi, se si espande l'area di Schengen, abbiamo maggiore libertà e controlli di sicurezza con standard elevati, quindi siamo a favore dell'allargamento dell'area di Schengen.
  Romania e Bulgaria spingono molto e, come ho ricordato, la Bulgaria eserciterà la presidenza di turno il prossimo anno. Si devono risolvere alcuni aspetti tecnici, ma tendenzialmente siamo favorevoli.
  Certo, non siamo favorevoli ad aprire, se non ci sono le condizioni e gli standard e se i Paesi non sono in grado di garantirli, ma politicamente siamo per l'apertura.
  Lo stesso discorso vale per la Croazia, anche per le ragioni che lei, per esempio, ha evocato: l'Istria non mai è stata spaccata in due. Anche sull'ingresso della Croazia siamo favorevoli, però rientrare nell'area di Schengen vuol dire avere capacità di controllo e di identificazione. I Paesi devono dimostrare pienamente di essere in grado di adempiere ai loro obblighi.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il nostro ospite e i commissari, ringrazio altresì Simona Clivia Zucchett, coordinatrice della segreteria particolare del Sottosegretario e Luisa Sacco, funzionaria, che hanno accompagnato l'onorevole Gozi. Ricordo che la prossima settimana avremo in audizione il Ministro Minniti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.40.

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ALLEGATO

Indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'Area Schengen, con particolare riferimento alle politiche dei paesi aderenti relative al controllo delle frontiere esterne e dei confini interni: audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio per le Politiche e gli Affari Europei, on. Sandro Gozi.

DOCUMENTAZIONE CONSEGNATA DAL SOTTOSEGRETARIO GOZI AL COMITATO NEL CORSO DELL'AUDIZIONE E TRADUZIONE DI CORTESIA

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Documento informale di Austria, Danimarca, Francia, Germania e Norvegia

Proposta di emendamento all'articolo 25 del Codice Frontiere Schengen sul ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne

  Il 13 novembre 2015 la Francia reintroduceva i controlli alle proprie frontiere interne terrestri con il Belgio, il Lussemburgo, la Germania, la Svizzera, l'Italia e la Spagna, oltre che alle frontiere aeree, in virtù dell'articolo 25 del Codice Frontiere Schengen che autorizza il ripristino temporaneo del controllo alle frontiere interne in caso di minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna. I controlli sono stati poi prorogati e quindi rinnovati alla luce del protrarsi del livello elevato di minaccia terroristica.
  Il 12 maggio 2016, Germania, Danimarca, Austria, Svezia e Norvegia hanno anche ripristinato i controlli alle frontiere interne per far fronte al massiccio flusso migratorio, in virtù dell'articolo 29 del suddetto Codice che prevede una procedura specifica in caso di circostanze eccezionali che mettono a rischio il funzionamento globale dello spazio senza controllo alle frontiere interne. Il Consiglio ha autorizzato, il 12 maggio 2017, questi cinque Stati membri per la terza e ultima volta a estendere i controlli fino all'11 novembre 2017.
  La reintroduzione dei controlli alle frontiere interne da parte di diversi Stati membri dello spazio Schengen nell'ultimo anno circa, a causa della minaccia terroristica o delle dimensioni dei flussi migratori, mette in risalto la necessità di rafforzare la capacità di quest'area di far fronte alle situazioni di crisi. Nella dichiarazione congiunta del 20 febbraio 2017, i Ministri degli Interni francese e tedesco hanno espresso l'auspicio che venga esaminato un emendamento al Codice Frontiere Schengen.
  Nel dettaglio, Austria, Danimarca, Francia, Germania e Norvegia chiedono:

  Un emendamento mirato dell'articolo 25 del Codice Frontiere Schengen

  Chiediamo alla Commissione di presentare un progetto di atto legislativo volto a emendare le disposizioni dell'articolo 25 del Codice, così da consentire agli Stati membri di ripristinare i controlli alle frontiere interne per periodi più lunghi di quelli attualmente previsti, in piena conformità ai principi di proporzionalità e su iniziativa dello Stato membro interessato.
  Nell'attuale formulazione, il paragrafo 4 dell'articolo 25 limita a sei mesi la durata del ripristino del controllo di frontiera in caso di grave minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza interna.
  Tale limite non è però rispondente alle esigenze nell'eventualità di una minaccia terroristica a lungo termine ed è quindi necessario consentire a uno Stato membro di reintrodurre il controllo di frontiera per un periodo superiore a sei mesi, nel caso in cui la minaccia alla sicurezza interna persista con particolare gravità e durata.
  L'attuale procedura (notifica da parte dello Stato membro alle istituzioni dell'UE e agli altri Stati membri) dovrebbe essere mantenuta.
  La comunicazione di un'analisi dei rischi, attualmente prevista all'articolo 29, potrebbe essere applicata anche ai sensi della procedura Pag. 21di cui all'articolo 25 nel caso in cui il ripristino del controllo di frontiera superi i sei mesi, modificando il disposto dell'articolo 27.

  L'articolo 25 potrebbe essere emendato come segue:

  1. In caso di minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato membro nello spazio senza controllo alle frontiere interne, detto Stato membro può in via eccezionale ripristinare il controllo di frontiera in tutte le parti o in parti specifiche delle sue frontiere interne per un periodo limitato della durata massima ditre mesi o per la durata prevedibile della minaccia grave se questa supera itre mesi. L'estensione e la durata del ripristino temporaneo del controllo di frontiera alle frontiere interne non eccedono quanto strettamente necessario per rispondere alla minaccia grave.
  2. Il controllo di frontiera alle frontiere interne è ripristinato solo come misura di extrema ratio e in conformità degli articoli 27, 28 e 29. Ogniqualvolta si contempli la decisione di ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne ai sensi, rispettivamente, degli articoli 27, 28 o 29, sono presi in considerazione i criteri di cui agli articoli 26 e 30, rispettivamente.
  3. Se la minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna nello Stato membro interessato perdura oltre il periodo di cui al paragrafo 1 del presente articolo, detto Stato membro può prorogare il controllo di frontiera alle sue frontiere interne, tenuto conto dei criteri di cui all'articolo 26 e secondo la procedura di cui all'articolo 27, per gli stessi motivi indicati al paragrafo 1 del presente articolo e, tenuto conto di eventuali nuovi elementi, per periodi rinnovabili non superiori atre mesi.
  4. La durata totale del ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne, incluse eventuali proroghe di cui al paragrafo 3 del presente articolo, non è superiore adue anni. Qualora vi siano circostanze eccezionali, come quelle di cui all'articolo 29, tale durata totale può essere prolungata fino a un massimo diulteriori due anni, in conformità del paragrafo 1 di detto articolo.

  L'articolo 27 potrebbe essere emendato come segue:

  1. Quando uno Stato membro intende ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne a norma dell'articolo 25, lo notifica agli altri Stati membri e alla Commissione entro quattro settimane prima del ripristino previsto, o in tempi più brevi se le circostanze che rendono necessario il ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne sono note meno di quattro settimane prima del ripristino previsto. A tal fine lo Stato membro fornisce le seguenti informazioni:

   a) i motivi del ripristino proposto, compresi tutti i dati pertinenti relativi agli eventi che costituiscono una minaccia grave per il suo ordine pubblico o sicurezza interna;

   b) l'estensione del ripristino proposto, precisando la parte o le parti delle frontiere interne alle quali sarà ripristinato il controllo di frontiera;

   c) la denominazione dei valichi di frontiera autorizzati;

   d) la data e la durata del ripristino previsto;

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   e) eventualmente, le misure che devono essere adottate dagli altri Stati membri.

  Una notifica ai sensi del primo comma può essere presentata anche congiuntamente da due o più Stati membri.
  Se necessario, la Commissione può chiedere ulteriori informazioni allo Stato membro o agli Stati membri interessati.
  2. L'informazione di cui al paragrafo 1 è trasmessa al Parlamento europeo e al Consiglio contestualmente alla sua notifica agli altri Stati membri e alla Commissione, ai sensi del detto paragrafo.

  Uno Stato membro che proroga la durata del ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne oltre sei mesi, compresa qualsiasi proroga di cui al paragrafo 3 dell'articolo 25, comunica alla Commissione un'analisi dei rischi che illustra le motivazioni dell'estensione, con aggiornamenti ogni sei mesi. Lo Stato membro interessato può decidere di classificare l'analisi dei rischi interamente o in parte.

  3. Gli Stati membri che presentano una notifica ai sensi del paragrafo 1 possono, se necessario e in conformità della legge nazionale, decidere di classificare parti delle informazioni.
  Tale classificazione non preclude la trasmissione delle informazioni dalla Commissione al Parlamento europeo. La trasmissione e il trattamento delle informazioni e dei documenti trasmessi al Parlamento europeo a norma del presente articolo sono conformi alle norme concernenti la trasmissione e il trattamento delle informazioni classificate applicabili tra il Parlamento europeo e la Commissione.
  4. A seguito della notifica di uno Stato membro ai sensi del paragrafo 1 ed in vista della consultazione di cui al paragrafo 5, la Commissione o qualsiasi altro Stato membro può emettere un parere, fatto salvo l'articolo 72 TFUE.
  Se, sulla base delle informazioni contenute nella notifica o di eventuali informazioni supplementari ricevute, la Commissione nutre preoccupazione sulla necessità o la proporzionalità del previsto ripristino del controllo di frontiera alle frontiere interne, o se ritiene opportuna una consultazione su certi aspetti della notifica, emette un parere a tal fine.
  5. Le informazioni di cui al paragrafo 1 ed eventuali pareri della Commissione o di uno Stato membro ai sensi del paragrafo 4 sono oggetto di consultazioni fra cui, se necessario, riunioni congiunte, tra lo Stato membro che prevede di ripristinare il controllo di frontiera alle frontiere interne, gli altri Stati membri, specialmente quelli direttamente colpiti da tali misure, e la Commissione, al fine di organizzare, se necessario, una cooperazione reciproca tra gli Stati membri ed esaminare la proporzionalità delle misure rispetto agli avvenimenti all'origine del ripristino del controllo di frontiera e alla minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza interna.
  6. La consultazione di cui al paragrafo 5 ha luogo almeno dieci giorni prima della data prevista per il ripristino del controllo di frontiera.

Articolo 29

  Procedura specifica in caso di circostanze eccezionali che mettono a rischio il funzionamento globale dello spazio senza controllo alle frontiere interne. Pag. 23
  1. In circostanze eccezionali in cui il funzionamento globale dello spazio senza controllo alle frontiere interne è messo a rischio a seguito di carenze gravi e persistenti nel controllo di frontiera alle frontiere esterne ai sensi dell'articolo 21, e nella misura in cui tali circostanze costituiscono una minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna nello spazio senza controllo alle frontiere interne o su parti dello stesso, il controllo di frontiera alle frontiere interne può essere ripristinato in conformità del paragrafo 2 del presente articolo per una durata massima di sei mesi. Tale periodo può essere prorogato non più di tre volte, per ulteriori sei mesi al massimo, se le circostanze eccezionali perdurano.
  2. Il Consiglio, allorché tutte le altre misure, in particolare quelle di cui all'articolo 21, paragrafo 1, non hanno consentito di ridurre efficacemente la grave minaccia individuata, raccomanda a uno o più Stati membri, come extrema ratio e come misura volta a proteggere gli interessi comuni nello spazio senza controllo alle frontiere interne, di decidere di ripristinare il controllo di frontiera in tutte le rispettive frontiere interne o in parti specifiche delle stesse. La raccomandazione del Consiglio si basa su una proposta della Commissione. Gli Stati membri possono chiedere alla Commissione di presentare una tale proposta di raccomandazione al Consiglio.
  Nella sua raccomandazione, il Consiglio indica almeno le informazioni di cui all'articolo 27, paragrafo 1, lettere da a) a e).
  Il Consiglio può raccomandare una proroga secondo le condizioni e la procedura di cui al presente articolo.
  Prima che uno Stato membro ripristini il controllo di frontiera in tutte le sue frontiere interne o in parti specifiche delle stesse ai sensi del presente paragrafo, esso ne informa gli altri Stati membri, il Parlamento europeo e la Commissione.
  3. Qualora la raccomandazione di cui al paragrafo 2 non sia attuata da uno Stato membro, quest'ultimo informa immediatamente la Commissione per iscritto dei propri motivi.
  In tal caso la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione che valuta i motivi indicati dallo Stato membro interessato e le conseguenze per quanto riguarda la protezione degli interessi comuni nello spazio senza controllo alle frontiere interne.
  4. Per motivi di urgenza debitamente giustificati e connessi a situazioni in cui le circostanze che rendono necessaria la proroga del controllo di frontiera alle frontiere interne, conformemente al paragrafo 2, sono note meno di dieci giorni prima della fine del periodo di ripristino precedente, la Commissione può adottare le eventuali raccomandazioni necessarie mediante atti di esecuzione immediatamente applicabili ai sensi della procedura di cui all'articolo 38, paragrafo 3. Entro quattordici giorni dall'adozione di tali raccomandazioni, la Commissione presenta al Consiglio una proposta di raccomandazione in conformità del paragrafo 2 del presente articolo.
  5. Il presente articolo lascia impregiudicate le misure che gli Stati membri possono adottare in caso di minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna a norma degli articoli 25, 27 e 28.