Comunicazione:
Ravetto Laura , Presidente ... 2
Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 2
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI
Audizione del Ministro dell'interno, senatore Marco Minniti, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen.
Ravetto Laura , Presidente ... 2
Minniti Marco , Ministro dell'interno ... 4
Ravetto Laura , Presidente ... 6
Minniti Marco , Ministro dell'interno ... 6
Ravetto Laura , Presidente ... 7
Minniti Marco , Ministro dell'interno ... 7
Ravetto Laura , Presidente ... 9
Minniti Marco , Ministro dell'interno ... 10
Ravetto Laura , Presidente ... 13
Minniti Marco , Ministro dell'interno ... 13
Ravetto Laura , Presidente ... 15
Minniti Marco , Ministro dell'interno ... 15
Ravetto Laura , Presidente ... 17
Arrigoni Paolo ... 17
Ravetto Laura , Presidente ... 18
Fasiolo Laura ... 18
Artini Massimo (Misto-AL-TIpI) ... 18
Brandolin Giorgio (PD) ... 19
Ravetto Laura , Presidente ... 19
Minniti Marco , Ministro dell'interno ... 19
Ravetto Laura , Presidente ... 19
ALLEGATO: Risposte trasmesse dal Ministro dell'interno senatore Marco Minniti ... 20
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA RAVETTO
La seduta comincia alle 14.15.
Comunicazione.
PRESIDENTE. Ho una comunicazione di servizio. In data 4 ottobre 2017 il Presidente del Senato ha chiamato a far parte del Comitato il senatore Enrico Cappelletti, in sostituzione del senatore Marco Scibona, dimissionario. Gli diamo il benvenuto.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, i processi verbali delle sedute precedenti si intendono approvati.
Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione web-TV della Camera dei deputati. Dubito che il ministro avrà necessità di segretare la seduta, ma, ove necessario, sarà possibile.
Audizione del Ministro dell'interno, senatore Marco Minniti, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro dell'interno, senatore Marco Minniti, che ringraziamo infinitamente di essere tornato da noi.
Consentiamo intanto a una troupe di entrare per effettuare delle riprese.
Ministro, nel corso dell'audizione presso il nostro Comitato che si è svolta lo scorso 19 settembre il Sottosegretario Gozi ha illustrato le proposte di modifica del Codice Schengen, ricordando, in particolare, come la Francia, insieme a Germania, Danimarca, Austria e Norvegia, sarebbe orientata a chiedere una modifica del Codice a seguito del pericolo latente delle attività terroristiche, con una diversa disciplina dei controlli interni alle frontiere, per rispondere alle esigenze di una migliore protezione contro la minaccia del terrorismo.
L'obiettivo sarebbe quello di allungare i tempi durante i quali i Paesi membri potrebbero introdurre misure di controllo alle frontiere interne allo spazio Schengen. Da notizie stampa – Agenzia Nova del 29 settembre 2017 – risulterebbe in questo senso che la Francia starebbe prevedendo una nuova disciplina nazionale sull'estensione dei controlli fuori da aeroporti e stazioni nell'ambito della legge sull'antiterrorismo che prevedrebbe, in particolare, di allargare i controlli a stazioni, porti e aeroporti.
Se possibile, le chiediamo di informare il Comitato su eventuali decisioni al riguardo assunte nel corso degli incontri che ha avuto a Lione anche in riferimento alle ipotesi di modifica del Codice di Schengen, nonché su ulteriori elementi di rilievo affrontati in quella sede circa il tema dei controlli di frontiere esterne.
A questo riguardo risulterebbe al Comitato che permangano controlli tra la frontiera francese e l'Italia, sia a Ventimiglia, sia lungo il confine con la Valle Roja, nonché tra Italia e Austria, in particolare alla frontiera di Tarvisio.
Il secondo punto su cui vorremmo da lei delle informazioni, se possibile, è quello relativo agli accordi con i rappresentanti delle tribù libiche. Naturalmente, è interesse del Comitato e di tutto il Parlamento. Abbiamo sentito che si sarebbe pervenuti a una serie di accordi con rappresentanti libici, i cosiddetti capitribù o sindaci, allo scopo di ridurre il traffico di migranti e gli Pag. 3sbarchi sulle coste italiane di imbarcazioni provenienti dalla Libia.
Da notizie stampa, di cui le chiediamo anche l'attendibilità – il Post del 27 settembre 2017 – si apprende che il Washington Post e il New York Times evidenzierebbero che i fondi europei, per limitare l'immigrazione, avrebbero raggiunto gruppi libici, ipotizzando che questi soldi possano essere finiti in mani sbagliate. Le chiediamo, quindi, da una parte, un commento su queste affermazioni e, dall'altra, se ci può fornire delle indicazioni relative a questi accordi.
L'altro tema su cui vorremmo da lei un commento è quello relativo alle nuove rotte migratorie e ai cosiddetti sbarchi fantasma. In conseguenza delle intese con la Libia, è di queste settimane la notizia che vi sarebbe un incremento di sbarchi provenienti da altri Paesi, uno dei quali sarebbe la Turchia, che, secondo dati attribuiti a Frontex da notizie stampa del Sole24Ore del 21 settembre 2017, rappresenterebbe il Paese dal quale partirebbe la seconda rotta verso l'Italia seguita dai migranti dopo la Libia.
Oltre alla Turchia, vi sarebbe poi la rotta proveniente dalla Tunisia, che proprio ieri ha fatto registrare un tragico evento al largo delle coste tunisine. Risulterebbe, infatti, da notizie stampa – La Repubblica del 18 settembre 2017 – che i migranti dalla Tunisia seguirebbero una rotta che parte dalla spiaggia di Plage Ejjehmí nel Governatorato di Nabeul verso la Sicilia.
Sempre da notizie stampa – AGI del 6 ottobre 2017 – si apprenderebbe che oggi lei dovrebbe incontrare, o ha già incontrato, al Viminale alcuni amministratori locali di comuni interessati dai cosiddetti sbarchi fantasma, come Pozzallo, Lampedusa e Siculiana in merito a queste problematiche. Anche su questo le chiediamo se può darci delle notizie.
Passo ai permessi di soggiorno per motivi umanitari. Risulta al Comitato che dal 2010 al 2016 sarebbero stati rilasciati 75.194 permessi di soggiorno per motivi umanitari, che hanno rappresentato in media il 25,8 per cento delle richieste presentate. In merito le chiediamo se può darci una posizione.
Soprattutto noi abbiamo la preoccupazione dei rinnovi, ministro. Forse ne avevamo anche già parlato. C'è qualcuno che li effettua e come vengono controllati questi rinnovi? La sensazione che si ha è che siano dei rinnovi fatti quasi in automatico, senza verificare effettivamente che permangano le condizioni esterne che hanno motivato il rilascio dei permessi.
Naturalmente, c'è poi la questione dei centri di accoglienza, dei ricollocamenti e dei rimpatri. Da notizie stampa – Corriere della Sera del 9 ottobre 2017 – si apprende che vi sarebbe l'intenzione del Governo di chiudere entro un mese i centri di accoglienza di Bari e Gradisca d'Isonzo e, successivamente, quelli di Mineo e Macomer, sostituendoli con strutture più piccole, anche allo scopo di agevolare l'espulsione. Si tratterebbe di una prima attuazione del suo Piano nazionale di integrazione dei titolari di protezione internazionale del 27 settembre 2017. Le chiediamo di fornire elementi di conoscenza e informazione al Comitato.
Un ultimo punto riguarda la modifica al Piano Triton. Sappiamo che, in merito all'operazione Triton, all'inizio di luglio 2017 il Governo ha manifestato ai partner europei la richiesta di modificare i termini della missione, pianificando in maniera diversa lo schieramento in mare e la distribuzione delle navi nei porti e che l'11 luglio 2017 si è svolta una riunione tra l'Agenzia della guardia costiera e di frontiera europea Frontex e le autorità italiane al fine di rafforzare il sostegno al nostro Paese.
Sappiamo anche che sarebbe stato istituito un gruppo di lavoro incaricato di presentare una proposta di revisione del Piano operativo di Triton e che il primo incontro di questo gruppo si sarebbe svolto il 24 luglio 2017.
Risulta al Comitato – ANSA dell'11 settembre scorso – che la revisione del Piano operativo dell'operazione Triton sarebbe proseguita con due incontri bilaterali a livello tecnico ad agosto e settembre e che vi sarebbe la possibilità di avere il nuovo Piano nei prossimi due mesi, secondo quanto riferito sempre dal direttore dell'Agenzia Pag. 4Fabrice Leggeri. Le chiediamo se anche su questo ci può fornire delle informazioni.
Ministro, ho una domanda un po’ più politica. Mi assumo la responsabilità che lei mi dica che non è questa la sede. Tuttavia, visto che noi trattiamo il tema dell'immigrazione in senso lato, dando per scontato, facendo lei parte della maggioranza, che abbia sicuramente una posizione di favore per lo ius soli, mi chiedevo se potesse dirci se, secondo lei, ci si dovrà attivare per la calendarizzazione o no prima della chiusura della legislatura.
Grazie, ministro. Le cedo la parola.
MARCO MINNITI, Ministro dell'interno. Grazie, presidente. Innanzitutto consentitemi ancora di scusarmi per il ritardo con il quale sono giunto, ma era in corso un Consiglio dei ministri. Tra l'altro, vista la sua rilevanza politica, il ministro dell'interno non poteva essere assente.
Detto questo, cercherò di rispondere in maniera argomentata a tutte le questioni che ha posto, presidente, partendo per un attimo, se è d'accordo e se sono d'accordo i colleghi della Commissione, dalla mia ultima audizione in questa Commissione, che, peraltro, era la prima, quella del 15 febbraio.
Come ricorderete, io ho illustrato in questa sede quali fossero le intenzioni da parte dell'allora appena nominato ministro dell'interno e del Governo per affrontare il tema dell'azione di prevenzione e di controllo dei flussi migratori. Oggi, dopo poco più di sette mesi, mi pare legittimo poter fare un bilancio che dia conto di quanto si è sviluppato rispetto alle dichiarazioni di intenti qui fatte e di quanto sia cambiato.
Come ricorderete, l'obiettivo qui posto era quello di lavorare perché si avesse un atteggiamento del nostro Paese teso a non inseguire quella che avevamo definito una «grande questione epocale», quella dei flussi demografici nel nostro Paese. L'obiettivo era, invece, quello di cercare di governare questi flussi, obiettivo particolarmente impegnativo, ma, a mio avviso, cruciale.
Oggi ci presentiamo qui con un dato, così facilmente riassumibile. Al dato di oggi abbiamo una diminuzione dei flussi in arrivo verso il nostro Paese del 25,7 per cento. Mi consentirete di aggiornarlo a poche ore fa. Naturalmente, si tratta di un dato importante. Tuttavia, consentitemi di definirlo un dato non ancora strutturale. È evidente, infatti, che abbiamo fatto dei progressi sul terreno del governo dei flussi migratori, ma che è ancora presto per poter dire che ci troviamo di fronte a un dato strutturale di diminuzione dei flussi verso il nostro Paese.
Tutto questo è il frutto di una complessa manovra che, come ricorderete, io ho avuto modo già di preannunciare a questo Comitato quando ci siamo qui riuniti. Eravamo nell'imminenza successiva dell'accordo che l'Italia aveva firmato con il governo libico, il Governo al-Serraj, nei primissimi di febbraio. Quell'accordo era stato fatto proprio dalla Commissione europea nell'immediato vertice di Malta che seguì l'accordo firmato a Roma.
Dico subito che esso è frutto di una complessa manovra. Mi sembra sia giusto anche qui, in questa sede, ritornare su ciò che il Governo ha già ampiamente smentito. Il Governo ha avuto modo di smentire tutte le voci riportate dai giornali in più sedi, sia pubbliche, sia di carattere parlamentare. Invece, i numeri di cui stiamo parlando sono il frutto di un'iniziativa di carattere politico e diplomatico.
Come ricorderete, quel Memorandum of understanding aveva tre capisaldi fondamentali. Il primo caposaldo era il governo della frontiera marittima della Libia, questione cruciale, soprattutto in rapporto al controllo delle acque territoriali libiche da parte della Guardia costiera di quel Paese. Allora era un punto nel Memorandum of understanding. Adesso è un bilancio di attività della Guardia costiera libica, che, con dati non riferiti al monitoraggio del Ministero dell'interno italiano, che non è monitoraggio, ma all'attività diretta della Guardia costiera libica, ci porta a dire che nei primi nove mesi di quest'anno la Guardia costiera libica ha effettuato operazioni di salvataggio in acque territoriali libiche per oltre 16.500 persone.
Come ricorderete, quando ne abbiamo parlato, parlavamo di una struttura che aveva molti problemi. Si tratta, tuttavia, di Pag. 5una struttura che ha fatto dei passi in avanti. Non ha complessivamente risolto tutti i suoi problemi, ma, attraverso un'attività svolta congiuntamente dall'Italia e dalla Commissione europea, si può dire tranquillamente che oggi abbiamo di fronte dei passi significativi in avanti.
Qual è l'attività? L'Italia ha trasferito alla Guardia costiera libica quattro motovedette ammodernate. Si tratta di motovedette di proprietà libica che erano state lasciate all'Italia durante la crisi del 2011. Le abbiamo rimesse a posto e riconsegnate. Nel frattempo, abbiamo proceduto alla formazione, secondo gli standard europei, degli equipaggi. Questo l'ha fatto l'Italia. L'abbiamo fatto d'intesa con la Commissione europea e con l'Unione europea.
Oggi abbiamo, peraltro, altre procedure di formazione degli equipaggi che in questo momento stanno avvenendo attraverso una collaborazione con il Dipartimento di pubblica sicurezza del nostro Paese. La precedente formazione è stata fatta dalla Guardia costiera, nonché dalla missione europea a tal uopo definita.
Entro la fine dell'anno trasferiremo ulteriori motovedette, sempre quelle che erano rimaste in custodia in Italia. Verranno restituite progressivamente, con la formazione degli equipaggi, alla Guardia costiera libica, per una ragione semplicissima: è molto importante non soltanto restituire il mezzo, ma soprattutto avere la possibilità di consegnare degli equipaggi che siano in grado di svolgere attività di search and rescue e di controllo delle acque territoriali libiche secondo i criteri che vengono definiti attraverso una collaborazione con le missioni europee.
Il secondo punto del Memorandum of understanding, come ricorderete, era quello relativo al controllo del confine sud della Libia, confine che abbiamo avuto modo di definire già in quella sede. Se poi guardiamo all'evoluzione di quanto è avvenuto, però, possiamo ulteriormente essere convinti che quell'affermazione non fosse un'affermazione campata per aria.
Mi riferisco al fatto che il confine sud della Libia si è sempre di più rivelato, anche agli occhi dei nostri partner europei, come un confine cruciale dell'intera Europa nel rapporto con il Mediterraneo. Si tratta di un confine cruciale per l'Europa secondo due questioni molto importanti. La prima è la lotta al traffico di esseri umani, la seconda è l'azione di contrasto al terrorismo. La questione del controllo e del contrasto ai trafficanti di esseri umani è abbastanza squadernata sotto i nostri occhi. Consentitemi un attimo, invece, di ritornare sul tema del contrasto al terrorismo internazionale.
Nel momento in cui, come appare evidente, abbiamo una sconfitta militare di Islamic State in Iraq già abbastanza dispiegata e in Siria che si sta dispiegando, nel momento in cui dovesse appalesarsi una sconfitta militare cogente e drammatica per l’Islamic State, noi potremmo trovarci di fronte a una rotta individuale, a una diaspora di ritorno di foreign fighters che hanno combattuto in Siria e in Iraq.
Ricordo a questa Commissione, per comodità di ragionamento, che le cifre sulle quali la comunità internazionale converge, che però sono sempre cifre di riferimento (nessuno sa con precisione quanti siano), parlavano di un numero tra 25.000 e 30.000 foreign fighters che hanno combattuto in Siria e in Iraq provenienti da 100 Paesi del mondo.
Naturalmente, una parte di questi foreign fighters probabilmente è morta nei combattimenti in Siria e in Iraq. Nel momento in cui dovesse appalesarsi uno scacco militare per quelle forze sui teatri siriano e iracheno, è possibile e probabile pensare che una parte punterà a ritornare a casa. Per questi soggetti la casa consiste in Paesi dell'Africa settentrionale e Paesi europei.
In questo ambito non è da escludere, anzi è un'eventualità da considerare con una certa attenzione, che, nel momento in cui si passi a una attività di ritorno a casa di carattere individuale – non siamo più all'investimento di un assetto nobile di un'organizzazione presente sul territorio come Islamic State, ma siamo alla fuga individuale – i foreign fighters possano utilizzare, per ragioni anche evidenti di strada aperta, le rotte dei trafficanti di esseri umani. Da questo punto di vista il confine sud diventa, Pag. 6quindi, cruciale contro i trafficanti di esseri umani e in azioni di prevenzione nei confronti dell'antiterrorismo.
Da questo punto di vista in questi mesi noi abbiamo sviluppato una doppia attività per il controllo del confine meridionale. La prima è stata quella di attivare in maniera positiva le tribù che agiscono nel deserto del Sahara. Come voi sapete, le tribù sono fondamentalmente tre: Tebu, Tuareg e Suleiman. Le tre tribù erano state impegnate in anni in un conflitto tra di loro, soprattutto i Tebu e i Suleiman.
Il 31 marzo scorso, successivamente alla nostra audizione, le tre tribù hanno firmato la pace tra di loro firmata e l'hanno firmata a Roma. Ritengo questo punto particolarmente importante, perché esse hanno ritenuto che, oltre al Governo libico, che naturalmente rappresenta l'accordo di pace, fosse importante che l'Italia costituisse un elemento di garanzia nel rapporto di pace tra le tribù. Comprendete che, quando un Paese terzo viene considerato elemento di garanzia tra due parti in conflitto, gli si riconosce anche un ruolo particolarmente rilevante e importante.
Le tribù hanno firmato questo patto, che ha retto anche a numerose tensioni che pure ci sono state e che hanno manifestato la possibilità che potesse riacutizzarsi il conflitto. Queste tribù sono cruciali perché storicamente hanno rappresentato i guardiani del deserto. Poter contare su queste tribù per quanto riguarda il controllo del confine sud e la sua messa in sicurezza era una questione che io considero cruciale per il rapporto con il Governo libico e per il complesso del rapporto con la comunità internazionale, tant'è che oggi possiamo parlare di un progetto ancora più impegnativo. Si tratta di partire da quest'attività per avere un moderno gruppo di guardia di frontiera che, d'intesa con il Governo libico, possa presidiare il confine sud.
Il secondo aspetto, altrettanto cruciale, riguardava un rapporto con i Paesi che confinano con la Libia per quanto riguarda il confine sud, ossia il Niger, il Ciad e il Mali. Noi abbiamo costruito, a livello dei ministri dell'interno, una cabina di regia tra l'Italia, il Niger, il Ciad, il Mali e la Libia. Questa cabina di regia si è riunita più volte, di cui l'ultima a Roma alla fine di agosto, il 28 agosto scorso, in un quadro di fortissima cooperazione. Questo ci porta a dire che abbiamo sviluppato un punto di incontro tra l'attività delle tribù e l'attività degli Stati.
Qual è l'esito di tutto ciò? L'esito sta in questo dato: al momento abbiamo una diminuzione degli arrivi e, quindi, delle partenze dalla Libia di poco più del 25 per cento, come ho cercato di riferire.
Tuttavia, abbiamo un dato che, a mio avviso, è forse un po’ più importante: dal confine sud della Libia abbiamo un meno 35 per cento. Il dato, come comprenderete, è molto importante per una ragione semplicissima: se ci fosse stata soltanto un'attività di blocco sulla costa con un flusso che rimaneva inalterato nel confine meridionale, avremmo corso il rischio che la Libia potesse diventare un collo di bottiglia, una situazione che alla fine avrebbe portato...
PRESIDENTE. Un Paese imbuto.
MARCO MINNITI, Ministro dell'interno. Sì, che avrebbe potuto portare a problemi di stabilizzazione non banali per quel Paese.
Questo al momento non c'è, il che non significa, come vedrete dopo, che non ci siano problemi riguardo alla presenza dei migranti in Libia. Tuttavia, non c'è quell'effetto che poteva essere pensato come uno degli effetti possibili. Ha tenuto anche l'ipotesi del controllo del confine sud della Libia.
In questo ambito abbiamo sviluppato anche un rapporto limpido con il Governo al-Serraj, con il Governo di Tripoli ma, se mi è consentito, anche con le singole comunità libiche, in particolare con i sindaci. Io ho più volte incontrato, sempre d'intesa con il Governo di Tripoli, alla loro presenza, i 14 sindaci delle città principalmente interessate al traffico di esseri umani. Li abbiamo incontrati a Tripoli e a Roma.
Il punto al centro di questi incontri era molto semplice. L'idea era, se volete, anche abbastanza banale e, tuttavia, molto importante, qualora avesse funzionato e dovesse Pag. 7funzionare. Si trattava di un impegno chiesto alle comunità per separare i propri destini dal traffico di esseri umani e, contemporaneamente, stabilire un principio di aiuto per le comunità che avessero separato i loro destini dal traffico di esseri umani.
Questa non è una questione banale, perché negli ultimi anni il traffico di esseri umani è stato un'industria, dannata e maledetta e, tuttavia, un'industria, che ha funzionato. Qualcuno potrebbe dire che forse è l'unica impresa che abbia funzionato in Libia, che abbia prodotto reddito e che abbia distribuito reddito.
Quindi, nel momento in cui ci si pone l'obiettivo di contrastare e sconfiggere il traffico di esseri umani, si deve essere capaci anche di presentare una convenienza positiva alle popolazioni. Una volta si sarebbe parlato di buona moneta che scaccia la cattiva moneta. Questo è il senso del rapporto con i sindaci.
Nel primo incontro che abbiamo fatto, il 13 luglio a Tripoli, loro si sono presentati con alcuni progetti di sviluppo per le loro comunità, che poi sono stati consegnati all'ambasciata italiana a Tripoli. L'ambasciata italiana a Tripoli e il Governo italiano li hanno poi trasferiti alla Commissione europea. Questi progetti, per intenderci, hanno un'operatività a 360 gradi.
Tuttavia, l'aspetto molto importante, se mi è permesso di rilevarlo a questa Commissione parlamentare, è che ogni sindaco, nel momento in cui ha presentato il suo progetto, ha posto come primo punto l'aiuto per le condizioni di vita e di diritti per i migranti che erano ospitati nelle loro comunità. Questo era il primo punto per ogni progetto presentato.
Poi c'erano altre questioni...
PRESIDENTE. Questa è proprio una risposta dell'UNHCR...?
MARCO MINNITI, Ministro dell'interno. Sì, è una questione molto importante.
Poi c'era, naturalmente, tutto il resto, comprendente progetti nel campo della sanità, dell'assistenza ai minori, nelle questioni della scolarità e dell'educazione, questioni più propriamente relative alle infrastrutture e allo sviluppo. L'elemento molto importante è che tutto questo non sia rimasto solo un patrimonio dell'Italia, ma sia diventato un patrimonio anche della Commissione europea.
Noi abbiamo avuto più incontri. In alcuni casi i sindaci hanno incontrato anche la Commissione europea, attraverso occasioni anche qui a Roma. L'elemento importante è che nella riunione del 27 settembre la Commissione europea ha inteso considerare quei progetti come un patrimonio della Commissione europea.
Poi, naturalmente, quei progetti vanno istruiti e finanziati. Tuttavia, il fatto che si sia potuti arrivare a progetti presentati da singole città libiche all'attenzione della Commissione europea, oltre al fatto che l'Italia in ogni caso è impegnata con una propria attività di carattere bilaterale, io lo considero un ulteriore passo in avanti sul terreno della credibilità di costruire un percorso di carattere alternativo.
In quest'ambito, naturalmente, si pone una questione che, a mio avviso, è cruciale. Nel momento in cui la Guardia costiera libica effettua le operazioni di search and rescue di cui ho parlato precedentemente, ossia salva migranti nel Mediterraneo e li riporta in Libia, nel momento in cui è stato giustamente sottolineato che le condizioni di vita nei centri di accoglienza libici sono inaccettabili per la comunità internazionale, si pone il problema di come intervenire.
Si tratta di una sfida da far tremare le vene ai polsi. Tuttavia, penso che sia una sfida alla quale il nostro Paese non solo non possa sottrarsi, ma a cui non intenda sottrarsi. Non intendono sottrarsi l'Italia, il Governo e l'Unione europea. Non è un caso che questo sia diventato oggi il principale obiettivo che ci siamo posti, insieme alla Commissione europea, all'Organizzazione mondiale per l'immigrazione e all'UNHCR.
Voglio qui ricordare che la Libia non ha mai firmato la Convenzione per i diritti dell'uomo di Ginevra del 1951. Pertanto, in precedenza non era possibile che l'Organizzazione delle Nazioni unite potesse entrare in Libia. Posso oggi dirvi che l'OIM e Pag. 8l'UNHCR sono, in questo momento, operative in Libia, con un'operatività che sta progressivamente implementandosi. Naturalmente, c'è sempre un problema che riguarda le garanzie delle condizioni di sicurezza dentro le quali possono operare quelle organizzazioni. Tuttavia, posso garantirvi che esse stanno operando.
In più, il 15 settembre scorso si è fatta anche qui a Roma una riunione del tavolo operativo previsto dal Memorandum of understanding italo-libico sul terreno del contrasto all'immigrazione illegale, ai trafficanti di esseri umani e all'azione contro il terrorismo. Si è fatto questo tavolo, al quale hanno partecipato sia l'OIM, sia l'UNHCR. C'erano le due parti, l'Italia e la Libia, e c'erano anche l'OIM e l'UNHCR.
Io considero quell'appuntamento molto importante. Forse un giorno verrà anche ricordato, ma adesso non è il momento di doverlo ricordare, perché siamo troppo dentro la cronaca di queste ore. Tuttavia, è un evento che non aveva moltissimi precedenti.
In quella sede sono venute fuori due questioni progettuali molto importanti. La prima è che l'UNHCR ha comunicato di aver già visitato 27 sui 29 centri di accoglienza libici. Soprattutto, però, la cosa più importante è relativa al fatto che l'UNHCR ha già selezionato circa mille fragilità tra i migranti presenti in Libia (per intenderci, donne, bambini e anziani) che, ad avviso dell'UNHCR, l'organizzazione internazionale che può decidere questo, hanno diritto alla protezione internazionale.
In sostanza, ci sono già mille persone individuate come degne di protezione internazionale e l'UNHCR ha già predisposto un Piano di ricollocazione di queste mille persone, di queste mille fragilità – le chiamiamo «fragilità», ma sono persone in carne e ossa – in Paesi terzi in tutto il pianeta.
Da questo punto di vista si è costruito con l'Ufficio immigrazione della Libia un canale privilegiato. L'idea è di portare il più rapidamente possibile a compimento questo progetto, ossia di individuare in Libia persone che hanno diritto alla protezione internazionale e di ricollocarle direttamente in Paesi terzi fuori dalla Libia.
È chiaro che siamo all'inizio di tutto ciò. Qualcuno potrebbe dire che è una goccia. Sì, è una goccia, naturalmente. Tuttavia, è un'iniziativa che, se si dovesse affermare, se dovesse diventare un metodo, sarebbe particolarmente importante.
Passo alla seconda questione. L'OIM mi ha comunicato in quella sede di avere effettuato dall'inizio dell'anno circa 7.500 rimpatri volontari assistiti dalla Libia verso i Paesi di provenienza. Naturalmente, anche questa è una cifra non sufficiente, ma è una cifra.
L'impegno che ci si è dati in quel tavolo, attraverso la sottoscrizione di un comune documento, è il seguente: l'OIM si impegna ad arrivare, entro la fine dell'anno, tra 15.000 e 20.000 rimpatri volontari assistiti. In questa sede non c'è bisogno di sottolineare l'importanza del volontario e dell'assistito. Diciamo che mi pare di essere abbastanza chiari tra di noi. L'OIM si impegna a effettuare 15.000-20.000 rimpatri volontari assistiti.
Se questi segnali, ancora oggi piccoli, dovessero affermarsi, è chiaro che potremmo avere, a un dato punto, in un rapporto tra le grandi organizzazioni delle Nazioni Unite, le organizzazioni non governative, libiche o italiane – l'Italia ha messo in campo un bando per l'attività delle organizzazioni non governative italiane in Libia, un bando che verrà rapidamente «risolto» – e le autorità libiche, un «modello di intervento».
Si tratta di un modello di intervento che, naturalmente, punti a non fare della Libia un luogo di ultimo approdo per tutti e che consenta di poter definire le persone che scappano dalla guerra e da condizioni drammatiche e, quindi, degne di protezione internazionale e di ricollocarle fuori dai confini della Libia, nonché di poter lavorare ai rimpatri volontari e assistiti. L'assistenza dovrebbe consentire a coloro che vengono rimpatriati di avere un budget per ricostruirsi un minimo di vita anche dal punto di vista più propriamente lavorativo. Questo è un terreno sul quale ci sentiamo Pag. 9anche molto impegnati, come Governo, e anche come Ministero dell'interno.
Infine, sul terreno del contrasto ai trafficanti di esseri umani, il 30 agosto, se non ricordo male – se la data è sbagliata, voi mi correggerete – si è svolta una riunione a Tripoli tra la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo italiana e la Procura generale di Tripoli. In quella sede si è incominciato un percorso per dar vita a un protocollo di cooperazione, nel campo dell'autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria, di contrasto ai trafficanti e ai terroristi. Questo protocollo dovrebbe essere firmato rapidamente nelle prossime settimane.
Comprenderete che anche questa cooperazione giudiziaria tra Italia e Libia non era una cooperazione «scontata», quando ci siamo visti il 15 febbraio di quest'anno. Il 15 febbraio, naturalmente, è un po’ di tempo fa, ma non sono molti anni fa.
Vi ho raccontato lo stato dell'arte per dirvi che dietro la freddezza dei numeri ci sono, invece, questioni un po’ più complicate. L'approccio più sbagliato che si possa assumere è quello di pensare che ci sia una sola mossa che può risolvere un singolo problema, anche perché, come comprenderete, se fosse stata una sola mossa, non si capisce perché non sia stata fatta prima. È una questione un po’ più complicata, come risulta evidente dalle cose che vi ho riferito.
L'Italia ha fatto da apripista e la questione molto importante, per quanto mi riguarda, è che, in un percorso che ha visto un'evoluzione del rapporto con l'Europa, noi abbiamo fatto dei significativi passi in avanti. Se guardate per un attimo con la vostra mente agli appuntamenti di Tallinn all'inizio di luglio, al vertice di Parigi del 28 agosto, quello a cui hanno partecipato quattro Paesi europei (Francia, Germania, Italia e Spagna), al vertice dei Ministri dell'interno di Bruxelles del 14 settembre, vediamo un'evoluzione.
Basta guardare soltanto i documenti per comprendere che c'è un'evoluzione molto importante nella cooperazione dal punto di vista della condivisione degli obiettivi tra l'Italia e il resto dell'Unione europea. È una cosa non scontata. Come voi sapete, è stata per lungo tempo una vexata quaestio.
Oggi questo ci porta a dire che adesso abbiamo degli impegni. Poi la questione delicata è che, una volta assunti gli impegni, si deve lavorare perché gli impegni siano rispettati. Tuttavia, è già un fatto che da parte dell'Unione europea e della Commissione europea sia stata riconosciuta un'agenda molto impegnativa per l'Africa e che sia stata riconosciuta un'agenda molto impegnativa per la Libia, cosa precedentemente non così facilmente scontata.
Adesso, accanto alla condivisione strategica, occorre guardare un altro aspetto. Come ricorderete, ci siamo soffermati a lungo sull'impegno che la Commissione europea e l'Unione europea hanno preso in rapporto con la rotta balcanica. Si tratta di impegni finanziari consistenti nel rapporto con la Turchia. È del tutto evidente che dobbiamo avere un rapporto con l'Africa e con la Libia che abbia i parametri di riferimento applicati per la rotta balcanica. C'è, quindi, una gigantesca questione riguardante come viene rimpolpato e rafforzato il Trust Fund Africa, che in questo momento è un trust fund molto importante e, tuttavia, non sufficientemente sottoscritto, soprattutto da parte dei singoli Paesi membri.
Perché vi dico questo? Perché è chiaro che sul terreno della credibilità dell'intervento dell'Europa nei Paesi di partenza e nei Paesi di transito si gioca un fortissimo elemento della strategia di cui vi ho parlato. Se di fronte a quell'esigenza, di cui ho parlato, di una riconversione di un'economia criminale in un'economia positiva c'è un pieno impegno anche di risorse, che devono essere significative, è chiaro che tutto ciò proseguirà. Se di fronte a tutto ciò ci dovesse essere un'insufficienza di impegno, è chiaro che potremmo trovarci di fronte a un meccanismo di ritorno indietro, perché, naturalmente, questa è la sfida che abbiamo di fronte.
PRESIDENTE. Mi scusi, ministro, ma naturalmente con Turchia e Tunisia ci sono dei rapporti già importanti anche di collaborazione. Relativamente alla domanda posta prima, è vero che si sono aperte due nuove rotte oggi?
Pag. 10 MARCO MINNITI, Ministro dell'interno. Sì, stavo arrivando anche a questo. Lei me lo consentirà, ma arrivavo anche a questo. Mi scuso se forse la faccio molto lunga, ma era per darvi il senso delle questioni.
Naturalmente, abbiamo parlato adesso della rotta libica. I dati al momento hanno una loro stabilità.
Nelle ultime settimane ci siamo misurati con i dati che vengono dalla Tunisia, dall'Algeria e dalla Turchia. Possiamo citarli. In Tunisia c'è un'impetuosa crescita. Il dato è tale che, al momento, siamo a circa tre volte tanto. Stiamo parlando, per fortuna, di numeri nemmeno lontanamente paragonabili con la rotta libica. Quindi, quando parliamo di tre volte, stiamo parlando sempre di numeri abbastanza contenuti. Poi capirete perché sono numeri abbastanza contenuti. Con l'Algeria sono il doppio e con la Turchia il più 63 per cento.
Tuttavia, se guardiamo al complesso degli arrivi in Italia alla data attuale, il dato può essere così analizzato: 92,5 per cento dalla Libia, 1,7 per cento dalla Tunisia, 1,3 per cento dalla Turchia, 0,8 per cento dall'Algeria, 3,3 per cento rintracci a terra.
Questo è il quadro più preciso della situazione. Quindi, abbiamo numeri che sono nettamente cresciuti. Tuttavia, questa crescita va collocata dentro questa dimensione numerica, che ci porta al momento a non dire che siamo di fronte a rotte alternative. Siamo di fronte soltanto al rafforzamento di rotte che già esistevano, ma non a rotte alternative, se questi sono i numeri e se questi numeri rimarranno.
Naturalmente, è chiaro che su questioni del genere nessuno può guardare nella palla di vetro. Non possiamo cimentarci con ragionamenti di carattere divinatorio. L'unica cosa che possiamo fare, come è giusto, è seguire gli eventi.
A questo riguardo, abbiamo intensificato i rapporti bilaterali soprattutto con due partner molto importanti, la Tunisia e l'Algeria. Nei prossimi giorni si farà una riunione del Comitato tecnico per la sicurezza tra Italia e Tunisia, che è previsto dagli accordi italo-tunisini. Al centro di quel Comitato ci saranno due grandi questioni.
La prima è il tema di un rafforzamento della cooperazione per quanto riguarda le rotte e, quindi, il controllo delle zone del Mediterraneo attraverso una cooperazione in quest'ambito. La Guardia di finanza italiana ha un ruolo che sta già svolgendo, e che ulteriormente verrà implementato, in rapporto con le autorità tunisine.
La seconda questione sarà quella di rafforzare la politica dei rimpatri. Con la Tunisia voi sapete che c'è un accordo di rimpatri, che sta funzionando. L'obiettivo è di implementarlo ulteriormente.
Il secondo Paese è l'Algeria. Io sono stato di recente, ai primi di settembre, personalmente in Algeria e ho incontrato lì il Governo algerino, il ministro dell'interno, il ministro degli esteri e il Primo ministro di quel Paese. Abbiamo rilanciato una cooperazione che era già solida e abbiamo deciso di inviare in Algeria un ufficiale di collegamento delle forze di polizia italiane per avere il massimo di cooperazione, così come abbiamo deciso di aggiornare tutti i trattati di cooperazione che abbiamo tra Italia e Algeria sui temi del contrasto al traffico di esseri umani e all'immigrazione illegale.
Detto questo, consentitemi di fare rapidamente il punto sulle questioni che sono state poste di seguito alla riflessione di carattere più generale che vi ho proposto, anche rispondendo alle sollecitazioni della presidente su questi temi.
Come prima questione, è cambiato, a mio avviso in maniera positiva, anche se non risolutiva, il rapporto con l'Unione europea. Al vertice di Bruxelles del 14 settembre abbiamo assunto una decisione che io considero molto importante, soprattutto per questa Commissione. Si è deciso, in maniera molto impegnativa, che l'Unione europea debba svolgere una politica comune europea per il rimpatrio, che è questione molto delicata. Come sapete, si tratta di una richiesta più volte fatta dall'Italia.
Soprattutto si è deciso di collegare questa politica del rimpatrio al rilascio dei visti di ingresso nell'Unione europea, anche questa una richiesta più volte fatta e oggi concretamente messa all'ordine del giorno. Pag. 11
Qual è il principio? Il principio è quello di stabilire che, se un Paese non accetta i rimpatri anche da un singolo Stato membro è sottoposto a una politica di restrizione dei visti da tutti i Paesi dell'Unione europea. Comprendete che è una cosa particolarmente importante e non banale.
A Bruxelles si è deciso di partire da un esperimento campione, che verrà fatto con il Bangladesh. Si tratta di una questione non banale per l'Italia, perché il Bangladesh tra gli arrivi dei primi nove mesi di quest'anno penso sia il terzo o il quarto Paese conferitore.
L'idea è di incominciare a sperimentare con un singolo Paese in cui è più chiaro che trattiamo flussi che difficilmente possono rientrare nel principio della protezione umanitaria, appunto perché stiamo parlando del Bangladesh. Si tratta di avere un principio in cui, attraverso una politica dei rimpatri fatta comunemente dall'Unione europea, c'è anche una politica di visti. Se non c'è una cooperazione per i rimpatri, i visti legali vengono «esposti» a una discussione.
Io la considero, sinceramente, una iniziativa molto importante, perché, se dovesse andare in porto questa operazione sul Bangladesh e se potesse estendersi, comprenderete che, a un dato punto, potremmo avere una politica europea dei rimpatri. Dio sa quanto ci sia bisogno di avere una politica europea dei rimpatri, in modo che ogni Paese non si senta impegnato da solo in questo tipo di progetto.
In quest'ambito l'Italia ha avuto un aumento del 14 per cento in questi nove mesi per quanto riguarda la politica dei rimpatri e di un più 19,50 per cento per quanto riguarda gli allontanamenti alla frontiera. Ricordo anche che abbiamo avuto dall'inizio dell'anno 82 rimpatri per ragioni di sicurezza nazionale e che siamo a poco più del 24 per cento rispetto alla data uguale dello scorso anno.
Mi sia consentito fare un breve ingrandimento sulle questioni relative alla relocation. Come sapete, la relocation è stata una vexata quaestio nel rapporto con l'Europa. Sapete anche che l'Alta Corte europea ha confermato la legittimità delle relocation e ha respinto il ricorso avanzato da alcuni Paesi. Mi sembra giusto comunicarvi alcuni dati.
Come ricorderete, ero venuto qui per dirvi che al 15 febbraio di questo anno eravamo a circa 3.500 relocation effettuate e che alla fine dello scorso anno eravamo a 2.500. Oggi, per comunicazione corretta, debbo riferirvi che abbiamo 13.622 relocation già individuate con questi numeri, di cui poco meno di 10.000 tra quelle già totalmente compiute e quelle materialmente in corso.
Sono più di 9.000 quelle già completate e poco meno di 10.000 (9.922) quelle che stanno per essere completate. Ci sono 1.350 istruttorie completate e 1.690 avviate. Se fate la somma di 9.922 relocation già attuate, 1.350 istruttorie completate e 1.690 avviate, si arriva esattamente a 13.622.
Naturalmente, si tratta di una cifra non sufficiente. Tuttavia, si vede un delta che, a mio avviso, incomincia a diventare significativo nel lavoro di questi mesi, perché stiamo parlando di un processo che nel giro di nove mesi ci ha portato a fare circa 8.000 relocation in più rispetto a quelle fatte nei primi quindici mesi precedenti. Come ricorderete, le relocation sono incominciate a settembre 2015, quindi stiamo parlando di sedici mesi.
Questo è il dato. Naturalmente, io sono sempre prudente nelle cifre, tuttavia le cifre, quando sono così, si commentano da sole; non c'è bisogno di fare ulteriori considerazioni.
Tuttavia, qual è il dato? Il dato è che si è costruito un rapporto positivo con i Paesi che hanno deciso di accogliere. Voglio qui citare solo due dati. Abbiamo un dato molto positivo con la Germania. Erano 500 al mese e le hanno portate a 750 al mese. Abbiamo un dato molto positivo anche con la Francia. Al Vertice di Lione siamo passati da 50 al mese a 200 al mese. Sono quadruplicate le relocation.
Lo dico perché a volte vediamo che c'è scarsa solidarietà. Quando questa, invece, c'è, è giusto che venga riconosciuto. Qual è il punto cruciale che volevo trasmettervi? Mi pare che in filigrana venga fuori una questione forse un po’ più politica. Qual è Pag. 12la questione politica? Abbiamo tentato in questi mesi di costruire un rapporto con l'Unione europea che avrebbe potuto «limitarsi» soltanto a dire che l'Unione europea non fa abbastanza, cosa obiettivamente, peraltro, vera. Dire questo sarebbe stato un elemento di verità.
Tuttavia, accanto a questo abbiamo pensato anche di mettere in campo un'iniziativa italiana, che ho cercato di descrivervi. Cos'è in filigrana che io leggo dal punto di vista del carattere politico? A mio avviso, questo è il modo per stabilire il rapporto più corretto tra la realtà nazionale di un singolo Paese e le realtà sovranazionali, in questo caso multilaterali, come la Commissione europea.
Io, che sono un europeista convinto, sono altrettanto convinto, tuttavia, che, se vogliamo rafforzare e ricostruire un rapporto forte tra l'Europa e i popoli europei, dobbiamo in qualche modo innervare l'agenda europea con una forte agenda di carattere nazionale. Deve essere, cioè, evidente che attraverso un'agenda nazionale si produca anche un cambiamento a livello europeo.
Se ci pensiamo, se è lecito forse trarre una valutazione di carattere più generale in questo, si può vedere in controluce ciò che è avvenuto: l'Italia ha fatto delle cose e, a un dato punto, ha impegnato l'Europa a muoversi in quella direzione e ad essere più rispondente anche alle richieste che la stessa Italia le faceva.
Aggiungo due ultime considerazioni e poi mi taccio. Come sapete, ci siamo impegnati per un progetto di accoglienza diffusa. L'idea che ho qui illustrato il 15 febbraio scorso era quella di dover lavorare attraverso un rapporto, che abbiamo stretto poi, con l'Associazione nazionale dei comuni d'Italia per avere una distribuzione il più possibile molecolare sul territorio nazionale. Abbiamo firmato un accordo con l'ANCI.
Oggi la situazione ci dice che il 39 per cento dei comuni italiani aderisce ai processi e ai progetti di collocazione degli aventi diritto richiedenti asilo nel nostro Paese. Abbiamo fatto un passo avanti, a mio avviso, ancora non sufficiente.
È chiaro che, se potessimo incrementare significativamente il numero dei comuni che accolgono, potremmo rafforzare di più un mio intendimento che in ogni caso intendo perseguire, cioè quello di avere un processo di superamento dei grandi centri di accoglienza.
I grandi centri di accoglienza, per quanto possano essere ben gestiti, non hanno una capacità di essere strettamente funzionali a un processo di integrazione. L'accoglienza diffusa, invece, ci consente di pensare a processi che siano più attenti ai meccanismi di integrazione. L'accoglienza diffusa e i piccoli numeri sul territorio rendono un rapporto meno diffidente con il territorio.
In terzo luogo, i piccoli numeri ci consentono di avere un equilibrio tra il diritto di chi è accolto e il diritto di chi sta accogliendo. A mio avviso, questi sono due punti cruciali dentro un equilibrio democratico di un Paese che intende «preservare» il suo equilibrio democratico.
Da questo punto di vista stiamo lavorando in riferimento alla conversione in legge dei decreti, in particolare quello sull'immigrazione, per la costituzione dei centri per i rimpatri che, naturalmente, come è noto – l'abbiamo già spiegato il 15 febbraio – sono un'altra cosa rispetto ai centri per l'identificazione e l'espulsione. Sono un'altra cosa. Sono piccoli centri, collocati uno per ogni regione. Attraverso un processo di cooperazione con le regioni siamo arrivati a individuarne già 11 e continueremo a individuarne altri. La nostra linea è quella di avere una cooperazione positiva con le regioni, il più possibile concordando con loro.
Per quanto riguarda le indiscrezioni di stampa, c'è un indirizzo. L'indirizzo è quello di superare i grandi centri di accoglienza e di puntare sull'accoglienza diffusa. Tutte le indiscrezioni di merito sono destituite di ogni fondamento.
Io ho enucleato a Torino, all'incontro, un principio. Naturalmente, si è subito andati a vedere cosa potesse essere. Tutto questo, voi comprenderete, ha bisogno di un rapporto con il territorio che deve essere fortemente coordinato. Pag. 13
Tengo, infine, prima di arrivare a due questioni specifiche poste dalla presidente, a richiamare la vostra attenzione su una questione che non mi è stata posta ma che ritengo molto importante, ossia la presentazione del Piano per l'integrazione.
PRESIDENTE. ...era riservata ai commissari.
MARCO MINNITI, Ministro dell'interno. Come ricorderete, io avevo detto che l'avrei presentato. Poi, naturalmente, ognuno può esprimere un giudizio di merito. Tuttavia, per la prima volta il Governo italiano presenta un Piano organico per l'integrazione. Si tratta di un Piano organico fondato su un principio di equilibrio tra diritti e doveri. Aggiungo anche che i diritti e i doveri si basano su un presupposto, a mio avviso, fondamentale, quando c'è un Piano di integrazione. Esso naturalmente riguarda coloro che hanno avuto riconosciuta la protezione internazionale. Non riguarda i richiedenti asilo, ma coloro che hanno avuto già una protezione internazionale, che sono più di 75.000. Questo occorre spiegarlo, altrimenti entriamo in un trip che crea soltanto confusione.
Il Piano comprende questioni relative a un percorso positivo con l'istruzione, la formazione e l'apprendimento della lingua italiana, un percorso verso il lavoro e verso la possibilità che vengano riconosciuti i diritti fondamentali. Tutto questo, però, avviene dentro un sistema di riconoscimento reciproco. Qual è il principio fondamentale? Il principio fondamentale è che, nel momento in cui noi riconosciamo un Piano di integrazione, lo facciamo sulla base di un elemento che io considero molto importante, ossia dei valori fondativi di una società che accoglie e integra.
Quali sono i valori fondativi? I valori fondativi – penso che possano essere riferiti; lo dico comunemente, pensando così di interpretare veramente il sentimento di un Paese – sono quelli che possono essere stati interpretati dai Padri costituenti nel momento in cui hanno dato vita alla prima parte della Costituzione italiana, quella dei princìpi. Non è un caso che in tutti i vari tentativi di modifica della Costituzione italiana ciascuno schieramento politico non abbia mai affrontato il tema dei princìpi fondativi. Io penso che quello sarà presente.
Qual è l'elemento che voglio rilevare? Noi affrontiamo un processo di integrazione con dei diritti forti, non con un Paese che va all'appuntamento con l'integrazione con la bandiera bucata dei propri valori, ma con diritti e valori forti che, naturalmente, poi si confrontano nella formazione culturale con coloro che in questo Paese hanno trovato protezione internazionale. Si tratta di valori forti che fanno riferimento alla laicità dello Stato e che non possono consentire che lo Stato sia sottoposto a legislazione di carattere religioso, come, per esempio, la sharia.
Sono valori forti che riguardano il rapporto di parità tra donna e uomo, questioni fondamentali di cui il nostro Paese oggi è protagonista. Su questo punto – consentitemi di dirlo – i princìpi sono non negoziabili. Quando si istituisce un rapporto di integrazione, di confronto e di cultura con altre culture e con altre storie, è giusto stabilire che ci siano princìpi non negoziabili. Questi, se mi consentite, per quanto mi riguarda, sono i princìpi che fanno riferimento alla prima parte della nostra Costituzione e sono valori importanti, non negoziabili.
Infine, svolgo due ultime considerazioni di merito e poi mi taccio. Qual è l'evoluzione della discussione intorno a Schengen? Siamo nel Comitato Schengen, ça va sans dire. Il 27 scorso la Commissione europea ha affrontato questo tema.
Come voi sapete, c'è una discussione dentro i vari Paesi dell'Unione europea, una discussione importante. Tuttavia, a me è parso particolarmente rilevante il fatto che la Commissione europea abbia stabilito dei paletti, che possiamo qui riepilogare.
Il primo riguarda la libera circolazione delle persone e delle merci, che è un elemento cruciale dell'Unione europea. Se non c'è libera circolazione delle persone e delle merci dentro l'Unione europea, l'Unione europea viene meno. Tutto questo comporta Pag. 14 la necessità di rafforzare i controlli esterni alla frontiera europea.
Nella riunione del 27 si è molto lavorato su questo, sul ruolo di Europol e sul ruolo di Frontex. Se ci pensate un attimo, ciò di cui abbiamo parlato prima è il controllo delle frontiere esterne, non è chiacchiera. Quello di cui abbiamo parlato prima in merito alla Libia, al rapporto con la Tunisia, al rapporto con l'Algeria è controllo delle frontiere esterne. Essendo noi, peraltro, un Paese di frontiera, abbiamo fatto la nostra parte sul controllo delle frontiere esterne.
Tuttavia, qual è il dato più importante? Il dato è che qualunque elemento di intervento di sospensione degli accordi di Schengen debba essere vincolato a ragioni effettivamente connesse alla sicurezza nazionale. Può essere implementato da sei mesi a un anno. Tuttavia, qual è il punto fondamentale? Il punto è che ci deve essere una forte motivazione relativa alla sicurezza nazionale. Deve essere, cioè, evidente che la sospensione di Schengen è una misura eccezionale, non una misura «ordinaria».
Da questo punto di vista l'elemento più importante è che, nel momento in cui la questione dovesse, per esempio, riguardare non tanto questioni relative alla protezione delle frontiere per ragioni di sicurezza nazionale e, quindi, di contrasto al terrorismo, ma anche la questione relativa ai cosiddetti movimenti secondari, noi pensiamo che, per quanto riguarda i movimenti secondari, si debba ragionare di più in termini di controlli di polizia e di cooperazione transfrontaliera, non attraverso una sospensione di Schengen.
A proposito di cooperazione di polizia e di cooperazione transfrontaliera, debbo anche dirvi che abbiamo cooperazioni che, per quanto riguarda i Paesi confinanti con l'Italia, sono particolarmente virtuose. Siamo stati a Lione, dove è stato riconosciuto che la cooperazione italo-francese nel campo della polizia è una cooperazione modello ed esemplare. La stessa cosa riguarda la cooperazione con l'Austria.
Come ricorderete, si era parlato di schierare l'esercito durante l'estate. L'estate è passata. Punto. Abbiamo dubbi che sia passata? Mi pare che sia passata.
Io lo ricordo così, perché a volte siamo presi dalla dinamica del day-by-day, per cui una questione è importantissima, poi si esaurisce e nessuno fa un bilancio della questione che si è esaurita. Poiché il mio compito è questo, ogni tanto devo anche richiamarvi cortesemente a fare anche soltanto mentalmente un bilancio, non per altro, ma soltanto per ricordarsi le questioni.
Queste questioni io le ho richiamate in una mia lettera che ho inviato personalmente al commissario europeo Avramopoulos. Ho visto, almeno nella riunione del 27, che c'è stata una sintonia tra l'attività della Commissione europea e quello che l'Italia pensava. Naturalmente, il percorso non è ancora concluso, perché tutte queste cose poi diventeranno elementi di decisione che verranno presi nei vertici dei Capi di Stato e di Governo.
Debbo anche aggiungere che su questi temi, soprattutto sulle questioni relative al controterrorismo, il rapporto tra attività di controterrorismo e il web, noi faremo, il 20 ottobre prossimo, il G7 dei ministri dell'interno a Ischia. Su questi temi avremo la possibilità di raffrontarci non soltanto nel G7 dell'interno, ma anche con la Commissione europea e l'Unione europea che, come voi sapete, partecipano a queste riunioni.
Infine, l'ultimissima considerazione è relativa ai permessi umanitari. Le cifre sono grosso modo quelle che ha citato la presidente. Lei parlava di poco più di 75.000. Siamo a poco più di 77.000, ma le cifre sono quelle riferite.
Come ricorderà, presidente, per aver io avuto modo di rispondere anche a un question time che lei ha voluto cortesemente rivolgermi non più di qualche settimana fa, noi pensiamo che ci sia una specificità di questo modello di intervento nazionale e che, tuttavia, non sia una specificità assoluta. Altri Paesi europei hanno istituti simili al nostro.
Abbiamo anche pensato che da questo punto di vista ci sia una piena legittimità di carattere di diritto nel nostro Paese attraverso vari pronunciamenti della Corte di Pag. 15cassazione. È del tutto evidente che, per quanto ci riguarda, noi pensiamo che su tali questioni ci debba essere un'attenzione particolarmente importante, che ci porti a dire che tutte queste misure di protezione internazionale, di cui il nostro Paese va fiero, debbono essere sempre, naturalmente, il frutto di attività di carattere identificativo dei diritti che devono essere svolte nel rispetto rigorosissimo delle leggi e delle disposizioni esistenti.
Approfitto per dirvi una cosa: nel decreto sull'immigrazione, convertito poi in legge, come ricorderete, è prevista la possibilità, che poi è diventata legge, del superamento di un grado di giudizio con riguardo al percorso per la definizione di coloro che hanno diritto alla protezione internazionale. L'obiettivo era quello di ridurre i 24 mesi, ancora oggi tempo necessario per avere la risposta al diritto o meno di protezione internazionale, nel tempo a 6 mesi, con superamento di un grado di giudizio e individuazione di 250 nuovi specialisti che il Ministero dell'interno assumerà, da indirizzare immediatamente per le Commissioni territoriali che, a tal uopo, stanno agendo sul territorio.
Mi serviva riferirvi che il concorso è stato già avviato e che l'obiettivo che ci siamo posti è di concludere entro la fine dell'anno. Se comprendete, i tempi sono particolarmente ristretti. A questo punto, potremmo avere un'implementazione della capacità operativa delle Commissioni territoriali che diventa particolarmente significativa, perché questi 250 specialisti costituiranno la spina dorsale delle Commissioni.
Coloro che conoscono un po’ più da vicino questi percorsi sanno quanto sia importante avere nelle Commissioni territoriali personale attrezzato, che conosca le lingue, che conosca la mediazione culturale, che sia capace di rapportarsi in maniera molto rapida e, quindi, di poter fornire l'indirizzo a coloro che si rivolgono a queste Commissioni in attesa di avere la risposta.
Io penso – e ho concluso – che l'idea di ridurre da due anni a sei mesi i tempi di definizione di una pratica sia un principio che innanzitutto ha a che fare con la tutela del richiedente asilo, perché è del tutto legittimo che colui che richiede un diritto abbia bisogno di avere tempi certi e il più possibile ristretti per avere una risposta alla domanda che ha posto, soprattutto se si tratta di princìpi che hanno a che fare con diritti fondamentali delle persone che, in quel momento, li rivolgono a un altro Paese.
Grazie. Mi scuso per averla fatta molto lunga.
PRESIDENTE. Grazie a lei, ministro. Il dato che chiedo sempre sui permessi umanitari magari si può fornire in futuro. Non si tratta tanto di conoscere il numero, quanto di sapere di questi permessi rilasciati quanti sono stati rinnovati. Questo è il numero che non riusciamo ad acquisire.
Ho capito che lo ius soli non è territorio ma, se volesse, ci farebbe una pagina di giornale. Più che altro, sui tempi di Triton ha qualcosa da dirci?
MARCO MINNITI, Ministro dell'interno. Dei tempi di Triton mi ero dimenticato. Poi diremo qualcosa anche sullo ius soli.
I tempi di Triton sono quelli che lei ha tracciato, presidente. In questo momento sta operando un gruppo di lavoro da noi richiesto. Come ricorderà, abbiamo chiesto che venisse rivisto il Piano d'azione di Triton. La deadline è il 31 dicembre, perché Triton si rinnova entro il 31 dicembre. Nel momento in cui si rinnova, è chiaro che ha bisogno di un action plan. Stiamo ragionando. In questo momento, la discussione è tra Frontex e l'Italia. Poi, naturalmente, tutto questo si allargherà ai singoli Stati membri.
Infine, sullo ius soli, per quanto mi riguarda, come ho già avuto modo di dire, penso che sul tema dello ius soli – adesso non voglio urtare le suscettibilità di coloro che non la pensano come me – ci sia ampiamente un riconoscimento reciproco del rispetto delle posizioni date. Tuttavia, io ho un profondo convincimento, che lo ius soli debba essere separato in maniera molto netta dalle politiche migratorie.
Io ho parlato di politiche migratorie. Non è un caso che non abbia parlato dello Pag. 16ius soli, perché lo ius soli non c'entra con le politiche migratorie. Riguarda persone che sono nate in Italia e che sono figlie di persone che hanno già un permesso di soggiorno riconosciuto. Lo ius soli, tra l'altro, è una determinazione, a mio avviso, insufficiente. Forse la cosa migliore sarebbe chiamarlo insieme «ius soli» e «ius culturae», perché la legge che è stata approvata alla Camera tiene conto di entrambi i criteri, ossia il principio della nascita e il principio di avere formato almeno un ciclo scolastico compiuto. L'idea è del completamento di un percorso, che non è esclusivamente legato al luogo di nascita, ma è dato da una acquisizione di carattere culturale. Un ciclo scolastico in Italia è un percorso molto impegnativo.
Mi si consenta, infine, di dire questo: io considero, invece, lo ius soli molto relato alle politiche di integrazione. Il mio profondo convincimento è che nei prossimi quindici anni delle grandi democrazie del mondo, non soltanto dell'Italia, un pezzo di futuro di queste democrazie si giocherà sulla capacità di gestire politiche di integrazione. È evidente. Basta soltanto guardare quello che è successo in giro per il mondo, ma guardando con più particolare attenzione all'Europa.
Se guardiamo gli attacchi che l'Europa ha subìto negli ultimi due anni da parte del terrorismo integralista, notiamo che li ha subìti nella stragrande maggioranza dei casi da persone che non venivano dalla Siria o dall'Iraq, ma erano figlie dell'Europa, probabilmente figli di una mancata integrazione, o di una non sufficiente integrazione.
È per questo motivo che ritengo che pensare le politiche di integrazione sia strettamente collegato – sì, in questo caso – alle politiche di sicurezza. Le politiche di integrazione hanno un'interrelazione con le politiche di sicurezza. Un Paese che sa integrare meglio è un Paese che, a mio avviso, costruisce meglio i suoi percorsi di sicurezza. Per questo motivo penso che il riconoscimento di un percorso insieme di nascita e di cultura di giovani generazioni giovi a quelle giovani generazioni, alcune delle quali, per esempio, pensano che il loro futuro sia non soltanto stare nel nostro Paese, ma anche servire il nostro Paese in funzioni particolarmente importanti per la sicurezza nazionale.
Io non potrò mai dimenticare – è stata una pura coincidenza, presidente – che al primo corso cui mi hanno chiamato a premiare degli allievi carabinieri, il primo e ultimo (probabilmente non ne farò più, perché si faranno l'anno prossimo), la cosa più singolare avvenuta è stata che il primo del corso fosse un giovane figlio di genitori indiani. Era il primo del corso, non l'ultimo del corso.
Noi dobbiamo pensare a un ragazzo figlio di genitori indiani che ha maturato nella sua testa l'idea di poter addirittura partecipare al corso di allievo carabiniere e di farlo con tale passione da arrivare a essere il primo del corso. Non si capisce per quale ragione, di fronte a una tale volontà, gli si debba dire che deve aspettare fino al diciottesimo anno di età. Perché? Mi chiedo io. A questo ragazzo avremmo potuto dare la cittadinanza quando era già il primo del corso dell'Arma dei carabinieri e non un poco prima. Lo dico soltanto per un fatto semplicissimo, ossia avere sempre un principio di reciproco riconoscimento, che, a mio avviso, non osta da questo punto di vista.
Infine, consentitemi un'ultima considerazione e finisco. Poi, naturalmente, discuterà il Parlamento, come è giusto che sia, anche il Senato, legittimamente. Posso, tuttavia, esternarvi una mia convinzione: questioni di questo tipo vanno oltre l'adesione o meno a una maggioranza di governo. Sono questioni che impattano le singole forze politiche e i singoli parlamentari. Sono quelle grandi questioni sulle quali, a un dato punto, il Padre costituente ha pensato che i parlamentari non avessero vincolo di mandato. Pensava alle grandi questioni di principio.
Se posso permettermi, questa è una di quelle questioni su cui ognuno poi si esprimerà come legittimamente pensa. Tuttavia, su questa questione non è che funzionano «ordini» da dentro una maggioranza. Sono questioni che hanno a che fare più con il rapporto di un singolo parlamentare con Pag. 17una singola questione. Sono questioni che riguardano i princìpi.
Dicendo questo, non voglio assolutamente affermare che valga soltanto per coloro che vogliono rispondere «sì» a questo principio. Vale anche per coloro che intendono rispondere «no». Abbiamo a che fare con questioni di principio, con grandi questioni che interrogano direttamente le formazioni politiche, che legittimamente si esprimeranno, e che interrogano legittimamente i singoli parlamentari, i quali, altrettanto legittimamente, si esprimeranno.
A questo punto, penso di essermi costituito e di aver risposto a tutte le domande.
PRESIDENTE. È il ministro più generoso che abbiamo avuto in audizione. Scusi se la teniamo ancora con qualche domanda dei commissari, anche se ha risposto davvero a tutti. Volevo almeno lasciare il Piano di integrazione al Vicepresidente Brandolin, ma ha detto tutto.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
PAOLO ARRIGONI. Grazie, presidente. Grazie, ministro. Con il Piano operativo di Triton che è stato approvato nell'ottobre 2014 è stato praticamente deciso che l'Italia si dovesse far carico di tutti i salvati attraverso l'operazione e il coordinamento del Centro marittimo di Pratica di Mare. Purtroppo, questo Piano operativo è stato tenuto nascosto al Paese e anche al Parlamento.
Ricordo che qui si è avviata un'indagine conoscitiva sulle ONG, iniziata e conclusa anche in Commissione difesa al Senato, con un documento da cui lei ha tratto elementi per elaborare il Codice delle ONG. Non ritiene che di fronte a una questione di questo genere il Governo abbia attuato una scarsa o nulla trasparenza?
A proposito di trasparenza, ministro, perché nel cruscotto giornaliero dal 18 aprile non sono più indicate le presenze dei richiedenti asilo e dei rifugiati nel sistema di accoglienza? Da oltre cinque mesi e mezzo, ministro, non ci sono più questi dati. Poiché il sistema di accoglienza cuba due terzi – lo dice il Ministro Padoan – in ordine alla spesa del sistema dell'immigrazione, io ritengo questa una cosa grave.
Peraltro, non capisco, ministro, come mai gli ultimi dati disaggregati a cui si è potuti risalire intorno all'8 settembre dicono che nel sistema di accoglienza ci sono 196.000 presenze. Erano 176.000 alla fine dello scorso anno e hanno richiesto asilo, dall'inizio dell'anno a poco più di qualche settimana fa, l'8 settembre, oltre 100.000 immigrati. Se tanto mi dà tanto, oggi mi dovrei trovare nel sistema di accoglienza almeno 250.000 presenze, posto che è vero che i ricollocamenti sono aumentati, ma che stiamo parlando di poche migliaia.
Io, quindi, mi domando e le domando: dove sono andate a finire queste persone? Non è che per caso, in relazione alla circolare del Prefetto Morcone dello scorso anno, la quale prevedeva che chi avesse ottenuto una protezione internazionale umanitaria sarebbe rimasto nel centro di accoglienza per altri sei mesi, eventualmente rinnovabili, da un po’ di tempo a questa parte ci sono richiedenti asilo che ottengono la protezione e che vengono immediatamente buttati fuori dal sistema di accoglienza senza alcuna protezione?
Ministro, ad oggi, quante sono le presenze nel sistema di accoglienza, tra CPA, hotspot, Centri di accoglienza straordinari e centri SPRAR? Quelle 75.000 persone a cui lei si riferisce con il Piano di integrazione sono persone che sono oggi nel sistema di accoglienza, oppure, se sono fuori, senza protezione, sono persone che lei intende recuperare?
Con riguardo alle richieste di asilo, l'8 settembre ne erano pendenti 151.000. In pari data quelle esaminate erano 53.000, contro le 63.000 dello stesso periodo dello scorso anno. Lei ha detto che sta facendo il bando per assumere le 250 persone che andranno a integrare le Commissioni territoriali. Di fatto comunque c'è un calo del 15 per cento delle domande esaminate. Come mai c'è questo calo e non, invece, un aumento dell'esame delle richieste di asilo?
A proposito della manifesta infondatezza, la Commissione europea, il 4 luglio, Pag. 18ha invitato l'Italia a velocizzare l'esame delle domande di primo grado in fase di ricorso, ma ha anche chiesto di ricorrere all'istituto dell'inammissibilità delle domande. A che punto siamo? Lei intende riscontrare questa richiesta da parte della Commissione europea?
Infine, ho due ultime domande. Dall'analisi delle nazionalità degli ingressi (a ieri erano 107.028) emerge ancora che le prime nazionalità sono sei, ossia Nigeria, Guinea, Bangladesh, Costa d'Avorio, Mali e Senegal, che non hanno bisogno di protezione internazionale, a conferma che in Italia arrivano soprattutto migranti economici e del fatto che ormai il settembre 2017 è già oltrepassato e siamo ben distanti dai 40.000 ricollocamenti.
Lei ha detto prima, ministro, che fino a pochi giorni fa eravamo a 13.000 procedimenti avviati. Alla fine dello scorso anno, però, erano 6.000, perché, in realtà, il fallimento non è legato all'egoismo degli altri Paesi, ancorché sia presente in taluni, ma al fatto che in Italia arrivano migranti economici e non persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale.
Voglio chiederle, però, in particolare, due aspetti. Solo il 25 per cento dei marocchini, che sono oltre 5.000, chiede asilo e sono pochissimi i migranti del Sudan (sono 5.500 a ieri). Meno del 4 per cento chiede asilo. Che fine fanno gli altri? Dove sono, posto che il Sudan è un Paese in cui le persone hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale?
Infine, sulla protezione umanitaria – tocco anch'io il tema – il 25 per cento di richieste ottiene la protezione umanitaria, che viene riconosciuta anche nei casi di integrazione, ossia se un richiedente è qui da anni, parla un po’ di italiano o ha un contratto di lavoro, spesso con connazionali, poco prima dell'audizione. In base a quale legge viene riconosciuta, in questi casi, la protezione umanitaria?
Infine, vorrei sapere, in merito al Piano nazionale di integrazione, se ci può dire qualcosa in ordine ai costi di questo Piano, che tocca 75.000 persone, almeno per partire, e quali sono le fonti di finanziamento.
PRESIDENTE. Grazie, senatore. Alle 16 il ministro deve andare, ragion per cui prego tutti di stringere, altrimenti non ascoltiamo le risposte.
LAURA FASIOLO. La ringrazio, ministro, per l'analisi precisa che ha fatto e soprattutto mi rende orgogliosa aver verificato tutte queste veloci trasformazioni in positivo. Siamo riusciti a intensificare il sistema dei controlli e anche il sistema dei rapporti con le nostre frontiere a vari livelli e soprattutto siamo stati in grado – lei è stato in grado – di fare più Europa, un'Europa più responsabile. Di questo raccogliamo già tutti gli effetti positivi.
Faccio una piccola sottolineatura. Naturalmente, non tutto può essere perfetto, perché in una realtà tanto complessa ci sono delle fasi ancora di difficoltà e di problematicità. Esse sono relative alla fase transitoria, quella che va dall'eliminazione dei CARA (vedi CPR) agli SPRAR. Veramente non c'è una sensibilità ancora tanto generalizzata e diffusa da parte di tutti all'accoglienza. È questo il tema su cui noi dovremmo lavorare. Ci vorranno tempi lunghi per questo e soprattutto ci vorrà quello che lei ha annunciato, ossia questo Piano dell'integrazione, fondato sui princìpi fondamentali, su valori di cui tutti, soprattutto gli amministratori, dovranno farsi interpreti.
In questi giorni si trovano, per esempio, nel nostro territorio ancora un sacco di migranti che scendono dalla frontiera e che non trovano alcuna collocazione, proprio perché non si arriva ad allargare quel meno del 50 per cento della disponibilità all'accoglienza. Le chiedo solamente, in questa fase, di aiutare quanto prima lo svuotamento del CARA e a monitorare le situazioni di maggiore criticità.
Grazie per quello che sta facendo.
MASSIMO ARTINI. Ministro, ho una domanda relativamente alla configurazione europea che si potrebbe venire a creare dopo un'eventuale strutturazione di una PESCO franco-tedesca relativa a un'area non di nostra competenza. Chiedo se c'è da parte nostra, da parte del Governo, un Pag. 19lavoro per creare una cooperazione strutturata e permanente che riguarda il Nord Africa e, in particolare, la Libia, per fare in modo di agire.
Lei ha riferito tutta una serie di piccoli passi, ma quello potrebbe garantire una legittimità europea in cui noi potremmo avere un ruolo predominante, in un ambito anche di framework legale completamente diverso. Questo è un lavoro in atto, oppure no?
GIORGIO BRANDOLIN. Grazie, signor ministro. Condivido e passo alle domande.
Il Sottosegretario Gozi, quindici giorni fa, ha parlato di una richiesta di far parte dell'area Schengen da parte di Romania, Bulgaria e in parte anche della Croazia. Ha notizie più precise? Il sottosegretario aveva rimandato a lei. Ciò interessa tantissimo, ovviamente, la nostra zona del Friuli. È inutile che le spieghi le difficoltà tra la Slovenia e la Croazia.
Passo alla seconda domanda. Lei ha parlato di un contingente, se non ricordo male di 1.500 uomini europei, per il controllo delle frontiere. Ormai un anno fa si è parlato di questa costituzione. Volevo capire se la stanno usando l'Ungheria e la Slovenia oppure se la stiamo usando noi, sulla parte sud dell'Europa.
Come terza domanda, se ho ben capito, sulla chiusura dei grandi centri – abbiamo sentito la presidente fare la domanda su Gradisca e Bari – non c'è ancora niente di preciso. Se c'è, vorrei saperlo.
Infine, sul discorso fondamentale del lavoro che fanno le organizzazioni nei centri in Libia a che punto siamo? Lei prima ha parlato di 27 su 29 centri già visitati, mi sembra di aver capito. Qual è l'impegno del nostro Paese? Credo che sia anche questo un problema che dobbiamo affrontare e che risolverà, secondo me, alcune tensioni.
Infine, come pensate di stimolare con l'ANCI quel 40 per cento per farlo diventare il 50-60 per cento?
PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Minniti per la replica.
MARCO MINNITI, Ministro dell'interno. Le questioni sono innumerevoli, ragion per cui, se me lo consentirete, vi trasferirei risposte precise soprattutto dal punto di vista numerico. Non voglio «dare i numeri», anche perché vedo che siete particolarmente attenti ai numeri, quindi, non voglio darne.
Se me lo consentirete, vi trasmetterò a stretto giro tutti i dati qui richiesti, con tutti i commenti necessari e anche con le risposte di carattere più propriamente «politico». Questo per una ragione semplicissima: se comincio a darle, vorrei finire. Mi consentirete di osservare che in pochi minuti rischiamo di dover scegliere fior da fiore. Questa è la cosa, a mio avviso, forse più sbagliata.
Pertanto, se posso contare sulla vostra benevolenza, vi farò arrivare a stretto giro tutte le risposte verbalizzate (vedi allegato). Vi ringrazio veramente per aver avuto la pazienza di ascoltarmi per così lungo tempo. Grazie ancora.
PRESIDENTE. In realtà, siamo noi che ringraziamo lei. Voglio ringraziare anche chi l'accompagna, ossia il senatore Achille Passoni, Capo Segreteria del ministro, il Prefetto Felice Colombrino, coordinatore dell'attività dell'ufficio stampa, il Prefetto Marco Valentini, Capo ufficio legislativo, la dottoressa Antonietta Orlando, direttore dell'Ufficio I coordinamento Ufficio legislativo, e il dottor Angelo De Prisco, Direzione dell'Ufficio X relazioni parlamentari.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15.45.
Pag. 20ALLEGATO
RISPOSTE TRASMESSE DAL MINISTRO DELL'INTERNO
SENATORE MARCO MINNITI
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