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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 17 di Giovedì 27 novembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI FLUSSI MIGRATORI IN EUROPA ATTRAVERSO L'ITALIA, NELLA PROSPETTIVA DELLA RIFORMA DEL SISTEMA EUROPEO COMUNE D'ASILO E DELLA REVISIONE DEI MODELLI DI ACCOGLIENZA

Audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle politiche europee, Sandro Gozi.
Ravetto Laura , Presidente ... 2 
Gozi Sandro (PD) , sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle politiche europee ... 3 
Ravetto Laura , Presidente ... 7 
Gozi Sandro (PD) , sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle politiche europee ... 7 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Mazzoni Riccardo  ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 10 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 10 
Mazzoni Riccardo  ... 10 
Ravetto Laura , Presidente ... 11 
Gozi Sandro (PD) , sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle politiche europee ... 11 
Ravetto Laura , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 14,10.
  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle politiche europee, Sandro Gozi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle politiche europee, Sandro Gozi. Ricordiamo che il sottosegretario Gozi, che ringraziamo, è stato con noi lo scorso aprile ed oggi è presente al fine di darci un aggiornamento. Sottosegretario, per noi il suo intervento è prezioso, anche perché abbiamo ascoltato nuovamente il Ministro dell'interno Alfano, il quale, da una parte, ci ha dato degli elementi di novità in merito al passaggio dall'operazione Mare Nostrum all'operazione Tritone e, dall'altra, ci ha spiegato un po’ lo stato delle discussioni a livello europeo per ciò che riguarda sia il Regolamento di Dublino, sia l'assistenza ai profughi sulle coste africane.
  In questo senso, le saremmo grati se volesse darci, in primo luogo, il suo punto di vista, che abbiamo chiesto ovviamente anche a tutti i ministri competenti, su questo passaggio dall'operazione Mare Nostrum all'operazione Tritone. Vorremmo sapere se lei ha delle novità, per esempio, relativamente al numero dei partecipanti o alla consistenza della partecipazione dei singoli Paesi.
  In secondo luogo, lo stesso Presidente del Consiglio si è recentemente pronunciato sullo stanziamento delle risorse per questa nuova operazione europea, quindi vorremmo un suo commento in questo senso. Il Ministro dell'interno Alfano, nel corso della sua recente audizione, ci ha parlato della necessità, secondo lui, di creare sulle coste africane dei presìdi di assistenza per il riconoscimento del diritto d'asilo. Non le nego, sottosegretario, che questo Comitato prima che arrivasse il Ministro a dire ciò discuteva da mesi di questo tema. Ad ogni Ministro che veniva interrogato su questo punto, infatti, noi proponevamo questa soluzione e la risposta che ci veniva data era: «Sì, ma poi chi gestisce questi presìdi ?».
  Il Comitato stesso ha avviato una serie di audizioni con gli ambasciatori di quei Paesi, i quali, effettivamente, nelle audizioni svolte non si sono dimostrati particolarmente entusiasti di portare avanti queste iniziative. Alcuni di questi Paesi, infatti, come la Libia, non hanno neppure un Governo in grado di fare da interlocutore e con cui potere discutere di questo tema. Altri Paesi, invece (penso agli altri limitrofi), ci hanno detto che loro hanno «già dato», tant’è che hanno una consistente presenza di migranti sul loro territorio. Vorrei un suo commento su questo. Naturalmente, lei è la persona più Pag. 3titolata a spiegarci lo stato di discussione sul Regolamento di Dublino III. È inutile ripetere quello che discutiamo in seno al Comitato da tempo. Abbiamo visto le sue dichiarazioni sulla necessità di superare il principio per cui il primo stato di approdo è quello che ha tutti gli oneri relativi ai riconoscimenti e all'accoglienza.
  Non le neghiamo che ci aspettavamo, come Comitato, che questo fosse un tema prioritario di discussione all'interno del semestre europeo. Sappiamo, perché siamo tutte persone molto qualificate, che modifiche di questo tipo non sono semplici, in quanto, come lei ci potrà spiegare meglio di chiunque altro, si tratta di soluzioni che necessitano di un'unanimità di consensi, quindi dovrebbero essere tutti d'accordo su queste modifiche. Ciò non è semplice, però le vogliamo chiedere un aggiornamento in tal senso.
  Inoltre, c’è una cosa che personalmente, come presidente, mi sta a cuore e che le voglio chiedere. Prendo spunto dalle recenti dichiarazioni del commissario Avramoplos, il quale ha parlato di solidarietà europea e, anzi, ha testualmente dichiarato che «i diritti fondamentali della migrazione europea sono in cima alle attività della Commissione, perché le difficoltà attuali non possono essere affrontate solo a livello nazionale e, quindi, occorre un approccio europeo complessivo. L'Italia non è sola».
  Io mi aggancio a queste parole per rinnovare la proposta di applicazione di una normativa che già esiste, la direttiva n. 55 del 2001, che va incontro anche alla libertà di circolazione.
  Posto che ormai siamo tutti coscienti che i flussi migratori sono derivanti da situazioni di guerre e, quindi, che si tratta, nella quasi totalità, di profughi, come è possibile che l'Europa, laddove parla di solidarietà, non arrivi a comprendere che probabilmente l'unica strada è quella di un riconoscimento, ovviamente temporaneo, della protezione internazionale ? Ciò consentirebbe ai soggetti che arrivano sulle nostre coste, essendo profughi, di non essere costretti a restare sul nostro territorio per vedersi riconosciuto questo diritto, che ormai ci pare scontato anche dalle dichiarazioni di tutti i Ministri e di tutti gli operatori che trattano il tema, ma di potersi muovere nell'area europea raggiungendo i posti dove devono andare.
  Io sono rimasta molto colpita dall'audizione del sindaco di Milano, Pisapia, il quale ci ha detto che i siriani che vediamo in stazione centrale a Milano, non sono lì perché gli piace stare in stazione, ma perché aspettano il primo treno per raggiungere contatti e parenti che hanno già in Germania. Vorremmo conoscere la sua posizione su questo, perché il Ministro Alfano sul punto ha replicato dicendo che, di fatto, l'Europa non ne vuole sentir parlare, ricordando le difficoltà ad applicare questa direttiva durante le famose primavere arabe. Allora, io mi chiedo come si concilia questa posizione con le dichiarazioni del commissario. Do la parola al sottosegretario di Stato, Sandro Gozi, per lo svolgimento della sua relazione.

  SANDRO GOZI, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle politiche europee. Grazie, presidente. È sempre un piacere tornare al Comitato Schengen, a cui sono legato in maniera affettiva, oltre che professionale, anche perché credo che questo Comitato svolga un ruolo molto importante, che conosco bene. Parto seguendo il suo ordine. Lei mi chiedeva di dare una prima valutazione del passaggio dall'operazione Frontex all'operazione Tritone. La mia valutazione è assolutamente positiva. Noi siamo entrati nel semestre di presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea affermando che era assolutamente inaccettabile che l'Europa non avesse ancora riconosciuto un concetto politico, prima ancora di passare alla fase operativa. Il concetto su cui abbiamo a lungo dibattuto nelle aule del Parlamento italiano è quello di frontiera-Mediterraneo uguale frontiera comune europea.
  Su questo, come sapete, c'era una fortissima resistenza da parte di molti Stati membri, ovviamente quelli non di frontiera, ma anche quelli di frontiera, i quali Pag. 4pensavano che il problema fosse unicamente legato al Mediterraneo. Invece, c’è stata un'evoluzione. Penso, ad esempio, alla Polonia.
  Da questa assenza di un concetto politico comune forte risalente agli Stati, siamo riusciti a portare tutti, prima i capi di Stato e di Governo e poi i ministri degli interni, a condividere il concetto di Mediterraneo uguale frontiera europea.
  Oggi abbiamo ottenuto un risultato politico di grandissima rilevanza, che so essere pienamente condiviso in questo Comitato. Siamo riusciti a far passare il concetto che il Mediterraneo, cioè la frontiera esterna a sud dell'Unione europea, è una frontiera comune e questo giustifica giuridicamente e rende necessari politicamente degli interventi comuni nel Mediterraneo.
  Questo vale anche per la frontiera orientale, che ci riguarda meno come Italia, ma ci riguarda come europei. Il concetto che è passato non è stato riferito unicamente al Mediterraneo, ma in generale alle frontiere esterne dell'Unione europea, in particolare dello spazio Schengen, che sono frontiere comuni. Questo mi sembra già un primo risultato molto importante.
  Essendo frontiere comuni ed essendo, quindi, una questione d'interesse e responsabilità comune, occorre anche condividere l'onere di assumersi questa responsabilità. Qui emerge il concetto della condivisione dell'onere, il burden-sharing, un principio che era necessario far passare, con una battaglia molto difficile, perché era la seconda premessa necessaria per avere un'operazione europea di pattugliamento delle frontiere esterne nel Mediterraneo.
  Questi sono stati i due passaggi, di cui, peraltro, avevamo parlato nella mia audizione di aprile. Io avevo detto a questo Comitato che ci saremmo battuti per far passare questi princìpi, che sono passati. Da questo punto di vista, il risultato è certamente positivo.
  È evidente che – ciò non è sfuggito a degli osservatori attenti come i membri di questo Comitato – nel momento in cui abbiamo fatto passare il principio di frontiera comune e il principio di condivisione delle responsabilità, ovviamente, dovevamo anche essere aperti a discutere insieme agli altri Stati membri su come operativamente assumersi questa responsabilità per gestire tale frontiera comune.
  Ovviamente, sarebbe stato ingenuo o falso dire semplicemente che quest'operazione che noi abbiamo concepito in piena autonomia, nonostante le critiche di alcuni, le perplessità di altri e l'incoraggiamento di altri ancora, diventa automaticamente dell'Unione europea. Delle due l'una: o noi non vogliamo che la frontiera sia concepita in maniera comune, non vogliamo la responsabilità condivisa e allora facciamo esattamente quello che vogliamo nella nostra piena autonomia, oppure vogliamo che passi il concetto – come abbiamo voluto – del Mediterraneo come frontiera comune e, quindi, della condivisione di responsabilità. È evidente che con la condivisione di responsabilità, c’è anche la condivisione delle decisioni e delle modalità operative. Questo è ciò che ha accompagnato il concepimento dell'operazione Tritone. Questa operazione, come voi sapete, ha un'area geografica d'intervento di 30-40 miglia (non ripeto cose che conoscete). Ci sono però due aspetti, che peraltro sono previsti anche nei regolamenti europei, che fanno parte del diritto internazionale del mare e che comunque vincolano le operazioni, sia degli Stati in quanto tali, sia degli Stati in quanto membri dell'Unione europea: sono le operazioni di search and rescue. È evidente che per tutto ciò che accade e che richiede un intervento di salvataggio in mare, restano fermi i princìpi di search and rescue, che vincolano comunque i Paesi, a prescindere da come si chiami l'operazione e da chi la svolge. Questo è il primo punto.
  In secondo luogo, il diritto internazionale del mare obbliga tutte le navi che passano, anche in acque internazionali, vicino a una barca i cui occupanti si trovino in pericolo di vita, che siano esse di un armatore privato o appartenenti a forze di polizia marittima di uno Stato, ad Pag. 5intervenire. Sapete anche che cosa succede, guarda caso sia nell'operazione Mare Nostrum che prima di essa, quando questi messaggi vengono lanciati dall'ottimo centro che abbiamo (per inciso, se non l'avete visitato, sarebbe un'ottima visita per il Comitato Schengen). Attraverso questo centro la nostra Marina controlla tutto il Mediterraneo. C’è una parete grande come questa stanza in cui si vedono, indicati in modo diverso, tutte le navi e tutti i movimenti che ci sono nel Mediterraneo in un dato momento.
  Spesso, quando la nostra Marina indica che in quella zona, in acque internazionali, c’è una nave in pericolo, cioè in distress, come si dice tecnicamente, guarda caso le lucine si spengono, cioè le navi che passano di lì si rendono invisibili. Sappiate che questa è la situazione in acque internazionali. Lo sottolineo, perché spesso si dice che siamo passati e non siamo intervenuti. Questa è la situazione nel Mediterraneo. Qualsiasi nave che passa in acque internazionali e non interviene per salvare un'imbarcazione in pericolo, viola il diritto internazionale marittimo. Ovviamente, questo principio rimane.
  È evidente che bisogna continuare a lavorare e il Ministro Alfano vi ha ribadito ciò. Io condivido il fatto che dobbiamo continuare a lavorare sulla condivisione dell'onere. Ciò significa lavorare anche sul tema della gestione congiunta dei rifugiati che vengono intercettati, accolti e salvati attraverso l'operazione Frontex e degli immigrati irregolari. È ovvio che il concetto di burden-sharing si deve applicare in via di principio ai richiedenti asilo, mentre gli immigrati irregolari vanno semplicemente rimpatriati.
  Frontex già fa del burden-sharing, perché parte dei rimpatri che stiamo facendo e che faremo vengono fatti anche attraverso le risorse e le strutture di Frontex. Pertanto, il burden-sharing per i rimpatri degli immigrati irregolari in parte c’è già, però dobbiamo lavorare anche su questo.
  C’è anche un'estensione di cosa intendiamo per burden-sharing. Questo è un lavoro molto difficile, che richiede una cooperazione con i Paesi terzi di origine e di transito. Questo è il secondo asse su cui noi abbiamo impegnato, prima a livello di princìpi generali, i capi di Stato e di Governo con l'agenda strategica di fine giugno e poi, in maniera molto più vincolante e precisa, i Ministri degli affari interni al Consiglio di Lussemburgo.
  Io mi iscrivo nel partito che da tempo sostiene le cose che dite voi. Noi abbiamo spinto molto per rafforzare e aumentare il numero dei partenariati per la mobilità, che sono le forme di collaborazione che uniscono l'Unione europea e i Paesi di origine e di transito: li abbiamo con il Marocco e con la Tunisia e stiamo lavorando con la Giordania, da una parte sul rapporto economico con l'Europa e dall'altra sulla condivisione nella gestione congiunta dei flussi migratori. Io stesso ho fatto delle verifiche con alcuni esperti internazionali. Da ultimo, ho incontrato il direttore per l'Europa dell'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite.
  La valutazione sull'efficacia di questi partenariati per la mobilità presenta luci e ombre. È evidente che occorre lavorare e noi vogliamo farlo.
  Del resto, proprio in questo momento, mentre vi parlo, c’è una riunione di 40 Paesi all'interno del processo di Rabat, con tutti i Ministri degli affari esteri e interni europei e dei Paesi africani. Noi, durante il nostro semestre, abbiamo voluto fare una riunione oggi a Roma all'interno del processo di Rabat, proprio per discutere dell'impegno condiviso nella gestione dei flussi migratori e in questo momento si sta discutendo sulle questioni di cui noi parliamo qui.
  La mia valutazione, su cui non mi sono neppure confrontato con il Ministro dell'interno, è che bisogna lavorare molto di più, non come Italia ma con l'Unione europea, per rendere questi partenariati per la mobilità più efficaci. L'idea è certamente buona, ma bisogna fare tali partenariati in zone in cui sia possibile avere quei margini operativi minimi sufficienti per poter gestire alcune operazioni, come, ad esempio, la valutazione delle richieste di asilo. Al momento, probabilmente, questi Pag. 6Paesi sono la Tunisia e il Marocco, ma certamente non la Libia, per motivi evidenti.
  La mia valutazione è che, non tanto a livello di Unione europea, ma a livello di questi Paesi, occorre insistere molto di più, perché non c’è un appetito spasmodico da parte di questi Paesi per lavorare in questa direzione. Voi me lo confermate, quindi ho avuto l'impressione giusta per quanto riguarda il lavoro che ho svolto. Questa è un'altra priorità che noi abbiamo voluto rafforzare durante il nostro semestre.
  Il secondo asse delle conclusioni di Lussemburgo è proprio il dialogo con i Paesi di origine e di transito. Noi siamo riusciti a impegnare l'Unione europea a estendere geograficamente questo dialogo. Infatti, mentre il processo di Rabat riguarda l'area subsahariana, noi, agganciandoci al processo di Khartoum, abbiamo esteso l'impegno assunto dall'Unione europea a discutere di questi aspetti anche al Corno d'Africa.
  Lei faceva riferimento all'audizione del sindaco Pisapia e al caso dei siriani, degli eritrei e degli etiopi. Proprio per questi motivi, noi abbiamo voluto estendere anche al Corno d'Africa questo approccio dell'Unione europea.
  È evidente che occorre renderlo molto più efficace e cominciare con quei programmi-pilota che sono indicati negli impegni di Lussemburgo per quanto riguarda la trattazione congiunta delle istanze di protezione internazionale e la messa in comune delle strutture di accoglienza.
  Questo vale, non solo all'interno dell'operazione Tritone, su cui c’è l'accordo e ci sono già alcuni esperti che lavorano in questo senso, ma anche per l'altro aspetto più ambizioso, ovvero una partecipazione, che sarebbe auspicabile e necessaria, da parte soprattutto dei Paesi di transito.
  È ovvio che anche in questo caso dobbiamo avanzare con dei programmi-pilota tra Unione europea e Nazioni Unite, per fare quello che noi italiani diciamo da molto tempo: cominciare a gestire parte di questi flussi, soprattutto quelli motivati da ragioni politiche, cioè da crisi di guerra, nella riva Sud, anziché obbligare dei potenziali richiedenti asilo a fare il viaggio nel Mediterraneo, alimentando quella criminalità organizzata (trafficanti di esseri umani eccetera), che è un altro aspetto che noi vogliamo assolutamente combattere.
  Il terzo impegno politico forte, da cui devono partire una serie di iniziative legislative e operative a livello europeo e a livello nazionale, e che fa parte degli impegni di Lussemburgo ottenuti durante il nostre semestre, consiste nel lavorare per completare e rendere pienamente efficace il sistema europeo comune di asilo.
  Questo, presidente, mi permette di entrare più direttamente nel merito della sua seconda domanda, legata al Regolamento di Dublino. Prima di arrivare al Regolamento di Dublino, il nostro impegno prevede di continuare a lavorare a livello europeo. Da questo punto di vista, la nostra prima valutazione dell'impostazione del Commissario Avramoplos è positiva (per parlare dell'azione è troppo presto, perché è entrato in funzione il primo novembre).
  Lo stesso Commissario ha confermato la sua posizione in un dibattito a cui ho partecipato in rappresentanza della Presidenza del Consiglio al Parlamento europeo, che si è tenuto ieri mattina. Credo che potrebbe essere interessante distribuire ai membri del Comitato Schengen lo stenografico, che credo sarà disponibile oggi, sull'approccio olistico alla questione della migrazione nell'Unione europea.
  Credo che sia interessante per voi vedere il dibattito, così come si è sviluppato, e soprattutto gli impegni che il Commissario Avramoplos ha confermato, innanzitutto per quanto riguarda la necessità di lavorare molto di più per costruire un sistema dell'immigrazione legale – ovvero quella che possiamo governare – più efficace, concludendo alcuni processi. Penso, ad esempio, alla direttiva relativa ai movimenti per motivi di studio, di volontariato, di ricerca eccetera, che è un tassello.
  Il Commissario ha parlato di lavorare per costruire un sistema di gestione dell'immigrazione legale a livello europeo molto più efficace e anche per dare un senso concreto al tema della solidarietà. Pag. 7Questo era il senso, anche se non ricordo le parole esatte che sono state pronunciate.
  Siamo di fronte a un Commissario che si è presentato nel primo dibattito sul tema dell'immigrazione davanti al Parlamento europeo ribadendo l'impegno che la Commissione Juncker aveva assunto. Peraltro, questa era una delle condizioni che noi ritenevamo dovessero essere soddisfatte dalla Commissione per il voto che il Presidente del Consiglio ha dato nel Consiglio europeo. È un impegno su cui noi continueremo a vigilare. Credo che il fatto di avere una nostra connazionale come Alto rappresentante e, quindi, responsabile in primis per la dimensione esterna dell'immigrazione sia qualcosa che ci può aiutare molto da questo punto di vista. Infatti, ricade sotto i poteri di coordinamento e di supervisione di Federica Mogherini tutto quello che abbiamo detto sulla dimensione esterna, ivi inclusi questi programmi-pilota che potrebbero svolgersi in Africa.
  Da questo punto di vista, certamente, anch'io condivido la vostra valutazione positiva della nomina di Avramoplos, che ora è impegnato a sviluppare in maniera concreta e operativa il documento politico, intitolato «Adoperarsi per una migliore gestione dei flussi migratori», su cui noi abbiamo impegnato il Consiglio.
  La direttiva del 2001, se non vado errato – non ho riguardato questo tema prima di venire qui, perché non pensavo che venisse risollevato – è stata varata in occasione della guerra balcanica, in particolare della crisi della Bosnia Erzegovina. Finora il meccanismo previsto dalla direttiva non è mai stato attivato.
  Noi ovviamente abbiamo posto il tema. Del resto, devo dire che lo stesso è stato posto anche dai Governi che ci hanno preceduto, in particolare dal Ministro Maroni. Tuttavia, su questo non c’è condivisione.

  PRESIDENTE. Noi non abbiamo notizia che questo Governo abbia posto il tema. Lei è il primo che ce lo dice.

  SANDRO GOZI, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle politiche europee. Noi abbiamo sempre detto che c'erano le condizioni per ricorrere anche a questo. Tuttavia, non solo c’è l'ostacolo che lei ha evocato, presidente, riferito alla ricerca della massima intesa possibile, ma c’è proprio un'analisi diversa da parte delle istituzioni europee sulla situazione. Certamente nessuno sottovaluta la realtà di cui parliamo, ma secondo la stragrande maggioranza degli Stati membri e anche delle istituzioni europee, non c’è una situazione di gravissima emergenza e di guerra tale da giustificare l'attivazione della direttiva del 2001.
  Io non dico che condivido questa valutazione, ma ho il dovere di informarvi sullo stato delle cose e sull'analisi che si fa a livello europeo in merito all'esistenza delle condizioni di estrema emergenza e urgenza che consentirebbero l'attivazione della direttiva del 2001.
  Venendo al tema del Regolamento di Dublino III, vi ripeto quello che vi avevo detto in marzo e aggiungo alcune questioni che da allora abbiamo posto e su cui stiamo lavorando.
  Io ritengo che la logica stessa di Dublino III sia assolutamente obsoleta. Io penso che il Regolamento di Dublino III abbia sviluppato la concezione della Convenzione di Dublino, ancora prima che di diventare regolamento comunitario (eravamo all'epoca del terzo pilastro). Questa logica è stata concepita in una fase storica completamente diversa da quella in cui oggi ci troviamo, sia dal punto di vista della situazione geopolitica internazionale, sia dal punto di vista della quantità dei flussi a cui dobbiamo fare fronte.
  Pertanto, se mi chiedete qual sia il mio giudizio sul Regolamento di Dublino, rispondo che in buona parte la logica che vi sottende è da anni 1990, perché è stata concepita trent'anni fa. Rispetto a trent'anni fa, oggi la questione dell'immigrazione che dobbiamo affrontare è molto cambiata, per una serie di motivi. Pertanto, a mio modo di vedere, anche l'approccio di Dublino andrebbe cambiato.Pag. 8
  Come si fa a cambiare un regolamento che è entrato in vigore il primo gennaio 2014 ? Si trattava di un altro Governo, però era sempre la Repubblica italiana. Il regolamento è entrato in vigore il primo gennaio 2014 e noi in aprile abbiamo cominciato a dire che questa logica andava cambiata. Ciò che è difficile non è porre il tema della modifica formale, ma convincere. Porpore tutto ciò è stato molto facile, però non ci sono stati i risultati sperati, anche perché per una serie di motivi, che di certo non sfuggono a dei membri del Parlamento che fanno politica, la prima reazione dei nostri partner – non voglio fare un processo alle intenzioni – è stata di rispondere che essendo il regolamento appena entrato in vigore, esso va attuato per vedere come funziona prima di chiederne la modifica.
  Come attuarlo ? Voi sapete che in sostanza il Regolamento di Dublino riguarda due categorie di migranti, quelli che sono stati identificati e si trovano nello Stato membro individuato (in base al Regolamento di Dublino) come competente a identificare le domande di asilo e quelli in attesa di trasferimento, cioè quelli che si trovano nello Stato membro A, ma che, essendo stati identificati come prima entrati nello Stato membro B, sono in attesa di essere trasferiti dallo Stato membro A allo Stato membro B. Queste sono le due categorie attorno alle quali ci sono notevoli rigidità ma anche alcune criticità, che a mio modo vedere sono la conseguenza del fatto che buona parte della logica di Dublino è obsoleta.
  Infatti, l'intero impianto si basa sul presupposto secondo cui tutta l'area del diritto di asilo di cui parliamo deve avere un livello di protezione omogeneo. Noi sappiamo, però, che non è così, cioè che nell'Unione dei 28 Paesi, i livelli di protezione e di efficacia dei sistemi di asilo nazionali non sono equiparati.
  Ci sono una serie di direttive in materia di asilo che cercano di favorire la convergenza di alcune procedure (la direttiva sull'accoglienza, la direttiva sulle procedure eccetera), però ci sono ancora delle forti differenze tra i sistemi di asilo nazionali dei vari Stati membri. Tra i sistemi di asilo della Svezia e della Germania e i sistemi di asilo della Grecia e della Bulgaria ci sono delle differenze molto rilevanti.
  Questo è il primo punto che rende in parte inefficace l'impianto di Dublino, il quale presuppone l'esistenza di una condizione che non si è ancora realizzata, cioè un sistema di asilo veramente equiparabile tra i vari Stati membri.
  Del resto, questa è la ragione per cui vi avevo annunciato all'epoca che avremmo inserito nella legge di delegazione europea il recepimento delle ultime due direttive in materia di asilo. Vi ha avevo detto anche che speravamo che questa legge europea avrebbe comportato – ed è stato così – una delega al Governo per elaborare un nuovo testo unico in materia di asilo.
  Nel frattempo, come sapete, alcune disposizioni, che hanno rafforzato in maniera operativa il nostro sistema di asilo, sono state inserite nel cosiddetto «decreto violenza negli stadi». Mi riferisco, ad esempio, al raddoppio delle commissioni territoriali.
  Perché abbiamo fatto questo ? Innanzitutto per un dato oggettivo: nel nostro sistema di asilo ci sono effettivamente delle criticità e delle cose da migliorare. Inoltre, io ho insistito nelle mie funzioni anche per avere una forza politica e negoziale maggiore. Infatti, nel momento in cui noi dimostriamo – e lo stiamo facendo, in maniera operativa e non solo in maniera legislativa – che stiamo migliorando il nostro sistema d'asilo nazionale, è evidente che quando proponiamo il tema della revisione formale del Regolamento di Dublino, oppure il tema – che noi abbiamo posto e continuiamo a porre – del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni di asilo, siamo più credibili e, quindi, possiamo condurre con più forza il nostro difficile negoziato a livello europeo.
  Quando abbiamo posto il tema del principio del mutuo riconoscimento alla fine di giugno, questo è rimasto fino alla penultima bozza di conclusioni del Consiglio europeo. In seguito, il Regno Unito e Pag. 9altri Stati membri si sono fortemente opposti al mantenimento di quella disposizione, che noi, però, abbiamo reinserito nel documento del Consiglio di Lussemburgo.
  Il principio del mutuo riconoscimento è importante perché, anche in assenza di una modifica formale del Regolamento di Dublino, permette di fare quello che oggi non possiamo fare. Oggi chi ottiene la protezione internazionale in uno Stato membro non ha la possibilità di trasferirsi in un altro Stato membro per lavorare. Porre, invece, il principio del mutuo riconoscimento dà questa possibilità. Pertanto, possiamo superare molte delle criticità di Dublino in questo modo.
  Questo, però, richiede, da una parte, uno sforzo per assicurare che vi sia un sistema di asilo più efficace e, dall'altra, un lavoro politico molto importante. È evidente che questo è il modo per andare oltre Dublino senza imbarcarsi in un difficilissimo negoziato di modifica formale del Regolamento stesso. Noi continuiamo a porre questo aspetto.
  Non sta certamente a me dare indicazioni, ma posso esprimere degli auspici. Indicare nei vostri lavori questo principio, insistere sullo sforzo che l'Italia sta facendo nella gestione del Mediterraneo e nel miglioramento del nostro sistema di asilo e porre il tema del principio del mutuo riconoscimento nei vostri rapporti con i nostri colleghi di altri Parlamenti aiuterebbero molto l'Italia.
  Ci sono altri due aspetti su cui stiamo lavorando. Come ho detto, il primo problema è una logica obsoleta di parte dell'impianto di Dublino. Un altro aspetto è la rigidità con cui alcune norme vengono applicate. Un altro ancora è la mancata applicazione di altre norme del Regolamento di Dublino. Da una parte, vorremmo superare il Regolamento di Dublino, dall'altra, dato che oggi è vigente, avremmo interesse ad applicarlo tutto.
  Nel Regolamento di Dublino c’è l'articolo 17, che prevede due clausole molti importanti, in deroga ai criteri generali di determinazione dello Stato competente per l'esame della domanda di asilo. Queste sono la clausola di sovranità e la clausola umanitaria.
  La clausola di sovranità stabilisce che uno Stato membro, a prescindere dal Regolamento di Dublino, può sempre decidere di assumere la responsabilità di esaminare una richiesta di asilo presentata in frontiera o sul territorio, anche se, in base ai criteri ordinari, la competenza dovrebbe essere attribuita ad altro Stato membro. Dunque, c’è una clausola in tal senso nel Regolamento di Dublino. È evidente che bisogna creare la volontà politica per attuarla, però esiste, non dobbiamo inventarcela. Questo è un punto d'attacco molto importante.
  Allo stesso modo, esiste la causa umanitaria dell'articolo 17, comma 2, del Regolamento di Dublino, in base alla quale qualsiasi Stato membro, pur non essendo competente per l'esame della domanda secondo i criteri ordinari, può diventarlo in considerazione di esigenze familiari o umanitarie del richiedente asilo. Ciò riguarda tante situazioni che abbiamo dovuto affrontare in Italia: una donna in stato di gravidanza che vuole raggiungere il marito che si trova in un altro Stato membro, maternità recente, grave malattia, serio handicap, età avanzata e soprattutto maggiore interesse del minore non accompagnato, che è un tema di una gravità assoluta, come sapete.
  Già oggi, applicando il Regolamento e non modificandolo, noi possiamo chiedere l'attivazione di queste clausole. Ciò vuol dire facilitare di gran lunga i ricongiungimenti familiari dei rifugiati o degli immigrati che arrivano nel nostro territorio e che, in base a questa clausola, potrebbero raggiungere familiari che si trovano in un altro Stato membro.
  Su questo, certamente, dobbiamo lavorare con la Commissione entrante, con Avramopolos e con la Commissione Juncker, perché si crei un minimo di consenso per l'attivazione di queste clausole, che sono assolutamente possibili.
  In conclusione, rimane la priorità dell'Italia di potenziare le risorse di Frontex, pur dovendo presiedere un negoziato difficilissimo Pag. 10sul bilancio comunitario. Tanti Stati membri, soprattutto Germania e Francia, per motivi diversi, arrivano alla stessa conclusione: vogliono tagliare il bilancio comunitario. Questo tema, però, richiederebbe un'altra audizione.
  Noi abbiamo indicato che non solo non vanno tagliate, ma andranno ulteriormente aumentate le risorse del bilancio in materia di immigrazione e Frontex. Su questo credo di poter dire che dovremmo ottenere un risultato positivo. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Peraltro, è stato il primo nostro audito che ci ha spiegato bene che in effetti il Governo ha chiesto l'applicazione della direttiva del 2001 e quali sono state le risposte. Ho voluto porle personalmente questa domanda sulla direttiva perché sapevamo – ce lo ha confermato – che lei era la persona più titolata per darci la risposta. Soprattutto grazie per i riferimenti normativi sul mutuo riconoscimento e sull'articolo 17. Da oggi in poi, il Comitato in ogni audizione, nelle premesse, porrà questi temi come una condizione e chiederà delle prese di posizione a tutti i soggetti che audirà.

  RICCARDO MAZZONI(fuori microfono). Il sottosegretario è bravissimo, tant’è che prima ha detto che vuole iscriversi al suo partito, presidente.

  PRESIDENTE. Al mio partito ? Da quando ho un partito ? Non siamo ancora a tal punto: Riccardo, non mi dare queste notizie ! Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIORGIO BRANDOLIN. Ringrazio il sottosegretario, che rivedo volentieri, anche per altri trascorsi europei. Mi fa piacere sentirla anche per le ultime informazioni che ci ha dato sull'applicazione di questo benedetto Regolamento di Dublino, che – se ho ben capito – apre alcune finestre di soluzione rispetto alle preoccupazioni sorte nei territori.
  La domanda verte proprio sulle ultime cose che lei ha detto, cioè sulla possibilità di applicare quelle due clausole che io ho definito «A e B»: comma 1 e comma 2 dell'articolo 17. La domanda è molto banale, ma potrebbe essere interessante, se la risposta fosse positiva, anche per tranquillizzare alcuni territori che su questo hanno fatto speculazioni di tipo partitico e discussioni inutili.
  Vorrei conoscere la tempistica e le modalità per arrivare all'applicazione di queste clausole. Vorrei sapere se è solo un problema di ciascun Stato o se anche queste clausole per la loro applicazione hanno bisogno, come altri aspetti molto più importanti che lei ricordava poc'anzi, dell'unanimità dei Paesi, del Consiglio o di un'altra istituzione europea.
  Questo risolverebbe tantissime preoccupazioni in territori come il mio, alla frontiera con la Slovenia e l'Austria, ma anche con la Francia, legate al fenomeno di coloro che ultimamente abbiamo definito i cosiddetti «richiedenti asilo di ritorno».
  La seconda domanda è relativa a quello che chiediamo tutti e su cui siamo tutti d'accordo: avere delle strutture dislocate a Sud del Mediterraneo o addirittura nel Corno d'Africa, visti i problemi che arrivano anche da lì. Anche su questo vorrei sapere se ci sono tempi e se ci sono speranze, viste peraltro le perplessità che lei ha dimostrato e che noi abbiamo compreso nell'audizione dei vari ambasciatori dei Paesi del Nord Africa. Vorrei sapere se ci sono speranze, non tanto nell'immediato, ma con che tempistica e modalità. Se è possibile, vorrei una risposta un po’ più puntuale anche su questo argomento.
  Vista la mia ignoranza sull'applicazione dei due commi, vorrei sapere se gli uffici territoriali, ovvero le prefetture, sanno queste cose. Per quanto ne so io, o lo sanno e non lo fanno sapere o non lo sanno proprio.

  RICCARDO MAZZONI. Ringrazio il sottosegretario, sempre puntualissimo. Mi viene da fare una domanda molto ingenua. Pag. 11Lei giustamente ha detto che il Regolamento di Dublino ha una logica da anni 1990. Mi viene da pensare che ci sono stati un Dublino I, un Dublino II e un Dublino III, che è entrato in vigore nel febbraio di quest'anno. Io non so se c'era il Governo Monti, ma se ci vuole l'unanimità per approvare questo tipo di regolamenti, perché l'Italia l'ha firmato ? È una domanda che pongo a noi stessi. Era chiaro che saremmo stati le prime vittime di questa perpetuazione del Regolamento.
  L'Unione europea sull'operazione Triton non ha dato grandi aperture. Hanno sempre tenuto a sottolineare che l'operazione Triton non esime l'Italia dalle sue responsabilità di controllo delle sue frontiere e di rispetto della legge internazionale, ciò prevedendo l'assistenza ai migranti.
  Io mi chiedo cosa succederà, una volta finito Mare Nostrum, alla prossima strage che avverrà oltre le 30 miglia dalle nostre coste. Non sarebbe stato più giusto, visto che 19 Paesi hanno aderito all'operazione Tritone, che ognuno si prendesse davvero la sua responsabilità ?
  Io capisco che l'operazione Tritone è un'operazione non più di assistenza ma di controllo delle frontiere, tuttavia il risultato finale è sempre che i profughi raccolti finiscono tutti in Italia, proprio a causa del Regolamento di Dublino. Io credo che senza Mare Nostrum ci sarà un rallentamento del flusso, ma questo flusso arriverà comunque in Italia. Il problema si risolve in minima parte.
  Stamani il Ministro Alfano ha detto che bisogna rallentare l'arrivo di immigrati, perché l'Italia non è un Paese razzista, ma è un Paese stanco, che non ce la fa più a sopportare questo tipo di affluenza, per non dire di invasione.
  Certamente la soluzione ideale, anche dal punto di vista umanitario e per fermare il mercato dei trafficanti di uomini, sarebbe quella di intervenire nei Paesi di transito con strutture della comunità internazionale, ma quando si parla di comunità internazionale a chi ci si riferisce: all'ONU, all'Unione europea ? Non si riesce a instaurare questo tipo di discorso neanche con i Paesi che hanno un Governo certo e riconosciuto. La Libia, che è il vero buco nero di questa tragedia, non si sa ancora per quanti mesi o quanti anni mancherà di un interlocutore affidabile. Io capisco il Ministro Alfano e anche lei lo ha ribadito. Tuttavia, se formalmente è vero che il Mediterraneo viene finalmente considerato una frontiera europea comune, temo che nella pratica le conseguenze arriveranno tutte sulle spalle nostre.

  PRESIDENTE. Lei ci zittisce, sottosegretario Gozi: non succede mai. Do la parola al sottosegretario Gozi per la replica.

  SANDRO GOZI, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega alle politiche europee. Collega Brandolin, non c’è bisogno di unanimità, nel senso che l'articolo 17 dice che uno Stato membro può applicare la clausola: manca la volontà politica. Noi continuiamo a spingere a livello europeo comune affinché, di fronte a questa questione, si applichi anche l'articolo 17. È un articolo che non richiede l'unanimità per essere attivato; occorre la volontà politica, perché ogni Stato membro può attivare la clausola di solidarietà o la clausola umanitaria. Noi stiamo insistendo in particolare sulla clausola umanitaria. L'immigrazione è un tema che ha tante sfaccettature. Noi oggi ci siamo fermati al dato dell'interesse nazionale e al dato della sicurezza, però ci sono anche degli aspetti umani drammatici. Il fatto di non utilizzare la clausola umanitaria per la rigidità di alcuni Stati membri, si riflette su donne incinte, su donne con bambini di un mese che vorrebbero raggiungere la famiglia ad Amburgo piuttosto che a Stoccolma e sui minori non accompagnati. Sono degli aspetti umanitari di grandissima rilevanza. Del resto, la clausola umanitaria è lì proprio per questo. Oggi stiamo valutando altri aspetti, però questa è la ragione per cui occorre spingere sulla volontà politica.
  Per quanto riguarda il Nord Africa, credo che questo sia uno dei temi su cui dobbiamo insistere moltissimo con la Pag. 12nuova Commissione europea, con Avramopolos e con Federica Mogherini. È evidente che dobbiamo rafforzare e rendere più efficaci questi partenariati di mobilità.
  Rispondo ora a Mazzoni. Per comunità internazionale intendo l'Unione europea, le Nazioni Unite, l'Organizzazione internazionale delle migrazioni, con un lavoro che tutti gli Stati interessati alla stabilità e alla sicurezza nel Mediterraneo devono fare per convincere gli Stati di transito della necessità di una maggiore cooperazione rispetto a questo fenomeno.
  La Libia è una questione di regolamento dei conti all'interno del Paese e non di regolamento giuridico dell'Unione europea. Voi sapete, comunque, che tutti i Ministri degli esteri, prima Mogherini e poi Gentiloni, così come ha fatto il Presidente del Consiglio in tutti i Consigli europei a cui ha partecipato, hanno sottolineato l'importanza vitale per l'Unione europea di cominciare ad agire in maniera molto più efficace rispetto al tema della Libia.
  I nostri partner europei sono molto distratti dall'Est. Non voglio assolutamente sottovalutare l'importanza e la serietà della crisi ucraina-russa, però non credo che sia per noi accettabile – noi abbiamo posto il tema con forza a ogni Consiglio europeo – che tutta l'attenzione dell'Unione europea in materia di crisi esterne venga focalizzata sull'Ucraina. Noi continuiamo a insistere sulla Libia. Anche il Ministro Gentiloni lo ha fatto e continuerà a farlo.
  Sulla questione dei flussi, della stanchezza del Paese e della difficoltà nel convincere gli Stati membri, io ricordo alcune cifre, non perché condivido le conclusioni a cui si arriva con queste cifre, ma perché dobbiamo sapere, nel momento in cui elaboriamo le nostre strategie, qual è la realtà oggi. Vi do le ultimissime cifre. Tra gennaio e luglio 2014 certamente c’è stato un aumento importante delle richieste d'asilo in Italia: abbiamo ricevuto 30.755 richieste d'asilo, il 10 per cento del totale delle richieste d'asilo fatte a Stati in Europa.
  Tuttavia, questo dato rimane molto al di sotto delle richieste di asilo che sono state presentate in altri Paesi. Nello stesso periodo la Germania ne ha ricevute 94.300 e la Svezia 41.315. L'unico Paese in cui le richieste sono calate in maniera considerevole è la Francia, che ne ha ricevute 36.680.
  Nel 2013 è stato dato asilo politico nel totale dei Paesi dell'Unione europea a 135.700 richiedenti asilo. È evidente che noi abbiamo un problema che rende la cosa più emergenziale, perché un conto è avere 94.000 richiedenti asilo diluiti durante l'anno in un aereo, altro conto è averli concentrati nel tempo. Bisogna lavorare molto anche per rendere più efficace e più comune il sistema di asilo, perché queste sono le cifre con cui noi siamo confrontati quando negoziamo a livello europeo. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Con l'occasione saluto anche il suo capo segreteria tecnica, il dottor Verola, la sua consigliera politico-istituzionale, la dottoressa Zucchett, il membro della sua segreteria tecnica, la dottoressa Sacco. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.