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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 10 dicembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POVERTÀ MINORILE

Audizione del viceministro del lavoro e delle politiche sociali, Maria Cecilia Guerra.
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 2 
Guerra Maria Cecilia , viceministro del lavoro e delle politiche sociali ... 2 
Blundo Rosetta Enza  ... 4 
Guerra Maria Cecilia , viceministro del lavoro e delle politiche sociali ... 4 
Zampa Sandra , Presidente ... 7 
Catalfo Nunzia  ... 7 
Guerra Maria Cecilia , viceministro del lavoro e delle politiche sociali ... 7 
Catalfo Nunzia  ... 7 
Guerra Maria Cecilia , viceministro del lavoro e delle politiche sociali ... 7 
Catalfo Nunzia  ... 7 
Zampa Sandra , Presidente ... 8 
Lupo Loredana (M5S)  ... 8 
Mattesini Donella  ... 8 
Padua Venera  ... 9 
Zampa Sandra , Presidente ... 10 
Iori Vanna (PD)  ... 10 
Puglisi Francesca  ... 10 
Blundo Rosetta Enza  ... 11 
Zanin Giorgio (PD)  ... 11 
Tinagli Irene (SCpI)  ... 12 
Zampa Sandra , Presidente ... 12 
Guerra Maria Cecilia , viceministro del lavoro e delle politiche sociali ... 12 
Zampa Sandra , Presidente ... 17 
Guerra Maria Cecilia , viceministro del lavoro e delle politiche sociali ... 17 19 
Zampa Sandra , Presidente ... 19 
Nicchi Marisa (SEL)  ... 19 
Zampa Sandra , Presidente ... 20

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  La seduta comincia alle 13,40.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del viceministro del lavoro e delle politiche sociali, Maria Cecilia Guerra.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla povertà minorile, l'audizione del viceministro del lavoro e delle politiche sociali Maria Cecilia Guerra, che ringrazio per la disponibilità. È presente anche il dottor Raffaele Tangorra, direttore generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  Prima di dare la parola al viceministro, vorrei fare una breve premessa.
  L'audizione del viceministro Guerra è importante non solo in merito all'indagine conoscitiva sulla povertà minorile, ma anche in relazione all'altra indagine deliberata in materia di prostituzione minorile. Ho inoltre informato il viceministro del tema che è stato sollevato durante la scorsa seduta, ovvero le preoccupazioni di questa Commissione in materia di minori stranieri non accompagnati.
  Quindi, essendo gli argomenti dei quali abbiamo intenzione di discutere con il viceministro tanti, le chiediamo sin da ora la disponibilità a ritornare almeno un'altra volta (vedremo, poi, come regolarci, visto che le materie sono tante e che sarà impossibile trattarle interamente nella seduta odierna).
  Do, quindi, la parola al viceministro Maria Cecilia Guerra.

  MARIA CECILIA GUERRA, viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Ringrazio la Commissione e lei, presidente, rinnovando la mia disponibilità a tornare in questa sede per parlare con voi dei vari temi su cui le mie competenze incrociano le vostre. Sarò lieta di confrontarmi con voi e di informarvi circa ciò che stiamo facendo.
  Partendo dalla sua sollecitazione, inizierei la mia illustrazione dal tema oggetto dell'indagine, cioè la povertà. Successivamente, se lo riterrete opportuno, potremmo dedicare parte dell'incontro di oggi anche al tema dei minori stranieri non accompagnati, in riferimento al quale, avendolo saputo in anticipo, avrei potuto portato qualche dato in più (tuttavia, su tale argomento sono disponibile a fare un approfondimento in un altro momento).
  I dati da cui ha origine la vostra preoccupazione sono noti. Oggi, però, vi porto dei dati che sono stati recentemente pubblicati e che non credo abbiate avuto la possibilità di vedere nella loro completa disaggregazione. Mi riferisco ai dati EU-SILC (European Union Statistics on Income and Living Conditions), costruiti sulla base di metodologie comuni a tutti i Paesi dell'Europa. Questi dati sono i più Pag. 3aggiornati di cui disponiamo sul tema della povertà in generale, quindi, anche minorile.
  Come sapete, l'Europa costruisce un indicatore che riguarda la popolazione a rischio di povertà o di esclusione sociale di tipo composito, che tiene conto di tre fattori: la povertà relativa, la grave deprivazione materiale e il fatto di vivere in una famiglia con un'intensità di lavoro molto bassa. Dalla somma di questi tre indicatori, si ottiene l'indicatore dell'esposizione al rischio di povertà ed esclusione sociale.
  La povertà relativa è un indicatore costruito con riferimento al valore mediano del reddito della popolazione, quindi viene considerata in povertà relativa una famiglia che è al di sotto del 60 per cento di questo valore mediano. La grave deprivazione materiale, invece, è un indicatore composito che considera l'impossibilità della famiglia di permettersi un pasto decente (carne o pesce, o a base di analogo contenuto proteico) un giorno sì e uno no; di poter comprare una lavatrice, un'automobile o un telefonino; di poter andare in vacanza una settimana in un anno, riscaldare adeguatamente la casa o pagare le bollette. Il terzo indicatore – vivere in una famiglia con una intensità di lavoro molto basso – rivela che gli adulti della famiglia lavorano complessivamente meno del 20 per cento del loro potenziale.
  Per quanto riguarda questo indicatore nella sua aggregazione, un dato sistematico per l'Europa a ventisette è il fatto che esso sia più alto – nello specifico, di 4 punti percentuali – per i minori di 18 anni rispetto al totale della popolazione. Da questi dati, però, vediamo che l'Italia si pone in crescita rispetto agli anni precedenti di 4-5 punti rispetto alla media dell'Europa. Pertanto, il problema della povertà minorile, che voi avete giustamente individuato come particolarmente rilevante, emerge da questi dati con tutta la sua forza.
  Nel complesso, per l'Italia, secondo l'ultima rilevazione del 2012, il dato di esposizione alla povertà ed esclusione sociale è di quasi il 34 per cento. In dettaglio, dei tre indicatori di cui ho detto, il più pesante è quello della povertà relativa. Siamo invece messi meglio rispetto agli altri Paesi per quanto riguarda l'indicatore dell'appartenenza a una famiglia con un'intensità di lavoro molto bassa.
  Per quanto attiene agli altri indicatori, vi segnalo in particolare quello relativo alla deprivazione materiale, estremamente indicativo dell'accelerazione del problema. Per quanto riguarda la povertà minorile in Italia, nel 2010 l'8 per cento dei minori viveva in una famiglia con grave deprivazione materiale: ebbene, questo dato è più che raddoppiato in due anni. Questo è il dato che, personalmente, mi ha colpito di più, fin dallo scorso anno.
  Vi ho portato una rappresentazione grafica delle informazioni appena fornite, quindi, non mi soffermo su questa slide perché avrete in seguito la possibilità di guardarla con calma. Mi limito a dire che il grafico relativo all'incidenza della popolazione in condizione di grave deprivazione materiale subisce, in generale, un'impennata molto significativa nel nostro Paese.
  Passerei, ora, alla tabella successiva, che vi presento sotto forma grafica in quanto più immediatamente fruibile. Qui vi è un altro aspetto molto importante, tuttavia meno noto. In realtà, possiamo anche usare indicatori diversi, che dicono comunque la stessa cosa.
  L'indicatore successivo ci dà delle informazioni sull'incidenza della povertà relativa e della povertà assoluta divise per tipologia di famiglie e, per quanto riguarda la povertà relativa, suddivisa anche per circoscrizione territoriale.
  Richiamo la vostra attenzione sul fatto che l'incidenza della povertà assoluta nelle famiglie con minori è molto forte in tutte le tipologie: non è, dunque, solo un problema di numerosità. Nelle famiglie con tre o più figli, l'incidenza è molto forte (16-17 per cento nel 2012), in crescita straordinaria rispetto all'anno precedente, di quasi 6 punti percentuali. Per tale ragione, un focus particolare, un'attenzione peculiare è da destinare alle famiglie numerose.Pag. 4
  Vi invito, però, a guardare quanto sia comunque forte – e in crescita molto dinamica – anche il dato relativo alle famiglie con due figli. Anche le famiglie con uno o due figli subiscono, dunque, un aumento significativo dell'incidenza della povertà assoluta e della povertà relativa, su cui vi è la stessa dinamica e incidenza.
  Inoltre, richiamo la vostra attenzione su un dato noto, che è sempre bene tenere presente: l'incidenza della povertà relativa per numero di figli minori e ripartizione territoriale, è maggiore al Sud rispetto al Nord e al Centro. Si tratta di dati veramente impressionanti per la povertà minorile. Inoltre, al Sud, abbiamo un'incidenza della povertà relativa che interessa più di un quarto della popolazione. Sono dati – lo ripeto – molto impressionanti.
  Il mio primo compito era quello di mettervi a disposizione, in modo elaborato, i dati aggiornati che sono stati resi noti una settimana fa. Ora, invece, vorrei dirvi, interpretando il mio compito, che cosa stiamo facendo specificamente sulla povertà.
  Come sapete, c’è un'ampia discussione nel Paese, anche sulle proposte che sono state avanzate nel corso degli ultimi due anni, su misure di vario genere indirizzate alla povertà. Noi ci siamo orientati su una misura che abbia come primo target proprio la povertà minorile, nella consapevolezza – confermata in modo evidente dai dati che vi ho illustrato – che essa rappresenti l'emergenza nell'emergenza.
  Se fossimo nella condizione di poter immediatamente partire con una misura di contrasto alla povertà assoluta, definita in termini universali, cioè che riguardi tutti i nuclei esposti a questo rischio, sarebbe un discorso; dovendo, invece, agire in modo progressivo, ovvero andando a incrementare queste misure nel corso del tempo (speriamo in tempi brevi), la nostra scelta è andata nella direzione di prendere come riferimento le famiglie con minori – indipendentemente dal numero – che sono effettivamente in situazioni di povertà.
  Innanzitutto, abbiamo creato – essendo membro anche del Governo precedente, d'intesa con il direttore generale abbiamo tenuto in «culla» la proposta – una forma di sperimentazione a cui stiamo dando una maggiore efficacia ed estensione. È una sperimentazione per due ragioni, sia perché è nata come misura sperimentale disegnata per poterne verificare gli effetti in modo accurato e scientifico, sia perché è ancora temporanea, godendo di un finanziamento per un anno.
  La sperimentazione ha coinvolto e sta coinvolgendo le 12 città con più di 250.000 abitanti, a cui sono stati destinati 50 milioni. Prima di descrivervi la misura, poiché è stata estesa normativamente – quindi verrà applicata progressivamente su tutto il territorio nazionale – vi illustro, innanzitutto, come si compone il finanziamento.
  La misura ha un finanziamento di 50 milioni sulle 12 città, con 167 milioni per tutti gli ambiti socio-assistenziali delle 8 regioni del Sud. Il finanziamento attualmente previsto nella Legge di stabilità, che viene dal reindirizzamento del cofinanziamento ai programmi europei, è composto da 40 milioni, aggiunti con un emendamento al Senato per il 2014 e da 40 milioni per il 2015-2016. Inoltre, c’è un finanziamento di 250 milioni che in parte resterà sull'unico strumento di contrasto alla povertà di tipo generale che abbiamo attualmente, ovvero la social card tradizionale, riferita sia ai minori di tre anni che dopo quell'età escono dal programma, sia agli anziani con più di 65 anni.
  Nell'ottica di superare questa misura verso un'altra di contrasto alla povertà che progressivamente diventi universale, parte di queste risorse verranno dirottate su questo nuovo strumento.
  Nel complesso, abbiamo 504 milioni da gestire, di cui una parte (circa 100 milioni) resteranno sulla social card tradizionale. Ragioniamo, dunque, su circa 400 milioni, che sono sufficienti a raggiungere 400.000 individui. Questa è la nostra valutazione.

  ROSETTA ENZA BLUNDO. Valutiamo, però, anche quanto diamo ad individuo !

  MARIA CECILIA GUERRA, viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Certo, per ora vi ho dato i numeri generali, poi vi racconto anche i dettagli.Pag. 5
  Ovviamente, la misura è vincolata da risorse che comportano la necessità di definire un target molto stretto. Non è – lo ripeto – una misura di contrasto universale, tuttavia essa ha la caratteristica per cui, nel corso dell'anno, arriverà a ricoprire tutto il territorio nazionale. Per la prima volta, dunque, avremo una misura indirizzata alle famiglie con minori che riguarderà tutto il territorio nazionale.
  La caratteristica fondamentale di questa misura è di accompagnare a un trasferimento monetario, una presa in carico da parte dei comuni o degli ambiti socio-assistenziali quando i comuni sono di dimensione troppo piccola per poterlo fare.
  Per quanto riguarda il trasferimento monetario, la misura è articolata in funzione del numero dei familiari. La famiglia deve avere un numero minimo di 2 membri, trattandosi di una famiglia con minori, visto che il minore non può costituire nucleo a sé stante. L'ammontare del beneficio mensile è di 231 euro per una famiglia di due membri e arriva fino a 404 per una famiglia di cinque o più membri. Per darvi un'idea, l'attuale social card dà 40 euro al mese.
  La misura non si esaurisce nel trasferimento monetario, che è condizionato da una definizione della condizione di povertà, che tiene conto sia del reddito disponibile della famiglia (al momento richiede un ISEE inferiore ai 3.000 euro), sia della disponibilità o meno di patrimonio. Ci sono vincoli di tipo patrimoniale, come il fatto di avere un patrimonio mobiliare inferiore agli 8.000 euro, posto che si vuole ammettere al beneficio solo chi ha risparmi di natura esclusivamente precauzionale, per cui se c’è una somma di risparmi disponibile la famiglia non viene presa in carico.
  Vi sono, poi, altri limiti che riguardano il patrimonio immobiliare, il possesso di automobili, motoveicoli e così via. Non voglio, però, scendere nel dettaglio, a meno che non siate interessati. Il trasferimento monetario, dunque, è legato a una valutazione della condizione economica della famiglia, che – lo ripeto – è una valutazione piuttosto stretta, perché siamo di fronte a una misura che deve stare dentro quel budget.
  La novità importante per il tema che stiamo considerando, è che si affianca al trasferimento monetario una presa in carico. Ciò significa che, nel momento in cui viene individuato il beneficiario sulla base della condizione economica, c’è un accordo, ovvero una specie di impegno reciproco che viene siglato dall'ente e dalla famiglia presa in carico, per cui il comune o l'ambito in questione si impegna a fornire servizi che sono tipicamente di assistenza, come quella educativa domiciliare.
  Nello stesso tempo, l'ente si fa parte attiva per stabilire un collegamento con la rete dei servizi che operano sul territorio, quindi, con il Centro per l'impiego, l'ASL e le scuole. Contemporaneamente, il soggetto, che è un nucleo beneficiario, prende degli impegni in termini sia di adesione alle proposte di formazione o di inserimento lavorativo che vengono avanzate, sia, per quanto riguarda specificamente i minori, di assolvimento dell'obbligo scolastico o di portare il bimbo alle visite pediatriche di routine, cosa che spesso, nelle famiglie con grave deprivazione, non accade.
  La misura mirata sui bambini è stata sperimentata in altri Paesi prima di noi e, effettivamente, si è dimostrata molto efficace nell'affrontare il problema della dispersione scolastica. C’è, quindi, un investimento che non è di tipo assistenziale, ma tende a dare una possibilità ai soggetti che sono in situazione di deprivazione materiale – alla quale molto spesso si associano altre dimensioni della povertà – di avere un aiuto per diventare autonomi.
  Questa è l'impostazione, ma si tratta di una via sperimentale, perché abbiamo la volontà collettiva di far crescere anche la capacità amministrativa di gestire una misura di questo tipo, che non è una cosa banale. Abbiamo costruito questo percorso per i progetti che sono partiti nelle grandi Pag. 6città, ma attorno a questo stiamo costruendo anche un'altra rete di sostegno.
  Infatti, nella programmazione dei fondi europei per la parte del Fondo sociale destinata all'inclusione sociale, il nostro impegno consiste nel dedicare una parte delle risorse a questi servizi di accompagnamento che vengono effettuati dai comuni.
  Abbiamo, poi, un altro strumento che dovrebbe arrivare e per il quale ci siamo molto battuti in sede europea. Mi riferisco al Fondo per la distribuzione di alimenti agli indigenti, che sostituisce il vecchio Fondo per le derrate alimentari. È anch'esso un fondo europeo, ma è finanziato a livello nazionale. In particolare, ci siamo battuti sia per l'obbligatorietà di tale Fondo, sia per la volontarietà della partecipazione, in modo che sia più rilevante. Questo servirà a tenere in piedi la rete dei banchi alimentari (come la Caritas, quindi la distribuzione, le mense, dormitori e così via), ma anche, per una quota che stabiliremo quando avremo l'ammontare complessivo e il regolamento del Fondo, per i servizi di accompagnamento.
  Il progetto è sostenuto dalle norme e dal finanziamento, ma è ancora nella sua fase iniziale. Tuttavia, esso può costituire il primo passo per una misura che, nella nostra intenzione, dovrebbe allargarsi a contrastare la povertà assoluta nelle sue diverse dimensioni, non solo minorile. Il target unico, però, per il momento, è quello delle famiglie con minori.
  Su questo tema, mi fermerei qui. Posso ora dedicare – se credete – un po’ di tempo anche alla trattazione del tema relativo ai minori stranieri non accompagnati. Personalmente, vi avrei parlato volentieri anche di alcune altre misure, che non sono direttamente di contrasto alla povertà ma che intersecano, sia nel modo di lavorare, sia nel target, questo problema, riguardando, in particolare, le politiche relative agli affidi.
  Sotto questo aspetto, abbiamo un progetto qualitativamente importante, che stiamo estendendo anche quantitativamente alle città destinatarie della legge n. 285/97, ovvero il Fondo per l'infanzia e adolescenza. Mi riferisco a PIPPI (Programma di intervento per la prevenzione dell'istituzionalizzazione), un progetto di prevenzione dell'allontanamento dei bambini dai nuclei maltrattanti, che nelle sue prime applicazioni ha avuto un successo notevole. Essendo anch'esso un programma di tipo sperimentale, possiamo controllare gli effetti del progetto, il quale consiste in una presa in carico e nella creazione di una rete di collegamento fra i comuni e tutti i soggetti che ho citato prima. Ovviamente, non vi sono i centri per l'impiego, perché in questo caso il problema è un altro. Tuttavia, sono coinvolte le scuole, le ASL e le associazioni di terzo settore. Fin ad ora il progetto ha dato dei risultati veramente notevoli in termini di confronto tra soggetti che abbiamo potuto trattare. Infatti, le città stesse hanno proposto di riprodurlo e, proprio alcuni giorni fa, abbiamo esteso il progetto anche alle città non riservatarie su tutto il territorio nazionale. Più precisamente, sono coinvolte tutte le regioni d'Italia (solo due non hanno partecipato) relativamente ad ambiti precisi, a seconda dei fondi che avevamo a disposizione e che abbiamo distribuito in proporzione.
  Questa sperimentazione sta dando buoni risultati e crea anche capacità amministrativa, un aspetto nel quale crediamo molto. Non avendo una competenza costituzionale sulle politiche sociali, che sono di potestà esclusiva delle regioni, abbiamo un ruolo di coordinamento e di garanzia dei livelli essenziali, che ci sforziamo di esercitare in questo modo, con la partecipazione, l'adesione e la coprogettazione degli enti decentrati, senza i quali non andiamo da nessuna parte.
  Di questo progetto mi piace parlare perché ha creato entusiasmo nei posti in cui è stato applicato, essendo un modo nuovo di lavorare che ha dato dei risultati notevoli. Peraltro, anche sulle linee di indirizzo per l'affido, la logica è diversa rispetto a quelle del passato. Non si tratta di salvaguardare soltanto il benessere supremo del bambino, che è ovviamente sottolineato dalle nostre norme, ma anche il legame familiare. Sappiamo, infatti, che Pag. 7le problematiche dell'affido spesso coincidono con le problematiche di un disagio anche economico. Quindi, è sicuramente importante avere delle linee che indicano come comportarsi quando l'affido si ritiene necessario, che tipo di relazione mantenere con la famiglia d'origine e quale percorso assicurare ai soggetti coinvolti.
  Le linee sono state predisposte in condivisione con un insieme ampio di soggetti, tra cui le associazioni che si occupano da tempo di questo tema; queste sono state approvate in Conferenza unificata, ma adesso, in alcune zone d'Italia, sono soggette a una sperimentazione specifica. Tuttavia, se questi strumenti sono già operativi, perché sono stati approvati, essi vanno anche accompagnati nell'applicazione giorno per giorno. Pertanto, in alcune parti d'Italia abbiamo realizzato un focus specifico di guida, di appoggio, di accompagnamento, di verifica e di monitoraggio al fine di validarli sempre di più.
  Capisco che, rispetto al mondo ideale, questi aspetti possano sembrare poco, ma vi assicuro che è molto importante investire anche nella costruzione di una cultura – che manca – su questi temi, così come sulla capacità amministrativa, aiutandone la crescita nel tempo.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE SANDRA ZAMPA

  PRESIDENTE. Vorremmo riservare cinque minuti per parlare dei minori stranieri non accompagnati. È in corso di esame la Legge di stabilità alla Camera e stiamo tentando di capire se possiamo intervenire anche su questo ulteriore problema molto urgente. Informo altresì i colleghi del fatto che i lavori in Assemblea riprenderanno alle 15,30. Do, quindi, la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  NUNZIA CATALFO. Ho osservato con attenzione i dati relativi all'incidenza della povertà relativa e assoluta in Italia. Inoltre, ho ascoltato quanto il viceministro ha detto circa gli indicatori di cui si è tenuto conto per presentare le tabelle (indicatore di povertà relativa, indicatore di grave deprivazione materiale e indicatore di intensità di lavoro molto bassa).
  Vorrei, però, sottolineare che se esiste una povertà minorile, vuol dire che questa proviene da una grande presenza di povertà della famiglia, quindi, degli adulti. La povertà relativa, così come anche quella assoluta, sono sicuramente una conseguenza di un'intensità di lavoro molto bassa. Di conseguenza, bisognerebbe incidere in modo molto forte, senza perdere altro tempo, per introdurre di nuovo il cittadino all'interno della vita della società, ovvero fare in modo che esso ritorni ad essere inserito dal punto di vista lavorativo. Tutto questo, infatti, crea economia e benessere, e quindi anche il benessere del minore. La misura sperimentale di cui lei ci ha parlato e che il Governo si accinge a porre in essere, purtroppo, va a incidere solamente su alcune grandi città d'Italia.

  MARIA CECILIA GUERRA, viceministro del lavoro e delle politiche sociali. È su tutto il territorio nazionale ! Vi sono 50 milioni per le grandi città, 167 per le otto regioni meridionali e le risorse dell'emendamento per quelle centrosettentrionali. Inoltre, entro l'anno si estenderà su tutto il territorio

  NUNZIA CATALFO. Quante famiglie si riusciranno a raggiungere ?

  MARIA CECILIA GUERRA, viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Circa 400.000 individui. Per le famiglie, dipende dalla numerosità.

  NUNZIA CATALFO. Mi chiedo se è stata fatta una statistica per calcolare quante sono le famiglie che si dovrebbero raggiungere.
  Inoltre, abbiamo parlato di 231 euro mensili per nucleo familiare con due componenti, fino a un massimo di 404 per nucleo familiare di cinque componenti, somma che è molto al di sotto della soglia Pag. 8di povertà, sia assoluta che relativa. Parliamo da molto tempo di attivare delle misure che possano influire positivamente sul futuro della famiglia e sulla diminuzione della povertà in Italia, tuttavia, purtroppo, con queste misure non riusciamo ad arrivare minimamente alla soglia prevista.
  Avrei, poi, una domanda riguardo alla presa in carico della famiglia beneficiaria da parte dei servizi comunali. Mi chiedo se avete fatto una mappatura dei servizi sociali e comunali, soprattutto nel Mezzogiorno, per capire se e come funzionano, e se sono in grado di raccordarsi con la rete. Purtroppo, so per esperienza personale che anche in molte regioni del Sud ciò è difficilmente attuabile, nel senso che non so se si riuscirà a prendere in carico la famiglia, a seguire il minore e, contemporaneamente, ad attivare la rete. Questo è per me un dubbio enorme.
  In passato mi sono occupata di dispersione scolastica e ho visto che i servizi sociali al Sud hanno non poche difficoltà. Pertanto, mi sembra difficile che si riesca a gestire la presa in carico di tutta la famiglia e ad attivare tutti i passi importantissimi affinché sia il bimbo, sia la famiglia vengano seguiti lungo tutto l’iter, dall'inserimento, alla scuola, al Centro per l'impiego. Insomma, la tematica è molto complessa. Le persone a rischio di povertà in Italia sono tante. Credo, quindi, che sarebbe il caso di dedicare una seduta alla strategia di Europa 2020, magari anche in sede di Commissione affari sociali.

  PRESIDENTE. Vi chiedo di fare interventi brevi perché molte di voi hanno chiesto la parola. Siamo perfettamente consapevoli che si tratta di un problema grandissimo e, proprio per questo, l'abbiamo indicato come prioritario per questa Commissione. Tuttavia, vi chiedo di essere sintetiche, anche per dare al viceministro il tempo di rispondere.

  LOREDANA LUPO. Sarò breve: lei ha parlato del progetto pilota, che è già stato attuato. Vorrei sapere se avete una stima di quante famiglie sono state «riabilitate» dopo essere state inserite in questo progetto.
  Lei ha parlato di una dimensione che non si basa sull'assistenzialismo, bensì sulla reintroduzione della famiglia nella società. Tuttavia, le misure che avete posto in essere sono relative alla dispersione scolastica e al controllo del minore da parte delle istituzioni sanitarie, che sono due punti fondamentali sui quali, normalmente, queste famiglie peccano. Non comprendo, però, come tutto questo possa aiutare – ovviamente, l'istruzione è fondamentale e riabilita il minore – le famiglie a risollevarsi dal loro grado di povertà, o a far loro comprendere come uscire da questa problematica.
  Come diceva la collega, se c’è un minore povero, ciò si deve ad una famiglia che è in condizione di disagio. Insomma, l'idea è meravigliosa, perché c’è un progetto che prevede un «dopo», ma vorrei comprendere meglio come l'avete strutturato e qual è il numero delle famiglie che hanno reagito positivamente a questa azione.

  DONELLA MATTESINI. Ho apprezzato il progetto che lei ha presentato, fin dal suo sviluppo. Ritengo che sia una misura importante, tuttavia le mie domande vanno oltre. Nel momento in cui la povertà fa registrare questo picco, con un raddoppio in quasi due anni in una zona del Paese, è chiaro che abbiamo bisogno di misure immediate. Vorrei anche capire quali misure il Governo intende prendere per evitare di addivenire ad una mera somma di singoli interventi o progetti. Credo che ciò sia emerso in occasione del dibattito sulle mozioni contro la povertà, sia alla Camera, sia al Senato. Mi chiedo, dunque, quali sono le politiche che il Governo intende intraprendere, sia complessivamente per i minori, sia per abbattere la povertà minorile, posto che parlare di povertà minorile significa coinvolgere moltissimi aspetti, dalla salute al tempo libero e così via.
  La mia domanda specifica è la seguente. Negli impegni contenuti nelle mozioni approvate da entrambi i rami del Pag. 9Parlamento si è individuato uno strumento unitario nella definizione e nel finanziamento del Piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza: vorrei capire quali sono i tempi.
  Aggiungo che questa Commissione ha già dimostrato, rispetto anche alla Legge di stabilità, di offrire massima disponibilità e sostegno verso azioni che vadano a promuovere il benessere dei bambini. Mi sento di dire ciò, consapevole del fatto che i colleghi sono d'accordo.
  Tra l'altro, stamattina c’è stata la presentazione della ricerca di Save the children, in conclusione della quale è stato denunciato il fatto che da molto tempo si sta chiedendo al Governo di realizzare un coordinamento tecnico e politico tra i vari Ministeri, in modo tale che ci siano delle azioni congiunte. Insomma, abbiamo bisogno di un'azione che disegni la cornice dentro la quale ogni singola azione costituisca un tassello, per avere, alla fine, un quadro definito. In caso contrario, faremo una somma di progetti, anche importanti, ma che però rimarranno tali. Le chiedo, quindi, se c’è l'idea di dotarsi di uno strumento di coordinamento tecnico e politico sul tema dei minori.
  Inoltre, è vero che le regioni hanno competenze specifiche sulle politiche sociali, ma mi chiedo se, attraverso lo strumento specifico della definizione del Piano nazionale, la Conferenza delle regioni e gli enti locali possano essere soggetti pattuenti. Infatti, non è più tollerabile che ci sia questa differenziazione così profonda tra zone territoriali. Forse, bisognerebbe tentare di avere politiche più omogenee anche a livello nazionale, magari proprio attraverso questo strumento.
  Non so come è stato definito negli anni precedenti il Piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, ma sicuramente dovrebbe essere uno strumento tale da poter essere attivato in tempi rapidi, seguendo le possibilità di concertazione, di condivisione e di impegno anche da parte dei territori.
  Da ultimo, pur comprendendo che le risorse non ci sono, mi chiedo perché non possiamo lavorare sulla legge n. 285/97, che era un grande strumento unitario, per far sì che i finanziamenti non vadano solo ad alcune grandi città. Insomma, vi volete dotare di strumenti che permettano una programmazione vera, che valorizzi scelte importanti come quelle che lei ha esemplificato con questo progetto pilota, ma che nel contempo dotino uno strumento che è di assistenza e di intervento sulle povertà, ma anche di promozione delle politiche generali per l'infanzia e l'adolescenza ?

  VENERA PADUA. Condivido quanto è appena stato detto. Apprezzo molto quello che è stato rimarcato più volte dal viceministro, ovvero il discorso di accompagnare le famiglie. Infatti, oltre al bisogno materiale che esiste ed è indubbiamente urgente (chi di noi non ha esperienza di genitori che chiedono soldi perché non posso più comprare il latte o i pannolini ?), vi è anche un bisogno di accompagnamento. Mi pare che questa sia la linea del Governo.
  Tuttavia, mi chiedo se non si possa provare a istituzionalizzare tutto questo. Capisco che la responsabilità è delle regioni, ma occorre dare delle linee guida precise. Oltretutto, mi permetto di ricordare che sui territori esistono delle figure che sarebbero a costo zero. Penso, per esempio, ai consultori che sono dotati di pediatri, di ginecologi, di assistenti sociali e di psicologi. Perché, allora, non fare rete sul serio e una volta per sempre con tutto quello che il territorio ha e che sarebbe a costo zero ?
  Dico questo perché negli anni passati alcuni comuni hanno già realizzato le splendide azioni che idealmente si possono mettere in pratica. Ovviamente, però, senza risorse non possono più farlo. Ciò è avvenuto anche in quel profondo sud a cui si riferisce questo dato da brividi. Nel mio comune, negli anni passati, queste azioni venivano fatte quando c'era un'amministrazione più lungimirante e più risorse finanziarie. Adesso, invece, non si fa più nulla: i bambini sono abbandonati. Abito vicino a Pozzallo, dove vi sono continuamente Pag. 10degli sbarchi e non sappiamo proprio come gestire i bambini e i minori: i comuni sono disperati.
  Tra le realtà locali, ci sono l'ASP con il consultorio, i medici di base, i pediatri di base, gli assistenti sociali del consultorio o dei comuni. Bisognerebbe fare rete tra questi soggetti, ma non solo una tantum. Abbiamo provato ad avviare dei progetti, ma far ciò una tantum non serve a nulla perché il progetto finisce, mentre i genitori restano quelli che sono e i loro figli saranno esattamente come loro. Ho assistito alla crescita delle generazioni e i figli, nonostante gli sforzi, saranno uguali ai genitori se tutto ciò non diventa una realtà istituzionalizzata.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola alla collega Iori, riprendo la ricerca di Save the children, che questa mattina ha presentato il suo Atlante, nel quale emerge un dato. Le differenze geografiche – che sono drammatiche – stanno diminuendo, nel senso che il livello si sta abbassando. In pratica, anche dove si stava un po’ meglio, ora si comincia a stare peggio. Questa è un'altra ragione d'inquietudine molto grande.

  VANNA IORI. Il mio intervento è in continuità con quello che mi ha preceduto. Vorrei, però, portare l'attenzione su un dato in particolare, tra quelli che ci sono stati forniti poc'anzi, che ritengo particolarmente rilevante. Mi riferisco al 27,6 per cento delle famiglie monogenitoriali. Le famiglie con uno, due, tre o più figli sono spesso sotto la soglia di povertà. Tuttavia, nel nostro Paese la famiglia monogenitoriale è il risultato delle separazioni di coppia e del conseguente impoverimento prevalentemente delle madri perché, nonostante l'affido condiviso, i figli vengono assegnati alle madri o comunque convivono con le madri, con una latitanza molto elevata di padri che non corrispondono l'assegno dovuto.
  Anche questo è un aspetto importante che inserirei in un discorso di misure per la povertà infantile che non riguardano solo la povertà materiale (il latte e i pannolini), ma anche la necessità di integrare più fronti, quindi servizi integrati all'infanzia che comprendano sia le povertà materiali che quelle «immateriali», anche perché queste due forme non sono mai nettamente separabili.
  In particolare, mi sembrerebbe molto importante un lavoro sugli interventi precoci, fin dalla primissima infanzia. Ricordiamo che siamo in un Paese in cui meno di due bambini su dieci frequentano un asilo nido. Poter inserire i bambini precocemente nelle strutture educative per l'infanzia sarebbe già un'importante risposta di prevenzione alle diverse forme di povertà.
  Dobbiamo, poi, parlare anche di accompagnamento al ruolo genitoriale. In tanti Paesi europei esistono servizi che in Italia non ci sono, se non nei consultori, ma in maniera sporadica e senza nessuna organicità. L'accompagnamento al ruolo genitoriale e al potenziamento delle competenze educative e di cura dei figli sarebbe un'altra strategia collaterale che potrebbe rafforzare le misure di contrasto alla povertà.

  FRANCESCA PUGLISI. Molto è già stato detto negli interventi che hanno preceduto il mio.
  Vorrei tornare sulla vicenda del dipartimento per l'infanzia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che viene richiesto a gran voce ormai da decenni da gran parte delle associazioni. Sappiamo bene che il nostro Paese ha una ricchezza incredibile di associazionismo, operante sia a livello nazionale, sia territoriale, che però troppo spesso lamenta la mancanza di un vero e proprio coordinamento. Bisogna, quindi, stabilire come costruire un coordinamento, anche in vista della costruzione del Piano nazionale, con questa Commissione, individuando la funzione che può svolgere il Parlamento e il Garante per l'infanzia. Credo che associazionismo, enti locali, Garante e Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza non possano essere più delle monadi che viaggiano in solitario, anche rispetto ai compiti del Governo.Pag. 11
  Vorrei toccare altre due questioni. In primo luogo, la dispersione scolastica e la povertà sono due fattori strettamente legati, come mostrano tutti i dati. Le chiedo se, tra le misure individuate dal Governo per combattere la povertà assoluta delle famiglie, non possa rientrare una sorta di beneficio, ovvero delle agevolazioni o dei sussidi per queste famiglie, con l'obbligo di mandare i propri figli a scuola. Questa è una misura che hanno utilizzato i Paesi latino-americani per combattere sia la dispersione scolastica, sia la povertà. Mi chiedo, quindi, se in questa epoca di ricostruzione del nostro Paese non debba essere adottata anche da noi.
  Avrei, poi, un'altra richiesta che riguarda un'altra forma di povertà estrema che coinvolge le donne sole con figli. Mi riferisco alle donne che sono private della libertà perché hanno commesso reati e sono in carcere con bambini piccoli, purtroppo anche fino a sei anni, con la modifica della normativa, le quali denunciano alle associazioni che, in alcuni casi, proprio per i tagli drammatici che hanno subito i bilanci dei comuni, non hanno neppure le risorse per permettere a questi bambini di frequentare l'asilo nido o la scuola dell'infanzia.
  Oltre ad evitare che queste madri, sole e con figli in carcere, vivano in una struttura penitenziaria non adatta alla crescita di un bambino (ciò dovrebbe essere il nostro principale obiettivo), credo che, laddove questa cosa continui a sussistere, sia una misura di civiltà prevedere per i bambini quelle risorse necessarie a farli vivere il più possibile al fuori delle mura del carcere, in modo che essi possano sviluppare una loro socialità, per poi tornare a dormire con la loro mamma.

  ROSETTA ENZA BLUNDO. Condivido pienamente gli inviti a un coordinamento di tutte le forze. Tuttavia, con questa misura di sperimentazione temporanea interveniamo su realtà sociali quali quelle nel Meridione, che già erano pregresse (infatti, dall'istogramma si vede perfettamente che i livelli erano già alti) ed altre che le colleghe hanno illustrato (penso alle famiglie che hanno perso il lavoro, quindi, a chi lavorava e poi è diventato disoccupato, o a chi aveva un coniuge e poi si è separato, ovvero alle famiglie monogenitoriali).
  Queste sono realtà in cui la difficoltà economica è puramente tale e può fare degradare questo tipo di famiglie. Allora, attraverso questa sperimentazione di un anno, in che modo andiamo ad assegnare questo aiuto economico in collegamento con il servizio sociale del comune ?
  Inoltre, poiché il progetto dura un anno e non ha certezze, vorrei sapere cosa accade successivamente, visto che queste famiglie continuano a permanere o possono continuare a permanere nel disagio economico. Questo aspetto andrebbe inquadrato nella dimensione della mozione da tutti noi sottoscritta e condivisa di una tutela massima della famiglia d'origine, anche qualora vi siano problemi economici in atto.
  Vorrei chiedere, inoltre, in base ai programmi che già ci sono, quanto viene stanziato e come per le case famiglia delle quali avevamo chiesto la mappatura. Vi è, infine, la possibilità di estendere la sperimentazione PIPPI ad altre città ? Se sì, con quali tempi ?

  GIORGIO ZANIN. Abbiamo una voce maschile tra le tante. Vorrei fare una considerazione ad ampio spettro rispetto ad alcune ricadute che si rischia di prendere sotto gamba.
  Nel sistema formativo una parte dell'offerta accessoria viene resa a pagamento e spesso incide, in termini qualitativi e dal punto di vista psicologico, in maniera non indifferente per alcuni ragazzi, anche a livelli di scuola dell'obbligo.
  Penso che dovremmo riservare attenzione anche a questo aspetto perché nel circuito formativo dell'istruzione, negli anni passati, la richiesta da parte delle famiglie ha alimentato delle aggiunte rispetto alle quali, data la percentuale di povertà che cominciamo ad avere in certe parti del Paese, oggi si rischia di avere una discriminazione e un disagio anche psicologico da non sottovalutare. Penso, per Pag. 12esempio, alle ore accessorie di musica o di lingua che, negli anni passati, certe realtà scolastiche, in maniera meritoria, avevano aggiunto al piano dell'offerta.
  Questi sono aspetti che non dobbiamo sottovalutare perché l'impatto anche psicologico delle differenze sui ragazzi – non tanto per i bimbi, ma soprattutto per gli adolescenti – diventa un quadro impegnativo da affrontare, carico di conseguenze anche di discriminazione all'interno del gruppo dei pari.

  IRENE TINAGLI. Vorrei aprire una piccola parentesi per allacciarmi a quello che ha detto la collega Puglisi sui bambini in carcere. Recentemente, su questo tema ho depositato un'interrogazione, posto che la legge 21 aprile 2011 n. 62 prevede di superare la condizione di questi bambini e di accogliere le madri nelle case famiglia. Tuttavia, non mi risulta che in questo momento ci siano le strutture adeguate per applicarla, sebbene siamo vicinissimi al 1o gennaio.
  Vi sono interrogazioni che stanno nei cassetti da mesi ! Vi chiederei, quindi, un aiuto o dei suggerimenti su altri possibili strumenti che possiamo attuare per sollecitare il Ministro in questo senso e per capire se e come possiamo accertarci del fatto che questa legge sia applicata e che questi bambini siano adeguatamente tutelati.

  PRESIDENTE. È stato drammatico prendere atto del fatto che inserire il tema della povertà minorile tra le materie da trattare in via prioritaria da parte di questa Commissione sia stato, purtroppo, corretto. Do ora la parola al viceministro Guerra per la replica.

  MARIA CECILIA GUERRA, viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Dal tenore degli interventi che sono stati fatti, è evidente che avete spaziato moltissimo perché, giustamente, i temi sono interconnessi e attraversano un insieme molto ampio di problematiche. Per questo, ribadisco la mia disponibilità, soprattutto per le materie che sono di mia competenza (per le altre posso dare solo risposte di tipo generale), a ritornare in questa sede per ulteriori approfondimenti specifici, posto che Governo e Parlamento dovrebbero sempre lavorare insieme.
  Devo, però, ricordare a tutti noi un aspetto sul quale parlo in veste di ex professore universitario: bisogna ricordare – spesso facciamo ciò con grandissima amarezza – che in questa nazione è passata una riforma del Titolo V e una conseguente applicazione in termini di federalismo fiscale che ha disegnato le varie competenze in un certo modo. Pertanto, non potete chiedere al Governo di occuparsi di competenze di cui, per norma costituzionale, non può occuparsi.
  In quel passaggio, è successa anche un'altra cosa molto importante, che ho contrastato con tutte le mie forze, ben prima di occupare ruoli politici o nel Governo. Mi riferisco al fatto che il finanziamento del sociale è scomparso, ovvero non è tutelato nell'assetto attuale delle finanze, diversamente da quanto avviene, per esempio, per la sanità o l'istruzione.
  Faccio l'esempio della sanità, per cui c’è un fabbisogno sanitario definito anno per anno, cui corrispondono dei livelli essenziali di prestazioni. Ora, quella è una competenza regionale, assistita, però, da un finanziamento definito. Dopodiché, le regioni, se riescono, possono aggiungerci del loro per fare cose diverse. Ebbene, il modello del sociale è diverso perché il finanziamento del sociale avviene attraverso il finanziamento indifferenziato degli enti decentrati, senza alcuna tutela di carattere nazionale. Questo fatto determina livelli territoriali che possono essere diversi, per cui le differenze si accentuano piuttosto che uniformarsi. Restano dei fondi che preesistevano, ma adesso, a normativa costituzionale, nessuno potrebbe istituire un fondo nuovo. Non esiste – lo ripeto – questa possibilità dal punto di vista costituzionale. Si potrebbe, tuttavia, procedere alla definizione di livelli essenziali e assisterli con un finanziamento.
  Dico questo con grandissima sofferenza e aderisco alle vostre grida di dolore. Pag. 13Aggiungo il mio dispiacere al vostro, sottolineando però, che è un problema storicamente determinato, che stiamo cercando affannosamente di contrastare. Ogni anno il finanziamento del sociale deve essere concretamente rifinanziato. Non è come sulla salute o sulla scuola, materie su cui possiamo dire quanto tagliamo o aggiungiamo, poiché c’è uno storico che è comunque permanentemente determinato: se anche un Governo non facesse niente, la scuola e la salute andrebbero avanti ! In tal senso, anche il sociale va avanti, ma per quello che è finanziato a livello decentrato, ovvero per ciò che i comuni e le regioni possono fare con le loro risorse, che vengono poi determinate anche dalle norme centrali.
  Pertanto, i fondi che abbiamo a vario titolo evocato ogni anno sono azzerati. Ovviamente, questa non è una cosa ineluttabile, quindi, in una situazione di vincoli finanziari meno asfissianti e senza una crisi così spaventosa come quella in cui ci troviamo, andrebbe fatto uno sforzo in un'ottica permanente. In alcuni campi si sta già inserendo qualche piccola voce permanente. Per alcune cose, vi è un finanziamento almeno pluriennale proprio per avere un'ottica di programmazione.
  Tuttavia, come dicevo anche l'altro giorno in XII Commissione, anche sui fondi basici (Fondo nazionale politiche sociali, Fondo per la non autosufficienza e social card tradizionale) si è arrivati a un miliardo; ciò è accaduto solo perché non si andasse a perdere quello che già c'era. Questa è una difficoltà specifica.
  Per questa ragione considero un passo avanti enorme il fatto che si sia aggiunto qualcosa sulla povertà e che si sia stata stanziata – sia pure secondo modalità che ho definito da puzzle, cioè non ideali – una somma che permetta di far partire un'unica misura su tutto il territorio nazionale nella seconda metà del 2014. Credo che questo sia uno stimolo verso un rifinanziamento che spero sia permanente, anche con l'aggiunta di risorse. Se fosse per me e per le mie priorità, avrei sicuramente destinato più soldi. È chiaro, però, che non è solo un problema di risorse, ma anche di priorità. Tuttavia, considero questo un passo importante, anche se non dobbiamo dimenticare quello che ho detto perché è un aspetto su cui, prima o poi, bisognerebbe intervenire.
  Fatta questa premessa, di cui mi scuso ma che ritengo importante per inquadrare meglio alcune delle cose che dirò a breve, procederò ora con l'ordine delle domande poste, anche se dubito di poter rispondere su tutto.
  Avete sottolineato come prioritaria la necessità dell'inserimento lavorativo. La misura che disegniamo tiene conto di tutte le indicazioni che sono fatte con forza anche nelle proposte di legge e, principalmente, del fatto che il trasferimento monetario va affiancato a misure di inserimento lavorativo. Questo è, quindi, uno dei punti che c’è, anche se va costruito.
  Vorrei, però, che fosse chiara l'impostazione che abbiamo dato (che, ovviamente, può non essere condivisa). È ovvio che la soluzione ideale sarebbe che tutti avessero il lavoro, cioè che non ci fossero poveri, ma così non è. Inoltre, dati i tassi di povertà che abbiamo, non sarà così neanche domani. Pertanto, occorre una misura nell'attesa che questo problema venga risolto con altri strumenti, cioè con quelli atti a creare lavoro. Dico questo perché la povertà segna l'infanzia in maniera indelebile. Non si può lavorare per costruire se stessi, se non si interviene subito. È un'emergenza nell'emergenza e si rischia di rovinare una persona per la vita, quindi, l'attenzione specifica, con un aiuto anche monetario e immediato, è prioritaria.
  Tentiamo, insomma, di tenere insieme i diversi piani, ma nella sicurezza che non si possa risolvere immediatamente un problema di così alta disoccupazione come quella esistente. Pertanto, nel frattempo, in un'ottica di redistribuzione, si cominciano ad assegnare delle risorse anche per dare un respiro. La somma non arriva neanche a coprire la povertà assoluta, ma comincia a dare un aiuto, sensibile e più visibile rispetto ai 40 euro al mese, che pure facciamo fatica a dire di non dare più perché sono anch'essi sensibili. Insomma, Pag. 14è un passo; è la misura migliore del mondo nel disegno, ma certamente non nel quantum.
  La sperimentazione è iniziata, ma il primo trasferimento monetario avrà luogo, di fatto, a gennaio. I 12 comuni ci sono serviti moltissimo, sia per il disegno della misura e della sua fattibilità, sia per capire come vanno fatti i bandi, le selezioni, i problemi che si potevano porre e così via. Infatti, abbiamo emanato anche un decreto che aggiusta e spiega meglio i criteri e quant'altro. Quindi, con gli altri procederemo molto più velocemente perché abbiamo già fatto l'esperienza. Tuttavia, i primi trasferimenti arriveranno da gennaio del prossimo anno.
  La sperimentazione è disegnata in modo che essa stessa chiede. In altri termini, quando la sperimentazione avrà fatto il suo percorso saremo in grado di dire quello che lei stessa chiede. Dico questo dal momento che non siamo riusciti a farlo per altre misure del passato perché non c'era stato il disegno prima, quindi non sono stati i raccolti i dati fin dall'inizio e in modo adeguato per poter confrontare popolazione trattata e non trattata e vedere se la misura ha impatto. Quindi, andiamo nella direzione che la sperimentazione richiede, ma non è ancora possibile dare una risposta in questo senso.
  In molti avete posto un problema di coordinamento. Noi abbiamo un punto di coordinamento, l'Osservatorio per l'infanzia e l'adolescenza, che è esattamente quello che avete descritto, vale a dire un posto dove sono compresenti tutte le amministrazioni in relazione alle loro diverse responsabilità (Ministero dell'istruzione, della Giustizia, delle Politiche sociali e via dicendo), ma anche le regioni, i comuni e le associazioni. Quindi, è esattamente il punto di coordinamento.
  Proprio a questo Osservatorio è affidato il compito di disegnare il piano, quindi, di individuare le azioni da fare e le priorità. Tuttavia, l'Osservatorio non è stato rinnovato per un certo periodo di tempo perché ci sono stati prima i problemi legati alla caduta del Governo (il Governo è caduto a dicembre e, giustamente, si è deciso di non rinnovare neanche gli Osservatori), poi altre difficoltà che conoscete. Infine, adesso, c’è un problema di coordinamento fra le amministrazioni. Tuttavia, l'Osservatorio è in corso di nomina, quindi, fra pochi giorni, ci sarà il decreto, dopodiché si metterà subito al lavoro per la definizione del Piano.
  Riguardo all'idea di un dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri, esprimo un parere personale: io chiuderei anche quelli esistenti perché un coordinamento – lo vedo nelle attività che sto svolgendo – deve trasmettere alle amministrazioni la capacità di lavorare insieme. Pertanto, se costituissi il dipartimento per l'infanzia e adolescenza, esso dovrebbe comunque rapportarsi con gli altri Ministri, perché non possiamo includervi anche l'istruzione o la sanità. Allora, perché non istituiamo anche il dipartimento per la disabilità o il dipartimento per gli anziani, come pure ci chiedono ? La logica non è quella di fare tanti dipartimenti o Ministeri dedicati settorialmente, bensì di insegnare ai Ministeri a lavorare in maniera coordinata.
  Vi assicuro che abbiamo avuto delle esperienze molto positive in questo senso, tra cui quella dei minori stranieri non accompagnati. Infatti, quando ci si impegna, le competenze si arricchiscono l'una con l'altra e la pianificazione si fa in modo ideale. Il Piano per la disabilità grazie al quale cominceremo a monitorare – anche su questo i passi sono lenti rispetto ai nostri desiderata, ma si fanno – è un altro esempio di lavoro coordinato che ha coinvolto la società civile e ha dato un risultato importante.
  Dopodiché, le modalità di coordinamento possono essere tante, ma vorrei che fosse chiaro che ci sono dei ruoli diversi. Per esempio, il Garante per l'infanzia e l'adolescenza non è l'attore delle politiche, bensì il soggetto che deve controllare. Dico questo perché spesso i ruoli vengono mescolati. Anche il rapporto con l'associazionismo è fondamentale, ma è ovvio che le responsabilità sono in capo alle competenze.Pag. 15
  Quello che avete posto è un problema fondamentale. Occorre un coordinamento e bisogna che l'Osservatorio riprenda immediatamente i suoi lavori per arrivare a un piano attraverso il quale si va anche a rendere conto di quello che si fa, nel bene e nel male. Infatti, è evidente che si è esposti anche a essere criticati per le cose che non si fanno o per quelle che si fanno in modo non adeguato, con lentezza e altro ancora.
  Avete anche sottolineato la necessità di fare rete e le difficoltà che, in questo senso, ci sono in alcune zone d'Italia. La collega della Sicilia ricordava che abbiamo una situazione a macchia di leopardo, perché anche al sud ci sono molte realtà in cui si sta lavorando bene anche sulla dispersione scolastica, proprio mettendosi in rete.
  Mi sembra di capire che siamo d'accordo sul fatto che questa sia la scommessa giusta, ma va costruita. Questa misura che stiamo disegnando – piccola rispetto a quello che sarebbe necessario, ma estesa su tutto il territorio nazionale – è uno stimolo. Il problema è su cosa appoggiamo una misura di contrasto alla povertà. Rispetto a quello che dite sulle debolezze dei comuni, potrei rispondere che attualmente trovo altrettante, se non maggiori, debolezze nei centri per l'impiego o sulla rete delle ASL. Il problema è che va costruita una forte consapevolezza amministrativa.
  È sicuramente un peccato che questa misura non sia come dovrebbe essere, ma, allo stesso tempo, dà la possibilità di dare un respiro e uno stimolo, se è accompagnata, come pensiamo di fare, lavorando insieme con i comuni e le regioni perché cresca, accudita in modo tale da potere avere le gambe giuste. Mi sembra, però, inevitabile che la scommessa debba essere su questo.
  Riguardo al condizionamento dell'obbligo scolastico, evidenziato dalla senatrice Puglisi, vorrei dire che la misura in esame ha esattamente questo scopo. Infatti, il nucleo preso in carico si impegna all'osservanza dell'obbligo scolastico, nel senso che chi non manda i figli a scuola perde il beneficio. Quindi, è esattamente nell'ottica che veniva richiamata.
  In merito ai criteri di assegnazione, la valutazione della condizione economica non è a carico dei comuni, ma viene fatta con strumenti come l'ISEE o degli indicatori che sono raccolti ai fini ISEE. Il controllo è fatto centralmente, quindi garantisce un criterio di omogeneità su tutto il territorio nazionale, a maggior ragione adesso che l'ISEE è definito come livello essenziale, per cui tutti gli enti erogatori devono applicare lo stesso tipo di valutazione e di criterio.
  Inoltre, anche buona parte degli altri criteri utilizzati sono controllabili centralmente. Giustamente, a integrazione di quello che avevo detto, lei ha ricordato che abbiamo definito un criterio non solo sui figli, quindi non solo economico, ma anche relativo alla difficoltà di lavoro. In particolare, la misura è limitata alle famiglie in cui gli adulti non lavorano o sono in condizioni di grave precarietà e in cui almeno uno abbia perso il lavoro negli ultimi tre anni.
  Questa è una condizione che viene controllata all'INPS perché bisogna che ci siano stati i versamenti contributivi. Quindi, è una potente misura di controllo perché non possiamo nasconderci che c’è un rischio di abuso. È ovvio, infatti, che la situazione cambia se finanziamo non la famiglia povera, ma quella in cui c’è lavoro nero.
  Ricapitolando, gli elementi di verifica sono la presa in carico da parte dei comuni, il nostro ISEE, che unisce elementi reddituali e patrimoniali, e il fatto che ci sia stato un lavoro in regola per un certo periodo. Nonostante ciò, sappiamo che altre misure si sono scontrate con il problema del lavoro nero. Per questo è importante costruirle, monitorarle e poi correggerle, là dove si presentano dei problemi. Tuttavia, voglio dire che siamo impostati a farlo molto seriamente.
  In merito alla mappatura delle case famiglia, devo ribadire che la mappatura è stata messa a disposizione sul sito del Ministero. Il finanziamento delle case famiglia, Pag. 16però, non è in alcun modo competenza statale, bensì comunale. I criteri per le case famiglia sono definiti da soggetti che non sono lo Stato, ma i comuni, le regioni o la procura, a seconda della situazione. Non vorrei entrare in troppo dettaglio, ma su questo aspetto non posso rispondere perché esula dalle nostre competenze.
  Estendere PIPPI è esattamente quello che abbiamo fatto. Il progetto è nato nell'ambito della legge n. 285/97, quindi nelle città riservatarie, con un nostro finanziamento aggiuntivo, cioè sulla parte ministeriale del Fondo nazionale politiche sociali. Il programma è stato applicato in varie città, che lo hanno voluto ripetere perché ha avuto degli esiti molto positivi. Attualmente, vi abbiamo destinato alcune risorse.
  Peraltro, devo precisare che abbiamo pochissime risorse, avendo una quota ministeriale del Fondo nazionale politiche sociali, che, in larga parte, è destinata secondo obblighi di legge (bandi per il terzo settore, finanziamento delle associazioni tradizionali dei ciechi, sordi e così via). Abbiamo, quindi, un piccolo buffer che ci permette di sostenere delle iniziative che hanno natura sperimentale, ma che servono per mettere in rete delle buone pratiche ed evitare quello che succede con alcuni progetti che attivano delle buone pratiche, ma in maniera estremamente transitoria.
  Si tratta, quindi, di costruire una metodologia e investire per farla conoscere e diffonderla sul territorio, utilizzando anche i cofinanziamenti degli enti decentrati. PIPPI è, appunto, un'esperienza di questo tipo, per la quale abbiamo avuto un'adesione significativa. Attualmente, abbiamo fatto il bando che estende il progetto oltre le città riservatarie a un insieme di ambiti per ciascuna regione che partecipa. Più precisamente, per ciascuna regione ci sono degli ambiti socio-assistenziali coinvolti, quindi aggregazioni di comuni che vanno da due a otto.
  Ovviamente, stiamo parlando di un'iniziativa che rimane abbastanza piccola perché – ripeto – abbiamo pochissime risorse sul Fondo nazionale politiche sociali. Siamo, però, contenti che chi l'ha sperimentata ha voluto ripetere l'esperienza e chi non l'ha fatto si è aggregato volentieri. Dopodiché, è ovvio che questo non è il più bel mondo possibile: lo sarebbe se avessi molti soldi e potessi attivare molte misure, ma non è così.
  Rispondo, ora, alla domanda sulla questione dei bimbi in carcere. Sono d'accordo sul fatto che questo è un problema sensibile e drammatico. È un caso specifico di ingiustizia su un bambino incolpevole, che si ripercuote sulla sua vita, segnandola in modo drammatico. Questo tema non è nelle mie competenze, quindi non posso rispondere; tuttavia, posso farmi parte attiva, come ho fatto dando un parere positivo per la competenza del ministro sull'emendamento che era stato proposto al Senato.
  Nemmeno ciò che riguarda la scuola è mia competenza. È, però, evidente che tutto quanto non è offerto in modo omogeneo, specialmente quando si tratta di elementi che riteniamo essenziali, crea disparità, che nel nostro Paese sono già molto forti, quindi non posso che sottolineare anch'io la preoccupazione che è stata espressa.
  In merito alle famiglie monogenitoriali ritengo che abbiano delle delicatezze specifiche, ma i criteri che vi ho elencato per la misura di contrasto alla povertà, che noi chiamiamo «primo passo verso il sostegno e l'inclusione attiva», possono non essere sufficienti a restringere la platea, data l'esigenza di rimanere nel budget. Per questo abbiamo inserito dei criteri aggiuntivi che possono essere scelti dai comuni nelle grandi città e dalle regioni nella sperimentazione estesa su tutto il territorio nazionale. Tra questi, c’è, appunto, il criterio della monogenitorialità. Non sto dicendo che questo sia sufficiente, quindi condivido la vostra preoccupazione.
  Ugualmente, condivido l'opinione per cui, mettendo in sinergia le diverse competenze, occorre investire sugli interventi precoci e sull'accompagnamento al ruolo genitoriale, che è molto importante. In questo senso, PIPPI è un esempio di Pag. 17investimento sulla ricostruzione del ruolo genitoriale, perché è un progetto che porta a mantenere il bimbo in famiglie potenzialmente maltrattanti, le quali, però, si fanno parte attiva. La logica è sempre la stessa: sostenere e richiedere un'attivazione per superare un problema.
  In quel caso, si investe moltissimo proprio sulla genitorialità, come anche nelle linee sull'affido, laddove il tema della genitorialità riguarda sia per la famiglia affidataria, sia quella a cui il bambino viene tolto, quindi, è una delle attenzioni fondamentali. PIPPI è sperimentale, ma le linee guida sull'affido riguardano tutto il territorio nazionale ed entrano in applicazione creando una cultura che non è ancora diffusa dappertutto.
  Potrei non avere risposto a tutte le domande ma ritengo di avervi offerto un primo feedback rispetto ai temi che mi avete posto. Ora, vorrei prendere con voi un impegno: appena faremo la prima riunione dell'Osservatorio per l'infanzia e cominceremo a lavorare, mentre costruiamo l'impianto, sarebbe molto utile confrontarci, secondo la periodicità che riterremo opportuna.

  PRESIDENTE. La ringrazio della disponibilità, di cui sicuramente faremo buon uso. Ora dedicheremo qualche minuto alla questione dei minori stranieri non accompagnati. Chi non può fermarsi potrà leggere il resoconto stenografico.

  MARIA CECILIA GUERRA, viceministro del lavoro e delle politiche sociali. Dal punto di vista delle competenze, di questa materia è responsabile un'altra direzione. Al momento, sulla base dell'attuale disegno normativo – che personalmente contesto – la competenza per quanto riguarda il finanziamento, cioè la copertura del costo dell'accoglienza del minore straniero non accompagnato, è in capo ai comuni.
  Le comunità che vengono a protestare perché hanno preso in carico i bimbi, ma i comuni non le pagano non sono sempre innocenti perché non possono prendere in carico i bambini senza previo accordo con il comune. La nostra legislazione prevede che il minore non può essere espulso – questa è la prima affermazione della nostra legge – ma deve essere accolto sulla base di standard positivi, che abbiano a tutela il suo interesse di persona.
  Secondo la legge, il territorio su cui il bimbo minore straniero non accompagnato viene rinvenuto è quello che se ne deve far carico. La legge non dice che una certa comunità prende in carico il bambino che incontra per strada e il comune paga. Il procedimento è un altro: il bimbo che viene trovato da un cittadino o da una comunità deve essere segnalato all'autorità giudiziaria o di Polizia, che deve seguire una procedura.
  Peraltro, le comunità che accolgono i bambini, come per le case famiglia, devono rispettare, a tutela del minore, degli standard che sono definiti dalla regione e applicati dai comuni, quindi sono diversi da regione a regione, com’è diverso il finanziamento che ogni regione chiede che sia speso sul minore. Per fortuna, molto spesso sono ragazzi di 15, 16, 17 anni, non proprio bambini quindi, anche se c’è stato un abbassamento dell'età.
  Bisogna, infatti, considerare che la nostra normativa riconosce che chi compie la maggiore età, da minore già in Italia, ha diritto per un periodo al permesso di soggiorno. Questa norma, che penso sia giusta, spinge, però, ad arrivare a quell'età perché si ha il permesso di soggiorno garantito, a meno che non si arrivi per motivi umanitari.
  Il problema che ne deriva è quello di situazioni come Pozzallo: un posto con una bellissima spiaggia molto adatta – permettetemi la battuta cinica – per accogliere nelle tende i minori stranieri non accompagnati. Questo problema vale anche per tante regioni del nord, perché i minori non arrivano solo con gli sbarchi, ma anche via terra, per esempio dal Bangladesh.
  Tuttavia, i minori non si distribuiscono sul territorio in modo omogeneo. Ci sono, invece, delle zone di concentrazione, per cui i comuni sul cui territorio viene rintracciato il minore, specie se piccoli, non ce la fanno a farsene carico. Ciò vale, Pag. 18ovviamente, anche per le grandi città. Per esempio, a Bologna, Milano e Roma ci sono situazioni di grande criticità.
  Abbiamo quindi tentato di istituire un fondo nazionale che dia un finanziamento o un cofinanziamento, che, quindi, aiuti i comuni a sostenere questa spesa e che sia l'elemento che ci permetta di poter impostare – come è stato fatto nell'esperienza dell'emergenza in Nord Africa – un discorso di redistribuzione sul territorio nazionale.
  Per esempio, se i centri di accoglienza di Siracusa stanno «scoppiando», non ho l'autorità per spostare i bambini per farli ospitare a Modena. Infatti, a norma di legge, se essi sono stati rintracciati a Siracusa, lì devono rimanere. Pertanto, è contro la legge che Siracusa, prendendo contatto con le comunità, ne abbia messi venti su un aereo e li abbia mandati a Bologna. Questa azione potrebbe essere denunciata, anche se ciò non è stato fatto: questa è la regola.
  Per quanto mi riguarda, cambiando o meno il quadro normativo, vorrei che potessimo mettere le regioni e i comuni attorno a un tavolo, come abbiamo fatto con l'emergenza in Nord Africa, decidendo di prendere i bambini in alcuni punti di smistamento per distribuirli sul territorio nazionale. In quel caso è stato possibile far ciò perché lo Stato si è impegnato a finanziare tale operazione, dando una quota pro capite.
  Attualmente, stiamo ragionando in coordinamento con gli altri Ministeri per impostare un sistema di questo tipo. Per ora, il risultato è stato che, nel 2012, su quel Fondo abbiamo avuto un finanziamento esiguo: 5 milioni. Invece, nel 2013, abbiamo avuto 5 milioni, ma non dalla legge di stabilità, bensì dal Fondo nazionale politiche sociali, con altri 20 milioni a seguito della norma che state approvando e che dovrebbe essere già arrivata in Senato. Cominciamo, quindi, ad avere una cifra più consistente.
  Come Ministero, abbiamo posto con forza questo problema, ma non si è trovata la compatibilità. Personalmente, sono molto contrariata da questo. A ogni modo, per il 2014, non c’è al momento finanziamento, mentre per il 2015 e 2016 abbiamo 20 milioni. Come Ministero, ho portato una proposta emendativa affinché sia finanziato quel fondo che ritengo indispensabile. Pertanto, ci farebbe piacere se quelli che di voi sono alla Camera dei deputati ci dessero una mano. Sicuramente, però, c’è anche una responsabilità del Governo.
  Un'altra cosa più importante che abbiamo realizzato riguarda il fatto che in questo tavolo, mettendo a frutto il tipo di metodologia che proponevo poc'anzi, abbiamo costruito il sistema informativo. Questo è fondamentale perché è il prerequisito per poter distribuire i bambini, ma anche per sapere quanti sono e per mettere in fila la procedura dell'accoglienza, affinché sia uguale sul territorio nazionale.
  Si tratta, per esempio, di stabilire chi prende in carico il bimbo, che può arrivare alla forza di polizia, ma anche direttamente dal giudice, per portarlo al comune. Bisogna, quindi, che questi punti siano collegati nello stesso sistema e che il sistema parli con quello del Ministero dell'interno che riguarda i minori, oltre che gli adulti, richiedenti asilo, che sono un'altra storia perché sono finanziati in un altro modo, con risorse decisamente maggiori.
  I passi successivi riguardano gli standard, perché un bambino non può costare 140 euro al giorno in alcune zone d'Italia e 60 in altre ! Occorre, quindi, stabilire degli standard condivisi per l'accoglienza.
  Inoltre, il sistema informativo permette di tracciare il minore. Invece, molto spesso i minori scompaiono dalle comunità, non perché siano trattati male, ma perché non vogliono farsi identificare per ricongiungersi alla catena della nazione d'origine, magari per andare in Germania o altrove. Purtroppo, abbiamo anche delle catene legate al fenomeno della tratta. Sappiamo che minori e adulti vengono in Italia pagando una cifra molto alta per il viaggio sui barconi, ma spesso hanno anche dei contratti che li vincolano a prestare lavoro Pag. 19per alcuni anni per riscattare parte della spesa non pagata. Vi sono, quindi, fenomeni di tratta in senso stretto che riguardano anche i minori, che vengono dirottati nell'accattonaggio, nella prostituzione, se non nel trapianto degli organi o nello spaccio della droga.
  Con evidenze di questo tipo, abbiamo bisogno di avere una mappatura molto accurata per sapere chi scompare e non ricompare più perché questo ci permette di leggere anche quale tipologia di bambini scompare. Abbiamo, per esempio, indicazioni precise su traffici organizzati che coinvolgono certe nazioni. Per il momento stiamo dando queste informazioni alla procura, quindi è prematuro che ve ne parli. In ogni caso, c’è un investimento attento.
  Il Ministero, come sua responsabilità, ha invece quella delle analisi familiari, al fine di sapere se, quando il ragazzo dichiara di avere un parente, ci dice il vero e quest'ultimo lo può accogliere. Dopodiché, occorre spingere sull'affido familiare entro il terzo o il quarto grado, magari con un sostegno. La Lombardia, in particolare, ha insistito molto su queste procedure.
  Tuttavia, vorrei evidenziare che non sempre quello che viene dichiarato esiste. Abbiamo avuto una storia che è stata trattata anche dalla cronaca che riguarda i ragazzi sopravvissuti del disastro di Lampedusa, che sono una quarantina, tutti la stessa nazionalità. Siamo riusciti, con uno sforzo di un comune della Sicilia, a ospitarli tutti nello stesso posto come chiedevano, avendo sofferto un evento traumatico che non è stato solo l'incendio e la perdita di propri familiari, ma anche il riconoscimento dei cadaveri. Di questi 38 minori, solo in quattro sono rimasti nella comunità che li ha accolti, che era un gioiellino siciliano. Gli altri sono tutti scappati, lasciando zainetto, cellulare e altro, perché la loro idea era di ricongiungersi con qualcuno. Alcuni dicevano di avere parenti in Canada o in Germania. Abbiamo controllato, ma i parenti non esistevano, nel senso che erano amici o parenti talmente lontani che non volevano accogliere il ragazzo. Dico questo perché a volte si sentono dire cose non vere.
  Talvolta, sembra che siano le associazioni a fare dei ricongiungimenti familiari di questo tipo. Invece, Save the children lavora con noi, con un programma sponsorizzato, in accordo con il Ministero. Ci tengo a dire che esercitiamo le nostre competenze. Da questo punto di vista, il discorso del finanziamento è fondamentale, ma va reimpostato in relazione al finanziamento dei comuni.

   PRESIDENTE. La ringrazio per l'informazione sull'emendamento. Anche noi abbiamo provveduto a presentare un emendamento, quindi, aiutiamoci a vicenda, perché è necessario prevedere coperture finanziarie per il 2014.
  Condivido molto la sua analisi e credo che, a maggior ragione, essendo stata depositata alla Camera dei deputati una proposta di legge (predisposta, tra l'altro, insieme agli esperti di Save the children), dovremmo tentare di portarla in porto, magari modificandola. So, per esempio, che ci sono delle parti che potrebbero essere emendate, posto che anche l'ANCI ha chiesto tali modifiche. Tuttavia, penso che la questione vada affrontata, dando anche la possibilità di un corridoio umanitario, nel senso che i ragazzi possano raggiungere al sicuro le famiglie o i luoghi dove vogliono andare. In altri termini, per quelli che arrivano qui con un progetto che li deve portare in Canada, è meglio fare in modo che ci arrivino.

  MARIA CECILIA GUERRA, viceministro del lavoro e delle politiche sociali.(fuori microfono) Se hanno una famiglia questo è possibile, altrimenti, no.

  PRESIDENTE. Lo so. Bisogna, però, trovare il modo di rendergli possibile un passaggio che non li metta ulteriormente a rischio.

  MARISA NICCHI. Apro una parentesi per riprendere la proposta sui bambini in Pag. 20carcere. Vorrei proporre che la Commissione metta all'ordine del giorno un'audizione, visto che il 1o gennaio scade il termine che il Governo si era dato per far uscire tutti i bambini dal carcere. Il Ministro mi ha risposto che si sarebbe impegnata e mi sembrava ben disposta. La Commissione dovrebbe, quindi, prendere una posizione.

  PRESIDENTE. È un argomento che dobbiamo affrontare in sede di Ufficio di presidenza. Nel ringraziare nuovamente il viceministro Guerra per la disponibilità, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15,15.