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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Martedì 11 ottobre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zampa Sandra , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SALUTE PSICOFISICA DEI MINORI

Audizione della dottoressa Maura Massimino, Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano, e del dottor Carlo Alfredo Clerici, specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento di oncologia ed emato-oncologia dell'Università degli studi di Milano.
Zampa Sandra , Presidente ... 3 
Massimino Maura , Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano ... 3 
Clerici Carlo Alfredo , Specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento di oncologia e di emato-oncologia dell'Università degli studi di Milano ... 4 
Massimino Maura , Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano ... 6 
Clerici Carlo Alfredo , Specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento di oncologia e di emato-oncologia dell'Università degli studi di Milano ... 6 
Massimino Maura , Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano ... 7 
Zampa Sandra , Presidente ... 8 
Iori Vanna (PD)  ... 8 
Silvestro Annalisa  ... 8 
Blundo Rosetta Enza  ... 9 
Massimino Maura , Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano ... 9 
Blundo Rosetta Enza  ... 9 
Zanin Giorgio (PD)  ... 10 
D'Incecco Vittoria (PD)  ... 10 
Massimino Maura , Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano ... 10 
Clerici Carlo Alfredo , Specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento di oncologia e di emato-oncologia dell'Università degli studi di Milano ... 10 
Massimino Maura , Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano ... 10 
Clerici Carlo Alfredo , specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento di oncologia e di emato-oncologia dell'Università degli studi di Milano ... 11 
Massimino Maura , Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano ... 11 
Clerici Carlo Alfredo , Specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento di oncologia e di emato-oncologia dell'Università degli studi di Milano ... 12 
Zampa Sandra , Presidente ... 12 

ALLEGATO: I reparti di pediatria oncologica e le cure palliative ... 13

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
SANDRA ZAMPA

  La seduta comincia alle 13.30.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione della dottoressa Maura Massimino, Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano, e del dottor Carlo Alfredo Clerici, specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento di oncologia ed emato-oncologia dell'Università degli studi di Milano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della dottoressa Maura Massimino, Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano, e del dottor Carlo Alfredo Clerici, specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento di oncologia e di emato-oncologia dell'Università degli studi di Milano.
  Vi ringraziamo per la vostra presenza, per la delicatezza e l'importanza dei temi che voi affronterete oggi, ma soprattutto per quanto fate quotidianamente per la vita e la salute delle bambine e dei bambini che vivono in questo Paese.
  La nostra attenzione sarà molto grande, sapete che questa audizione fa parte di un'indagine conoscitiva sulla salute psicofisica dei minori; vi chiederei di restare nei limiti dei venti minuti, in modo di avere il tempo di raccogliere le domande dei colleghi e per darvi anche spazio per le repliche. Lascio quindi la parola alla dottoressa Maura Massimino, Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano.

  MAURA MASSIMINO, Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano. Buon pomeriggio, grazie per l'accoglienza e per l'attenzione.
  Facciamo riferimento alla delibera della Giunta regionale della Lombardia n. VIII/11085 del 27.01.2010, in cui ci sono quattro gruppi di bambini che dovrebbero ricevere cure palliative; per la nostra vocazione, per la nostra attività è il primo gruppo quello che ci interessa e di cui abbiamo esperienza, cioè i bambini che si ammalano di tumore ed in cui la cura può fallire, cioè bambini che possono non essere destinati alla guarigione definitiva.
  Esaminando quello che succede in Italia, ci sono 11.000 bambini ogni anno che si ammalano di una patologia che non è guaribile in maniera definitiva, sono 15 su 10.000, ne muoiono circa 1.200 e di questi meno della metà ha un tumore. Sottolineiamo già ora che quasi la metà di questi bimbi muore a casa.
  Qual è l'incidenza di morti per tumore nei Paesi del primo mondo, cioè nel nostro? Dopo gli incidenti, la prima causa di morte di un bambino per malattia è il tumore. Nel 70 per cento del resto del mondo, relativamente ai bambini, invece, ci Pag. 4sono altre cause: la malnutrizione è ancora la prima causa di morte, e una minima percentuale riguarda il cancro, quindi stiamo parlando di una patologia che riguarda soprattutto i paesi ricchi.
  Quando ci si dedica alla cura dei tumori maligni è implicito che le cose possano andare male, non solo per il paziente, ma anche per chi se ne occupa, quindi per i professionisti della salute, ma rassegnarsi a questo è una conquista responsabile, non è una casualità, quindi tutto va organizzato di conseguenza. Dobbiamo tenere presente il destino infausto, che può essere la non risposta al trattamento, cioè le cure non funzionano o funzionano fino a un certo punto e poi il paziente è destinato a morire.
  Cosa ci dice la letteratura? Che anche nell'oncologia in generale i medici spesso non sono preparati in maniera adeguata o non sanno che devono provvedere a una buona assistenza del fine vita, come se questo non riguardasse la loro attività professionale. Può succedere anche in un posto come una pediatria oncologica, dove ci si aspetterebbe un coinvolgimento universale, cioè che tutti debbano essere attenti al problema della vita e al problema della morte.
  Cosa vuol dire «morire bene»? L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ci ricorda che bisogna evitare le sofferenze che sono evitabili (e mi permetto di dire che sono quasi tutte evitabili ormai), in accordo con i desideri dei pazienti e delle loro famiglie (la sofferenza è comune, è la sofferenza degli amici, dei fratelli, dei vicini, degli insegnanti), che questa deve essere adeguata agli standard clinici, culturali ed etici della società, quindi se stiamo parlando di un primo mondo questo deve essere adeguato al primo mondo.
  Cosa abbiamo intorno a questo problema? Il pediatra, il medico di famiglia, il distretto sanitario, chi eroga le cure domiciliari, una rete di servizi sociali e socio-sanitari, i reparti per acuti, le pediatrie, le oncologie pediatriche, le terapie intensive a indirizzo pediatrico, che ci sono e non ci sono, e in ambienti appositi dei posti letto dedicati alle cure palliative pediatriche.
  In breve, cosa succede dal punto di vista dell'accesso nella struttura dove lavoriamo con il dottor Clerici? Abbiamo circa 200 pazienti nuovi ogni anno, il 60 per cento della nostra area regionale e il 40 per cento di altre regioni o anche di altre parti del mondo, queste sono le patologie di cui ci occupiamo, tumori solidi.
  Ogni anno 40 di questi bambini entrano nella fase terminale della malattia e ne muoiono.

  CARLO ALFREDO CLERICI, Specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento di oncologia e di emato-oncologia dell'Università degli studi di Milano. Naturalmente rispetto ad una situazione così complessa non sono mancate iniziative per cercare di assicurare e perfezionare una migliore assistenza.
  Riteniamo però che la situazione sia da considerare in piena evoluzione e sicuramente perfettibile, ad esempio la delibera del 2010 della Giunta regionale tentava di riordinare l'assistenza e le cure palliative pediatriche mettendo a disposizione due posti letto in alcune unità selezionate, peraltro senza specificare la competenza, quindi esisteva il rischio che in oncologia pediatrica capitassero pazienti con bisogni che questo contesto non era abituato a soddisfare.
  Tentava soprattutto di risolvere il problema ribadendo quello che già era fatto, nel senso che due posti potevano essere a disposizione e quindi questo non aggiungeva una risorsa; infatti non venivano attribuite risorse, né veniva affrontato quello che riteniamo il cuore del problema, cioè non che i reparti che già si fanno carico della terminalità siano costretti a farsene carico, perché questo già avviene, ma invece identificando le aree lacunose, ad esempio l'assistenza del territorio, che costituisce il vero punto debole dell'assistenza alle cure palliative, tenuto conto di alcuni fatti che dopo vedremo.
  Tenete conto che l'esperienza che riferiamo è attribuita al Centro italiano che ha maggiore casistica di tumori solidi, quindi ci sono alcune esperienze che possono parlare di centri e di centri minori. Si valuta la possibilità di seguire il bambino a domicilio, Pag. 5 se le condizioni lo permettono e se il contesto familiare per motivi sociali, psicologici, ambientali, logistici è in grado di riaccogliere a casa il bambino nella fase terminale.
  Si contatta il medico curante, si contatta l'assistenza domiciliare presente sul territorio e a questo punto si apre lo scenario di cosa si trova sul territorio. Questo è il punto critico, dove da un lato sono le Assistenze domiciliari integrate (ADI) dipendenti dalle ASL o equivalenti strutture moderne dal punto di vista della definizione, oppure strutture che dipendono dall'ospedale e garantiscono con un'assistenza territoriale il supporto domiciliare, oppure Onlus private variamente distribuite nel territorio, alcune con livelli di prestazioni decisamente eccellenti.
  Nella nostra esperienza sul territorio di Milano, su cui abbiamo potuto mantenere uno stretto controllo e una stretta collaborazione, quasi metà dei nostri pazienti viene da fuori della Lombardia, e questo rappresenta il vero problema in quanto, se è possibile vicino a casa riorganizzare la rete anche per i rapporti informali che si possono costruire, la situazione dell'Italia è, come è noto anche in ben altri campi, estremamente variegata, con aspetti che riteniamo a volte gravemente insufficienti.
  L'assistenza dei pazienti nel territorio milanese viene garantita da un buon accordo con una struttura privata e dal servizio diretto da Augusto Caraceni, che dipende dalla struttura dell’hospice dell'Istituto dei tumori che ha competenza territoriale.
  Quali sono gli strumenti? Sostanzialmente dare la disponibilità 24 ore al giorno di un medico della struttura pediatrica, affinché possano avere un supporto i famigliari, ma anche quei clinici che non abbiano competenza diretta con un bambino in fase terminale, non abbiano una lunga esperienza, che possono quindi farvi riferimento sia per consigli che per un supporto emotivo nell'affrontare il problema del bambino.
  Cosa incontriamo come risposta? Persone, operatori, strutture che dicono: «noi di bambini non ne sappiamo nulla, ma vogliamo occuparcene» oppure «noi non sappiamo nulla di bambini e per questo non possiamo occuparcene», quindi una risposta generalmente basata sulla buona volontà, sull'iniziativa o sul senso etico-professionale dei singoli operatori.
  Come unico momento di controllo di questa iniziativa regionale c'era stata una richiesta di dati, a cui aveva risposto la dottoressa Massimino nell'ormai lontano 2011, che confermava che la disponibilità era stata sempre prestata, erano stati forniti i dati sulla divisione per età, perché consideriamo età pediatrica anche un'età che non è coperta sistematicamente dai reparti pediatrici, perché la cura oncologica pediatrica in molti posti si ferma a 14 o 16 anni, mentre l'Istituto dei tumori, essendo una struttura oncologica che ha in sé un reparto pediatrico, non ha vincoli di età.
  Si è quindi potuto lavorare anche sulla questione dell’ adolescenza, che altrove è sostenuta da programmi governativi (siamo stati ospiti in Giappone, Inghilterra, Canada, Stati Uniti), mentre in Italia rimane una specie di libera e spontanea iniziativa di singoli contesti e singoli reparti, per cui il reparto diretto dalla dottoressa Massimino ha questa esperienza pilota sugli adolescenti che vengono curati secondo protocolli a volte non adeguati per età. Questo è un grosso problema, non so se psicologico, ma sicuramente tangibile, non affrontato in maniera soddisfacente.
  Torno al tema. La maggior parte della terminalità è gestita al domicilio o nell'ospedale del territorio, ma si è rilevato che l'assistenza sul territorio è stata spesso inadeguata, per cui, pur cercandolo, questo dialogo con le strutture del territorio non è stato trovato a causa delle troppe eterogeneità.
  Vado rapido sulla formazione, segnalandovi i punti essenziali. A lungo si è pensato che la formazione palliativistica dipenda da un percorso totalmente diverso da quello del clinico che si occupa di bambini ma anche di adulti, invece esistono realtà come quella del St. Jude negli Stati Uniti, che ribadiscono che deve essere fra le competenze di chi cura bambini, anche se per Pag. 6assicurare cure di natura palliativa, perché la fase terminale fa parte dei possibili esiti, ci augureremmo di no, ma la realtà è questa. Non può essere qualcosa di disgiunto, quindi il training combinato sembra una delle priorità importanti nel corso della formazione medica sulle cure palliative.
  Naturalmente nella cultura dei pediatri oncologi c'è spesso questo come dato di fatto, nel senso che per il particolare legame che si crea, per il fatto che il bambino ha di solito due garanti che reclamano diritti, a differenza dell'adulto, dove la sofferenza spesso risulta meno interessante, c'è stata un'esperienza in vari contesti dove l'attenzione alla cura palliativa, al sostegno sui sintomi inizia già durante le cure, non aspettando la fase terminale.
  Questo sembra anche un modo più facile di proporre l'intervento di specialisti che se ne occupano quando le cose vanno male, e non un abbandono, uno scarico ad un'altra competenza.
  Secondo un lavoro recente sarebbero almeno cinque le aree da esplorare nell'attivazione di una cura palliativa nel sostegno domiciliare o comunque nella scelta. Su questo sorvolo, tenendo conto che ci interessa non solo l'aspetto biologico, l'aspetto della diffusione della malattia, ma anche considerare cosa senta e pensi il bambino, dove finisca il bisogno di speranza del suo nucleo familiare e altre variabili di natura non esclusivamente materiale e biologica.

  MAURA MASSIMINO, Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano. Questo è un lavoro che avevamo pubblicato qualche anno fa su cosa succedeva per la cura nella fase terminale, e la maggior parte dei bambini riceveva le ultime cure presso l'ospedale. Se però parliamo del luogo del decesso, una percentuale del 40-50 per cento di bimbi finisce la propria vita dove è iniziata, cioè a casa.
  Ho visto anche quanto è successo l'anno scorso e questo numero è in aumento. Ciò significa che c'è stato uno sforzo per lo più di tipo volontario per assicurare che le cose potessero andare bene in questa fase che sembra paradossale definire con aggettivi positivi, ma a casa.

  CARLO ALFREDO CLERICI, Specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento di oncologia e di emato-oncologia dell'Università degli studi di Milano. Per orientare interventi di organizzazione e riorganizzazione naturalmente abbiamo un problema di dati, in quanto la realtà italiana spesso non è sostenuta da ricerche e approfondimenti, e fare riferimento a studi stranieri descrive altri contesti assistenziali, un altro tipo di sanità, ma anche un altro tipo di concezione del bambino, ad esempio la comunicazione con il bambino nord americano è diversa per sensibilità dalla nostra.
  Le ricerche però evidenziano una preferenza rispetto alla casa come luogo di assistenza nella fase terminale, ed esistono contesti dove l’hospice è stato indagato anche per motivi culturali. Sappiamo che in Gran Bretagna, dove è nato il movimento degli hospice, si è dato rilievo ed un certo spazio, mentre esistono delle differenze concettuali importanti nei vari Paesi: ad esempio negli Stati Uniti ci sono pochi hospice pediatrici, in Gran Bretagna ce ne sono 40 a partire dal 1982, in Canada soltanto 5 ed in Svizzera non ne esistono.
  Da un'indagine condotta nel Michigan si evidenzia come in hospice pediatrico dedicato solo una piccola parte sia destinata ai bisogni dei pazienti affetti da malattie oncologiche, quindi in sostanza l’hospice pediatrico non viene utilizzato come risorsa principale, come risorsa sistematica. Questo non esclude che possa esserci una richiesta per altri tipi di patologie con un altro impegno, mentre la casa risulta il contesto dove in diverse latitudini culturali e organizzative sembra ottimale riuscire ad assistere il paziente.
  Naturalmente l’hospice può essere utilizzato, così come la struttura ospedaliera, per dare sollievo alla famiglia e ridurre il carico assistenziale, se la malattia è particolarmente gravosa e prolungata.
  Quali sono le possibilità migliori? Trascorrere la fase terminale con una buona assistenza a casa consente di stare tra le proprie cose, con le proprie relazioni, nel Pag. 7proprio contesto, di non subire un isolamento affettivo e avere un maggior senso di normalità, che aiuta il paziente e la sua famiglia. Viceversa, l'ospedale sembra la risorsa di maggiore sicurezza, dove basta suonare il campanello e arriva un'assistente, soprattutto se le condizioni fisiche sono particolarmente gravose.
  I ricoveri in situazioni di urgenza/emergenza in strutture ospedaliere non pediatriche o non dedicate all'assistenza in questa fase sono sempre non ottimali, le risorse andrebbero distribuite in maniera più oculata e i bambini dovrebbero seguire percorsi di terminalità progettati, non rivolgendosi all'ospedale in condizioni di urgenza.
  Una ulteriore considerazione è che gli hospice pediatrici hanno un enorme problema di copertura economica, per cui in Inghilterra, dove il modello è particolarmente diffuso, nessun hospice sembra in grado di mantenersi con i finanziamenti del servizio sanitario pubblico, ma quasi sempre si basa su donazioni liberali, per cui, anche in un contesto che lo ha visto con netto favore, non è probabilmente una risorsa adeguata ad un sistema sanitario in crisi.
  Morire a casa è quindi una scelta preferibile per la maggior parte dei pazienti, ed è anche una scelta economica dal punto di vista dell'assistenza.

  MAURA MASSIMINO, Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano. Dal punto di vista pratico vi diciamo quello che noi pensiamo al momento attuale sia giusto fare. È necessario migliorare l'assistenza domiciliare per tutto quanto detto prima, anche se ci rendiamo conto che chi legifera non è stato finora un interlocutore sul fatto che il costo di un'assistenza ospedaliera e di un'assistenza domiciliare possa essere impegnativo e che i posti per acuti non dovrebbero essere sostituiti dai posti per cronici.
  Che la famiglia possa scegliere tra modalità diverse è importante, ma lo stesso tipo di assistenza deve essere assicurato ovunque questo succeda.
  Come abbiamo visto, l’hospice è una risorsa importante in casi selezionati, ma sono veramente selezionati. Una modalità intermedia è che gli hospice già esistenti possono essere di collegamento e di supporto, affinando competenze di tipo pediatrico, cioè dedicando parte del loro personale o dei loro spazi ai bambini, e ci può essere la volontà di qualcuno che ha voglia di ingaggiarsi con questa possibilità che può anche essere l'unica nella vita, cioè un team flessibile che sia in grado di prendere in carico bambini e adolescenti.
  Certo questa fascia d'età ha bisogno di molti livelli di assistenza, dalla cura del corpo all'assistenza spirituale, di cui spesso ci si dimentica anche in Italia. Potrebbero essere dedicati dei programmi pediatrici in hospice convenzionati e sollecitati, perché ci sono realtà che avrebbero voglia, bisogno e possibilità di farlo, ma a cui non viene neanche richiesto.
  Chiaramente di questo vanno valutati i costi, per differenziare l'assistenza degli adulti da quella dei bambini e degli adolescenti, e soprattutto nessuno può essere costretto a seguire un bambino che muore se non ha questo tipo di missione, perché può essere un'esperienza devastante, se non è scelta.
  I bambini non ci possono raccontare come vorrebbero essere seguiti, occorre che ci siano degli stakeholder, perché spesso non sono neppure le famiglie a dirci cosa è meglio per loro, quindi ci vuole una sensibilità e un'attenzione particolare a quello che si è visto, si è studiato e si è pensato sia buono.
  È chiaro che la famiglia vive la relazione con i curanti come unica e definitiva, e pensare di affidarsi a team diversi può somigliare ad un abbandono. Ognuno ha un proprio ruolo nell'assicurare che la qualità della vita resti immutata, e quando ci succede di dover attivare questo tipo di assistenza in ospedale creiamo un contesto adeguato, come se fosse una riproduzione della casa, con una camera singola, la possibilità per entrambi i genitori di essere presenti, con tutti i presìdi necessari.
  È necessario riprodurre la quotidianità delle abitudini, dedicare attenzione anche Pag. 8ai genitori, permettere che possano uscire e andare dagli altri bambini, se ne hanno, e mantenere tutta la parte sana della vita invariata, ossia quello che fanno tutti gli altri bambini (ricevere visite, ascoltare musica e mantenere l'attività della mente e del corpo sano, quindi una riabilitazione, la scuola e il gioco).
  Dobbiamo anche cercare di ricordarci che noi rimaniamo quando i nostri bambini se ne vanno, quindi questo tipo di liturgia è importante che venga mantenuto anche per noi perché, come ho detto all'inizio, il fallimento della cura non corrisponde al nostro fallimento esistenziale.
  Finiamo con quanto riportava vent'anni fa il New England, la rivista più importante di medicina in assoluto, che diceva che «il ruolo della medicina è talvolta di curare, ma sempre di portare conforto, e nulla è più gratificante che essere in grado di sollevare dalla pena e dalla sofferenza». Questo tipo di insegnamento deve essere diffuso come una delle soddisfazioni supreme della professione sanitaria.

  PRESIDENTE. Grazie molte, è davvero di grandissimo interesse. Prima di passare la parola ai colleghi e raccogliere le loro domande ve ne rivolgo una io. Non è specificato nei dati che avete fornito se ed eventualmente quanti minori vengono accolti sulla base di convenzioni con altri Stati.
  Lo dico perché conosco un'esperienza in cui c'è una convenzione (ci sono varie convenzioni regionali e certamente la mia regione ce l'ha) che prevede per un certo tipo di cure, purtroppo non ancora diffuse in altri Paesi, la possibilità di ospitare minori di altre nazioni. È evidente che in questo caso l'opzione della casa è impraticabile ed è coinvolta la questione dell'accoglienza e dell'assistenza anche dei genitori, che certamente ha un ruolo molto importante perché a fianco di questi bambini spesso bisogna avere in carico entrambi i genitori.
  A Bologna è prevista anche la realizzazione di un hospice che viene da fondazione privata che, a quanto mi risulta, si impegnerà a mantenerlo. Eventualmente una rete di hospice è una cosa tristissima da dire, ma in molti casi non si può avere come alternativa secca la casa, quindi mi piacerebbe capire se sappiate quanti tra questi numeri derivino da una presenza di stranieri.

  VANNA IORI. La mia prima domanda è velocissima. Può darsi che mi sia sfuggito ma, oltre all'esperienza che avete mostrato voi, esistono altri hospice pediatrici e quanto sono diffusi sul nostro territorio?
  Intanto i miei complimenti per il lavoro che fate e perché dai dati che avete mostrato ho visto spostarsi l'attenzione dal paziente alla persona e ovviamente al suo contesto, e questa credo che sia la strada più importante per accompagnare il dolore del bambino.
  Questo richiede a voi medici e al personale medico una precisa formazione, una precisa preparazione, perché non può essere affidata alla sensibilità e alle capacità empatiche se non c'è un lavoro sull'intelligenza emotiva, su tutto quello che accompagna il dolore e che tiene insieme il curare e l'aver cura, perché certamente curare è fondamentale con lo sviluppo delle competenze e delle tecnologie, ma credo che unirlo all'aver cura della persona, in questo caso di una persona che spesso non è in grado di esprimere il proprio dolore o di essere capito, sia una delle priorità più importanti, che mette alla prova il personale medico nel trovare la giusta distanza tra il farsi troppo carico, in una fusione che non giova al paziente ed ai famigliari, e un distacco falsamente professionale che porta a prendere eccessivamente le distanze, fino al cinismo in alcuni casi.
  Voi lavorate in specifico su questi percorsi formativi, che non sono professionali in senso tradizionale, perché non riguardano la malattia, ma il malato in quanto persona? Grazie.

  ANNALISA SILVESTRO. Mi associo ai complimenti anche perché questi sono i nostri cuccioli e già parlare di queste cose fa un po’ male. Avrei tre domande sintetiche. Prima di tutto voi avete fatto un'affermazione molto importante: accertarsi della comprensione della prognosi da parte dei bambini e dei genitori; riguardo al Pag. 9bambino, che dovrebbe essere sempre centrale e di cui si dovrebbe rispettare la volontà per quanto esprimibile, considerandone l'età e la capacità di comprendere, vi fate coadiuvare, e da chi, o riuscite a gestire questo aspetto voi stessi?
  L'altra domanda è sull'assistenza domiciliare o domiciliare integrata, che mi sembra un percorso di assistenza soprattutto nella fase terminale, quando ormai non c'è altra possibilità se non preparare il bambino e la famiglia ad una morte serena. Come si svolge? Mi pareva di aver compreso che portate prevalentemente ad esempio l'assistenza della Lombardia, e vorrei capirne l'impostazione, al di là della recente riforma sulla gestione dell'assistenza sul territorio.
  So di altre regioni che hanno impostato in maniera molto più significativa l'assistenza domiciliare prevalentemente per gli adulti, ma, se c'è un metodo e un percorso già rodato, potrebbe essere utile per il bambino anche nel caso in cui ci fosse bisogno di tecnologia vicariante le funzioni vitali. Credo che con la miniaturizzazione dei presìdi a domicilio sarebbe fattibile, molto meno oneroso dal punto di vista economico, molto più oneroso da un punto di vista di coinvolgimento e di empatia. Credo che il futuro debba assolutamente andare in quella direzione per il bambino e anche per la mamma, il papà e tutti i familiari.
  Rispetto alla formazione ci vuole qualcosa di specifico, che non può essere unicamente una formazione clinica per medici, infermieri e altre figure di carattere sanitario, ma mi risulta che qualche anno fa sia stato approvato e pubblicato in Gazzetta un master per le cure palliative, ovviamente sempre rivolto agli adulti, ma immagino che su quella base si possa fare un percorso e vorrei capire se per voi possa essere utile e cosa pensiate della figura del medico e dell'infermiere palliativisti, di un’équipe formata su questo, e quanto tempo si possa dedicare a questo tipo di situazioni prima che ci sia del burnout o comunque una difficoltà nel seguire questi pazienti.

  ROSETTA ENZA BLUNDO. Grazie, presidente, anch'io mi associo ai ringraziamenti per questa vostra audizione e per averci esplicitato come il vostro lavoro sia non solo importantissimo quanto estremamente delicato e forse poco conosciuto, perché, come avete affermato il fatto che ci siano dei medici disponibili ventiquattro ore su ventiquattro, ma non a conoscenza di come ci si deve interfacciare con la situazione particolare di un bambino sofferente, la dice lunga sul fatto che il problema è poco conosciuto.
  Personalmente trovo molta difficoltà anche a parlare di questo tema, pensando che 11.000 bambini sono colpiti dal tumore.

  MAURA MASSIMINO, Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano. No, 11.000 sono i bambini inguaribili, 400 i bimbi che muoiono per tumore. Noi ci occupiamo solo di una porzione dei 400, mentre 11.000 sono malattie neurodegenerative, malattie metaboliche.
  Ogni anno, in Italia, si ammalano di tumore 1.800 bambini e circa 800 adolescenti, per bambini si intende l'età di alcuni accessi di pediatria fino a 15 anni, e la fascia successiva dai 19 ai 24 anni sono gli adolescenti.

  ROSETTA ENZA BLUNDO. Questi dati, anche se purtroppo sono dati freddi che fanno male, dietro hanno vite, affetti, emozioni, tutta una realtà di ciascuno. Vorrei anche sapere se sono costanti, perché non è chiaro se negli anni ci sia stata una variazione.
  Visto che abbiamo l'opportunità di conoscere questa situazione e di avervi in audizione, mi interessava capire se si trovino benefici nella tipologia di alimentazione per i bambini e se bambini entrati nella fase di cure palliative siano riusciti a sorprendere o comunque a regalarci un esito diverso da quello atteso, e se ne abbiate la percentuale.
  Per quanto riguarda l'assistenza domiciliare, che tipo di correlazione considerate utile tra gli operatori che si occupano del bambino a titolo sanitario, medico, psicologico e gli eventuali educatori professionali o mondo della scuola? Grazie.

Pag. 10

  GIORGIO ZANIN. Grazie anche da parte mia, sono particolarmente interessato a rimettere a fuoco questi dati. Ho registrato quanto rappresentato nelle slide, in particolare tra i casi che voi avete segnalato il 31 per cento dei casi nei 12-18 anni, più il 12 per cento dei casi nei 19-22 e un altro 12 per cento sopra i 22 anni, si configura un'azione che per il 56 per cento colloca la fase delle cure palliative e dell'intervento oncologico come particolarmente delicati e, da quanto ho capito, scoperti di specificità.
  Dal momento che la fase in cui l'adolescente dice qualcosa di sé è la fase nettamente più delicata in termini anche di psicologia evolutiva, mi interesserebbe approfondire questa parte che avete descritto come «il piatto piange», per dirla in maniera sintetica, in termini di flessibilità, di team, di competenze.

  VITTORIA D'INCECCO. Soltanto per sapere se i Livelli essenziali di assistenza (LEA) siano assicurati per i bambini, se abbiate problemi per i ticket e i farmaci.

  MAURA MASSIMINO, Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano. Per quanto riguarda la prima domanda, abbiamo circa il 12 per cento di bambini stranieri, quando succede che le cose vadano male il percorso è lo stesso: invece che essere casa loro, sono nelle case che abbiamo a disposizione da associazioni, in cui il percorso descritto viene riprodotto nello stesso modo, e quando questa assistenza domiciliare non è più praticabile il bambino rientra in ospedale da noi o va a Casa Vidas, che è un hospice di pronta accoglienza nei confronti dei nostri pazienti, quindi il percorso in ospedale ed il percorso del fine vita sono sovrapponibili.
  Per quanto riguarda l'interlocuzione con i genitori, abbiamo mediatori culturali che vengono quando è necessario, specialmente nei momenti topici, cioè nella comunicazione della diagnosi, nell'accettazione delle cure e anche nell'accettazione della fase di non guarigione. È chiaro che la relazione è più a singhiozzo, però si arriva ad un certo punto al linguaggio non espresso dalle parole che a me sembra possa essere comunque di beneficio, mentre il percorso sicuramente lo è.

  CARLO ALFREDO CLERICI, Specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento di oncologia e di emato-oncologia dell'Università degli studi di Milano. Aggiungo un piccolo elemento: due anni fa abbiamo pubblicato un lavoro dedicato alle difficoltà di gestione di un minore portato in Italia per cure senza genitori, descrivendo come lo sradicamento per motivi sanitari sia nettamente controproducente, al di là della generica idea di altruismo che va contestualizzata.

  MAURA MASSIMINO, Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano. Di hospice in Italia da sempre ce n'è uno a Padova diretto dalla professoressa Benini, uno in costruzione a Bologna ma, come abbiamo più volte ripetuto, questi hospice non sono per la maggior parte i luoghi di fine vita dei pazienti, perché spesso sono dei luoghi di sollievo, cioè i genitori trovano un po’ di sollievo in un ambiente protetto e di tutela sia sanitaria che psicologica e poi magari tornano a casa.
  Ho scoperto recentemente (non c'era neanche pubblicità) che in alcune aree provvidenziali della provincia di Milano c'è qualcosa di analogo che viene fatta a domicilio, per i pazienti cronici per malattie metaboliche, neurodegenerative; anche per i nostri bambini è attuato un servizio di assistenza domiciliare che si fa carico del paziente nel weekend o durante un periodo festivo, e i genitori se ne possono andare con gli altri bambini, cioè è come se fossero dei nonni, degli zii o una babysitter super e rendono più o meno il servizio di questo sollievo dell’hospice, che quindi è un'ospitalità, non è il luogo della morte, e interpretato in questo senso è chiaro che diventa un altro modo di affrontare l'insostenibile.
  Dal nostro punto di vista, per quanto riguarda la patologia oncologica, pensare che tutti i bambini debbano morire in un posto dedicato alla morte no, non ci stiamo, quindi rispondo in parte anche a quello che ha chiesto lei.

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  CARLO ALFREDO CLERICI, specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento di oncologia e di emato-oncologia dell'Università degli studi di Milano. Associamo le due questioni sulla formazione. Intanto esiste un grossissimo tema della formazione per i medici alla relazione in senso lato, relazione che è anche un elemento terapeutico fondamentale (oggi siamo costretti a rivedere questa concezione).
  L'Università statale di Milano da circa vent'anni con la riforma della Tabella 18 aveva inserito i corsi di comunicazione e relazione – che sono poca cosa, ma comunque un enorme miglioramento rispetto agli anni precedenti – nei corsi di specializzazione. Non è ancora affatto sistematico occuparsi di tematiche psicologiche, per la formazione prevista dalla normativa con dei master esiste tuttora un grossissimo problema sulla possibilità di attivare i tirocini, che costituiscono una quota della formazione molto importante, ma ad esempio, per tutta l'area psicologica non esistono ancora professionisti in grado di assicurarne la copertura per l'accreditamento, quindi anche qui un passo avanti, ma evidentemente bisognerà approfondire la possibilità reale di attuazione di questa normativa.
  Esistono master di cure palliative per medici, che hanno una storia rispetto all'adulto, in cui sono contenuti i moduli rispetto alla parte pediatrica, a cui già si partecipa nella formazione. Questo come risposta sintetica sulla tematica della formazione.

  MAURA MASSIMINO, Direttore dell'Unità pediatrica della Fondazione IRCCS dell'Istituto nazionale tumori di Milano. Ci sono due domande che si intrecciano, perché la senatrice mi ha chiesto quando interviene il criterio della preparazione e quando succedono i miracoli.
  I miracoli succedono sempre e non siamo gelosi, quindi tutte le volte che succedono siamo ben disposti ad accoglierli. Rispetto all'intersecarsi della figura di chi cura per guarire e di chi cura per far star bene non c'è una sostanziale differenza; comunque da un paio d'anni, soprattutto nella condizione di patologie difficilmente controllabili in maniera definitiva, affianchiamo il contesto famigliare con i nostri medici di riferimento, che per lo più fanno parte di Vidas.
  Il team di cura quindi è comprensivo anche dei medici che si occuperanno, se questo succederà, di questa fase di non guarigione, e non è ritenuto un obbrobrio, nel senso che sono persone come noi, che sono nel nostro contesto, ci frequentano e frequentano i pazienti, li vanno a vedere a casa, magari perché hanno avuto la febbre e non vengono in ospedale, quindi fanno parte della terapia di sostegno che normalmente si fa quando uno ha un tumore.
  Può succedere che questo servizio venga attivato e non ce ne sia mai bisogno, non saprei dirle in che percentuale però siamo tutti contenti quando succede.
  Per quanto riguarda i presìdi parlo solo dell'oncologia, in realtà sono presìdi piuttosto semplici quelli di cui abbiamo bisogno: nutrizione artificiale, aspiratori, niente che forzi, perché, quando si arriva a quel punto, l'idea non è di resuscitare, come si dice in termini anglosassoni, quindi non è questa la parte difficile. La scuola fa parte dei presìdi che vengono utilizzati, alla fine non c'è niente che limiti dal nostro punto di vista l'accesso scolastico in senso biunivoco, cioè i nostri pazienti vanno sempre a scuola anche durante il trattamento tutte le volte che riescono a farlo e viceversa anche la scuola a domicilio viene mantenuta quando è possibile farlo.
  L'incremento delle neoplasie è sempre una domanda importante. C'è stato un incremento effettivo delle neoplasie sino all'inizio degli anni 2000, più o meno fino al 2002, adesso non c'è più un incremento delle neoplasie, anzi c'è una lieve riduzione delle leucemie, dei linfomi e del neuroblastoma, sono un po’ in aumento i tumori degli adolescenti, cioè i melanomi e i tumori della tiroide.
  Per quanto riguarda il melanoma è un aumento vero, per quanto riguarda i tumori alla tiroide (ne hanno parlato anche i giornali) c'è un eccesso di diagnosi, ma il tumore alla tiroide si guarisce ed è legato all'invecchiamento cioè, se specialmente noi signore facessimo una biopsia della tiroide a novant'anni, probabilmente avremmo tutte un tumore della tiroide, quindi questo eccesso Pag. 12 diagnostico non corrisponde a un eccesso né di morbilità, né di mortalità, ma è qualcosa su cui possiamo stare relativamente tranquilli.
  Per quanto riguarda i LEA le dico una cosa che magari lei sa, visto che è una collega: ci sono alcune cose straordinariamente bislacche, la fisioterapia e la riabilitazione non fanno parte dei LEA. Non so se avete visto l'epidemiologia: il primo tumore dei bambini è il tumore cerebrale, e un bambino che non viene riabilitato è un bambino che non viene curato, quindi non vi sto a dire gli éscamotage perché questo venga comunque considerato un LEA.

  CARLO ALFREDO CLERICI, Specialista in psicologia clinica, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento di oncologia e di emato-oncologia dell'Università degli studi di Milano. C'è ancora un punto comune a due interventi a proposito della comunicazione e della comprensione.
  Sicuramente investigare i bisogni psicologici, i motivi di comprensione dei minori è un tema nuovo, su cui non possiamo essere guidati dalla letteratura angloamericana, perché i minori vengono trattati in un modo completamente diverso dal nostro, e le risorse per far fronte ai bisogni psicosociali sono esigue.
  Pensate ad esempio che nel nostro contesto non era previsto come posto di ruolo l'assistenza sulle problematiche psicologiche, che è stato costruito nel corso del tempo con una collaborazione con l'Università, altrimenti non era dato. La diffusione sul territorio nazionale di psicologi strutturati, che quindi sviluppino competenze ad hoc – perché occorre una competenza sulla salute mentale e la crescita, ma anche rispetto alla malattia – è ancora una dimensione su cui funzioniamo in maniera non ottimale. Mancano tra l'altro anche criteri di dimensionamento per stimare quanti ce ne vogliano.
  Il personale che lavora strettamente nelle pediatrie oncologiche è un personale che generalmente lo ha scelto, e quindi sappiamo che ha la tenuta al burnout come nelle vocazioni, cioè si cede di schianto, ma si dura tendenzialmente di più. È chiaro che la qualità dell'assistenza di fine vita è importante anche per i medici e per gli infermieri, nel senso che la sensazione di assicurare una buona morte con tutti i presìdi e l'assistenza in condizioni decorose è qualcosa che può evitare o ritardare il burnout; essere costretti a lavorare in condizioni per cui i pazienti vengono rimandati a un territorio che non assicura una risposta è un fattore di usura assolutamente incomparabile.
  Il tema dell'alimentazione è oggi fortissimamente dibattuto, sappiamo che attraverso la rete ci sono notizie di ogni genere. In ambito oncologico ci vengono suggerite e consigliate misure di prevenzione che valgono però soprattutto per le neoplasie dell'adulto, e solo per alcune di esse, sui tumori infantili non c'è esposizione sufficiente, per cui la dieta non è un fattore influente sull'epidemiologia.
  Viceversa circola una vulgata su diete particolari prive di glucosio o di altro che, se vengono osservate alla lettera durante la fase delle cure, rischiano di essere addirittura pericolose, nel senso che il problema principale dei bambini è evitare la denutrizione durante le cure oncologiche, tema su cui occorrerebbe un certo correttivo delle informazioni che girano attraverso i social network; all'istituto è stata organizzata e partirà fra poco una campagna informativa interna perché le madri dei pazienti in cura abbiano indicazioni su una dieta equilibrata e non su una dieta con delle restrizioni, che risulta nociva e non opportuna.

  PRESIDENTE. Grazie molte, è stato davvero di grande interesse, abbiamo anche imparato molte cose. Vi pregherei di farci pervenire il materiale che verrà distribuito, i vostri interventi saranno pubblicati prossimamente; naturalmente quando ci sarà il documento conclusivo contiamo che partecipiate nuovamente a questo lavoro.
  Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.20.

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