Sulla pubblicità dei lavori:
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SALUTE PSICOFISICA DEI MINORI
Audizione del dottor Maurizio Mascarin, Responsabile del Dipartimento di oncologia radioterapica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS), e della dottoressa Elisa Coassin, specializzanda in radioterapia oncologica presso la medesima struttura.
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3
Mascarin Maurizio , Responsabile del Dipartimento di oncologia radioterapica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS) ... 3
Coassin Elisa , specializzanda in radioterapia oncologica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS) ... 8
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 10
Silvestro Annalisa ... 10
Mascarin Maurizio , Responsabile del Dipartimento di oncologia radioterapica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS) ... 10
Padua Venera ... 11
Zanin Giorgio (PD) ... 11
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 12
Blundo Rosetta Enza ... 12
Antezza Maria (PD) ... 12
Mascarin Maurizio , Responsabile del Dipartimento di oncologia radioterapica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS) ... 12
Coassin Elisa , specializzanda in radioterapia oncologica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS) ... 14
Mascarin Maurizio , Responsabile del Dipartimento di oncologia radioterapica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS) ... 14
Coassin Elisa , specializzanda in radioterapia oncologica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS) ... 14
Mascarin Maurizio , Responsabile del Dipartimento di oncologia radioterapica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS). ... 14
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 14
ALLEGATO: Documentazione presentata dagli auditi ... 15
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MICHELA VITTORIA BRAMBILLA
La seduta comincia alle 13.10.
(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
(Così rimane stabilito).
Audizione del dottor Maurizio Mascarin, Responsabile del Dipartimento di oncologia radioterapica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS), e della dottoressa Elisa Coassin, specializzanda in radioterapia oncologica presso la medesima struttura.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela della salute psicofisica dei minori, l'audizione del dottor Maurizio Mascarin, Responsabile del Dipartimento di oncologia radioterapica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS), e della dottoressa Elisa Coassin, specializzanda in radioterapia oncologica presso la medesima struttura.
Sapete che abbiamo deliberato un'indagine conoscitiva sulla salute psicofisica dei minori, che ha un focus riguardante l'oncologia pediatrica, quindi ora vi audiamo in merito al vostro specifico ambito professionale per questo focus che andremo a concludere in pochi mesi, il primo che stiamo realizzando, insieme ad un secondo su minori e disabilità.
Lascio quindi la parola al dottor Mascarin per illustrarci la sua relazione, poi daremo la parola alla dottoressa e risponderete a qualche domanda dei commissari presenti.
Naturalmente tutto quello che voi dite viene registrato e trascritto, quindi anche i commissari che oggi non sono presenti riceveranno gli atti completi.
MAURIZIO MASCARIN, Responsabile del Dipartimento di oncologia radioterapica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS). Ringrazio la presidente e la Commissione per l'invito, per noi è un'importante occasione. Mi presento: sono il dottor Maurizio Mascarin e lavoro in radioterapia oncologica al Centro di riferimento oncologico di Aviano, che è un Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS).
Noi però ci occupiamo prevalentemente di bambini e adolescenti, motivo per cui siamo qui oggi, e sono responsabile del reparto Area Giovani, dove vengono ricoverati ragazzi con malattie oncologiche di età compresa tra i 14 e i 24 anni.
Di solito cominciamo sempre dai nostri ragazzi, quindi vi leggo questo scritto. «Era l'estate del 2000, l'estate che ricorderò per tutta la mia vita: avevo 13 anni, la scuola stava finendo, tutti i miei compagni si stavano preparando per l'esame di terza media, per me come per i miei amici era un esame importante, il primo vero esame. Invece mi cadevano di mano gli oggetti, la mia scrittura non era più la stessa e a danza ogni piroetta finiva con un giramento di testa, perdevo l'equilibrio, mi dovevo fermare, dentro di me sapevo che c'era qualcosa di strano. Pag. 4
La risposta è arrivata un pomeriggio di maggio nel corridoio dell'ospedale adiacente alla sala della TAC. In quell'estate ho imparato ad amare la vita e ciò che fino ad allora mi sembrava scontato, un mio diritto». Questa è Chiara, una ragazzina di 13 anni.
Gli adolescenti: a volte siamo abituati a immaginarli con uno stereotipo. Io faccio il medico, e accompagnando mia figlia a scuola vedo tanti genitori che si avvicinano con il capo chino agli insegnanti che dicono loro: «Suo figlio non studia, è svogliato», e i genitori rispondono: «Ha l'adolescenza», quasi che l'adolescenza fosse una sorta di patologia e non un'evoluzione normale della nostra vita. Nel nostro progetto, invece, vediamo l'adolescenza come risorsa e non come patologia.
Per sintetizzare, l'adolescenza è fatta di tante onde, che portano il bambino all'età adulta. Anche l'OMS non classifica in maniera stretta l'adolescenza, perché cambia a seconda della latitudine in cui viviamo, in base alle epoche storiche: basti pensare che durante la prima e la seconda guerra mondiale a 13 anni andavano già in guerra, e la stessa cosa succede adesso in alcuni Paesi del Medio Oriente.
A parte queste situazioni, però, l'adolescenza è caratterizzata da queste onde che portano all'acquisizione di un sé coerente e unitario, e sicuramente la prima onda che finisce è quella nella quale i genitori sono considerati come esempio da seguire. C'è infatti la contraddizione continua con i figli, ai quali nulla di quello che fanno i genitori va bene, e questo è il primo punto.
Si passa poi attraverso l'aspetto del gruppo dei coetanei, la crisi d'identità, la paura di non essere all'altezza degli impegni scolastici o di lavoro, e poi alla fine, che però può essere a 18, a 20, a 25 anni e a volte anche oltre i 30, si raggiunge l'acquisizione di un sé coerente e unitario.
Chi si prende cura degli adolescenti con un tumore? Fino a pochi anni fa questi ragazzi non avevano alcuna specificità nell'ambito della sanità italiana, infatti venivano seguiti in ambienti pediatrici o – ancor peggio – in ambienti in cui venivano curati gli anziani, e questo era un problema che dovevamo assolutamente superare.
Negli ultimi anni c'è stato un grosso impatto mediatico con produzioni cinematografiche e anche letterarie di vario tipo, la più famosa sicuramente è Braccialetti rossi. Io ho chiamato i nostri ragazzi «braccialetti veri», perché i nostri ragazzi non si sentono realizzati nella malattia, e questa è la differenza sostanziale rispetto al messaggio che trasmette il film, che comunque ha permesso di divulgare il problema della malattia nell'adolescenza.
I nostri ragazzi si sentono realizzati fuori dall'ospedale, quando ritornano a fare una vita normale, quindi la malattia è a volte uno strumento di maturazione, ma non uno strumento di realizzazione.
Per fortuna parliamo di piccoli numeri perché, si prendono tutti i tumori, abbiamo un 97 per cento che colpisce l'età adulta, i bambini circa l'1 per cento, gli adolescenti e i giovani adulti, considerando la fascia di età 14-24 anni, sono anche loro circa l'1 per cento. Ci aspettiamo circa 1.300 nuovi casi di bambini con tumori all'anno, 804 tra i 15 e i 19 anni, 1.100 tra i 20 e i 24, altri 2.000 tra i 25 e i 29, con la popolazione italiana che invece sviluppa un numero estremamente più alto di nuovi casi nell'arco di ogni anno.
Che tumori hanno gli adolescenti? Non hanno né i tumori tipici dell'età adulta, quindi carcinomi, né quelli tipici dell'età pediatrica, come alcune forme di tumori embrionali, ma hanno delle forme ponte, cosa che comporta delle difficoltà, perché non va bene lo specialista dell'oncologia dell'adulto e non va del tutto bene nemmeno lo specialista dell'oncologia pediatrica, per curare questi ragazzi.
Sia io che la dottoressa Coassin siamo degli oncologi pediatrici che si sono occupati di adolescenti, abbiamo expertise e conoscenze su alcune forme che assomigliano più ai tumori dei bambini, mentre ne abbiamo meno per forme che riguardano i tumori dell'adulto, che però colpiscono comunque l'adolescenza, come i tumori della rinofaringe o i melanomi, che sono tumori cutanei. Questo sta ad indicare l'esigenza di un lavoro integrato e comune Pag. 5tra l'oncologia pediatrica e quella dell'adulto, non ci può essere un oncologo dell'adolescenza che sia esperto di tutte le tipologie di tumori che si possono presentare a questa età.
Vedendo però le curve di sopravvivenza 15-29 anni e bambini meno di 15, tutto sommato vanno bene, quindi nell'ambito medico sono considerati tumori che presentano una buona sopravvivenza rispetto ad altre età, in particolare l'età adulta.
Vorrei sottolineare questa analisi, che è stata compiuta dal 1975 al 1997, per studiare l'incremento annuo di sopravvivenza per ogni classe di età, quindi nel bambino piccolo ogni anno c'è stato un progresso di 1,5 per cento (1,7 sul bambino più grandicello), gli anziani hanno avuto incrementi importanti oltre il 2 per cento, e la fascia di età meno migliorata è proprio la fascia di mezzo, cioè quella dell'adolescenza e del giovane adulto.
Andando a indagare le possibili cause di questo mancato incremento, per dirvi l'importanza tra i casi osservati e i casi attesi in base ai tassi di incidenza, in età pediatrica nei nostri registri riusciamo a recuperare quasi tutti i bambini attesi, quindi con rapporti molto vicini all'1, tranne che per alcune forme di tumori della cute e altre forme più rare, quindi arriviamo allo 0,92. Questo significa che il 92 per cento dei bambini attesi viene recluso in centri che si occupano di oncologia pediatrica.
Se invece andiamo a vedere la fascia dell'adolescenza, il dato precipita: solamente il 25 per cento dei ragazzi attesi con tumore viene registrato in centri che si occupano in maniera specifica di queste malattie. Quali sono le potenziali spiegazioni del mancato miglioramento della sopravvivenza? Alcune sono dovute alla mancata partecipazione ai clinical trial, laddove, non essendo reclutati, non vengono neanche inseriti in trial clinici che garantiscano un livello qualitativo migliore di quello garantito dal miglior medico della struttura.
Manca la possibilità dello stoccaggio di tessuto tumorale per fare ricerca, manca una ricerca dedicata a questi casi, perché sono casi rari, e quindi le case farmaceutiche hanno poco interesse economico: la maggior parte dei nostri studi sono studi spontanei, finanziati con risorse che provengono dalle nostre associazioni, da associazioni dei genitori e da fondi dello Stato. Le case farmaceutiche finanziano assai poco le ricerche in questa fascia d'età.
Vi sono poi altri fattori collegati al paziente, come il fatto che sta cambiando, che l'adolescente si sente invincibile, che certe volte non è molto compliant sulle cure. Negli Stati Uniti, ad esempio, l'assicurazione sanitaria è stata un problema (noi per fortuna abbiamo la sanità pubblica), perché per risparmiare risparmiavano nella fascia di età di mezzo, negli adolescenti che erano considerati la fascia di età «sana», e questa mancata assicurazione ha portato ad un ridotto accesso agli ospedali di eccellenza negli Stati Uniti. Vi è inoltre il ritardo di diagnosi, perché l'adolescente fa fatica a comunicare i propri sintomi, cerca sempre di andare oltre.
Per quanto riguarda il team ci sono problemi di training, sono tutte cose che vanno create, perché l'università non prepara a trattare questi casi, non prepara in generale a trattare i problemi dell'adolescenza e ancor meno a trattare di oncologia dell'adolescenza, quindi mancano specialità dedicate, e serve uno sforzo di noi medici per armonizzare le cure dell'oncologia pediatrica con quelle dell'oncologia dell'adulto.
L'interesse è cominciato in Inghilterra negli anni ’90, quando hanno fatto delle Teenage Cancer Trust, delle unità per i teenager. Nel 2007 noi siamo partiti con il progetto Area Giovani ad Aviano, l'abbiamo chiamata Area in quanto spazio aperto più al fuori che al dentro, all'ospedale, e poi nel 2011 presso l'Istituto tumori di Milano è partito il Progetto Giovani con una situazione analoga, quindi attualmente in Italia ci sono due progetti dedicati all'oncologia dell'adolescenza.
Questi sono gli esempi in giro per il mondo, ci sono esempi spot, a parte l'Inghilterra che ha un programma strutturato, in Australia, in Italia, in Olanda, negli Stati Uniti a Boston, Portland, Houston. Mentre ci sono degli ospedali con strutture dedicate, che fanno assistenza e cura e prendono Pag. 6 completamente in carico il paziente, altri fanno dei programmi di educazione, altri hanno un team multidisciplinare, altri sono concentrati sui problemi della fertilità in adolescenza, perché fare trattamenti chemioterapici e radioterapici può avere ripercussioni sulla fertilità e quindi questi ragazzi una volta guariti rischierebbero di non poter mettere su famiglia perché sterili, dunque per noi il problema della fertilità è cruciale.
Cosa chiede l'adolescente? Le necessità sono un accesso rapido e competente, un'analisi rapida e accurata, quindi bisogna dare informazioni chiare, accurate ed empatiche al ragazzo, non si possono dare i foglietti con i consensi che il ragazzo legge da solo, bisogna avere un’expertise nella malattia, avere un'esperienza in questa fascia di età che è estremamente variabile, perché trattare l'adolescente del 1990 non è come trattare l'adolescente del 2016, e soprattutto bisogna sforzarsi su questo grosso lavoro da fare, perché la percentuale di adolescenti che entra in clinical trials è circa il 10 per cento.
Questo può fornire un dato che poi viene condiviso e permette anche di creare cultura e di avere dei dati condivisi a livello non solo nazionale, ma anche internazionale. Se possibile, inoltre, vanno trattati vicino casa, per permettere loro di avere una vita assolutamente normale, con un supporto sociale, psicologico, educazionale e anche di volontariato che è fondamentale nel nostro lavoro.
Questo è quello che abbiamo ad Aviano ad isorisorse, come preciso sempre, perché si trattava non di creare un nuovo reparto, ma di organizzare l'attività che già c'era in maniera dedicata per questi ragazzi, quindi abbiamo unito la parte dell'oncologia pediatrica, la parte dell'oncologia medica radioterapica, la biblioteca per i pazienti, l'Unità di psicologia, le cure palliative del dolore, il trapianto, la ricerca e l'Area, che quindi è diventata niente più che una funzione integrata tra tutti questi reparti, e abbiamo cercato di lavorare non solo sui progetti, ma anche sugli ambienti, perché i ragazzi necessitano di ambienti dedicati.
Questa è la nostra attività; abbiamo 439 nuovi casi, qui già c'era l'Istituto oncologico ma dal momento in cui abbiamo aperto l'Area Giovani abbiamo avuto un incremento della nostra attività per quanto riguarda la chemio e la radioterapia, come è logico, perché c'era uno sforzo e questo si può anche misurare dal punto di vista numerico.
Abbiamo i nostri ambienti, però cerchiamo anche di portare i ragazzi fuori, di chiamare personaggi come Zanardi che possano integrarsi con loro. I ragazzi a volte si sentono l'ultima carrozza del treno, invece noi vogliamo che diventino protagonisti, cioè che la malattia faccia scattare dentro di loro questa molla.
La nostra Area è relativamente piccola, sono 8 posti letto, quindi 4 stanze, ogni stanza è caratterizzata da un simbolo (leone, sole, albero, Nettuno) e queste sono alcune delle frasi che i ragazzi hanno scritto: «il coraggio: alcuni dicono che ci vuole coraggio per morire, io dico che ce ne vuole assai di più per vivere», questo è Salvatore; «la forza: le più felici delle persone non necessariamente hanno il meglio di ogni cosa, soltanto traggono il meglio di ogni cosa che capita sul loro cammino», questa è Ilenia.
Dafne scrive: «anche se sono nelle nuove camere fatte apposta per i giovani, in fin dei conti l'ospedale è sempre l'ospedale: il solito posto dove vengono i malati per curarsi», quindi facciamo grossi sforzi, però è anche giusto che percepiscano che l'ospedale non deve diventare la loro casa, è sempre un posto di transito e questo transito deve durare il meno possibile.
«L'orizzonte è appena guarisco, perché voglio guarire e voglio dedicarmi di più agli altri, a chi non riesce a sorridere più», quindi l'organizzazione è fatta in modo tale da permettere il tempo minimo di accesso a questi ragazzi, non diciamo mai «andrai a casa domani o dopodomani», se puoi andare a casa oggi, vai oggi, perché devi stare il meno possibile all'interno all'ospedale.
Quali sono le risorse sulle quali lavoriamo? Sono la famiglia, che naturalmente non è la famiglia Addams, è la famiglia molto coesa intorno al ragazzo, anzi di solito anche situazioni familiari instabili si Pag. 7rafforzano e la famiglia si focalizza sul ragazzo malato; poi c'è la scuola, che è un elemento di continuità ed anche uno strumento per mantenere contatti con gli amici; poi, naturalmente, ci siamo noi, e tutto questo crea una sorta di alleanza terapeutica, quindi non è solamente la chemioterapia, la radioterapia o l'intervento chirurgico fatto da mani eccelse che garantisce qualità, ma è tutto il processo che coinvolge vari aspetti.
Veniamo ad un punto che per noi è cruciale e che sicuramente coinvolge la vostra Commissione sul concetto di maturità. Paradossalmente a 18 anni e un giorno un ragazzo è maturo e a 17 anni e 364 giorni non lo è. Possiamo lavorare e pensare in questa maniera? Sicuramente no, perché poi succede che Jessica che ha 14 anni mi dica: «i medici parlano solo con i miei genitori, non sai mai niente. Dicono che lo fanno per non farmi preoccupare», in realtà parlare con i genitori fuori dalla camera è il miglior modo per far preoccupare questi ragazzi.
Ci sono anche situazioni come quelle di Sofia, che ha 16 anni e mi ha mandato un sms che diceva: «se riesci a sapere qualcosa riguardo alla TAC, non chiamare a casa che poi magari la mamma si preoccupa, mandami un sms», quindi la ragazzina da sola si era fatta carico dell'intera famiglia.
Bisogna quindi lavorare molto sul consenso e sull'informazione perché ci sono tre modi di dare l'informazione sulle cure sanitarie, ma in generale su tutto: come violenza, e questo avveniva in passato ma spero non capiti più; come potere, e questo è stato un abuso nel corso degli anni da parte dei medici, che dicevano: «affidi suo figlio nelle mie mani, che sono il miglior chirurgo al mondo», e ogni tanto succede ancora; noi però cerchiamo di lavorare con la responsabilità.
La differenza è sostanziale, perché invece di guardare all'etica dei princìpi, quindi a monte, si guarda all'etica della responsabilità, quindi a valle, e questa è un'etica che dovrebbe formare non solamente il medico, ma anche le altre figure professionali che lavorano in campo educativo e non solo.
Poi c'è il problema degli amici. È facile avere amici quando si è belli e vestiti alla moda, quando tutto va liscio, quindi si diventa amici fra i banchi di scuola, però quando poi arriva la malattia crea una sorta di nebbia, il ragazzo resta isolato.
Si vergogna di farsi vedere perché si sente diverso e gli amici all'inizio lo cercano ma poi lo cercano sempre di meno, e questo crea una sorta di stasi emotiva che riguarda sia il ragazzo malato che gli amici. Noi cerchiamo di scalfire questa nebbia, però una ragazza mi ha scritto: «questa lettera la scrivo per me stessa, per non dimenticare le emozioni che sto provando ora, emozioni che non avrei mai voluto provare. Siamo sicuri che la vita è un dono? Nessuno si accontenta mai di quello che possiede, di quello che è. Qualcuno si merita veramente questa vita? Non lo augurerei nemmeno al mio peggior nemico», questa era Sofia durante la chemioterapia.
Ci sono però altre ragazze che riescono ad andare anche oltre. Chiara mi scrive: «mi piace comparare la mia storia alla scelta fatta da un atleta per coronare il sogno di vincere le Olimpiadi: duri allenamenti per raggiungere la forma perfetta. Io non ho mai scelto di gareggiare alle Olimpiadi, ma qualcuno ha deciso che dovevo fare l'atleta», quindi uno sforzo continuo per tornare alla normalità.
Lavoriamo perché questi ragazzi non diventino dei «calimeri», perché il fatto che siano piccoli e brutti in certi momenti non vuol dire che siano antipatici, quindi la fragilità che hanno, dovuta naturalmente alla malattia e anche all'epoca che stanno vivendo, l'adolescenza, deve essere trasformata in risorsa.
La mamma di Giacomo mi ha detto che «spesso gli ospedali assomigliano al letto di Procuste», un crudele gigante della mitologia greca che catturava i viandanti e poi li legava ad un letto di tortura. Se erano più lunghi del letto, gli amputava gli arti, se erano più corti, li stirava fino a farli diventare della lunghezza del letto, questo ad indicare che spesso sono i pazienti che devono adattarsi all'ospedale più che l'ospedale essere in grado di adattarsi ai pazienti; basti pensare alla sveglia all'alba per Pag. 8misurare la febbre anche a chi non ce l'ha, ai pasti all'ora della merenda, tante piccole cose che dal punto di vista organizzativo si potrebbero facilmente migliorare.
Cerchiamo di fare il supporto tra pari, perché chi ha avuto l'esperienza di malattia oncologica può essere di aiuto per quelli che la stanno vivendo. Noi abbiamo Facebook, il sito internet, gli sms, però abbiamo visto che uno strumento certamente importante erano i diari in cui i ragazzi scrivono, e poi il diario rimane lì per chi verrà la settimana successiva: è una sorta di intimità trasmessa tra ragazzi che stanno vivendo la stessa esperienza.
Su questi diari hanno scritto delle cose bellissime, che ci hanno permesso di pubblicare un libro che si intitola Non chiedermi come sto, ma dimmi cosa c'è fuori. Questa ragazza era stanca di sentirsi chiedere continuamente come stava e le interessava sapere quello che succedeva fuori.
Nel corso degli anni, dal 2007 in poi, abbiamo fatto una serie di attività sulla donazione di sangue, sulla fertilità. Abbiamo la nostra carta dei servizi, e ci sono due romanzi che nascono all'interno del nostro reparto. Abbiamo coinvolto anche gli studenti fuori, i coetanei, e ad esempio tutte le scuole di Pordenone ogni anno si trovano insieme e fanno una marcia degli studenti che si intitola Un aiuto in pochi passi per dire che ci sono: hanno la stessa età dei ragazzi che abbiamo in ospedale, e marciano per loro. È una marcia di solidarietà che ormai è arrivata alla quarta edizione.
Il supporto fra pari può essere anche fra pari che stanno rischiando di distruggere la loro adolescenza. Una nostra ragazza in chemioterapia l'abbiamo fatta parlare con un'altra che stava distruggendo la sua adolescenza, perché il fine settimana sballava, aveva comportamenti al limite e non riusciva assolutamente ad andare il lunedì mattina a scuola, perché il fine settimana era per lei oltre ogni limite. La nostra ragazza invece non riusciva ad andare a scuola il lunedì mattina perché doveva andare in ospedale a fare la chemioterapia e, facendo un lavoro con gli insegnanti, abbiamo fatto incontrare queste due ragazze e l'esperienza ha permesso di recuperare questa giovane. Sapere quindi che puoi essere padrone della tua adolescenza attraverso i comportamenti che adotti e confrontarti con persone che invece rischiano di perderla è stato per noi positivo.
Questa è un'altra storia: «a tutti quelli che si lamentano per le cose piccole della vita – scrive Cristina – io auguro un buon giorno: siete ben accetti nel mio mondo, dove la follia diviene quotidianità, dove la mattina ci si sveglia con il sorriso, dove si fanno i conti di ciò che ti fa male e si sorride al mondo, dove non si può lavorare perché il nostro lavoro ora è affrontare gli ostacoli, dove ogni mattina timbriamo il cartellino in ospedale per fare il mestiere più duro che è quello del paziente».
Abbiamo cercato di portare questa esperienza anche a livello nazionale, e nel 2013 è nata con le società scientifiche insieme Adolescenti malati oncologici, per unire la Federazione dei genitori, l'Associazione italiana di oncologia pediatrica (AIOP), quella di oncologia medica (AIOM), e la Società italiana di ematologia, per cercare di fare quel lavoro che è assolutamente indispensabile dal punto di vista di condivisione e di progettazione comune per questa fascia di età un po’ figlia di nessuno.
ELISA COASSIN, specializzanda in radioterapia oncologica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS). Buongiorno. Queste erano premesse necessarie per inquadrare bene quello di cui stiamo parlando proprio dalla voce dei nostri ragazzi.
Adesso ci soffermeremo su alcune criticità che potrebbero davvero diventare oggetto della vostra discussione, per poi lasciare a voi qualsiasi domanda in merito a qualcosa che magari non è stato approfondito.
Abbiamo una slide assolutamente illeggibile che viene dal piano aziendale del nostro Istituto ed è l'organizzazione del nostro reparto, quello che è nato nel 2007. Già dalla sua complessità vi rendete conto che tutte quelle premesse per essere sintetizzate e diventare un'attività concreta danno veramente vita a qualcosa di molto complicato, perché c'è una serie di professionisti impegnati in questa Area, che vanno Pag. 9dagli specialisti dell'età pediatrica a quelli dell'età adulta in un contesto veramente multidisciplinare.
Questa però è solo una parte, perché tutta un'altra parte riguarda gli aspetti psico-sociali. In questo contesto (qui vorrei sollevare una prima problematica) un ruolo importante è svolto dal supporto psicologico, dalle nostre terapiste occupazionali, da tutte le attività collaterali che sono indispensabili in un ambito come il nostro, ma ovviamente il ruolo fondamentale in questa fascia d'età ce l'ha la scuola.
Sappiamo che il Ministero per l'istruzione, l'università e la ricerca (MIUR) ha un suo progetto di scuola in ospedale e di istruzione domiciliare, che anche nella nostra regione viene perfettamente applicato e che nel nostro reparto ha una sua declinazione molto specifica, con un supporto importante da parte di una serie di associazioni di volontariato, ma abbiamo un problema per i ragazzi che non sono più alla scuola superiore, perché vanno all'università e meritano come i più giovani di continuare il loro studio in questo contesto, e invece pensare qualcosa per loro non è così facile, quindi questo potrebbe essere un primo aspetto.
L'altro aspetto riguarda l'arruolamento nei protocolli clinici. Noi offriamo il massimo dell'arruolamento, cioè laddove è possibile ogni ragazzo deve essere arruolato in un protocollo clinico di cura, trattamento, ricerca, in modo tale che gli si possa offrire il meglio delle cure disponibili o qualsiasi soluzione sperimentale che noi direttamente, o attraverso il rapporto con altri centri, siamo in grado di offrire.
In questo contesto diventa fondamentale una parte preclinica, senza la quale non si può stare, e che va assolutamente sostenuta, ovvero quella che noi chiamiamo «ricerca traslazionale», perché va bene la ricerca di base pura, ma serve anche la ricerca che si fa sui dati clinici, che vanno dall'epidemiologia all'analisi della sopravvivenza dei nostri pazienti; questione non da poco perché, come sapete, il sostegno alla ricerca è particolarmente impegnativo, magari facciamo un lavoro bellissimo, ma se non riusciamo ad analizzarlo, non riusciamo sicuramente a migliorare la prognosi di questi ragazzi.
È ovvio però che non si parla solo di qualità di cura, cioè di quanto bene e quanti ne curiamo, perché è importante soprattutto come li curiamo. Abbiamo curato bene una ragazzina perché le abbiamo offerto delle possibilità che le hanno permesso di diventare una bellissima mamma, però, se non ci avessimo pensato prima e quindi se questi ragazzi non fossero seguiti in contesti dedicati, non le sarebbero state offerte quelle possibilità di preservazione della fertilità, senza le quali in un contesto di trattamento oncologico la sterilità è una opzione molto probabile.
Quello che noi facciamo, ma che sicuramente va esteso e deve diventare una prassi, è mettere tutti nelle condizioni di conoscere, e anche la ragazzina o il ragazzino di 14 anni, che in quel momento sicuramente non sta pensando alla sua famiglia futura ed eventuale, ma semplicemente a questo passaggio difficile della vita, deve essere messo nelle condizioni di sapere che un futuro ci può essere, ma deve essere il migliore possibile, anche con la possibilità di una famiglia.
Sempre in questo contesto di massima apertura e possibilità di vivere una vita normale nonostante il momento di malattia, diventa fondamentale tutto il discorso sulla domiciliarità. Su questo sappiamo che si lavora molto, ma per noi è un aspetto critico, perché l'assistenza domiciliare con la quale i rapporti sono sicuramente buonissimi ha delle carenze di risorse e organizzative, per cui diventa difficile dimettere un paziente nel fine settimana perché non si è in grado di farne la presa in carico, dal momento che il medico realmente disponibile h24 non c'è, quindi alla fine o rimangono in ospedale o bisogna trovare soluzioni alternative. Anche in questo contesto l'integrazione va sicuramente studiata meglio, così come un altro aspetto delicatissimo in questa fascia d'età è quello della terminalità.
È ovvio che il posto migliore in cui vivere la terminalità (per questo l'abbiamo associato al concetto di domiciliarità) è la propria casa, però non è sempre facile perché gli ultimi momenti in certi casi sono Pag. 10veramente drammatici in termini di sopportazione del dolore, per quanto si faccia il massimo dei tentativi di sedazione e palliazione che sono necessari, in alcuni casi però possibili solo in ospedale.
In questo contesto non sempre gli spazi o il personale sono veramente dedicati e sono disponibili h24, perfino in un istituto oncologico come il nostro l’équipe di terapia palliativa non c'è sempre, quindi si auspica che non succeda nulla nella notte tra sabato e domenica. Sono sicuramente delle considerazioni che vanno fatte.
Un altro problema, che prima è stato solo citato e credo sia motivo di discussione importante ad un livello più vostro che nostro, riguarda il consenso dei nostri giovani pazienti alle cure o a qualsiasi scelta che riguardi la loro salute, perché la Costituzione e una serie di indirizzi nazionali e internazionali in materia ci dicono che qualsiasi individuo di qualsiasi età, quindi anche i nostri bambini e i nostri ragazzi adolescenti, ha il diritto di essere informato su quello che sta succedendo, su quello che si deve fare, e di dare l'assenso a quello che si sta per fare loro.
In certi casi, soprattutto in questi di grandi minori, quindi con un livello di consapevolezza anche molto alta per poter decidere, il problema è quando (su questo non c'è alcun riferimento normativo e per noi può rappresentare un problema) c'è un contrasto tra le decisioni dei genitori e le decisioni di un diciassettenne assolutamente consapevole. Anche qui ci sono sicuramente dei vuoti sui quali si potrebbero fare delle riflessioni importanti.
L'ultimo aspetto che vorrei sottolineare è quello che riguarda il fatto che, trattandosi di malattia fortunatamente rara, possiamo ottenere risultati importanti in termini di ricerca solo quando ci mettiamo insieme almeno a livello europeo, se non di più, anche se è difficile creare dei network reali tra l'Europa e gli Stati Uniti, ma alcuni tentativi ci sono.
C'è una serie di ostacoli normativi e burocratici, che probabilmente vanno ripensati, anche per quanto diceva il dottor Mascarin relativamente al fatto che spesso si tratta di studi spontanei, non sostenuti da aziende farmaceutiche per i motivi citati, che vivono spesso solo di donazioni di associazioni di genitori e di volontariato.
Si arriva al punto in cui per i pazienti in protocollo di trattamento europeo, come nel caso del linfoma di Hodgkin di cui il nostro Centro è coordinatore per tutta l'Italia, l'assicurazione che entra nel protocollo – il che significa offrire la migliore possibilità di trattamento possibile in questo momento – viene pagata con fondi raccolti da donazioni.
Senza questa assicurazione non potremmo far partire il protocollo e trattare tutti i pazienti italiani. Questo sicuramente è un altro passaggio che merita delle riflessioni. Grazie.
PRESIDENTE. Grazie per la vostra relazione. Darei prima di tutto la parola alla senatrice Silvestro che poi ci deve lasciare.
ANNALISA SILVESTRO. Grazie, presidente. È stato molto interessante, ci avete lasciato tanto materiale; se ci fosse eventualmente qualcosa da approfondire, vi chiederemmo la possibilità di mandarvi delle domande. Comunque complimenti, fate un lavoro davvero importante. Grazie.
MAURIZIO MASCARIN, Responsabile del Dipartimento di oncologia radioterapica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS). Vi illustro il materiale: c'è il libro che è stato raccolto dai diari che i ragazzi scrivono nelle stanze, che è il più importante di quelli che abbiamo fatto; poi c'è la nostra Carta dei servizi, Colora la tua linfa, in cui specifichiamo le attività che vengono svolte all'interno del reparto e che contiene un piccolo glossario sulle procedure; c'è un opuscolo sulla fertilità che viene fornito ai ragazzi, accompagnato però da un'adeguata informazione verbale, che è quella più importante.
C'è infine un quarto documento che riassume quanto abbiamo detto oggi, ed è un documento programmatico su quello che stiamo facendo e vorremmo fare anche in futuro. Le difficoltà non sono poche, perché creare un'organizzazione nuova all'interno di una struttura piramidale come Pag. 11quella sanitaria vi assicuro che non è facile, quindi si vanno a creare delle situazioni ponte, mentre i reparti di solito sono blindati a doppia mandata, con tanto di codice per entrarci, lavorare mettendo insieme un oncologo pediatra e un oncologo per l'adulto è uno sforzo non da poco.
Siccome siamo convinti che i risultati possano essere importanti anche se su una fetta di popolazione piccola, vogliamo investire sugli adolescenti, siamo dei medici che credono che gli adolescenti siano una risorsa per questo Paese, quindi vogliamo lavorare con questi ragazzi per portarli di nuovo ad una vita normale. Grazie a voi tutti.
VENERA PADUA. Chiedo scusa e sono veramente imbarazzata di dover uscire, ma devo proprio andare ed abbiamo anche il voto, però davvero non è un grazie formale, e penso che tutti sentiamo il cuore palpitare per quanto state facendo e soprattutto per aver acceso i riflettori non solo sull'adolescenza, su cui ancora purtroppo non siamo così ben illuminati (e ringrazio la presidente e tutto il gruppo dirigente di questa Commissione per aver voluto attenzionare questa fascia speciale delle vite dei nostri ragazzi), ma anche su questa doppia fragilità.
L'adolescente affetto da una patologia oncologica è infatti da attenzionare con una delicatezza straordinaria, e nell'accostarci ed accendere i riflettori su questa piccolissima ma importante fascia è un onore per noi avervi ascoltato e dirvi grazie per quanto state facendo per tutti i ragazzi, in modo che la vostra esperienza possa anche fungere da buona prassi da condividere in tutto il Paese, perché il polo di Aviano, che è un'eccellenza, non resti isolato.
GIORGIO ZANIN. Innanzitutto vi dico grazie, perché avete portato i ragazzi in questa stanza in maniera puntuale. Parliamo spesso di loro in questo contesto, però le loro voci riferite direttamente aiutano tutti noi a fare sempre il punto della situazione e a tenere la barra abbastanza diritta.
Vorrei porre due domande che riguardano l'elemento che più mi ha colpito rispetto all'incrocio dei vostri due interventi e che determina la necessità di una specificità ad alta competenza, che è costruita attraverso un itinerario che non si inventa dall'oggi al domani, laddove ci sono gli strumenti che, come mi pare di cogliere anche dalla presentazione, sono figli di un percorso che va per tentativi, che evolve in itinere, accompagnando i ragazzi nei percorsi educativi.
La prima preoccupazione è come si integrano gli spazi, perché il tema dato dalla denominazione Area, pensando alla possibilità di uno sviluppo in altre zone del Paese, ancorché dal punto di vista statistico mi induce a considerare che attualmente sono presenti due strutture con configurazioni simili, ma probabilmente con un altro paio avremmo un livello di copertura adeguato, ma questa è una sotto-domanda.
Mi interessa capire come nasca dal punto di vista della concezione dello spazio sanitario, perché ritengo che lo spazio non sia neutro rispetto alla decodifica complessiva che si va ad immaginare, cioè dove si costruisce un'Area Giovani in una struttura ospedaliera, come la si realizza, qual è stato l'itinerario che vi ha portato da immaginarla e quali sono gli elementi che aiutano a viverlo con la filosofia che ci avete raccontato?
La seconda più che una domanda è una riflessione. La rete di territorio che voi avete illustrato è un bene fondamentale nella fase dell'adolescenza, perché avete parlato della famiglia, della scuola, della responsabilità e corresponsabilità, quindi vorrei capire quale sia il livello, perché da insegnante mi rendo conto che uscire dal seminato non è mai scontato e facile, ci sono dei confini istituzionali, mentre questa mi sembra un'avventura che sconfina.
Il rapporto istituzionale ad extra rispetto ai compiti meramente sanitari è un elemento che desta molta curiosità e tuttavia qui c'è un'interazione con la scuola, ma chi tiene la relazione con la scuola, il dottore, la famiglia? È evidente che siamo in un percorso che ha dei descrittori tutti da specificare (almeno io l'immagino così), ma non so chi sia il depositario della relazione, come funzioni, se abbiate dei protocolli. Pag. 12
Il paziente tiene un diario, voi comunicate con un sms, avete un rapporto con gli insegnanti? Sono domande che mi pongo anche come insegnante, ma partendo dall'idea di necessità, perché il nostro compito è suggerire anche un'iniziativa di carattere legislativo, laddove l'indagine conoscitiva si concluderà con un documento di indirizzo rivolto a chi ha la responsabilità di decidere come e quanto investire anche in quest'area rispetto al livello strutturale. Mi sono dilungato, ma spero di essere stato chiaro.
PRESIDENTE. Siccome abbiamo pochi minuti, sentiamo le brevi domande delle senatrici Blundo e Antezza, in modo che voi possiate dare un'unica risposta.
ROSETTA ENZA BLUNDO. Grazie, presidente. Io mi associo ai ringraziamenti, ovviamente ci avete portato uno spaccato di vita dell'infanzia e dell'adolescenza veramente pesante, ma nello stesso tempo molto ricco.
Mi associo alle considerazioni del collega perché ho avuto esperienza di scuole in ospedale come insegnante, quindi so che questo collegamento è già attivo delle scuole con gli ospedali, ma ci sono ancora molte criticità perché come docenti, quando entriamo all'interno delle strutture ospedaliere, se troviamo dei primari comprensivi, è un discorso, altrimenti diventa veramente farraginoso portare avanti un lavoro, anche solo per problemi di orari, di diverse organizzazioni con i ragazzi.
Vorrei avere due indicazioni. Una riguarda il percorso dell'educazione, della scuola, dell'istruzione all'interno di queste strutture, come favorire quel processo che lei ci ha ben illustrato dall'altra parte, cioè della ricchezza umana e di percorso di vita che hanno questi ragazzi che affrontano una malattia, e come poterlo rendere disponibile anche all'interno delle scuole, perché è giusto che la scuola entri, ma è giusto anche riuscire a far tesoro delle sofferenze enormi che questi ragazzi sopportano, ma che possono fornire una misura della qualità della vita di tutt'altro tipo.
Per quanto riguarda invece la domanda in merito al riferimento normativo per l'eventuale contrasto tra le decisioni di un adolescente consapevole e di un genitore, è difficile normare qualcosa di così variegato, perché immagino che ci possa essere un contrasto, in quanto il giovane che soffre si sta arrendendo e il genitore lotta, oppure viceversa, un giovane pienamente consapevole del valore della vita e della voglia di vivere contro tutto e nonostante genitori fragili. Come possiamo noi legislatori normare qualcosa di così diversificato e molteplice?
MARIA ANTEZZA. Anch'io voglio associarmi ai complimenti già fatti dai colleghi; avrei voluto sottolineare alcuni aspetti, però, vista la tempistica, mi permetto di fare tre domande telegrafiche.
Mi sembra di capire che in questo contesto (mi scuso per non aver ascoltato la prima parte, magari ho perso qualcosa che è stato detto) c'è un'attenzione alla persona prima che al paziente e come ospedale vi fate carico anche della famiglia, che mettete al centro, dal punto di vista della formazione del personale, della famiglia, della scuola, quindi con una capacità di relazionarvi che credo sia molto differente secondo le varie realtà.
Lei sottolineava come spesso sia il paziente ad adattarsi all'ospedale, non l'ospedale al paziente, vorremmo conoscere l'esperienza che voi avete fatto sul tema dei tempi di apertura dei reparti in questi contesti particolari, visto che ne stiamo discutendo anche rispetto a reparti modello di terapia intensiva aperta alle famiglie. Anche qui esiste una rigidità rispetto agli orari?
C'è un'opzione che i ragazzi fanno rispetto a chi vogliono accanto nel momento di una malattia così grave e pesante?
MAURIZIO MASCARIN, Responsabile del Dipartimento di oncologia radioterapica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS). Intanto vi ringrazio per le belle domande che avete fatto e per l'interesse dimostrato per la nostra presentazione.
Comincio dal dove e perché fare un reparto dedicato ai ragazzi. L'abbiamo fatto Pag. 13in un istituto scientifico perché l'istituto scientifico non fa solamente ricerca preclinica, ma fa anche ricerca assistenziale, e questa è una cosa che non è sempre chiara, ma vi abbiano presentato un tipo di ricerca assistenziale, cioè lavoriamo ad isorisorse, quindi senza grossi investimenti, riorganizzando l'attività.
Naturalmente non può essere fatta in ogni ospedale, dal momento che i casi sono rari, quindi vanno raccolti in centri che possano anche fare esperienza, perché formare uno psicologo per l'adolescente, formare un infermiere che si occupi di adolescenti non è realizzabile in ogni ospedale, quindi in futuro serviranno delle direttive anche in questo senso.
Noi siamo partiti nel 2005, ricordo una ragazza che mi ha detto: «sono arrivata al CRO di Aviano e ho visto dei corridoi lunghi e grigi e ho capito che la mia malattia sarebbe stata lunga e grigia». Questa è stata la molla che mi ha fatto scattare, ci stavo pensando già da parecchio tempo, però lì ho deciso che dovevo farlo. Quello è stato il momento.
Sul rapporto con le scuole, che diversi hanno sottolineato, con gli adolescenti non è come essere in un grosso ospedale pediatrico che fa la scuola al suo interno e raccoglie tutti i bambini di diverse specialistiche, chirurgici, ortopedici, otorino, per fare le cosiddette «classi» in ospedale: da noi i casi sono completamente diversi l'uno dall'altro, sia come età che come scuola di provenienza, perché ci sono tutte le superiori se non le università.
Facciamo quindi dei progetti dedicati al singolo ragazzo. Abbiamo cominciato all'inizio con degli insegnanti volontari che erano in pensione e adesso abbiamo un progetto di scuola in ospedale, che è riconosciuto dall'Ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia, e quindi permette anche la certificazione.
Questa però non deve essere intesa come scuola nel senso classico del termine, ma è uno strumento per garantire un ponte, una congiunzione, un contatto continuativo con la classe. Utilizziamo strumenti tipo Skype e ci incontriamo anche con gli insegnanti delle scuole per fare un colloquio preliminare all'inizio della malattia e concordare un percorso.
Abbiamo una referente dell'Ufficio scolastico di Pordenone, che si occupa di tenere i rapporti con le scuole e quindi con i relativi presidi e i rappresentanti di classe, per fare un lavoro condiviso.
Il percorso scolastico lo abbiamo fatto da diversi anni, perché andiamo nelle scuole e, siccome gli amici sono risorse per i ragazzi, noi abbiamo il terrore che questi ragazzi rimangano soli, perché ce l'hanno detto per diversi anni, quindi abbiamo girato tutte le scuole non solo del Friuli, ma anche del Veneto orientale a fare formazione ed educazione ai ragazzi.
Il discorso non si limita al ragazzo oncologico, perché ci può essere anche il ragazzo che ha un disturbo alimentare o un problema in famiglia, ma il fatto che questi ragazzi che hanno dei problemi di salute o li hanno nel loro ambito familiare restino da soli significa fare due passi indietro ancora prima di cominciare un'eventuale terapia, quindi lavoriamo tantissimo con le scuole e la marcia di cui ho parlato ne è un esempio.
Il nostro reparto è sempre aperto, non ci sono orari, quindi, compatibilmente con la situazione immunologica e anche l'immunodepressione perché fanno chemioterapia, hanno libertà di incontrare non solo i parenti, ma anche gli amici: se vogliamo farli uscire, dobbiamo prima di tutto aprire le porte a chi vuole entrare.
Sulla normativa del consenso mi rendo conto che è difficilissimo, ci sono delle direttive di consenso a livello internazionale, quindi cerchiamo di informare. Credo che il legislatore dovrebbe obbligare (scusate il termine) il sanitario ad informare anche il grande minore, perché il grande minore dà l'assenso alle terapie e non è possibile trattare dei ragazzi che non siano informati, non abbiano capito il percorso che devono affrontare e diano il loro assenso.
I nuovi protocolli di cura prevedono l'assenso anche per il grande minore, che potrebbe però essere 15-18 o anche 12 anni, perché potrebbe avere già le competenze Pag. 14 per capire un percorso complesso come quello della terapia oncologica.
Sul personale facciamo un lavoro continuo di formazione e di scambio nell’équipe multidisciplinare, ed anche con le infermiere, perché quest'area ha il suo fulcro nel lavoro infermieristico; sono loro a contatto con i ragazzi ventiquattro ore su ventiquattro, molto più dei medici, quindi sono formate loro, è formato il team di psicologia, è formato il team che si occupa della scuola, gli educatori ed anche i medici, la formazione è trasversale ed assolutamente indispensabile. Ci manca la formazione a monte, quella che dovrebbe venire dall'università, dalle scuole specialistiche, che nessuno di noi ha fatto e che impariamo anche noi attraverso questo tipo di percorso.
ELISA COASSIN, specializzanda in radioterapia oncologica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS). In risposta alla prima domanda dell'onorevole Zanin, riguardo al percorso partecipato che c'è stato nella costruzione di tutto il progetto e anche degli spazi, ti rilascerei la parola su questo perché io lì non c'ero, quindi mi sembra più giusto che ne parli tu.
MAURIZIO MASCARIN, Responsabile del Dipartimento di oncologia radioterapica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS). L'esigenza è nata dai ragazzi e dai loro genitori, le stanze che abbiamo creato erano stanze già occupate all'interno dell'ospedale dai ragazzi, ma erano disperse in un reparto o in un altro, quindi ci siamo chiesti perché dividere i ragazzi e non far muovere i medici tenendo i ragazzi aggregati, facendo una terapia di supporto con un approccio che fosse uniforme.
Come ho detto all'inizio, io e la dottoressa Coassin non siamo esperti di tutti i tumori di questi ragazzi, lavoriamo anche con gli oncologi dell'adulto, però a tutti i ragazzi che vengono nella nostra area garantiamo un percorso comune dal punto di vista psicologico, della terapia di supporto, dell'informazione, della scuola e anche della parte psicologica educazionale.
ELISA COASSIN, specializzanda in radioterapia oncologica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS). L'ultimo aspetto riguarda la formazione: in questo momento quello che non può essere fatto in sedi istituzionali come l'università si va a fare all'esterno a livello nazionale e internazionale, e in questo vengono assorbite risorse che si raccolgono attraverso le donazioni, però sicuramente è un passaggio fondamentale conoscere quello che c'è fuori, e devo dire che a tutti i livelli, dalla psicologa all'educatore, a noi medici e ricercatori, si cerca di favorirlo molto.
MAURIZIO MASCARIN, Responsabile del Dipartimento di oncologia radioterapica presso il Centro di riferimento oncologico di Aviano (IRCSS). Lavoriamo anche sui fratelli, perché sono un punto debole: i genitori si concentrano sul ragazzo malato, che diventa protagonista, e il fratello sano diventa lui quello malato, perché viene lasciato in disparte (ritorniamo al discorso di Braccialetti rossi).
Questo non deve succedere, perché la famiglia deve restare coesa, quindi anche a livello di informazione cerchiamo di coinvolgere tutto il gruppo familiare, lasciando come protagonista il ragazzo malato, ma facendo comprendere a tutti il percorso che dovrà fare.
PRESIDENTE. Grazie, dottore. Vi ho anticipato che tra qualche mese ci sarà la presentazione di questa indagine conoscitiva e quindi ci riserviamo di invitarvi eventualmente come relatori in quella sede, in quanto intendiamo creare un vero e proprio evento e dare il massimo rilievo ad un tema di grande importanza, sul quale cerchiamo di accendere insieme a voi i riflettori.
Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 14.10.
Pag. 15ALLEGATO
Documentazione presentata dagli auditi
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