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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Giovedì 16 gennaio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SEMPLIFICAZIONE LEGISLATIVA ED AMMINISTRATIVA

Audizione del Ministro per gli affari regionali, le autonomie e lo sport, Graziano Delrio.
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 
Delrio Graziano , Ministro per gli affari regionali, le autonomie e lo sport ... 3 
Tabacci Bruno , Presidente ... 8 
Angioni Ignazio  ... 8 
D'Adda Erica  ... 9 
Di Giorgi Rosa Maria  ... 10 
Taricco Mino (PD)  ... 12 
Lavagno Fabio (SEL)  ... 13 
Prataviera Emanuele (LNA)  ... 14 
Tabacci Bruno , Presidente ... 15 
Delrio Graziano , Ministro per gli affari regionali, le autonomie e lo sport ... 16 
Tabacci Bruno , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Ministro per gli affari regionali, le autonomie e lo sport, Graziano Delrio.

  PRESIDENTE. L'audizione del Ministro per gli affari regionali, le autonomie e lo sport Graziano Delrio permetterà di verificare gli snodi della semplificazione tra Stato, regioni e autonomie. Segnalo fin da ora anche al Ministro che il focus sul sistema regionale e delle autonomie verrà completato lunedì prossimo, 20 gennaio, con l'audizione di rappresentanti delle giunte e delle assemblee regionali, dell'ANCI, dell'UPI e del tavolo istituzionale per la semplificazione.
  Do la parola al Ministro per lo svolgimento della relazione.

  GRAZIANO DELRIO, Ministro per gli affari regionali, le autonomie e lo sport. Grazie, presidente. Buongiorno agli onorevoli colleghi. Io ringrazio molto la Commissione per questa audizione. Considero molto importante che si sia ritenuto necessario sentire anche il Ministro per gli affari regionali e le autonomie nel corso di queste audizioni.
  Ritengo apprezzabile la sensibilità che la Commissione dimostra nella prospettiva della semplificazione, intesa non solo come riduzione di oneri burocratici, ma anche come funzionamento più semplificato di un sistema istituzionale territoriale multilivello come quello italiano.
  In particolare, nell'ottica della riforma federalista del nostro Stato, credo che sia importante impostare il lavoro tenendo presente che stanno avanzando delle riforme, tra cui la riforma che il Governo ha presentato sull'organizzazione delle istituzioni, a partire dalla modifica delle funzioni delle province fino all'istituzione delle nuove città metropolitane e alla modifica delle unioni comunali. Credo che tutti questi aspetti di tipo istituzionale influiscano in maniera inevitabile e anche molto forte sui processi di semplificazione.
  Ringrazio il presidente Tabacci per questo lavoro che state facendo. Credo che sarà molto utile anche al Governo, quando potrete riassumere il contenuto finale delle vostre considerazioni.
  Come è stato messo in rilievo da tutte le audizioni precedenti, e in particolare da quelle del Ministro D'Alia, del direttore dell'OCSE Alter e del Sottosegretario Patroni Griffi, la semplificazione è un fenomeno multiforme che impone un approccio su molti piani. È molto ricca l'esperienza ormai accumulata, anche in Italia, sul piano degli strumenti organizzativi e parlamentari di controllo sulla qualità della legislazione, sia nella fase di approvazione che in quella di attuazione.
  L'attenzione alla semplificazione parte in maniera molto seria già nel 1997 con le Pag. 4riforme Bassanini. Quest'attenzione ci ha un portato un particolare apprezzamento a livello sovranazionale, tuttavia, a mio giudizio, non possiamo ritenere che abbia dato finora tutti i risultati attesi, sia dal punto di vista degli effetti determinati sia dal punto di vista della percezione dell'opinione pubblica. È quindi giustificato il rinnovato impegno col quale il Governo Monti e altri Governi, e ora il nostro Governo, hanno deciso di affrontare questo problema.
  Le iniziative hanno toccato un punto di grande rilievo, per quanto riguarda il nostro settore, con l'accordo tra il Governo, le regioni e gli enti locali che è stato approvato in Conferenza unificata il 10 maggio 2012, per l'attuazione coordinata delle misure previste dal decreto-legge n. 5 del 2012.
  È un accordo importante perché non solo ha istituito il tavolo istituzionale per la semplificazione, al quale partecipano insieme Governo, regioni e autonomie locali, ma ha anche segnato la piena consapevolezza dell'approccio multilivello cui accennavo. Questo approccio ha dato vita a risultati importanti, che sono già stati trasformati in provvedimenti normativi, da ultimo quelli contenuti nel cosiddetto «decreto del fare», di cui avete già avuto ampio conto dall'audizione del Ministro D'Alia e su cui, pertanto, non ritornerò.
  In ogni caso, mi auguro che si possa proseguire questo lavoro nel futuro, anche attraverso l'istituzione formalizzata della nuova Agenda per la semplificazione, della quale sono già stati illustrati i contenuti. Noi siamo molto interessati a fare in modo che questa diventi un'agenda di lavoro stringente e che il tavolo istituzionale dia pieno frutto.
  In riferimento all'esperienza del tavolo per la semplificazione e di quello dell'Agenda digitale promosso per il triennio 2012-2015, e anche in considerazione dei numerosi provvedimenti adottati nel tempo, abbiamo analizzato gli effetti delle iniziative intraprese a suo tempo dal Ministro Brunetta e conseguentemente dal Ministro Patroni Griffi in materia di trasparenza, che in relazione alla semplificazione hanno riguardato soprattutto i rapporti tra amministrazioni e imprese e, in misura minore, tra amministrazione e cittadini. Ed è un'impostazione molto apprezzabile tenere in considerazione questi livelli, ossia quelli relativi all'amministrazione ed alle imprese, nonché all'amministrazione ed ai cittadini.
  Credo che sia altrettanto apprezzabile mettere al centro dei nostri sforzi la revisione interna degli enti e degli organi della pubblica amministrazione, le loro modalità di funzionamento ed i relativi costi, collegando quindi la semplificazione a un complessivo processo di riforma del nostro sistema pubblico e della nostra pubblica amministrazione o, per usare un'espressione che ebbe fortuna all'inizio dell'esperienza regionale, della nostra cosiddetta «amministrazione integrata».
  Dico questo perché dopo la riforma del Titolo V il rapporto tra i diversi livelli territoriali, come sapete, anziché semplificarsi, si è notevolmente complicato, sia dal punto di vista dell'intreccio delle competenze sia dal punto di vista dell'influenza sempre più estesa della normativa statale e regionale sugli enti territoriali e di quella della normativa statale sulle regioni.
  Questi aspetti normativi incidono non solo sulla qualità dell'attività amministrativa, ma anche sui costi dell'amministrazione, compresi quelli che in ultima analisi devono sostenere aziende e cittadini. Di conseguenza, non possiamo più procedere soltanto per semplificazioni e per procedimenti, e credo nemmeno per codificazioni di settore. Né possiamo più ritenere che la semplificazione abbia come unico obiettivo le imprese e i cittadini. Tutto il carattere sistemico della semplificazione va assunto, e quindi occorre compiere un lavoro costante di manutenzione degli apparati amministrativi e delle loro relazioni.
  Uno dei problemi più importanti, come accennavo, è il rapporto tra gli enti territoriali e la normazione statale e regionale. Mi riferisco non solo alle leggi statali Pag. 5e regionali, ma in generale a tutta la normazione che riguarda gli enti territoriali.
  In Italia, oltre a una spinta verso la semplificazione, testimoniata anche dal lavoro di questa Commissione, vi è anche una spinta, che io considero quasi irrefrenabile, alla complicazione. Questa è una caratteristica che, specialmente nei settori tecnici, ha delle motivazioni profonde, dovute alla richiesta intrinseca di una regolazione sempre maggiore di settori complessi, dalla tutela ambientale a quella paesaggistica, passando per la sicurezza nei luoghi di lavoro.
  Ovviamente questi settori richiedono una normazione complessa e a volte intersecata su più livelli. È un fenomeno ben conosciuto, al quale concorre persino la normazione europea. Il nostro Paese, essendo organizzato a matrice, per settori ministeriali, enti nazionali ed enti territoriali, ha accumulato sempre più la necessità di chiedere informazioni e adempimenti, spesso molto lontani dalle finalità proprie delle amministrazioni interpellate.
  La prima questione che noi riteniamo molto importante è che occorre una forte azione di sensibilizzazione delle burocrazie e degli apparati tecnici, inclusi quelli di carattere statistico e di analisi e studio, affinché cessi questo flusso continuo di richieste di informazioni che sono già disponibili in altre sedi. Questo a noi sembra uno degli elementi più importanti. Auspichiamo altresì che si incentivi la cultura dell'utilizzazione dei dati già presenti in banche pubbliche o private, rispettando i problemi di privacy, e che vi sia la possibilità di ridurre la richiesta continua di informativa.
  Sottolineo peraltro che la riduzione degli obblighi informativi in altri Paesi che hanno fatto esperienze molto significative, come la Germania, il Giappone e il Regno Unito, ha determinato riduzioni di costi assolutamente rilevanti nella pubblica amministrazione e per le imprese.
  Addirittura in Germania nei quattro anni analizzati si è realizzato un risparmio complessivo di circa 4 miliardi di euro, grazie alla riduzione di oltre 10 mila obblighi informativi. È quindi ora di cominciare a capire che chiedere informazioni comporta comunque un costo.
  Credo che un impegno non minore consista nell'evitare la proliferazione inutile di regole settoriali, che spesso sono incoerenti tra di loro e che costringono le amministrazioni a adempimenti infiniti. Nel tempo si sono affollate norme e prassi che coesistono e si sovrappongono, anche rispetto a una medesima attività. Vi sarebbe bisogno di quella che io definirei una «manutenzione normativa e amministrativa», cioè un coordinamento vero dei testi, per evitare che coesistano norme e modalità di azione amministrativa, documentazione e archiviazione che derivano da provvedimenti ed epoche precedenti e che si aggiungono a procedure e modalità di azione nuove.
  Per esempio, malgrado il venir meno del servizio militare obbligatorio, i comuni sono ancora tenuti ad aggiornare le liste di leva, con le stesse modalità e la stessa modulistica di alcuni decenni fa. Questo è assolutamente anacronistico.
  È quindi necessaria una forte iniziativa per ridurre gli oneri amministrativi di comunicazione e le informazioni da amministrazioni ad altre amministrazioni e per stimolare una manutenzione normativa e amministrativa, che eviti sovrapposizione e coesistenza di prassi che hanno origini antiche e che magari sono superate.
  Al fine di ridurre il lavoro intramministrativo tra i vari livelli, stiamo preparando e presto licenzieremo una campagna presso i comuni per farci segnalare dai comuni stessi e dalle loro strutture amministrative quali sono le norme settoriali da modificare o abrogare, indicandocene il motivo.
  Abbiamo individuato gli ambiti settoriali, con i servizi di gestione dei servizi fiscali, i servizi di ufficio tecnico e i servizi istituzionali, per consentire agli uffici comunali di scegliere le norme statali che presentano le maggiori criticità gestionali. Grazie a questo sforzo crediamo che potrà essere ulteriormente aiutata la migliore Pag. 6arte dell'amministrazione possibile, che è quella di riuscire a ridurre al minimo e dare ragione di un lavoro molto semplificato e molto orientato alla propria mission.
  Vogliamo sperimentare questa forma di consultazione tra Stato e comuni. Ad oggi è stata sempre avviata una forma di consultazione che andava nell'ottica di cui parlavo, cioè verso i cittadini e verso le imprese. Quest'altro tipo di lavoro è stato fatto con meno intensità, mentre crediamo che possa aiutare molto.
  L'altra questione che ritengo importante è stimolare costantemente tutte le amministrazioni, in particolare quelle territoriali, che sono di mia competenza, a sviluppare attività di semplificazione permanente delle loro procedure e delle loro modalità di organizzazione. Non si tratta tanto di fare programmi annuali di semplificazione quanto di stimolare un'azione costante e continua di semplificazione delle strutture e delle procedure.
  Come sapete, dal 2005 in poi sono stati promossi piani annuali per la semplificazione, anche a livello comunale. Nel 2007, anche come ANCI, si stimolò una ricerca da cui emerse che su un campione di alcune decine di comuni solo il 30 per cento dichiarava di aver compilato questi piani di semplificazione amministrativa.
  Non basta prevedere piani annuali; occorre davvero promuovere, a livello locale e centrale, la cultura della semplificazione, come uno sforzo continuo di riorganizzazione delle strutture e di reingegnerizzazione dei processi, che tenga conto dei mutamenti pian piano intervenuti, anche in raccordo con le novità che ovviamente la digitalizzazione dell'amministrazione sta introducendo.
  Come si può fare questo salto culturale ? Innanzitutto, sottolineo una criticità: il problema dei sistemi premiali. Come sapete, i sistemi premiali, tra cui, per esempio, i parametri di virtuosità per l'attività dei comuni, furono introdotti già col decreto-legge n. 98 del 2011. Questa linea di premialità è stata poi ripresa dalle leggi di stabilità per il 2013 e per il 2014, però, per esempio, a metà del 2013 è stato reso noto che il meccanismo di premialità previsto dal decreto n. 98 del 2011 non sarebbe stato applicato.
  Vi è il problema di evitare che la crisi economica e la restrizione della spesa pubblica spingano a ridurre le misure di incentivazione della cultura della virtuosità, che in realtà permettono di risparmiare. Ritengo che questo sia un errore da rimuovere. La semplificazione e le misure di premialità che orientano la semplificazione vanno viste come l'altra faccia della medaglia della spending review. Questo, secondo noi, è il vero problema. Non si può ridurre la spesa riducendo i costi della semplificazione, perché altrimenti non operiamo un investimento nella direzione giusta.
  Relativamente agli snodi tra Stato, regioni ed enti territoriali, presidente, per non essere eccessivamente lungo vorrei anzitutto analizzare la situazione attuale. Il sistema regionale italiano continua a muoversi a due velocità: quella delle regioni a statuto speciale e quella delle regioni a statuto ordinario. Le prime hanno nei loro statuti un sistema di commissioni paritetiche che sono incentrate essenzialmente sull'attuazione dei rispettivi statuti e delle loro competenze come regioni a statuto speciale.
  Queste commissioni sono state spesso messe in discussione, specialmente dopo la riforma del Titolo V della Costituzione. Comunque va sottolineato che, al di là delle opinioni che ognuno può avere, il complesso meccanismo delle norme di attuazione è molto più macchinoso rispetto a quello relativo ai rapporti tra le regioni a statuto ordinario e lo Stato.
  Sebbene tanto la legge n. 131 del 2003 quanto la legge n. 42 del 2009 abbiano confermato l'esistenza di queste commissioni, sottolineo che le loro modalità di funzionamento sono molto complesse. Abbiamo rinnovato recentemente le commissioni paritetiche di alcune regioni. Segnalo alla Commissione che chiederò alle commissioni paritetiche di formulare proposte su come semplificare le loro attività, perché credo che ciò sia molto rilevante al Pag. 7fine di poter realizzare gli accordi che vengono raggiunti in queste sedi e di una rapida ratifica da parte di Governo e Parlamento.
  L'altro elemento da sottolineare è il tema relativo alla Conferenza Stato-regioni, alla Conferenza Stato-città e alla Conferenza unificata, così come sono attualmente operanti nel nostro ordinamento.
  La Conferenza Stato-regioni ha una storia lunga, iniziata nella metà degli anni Ottanta. Le Conferenze nel loro complesso sono state la risposta alla necessità di avere sedi adatte per attuare le riforme Bassanini, che, come sapete, erano basate sul trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle regioni. Le Conferenze sono anche un luogo di condivisione e di partecipazione, e comunque sono state sempre il luogo di attuazione di riforme amministrative e di coordinamento.
  Con la riforma costituzionale del Titolo V, che ha aumentato enormemente le funzioni legislative delle regioni e ha modificato la natura del policentrismo italiano, è cambiato tutto il quadro. Sostanzialmente è stata affidata solo alla Corte costituzionale la ricerca dei modi per armonizzare delle norme che erano fra loro non immediatamente coerenti.
  Segnalo che questo quadro ha comportato sempre un notevole onere di contenzioso, che rappresenta un costo enorme per le nostre strutture. In pratica, la Corte costituzionale sta lavorando esclusivamente sul contenzioso regionale.
  Uno degli obiettivi che ho dato alla mia struttura è stato quello di dimezzare il contenzioso costituzionale entro i primi sei mesi.
  Abbiamo raggiunto l'obiettivo: ad oggi abbiamo già una media che credo ci consentirà alla fine dell'anno di lavoro di ridurre da 125, quali erano all'inizio, a meno di 40 o 50 gli atti sottoposti all'attenzione della Corte.
  Tutto questo è possibile grazie a un'azione di mediazione preventiva, di analisi preventiva e di contratto preventivo con gli uffici, che credo sia una delle modalità di lavoro che più vanno stimolate, al fine di coordinare in maniera efficace le normative statali e quelle regionali.
  Tornando alle Conferenze, l'evoluzione della finanza pubblica e la complessità dei vincoli europei hanno attribuito alle conferenze anche nuovi compiti in materia di legge di stabilità e di provvedimenti finanziari, senza tuttavia che queste siano adeguatamente strutturate per affrontare questi problemi.
  Purtroppo, anziché affrontare questo problema continuando a valorizzare il ruolo delle Conferenze come luoghi concertativi di condivisione e di coordinamento, anche legislativo, sono state create nuove forme di raccordi settoriali, producendo un caos di sedi di condivisione, concertazione e raccordo. Per esempio, il tavolo per la semplificazione è stato istituito grazie a un accordo con le Conferenze, ma poi queste ultime hanno perso notizia del lavoro del tavolo stesso. Questo è un altro elemento che credo vada sottolineato.
  Il sistema delle Conferenze necessita cioè di una riforma incisiva, che preveda forme di semplificazione delle procedure e che impedisca che le Conferenze stesse diventino ulteriori momenti di interdizione, di complicazione o di blocco dell'attività amministrativa.
  Credo che, per quanto riguarda gli snodi tra Stato, regioni e enti territoriali, il sistema attuale stia mostrando la corda. È evidente, presidente, che in questo contesto la trasformazione auspicata del Senato della Repubblica in un Senato delle autonomie deve necessariamente portare ad una semplificazione e ad una revisione del ruolo delle Conferenze. Credo che questo sia uno degli elementi più rilevanti al fine di risolvere questo problema.
  La riforma complessiva delle Conferenze, come ho detto, è un elemento importante, di cui si parla ormai da troppi anni. Chiaramente o si costituzionalizza il sistema delle Conferenze, oppure si procede a far diventare il Senato l'elemento che assorbe in sé i compiti Pag. 8sostanziali di cui avremmo bisogno all'interno di una struttura federale come quella italiana.
  Mi soffermo ancora pochi istanti sul sistema di semplificazione che stiamo proponendo e che è in discussione al Senato proprio in questi giorni. Il sistema che abbiamo proposto si ispira molto a un elemento di grande semplificazione, con solo due livelli di governo riconosciuti: il governo regionale e il governo comunale, in applicazione dell'articolo 118, primo comma, della Costituzione, che stabilisce che le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni, salvo che, per esigenze di sussidiarietà, siano assegnate ad altri livelli.
  Si lascia quindi alle regioni il compito più importante di legislazione e di coordinamento e si trasferisce ai comuni tutta la parte amministrativa. In presenza di questo quadro costituzionale ovviamente non era possibile abrogare completamente le province, se non con un disegno parallelo, che infatti è stato avviato dal Governo.
  Escluse le funzioni di pianificazione territoriale, urbanistica, ambientale e delle vie di comunicazione, che sono strettamente di area vasta, tutte le altre funzioni vengono tolte dal livello provinciale. Crediamo che uno degli elementi più importanti di semplificazione sia appunto l'individuazione precisa delle funzioni di ognuno dei livelli di governo e che le province si trasformino, così come le città metropolitane, in strumenti e agenzie al servizio delle funzioni amministrative dei comuni stessi.
  Noi crediamo che questa semplificazione, anche nella composizione degli organi di governo, potrà essere uno degli elementi decisivi per il nostro sistema istituzionale.
  Credo di dover sottolineare, rivolgendomi agli onorevoli colleghi, che questo tipo di riforma andrebbe accompagnata a una riforma del Titolo V della Costituzione. È indiscutibile che nelle relazioni tra Stato, regioni e comuni uno degli elementi di maggiore complicazione è quello determinato dall'attuale formulazione del Titolo V.
  A questo riguardo non tocca a me fare proposte, ma certamente la riduzione al minimo o addirittura l'eliminazione della legislazione concorrente, che molti costituzionalisti ritengono non solo utile ma possibile e opportuna, a favore dell'individuazione più precisa delle rispettive competenze legislative, potrebbe davvero essere, insieme al Senato delle regioni e delle autonomie, uno degli elementi più importanti di semplificazione istituzionale.
  Questa riforma, accompagnata da quella attualmente in discussione al Senato e già approvata dalla Camera concernente le province e le città metropolitane, potrebbe davvero disegnare un nuovo quadro istituzionale e semplificare notevolmente tutti i procedimenti per le famiglie e per le imprese.
  Io mi fermerei qui, presidente, per ascoltare le eventuali sollecitazioni della Commissione. Lascio la mia memoria scritta a disposizione della Commissione stessa. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Delrio per le indicazioni e i contenuti della sua relazione.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  IGNAZIO ANGIONI. Sarò molto breve, per consentire a tutti i colleghi di intervenire sulla relazione del Ministro, che ho trovato particolarmente interessante.
  Condivido diverse considerazioni, soprattutto quella relativa a una rivisitazione, ormai dovuta, del Titolo V della Costituzione, probabilmente accompagnata da una rivisitazione istituzionale dell'intero nostro impianto.
  C’è una considerazione che mi preme fare, proprio in seguito alla sua relazione, e che riguarda il problema della semplificazione burocratica, normativa e amministrativa nazionale e quello di una analoga semplificazione anche per quanto Pag. 9riguarda le regioni. Noi spesso ci fermiamo al primo piano e non teniamo probabilmente in debita considerazione una questione che riguarda le singole regioni.
  Nel nostro Paese c’è una disomogeneità di applicazione delle medesime norme nazionali tra le diverse regioni. Io provengo dalla Sardegna, dove una conferenza di servizi può durare tre o quattro anni senza che nessuno possa dolersene: ritengo che questo sia un punto imprescindibile anche nelle nostre considerazioni, perché riguarda l'applicazione delle leggi e la conseguente disomogeneità di livelli che, a mio parere, possono e devono essere presi in considerazione.
  Le pongo una domanda che intendevo rivolgere ieri al presidente Pajno e che non ho potuto fare per una questione di tempi. Le chiedo se è pensabile parlare di un'eccessiva elasticità interpretativa della nostra giurisdizione e della nostra giurisprudenza amministrativa in particolare.
  Le sentenze amministrative spesso non aiutano. Con questo ovviamente non intendo esprimere alcuna valutazione negativa sul sistema giurisdizionale italiano e in particolare su quello amministrativo; certo è che spesso talune sentenze possono causare più di un problema, non soltanto interpretativo, agli iter burocratici.
  Sulla questione del Titolo V della Costituzione sono assolutamente d'accordo con le affermazioni del Ministro, soprattutto riguardo al superamento, probabilmente non in toto, del concerto tra istituzioni.
  In questa stagione nella quale, come Governo, come Parlamento e come singole forze politiche, stiamo testando la possibilità di una rivalutazione e rivisitazione dell'impianto generale delle istituzioni, credo che il presupposto dal quale dobbiamo partire è che non sempre una semplificazione amministrativa burocratica, o anche istituzionale, coincide con un taglio dei costi. Misurare la possibilità di quella semplificazione soprattutto in termini di costi rischia di farci fare degli errori clamorosi che potremmo pagare anche nel futuro in maniera eccessiva: la democrazia ha dei costi e non sempre la semplificazione coincide con il superamento di livelli di confronto democratico che restano centrali per il nostro sistema.
  Anche l'intervento del Ministro, per l'ennesima volta, presidente, ci dà contezza del fatto che ormai la questione della semplificazione sta diventando la vera chiave per il nostro rilancio e per il nostro sviluppo, e non solo per il superamento della crisi che, seppur lunga, riguarda comunque la stagione contingente. Stiamo parlando probabilmente del peso maggiore che ci portiamo dietro da decenni e che rischia di essere il problema dei prossimi anni.

  ERICA D'ADDA. Ringrazio il Ministro per la sua interessante relazione, che ha toccato un punto particolarmente stimolante. Come premessa, direi che anche il Ministro ha sottolineato come la riforma del Titolo V abbia in qualche modo complicato – almeno per alcuni aspetti – e non semplificato il rapporto tra i livelli istituzionali e quindi abbisogna di una rivisitazione. Questo è una sorta di leit motiv che ci ritroviamo tutte le volte a dover ripetere.
  Il Ministro ha però anche messo in evidenza che il sistema delle Conferenze che abbiamo costituito, affinché ci fosse una maggiore interrelazione tra le nostre amministrazioni e livelli legislativi, ha sicuramente prodotto alcuni risultati ma non tutti quelli che speravamo.
  Il Ministro ha introdotto quindi l'elemento su cui stiamo riflettendo in questa legislatura, ma in realtà lo stiamo facendo da un po’ di tempo. Mi riferisco al riassorbimento delle funzioni delle varie Conferenze tra Stato e livelli locali, siano essi regionali o di livello base, nell'ambito di un Senato delle regioni.
  Noi sappiamo che l'opinione pubblica considera l'eliminazione di una Camera legislativa, così come la possa intendere anch'io, sotto il tema del costo della politica. Questa è una semplificazione, dal Pag. 10momento che, come diceva bene il collega, la politica ha un costo ma ovviamente, se ha dei costi, poi deve funzionare.
  Sono personalmente dell'idea che si possa anche arrivare a una forma di monocameralismo. C’è tuttavia un tema che mi turba: non vorrei che riportassimo ad un altro livello, ossia nel Senato delle regioni, gli stessi problemi che non abbiamo saputo risolvere altrove, a meno che non abbiamo in mente – ma allo stato attuale io non l'ho sentito esporre – un Senato delle regioni costituito in maniera tale che ci dia la sensazione di poter funzionare in quel modo.
  Non dimentichiamo che si tratta di un dibattito di natura costituzionale e certamente dobbiamo tenere presente che vi sono anche esperti i quali ritengono che le due cose potrebbero non essere costituzionali. Il livello di discussione delle regioni e degli enti locali e il livello legislativo nazionale sono, infatti, due aspetti che non si possono perfettamente equilibrare, il che è del tutto ovvio, perché l'esponente di livello locale dei nostri comuni piuttosto che l'esponente di livello regionale porta in una Camera una discussione necessariamente e doverosamente volta a mettere in evidenza i problemi tipici del suo territorio.
  Faccio un esempio, magari banalissimo: chiaramente io, da cittadina di Busto Arsizio, voglio che il mio sindaco, indipendentemente dalla sua parte politica, porti gli interessi della mia città e non quelli della città di Messina, e mi scuso con i cittadini di Messina. Questo è un dato di fatto oggettivo. È molto più difficile per gli enti locali arrivare a quella consapevolezza legislativa o necessità legislativa secondo cui lo sguardo deve essere più ampio nel momento in cui fanno il loro lavoro.
  Non a caso, piuttosto che per una soluzione di questo tipo, io sarei per una soluzione che guardi a un monocameralismo, perché quello di cui abbiamo bisogno è l'efficienza dell'azione legislativa più che la riduzione dei costi della politica. Bisogna che l'azione dell'Esecutivo abbia uno strumento duttile e veloce per rispondere alle necessità che si pongono in un tempo come questo.
  Vorrei chiedere al ministro come considera questa questione, che secondo me rappresenta uno dei temi più importanti, ma anche uno dei temi che stiamo affrontando lasciandoci prendere dalle mode del momento. La riforma del Titolo V è stata certamente importante. Evidentemente a volte si possono non ottenere i risultati attesi, però, per quanto mi concerne credo che la riforma sia riuscita meno bene di come si voleva perché la si è fatta con un po’ di fretta – e lo dico fuor di metafora, perché l'ha fatta la mia parte politica – sull'onda della rincorsa di alcune sirene del momento, che si pensava di poter superare mostrando di essere bravi. Io credo che questo modo di affrontare i problemi delle istituzioni sia il peggiore immaginabile.

  ROSA MARIA DI GIORGI. Ringrazio il Ministro e mi scuso per essere arrivata in ritardo. Naturalmente i temi che lei in questo momento sta affrontando sono di grandissimo impatto e quindi di grande interesse, in particolare all'interno di questa Commissione che sta svolgendo un lavoro che credo possa produrre un buon risultato.
  C’è un punto in particolare che mi ha colpito e che condivido molto. Lei ha detto che l'investimento in spending review si deve immediatamente immaginare come un investimento e non come un costo, in particolare negli enti locali. Pensiamo anche ai piccoli enti locali, alle reti di comuni e alle formule che dovremmo sempre più stimolare. La semplificazione nei comuni più piccoli probabilmente è molto complessa, proprio perché le risorse dirette non ci sono. È evidente che una rete di comuni, in un'ottica di maggiore e diversa articolazione delle competenze all'interno di una prospettiva di coordinamento, può rendere più semplice in tutto il territorio nazionale l'affermazione di questo principio. L'investimento nella semplificazione fa parte della spending review ed è molto importante, perché si deve Pag. 11avere una ricaduta effettiva sul territorio del processo di semplificazione che si sta avviando, proprio attraverso i processi di spending review.
  Aggiungo una piccolissima nota: semplificazione naturalmente non vuol dire mancanza di controlli. A volte viene fatto questo passaggio immediato, che è pericolosissimo, soprattutto in alcune aree del nostro Paese, perché al solito non abbiamo una sola Italia, ma purtroppo abbiamo molte Italie. Evidentemente in alcuni territori quel controllo che potrebbe sembrare eccessivo e che confligge con le formule del silenzio-assenso, che indubbiamente sono quelle che assicurano una maggiore fruibilità e che consentono ai procedimenti di andare avanti in modo più immediato, è più complesso e quindi i controlli e le verifiche devono comunque essere effettuati. Penso naturalmente agli appalti; in questa sede siamo stati tutti, forse, amministratori pubblici e quindi sappiamo che cosa significa.
  Bisogna quindi semplificare, ma sempre con una grande attenzione alla rete necessaria dei controlli. Sappiamo che spesso, oltretutto, dietro ai controlli e all'eccessiva proliferazione delle procedure si nasconde la corruzione. Più passaggi ci sono, più funzionari ci sono e più dirigenti ci sono a dover gestire il procedimento, maggiore è il rischio di corruzione.
  La semplificazione è fortemente collegata anche ai processi di corruzione: sbrighiamoci a farla, perché certamente è un tema importantissimo per il nostro Paese, per le cose che sono state dette dal Ministro, dai colleghi nonché alla luce del dibattito che abbiamo fatto in altre occasioni, anche in questa Commissione.
  Oggi si parla di semplificazione dei procedimenti e in questo periodo abbiamo parlato di semplificazione normativa. Naturalmente la semplificazione dei procedimenti è figlia di una migliore impostazione normativa e quindi di un diverso modo di affrontare l'emanazione delle norme. Il tema, ancora una volta, è quello della proliferazione normativa e dell'insieme di norme inutili, e qualche volta perfino dannose, che costituiscono un ingombro normativo.
  Io sono tra quelli che non hanno mai amato la famosa riforma del Titolo V e mi pare che la mia opinione sia abbastanza condivisa. Credo che su questo sia necessario mettere le mani il prima possibile.
  C’è una questione, secondo me, che incide moltissimo nella difficoltà che ci troviamo ad affrontare: i livelli diversi di semplificazione esistenti tra le varie amministrazioni, sia all'interno dell'amministrazione statale, tra i vari Ministeri, che a livello verticale, tra regioni, comuni e via dicendo. Naturalmente è tutto molto connesso, però è evidente che questa difformità produce velocità diverse che indubbiamente non conducono all'efficienza. Su questo non c’è dubbio.
  In realtà, noi siamo abituati a una rete un po’ strana in questo Paese: ci sono i Ministeri organizzati in modo tale che hanno le loro articolazioni periferiche nei territori, come una sorta di raggiera. Mi riferisco alle prefetture e a tutte le varie articolazioni a livello territoriale. Questa rete spesso confligge con l'altra rete che c’è nei territori. Ciò dovrebbe presupporre l'esistenza di una rete di livello orizzontale, ossia un coordinamento e una vera collaborazione fra amministrazioni nei territori, compresi gli uffici periferici delle amministrazioni centrali. Evidentemente è necessaria una condivisione, a partire dalle banche dati, per evitare tutte le duplicazioni che ci sono.
  In realtà tutto questo non è così immediato. Pensiamo che addirittura non ci sono nemmeno le centrali uniche tra Ministero dell'interno e centrali dei vigili urbani nelle città. È evidente che si deve incidere anche sul disegno, sulla grafica della rete fra le pubbliche amministrazioni, proprio perché questo è essenziale affinché si possa pervenire a una reale semplificazione.
  Se riusciamo a lavorare bene e ad avere in testa il progetto e anche la struttura che vogliamo dare alla nuova pubblica amministrazione di questo millennio, possiamo realmente semplificare, mantenendo tuttavia Pag. 12i controlli laddove è fondamentale che ci siano, realizzando una rete fra amministrazioni e utilizzando tutte le tecnologie informatiche, a partire dalla posta certificata, dalla condivisione delle banche dati e dalla non duplicazione. Credo che tutto ciò sia importante come cambiare la rete.
  Infine, rispetto al ruolo del Senato e alla Conferenza Stato-regioni, condivido quello che è stato detto. Io sono stata sempre una grande nemica di tutto questo, perché al momento in cui arrivavamo alla concertazione a livello di Conferenza passavano dei mesi ed era difficilissimo riuscire a progettare nei territori.
  Anche la storia del tavolo per la semplificazione, che conosco bene, evidentemente è un'altra delle sconfitte dell'amministrazione italiana. Vedremo se riusciremo a disegnare la riforma del Senato in modo tale da rispondere a qualcuna di queste questioni. Anche nella Commissione potremmo fare una discussione su come ci immaginiamo il nuovo Senato.

  MINO TARICCO. Cercherò di essere il più sintetico possibile. Vorrei porre al Ministro due questioni. Condivido assolutamente il fatto che in tema di semplificazione probabilmente in questo momento è più strategico ragionare sulla base di grandi operazioni di sistema, piuttosto che in modo puntuale su singole questioni.
  Servono anche interventi puntuali ma, avendo vissuto per anni il luogo delle Conferenze Stato-regioni, sono convinto che se uniamo alla costruzione di un Senato che sia il luogo della rappresentanza dei territori una riforma del Titolo V che superi larga parte della materia concorrente, probabilmente possiamo, se non abolire tutto il sistema delle Conferenze, perlomeno imporre un drastico freno a quel tipo di operazione. Al di là della questione dei costi, ciò potrebbe determinare una semplificazione del percorso delle amministrazioni straordinariamente importante.
  Credo che il percorso che è stato avviato, che porta alla nascita degli enti di area vasta in sostituzione delle province, per avere una sua efficacia reale dovrebbe essere accompagnato da una riorganizzazione, anche dimensionale, delle regioni e delle nuove aree vaste, anche in un'ottica di funzionamento in quanto tale.
  Io vivo in una regione dove in linea teorica vi sono cinque aree vaste che possono definirsi tali, ma otto province che saranno otto future aree vaste. Alcune future aree vaste non hanno nulla di un'area vasta, perché non ci sono le condizioni; dopodiché, per legge lo saranno e allora vedremo cosa succederà.
  C’è un’ altra questione fondamentale: ritengo che le articolazioni territoriali del livello nazionale – prefetture, questure, soprintendenze – dovrebbero essere ripensate nell'ottica di quelle aree vaste ottimali. Se c’è una provincia con 1,5 milioni di abitanti che ha un prefetto e un'altra con 90 mila abitanti che ha anch'essa un prefetto, allora non ho ben capito qual è l'unità di misura. Credo che questo sia un tema fondamentale che non si potrà eludere e sul quale mi piacerebbe avere una sua considerazione.
  La seconda questione che ho trovato molto interessante tra quelle che lei ha affrontato si può riassumere in questi tre concetti: trasparenza, unificazione e integrazione delle banche dati e accessibilità.
  Io credo che si potrebbe fare veramente un salto in avanti – ne parlavamo anche ieri – passando da una legislazione puntuale ad una legislazione per princìpi su questo tipo di questione. Basterebbe stabilire per legge che tutti i dati devono confluire in un'unica banca dati, che deve essere totalmente accessibile – per chiavi di accessibilità, poiché non tutti possono accedere a tutto – e che nessuno di tutta l'amministrazione del Paese, a tutti i livelli, può richiedere un dato che sia già compreso in quella banca dati. Si potrebbe fare una norma anche di un solo articolo, dopodiché metterlo in pratica è un'altra avventura. Ma credo che sia proprio in questo che si gioca la semplificazione, altrimenti sarebbe come girare intorno al problema.Pag. 13
  Riferisco un avvenimento che mi ha colpito: nella mia regione abbiamo fatto un articolo di legge di sei righe che stabiliva che in una certa procedura devono essere chieste quattro cose a un'azienda agricola e i funzionari sono riusciti a tradurlo in dodici cartelle dattiloscritte di dati. Credo che proprio questo genere di situazioni debba essere «stroncato» sul nascere, altrimenti la semplificazione rimane virtuale.

  FABIO LAVAGNO. Cerco di rispettare il mandato dato dal presidente e di essere estremamente sintetico. Buongiorno e grazie, signor Ministro. Credo che chiunque abbia frequentato gli enti locali, come il Ministro, sappia quanto sia difficile in quest'ambito, forse ancor più che in altri, produrre semplificazione. Spesso e volentieri negli enti locali produrre semplificazione vuol dire vivere la questione in termini burocratici. Se qualche ente locale si è astenuto dal fare semplificazione vivendola in termini burocratici, ben venga, perché non è certamente quello l'obiettivo che tutti ci aspettiamo, neanche in termini di efficacia.
  Credo che sia emerso chiaramente dalle parole di molti, in questa e in altre audizioni, che uno dei nostri problemi, soprattutto per quanto riguarda le materie oggetto dell'indagine conoscitiva, sia il Titolo V della Costituzione. Noi sappiamo però come è nato il Titolo V, conosciamo la sua evoluzione e la sua mancata traduzione rispetto ai principi che conteneva.
  Oggi sappiamo che andare dietro a certe mode produce degli effetti. Faccio un esempio. Dopo vent'anni che decliniamo la parola «federalismo» in tutte le sue modalità, abbiamo prodotto almeno tre effetti: abbiamo ridotto sostanzialmente gli eletti e gli spazi di democrazia, abbiamo sottoposto tutti gli enti locali al patto di stabilità e, conseguentemente, ridotto i trasferimenti statali e la capacità di spesa. Forse non è questo il federalismo che, nelle migliori intenzioni, volevamo produrre.
  Il Ministro sa cosa penso rispetto alla riforma riguardante province, città metropolitane e unioni di comuni, e sa benissimo che io ed altri del mio gruppo avremmo preferito rispetto a tale questione un testo unico che affrontasse, a partire dai princìpi e non dalle cadute di organizzazione, una revisione della governance nel suo complesso.
  Anche nell'affrontare la discussione relativa al Senato come luogo delle autonomie locali, presterei molta attenzione. Non vorrei che abbandonando un bicameralismo perfetto – che perfetto non è, di fatto, nelle pratiche – ricadessimo in un monocameralismo ancora più imperfetto e che, al di là delle intenzioni, si trasformasse il Senato in un luogo sindacale – mi scusi questo termine – ossia di rivendicazione e d'interdizione. Capisco che ciò possa avvenire in questa logica, dettata in particolare dall'indubbia debolezza della politica e dei partiti. Credo però che questo non sarebbe un buon servizio rispetto alla complessità delle riforme che sembrano essere alla luce.
  Io credo che noi dovremo affrontare in termini concreti, dando degli indirizzi di principio, come è stato evocato rispetto alla semplificazione della governance degli enti locali, una reale corrispondenza dell'articolazione dello Stato ad ambiti ottimali, se non vogliamo definirli aree vaste piuttosto che province. Il Ministro sa benissimo che così noi stressiamo ulteriormente l'organizzazione locale che si era insediata, con la conseguente necessità di autoriformarsi. Pensiamo agli ambiti territoriali ottimali piuttosto che ad altre organizzazioni territoriali, che, nella loro formulazione attuale, si sovrappongono alle province di secondo livello.
  Si tratta di affrontare una necessità di questo Paese nella sua amministrazione locale, che in qualche modo coniughi quantità e qualità. Il fatto che non si ponga il tema di come ridurre, entro i prossimi dieci anni, gli 8 mila comuni in maniera sostanziale ed efficace è un problema non solo quantitativo ma anche Pag. 14qualitativo, che riguarda anche la classe politica e la governance locale. Non dobbiamo avere paura di dire questo.
  L'invito che rivolgo al Ministro e a tutti noi è di affrontare queste tematiche non sull'onda della fretta, ma con la maggiore unitarietà possibile, con la necessità che ciò produca effettivamente anche una trasformazione delle burocrazie locali, che non si può fare per legge, ma va affrontata in termini culturali. Per tornare a quello che dicevo, molto spesso classi di amministratori deboli sono in balìa delle burocrazie amministrative e possono produrre poca buona politica.

  EMANUELE PRATAVIERA. Ringrazio il Ministro. Credo che la miglior semplificazione in questo Paese consista nell'iniziare ad ammettere che ci sono delle sacche di inefficienza e nel concentrare la propria azione su quegli enti locali che di fatto sono inefficienti, anziché continuare a prorogare come una flebo la loro azione, che continua a non produrre risultati concreti e tangibili da anni.
  Se si deve andare a colpire la classe politica piuttosto che la classe amministrativa che sta governando da anni in quei territori, lo si faccia, perché credo che in una condizione di crisi come quella attuale si debba rispondere anche con delle misure straordinarie, imposte dalla situazione emergenziale che stiamo vivendo.
  Per quanto riguarda il Titolo V della Costituzione, ritengo che sia condivisibile da parte di tutti coloro che hanno vissuto un'esperienza diretta in qualsiasi amministrazione pubblica a livello locale l'opinione secondo cui si è trattato di una riforma rimasta a metà. Sicuramente è stata approvata con un carattere di tempestività raro in questo Paese, però di fatto era una riforma che poteva essere condivisibile ma che poi è rimasta ferma. Si è data la possibilità di fare, senza però offrire tutti gli strumenti e le risorse per poter agire.
  Mi auguro che ciò non diventi un alibi e che la riforma del Titolo V, operata ormai più di dieci anni fa, non rimanga lettera morta, ma si vada avanti con la riforma del federalismo, che sembrava ben condivisa nella prima parte della scorsa legislatura e che poi è rimasta ferma. Si spera che adesso, anche con la ricostituzione della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale questa riforma riprenda.
  È lodevole l'iniziativa del suo Ministero di richiedere, agli enti locali e ai comuni in particolare, suggerimenti sulle azioni da intraprendere subito, in modo che vi sia una maggiore semplificazione nei loro atti amministrativi, nelle loro procedure, nelle prassi acquisite e nelle leggi statali che non funzionano. Queste leggi infatti, da una parte vincolano l'operatività degli enti locali, dei comuni, delle province e delle regioni, dall'altra quella delle aziende e dei cittadini, che dovrebbero costituire il primo motivo di preoccupazione dell'azione politica quotidiana.
  Sono molto d'accordo con questa iniziativa, anche perché, sinceramente, è in linea con quanto sostenevo nel corso di una delle prime sedute di questa Commissione, quando paragonavo la semplificazione a un oceano: finché non si capisce da quale coordinata iniziare a muoversi, continuiamo a ragionare su tante gocce, cioè concretamente su niente.
  Personalmente, per la mia esperienza amministrativa, tanto professionale quanto privata, ritengo che l'azione su cui dobbiamo concentrarci subito sia l’iter di autorizzazione per le pratiche edilizie. Le leggi ci sono già, sia per l'autocertificazione dei professionisti che per la DIA e qualsiasi altro aspetto collegato, ma di fatto non vengono mai applicate, per tanti motivi che in questa sede non intendo dilungarmi a ricordare.
  Questo è molto importante in un momento di crisi enorme in cui versa l'edilizia, che è sempre stata considerata uno degli asset più importanti del nostro territorio, sia in riferimento all'edilizia in senso stretto che a tutto l'indotto e alle sue possibilità di sviluppo. Noi siamo leader mondiali per i prodotti cementizi e correlati, pertanto credo che questo sia uno dei primi aspetti da cui muoversi. Questo Pag. 15è un suggerimento che do al Ministro e sicuramente i comuni indicheranno come prioritario questo obiettivo.
  Altre lungaggini burocratiche e adempimenti amministrativi da parte della pubblica amministrazione sono ben noti al Ministro, dato che ha fatto il sindaco. È vero: l'obbligo di continuare a redigere le liste per gli adempimenti della leva, quando di fatto non è più obbligatoria, è assurdo. Anch'io ogni tanto cito questo esempio emblematico.
  Sulla riforma delle province, non so se il Ministro ricorda che alla Camera, durante l'esame in Assemblea, sono stato molto critico. Sono reduce da pochi mesi da un'esperienza di assessorato alla viabilità in provincia di Venezia e devo dire che ho trovato assurdo quanto è stato deliberato, perché di fatto le province non vengono eliminate bensì trasformate. Le competenze restano, perché qualcuno dovrà pur gestire l'area vasta, e le risorse per gestirle dovranno esserci.
  Devo denunciare che, anche in questo caso, se non c’è stata una semplificazione negli ultimi anni è perché, di fatto, sono mancate le risorse e sono stati commessi molti errori da parte di più Governi. Io credo che risolvere la questione in questo modo non produrrà effetti positivi per la semplificazione, né nel breve né nel lungo periodo, soprattutto nei confronti dei cittadini. Detto questo, mi permetto di fare un'ultima considerazione sui costi per le informazioni. Personalmente, credo che lei abbia ragione. Mi stupisce questo risparmio di 4 miliardi di euro in Germania. Avevo sentito che si era intrapreso un percorso di ammodernamento dei percorsi di informazione, però, per esperienza diretta, le posso dire che a Monaco di Baviera se un cittadino scrive per richiedere qualsiasi cosa al comune, quest'ultimo dispone in circa 14-18 ore e dà al cittadino tutto ciò che richiede. Copiamo esattamente quello che loro hanno fatto, perché se hanno risparmiato 4 miliardi di euro per dare in 14-18 ore una risposta che noi ci sogniamo di fornire in 14-18 giorni, credo che qualcosa di positivo da copiare ci sia.
  Per il resto, stimolo il Ministro a proseguire, assieme al Presidente del Consiglio ed al Governo intero, sui costi standard. Richiamando la prima parte del mio intervento, credo che questa sia la medicina con cui far ripartire il sistema, proprio per eliminare quelle sacche d'inefficienza che, a cascata, producono problemi.
  Dalle mie parti si dice che un cane con troppi padroni alla fine muore di fame, proprio perché nessuno si prende cura di lui. Io credo che in molte parti d'Italia funzioni così, per un problema specifico del cittadino o della pubblica amministrazione.

  PRESIDENTE. Diamo ora la parola al Ministro Delrio. Gli argomenti sono tanti ed evidentemente in seguito ci sarà l'occasione di trarre delle conclusioni. Non c’è dubbio che il tema della riforma del Titolo V della Costituzione impone una riflessione di carattere generale sulla politica di questi decenni.
  Io dico sommessamente che la legislazione concorrente è il frutto dell'idea di un federalismo senza responsabilità: questo è un elemento difficilmente scalfibile. Confido che il ridisegno istituzionale di cui lei ci ha parlato possa fare dei passi in avanti nel corso dei prossimi mesi, perché non sarebbe ipotizzabile un ulteriore arresto.
  Il tema del Senato, delle province e del ridisegno delle regioni è all'interno di uno schema che può aiutare la semplificazione; non c’è dubbio che oggi la complicazione è anche costruita su un'intelaiatura istituzionale che la favorisce.
  La lezione del presidente Pajno di ieri è stata molto utile: in fondo la cultura del conflitto di interessi e di un lobbismo esasperato complica il processo legislativo, seminando mine lungo il percorso. Se si fa un'analisi attenta di come nascono le leggi, sulla base di una sovrapposizione tra il ruolo dello Stato e quello delle regioni, si capisce che ci sono tante cose che devono essere totalmente disboscate.
  Il tema, che è stato più volte segnalato, di una legislazione che non è autoapplicativa e che rinvia a provvedimenti successivi, Pag. 16perché non c’è un accordo neppure sulle cose da fare, è diventato la prassi costante degli ultimi anni. Questo è letteralmente scandaloso, perché noi in realtà comunichiamo alla gente di aver preso in esame o di aver deciso delle cose, ma questo in realtà non è vero. C’è un aspetto di comunicazione fraudolenta, che tende a fuorviare anche l'attenzione del cittadino, in quanto noi non abbiamo deciso queste cose, ma sono rinviate ad un concerto che non inizierà mai, perché i suonatori hanno idee diverse.
  Do quindi la parola al Ministro Delrio per la replica.

  GRAZIANO DELRIO, Ministro per gli affari regionali, le autonomie e lo sport. Grazie, presidente. Vi ringrazio degli interventi e delle sollecitazioni e condivido molto anche le sue ultime considerazioni.
  Cerco rapidamente di commentare, laddove mi è stato richiesto, gli interventi dei colleghi. Poiché sono un federalista convinto e non pentito e quindi non mi vergogno di dirlo, anche se non è più di moda, io credo che la riforma del Titolo V della Costituzione vada nell'ottica di quel sano federalismo in cui si sa chi fa che cosa e quindi chi risponde ai cittadini di quel compito preciso.
  Il tema del superamento della legislazione concorrente e la definizione di competenze più separate e più esclusive tra lo Stato e le regioni, a mio giudizio, va nell'ottica di un funzionamento serio, che andrebbe perseguito, peraltro, sempre in tema di semplificazione, anche in ambito fiscale.
  Noi abbiamo aliquote fiscali che sono sia statali che regionali o comunali. Credo che non ci vorrebbe moltissimo per ottenere gli stessi gettiti, separando ogni aliquota e facendo in modo che i cittadini sappiano bene a chi pagano le tasse e per cosa e non abbiano mescolanze varie.
  In questo momento noi abbiamo denunce, come quella della Coldiretti, che afferma che tra il momento in cui si produce il vino e il momento in cui lo si imbottiglia, in un settore strategico, ci sono oltre 70 adempimenti burocratici e venti organismi con cui occorre relazionarsi. Questo ovviamente è un elemento che produce una perdita di competitività, perché ci sono il ministero, la regione, la provincia, il comune, la ASL, l'agenzia tal dei tali.
  Volendo quantificare questa burocrazia, possiamo dire che si parla di circa 70 miliardi di costi. Questi iter burocratici, che il senatore Angioni e altri intervenuti dopo di lui hanno sottolineato, devono essere uno degli oggetti più rilevanti della nostra azione amministrativa.
  La riforma di questi percorsi, più che nuova legislazione, richiede piuttosto manutenzione, applicazione e riduzione costanti delle legislazioni che intervengono su questi processi. O si riesce a mettere al centro l'oggetto della nostra amministrazione, che è ovviamente costituito dai servizi al cittadino e alle imprese, oppure il cittadino e le imprese devono continuare a girare intorno alle pubbliche amministrazioni per poter coordinare la loro attività imprenditoriale, ma questo è impossibile. È come se noi chiedessimo a un paziente di organizzarsi l’iter di risoluzione della sua malattia: è impossibile per un malato organizzarsi gli appuntamenti con il radiologo o via dicendo.
  È davvero folle, però noi oggi siamo in questa condizione, per cui non mettiamo al centro tutti i dati in possesso della pubblica amministrazione, ponendoli a disposizione del cittadino. Io non mi riferivo agli obblighi informativi richiesti dal cittadino alla pubblica amministrazione, ma a quelli richiesti dalla pubblica amministrazione al cittadino. Il risparmio si ottiene se evitiamo di richiedere al cittadino informazioni di cui siamo già in possesso. Nel quadriennio in cui hanno applicato queste procedure, la Germania e l'Inghilterra hanno ottenuto risparmi notevolissimi per i cittadini e le imprese.
  Per esempio, il nostro permesso edilizio impiega 234 giorni in media mentre nel Regno Unito ne impiega 90, e non credo che ci sia più abuso edilizio che in Italia, semmai è vero il contrario. Questa è la cosa che più fa rabbia. Come ricordava giustamente la senatrice Di Pag. 17Giorgi, i controlli sono necessari ma è molto meglio concentrarci sulla valutazione, il controllo e l'esito e stabilire un rapporto di fiducia, anziché fare una serie di leggi preventive che richiedono adempimenti che poi nessuno va mai a controllare. Questo è il punto.
  Io sono molto liberale da questo punto di vista: ha ragione Einaudi quando dice che abbiamo costruito un sistema in cui i cittadini vengono trattati come sudditi e non invece come cittadini partecipi dei processi di crescita della Repubblica. L'atteggiamento, dunque, deve cambiare completamente.
  Non voglio fare della filosofia ma credo che il tema degli iter burocratici, che molti di voi hanno messo in evidenza, e l'esigenza di incidere sul disegno complessivo e di mettere in campo una certa unitarietà dei percorsi costituiscano davvero la questione più rilevante da un punto di vista generale.
  Come è stato sottolineato, il tema delle banche dati è estremamente rilevante. Purtroppo l'Anagrafe unica della popolazione residente è stata istituita nel 2005, ma solo l'anno scorso, quando ero presidente dell'ANCI, siamo riusciti a siglare un accordo con il Ministro Profumo per farla decollare effettivamente.
  Vi garantisco che il problema era che lo Stato pretendeva che i comuni non avessero accesso alla banca dati dell'Anagrafe unica della popolazione residente. Il Ministero dell'interno pensava che questa possibilità costituisse una perdita di sovranità: ma cosa potrà rubare il comune ? Il comune accede semplicemente ai dati relativi ai suoi cittadini, quindi se si chiede al comune di mettere in condivisione la sua banca dati è perché abbiamo un obiettivo comune.
  Infine, riguardo alle inefficienze, è evidente che queste sono dovute anche al problema che si è portato dietro il Titolo V della Costituzione, con le varie competenze. Noi abbiamo applicato per la prima volta quest'anno i costi standard in sanità e per la prima volta, attraverso accordi proprio in sede di Conferenza unificata, li applicheremo anche al settore del trasporto pubblico locale; tra poche settimane, inoltre, avremo per la prima volta a disposizione i fabbisogni standard completi di province e comuni.
  Esiste quindi una banca dati notevole di controllo delle inefficienze e di possibilità di intervenire sulle inefficienze stesse, che credo mostri che il federalismo, se applicato correttamente, può portare a risparmi di spesa molto rilevanti, come dimostrano le esperienze di altri Paesi.
  Noi stiamo proseguendo in questa applicazione. Per esempio, il federalismo demaniale non era mai decollato, anche per le procedure molto farraginose che lo Stato aveva messo in piedi e per la non trasparenza dei dati sugli immobili realmente a disposizione.
  Abbiamo individuato una procedura molto semplificata con il Ministero dell'economia e delle finanze, l'abbiamo applicata e in quattro mesi abbiamo avuto 10 mila richieste dai comuni su 15 mila immobili: ossia, i tre quarti degli immobili che erano lì da 10-15 anni sono stati già richiesti, con sopralluoghi.
  Sono molto fiducioso che se si trovano procedure di relazione semplificata tra i vari livelli amministrativi si possa davvero mandare avanti un disegno di efficienza dello Stato.
  Rimango altresì convinto che gli enti di area vasta, se posti al servizio di regioni e di comuni, svolgono meglio la loro funzione e sono più al servizio dei cittadini e delle imprese; su questo ovviamente ognuno di noi ha le sue opinioni, ma ciò fa parte del dibattito politico.
  Credo che la semplificazione di cui voi vi occupate abbia una rilevanza davvero importantissima, anche per tutti noi e per il lavoro del Governo, e che le conclusioni cui voi giungerete saranno molto utili a tutti noi. Come dicevo, la vera spending review la si fa con questo processo, perché il taglio dei costi ha ormai raggiunto il suo limite. Almeno, la mia opinione è che la spesa pubblica italiana possa essere resa più efficiente e non vada necessariamente ridotta. Questa è la vera sfida che abbiamo davanti.

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  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Delrio e i colleghi. Ricordo che lunedì prossimo, a partire dalle ore 16,30, si svolgeranno le audizioni di rappresentanti delle giunte e delle assemblee regionali, dell'ANCI, dell'UPI e del tavolo istituzionale per la semplificazione.
  Noi dobbiamo concludere l'indagine conoscitiva entro il 31 di marzo; ciò vuol dire che dobbiamo svolgere tutte le audizioni in tempi molto rapidi, dopodiché dovremo chiuderci in camera di consiglio per elaborare il documento.
  Io penso una cosa molto semplice: le indagini conoscitive che non si concludono rappresentano un fatto negativo per le istituzioni. Siccome ne ho condotte diverse negli anni passati, la mia idea è di concluderle. Una volta concluse, ognuno farà le sue valutazioni e consegneremo al Parlamento e al Governo le ragioni delle nostre conclusioni.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.