Sulla pubblicità dei lavori:
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEL DECRETO-LEGGE N.35 DEL 2013 RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER IL PAGAMENTO DEI DEBITI SCADUTI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, PER IL RIEQUILIBRIO FINANZIARIO DEGLI ENTI TERRITORIALI, NONCHÉ IN MATERIA DI VERSAMENTO DI TRIBUTI DEGLI ENTI LOCALI:
Audizione di rappresentanti di Alleanza delle cooperative italiane.
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 3
Poletti Giuliano , Presidente di Alleanza delle cooperative italiane ... 3
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 6
Sorial Girgis Giorgio (M5S) ... 6
Marchi Maino (PD) ... 7
Taranto Luigi (PD) ... 7
Bobba Luigi (PD) ... 7
Zanetti Enrico (SCPI) ... 8
Vignali Raffaello (PdL) ... 8
Marcon Giulio (SEL) ... 9
Legnini Giovanni (PD) ... 9
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 10
Mannino Vincenzo , Segretario generale di Confcooperative ... 10
Poletti Giuliano , Presidente di Alleanza delle cooperative italiane ... 10
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 12
Audizione di rappresentanti di Federambiente:
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 13
Fortini Daniele , Presidente di Federambiente ... 13
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 16
Sorial Girgis Giorgio (M5S) ... 16
Molinari Francesco ... 16
Mariani Raffaella (PD) ... 16
Rughetti Angelo (PD) ... 17
Causi Marco (PD) ... 17
Lanzillotta Linda ... 18
Zanetti Enrico (SCPI) ... 18
Polverini Renata (PdL) ... 19
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 19
Fortini Daniele , Presidente di Federambiente ... 19
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 21
Audizione di rappresentanti dell'ANCE:
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 22
Buzzetti Paolo , Presidente dell'ANCE ... 22
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 23
Galli Giampaolo (PD) ... 23
Sorial Girgis Giorgio (M5S) ... 24
Lanzillotta Linda ... 24
Polverini Renata (PdL) ... 24
Legnini Giovanni (PD) ... 25
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 26
Buzzetti Paolo , Presidente dell'ANCE ... 26
Gennari Antonio , Vice direttore generale dell'ANCE ... 28
Buzzetti Paolo , Presidente dell'ANCE ... 29
Baretta Pier Paolo , Presidente ... 30
Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA COMMISSIONE SPECIALE PER L'ESAME DI ATTI DEL GOVERNO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI PIER PAOLO BARETTA
La seduta comincia alle 16,10.
(Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione di rappresentanti di Alleanza delle cooperative italiane.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva relativa all'esame del decreto-legge n. 35 del 2013 recante disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della Pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali, l'audizione di rappresentanti di Alleanza delle cooperative italiane.
Sono presenti Giuliano Poletti, presidente di Alleanza delle cooperative italiane; Vincenzo Mannino, segretario generale di Confcooperative; Filippo Turi, direttore di AGCI -Associazione generale delle cooperative italiane –; Ermanno Belli, capo servizio legislativo e legale di Confcooperative, e Bruno Busacca, responsabile delle relazioni istituzionali della Legacoop.
Do, quindi, la parola a Giuliano Poletti.
GIULIANO POLETTI, Presidente di Alleanza delle cooperative italiane. Ringrazio il presidente e voi tutti dell'invito e dell'opportunità di intervenire su quello che possiamo definire come un «mitico» provvedimento, a proposito del quale pensiamo che sia opportuno procedere a tutti i miglioramenti che si reputeranno necessari e utili. Contemporaneamente, però, teniamo a sottolineare l'urgenza dell'approvazione dello stesso. Quindi, da una parte, vogliamo lavorare al meglio con voi per produrre un buon testo e, dall'altra, vi chiediamo di utilizzare al meglio i tempi per avere un risultato per quanto possibile immediato.
Spendo qualche minuto per presentarvi l'Alleanza delle cooperative italiane, che costituisce il coordinamento stabile tra le centrali cooperative Legacoop, Confcooperative e AGCI. È, dunque, la manifestazione di un tentativo in corso di semplificazione della rappresentanza, che ci auguriamo di portare oltre il risultato attuale, che è, appunto, quello di un coordinamento stabile tra le tre centrali cooperative che rappresentano il 90 per cento dalla cooperazione italiana. Speriamo di essere sufficientemente bravi in modo da arrivare a costituire un'unica organizzazione di rappresentanza che aggreghi questo grande mondo dell'economia e della società. Peraltro, le nostre organizzazioni rappresentano 1,3 milioni di occupati, ovvero una parte non banale dell'economia italiana.
Detto questo, non è necessario sottolineare l'importanza e la problematicità del Pag. 4tema che abbiamo di fronte. Partendo da una considerazione preliminare, sarebbe servito e servirebbe un atto il più forte possibile per immettere finanza, ma anche per promuovere fiducia, con un segnale forte di cambiamento che dica agli imprenditori e ai cittadini italiani che si sta cambiando direzione.
Facciamo questa affermazione, ben sapendo che ogni provvedimento ha un suo contenuto materiale e sostanziale. Nel caso specifico, si parla di 40 miliardi di liquidità che entrano nel sistema economico italiano. Tuttavia, dall'altro lato, per ogni provvedimento c’è anche un effetto per così dire «psicologico» di aspettative di risposta. Ecco, vorremmo che questo provvedimento rappresentasse un segnale per la società italiana, quindi per gli imprenditori e per i cittadini, che è possibile imboccare una strada che superi la fase pesantissima che abbiamo alle spalle e che abbiamo ancora di fronte. Insomma, immaginiamo che ci sia una strada per allentare questa situazione e risolvere questi problemi.
Pertanto, la nostra richiesta di un atto migliorato ma rapido ha anche questo significato. Abbiamo la piena consapevolezza che, insieme al valore materiale, c’è anche un valore emblematico dell'atto. Il modo in cui gli atti si fanno ha un significato che è affiancato alla sostanza materiale dell'atto stesso. Vi invitiamo, quindi, per quanto possibile, a tenere conto di questo dato. In sintesi, la nostra posizione è per un miglioramento del decreto-legge, ma anche per una sua rapida approvazione.
Per quello che riguarda gli elementi di problematicità e le richieste che vorremmo rappresentare, un punto abbastanza evidente riguarda l'esigenza di semplificare al massimo le procedure, rendendole certe e obbligatorie. Da questo punto di vista, abbiamo una platea di soggetti interessati, cioè le pubbliche amministrazioni, che sono molto diversi tra di loro, con condizioni finanziarie, di bilancio e di relazione con il loro Stato significativamente differenti. Per questa ragione, non diamo per scontato che tutte le amministrazioni si approccino a questa situazione con la stessa logica, cioè quella di partecipare attivamente, utilizzando l'opportunità per sviluppare questa azione.
È chiaro che, noi che rappresentiamo delle imprese creditrici, non potremmo accettare di immaginare che ci sia una diversità di comportamento tra coloro i quali hanno i debiti, quindi debbono pagare. La prima cosa che vi chiediamo è, dunque, attenzione sia alla semplificazione, sia a rendere, per quanto possibile, vincolante e obbligatoria una risposta a questa sollecitazione. Diversamente, rischieremmo di produrre una sorta di dualismo o pluralità di posizioni che diventerebbe difficilmente accettabile per chi, giuridicamente, ha il diritto a essere pagato per quanto ha prodotto.
Devo aggiungere che, purtroppo, abbiamo davanti agli occhi alcuni atteggiamenti sleali delle amministrazioni pubbliche. Per esempio, non raramente ci capita di trovare amministrazioni che contestano la fornitura, in maniera piuttosto avventurosa; il che naturalmente corrisponde all'esigenza di quell'amministrazione di non inserirci lungo una procedura di pagamento o di pagamento di interessi sul debito dovuto. Denunciamo questi comportamenti in questi termini perché capiamo il contesto di difficoltà; tuttavia, noi che stiamo dall'altra parte ci sentiamo vittime di comportamenti che non sono quelli di una leale relazione tra un fornitore e un cliente, specialmente quando questo è una Pubblica amministrazione. Pensiamo, quindi, che il tema dell'obbligatorietà della risposta venga incontro anche a questa esigenza.
La seconda questione riguarda la velocizzazione dell'erogazione per le quantità massime consentite. Abbiamo visto il decreto-legge e le posizioni espresse. Banalmente, avere l'erogazione di quanto previsto per il 2014 il 2 gennaio o il 28 dicembre non è esattamente la stessa cosa per le imprese che sono esposte con il sistema finanziario, bancario o con i propri relativi creditori. Sotto questo aspetto, abbiamo un problema che non si riesce a vedere in tutta la sua complessità.Pag. 5
Molto spesso, per esempio, si apre una discussione tra il pagare le grandi o le piccole imprese, senza considerare che molte grandi imprese sono la centrale di riferimento di una fornitura realizzata da centinaia di piccole imprese, per cui bloccare il primo significa bloccare tutti quelli che stanno a valle di quella filiera. Pensiamo, pertanto, che una dinamica coerente debba tenere conto di questa logica, consentendo, per quanto possibile, tutti gli elementi di anticipazione immaginabili nella capacità di erogazione.
In terzo luogo, occorre ridurre al minimo lo stock dei debiti passati, ma anche evitare che si ricrei un altro stock. Da questo punto di vista, siamo di fronte a un problema che credo sia noto, ma che ribadiamo. Da un parte, la normativa conseguente alla direttiva comunitaria sui pagamenti e, dall'altra, il Patto di stabilità producono spesso dei problemi irrisolvibili perché una norma impone di pagare entro 60 giorni e un'altra vieta di pagare oltre una certa somma. Allora, che cosa si fa ?
Da creditore, avrei interesse a capire se in questo caso la norma prevalente sia l'una o l'altra, anche perché, altrimenti, si produce l'effetto di cui dicevo: lavoriamo sullo stock preesistente, rischiando di costruire un altro stock se la dinamica ordinaria dei pagamenti non tiene il passo con le spese di investimenti che le pubbliche amministrazioni possono fare. Credo, quindi, che questo sia un tema da tenere nella debita considerazione, altrimenti rischiamo di affrontare un problema, lasciandone un altro irrisolto.
Un'ulteriore questione riguarda la necessità di evitare che delle norme in essere blocchino le erogazioni. Vi rappresento solo un punto per così dire kafkiano. Il documento unico di regolarità contributiva – DURC – è indispensabile. Abbiamo aziende che non pagano da tempo gli stipendi, ma pagano i contributi previdenziali e sociali per avere il requisito necessario per poter continuare a partecipare alle gare.
Alcune non hanno potuto più farlo perché non sono state pagate. A questo punto, potrebbe prodursi la condizione che l'ente debitore sia messo nelle condizioni, con la nuova norma, di poter pagare. A quel punto, chiama l'impresa per pagarla e chiede la presentazione del DURC. L'impresa, però, non ha il DURC proprio perché non è stata pagata. Come risolvere questo problema ? A questo punto, rischiamo di produrre il paradosso, di fronte a qualcuno che non ha rispettato una norma non per scelta o cattiva volontà, ma perché si è trovato nell'impossibilità.
Credo che questo tema vada valutato. Siamo d'accordo che bisogna fare in modo che le imprese paghino i contributi e siano in regola su questo; siamo molto interessati che ci sia, in maniera inequivocabile, una piena, lineare e trasparente corrispondenza agli obblighi da parte delle imprese. Tuttavia, è problematico immaginare che quel doveroso obbligo, alla fine di un cortocircuito, produca l'esito che il titolare di un credito non possa essere pagato perché, proprio a causa del mancato pagamento, non ha ottemperato a norme previgenti che dovevano essere rispettate. Sottolineiamo questo tema, ma pensiamo che questo non sia l'unico elemento a produrre l’«effetto collaterale» del blocco del pagamento, a fronte dell'inosservanza di una norma a causa del mancato pagamento della Pubblica amministrazione. Pensiamo, dunque, che questo debba essere un tema da tenere nella debita considerazione.
Vengo ora a un'altra questione che abbiamo sentito sistematicamente ripetere e sulla quale conveniamo. Mi riferisco al tema delle compensazioni. Si tratta, in particolare, dei tempi e delle quantità delle compensazioni. La nostra propensione è verso l'ampliamento massimo dei tempi e delle quantità, ma sappiamo che questo aspetto ha una sua problematica di definizione rispetto agli impatti sulla finanza pubblica e così via. Ci associamo, tuttavia, a quei soggetti che hanno sollevato finora questo tipo di esigenza, sottolineandola come una delle necessità che abbiamo di fronte.
Non avrei ulteriori elementi da rappresentarvi, nello spirito che ho cercato di Pag. 6chiarire in apertura dei lavori. Pensiamo – ripeto – che sia importante uno sforzo di miglioramento, ma sia altrettanto importante trovare una soluzione che aiuti questo provvedimento a diventare legge il più rapidamente ed efficacemente possibile.
Termino con una chiosa su un tema che potrebbe non sembrare parte di questo ragionamento. Ci sono grandi imprese di cui lo Stato è azionista – quali ANAS, Ferrovie dello Stato ed altre – che sono coinvolte in problematiche di questo tipo, anche se non tutte nella stessa maniera o nella stessa logica. Esiste, però, un problema di tempi di pagamento di questi soggetti perché vale quanto dicevo prima: probabilmente queste aziende hanno una relazione con una rete di imprese e con delle filiere, come quella dell'edilizia e delle costruzioni, che sono sostanzialmente «morte». Su questo versante, occorre trovare il modo per riattivare una dinamica positiva. Infatti, nel caso contrario, il rischio è che questa parte del sistema imprenditoriale crolli.
Per quello che riguarda il mondo cooperativo, mi sentirei di sottolineare uno specifico punto. Come cooperative, siamo presenti in tutte le parti del sistema economico e imprenditoriale di questo Paese, ma abbiamo una specifica presenza nell'area dei servizi e della cooperazione sociale. Stiamo parlando di imprese ad alta densità di lavoro. Sotto questo aspetto, si presenta un problema di ordine generale, che riguarda l'Unione europea, oltre che il nostro Paese, ovvero la definizione di piccola e media impresa. Abbiamo, infatti, imprese che hanno 200, 300, 400 lavoratori, con volumi di attività assai più basse rispetto all'industria manifatturiera.
Alla fine, ci troviamo nella paradossale condizione per cui essere imprese che occupano direttamente grandi quantità di personale, garantendo a queste persone tutte le condizioni corrette di lavoro, finisce per diventare un elemento di negatività perché porta queste imprese fuori dai parametri delle piccole e medie imprese. Sosteniamo, quindi, da tempo che bisogna tornare su questo elemento. Non possiamo trattare alla stessa maniera un'impresa di servizi, nella quale le persone lavorano manualmente per pulire i pavimenti, e un'impresa in cui l'investimento in capitale, in tecnologie e in macchine produce una dimensione di volume di produzione per addetto che è cento volte quella di una persona. Tenere la stessa regola per chi occupa mille persone e per chi ne occupa meno, ma ha grandi immobilizzazioni di capitale sulle macchine e sulle attrezzature, finisce per essere penalizzante per questi soggetti.
Inoltre, teniamo conto che non raramente le pubbliche amministrazioni esternalizzano queste funzioni, per cui ci si trova di fronte al paradosso di lavoratori pubblici che legittimamente vengono pagati puntualmente tutti i mesi e lavoratori di aziende a cui è stato decentrata una parte dell'attività che, invece, soffrono i ritardi dei pagamenti. Si tratta, peraltro, di un contesto particolarmente rilevante perché interviene sul tema dei servizi alla persona, dei servizi sociali, come l'assistenza domiciliare e all'infanzia. In sostanza, il problema ha due facce: si colpiscono e soffrono i lavoratori di quelle aziende, ma a valle soffrono i cittadini, ovvero gli utenti di quei servizi.
Ecco, noi consideriamo che questo sia un elemento che ha bisogno di una particolare cura e attenzione perché produce, appunto, due danni: non solo quello sull'impresa e sul lavoratore in quanto tale, ma anche sul cittadino-utente, che si trova senza un servizio oppure con un servizio meno efficace ed efficiente.
Grazie della vostra attenzione.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
GIRGIS GIORGIO SORIAL. Ringrazio il presidente Poletti della relazione e del supporto ai lavori. Innanzitutto, vorrei sottolineare che per l'ennesima volta oggi, durante le audizioni, ci viene richiesto di trovare una strada per la semplificazione, sia nei tempi sia nei metodi, dello strumento operativo previsto nel decreto-legge. Pag. 7Altro elemento fondamentale che è stato sottolineato anche oggi è una certa incoerenza tra la normativa europea e il Patto di stabilità che provoca situazioni paradossali con riferimento al pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni.
Vorrei chiedere direttamente all'Alleanza delle cooperative italiane se non ritiene che debba essere prevista una certa tutela dei subfornitori proprio in merito a un ciclo di pagamento dei debiti e come, eventualmente, inserire questa forma di tutela all'interno del decreto-legge, in modo da garantire che, soprattutto le aziende più grandi, possano ripagare forniture e quant'altro con i fondi erogati. Mi riferisco, quindi, ad una specifica integrazione delle disposizioni al fine di garantire questa tutela.
MAINO MARCHI. Ringrazio il presidente Poletti e condivido l'approccio complessivo al provvedimento su cui si è soffermato all'inizio del suo intervento. Avrei, però, una questione. Lei ha richiamato il rischio del crollo del settore delle costruzioni, che spesso opera con interventi che vengono classificati nella spesa in conto capitale. Non è l'unico, ma certamente è un settore nel quale rientra una bella fetta di questa tipologia di spesa, che è quella più problematica perché va a incidere anche sull'indebitamento e quindi va monitorata in modo particolare per non rischiare di sforare il rapporto del 3 per cento rispetto al PIL.
La domanda che vorrei porle è in che misura – al di fuori del settore degli enti locali, quindi negli altri ambiti quali lo Stato centrale e le regioni – dai dati che avete, incide la parte di spesa in conto capitale rispetto ai debiti accumulati. Sotto questo aspetto, avete un'idea ? Questo punto può essere, infatti, importante rispetto al controllo complessivo, anche per velocizzare i pagamenti in relazione al conto capitale.
LUIGI TARANTO. Ringrazio il presidente Poletti del suo intervento, del quale mi pare particolarmente importante l'esordio, ove si ricorda che l'obiettivo di questa operazione dovrebbe essere non soltanto l'azione concretissima di fornire liquidità al sistema delle imprese, ma anche il contributo più generale alla ricostruzione di un clima di fiducia e la testimonianza del fatto che la ricostruzione di questo clima di fiducia passi da risposte che colgano le esigenze dell'economia reale. Ora, mi pare di poter dire che l'uno e l'altro obiettivo sono tenuti insieme da una richiesta di semplificazione dell'architettura messa in opera attraverso lo strumento del decreto. Da qui, la prima domanda. Al di là dei primi cenni, vedete aspetti su cui dovrebbe concentrarsi l'operazione di semplificazione ?
Il presidente Poletti ha fatto cenno alla questione della valorizzazione del principio delle compensazioni. Sostanzialmente, mi pare che oggi ci sia una tesi che punta a una valorizzazione di questo principio, magari ampliando la platea degli istituti deflattivi del contenzioso che sono a oggi ricompresi, e una tesi che fa appello a una posizione più universale di valorizzazione del principio e della pratica. A questo riguardo, mi interesserebbe conoscere le prime riflessioni del sistema della cooperazione.
La terza questione è anch'essa di natura informativa, come quella posta dal collega Marchi. Siccome ci stiamo muovendo per stime, c’è una valutazione da parte del sistema della cooperazione del proprio montante complessivo dei crediti vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni ? Grazie.
LUIGI BOBBA. Vorrei soffermarmi, presidente Poletti, unicamente sulla questione che ha sollevato rispetto al DURC. Evidentemente, la riflessione che lei ha posto è tutt'altro che peregrina poiché attiene a una questione realissima, che riguarda, in particolare, anche il mondo delle cooperative che operano nel campo socio-sanitario, dove si verificano i ritardi più prolungati e in alcuni casi quasi infiniti. Siccome si tratta di un terreno delicato, le chiedo, allora, come possiamo Pag. 8evitare che sulla giusta rilevanza che lei ha dato alla questione si inneschino dei comportamenti di tipo opportunistico.
Per esempio, il testo del decreto-legge potrebbe prevedere che, se nel momento in cui è stata acquisita la fornitura l'impresa aveva un DURC e una situazione completamente regolare, nulla osti al pagamento, ovvero una formula molto stringente che eviti, da un lato, di addebitare all'impresa un problema che è stato originato dalla Pubblica amministrazione e, dall'altro, che dall'apertura di questo pertugio si inseriscano i soliti furbetti. Grazie.
ENRICO ZANETTI. Ho molto apprezzato le impostazioni iniziali dell'intervento, che ci riportano da dove eravamo partiti e da dove, forse, in parte, ci siamo persi per strada. Vorrei ricordare che i miglioramenti che possono essere fatti a questo decreto-legge sono sicuramente importanti, ma sarebbe tremendo finire in una palude volta alla ricerca di un'ottimizzazione che, però, allunghi i tempi più del necessario. Questo è un apporto importante che, peraltro, spero venga in modo più marcato anche da altre associazioni imprenditoriali. Infatti, credo che sia un messaggio importante anche per il lavoro che vogliamo svolgere.
In particolare, vorrei sottolineare l'importanza del ragionamento fatto sul superamento dei limiti imposti dal DURC. Avevamo già parlato dell'argomento in questa Commissione. C'erano opinioni diverse. Tuttavia, sono convinto che in questo piano di pagamenti il DURC debba essere messo da parte. A questo proposito, vorrei avanzare una proposta intermedia, quale quella che ho appena sentito, cioè ragionare quantomeno in termini di piena possibilità di essere pagate per quelle imprese che magari oggi non hanno più il DURC in una situazione di regolarità, ma lo avevano nell'istante in cui erano scaduti i termini per un pagamento che oggi arriva in ritardo. Quindi, mi associo sicuramente a questo tipo di proposta che credo debba essere tenuta in considerazione.
RAFFAELLO VIGNALI. Vorrei tornare sul DURC, anche perché altre domande che avrei voluto fare sono già state fatte, quindi non le ripeto. Vorrei far notare che stiamo parlando di imprese che lavorano con la Pubblica amministrazione. Ora, non c’è nessuna impresa che lavori con la Pubblica amministrazione che non abbia interesse ad avere il DURC in regola, semplicemente perché non avere il DURC in regola significa non poter più partecipare a nessuna gara. Come diceva giustamente il presidente Poletti, che ringrazio per essere intervenuto, quando non sono a posto è per un'impossibilità.
Da questo punto di vista, farei, dunque, una proposta di altro tipo. Come ho detto nel corso dell'audizione del Ministro Grilli quando lavoravamo sulla relazione al Parlamento 2013, credo che questo e altri obblighi vadano sospesi per queste imprese, dopodiché abbiamo due strade. Da una parte, se si allargasse il discorso della compensazione anche ai crediti commerciali, non solo a quelli fiscali, significherebbe andare a sanare in automatico anche le altre partite; dall'altra, in alternativa, si potrebbe porre l'obbligo di sanare quelle situazioni in un dato tempo – per esempio, 30 giorni – dall'avvenuto pagamento dell'amministrazione, pena la restituzione delle somme e la comminazione di specifiche sanzioni.
Non stiamo, infatti, parlando di imprese che non vogliono essere in regola con il DURC. Chiunque lavori con la Pubblica amministrazione è tenuto a esserlo, altrimenti sarebbe autolesionista. Come giustamente diceva il presidente Poletti, alcune imprese non riescono a pagare gli stipendi o a versare l'IVA, ma pagano i contributi proprio perché il DURC non si presenta soltanto quando si deve essere pagati, ma anche quando si fanno le gare, una volta vinta una gara, quando si firmano i contratti e a ogni tranche di pagamento. Credo, dunque, che vi debba essere una particolare attenzione su questo.
Peraltro, voglio ricordare che iniziano, per fortuna, anche a esserci sentenze che hanno annullato cartelle di Equitalia o altre sanzioni per imprese che avevano dei crediti nei confronti dello Stato, riconoscendo Pag. 9il fatto che l'impresa è creditore dello Stato per un certo importo e ha un debito molto minore. Non stiamo parlando – ripeto – di imprese che non vogliono pagare i contributi perché, anche se non volessero, sarebbe loro assoluto interesse farlo.
GIULIO MARCON. Anch'io ringrazio il presidente Poletti per la sua comunicazione. Vorrei porre alla vostra attenzione tre punti.
Il primo riguarda un'informazione relativamente al settore delle cooperative sociali. Premesso che, come ricordava anche il collega Bobba, le cooperative sociali intervengono nella gestione ed erogazione di servizi nel campo socio-sanitario, vorrei chiedere al presidente Poletti se c’è una differenziazione nel pagamento, nell'erogazione e quindi nel ritardo dei pagamenti rispetto ad altri settori nei quali siete coinvolti, da quello delle costruzioni ad altri ancora. Chiedo, dunque, se avete notato una differenza negli altri settori economici e produttivi rispetto al rapporto con la Pubblica amministrazione, cioè se per quei soggetti che fanno attività di welfare vi siano un trattamento e tempi diversi in confronto agli altri.
Come seconda questione, vorrei chiedere al presidente Poletti un impegno o una rassicurazione riguardo alle imprese che beneficeranno del pagamento dei crediti dovuti di ottemperare – come credo sia ovvio – al pagamento degli emolumenti, come gli stipendi arretrati, a cui molti lavoratori hanno diritto, rispetto a una situazione di sofferenza e di difficoltà che le imprese hanno attraversato a causa dei ritardi dei pagamenti della Pubblica amministrazione. Sarebbe importante una sua parola di rassicurazione rispetto alle tante persone che soffrono indirettamente le conseguenze di questa condizione che si è creata nel corso del tempo.
Il terzo punto riguarda il DURC. Capisco la segnalazione e la sollecitazione che il presidente Poletti ci ha rivolto. Credo sia una questione molto delicata perché il DURC richiama l'adempimento di obblighi che hanno natura di legge, la cui violazione presuppone un reato penale, dal momento che non pagare i contributi ai lavoratori non è un'infrazione amministrativa. È – ripeto – una questione molto delicata che va trattata con attenzione, eventualmente attraverso il canale della compensazione tra crediti e debiti. Ritengo, inoltre, che essa riguardi anche la corretta concorrenza tra le imprese perché se solo ad alcune si concede un allentamento o un trattamento di favore rispetto alla necessità di pagare il DURC, questo introduce un meccanismo di differenziazione di trattamento che non può essere sicuramente accettato. Resta il fatto che, quando non si paga un onere contributivo, si tratta di un reato penale.
Insomma, credo che questa materia vada trattata con molta attenzione, sapendo anche che abbiamo dei limiti rispetto alle indicazioni che possiamo dare in questa Commissione. Grazie.
GIOVANNI LEGNINI. Le audizioni servono per chiarirci le idee e per approfondire i temi. Sulla questione del DURC, l'intervento che ho ascoltato e quello che ha detto all'inizio il presidente Poletti – che ringrazio – mi sollecitano una domanda di ulteriore approfondimento. La tesi è di intervenire sulla presentazione del DURC per quelle imprese che, per effetto del mancato pagamento del credito vantato nei confronti della Pubblica amministrazione, sono diventate morose e che, quindi, erano in regola quando il credito è sorto, ma non lo sono più oggi. Ecco, questa mi sembra la tesi di fondo, che è di assoluto buonsenso.
Tuttavia, questa situazione di fatto, cioè quella di un'impresa che non riscuote sia perché la Pubblica amministrazione non paga sia perché non è in regola, potrebbe far generare la possibilità, l'opportunità, la convenienza reciproca per il pubblico e per l'impresa di fare una compensazione specifica su queste fattispecie.
Personalmente, piuttosto che fare una deroga al DURC, che in questo momento storico rischia di aprire voragini – sappiamo a che cosa serve il DURC –, oppure prevedere compensazioni ad ampio raggio, Pag. 10che sarebbero ostacolate da chi deve autorizzare questa operazione – sto facendo una riflessione ad alta voce che poi sarà oggetto di confronto nella Commissione – penserei a una compensazione mirata a estinguere la situazione debitoria nei confronti dell'erario o degli istituti previdenziali, originata dal mancato pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni. Offro questo spunto al fine di chiedere la vostra opinione.
In secondo luogo, mi sembra altresì interessante la sua proposizione iniziale sulla certificazione. Anche in merito a questo aspetto, è comune la richiesta di eliminare tutti questi orpelli burocratici, rendere più spedita la procedura e provvedere ai pagamenti. Sappiamo che il rischio, che è stato più volte evidenziato già in questo inizio di discussione, è, in tal caso, la maxisanatoria di pagamento di ogni credito, suppongo anche con qualche abuso in giro per l'Italia. Lei diceva – opportunamente – di fare in modo che l'obbligo di certificazione sia in qualche modo sanzionato e affidato a una tempistica e a una modalità certa. Ora, fermo rimanendo che rendere perentorio qualcosa per la Pubblica amministrazione è una delle cose più complicate che io conosca, avete, tuttavia, qualche idea da offrirci in merito ?
PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.
VINCENZO MANNINO, Segretario generale di Confcooperative. Vi ringrazio, oltre che dell'invito, dell'attenzione e della qualità sostanziale di questi interventi. Noi non torneremo in audizione, ma ci faremo vivi – dirò quando nei prossimi giorni – non solo attraverso degli elementi propositivi, ma anche, in parte, rispondendo ad alcune domande che meritano un approfondimento. Confessiamo, però, la difficoltà di predisporre una mappatura veramente analitica poiché, in un mondo articolato come il nostro, se si va troppo nel dettaglio si rischia di seguire elementi troppo «micro» nella grande intersettorialità della cooperazione.
Il presidente Poletti ha espresso la nostra posizione di base in un modo che non richiede ulteriori integrazioni. L'economia italiana non può perdere questi 40 miliardi di euro. Bisogna, quindi, che siano certi, rapidi ed entrino nel sistema circolatorio dell'economia reale il prima possibile. Ci sono tanti problemi specifici. Sappiamo che non possiamo inseguire la «sartorializzazione» del provvedimento perché non accadrebbe niente di buono. Consapevolmente, non siamo, quindi, per inseguire la «sartorializzazione» del provvedimento figura giuridica per figura giuridica, dimensione per dimensione, comparto per comparto, a costo di rimetterci qualcosa per le imprese che rappresentiamo. Viceversa, faremo un tentativo perché ci sia una qualche volontà di convergenza nelle proposte che debbono emergere da parte dei differenti mondi delle imprese.
Sappiamo che ci sono diverse audizioni delle associazioni imprenditoriali il prossimo martedì, per cui consideriamo questo come un momento di scadenza anche per le nostre, assumendo che vi siano delle ore, da qui ad allora, anche per la maturazione di nostri suggerimenti per la predisposizione delle proposte emendative. In questo lasso di tempo, ci cimenteremo anche su alcuni spunti che emergono da voi e che erano in parte già contenuti nelle proposte del presidente Poletti, come il declinare questo sforzo sulle materia delle compensazioni. Peraltro, anche il tema del DURC richiede di riflettere sul limite delle frontiere della compensazione.
GIULIANO POLETTI, Presidente di Alleanza delle cooperative italiane. Faccio un rapidissimo tentativo di risposta alle sollecitazioni. Esiste un problema di tutela dei subfornitori. L'onorevole Sorial ci proponeva questo problema, che è reale e va gestito. Poi, sappiamo che dentro le filiere si costruiscono dei sistemi relazionali per cui tra le diverse imprese si produce una sostanziale esigenza comune. Infatti, se si salta un pezzo, l'altro segue. Pertanto, c’è una sorta di naturalità nelle dinamiche. Comunque, credo che sia saggio avere Pag. 11l'attenzione di fare in modo che quando si interviene non ci sia qualcuno che si «accaparri» il vantaggio e qualcun altro che non è tutelato. Credo, quindi, che sia un elemento di equilibrio e di equità che va tenuto congruamente in considerazione.
Sull'altro versante, una questione che ci veniva sollevata, e alla quale credo sia abbastanza semplice rispondere, riguarda la garanzia rispetto ai lavoratori che vantano dei crediti nei confronti delle imprese per mancati pagamenti di stipendi e altro. Da cooperatori, abbiamo una prima risposta fisiologica: molti di questi lavoratori sono soci della loro cooperativa e spesso hanno deciso di rinunciare a una parte di salario per poter garantire alla propria azienda di continuare a vivere.
Occorre tenere conto anche di un tema molto delicato. Noi spesso ragioniamo usando due parametri che non sono corretti, totalizzando il danno della crisi di un'impresa con il numero dei lavoratori che perdono il posto di lavoro. In realtà, non è così. Quando chiude un'impresa, perdiamo certamente i 100 posti di lavoro di quell'impresa, ma anche un'accumulazione storica di un sistema di relazioni con il mercato, di competenze, di conoscenze, di formazioni, di sistemi interni che hanno un valore inenarrabile. Quando l'impresa ha chiuso quella ricchezza è persa. Dovremmo, perciò, sempre pensare che quando chiude un'impresa perdiamo contemporaneamente 100 posti di lavoro, ma anche la macchina che potrebbe produrne altri 100.
Dobbiamo stare molto attenti a gestire questa relazione perché altrimenti un dato molto doloroso – i 100 posti di lavoro persi – rischia di offuscare un altro elemento, cioè il valore sociale dell'impresa, di cui questo Paese un giorno dovrebbe prendersi la briga di discutere come tale perché pare che l'impresa sia un problema degli altri o un male necessario che si sopporta perché serve ad avere posti di lavoro.
Le imprese non sono un male necessario; sono un'infrastruttura sociale indispensabile a garantire il futuro di ogni economia e di ogni società. Occorre, quindi, discutere dell'impresa quando si vuole e come si vuole, anche di com’è fatta, perché spesso non è fatta bene. Tuttavia, credo che sia molto interessante per la cultura di ognuno di noi cambiare l'approccio all'idea di impresa e alla sua ragione sociale. Non abbiamo niente da insegnare, ma ci piacerebbe discutere di questo tema.
Una seconda questione riguarda il lavoro. Da questo punto di vista, abbiamo un impegno d'onore. I nostri lavoratori vanno garantiti. Tuttavia, con il tempo, con le norme e con degli strumenti, dovremmo trovare il modo di impedire che qualcuno utilizzi la forma societaria cooperativa per ingannare i lavoratori. Questo è un problema che noi sentiamo molto perché rovina la reputazione delle cooperative vere e, nel mercato, finisce per creare danno a tutti. Questo non è un problema degli altri, ma prima di tutto dei cooperatori. Più in generale, è un problema di tutto il nostro Paese e del suo sistema del buon diritto.
Sulla situazione che si realizza tra i diversi comparti in rapporto ai ritardi di pagamento, riguardo alla cooperazione sociale, direi che, almeno per gli elementi che non sono scientificamente misurati, non abbiamo clamorose diversità. Piuttosto, la cooperazione sociale vive essa stessa un problema molto grave che è il rischio di «interruzione» di un pubblico servizio. Se smette di lavorare chi sta costruendo una casa o una strada o chi gestisce dei lampioni è un discorso; se, invece, smette di lavorare chi gestisce una comunità di recupero di tossicodipendenti o una casa di riposo per anziani è un altro. Cosa può fare chi non viene pagato ?
In questa vita, ho incrociato persone che portavano la pasta da casa per potere erogare i servizi ai bambini che il tribunale aveva tolto alle famiglie e aveva assegnato a una comunità. Ho visto delle ragazze piangere, che mi chiedevano cosa fare; non potevano certamente lasciare i bambini, anche se da dieci anni andavano avanti a forza di acconti. Non si può andare avanti a forza di acconti. Abbiamo delle contraddizioni plateali. Da questo Pag. 12punto di vista, la cooperazione sociale soffre di più perché ha un vincolo, essendo costretta nella relazione sociale con i più deboli, per cui non può decidere di abbandonare il campo. Non può dire di essere un'impresa e decidere di smettere di lavorare perché non è pagata.
Una cooperativa sociale non può smettere di fare il lavoro, quindi è dal punto di vista imprenditoriale in una condizione più fragile rispetto a un'altra impresa che, invece, legittimamente può decidere liberamente di costruire strade, case o ponti. Chi gestisce una comunità non può smettere di farlo. Questo è un vincolo che dovremmo immaginare di salvaguardare nel tempo perché queste imprese non sono uguali, ma hanno una relazione con la società, tramite i servizi che erogano, significativamente diversa. Pertanto, dovremmo essere capaci, anche sul piano della legislazione, di tenere conto di questa particolare questione.
Un ultimo tema riguarda la vicenda delle cooperative di costruzione. Il settore dell'edilizia è terribilmente in crisi e in difficoltà. Il mercato, sia pubblico sia privato, è sostanzialmente scomparso. Riguardo a quanto vale la spesa in capitale, non saprei sinceramente quantificarlo in maniera puntuale. Teniamo conto che abbiamo una pluralità di fonti di finanziamento molto diversificate perché abbiamo dei project financing, quindi delle relazioni con il sistema finanziario e così via.
Si pone, però, un altro tema di ordine generale. Credo che bisognerà trovare il modo, nella relazione tra pubblico, sistema bancario e sistema delle imprese, di trovare forme di garanzia che consentano lo smobilizzo di patrimoni che, diversamente, oggi non sono liquidabili. Di fatto, ci troviamo di fronte a un paradosso terribile: le aziende, pur possedendo centinaia di milioni di euro di patrimonio, quindi non essendo in crisi, e miliardi di portafoglio lavori, non hanno la liquidità per pagare i fornitori. Nella storia, non avevo mai visto una cosa del genere. Sono anziano, ma non avevo mai visto le aziende versare in queste situazioni. Pensavo che un'azienda andasse in crisi perché non aveva più il patrimonio, quindi non ce la faceva ad andare avanti. Siamo nella situazione in cui aziende con centinaia di migliaia di euro di patrimonio non ce la fanno a pagare, pur avendo un albergo, un centro commerciale, 50 appartamenti e così via, non venduti e non vendibili.
Il mercato mondiale di questi beni è sostanzialmente immobile anche perché chi dall'estero, con i fondi immobiliari, interveniva ad acquistare questi beni, oggi guarda con cautela all'Italia perché pensa abbia un quadro di riferimento non adeguato. Questo è un nodo particolarmente acuto. Teniamo conto che la filiera delle costruzioni è particolarmente densa. Non abbiamo solo le dieci o venti grandi imprese di costruzione di questo Paese, ma, a valle di questo sistema, abbiamo una miriade di artigiani, di piccole e medie imprese e un grande sistema imprenditoriale dell'indotto. Penso a tutta la parte dell'impiantistica, della produzione di infissi o della serramentistica, fatto da industrie italiane che operano anche nel mondo, ma che, se scompare il mercato nazionale, come è accaduto, non ce la fanno ad andare avanti o a ristrutturarsi perché la rigidità degli impianti industriali rende materialmente impossibile ridurre, in due mesi o in due anni, del 50 per cento le quantità prodotte. Siamo veramente dentro a un dramma, quindi bisogna trovare tutte le risposte possibili. Questo è un valore importante per questo Paese e, se un giorno dovessimo cedere, non saremmo più in grado – purtroppo per noi – di ricostruire.
PRESIDENTE. Ringrazio l'Alleanza delle cooperative italiane e, in particolare, il presidente Poletti perché all'inizio della sua relazione ha posto con chiarezza la posizione sul punto critico del nostro lavoro, cioè migliorare al massimo, ma non al punto da impedire o rallentare l'approvazione del provvedimento in esame. Questo implica quelle priorità emendative a cui faceva riferimento anche il dottor Mannino. Noi siamo qui e le attendiamo. Nel frattempo, abbiamo le altre audizioni Pag. 13a cui si faceva riferimento, quindi, più il fronte delle opinioni diventa consolidato, più saremo in grado di fare un buon lavoro.
Dichiaro conclusa l'audizione.
Audizione di rappresentanti di Federambiente.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva relativa all'esame del decreto-legge n. 35 del 2013 recante disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della Pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali, l'audizione di rappresentanti di Federambiente.
Sono presenti il presidente Daniele Fortini e il direttore Gianluca Cencia. Nel ringraziarli della presenza, do la parola al dottor Fortini.
DANIELE FORTINI, Presidente di Federambiente. Grazie, presidente. Ringrazio anche gli onorevoli deputati e senatori che hanno la compiacenza di ascoltarci in questa circostanza.
Federambiente rappresenta 230 imprese italiane della gestione del ciclo integrato dei rifiuti dislocate su tutto il territorio nazionale. Dei 32 milioni di tonnellate di rifiuti urbani che ogni anno vengono generati nel nostro Paese, circa il 70 per cento sono gestiti dalle nostre aziende associate. Federambiente sottoscrive, per la parte datoriale, il contratto di lavoro nazionale di settore cui fanno riferimento 44.000 addetti e serve le popolazioni di 3.500 comuni italiani – i più importanti – che, attraverso le nostre imprese, ricevono i servizi di igiene ambientale. Complessivamente, generiamo circa 3,5 miliardi di euro all'anno di valore della produzione. Quindi, Federambiente è l'associazione che rappresenta la maggior parte delle imprese, sia pubbliche che private, che operano in Italia nella gestione dei rifiuti urbani.
Per quanto riguarda il testo del decreto-legge che oggi con gratitudine e riconoscenza siamo qui a discutere, vorremmo segnalare alcuni aspetti di criticità che riteniamo particolarmente delicati e complessi. Il primo attiene alle modalità di finanziamento del sistema nazionale di gestione del ciclo integrato dei rifiuti. Come sappiamo, il sistema di finanziamento obbliga i comuni a prelevare dai contribuenti le somme necessarie ad assicurare la copertura integrale dei costi dei servizi di igiene urbana, di trattamento e smaltimento dei rifiuti. Su questo obiettivo, abbiamo sempre dichiarato la nostra piena condivisione perché la totale copertura dei costi deve essere assicurata dalle comunità locali che ricevono i servizi, nelle modalità attraverso le quali i comuni decidono di organizzarli.
Il tema di un autofinanziamento e autosostentamento della gestione del ciclo è assolutamente consolidato e acquisito e non dovrebbe far riferimento ad altre voci di spesa dei capitoli di bilancio dei comuni. Tuttavia, oggi non è così: con l'introduzione della TIA1 – tariffa di igiene ambientale –, una prima modalità tariffaria; poi con la TIA2, cioè un'altra modalità tariffaria; poi ancora con la permanenza della TARSU, che riguarda 6.700 comuni italiani, il sistema appare frastagliato, spesso indecifrabile, costoso e incomprensibile per tanta parte dei cittadini.
L'unificazione del sistema tariffario di contribuzione delle comunità locali al sostegno dell'organizzazione del circuito della gestione dei rifiuti è, invece, un tema fondamentale. Bisogna ricondurre il sistema a un'unitarietà tale per cui sia possibile per un cittadino di Palermo, come per un cittadino di Trieste, capire che cosa paga e in ragione di che cosa, atteso che il prelievo delle risorse economiche per sostenere il sistema deve essere orientato e organizzato anche in ragione non soltanto della copertura dei costi, ma delle premialità dovute alle buone pratiche ambientali, vale a dire un sistema che dia la possibilità ai comuni di scegliere l'organizzazione migliore, più efficace, più conveniente e più corrispondente alle esigenze Pag. 14del territorio, finanziandolo secondo un sistema flessibile. Mi riferisco, insomma, a un sistema che possa premiare le buone pratiche ambientali. Se si fa più raccolta differenziata o più politica del riciclaggio e, quindi, si hanno maggiori costi, si deve avere la possibilità di garantire la copertura integrale del servizio attraverso la leva della contribuzione da parte dei cittadini per questa via.
Per parte nostra, sosteniamo che la tariffa e non la tassa debba essere la leva attraverso cui finanziare un sistema virtuoso. In questo modo, è possibile premiare le buone pratiche ambientali al fine di ricavare le risorse necessarie a sostenere tutta l'organizzazione evoluta e moderna della gestione dei rifiuti, non intervenendo più in modo pianificato e ottuso, cioè attraverso un semplice prelievo che avviene per metro quadro o per il numero di residenti nella civile abitazione.
Per questo, rispetto al testo del decreto-legge che abbiamo esaminato, ci siamo permessi di rilevare alcune incongruità e di segnalarle prima, ovviamente, al Governo e oggi fortunatamente anche in questa occasione e insisteremo nel segnalarle con spirito collaborativo, come è nostro dovere fare; tuttavia, intendiamo metterle in campo in modo estremamente netto.
Vengo, ora, ad alcune criticità. La prima riguarda le modalità attraverso le quali la TARES dovrebbe essere corrisposta nell'anno 2013 dai cittadini per tramite del prelievo organizzato dai comuni. Benché il testo sia migliorato rispetto a quello che originariamente era stato adottato, è curioso che la prima e la seconda rata della TARES, con riferimento alla copertura dei costi del servizio di igiene ambientale, avvenga secondo le modalità in vigore adottate in ciascun comune – TIA1, TIA2 o TARSU – come nell'anno 2012 e poi, invece, il saldo a conguaglio alla fine dell'anno, in unica rata, debba essere corrisposto dai cittadini con bollettino postale o con F24.
Ormai, il sistema del prelievo è organizzato una secondo una modalità che consente la massima efficacia di riscossione e di individuazione dell'elusione e dell'evasione, in modo tale che si possa garantire il diritto all'equità da parte di tutti i cittadini nel momento in cui si corrispondono le somme dovute. Se il sistema cambia e l'ultima rata dell'anno 2013 dovesse essere corrisposta per il tramite dell'F24 o del bollettino postale la capacità di tracciare il percorso del contribuente sarebbe perduta, ovvero messa a dura prova, quindi la capacità di incassare quanto dovuto da parte dei comuni sarebbe messa a rischio.
Un secondo aspetto riguarda la salvaguardia della tariffa di igiene ambientale, che – ripeto – è la leva che consente di sostenere le buone pratiche ambientali; una tassa mirata e organizzata soltanto sulla base delle superfici occupate non consente alcuna flessibilità, quindi non consente di premiare quegli sforzi che in tanta parte del Paese si fanno per consentire che le buone pratiche ambientali abbiano una effettiva attuazione. Oggi c’è una pluralità di sistemi di pagamento talmente ampia e frantumata che, invece, richiederebbe di ricondurre il tutto a una comprensibile efficacia ed efficienza delle iniziative.
Ancora riguardo alla tariffa puntuale, è di difficile comprensione il modo in cui la si possa attuare. Si dice che nei comuni che adottano un sistema di raccolta differenziata particolarmente puntuale, tracciabile e riconoscibile la tariffa può esservi perché, appunto, la raccolta è organizzata in modo puntuale. Tuttavia, questa puntualità della definizione di servizio è talmente evanescente per cui, in questo caso, la flessibilità diventa opacità, nel senso che non si riesce a immaginare come si possa effettivamente misurare quella puntualità in realtà che sono molto diverse l'una dall'altra e che praticano sistemi di raccolta anche molto differenti l'uno dall'altro.
Un terzo aspetto riguarda il piano finanziario. Nell'attuale formulazione non sono chiari né i tempi né le modalità con i quali deve essere adottato e approvato il piano finanziario. In più, nei piani finanziari che dovranno adottare i comuni non Pag. 15si tiene conto di elementi che, di norma, nei piani finanziari vengono considerati. Per intenderci, nel piano finanziario di un comune, con riferimento alla necessità di coprire il 100 per cento del costo del servizio, non è ricompreso, per esempio, il pagamento dell'IRAP che pure le imprese sono tenute a fare, ma che nel piano finanziario non rientra perché non è uno dei costi riconosciuti come costi operativi ordinari e straordinari delle attività, cosa che finisce per determinare una condizione nella quale il piano finanziario mette in evidenza che la gestione sarà sempre in sbilancio, proprio poiché quella modalità di copertura di costi non compare nel momento in cui il piano finanziario viene redatto.
In ultimo, non è chiaro quale sia il riferimento fra la normativa che oggi stiamo discutendo e, per esempio, il decreto-legge n. 179 del 2012, segnatamente l'articolo 34, comma 23, nel quale si dice che i servizi di igiene ambientale sul territorio sono organizzati nella forma di ambiti territoriali ottimali, delimitati dalle province, a valere sulle associazione di comuni. Nel testo del decreto-legge al nostro esame, si fa, invece, riferimento ai comuni come il soggetto che deve redigere il piano finanziario, organizzare la raccolta, garantire la copertura integrale dei costi e quindi definire la TARES in ragione di quel 100 per cento che deve soddisfare l'esigenza di equilibrio di bilancio.
Poi, però, non si tiene conto del fatto che una normativa precedente dello Stato obbliga le regioni a perimetrare gli ambiti territoriali ottimali e i comuni a farne parte in forma associativa, secondo le disposizioni delle leggi regionali, per cui non si capisce qual è la relazione fra il singolo comune che adotta il piano finanziario, definisce i costi del servizio e quindi decide le iniziative che deve intraprendere, e le politiche di ambito territoriale che, invece, dovrebbero garantire e assicurare efficienza, efficacia e convenienza su un ambito vasto.
La nostra opinione è che sarebbe opportuno prendersi il tempo necessario affinché si possa approfondire la tematica della copertura dei costi della gestione dei servizi di igiene ambientale del nostro Paese, separatamente dai costi di altre attività e di altri servizi, che pure è nella legittimità del Parlamento disporre in capo ai comuni, vale a dire i servizi indivisibili, e tenere distinte le due cose, in modo tale che si abbia la piena tracciabilità trasparente ed efficace di quelli che sono i costi effettivi del sistema di gestione dei rifiuti, che si dia la possibilità ai comuni di usare la tariffa come leva flessibile per premiare i buoni comportamenti, le buone discipline e le buone pratiche ambientali; e che si riconduca a unitarietà lo strumento attraverso il quale i comuni devono garantire la copertura del 100 per cento dei costi del servizio.
Pertanto, auspichiamo che possa essere posta attenzione su questi elementi che viviamo con somma criticità e che abbiamo lamentato nei mesi scorsi come forieri di una preoccupazione per la quale, se non vi fosse stata la correzione oggi introdotta, ci saremmo trovati nel mese di maggio e di giugno al blocco dei servizi in tanta parte del Paese, a causa della mancanza di liquidità per fronteggiare le incombenze dovute, prime fra tutte le spettanze ai lavoratori, perché, in assenza di liquidità e con gli istituti di credito che non sono propensi ad elargire facilmente credito in questa fase, ci saremmo trovati in grandissime difficoltà.
Onde evitare di trovarci in difficoltà alla fine dell'anno e magari nei primi mesi del prossimo, ci piacerebbe che il tempo che il Parlamento ha a disposizione per riconsiderare la questione fosse utilizzato perseguendo obiettivi di stabilizzazione duratura, chiara, conveniente e trasparente di un sistema di prelievo delle risorse necessarie a sostenere il circuito della gestione dei rifiuti valida nel tempo, evitando che ogni sei mesi, come purtroppo è accaduto in passato, si debbano fare i conti con una disciplina sempre diversa e talvolta inconciliabile con le prassi in vigore. Grazie.
PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
GIRGIS GIORGIO SORIAL. Ringrazio, innanzitutto, il presidente di Federambiente. In merito ai criteri che ha in precedenza richiamato, ovvero quelli di efficacia ed efficienza, mi sembra tuttavia di capire che i due termini esprimano esigenze di fatto contrapposte al presupposto impositivo della TARES stessa, che comunque risulta connessa al possesso dell'immobile. Quindi, secondo voi, non sarebbe più opportuno che il pagamento del tributo fosse correlato al numero delle persone che usufruiscono, a qualsiasi titolo, di locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti ? Questa è la prima domanda.
La seconda si ricollega invece all'ultima questione posta alla nostra attenzione, con riferimento sia alle nostre tempistiche sia alla tempistica della raccolta della TARES stessa. Mi viene da chiederle se, secondo Federambiente, non sia più opportuno, a questo punto, un eventuale rinvio della TARES, almeno al 2014.
FRANCESCO MOLINARI. La ringrazio anch'io dell'intervento. Tuttavia, pur avendo capito l'impianto complessivo, resto perplesso in ordine ad alcune considerazioni. Per esempio, non ho sentito da lei parlare della società del riciclo, che pure è proprio quella a cui ci richiama l'Unione europea. Ogni tanto, l'Unione europea ci dà delle indicazioni che dovrebbero essere di indirizzo verso un'evoluzione delle buone pratiche anche e soprattutto in campo ambientale. Ritengo, invece, che la TARES non lo sia perché – come abbiamo sostenuto anche nella mozione che abbiamo presentato al Senato – è un mostro bicefalo, soprattutto perché non ci consente di realizzare una politica educativa, anche da un punto vista fiscale, in materia di gestione del sistema complessivo dei rifiuti.
Tuttavia, non capisco la sua perplessità rispetto alla TIA puntuale. È vero che c’è opacità, ma questa è strettamente legata alle insufficienze organizzative, in alcuni casi anche volute, di buona parte di quegli enti locali che non l'hanno voluta applicare. Nel mondo, però, è quella che viene indicata come la soluzione migliore proprio per dare anche un'educazione al cittadino e alla collettività, al fine di avviarsi verso quella società del riciclo cui accennavo prima. Dobbiamo superare questa fase dell'emergenza nella gestione dei rifiuti che ci fa vedere come unica soluzione inceneritori o discariche o addirittura la raccolta differenziata, quando dovrebbe essere vista come un sistema non per produrre materiale da portare a incenerire ma appunto per creare un'evoluzione verso la valorizzazione dei materiali, che noi ancora consideriamo come un costo mentre dovrebbe costituire una risorsa proprio per superare anche questa fase emergenziale.
RAFFAELLA MARIANI. Anche a mio giudizio, molte delle cose che il presidente Fortini ha sottolineato dovrebbero essere approfondite, magari non nella discussione di questo decreto, ma nel tempo che ci rimane fino a dicembre. Ci auguriamo, infatti, che questa riflessione possa essere fatta velocemente nel modo più approfondito possibile proprio perché l'aspetto più delicato che rileviamo nella norma, così come è stata prevista, è quello di non valutare e non sottolineare adeguatamente il comportamento virtuoso di comuni e famiglie che, laddove possono, hanno lavorato e si sono organizzati per individuare un ciclo integrato dei rifiuti in maniera corretta, ma ancora non ne vedono un vantaggio.
Mi domando allora se rispetto alla questione delle modalità organizzative dei pagamenti – in rapporto anche alla restituzione delle risorse, di cui il decreto fa salve le prime due rate, restituendo così un po’ di liquidità al settore e permettendo che non si verifichi l'abbandono dei rifiuti nei prossimi mesi nei principali comuni del nostro Paese, cosa che si sarebbe altrimenti verificata, come avevamo scritto anche nella mozione –, i quali ritorneranno alla gestione dei comuni, tanto quelli con la TIA quanto Pag. 17quelli con la TARSU, possiamo intanto svolgere tutti insieme un'analisi per individuare eventualmente, come lei auspicava, da qui a dicembre, un'organizzazione migliore anche nella gestione della riscossione.
Peraltro questo elemento ci era già stato segnalato come una complicazione non da poco, laddove i comuni avevano già cominciato a organizzarsi diversamente poiché non avevano più le centrali per realizzare un sistema di riscossione differente, e in alcuni casi lo avevano già affidato, ad esempio, alle società partecipate che gestivano il ciclo dei rifiuti.
ANGELO RUGHETTI. Ringrazio il presidente di Federambiente per la puntuale relazione. Faccio soltanto notare – tale aspetto mi era sfuggito ma oggi ho avuto modo di avvedermene – che nell'articolo 10, alla lettera c) del comma 2, del decreto-legge c’è un piccolo scippo che lo Stato opera nei confronti dei comuni perché i 30 centesimi per metro quadrato che venivano dati ai comuni con la precedente norma e che lo Stato aveva già incamerato con il taglio al Fondo di riequilibrio, con la presente disposizione vengono di nuovo riportati al bilancio dello Stato. Si determina, dunque, un piccolo taglio implicito nelle casse dei comuni che penso vadano in qualche modo rimpinguate.
In via più generale penso, invece, che ormai siamo tutti d'accordo nel ritenere che questa imposta patrimoniale vada rivista e ricondotta ad un contesto generale totalmente diverso di rapporto fiscale tra cittadino e comune, all'interno di un quadro più organizzato di quello che una volta si chiamava federalismo fiscale ma che adesso non va più di moda. Infatti, è chiaro che tutto ciò nasce in un contesto che non esiste più: prima era una sorta di tassa di condominio che doveva sopperire anche all'abrogazione dell'ICI sulla prima casa, mentre ora va ad aggravare in maniera ancora più drastica un contesto complessivo, penalizzando quei comuni che avevano effettuato la raccolta differenziata in modo più efficace rispetto ad altri.
Con questo decreto-legge occorrerebbe quindi compiere uno sforzo per rinviare non solo la parte della sovrattassa a dicembre, ma l'applicazione vera e propria al 2014, cercando di reperire le risorse che mancano: questo, forse, è lo sforzo che la Commissione speciale dovrà fare.
MARCO CAUSI. Credo che molti degli argomenti connessi a questa discussione travalichino la possibilità di azione di questa Commissione speciale nell'ambito di questo decreto. Tuttavia sono molto importanti, quindi chiedo al Presidente e all'Ufficio di presidenza della Commissione speciale di render noto alla Presidenza della Camera che questo è sicuramente uno dei temi che dovremo – direi finalmente – affrontare, forse in una formazione congiunta tra la Commissione finanze e la Commissione ambiente. Infatti alcuni problemi interpretativi, anche di assetto normativo, si sono creati nel corso degli ultimi due anni sia per l'emergenza finanziaria sia perché la parte ambiente e la parte finanze hanno guardato alla questione da due punti di vista diversi che, invece, devono assolutamente trovare una ricomposizione.
Peraltro alcune delle vicende che ci sono state raccontate riguardano maggiormente la parte ambiente – ad esempio, come si fanno i contratti di servizio e che tipo di costi si usano nei contratti medesimi – mentre altre attengono maggiormente alla competenza della Commissione finanze.
Personalmente, penso che abbia ragione la Corte costituzionale: questa non è una tariffa, bensì una prestazione patrimoniale imposta. Dopodiché, dobbiamo trovare i punti di equilibrio. Sia TIA che TARSU avevano una parte connessa ai servizi e un'altra parte indivisibile. Poi c’è stata un'ulteriore confusione perché – come giustamente ricordava prima l'onorevole Rughetti – il federalismo fiscale comunale non è mai stato realizzato in modo sensato. Pertanto mi auguro che possiamo trovare il tempo per una seria revisione dell'assetto fiscale locale, dell'IMU, della TARES e anche dell'addizionale Pag. 18comunale all'IRPEF, per contemperare i bisogni dell'ambiente e quelli delle finanze all'interno di questo nuovo tributo o di qualche altro che venga comunque incontro alle nostre esigenze.
Penso che non ce la faremo da qui a mercoledì, tuttavia dobbiamo ricordarlo per l'immediato futuro. Invece – lo domando anche alle colleghe e ai colleghi – un intervento puntuale che forse potremmo fare da qui a mercoledì è quello sulla restrizione delle modalità di riscossione di quest'ultimo versamento perché già in precedenza il Governo aveva provato a centralizzare la riscossione di questo tributo e il Parlamento si era opposto. Fu proprio il Parlamento, attraverso l'approvazione di un suo emendamento, a riportare la gestione sul piano locale. Adesso ci si riprova, dicendo che l'ultimo versamento deve essere effettuato solo tramite il modello F24 ma non ne capisco davvero la ratio. Questo è, quindi, un intervento puntuale e specifico che, del caso, possiamo fare entro mercoledì; tutto il resto invece va rinviato alla discussione in un'altra sede.
LINDA LANZILLOTTA. Mi sembra che si intreccino molti temi tra il decreto e le mozioni che abbiamo discusso l'altro giorno. Sentendoli verrebbe da commentare: «Ridateci la TARSU» perché almeno quella era una tassa legata a una prestazione. Invece, in questo caso, abbiamo perso qualsiasi collegamento con la prestazione perché si tratta sostanzialmente di una patrimoniale. Ho sentito, presidente, le sue considerazioni su questo e mi domando, siccome lei faceva riferimento al finanziamento di una gestione evoluta e moderna, se, per sottrarre i cittadini a un finanziamento a piè di lista del 100 per cento del costo, non ci si debba legare alla definizione di costi standard.
Assistiamo, infatti, a fenomeni in cui il costo aumenta per inefficienze e abbandono di qualsiasi logica di modernizzazione del servizio. Per citare solo il caso di Roma, per mancate scelte delle istituzioni locali circa la localizzazione di vari impianti noi dovremo incominciare a esportare i rifiuti con costi che, evidentemente, andranno finanziati al 100 per cento.
Allora, bisogna capirsi. A questo proposito, vorrei comprendere bene anche la questione dell'IRAP, che è un'imposta. Quindi sono i cittadini che, con la tassa, finanziano le imposte a cui è soggetta una società che gestisce un servizio ? Non mi è chiaro questo sistema perché, a questo punto, consideriamo costo anche le imposte sull'attività. Insomma, non mi è chiara questa idea della copertura totale dei costi del servizio.
ENRICO ZANETTI. Dobbiamo distinguere tra la TARES e la maggiorazione. La TARES, in sé, è forse anche un elemento migliorativo rispetto a un mondo a due velocità, come è stato fino a oggi, con una ridotta platea di soggetti che utilizzavano la TIA – che era già, quindi, qualcosa di molto oneroso – e molti altri che erano invece rimasti alla TARSU, che comunque ha un impianto molto meno legato a una remunerazione di servizio. In tale ultimo caso si creeranno i grandi aumenti, ma è anche vero che chi fino a oggi usava la TARSU pagava molto meno rispetto a chi era gravato dalla TIA.
Invece la maggiorazione è, oggettivamente, un qualcosa di sbagliato perché, di fatto, era concepita come una sorta di «mini IMU» sulla prima casa, in un contesto in cui l'IMU non c'era, e assurdamente legata, proprio perché scaturiva da questa idea, alle metrature degli immobili e non, ad esempio, al numero dei componenti del nucleo familiare. Invece, posto che andrebbe in teoria a remunerare dei servizi indivisibili, dovrebbe tener conto delle teste più che dei metri. Tuttavia, era nata proprio come una «mini IMU».
Detto questo, essendo vero che tutti questi problemi andranno risolti nei prossimi mesi poiché non riusciamo a farlo in questa sede, riguardo a questo decreto vorrei capire – in parte mi è già stato risposto – quali sono le problematiche pratiche a cui andiamo incontro con questo ennesimo rinvio affrettato. Mi sembra di capire che anche voi ci consigliate Pag. 19quantomeno di dividere la terza rata tra maggiorazione, che può fare la sua dannata vita con il modello F24, e terza rata vera e propria, che deve assolutamente rimanere ancorata al bollettino. Questa è la prima risposta che mi sembra di avere da voi, che peraltro avevo già in mente ma che è importante per confermare questo mio convincimento.
La seconda questione sulla quale vorrei delle risposte riguarda il ciclo della riscossione. L'idea è cercare di far riscuotere i comuni perché sembra di fare loro un favore. Tuttavia, ho l'impressione che si rischia di far loro tutt'altro che un favore. Infatti, se la riscossione è intesa anche come incassi dei comuni, che poi pagano le società, sbaglio se dico che i comuni, sul piano finanziario, rischiano alla fine di farsi carico di diversi insoluti di cui oggi, di fatto, nei rapporti finanziari si fanno carico le società ?
Insomma, ho l'impressione che, pensando di fare un favore ai comuni, si rendono più difficili le procedure complessive e non si dà loro nemmeno un vantaggio dal punto di vista finanziario. Da operatori del settore, vorrei chiedervi anche un'opinione su questo.
RENATA POLVERINI. Vorrei associarmi a quanto ha appena detto l'onorevole Causi. Forse il problema è talmente complesso che merita, da parte del presidente della Commissione speciale, una raccomandazione al Parlamento perché se ne discuta in Commissioni congiunte.
L'argomento del quale vorrei parlare è stato accennato dal collega che mi ha preceduto. Infatti, sul ciclo della riscossione ci sono già degli esempi che vanno nella direzione opposta a quello che sembrerebbe essere l'obiettivo del decreto, nel senso che laddove si sono costituiti dei consorzi di comuni per il servizio di gestione dei rifiuti, molto spesso questi consorzi non hanno poi avuto dai comuni la raccolta del tributo, per cui abbiamo trovato società, molto spesso pubbliche, indebitate alle quali abbiamo dovuto dare risposta.
L'ultima di queste, nel Lazio, è stata acquisita da un ente superiore piena di debiti e anche con personale in difficoltà. Pertanto, bisogna fare attenzione perché non si tratta di una banalità ma di una cosa importante, soprattutto in relazione a questo accorpamento dei servizi, come veniva prima rappresentato (chiedo scusa, sono arrivata in ritardo quando l'intervento era già iniziato). Infatti, è evidente che il servizio relativo al rifiuto è quello che, rispetto agli altri, rischia di essere messo per ultimo, con ulteriori difficoltà rispetto a quelle che stiamo attraversando.
Tuttavia, questa non è ovviamente la sede per affrontare né troppo tecnicamente questo tema, né la questione più generale del ciclo dei rifiuti. Come Popolo della Libertà, tengo a sottolineare un altro aspetto a cui pure si è fatto cenno. Qualche giorno fa veniva evidenziato in un bell'editoriale su un quotidiano importante che, alla fine, anche dentro questo schema c’è una patrimoniale che, in qualche modo, peserà sulle famiglie perché è legata ai metri quadri, rischiando di penalizzare un appartamento grande in periferia rispetto a uno piccolo nel centro della città, anche rispetto al numero dei componenti familiari. Sarebbe, insomma, una specie di quoziente al contrario.
Pertanto, anche su questo mi pare che ci siano delle cose importanti sulle quali questa Commissione può lavorare.
PRESIDENTE. Grazie, riferirò al presidente Giorgetti la questione emersa dagli interventi degli onorevoli Causi e Polverini, in vista di una futura fase organica di lavoro del Parlamento.
Do ora la parola al presidente Fortini per una breve replica.
DANIELE FORTINI, Presidente di Federambiente. Ringrazio gli onorevoli deputati e senatori che hanno sollecitato diverse risposte. Premetto che abbiamo parlato soltanto di TARES perché questo era l'oggetto della richiesta di audizione e ad esso ci siamo attenuti. Avremmo, tuttavia, molto piacere di poterci confrontare sulle problematiche della gestione del ciclo integrato Pag. 20dei rifiuti e delle sue criticità, così come delle opportunità, dei sistemi di finanziamento e di tutto ciò che vi è connesso, dalle competenze, che non è cosa di poco conto, ai risultati misurabili.
Da questo punto di vista, devo dire che le imprese che rappresentiamo, nel territorio in cui operano, riscontrano il 52 per cento di raccolta differenziata dei rifiuti. Federambiente fa parte della società europea del riciclo. Siamo uno dei soggetti accreditati dalla Commissione europea. Il nostro orientamento è quello di insistere per cogliere gli obiettivi che le stesse leggi nazionali ci impongono nel quadro delle direttive comunitarie per conseguire i migliori risultati ambientali. In tale quadro siamo sempre disponibili all'adozione di un meccanismo, che, peraltro, abbiamo invocato a più riprese, che consenta di definire i costi standard del servizio, le prestazioni minime che si devono assicurare ai cittadini e l'istituzione di un'autorità nazionale che possa aiutare i territori – regioni e comuni – a conseguire gli obiettivi desiderati. Questo a partire da una misura che ancora auspichiamo, che l'Unione europea ci chiede da dieci anni, che abbiamo condiviso nelle normative di recepimento e che non ha ancora visto la luce: il piano nazionale per la prevenzione e la riduzione dei rifiuti urbani. Il piano – ripeto – è atteso da anni e noi siamo i primi sponsor della richiesta affinché esso venga finalmente adottato.
Detto questo, i temi sono quelli delle buone pratiche ambientali e dei sistemi di finanziamento e di sostegno alla possibilità di cogliere le migliori performance. Per quanto riguarda il provvedimento in itinere, siamo d'accordo, anzi sollecitiamo, che vi sia la possibilità di un rinvio, che consideriamo utile. Tuttavia nel contempo chiediamo l'assicurazione che le risorse necessarie a sostenere le imprese, e quindi la gestione dei servizi igiene ambientale, possa essere garantita nel corso del 2013.
Quindi il rinvio della TARES, per quanto riguarda i servizi indivisibili, da parte nostra sarebbe comunque auspicabile. È, però, essenziale la distinzione fra i servizi di igiene ambientale che devono essere garantiti e che quindi hanno necessità delle risorse finanziarie per essere erogati, da un lato, e provvedimenti che possono prendere un'altra via anche in tempi successivi, dall'altro, avendo la certezza che l'ultima rata dell'anno 2013 possa essere incassata dai comuni ovvero dalle imprese delegate nelle stesse modalità che sono valse per l'anno 2012. Sia che si tratti di TIA1, di TIA2 o di TARSU, occorre cioè avere la certezza che le risorse necessarie per quest'anno sono disponibili, fermo restando che i mesi che ci separano da qui alla fine dell'anno potranno essere utilmente impiegati per immaginare che possa esservi un sistema di finanziamento della raccolta e della gestione del ciclo integrato evoluto e moderno nel senso che possa premiare le buone pratiche ambientali.
Condivido l'osservazione che è stata fatta circa la posizione assunta dalla Corte costituzionale. Ovviamente, la discussione in merito al fatto che il prelievo debba essere considerato un tributo o una tariffa per prestazioni si è portata avanti; peraltro, esiste un pronunciamento a cui ci si deve assolutamente riferire. Tuttavia, anche il tributo può essere modulato nel senso di premiare i buoni comportamenti e non essere fondato soltanto sui metri quadri o sul numero dei residenti dell'abitazione. Si possono trovare quelle forme che ne garantiscano una flessibilità e quindi la possibilità che sia usato come una leva per incoraggiare le buone pratiche ambientati.
Signor presidente, su questo abbiamo delle proposte che formuleremo; invece, il documento che oggi lasciamo è esclusivamente riferito alle questioni che attengono alla TARES. Su questo, soltanto due punti meritano una doverosa risposta. Quando ho parlato di IRAP, ho fatto un esempio rispetto alle incongruità attualmente contenute nel modello con il quale i comuni dovranno redigere i piani finanziari. Nel modello che è stato fornito e a cui si dovranno attenere i comuni compaiono tutte le voci che attengono ai costi che vengono effettivamente sostenuti per lo Pag. 21svolgimento delle attività, mentre quelli che vengono sostenuti per il pagamento dell'IRAP non sono considerati.
Quindi, di fatto, il costo del servizio appare una voce che è riferita soltanto ai costi operativi, alle attività e ai valori direttamente di costo, mentre gli oneri che vi sono connessi – come quelli per il ritardato pagamento da parte dei comuni, quindi gli oneri finanziari che sostengono le imprese – non compaiono, ma rappresentano comunque un costo che le imprese devono sostenere perché, ad esempio, il ritardato pagamento del canone di servizio da parte del comune può avere esposto l'azienda presso gli istituti di credito. Questo è, dunque, un elemento del quale crediamo si debba tenere conto.
Da ultimo, riguardo alla riscossione convengo che si possa immaginare che riportare in capo ai comuni la riscossione della tassa o tariffa sui rifiuti possa equivocabilmente essere ritenuto un elemento premiale e di vantaggio per il comune. Tuttavia, nella realtà dei fatti ormai da dieci anni in oltre 2.500 comuni italiani non è più così, poiché questi hanno delegato la riscossione a strutture che sono dedicate professionalmente questo allo svolgimento di tale compito e che ormai hanno dispiegato una capacità che consente di garantire la copertura di quei costi al 100 per cento; laddove ciò non fosse, sull'anno successivo ovvero sugli anni successivi è possibile recuperare quello che, magari, nell'esercizio corrente non si riesce a recuperare, cosa molto più difficile per la gestione anagrafico-tributaria dei comuni di quanto, invece, non possa esserlo per un'impresa che ha più flessibilità.
Resta poi ancora sospesa la questione dell'IVA sulla TIA che sta scatenando nel Paese una miriade di iniziative di class action, con le quali i cittadini chiedono alle imprese che hanno riscosso l'IVA sulla TIA, cioè sulla tariffa dei rifiuti, la restituzione di quelle somme non dovute – anche in questo caso per sentenza della Corte costituzionale – e che, invece, le imprese hanno incamerato. Peraltro, la faccenda è particolarmente bizzarra perché le imprese hanno incamerato il tributo ma lo hanno poi versato all'erario; invece oggi i cittadini chiedono alle imprese la restituzione di quel tributo, mentre l'erario fa orecchie da mercante.
La questione non è proprio banale. Si tratta di 2 miliardi di euro che sono stati versati nelle casse dello Stato e che se dovessero essere restituiti dalle imprese, pubbliche e private, ai cittadini farebbero evidentemente saltare il sistema. Del resto, ne abbiamo parlato in più occasioni. È una questione annosa, che ha visto due anni di confronti. Ora siamo alle class action e il terrore che abbiamo è che poi ci possano essere tribunali che emettano pronunce di condanna – com’è già accaduto nelle Commissioni tributarie provinciali – per cui, a quel punto, non ci sarà scampo: occorrerà procedere ai pagamenti. Sono soldi dei cittadini, i quali si troveranno le maggiorazioni nella tassa o nella tariffa perché le imprese dovranno restituire agli stessi cittadini quello che lo Stato ha prelevato e che, però, i cittadini pretendono legittimamente dalle imprese. D'altra parte, ci sono sentenze che vanno in questa direzione.
Si tratta, insomma, di situazioni complesse. Per quanto ci riguarda, siamo disponibili in qualunque occasione a un confronto. Intanto, vi lasciamo un breve documento che riassume i nostri rilievi e le nostre riflessioni. Vi ringrazio moltissimo per la cortesia e la pazienza che avete avuto nell'ascoltarci.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Fortini e il direttore Cencia. L'agenda che è emersa renderà evidente la necessità di ulteriori appuntamenti e confronti e quindi, al di là del decreto che stiamo esaminando, ci farà piacere poterci risentire.
Dichiaro conclusa l'audizione e sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 18 per l'ultima audizione prevista nella giornata odierna, quella con i rappresentanti dell'ANCE.
La seduta, sospesa alle 17,40, è ripresa alle 18.
Pag. 22Audizione di rappresentanti dell'ANCE.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nel quadro dell'indagine conoscitiva relativa all'esame del decreto-legge n. 35 del 2013 recante disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della Pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali, l'audizione di rappresentanti dell'ANCE.
Sono presenti il presidente, ingegner Buzzetti, il vice direttore generale, dottor Gennari, e una nutrita e gradita presenza di altri interlocutori amici.
Do subito la parola al presidente Buzzetti e al vice direttore generale Gennari per una breve introduzione.
PAOLO BUZZETTI, Presidente dell'ANCE. Grazie, presidente. Ringrazio tutti i presenti e il Parlamento per aver consentito a queste Commissioni di esistere e di ascoltarci in un momento così difficile.
Questo nasce anche dalla spinta dei sindaci, alla quale abbiamo – posso dirlo con orgoglio – contribuito in relazione sia al problema dei pagamenti in particolare, sia alla nascita di queste Commissioni.
Potete immaginare la sorpresa dell'ANCE quando, andando a dialogare con i membri dell'Ecofin a livello europeo, abbiamo scoperto che il Patto di stabilità a cui siamo soggetti non è una legge naturale, universale e intoccabile, ma è tutta una bella idea italiana che in effetti vincola a questi sacrifici tutto il Paese. Riportando questo, insieme ai sindaci, anche in importanti manifestazioni, posso permettermi di dire che abbiamo contribuito molto all'attuale e molto atteso provvedimento. Auspichiamo quindi che, anche se, purtroppo, con grandissimo ritardo rispetto alle sofferenze delle aziende e dei cittadini, la discussione su questo gravissimo vulnus del rapporto Stato-imprese e Stato-cittadini possa prendere piede. Con la stessa chiarezza, devo sottolineare che finalmente il provvedimento è arrivato e quindi si presenta come elemento di ricucitura in quel rapporto tra Stato e cittadini che si sta, purtroppo, drammaticamente sgretolando.
Tra i punti di criticità di questo provvedimento vi sono le procedure di funzionamento, anche perché nei lavori pubblici dell'edilizia in realtà c’è già una certificazione automatica fatta dai responsabili dei dirigenti delle amministrazioni locali – regioni, comuni e province – per cui questo problema non esiste. È vero onestamente che la Spagna ha impiegato pochissimo tempo – e noi abbiamo condotto studi approfonditi su ciò che hanno fatto in Spagna – ma loro hanno avuto un impero. Non cerchiamo di migliorare tutto in un secondo; a noi sembra che le procedure siano abbastanza ben congegnate.
Insomma, non è quello il vulnus: il problema vero è che mancano 13 miliardi di euro sugli investimenti in conto capitale. Quindi non si può cominciare a pagare e poi dire che nel 2014 non si pagherà più niente e che non si sa quando si pagherà.
Come sapete bene, in realtà ci sono solo 7,5 miliardi a disposizione di investimenti in conto capitale, che è il capitolo in cui rientrano i lavori pubblici. Allora noi chiediamo che questo elemento sia superato e che si faccia un ragionamento su tutto. Insomma, bisogna in qualche modo pagare tutto. I debiti che le amministrazioni pubbliche hanno con il settore delle costruzioni sono certificati anche dalla Banca d'Italia ed ammontano a 20 miliardi di euro.
Pertanto, occorre prevedere nel tempo il pagamento di tutto: è una questione di principio e di visione generale. Accanto a questo, l'altro grande elemento è dato da un allentamento del Patto di stabilità intelligentemente fatto. Non chiediamo disastri, bensì che sia possibile allentare questi vincoli e, quindi, non solo provvedere al pagamento di tutto quanto dovuto nei tempi possibili, ma anche dar vita a quegli investimenti indispensabili per un'improvvisa virata rispetto all'attuale tendenza assai negativa dell'economia italiana.Pag. 23
Per esempio, nel campo dei dissesti idrogeologici, delle scuole italiane e della manutenzione del Paese ci sono investimenti che potrebbero innescare una grandissima reazione positiva in termini di posti, di occupazione e di lavoro. Devo, infine, dire che queste non sono idee nostre, ma è ciò che sta accadendo in tutti i Paesi del mondo occidentale, nessuno escluso, con piani di investimento fondamentali per tenere in piedi l'economia.
Infine, mi permetto di dire che, anche se è vero che questa vicenda dei cattivi pagamenti è antica e viene da un tipo di contabilità dello Stato anch'essa antica, da ultimo essa ha avuto un certo incremento. Abbiamo sentito il Governo vantarsi di avere il deficit al 3 per cento deficit – allo stesso livello cioè di quello della Germania, mentre la Francia ha patti segreti per poterlo sforare quando vuole e Spagna e Portogallo hanno contrattato cose diverse – e, allo stesso tempo, di essere sulla strada per rimettere i conti a posto. Devo chiedere, però, qual è la ratio di non pagare.
Come tutti sappiamo, gli investimenti che vengono fatti sono poi indicati, per competenza, nei bilanci dei comuni, delle regioni e dello Stato nell'anno in cui prendono effettivamente avvio. È vero che abbiamo la regola per cui solo quando si procede al loro pagamento detti investimenti vanno ad impattare sul debito pubblico. Tuttavia, come ci hanno detto a Bruxelles, sappiamo tutti benissimo, da questo punto di vista, qual è il debito che abbiamo rispetto alle imprese private e che quindi lo spread e i mercati hanno già scontato detto debito. Debbo chiedere, allora, qual è la ratio di non pagare.
A questo punto, mi viene un sospetto: se si parla di sforare il 3 per cento – dal 2,4 per cento arrivare al 9 ed altri problemi di questo tipo – devo pensare che gli investimenti degli anni passati non sono stati contabilizzati, cosa che teoricamente però non si dovrebbe fare. Vi ricordo, infatti, che giustamente se un'azienda privata cade su un elemento del genere, essa viene colta in fallo. C’è, dunque, qualcosa che non funziona dal punto di vista logico. Non capisco qual è l'impedimento a pagare immediatamente i debiti che si hanno rispetto alle imprese.
Detto ciò, ma questo fa parte degli argomenti che arriveranno in Parlamento, i Governi – questo, ma soprattutto il prossimo – si dovranno impegnare in spese di investimento per evitare di gravare ancora sulle famiglie e sulle imprese che non ce la fanno più e cominciare anche quei tagli di spesa corrente che tutti invochiamo e che sono fondamentali.
Poiché sono presenti tanti parlamentari, alcuni dei quali conosco da molto tempo, colgo l'occasione per dare un segnale importante su un tema che pure è fuori dal problema che stiamo dibattendo. Riguardo alle centrali di committenza, i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti avrebbero dovuto essere pronti a decorrere già dal 1 aprile ma nessuno di essi è ancora pronto; pertanto bisogna stabilire una proroga perché la strada è corretta ma occorre dare il tempo di costituire queste centrali di committenza, altrimenti non saranno in grado di gestire nulla nei prossimi tempi.
PRESIDENTE. Grazie anche per la sintesi. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
GIAMPAOLO GALLI. Ringrazio il presidente Buzzetti per averci detto le cose essenziali, anche in un tempo molto ristretto, con pacatezza, malgrado tutti sappiamo quale sia la situazione davvero difficile e drammatica del settore che rappresenta.
In primo luogo, siccome mi pare meritevole di una riflessione, vorrei prendere nota del fatto che si prevede che solo una parte dei debiti in conto capitale venga pagata. Voi parlate di 10 miliardi di euro nel 2014; non chiedete di appesantire il disavanzo del 2013 ma almeno, nel 2014, di aggiungere quelli che mancano, 10 miliardi, e forse neanche tutti. Questa, a mio avviso, è una riflessione che deve essere fatta.
Mi ha colpito, inoltre, una frase sulle procedure. Voi avete detto che le procedure Pag. 24più o meno vanno bene, mentre altre rappresentanze di imprese ci hanno detto che vorrebbero semplificarle perché sono lente e farraginose. Il timore – questa è la domanda – è che le procedure che sono previste nel decreto, malgrado le sanzioni anche personali sui dirigenti, non siano sufficienti a indurre le amministrazioni ad agire, dunque a pagare. Ci sono anche altre preoccupazioni circa il complesso iter che i soldi devono seguire prima di arrivare fino all'impresa creditrice. Pertanto mi interessa molto la vostra opinione, perché conoscete bene questi meccanismi e ci avete impattato tante volte, in merito a questo giudizio sostanzialmente non negativo sulle procedure previste dal decreto.
GIRGIS GIORGIO SORIAL. Grazie, presidente Buzzetti. Ancora una volta, oggi tendiamo a evidenziare come questa – concordiamo tutti – sia una soluzione temporanea ed una tantum che altro non rappresenta, appunto, che un tampone volto ad arginare un'emorragia che non riusciremo effettivamente ad arrestare nel breve termine, se continueremo ad individuare soluzioni come questa per i debiti delle pubbliche amministrazioni. Penso che concorderà, come dovrebbero tutti, sul fatto che dobbiamo elaborare una visione comune per evitare che, oltre alla riduzione temporanea di questi stock di debiti, si facciano ulteriormente aumentare i debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle aziende.
In merito alla relazione che è stata illustrata, vorrei chiedere se si ha una quantificazione effettiva dei debiti arretrati che la Pubblica amministrazione ha, in particolare, verso le imprese costruttrici. Questo aspetto è fondamentale, sia per il rapporto che intercorre tra imprese costruttrici ed ANCE, sia per dare un segnale di un certo tipo proprio verso questo settore.
LINDA LANZILLOTTA. La prima domanda è se, rispetto al fabbisogno complessivo di 20 miliardi di euro che veniva indicato, può fornirci, presidente Buzzetti, la ripartizione tra livelli istituzionali, e quindi tendenzialmente tra piccole imprese, che mi sembra siano quelle più in sofferenza, e grandi imprese, che sono titolari di opere più importanti.
Inoltre vi chiedo se si ritiene opportuno inserire già in questo decreto delle norme che modifichino i sistemi di contabilizzazione delle spese per investimenti, in modo tale da garantire l'effettivo recepimento della direttiva sui pagamenti della Pubblica amministrazione, almeno per il futuro.
Infine, penso che forse il messaggio sulla questione del Patto di stabilità rischia di banalizzarlo. Personalmente, sono assolutamente d'accordo sul fatto che bisogna spingere sulla crescita e su un'evoluzione delle politiche europee in questo senso. Tuttavia, è chiaro che quello è un recepimento interno di una distribuzione di vincoli che, comunque, sono effettivi e stringenti e che incidono anche su altri parametri che poi condizionano l'attività delle imprese. Infatti lo spread, nel momento in cui il suo valore cresce, incide sulla provvista e sul costo del credito. Quindi, inviterei a ragionare su meccanismi di contabilizzazione che agiscano sempre di più sulla chiusura della divaricazione tra competenza e cassa, facendosi però carico del fatto che i vincoli esistono e li dobbiamo gestire e governare.
RENATA POLVERINI. Saluto il presidente Buzzetti. Con l'ANCE proprio nella regione Lazio abbiamo sperimentato un sistema di pagamento che poi è risultato estremamente efficace, quindi lo ringrazio anche per questo perché in quel momento ha accettato una sfida che sembrava abbastanza difficile. Sono piuttosto sorpresa da questa audizione, perché è quella che guarda con maggiore attenzione positiva al decreto e che evidenzia alcune questioni, apprezzandone, tutto sommato, l'impianto generale. Le audizioni che abbiamo fatto questa mattina erano, infatti, molto meno ben disposte. Pag. 25
Mi pare di poter riassumere che si chiede un aumento delle somme destinate al pagamento – questo è stato detto con chiarezza ed è riportato con altrettanta chiarezza nel documento – nonché, come è emerso del resto anche questa mattina, un allentamento del Patto di stabilità. Mi pare di capire che si chiede che questo Patto venga allentato, se non sbloccato, almeno per i pagamenti in conto capitale in favore dei comuni. Questo è un meccanismo che, come ho già detto questa mattina, è stato messo in campo da alcune regioni e ha funzionato nell'ambito della disciplina del patto regionalizzato. Probabilmente, in questa fase, è necessaria un'ulteriore spinta incoraggiata dal Governo e quindi dal decreto.
L'ultima cosa sulla quale vorrei soffermarmi è il punto 3 del vostro documento, in particolare la lettera i), là dove si parla della questione complicata del DURC. Non ho letto bene e con attenzione, ma lo farò. Non so se, al di là di un appello ad introdurre una norma, c’è comunque da parte vostra una proposta che possa semplificare il rilascio del DURC per le aziende. Tra le varie misure messe in campo dalle regioni in questi anni, c’è anche un accordo sottoscritto con l'INPS che prevede una forma di garanzia diretta degli enti per il rilascio del DURC, nel caso in cui le aziende appunto debbano ottenere pagamenti dalla Pubblica amministrazione. Quell'accordo fu molto faticoso, ma poi si è rivelato utile, anche se in parte è stato poi superato da successivi interventi, in particolare per mezzo della certificazione del credito pro soluto. Tuttavia, rimane il citato accordo che prese forma sulla base di un'intesa con i costruttori e che, forse, potrebbe essere utilmente applicato anche in questa fase.
GIOVANNI LEGNINI. Anch'io ringrazio il presidente Buzzetti del suo intervento, soprattutto perché anch'io ritengo che l'ANCE abbia contribuito molto a fare emergere questo problema e a far maturare il convincimento politico-istituzionale dell'ineludibilità di un intervento come questo, possibilmente implementato. Peraltro, ciò non è casuale perché sappiamo che il settore dell'edilizia è quello più sofferente, sotto molteplici punti di vista e in primis sotto questo punto di vista, quello cioè sia di non vedere disporre nuovi investimenti, lavori o appalti, sia di non vedersi pagati quelli già realizzati.
Lei, presidente, diceva che sarebbe grave ove si scoprisse – se ho capito bene – che non abbiamo contabilizzato quegli investimenti realizzati e non pagati. Ebbene, il problema è esattamente questo. Sappiamo che in sede europea le spese in conto capitale vengono conteggiate per cassa, mentre il Patto di stabilità interno è costruito per gli investimenti secondo il criterio della competenza, quindi la causa generatrice è questa. L'ordinamento italiano ha disposto, in virtù di norme i cui effetti a suo tempo evidentemente non furono esattamente calcolati e previsti, che si potevano fare gli investimenti ma si poteva anche non pagarli. Ecco, questa è la sintesi di ciò che è accaduto, almeno per il comparto degli enti locali.
Ho fatto questa premessa per richiamare la nostra attenzione sul dato che lei citava, cioè 20 miliardi di euro e non 7,5 di spese per investimento, e quindi un intervento ridotto nella sua entità, comunque positivo ma non risolutivo. Peraltro, che si tratti di un intervento parziale è conclamato dallo stesso Governo che ha emanato il decreto. Tuttavia anche la Banca d'Italia, in sede di audizione sulla relazione al Parlamento 2013 di aggiornamento del DEF, ha fornito valutazioni lievemente diverse rispetto a quelle che date voi. Allora, vorrei capire la fonte di questo dato, che ai nostri fini non è un dettaglio.
La Banca d'Italia – per quello che ricordo, ma si può verificare il contenuto delle audizioni svolte un paio di settimane fa – affermava di non conoscere ancora l'esatto importo della quota di conto capitale relativa all'ammontare complessivo dei debiti pregressi, stimati dalla stessa Banca d'Italia in 91 miliardi di euro, ma si tratta ovviamente solo di una stima. Mi auguro, però, che all'esito del meccanismo Pag. 26messo in moto con il decreto si possa arrivare, entro la fine dell'anno, a una ricognizione puntuale di ciò che è nella pancia delle pubbliche amministrazioni. Comunque, ad avviso di Banca d'Italia di questi 91 miliardi di euro forse di conto capitale ce ne saranno altri 7-8 miliardi, equivalenti ad un altro 0,5 per cento di PIL, che – stando a quanto ho inteso – porterebbero l'importo a 15 miliardi e non a 20. Lei diceva che Banca d'Italia condivide questa stima mentre, viceversa, sembrerebbe che non la condivide, almeno stando a quello che ha riferito a noi: e questa è la prima domanda.
In secondo luogo, chiedo qual sia la fonte delle vostre valutazioni e delle vostre stime. È sicuro che tutti i crediti delle imprese nei confronti delle pubbliche amministrazioni siano annoverabili tra quelli rilevanti ai fini di questo decreto, cioè genericamente classificabili come debiti pregressi scaduti e che, almeno alcuni di quei crediti a cui vi riferite, non siano correnti proprio perché figli di procedure corrette sotto il profilo dell'affidamento, dell'impegno della spesa e anche del pagamento ? Vorrei qualche parola di chiarimento e, possibilmente, anche se non questa sera, qualche dato più puntuale su questo punto, che non è di dettaglio.
PRESIDENTE. Do ora la parola al presidente Buzzetti e al vice direttore generale Gennari per una breve replica.
PAOLO BUZZETTI, Presidente dell'ANCE. Proviamo a dare qualche risposta a due voci. Vi ricordo che il settore edile – penso sia riconosciuto universalmente – è quello che sta soffrendo più di tutti in questa crisi economica. Non vi devo rappresentare in tale sede le imprese che chiudono, i licenziamenti, le perdite di lavoro, nonché quanto incidono i mancati pagamenti nella catena della filiera ed il fatto che i più piccoli sono sempre quelli che pagano prima di tutti perché hanno una resistenza finanziaria minore. Pensate, nella filiera, ai fornitori di materiali o, comunque, a tutta la catena dell'appalto e considerate che si chiudono aziende anche per poche migliaia di euro.
Insomma, la situazione è drammatica e per tale ragione salutiamo positivamente un provvedimento che comincia ad affrontare il tema dei pagamenti. L'onorevole Galli ha parlato delle risorse che mancano. Ritenendo corretto il valore di 20 miliardi di euro, possiamo anche capire la questione dei 5 miliardi più 2,5 nel corso del 2013, ma il fatto realmente inaccettabile è la nullità di pagamento per tutto il 2014, il che significa che il complemento a 20 di questi miliardi dovrà aspettare la conclusione del 2013 e tutto il 2014 prima di sperare di cominciare ad essere pagati.
Ebbene, non ci siamo proprio. Se la stima è esatta – e dopo tornerò sopra tale argomento – è indispensabile provvedere al pagamento di tutto. Poc'anzi ho fatto l'esempio di come vengono contabilizzati gli investimenti, e tralascio il perché lo si è fatto perché sarebbe una discussione lunga: ma guardando in avanti, come si può allora pensare di non volerli pagare e per quale ragione ? Perché non dobbiamo sforare il 3 per cento del rapporto deficit-PIL ? In proposito, mi permetto di dire che non sono d'accordo sul fatto che ci cadrebbe addosso chissà che cosa se sforiamo il deficit andando a pagare le imprese. Abbiamo visto che altri Paesi hanno trattato con l'Unione europea condizioni differenti in relazione a tale tema. Allora, temo che questo sia l'esercizio di un obiettivo, che era stato anche imposto attraverso gli impegni assunti da più Governi, ma è anche vero che adesso tutti hanno capito.
Cito soltanto Blanchard del Fondo monetario internazionale, che da mesi sta dicendo che questa politica è sbagliata. Ma che dobbiamo fare ? Del resto, ve lo diciamo noi che è sbagliata, perché non può essere chiesto a un'impresa di chiudere perché lo Stato non paga i suoi debiti. Le tasse vanno pagate, tutto il resto è pieno di sacrifici e quindi non si può non pagare. Dico che questo è anche un collante sociale. Pag. 27
Ci sono grandi nazioni che si sono fondate su obiezioni rispetto a questioni di questo genere e su tasse non giuste. Quindi, non ci possiamo scherzare. Bisogna capire – ripeto – che non si può scherzare. Mancano 13 miliardi ? Ebbene, questi devono essere messi in conto. Come diceva l'onorevole Galli, capisco anche – e questo è apprezzabile da parte di tutti – che saranno pagati nel modo in cui ciò sarà possibile, ma non si può dire «saltiamo un anno».
L'onorevole Sorial parlava di una visione futura sui debiti delle amministrazioni. Da questo punto di vista è stata già recepita una direttiva europea in base alla quale le amministrazioni si devono impegnare ad effettuare i pagamenti entro 30-60 giorni. Questo, però, è un bel problema. È chiaro che dobbiamo cominciare pensando di evitare di ricominciare ad accumulare debiti subito dopo. Del resto, è vero che questa storia dura da tantissimi anni e pertanto, una volta esaurita, dovremmo trovarci in condizioni più normali.
Dico una cosa che non dovrei dire: si è spesso registrata, non in tutte le amministrazioni ma in molte del Paese, la tendenza a pagare in ritardo. Tuttavia, eravamo in tal senso tutti abituati. Vi era cioè un'abitudine generale in questa direzione, per quanto essa non fosse di per sé positiva perché da subito bisognerebbe piuttosto acquisire il principio del termine dei pagamenti entro 30, 36 o 60 giorni, così come avviene in altri Paesi. Con un po’ di senso pratico, diciamo pure che un po’ di ritardo ha sempre rappresentato un dato storico della macchina italica dei pagamenti. Tuttavia, un conto è un po’ di ritardo, un altro è arrivare a punte di 2 o 3 anni. C’è una possibilità di saltare, come impresa, cinquanta volte. Non tutte le imprese fallite in questo periodo sono fallite per questo motivo, bisogna essere onesti. Ciò nonostante, spesso, però nel caso dei più piccoli questo si trasmette alla catena tra privati, che è un'altra materia che deve essere regolata, perché anche tra privati bisogna procedere ai pagamenti con la stessa correttezza prevista per l'Amministrazione pubblica.
L'onorevole Lanzillotta richiamava invece la questione dei vincoli generali. Al riguardo noi riteniamo di aver indovinato da sempre quanto oggi siamo contenti di sentir dire da molte parti circa la necessità di operare un intelligente allentamento del Patto di stabilità e di prevedere una politica anche di crescita, non solo con i soldi pubblici. Non voglio ripetere le solite cose che abbiamo sempre detto. Da un lato, occorrono senz'altro investimenti pubblici; dall'altro, ad esempio, vi sono anche possibilità di investimenti privati nel settore delle scuole e nel campo della dismissione dei beni pubblici. Si possono, dunque, fare politiche di rilancio. Abbiamo detto da sempre e per primi che andavamo a finire male, non perché siamo più bravi ma perché siamo a contatto con le imprese e con la realtà del Paese.
Sappiamo bene che da un lato c’è la realtà contabile, ma dall'altro esiste una realtà di vita quotidiana, quindi vedevamo cosa stava accadendo. Se improvvisamente si ferma la spesa pubblica di più del 50 per cento, se si aumentano le tasse e si genera una situazione indispensabile ma che determina l'arresto delle attività con tutto quello che riguarda poi l'edilizia ordinaria, se si fa una frenata così brusca è logico che le conseguenze sono drammatiche, non c’è niente da fare. Quindi, adesso che abbiamo raggiunto i nostri bei parametri che – spero – saranno considerati da premio Nobel, vorrei che si prendesse in considerazione che stiamo buttando a mare tutto il settore dell'edilizia, tutta l'industria italiana e stiamo mettendo la gente per strada.
Allora, se si capisce questo, direi che una discussione seria che partisse anche dal Parlamento per poi andare in Europa a discutere – questa è la nostra modestissima impressione perché poi ognuno fa il suo mestiere – potrebbe trovare in quella sede ascolto su questi temi; potrebbe dunque determinarsi un intelligente allentamento, il che non significa Pag. 28ritornare alle condizioni disastrose di prima, questo è chiaro a tutti, ma consentire una ripresa.
L'onorevole Polverini, oltre ad aver ricordato gli esperimenti che abbiamo fatto per cercare di superare la situazione dei pagamenti, ha fatto l'esempio del paradosso del DURC, sul quale sono d'accordo. È un elemento drammatico perché l'amministrazione non paga perché non rispetta i tempi e, nel frattempo, all'impresa scade il DURC, anche perché non ha adempiuto ad una serie di obblighi. Insomma, è un cane che si morde la coda. In questo senso, abbiamo avanzato delle proposte – che potremmo anche ripetere tra poco – su come superare questo paradosso del DURC, che ricordo essere provenuto dal mondo dell'edilizia, inventato e messo in campo con i sindacati, dopodiché, è stato esteso anche ad altri settori industriali. Quindi, credo si possa trovare una soluzione.
L'onorevole Legnini ha richiamato un dato circa la questione se i debiti siano tutti classificabili. In proposito, noi riteniamo che i numeri siano quelli, nel senso che con il «D Day», quando l'anno scorso cominciammo a richiamare l'attenzione su questa drammatica situazione, facemmo un'attenta ricognizione tra le nostre imprese dell'ammontare di questi debiti. Dopodiché, abbiamo compiuto una verifica con l'Istat e condotto altri studi e ricerche, che se volete vi comunicheremo. Infine la Banca d'Italia, a quel che ci risulta, ha parlato di 20 miliardi: la coincidenza dei numeri della Banca d'Italia con quello che più modestamente avevamo calcolato noi ci ha convinti che la cifra sia proprio questa.
Tenete presente che la cifra nell'edilizia viene facilmente individuata perché c’è un meccanismo legato al fatto che quando si fa l'investimento – un ponte, una strada, una manutenzione, una scuola e quant'altro – occorre avere, in base alla legge sui lavori pubblici, le somme già stanziate, non per cassa, ma per competenza, e riferite a quel determinato lavoro. Quindi, sono cifre chiare. Dopodiché, quando l'impresa ha eseguito il lavoro, una certificazione rilasciata dagli amministratori, dai dirigenti e dai tecnici preposti consente di procedere ai pagamenti.
Pertanto, a differenza di quanto accade in altri settori industriali, nei quali se si forniscono, ad esempio, 100 siringhe, nessuno può dire che sono proprio 100, per cui occorre la sigla dell'amministrazione competente prima di procedere al pagamento, nel caso dei lavori pubblici il meccanismo è automatico e già esiste a monte la sigla del direttore dei lavori pubblici. Questa, di fatto, è già una certificazione. Dico questo non tanto ai fini della certificazione, ma per ribadire che siamo sicuri delle cifre perché si sa, anche a lavoro in corso, come andrà a finire. Insomma, siamo sicuri che questa previsione e questo calcolo degli arretrati siano assolutamente corretti.
Infine, vengo al ragionamento sulle procedure. Una volta che c’è l'autorizzazione a pagare, le procedure non sono così complicate, almeno per come le abbiamo verificate. Certamente, tutto è semplificabile.
Questo è il buonsenso che ci ha sempre contraddistinto, come quando dico con determinazione che ci vuole più spesa pubblica, con un piano keynesiano. Non voglio negare il contesto internazionale, la crisi che c’è stata e l'attenzione che bisogna avere. Non chiediamo sforamenti folli e incontrollati, bensì che si esca da questa stretta terribile.
Diciamo che vanno pagati tutti perché non possiamo fare figli e figliastri e fermarci. Allo stesso modo, diciamo che il provvedimento, con le somme corrette e con gli aggiustamenti in corso d'opera che possono avvenire, può essere considerato senz'altro un buon punto di partenza, a patto che non ci siano giochi e che non si pensi solo al presente, lasciando la questione in sospeso per il futuro. È venuto il momento di chiarire tutto subito.
ANTONIO GENNARI, Vice direttore generale dell'ANCE. Vorrei fare solo alcune precisazioni sull'audizione dei rappresentanti della Banca d'Italia a cui faceva riferimento l'onorevole Legnini, là Pag. 29dove si dice che il settore delle costruzioni ha un 23 per cento sull'ammontare complessivo, quindi il dato coincide con i 20 miliardi di euro che risultano a noi. Il presidente Buzzetti ha ricordato l'indagine del «D Day» del maggio dello scorso anno, nella quale abbiamo fatto un discorso molto puntuale, quindi mi sembra che il meccanismo sia confermato.
Inoltre, vorrei sottolineare che chiediamo di inserire già nel 2014 le somme mancanti per chiudere il pregresso del settore, anche perché, come dichiarava il presidente Buzzetti, poi entra in vigore la direttiva europea dei ritardati pagamenti anche per i lavori pubblici, pertanto chiudiamo il pregresso e cerchiamo di partire con un rapporto più civile tra Stato e imprese. Tuttavia, proprio per questo – come diciamo nel nostro documento – insistiamo per una riforma strutturale del Patto di stabilità interno. Infatti, se non rimuoviamo la causa di questo meccanismo rischiamo di ritrovarci con lo stesso problema tra un anno.
Dobbiamo poi dire che, nel meccanismo di contabilizzazione, una spesa di parte corrente viene contabilizzata in termini sia di competenza sia di cassa, dunque è in automatico dentro il deficit; invece, per una spesa in conto capitale, per esempio dei comuni, vengono stanziate delle risorse in bilancio, si fa una gara, magari pluriennale, con i suoi tempi di realizzazione, poi, nel momento in cui viene imputata, c’è la copertura in termini di competenza ma non risulta nel deficit finché non si paga. Quando si va a pagare, la spesa esce fuori ed aumenta il deficit. Questo è un meccanismo che non può funzionare.
Sotto questo aspetto occorre dire che il Patto di stabilità, che era nato qualche decennio fa per rispondere a un'emergenza, deve essere modificato. Nel documento abbiamo indicato questo elemento, puntando a un equilibrio di parte corrente, con un limite all'indebitamento di parte capitale e, poi, nel momento in cui l'amministrazione sa qual è lo spazio e attiva le risorse, si sa quali sono i pagamenti, che devono essere al di fuori di un vincolo. Infatti, il paradosso che ha sorpreso l'Ecofin europeo è che noi abbiamo un Patto di stabilità che produce un avanzo di cassa. Sono rimasti sorpresi del fatto che i nostri comuni avevano giacenze di tesoreria, ma non potevano pagare le imprese per i debiti contratti. Per questo, abbiamo insistito affinché ci fosse una soluzione. Per fortuna, stiamo andando in quella direzione ma tali aspetti rimangono fondamentali.
Come ha ricordato il presidente Buzzetti, in Spagna hanno pagato 27 miliardi di euro in cinque mesi, mentre noi abbiamo pagato 3 milioni di euro in otto mesi. Se non si mette in moto il meccanismo del Patto di stabilità come si sta facendo con questo decreto, l'anno prossimo ci troveremmo dunque da capo a dodici. Credo che questo sia un aspetto determinante.
Infine, sul DURC la norma già prevede la compensazione e manca soltanto il decreto attuativo. Quindi, nella norma dovremmo inserire dei meccanismi affinché quella già esistente possa mettere in moto questo sistema, visto che questo rappresenta un grande problema per le nostre imprese.
PAOLO BUZZETTI, Presidente dell'ANCE. Vorrei fare una considerazione di natura non tecnica. Siccome conosco la maggior parte dei presenti, mi complimento con voi e spero che queste Commissioni rimangano con questi componenti perché sono contento della qualità degli interventi e del livello dei componenti. Poi vi disperderete in mille Commissioni, invece quando state tutti insieme c’è un livello tecnico molto elevato.
Con molti di voi abbiamo avuto ragionamenti e discussioni a livello sia nazionale sia locale, come ricordava l'onorevole Polverini; all'onorevole Lanzillotta abbiamo invece prestato attenzione in un momento drammatico, ma di maggiori speranze, quando ha risanato il bilancio del Comune di Roma e ci disse di stare buoni proprio per rimettere tutto Pag. 30a posto. Insomma, siete persone tecniche, competenti e ragionevoli: vi prego, pertanto, di ridare una speranza al Paese. Questo è il momento giusto: restate tutti insieme. So, però, che ho detto una cosa impossibile.
PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri auditi della preziosa collaborazione e prendiamo le ultime parole del presidente Buzzetti come un complimento alle persone, evitando di aprire un dibattito costituzionale.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 18,40.