XVII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 24 di martedì 28 maggio 2013
Pag. 1PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI
La seduta comincia alle 15,10.
CLAUDIA MANNINO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Gregorio Fontana, Meta, Pes, Gianluca Pini e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantesei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge Mogherini ed altri; Spadoni ed altri; Migliore ed altri, Bergamini ed altri, Giorgia Meloni ed altri: Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011 (A.C. 118-878-881-940-968-A).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge Mogherini ed altri; Spadoni ed altri; Migliore ed altri, Bergamini ed altri, Giorgia Meloni ed altri: Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011 (A.C. 118-878-881-940-968-A).
Ricordo che nella seduta del 27 maggio 2013 si è conclusa la discussione sulle linee generali e la relatrice e la rappresentante del Governo sono intervenute in sede di replica.
Avverto che, secondo quanto convenuto nella riunione di ieri della Conferenza dei presidenti di gruppo, a partire dalle ore 16 avranno luogo le dichiarazioni di voto finale con ripresa televisiva diretta.
Avverto altresì che la Commissione bilancio ha espresso il prescritto parere sul testo del provvedimento, che è in distribuzione (Vedi l'allegato A – A.C. 118-A ed abbinate).
Preavviso di votazioni elettroniche (ore 15,16).
PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono Pag. 2da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Si riprende la discussione.
(Esame degli articoli – A.C. 118-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli articoli del testo unificato della Commissione.
Poiché non sono state presentate proposte emendative, li porrò direttamente in votazione.
Passiamo all'articolo 1 (Vedi l'allegato A – A.C. 118-A ed abbinate). Ha chiesto di intervenire per dichiarazione di voto la deputata Vincenza Bruno Bossio. Ne ha facoltà.
VINCENZA BRUNO BOSSIO. Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, c’è una drammatica coincidenza tra l'avvio della discussione su una ratifica così strategica quale quella che avverrà con il voto di oggi e la terribile morte di Fabiana, giovane della mia terra che ieri abbiamo ricordato. Ma sappiamo che questa coincidenza forse non è nemmeno casuale, perché c’è da tempo una guerra silenziosa, in Italia e non solo in Italia, ma che, intanto, in Italia ha mietuto oltre 100 vittime in meno di un anno.
Io non so se sia giusto o cacofonico questo termine «femminicidio», ma la violenza sulle donne, commessa dal marito, dal fidanzato, dall'amante, da chi è più vicino alla propria compagna di vita e poi finisce per brutalizzarla, è in ogni caso un segnale allarmante. Con una certezza – ed è importante anche alla luce del discussione che c’è stata ieri rispetto alla mia terra –: non esistono, purtroppo o per fortuna, distinzioni razziali, religiose, sociali, quando si parla di femminicidio. Forse addirittura, se andiamo a vedere il dossier della «Casa delle donne» di Bologna, la maggioranza di questi delitti avviene nelle regioni anche del Nord, ed è italiano il 73 per cento degli assassini.
Una guerra invisibile, dunque, per cui le vittime hanno una sola colpa: quella di essere donne. Vorrei ricordare, a proposito di quello che ancora oggi c’è nel nostro Paese, che solo nel febbraio 1996 si è affermato, con la legge n. 66, che lo stupro è un crimine contro la persona. Fino a quella data era ancora in vigore l'odiosa sezione del codice Rocco, per il quale la violenza ledeva soltanto la moralità pubblica. Sono trascorsi, quindi, meno di vent'anni e una legge non può cambiare la storia, però serve, come serve oggi mettere quest'altro tassello, ovvero incardinare la violenza contro le donne come violenza dei diritti umani.
La storia però – questo lo vorrei ricordare – continuano a cambiarla le donne, e vorrei ricordare un'altra donna calabrese, giovane e coraggiosa, Denise, la figlia di Lea Garofalo, sciolta nell'acido per essersi opposta alla doppia oppressione del marito e della mafia (Applausi).
Dobbiamo cambiarla tutti noi questa storia, riuscendo ad attivare, concentrandoci successivamente sulla ratifica di misure per rendere esecutive queste iniziative che stiamo approvando, dal finanziamento ai centri donna, dall'assistenza legale, alle case di accoglienza. Ma dobbiamo soprattutto attuare una grande mobilitazione culturale, introducendo anche la cultura di genere nella formazione scolastica, ma soprattutto riuscendo a far passare la cultura delle differenze, affinché i nostri figli imparino a conoscere ed a rispettare la donna e il suo corpo, ed il femminicidio diventi il ricordo di un'epoca lontana.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cirielli. Ne ha facoltà.
EDMONDO CIRIELLI. Signor Presidente, colleghi, intervengo innanzitutto per confermare, come è già stato detto in Commissione e come ribadirà l'onorevole Meloni, il nostro sostegno forte a quest'iniziativa, e un ringraziamento alle Commissioni per avere rapidamente affrontato il tema ed essere giunti in Aula in maniera Pag. 3così tempestiva su un argomento che, purtroppo, oltre l'importanza morale che ha in sé, si sta rivelando drammaticamente attuale per una serie di gravissimi episodi di criminalità, che hanno colpito le donne in quanto tali e che ci lasciano davvero inorriditi.
A questo proposito è inutile ricordare – ma lo rammento per quanto voglio dire – che la Convenzione ha l'obiettivo di creare un quadro normativo completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, grazie chiaramente ad una serie di misure di prevenzione, di tutela – in sede giudiziaria innanzitutto –, di sostegno alle vittime, e chiaramente, come è stato detto anche da chi mi ha preceduto, un quadro di politiche sociali idoneo a sradicare questa cultura assai negativa.
In questo contesto la V Commissione (bilancio), come ho già avuto modo di segnalare, ha espresso una condizione che è stata recepita nell'articolo 3 del testo e mi riferisco esattamente alla clausola di neutralità finanziaria, per effetto della quale le misure amministrative necessarie all'attuazione e all'esecuzione della Convenzione sono assicurate con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Senonché la stessa V Commissione (bilancio) chiaramente specifica che eventuali nuovi o maggiori oneri derivanti da tali misure, saranno per forza quantificabili solo all'atto dell'adozione delle misure stesse, allorquando sarà determinata l'esatta configurazione delle fattispecie eventualmente e chiaramente onerose e ne sarà prevista la necessaria copertura finanziaria.
Dietro questo giro di parole, voglio dire che noi siamo vivamente preoccupati che in un'epoca di spending review imposta prima da Tremonti e poi da Monti, e proseguita da questo Governo, possa essere rischiosa l'attuazione reale di questa Convenzione. A parte la brutta figura internazionale – che è pure importante – ci preme in maniera particolare l'impatto reale. Quello che vorrei dire al Governo e alla maggioranza – ma in maniera particolare al Governo – è di mettere in campo con chiarezza subito tutte le misure idonee a reperire quelle risorse fondamentali.
Se non si facesse un intervento serio e, magari, per gettare un po’ di fumo negli occhi, si introducesse soltanto un incremento di pena – che poi, lo sappiamo, in Italia nessuno sconta per tutta una serie di diavolerie, di sistemi alternativi alla detenzione, amnistie, indulti, che sono temi molto sensibili per l'attuale maggioranza – credo che faremmo una cosa grave.
Allora, l'impegno che chiediamo al Governo è quello di indicare con chiarezza, con priorità, l'adeguato appostamento finanziario per far sì che la lotta contro il femminicidio, l'attuazione della Convenzione di Istanbul, sia un fatto reale, concreto, pieno di contenuti, volto a cambiare questa vergogna mondiale che purtroppo colpisce anche l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Valente. Ne ha facoltà.
VALERIA VALENTE. Gentile Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, la brevità del tempo a disposizione mi impone di andare direttamente al punto. Pensare che la violenza alle donne sia oggi solo il frutto di una odiosa, ennesima forma di discriminazione, il risultato di un retaggio culturale che affonda le sue radici nell'antico squilibrio tra i generi, non è di per sé da solo più sufficiente.
Il problema è che di fronte alla nuova identità e alla nuova consapevolezza di sé che le donne, a fatica e nel tempo, hanno conquistato, gli uomini si sono trovati impreparati e sono stati così costretti a fare i conti con una crisi d'identità che spesso, troppo spesso, degenera in insofferenza, violenza e aggressività e determina l'impossibilità di costruire un equilibrio di coppia sano soprattutto nella sfera amorosa. Il nuovo ruolo sociale e pubblico delle donne, e quindi anche il loro ruolo privato, impongono di riscrivere e di definire un nuovo modello di equilibrio sentimentale e relazionale nella coppia. È evidente che si tratta di un passaggio Pag. 4delicato e difficile, anche perché, essendo legato alla sfera più intima e personale delle persone, va affrontato con responsabilità ma anche con fermezza.
Per una donna che ha subito violenza, chiedere aiuto alle forze dell'ordine significa chiedere a quelle forze di entrare nella propria casa, nella relazione intima che si è scelto liberamente di condividere e costruire con un uomo. Significa chiedere di entrare in quella casa, in quella relazione che sarebbe dovuta essere per la donna fonte di benessere, sicurezza, serenità ed amore...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
VALERIA VALENTE. ...e che invece si è trasformata in una gabbia di violenza e di sopraffazione. Per questo vanno bene tutti gli impegni che ci spinge ad assumere la Convenzione sul fronte della punizione dei reati e della protezione delle vittime, ma va bene ancor di più l'attività di promozione e prevenzione che la stessa Convenzione ci indica come percorso da seguire per affrontare in maniera strutturale il fenomeno. È nelle scuole, nei percorsi educativi e formativi...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
VALERIA VALENTE. ...concludo subito, che dobbiamo rivolgere prioritariamente la nostra attenzione. È lì che con un'opera incisiva, infatti, si può mettere in campo un'opera di rieducazione ai sentimenti e alle corrette relazioni tra i sessi. È lì che si può fare il lavoro più importante (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, la deputata Morani. Ne ha facoltà.
ALESSIA MORANI. Signora Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, oggi compiamo il primo atto importante in un percorso che ci deve accompagnare di qui ai prossimi mesi. Il primo atto è la ratifica della Convenzione di Istanbul; il compito che aspetta ora questo Parlamento, è quello di riempire di contenuti la Convenzione di Istanbul. Riempirla di contenuti significa iniziare con un percorso che accompagni l'educazione delle bambine e dei bambini all'interno delle scuole. Riempirla di contenuti significa preparare figure professionali sanitarie e le forze dell'ordine, perché sappiano trattare i casi che riguardano le donne. Riempirla di contenuti significa finanziare i centri antiviolenza che sono sparsi per l'Italia e che fanno un grande lavoro, spesso silenzioso e male finanziato. Riempirla di contenuti significa dare strumenti di prevenzione dei reati e significa anche inasprire le pene laddove ve ne sia bisogno.
Mai più fatti che sconvolgono come quello che è accaduto alla mia concittadina Lucia Annibali, sfigurata con l'acido. Mai più debbono avvenire questi fatti orrendi in un Paese civile che si chiama Italia, in cui voglio che questo reato orribile finalmente venga perseguito per quello che è stato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Ileana Argentin. Ne ha facoltà.
ILEANA ARGENTIN. Grazie Presidente, un minuto per ricordare quelle donne che spesso vengono dimenticate e cioè le mamme dei ragazzi disabili e le sorelle dei ragazzi disabili, che ogni giorno subiscono violenza, non solo dall'esterno che le rifiuta e le discrimina, ma spesso anche dai loro figli, proprio perché incapaci, spesso, di intendere e volere, e sono quindi portati ad aggredire, spessissimo, la figura materna. Le voglio ricordare, e voglio dire, che la violenza su queste donne è un fatto gravissimo, che noi come Stato abbiamo la responsabilità di colmare tenendo alti i servizi, perché soltanto attraverso i servizi queste donne – ricordo, le sorelle, mai i fratelli e mai i mariti, se non in casi rarissimi – si trovano a sopperire con grandissime difficoltà. Quindi quello che io volevo sottolineare, era soltanto l'importanza di avere una Pag. 5attenzione per queste donne che vivono nell'ombra, e che non potranno mai denunciare né i propri figli, né tantomeno la loro famiglia (Applausi).
PRESIDENTE. Onorevole Argentin, la Presidenza si associa a questo ricordo e a questo pensiero. Grazie.
Avverto che è stata richiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico. Poiché non è ancora decorso il termine di preavviso, sospendo la seduta, che riprenderà alle 15,35.
La seduta, sospesa alle 15,30, è ripresa alle 15,45.
PRESIDENTE. Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 1.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Onorevole Basilio Catanoso... onorevole Calabria... onorevole Rocchi... onorevole Martino Pierdomenico... onorevole Folino... onorevole Amoddio... onorevole Venittelli... onorevole Ventricelli... onorevole Fico... chi altro ? Onorevole Cuperlo... hanno votato tutti ? Onorevole Placido... onorevole Sannicandro... chi altro ? Onorevole Gregori... onorevole Fitto... onorevole Polverini, sta votando ? Onorevole Nardella... onorevole Businarolo... onorevole Giorgetti... onorevole Rampelli... onorevole Luca Lotti... onorevole Bonifazi... onorevole Nesci ... onorevole Boccia... onorevole Russo... se tutti hanno votato... no, non ancora... onorevole Capozzolo... onorevole Pinna... onorevole Chimienti...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Applausi – Vedi votazioni).
(Presenti e votanti 525
Maggioranza 263
Hanno votato sì 525).
(Il deputato Rampelli ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole).
Passiamo all'esame dell'articolo 2 (Vedi l'allegato A – A.C. 118-A ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative.
Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 2.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Cirielli ? Malvezzi ? Ravetto ? De Micheli ? L'onorevole Rampelli ha un problema con il terminale ? E come si fa allora ? Hanno votato tutti ? Per l'onorevole Rampelli stiamo predisponendo, ma dovrò dichiarare chiusa questa votazione. Stiamo predisponendo per la prossima, se non le dispiace.
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni) (Applausi).
(Presenti e votanti 528
Maggioranza 265
Hanno votato sì 528).
(I deputati Rampelli, Benamati, Anzaldi e Manfredi hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole).
Bene, ecco il tesserino per l'onorevole Rampelli.
Passiamo all'esame dell'articolo 3 (Vedi l'allegato A – A.C. 118-A ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Sbrollini. Ne ha facoltà.
DANIELA SBROLLINI. Signora Presidente, voglio prima di tutto ringraziare lei oggi, per la sua forza e la sua sensibilità (Applausi).
PRESIDENTE. Grazie molte per questo omaggio.
Pag. 6 DANIELA SBROLLINI. E voglio ringraziare tutte le colleghe e i colleghi, tutto il Parlamento, la nostra relatrice, l'onorevole Carfagna e il Ministro Idem per il lavoro svolto tutti assieme su questo importante tema. Lo dico, guardate, prima di tutto da donna. Oggi la ratifica della Convenzione è un fatto molto importante, ma è ancora un primo strumento, che ha certamente come obiettivo non solo il contrasto alla violenza contro le donne, ma anche contro ogni forma di discriminazione e il sostegno alle politiche di parità. Io credo però che dobbiamo andare ancora oltre, non dobbiamo fermarci a questa importante ratifica. Servono risposte ancora più forti, urgenti, serve ancora più coraggio e senso di responsabilità.
Oggi serve subito una legge sul femminicidio. Tante di noi hanno già depositato delle proposte di legge in questo senso. Lo dobbiamo prima di tutto alle tante donne che non ci sono più, ai loro familiari, alle tante donne che vivono nel silenzio il dramma della violenza domestica. Noi abbiamo oggi un compito importantissimo e siamo chiamati come parlamentari a questa responsabilità, a non fermarci, ad andare oltre, a cominciare a dire che si può fermare questo dramma quotidiano che vede purtroppo l'Italia al primo posto in Europa, non solo per numero di donne uccise, ma per i tanti tentativi di femminicidio. Dobbiamo allora lavorare sulla prevenzione, prima di tutto nelle scuole, nelle famiglie. Servono operatori sociali e servono operatori delle forze dell'ordine adeguatamente preparati per affrontare questo tema. Ecco perché abbiamo bisogno anche di risorse, abbiamo bisogno di un fondo nazionale per i centri antiviolenza. Oggi riusciamo a coprire solo il 10 per cento del territorio nazionale.
Serve un fondo permanente, un fondo certo, non soggetto ai continui cambi di Governo. Allora dico da quest'Aula fermiamo questa violenza, diamo all'Italia finalmente una legge seria, severa, amica delle donne, amica dei minori. Costruiamo assieme una legge insieme alle tante associazioni e ai tanti mondi che si stanno muovendo anche fuori da queste Aule. È il momento davvero di dire basta. Quindi, voglio ringraziare questo Parlamento e voglio dire: andiamo avanti, dimostriamo di avere coraggio fino in fondo (Applausi).
PRESIDENTE. Passiamo dunque ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 3.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
D'Agostino, Dambruoso...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni – Applausi).
(Presenti 533
Votanti 519
Astenuti 14
Maggioranza 260
Hanno votato sì 519).
Passiamo all'esame dell'articolo 4 (Vedi l'allegato A – A.C. 118-A ed abbinate), al quale non sono state presentate proposte emendative. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Rotta. Ne ha facoltà.
ALESSIA ROTTA. Signora Presidente, colleghe e colleghi, non ripeterò nel mio intervento quanto sostenuto con argomenti importanti nel vivace e serio dibattito di questi giorni, una discussione – lo ricordiamo – ricca e complessa su un tema che, finalmente, a pieno titolo, entra nel confronto politico, perché condivido, infatti, tutti gli aspetti che sono stati sollevati, ieri e anche oggi, del tema, il cuore della Convenzione che stiamo per ratificare, in particolare la necessità di un'azione, non solo legislativa, di analisi del fenomeno a partire dalla considerazione della donna, la necessità di superare la subalternità economica oltre che sociale in senso lato, l'adozione di politiche rivolte anche gli uomini di cui la legislazione Pag. 7spagnola rappresenta un modello e un caso di studio anche per i risultati che già sono stati ottenuti.
Solo un paio di precisazioni mi premono per rafforzare la serietà, l'importanza e, vorrei dire, la gravità di quanto stiamo qui dibattendo e decidendo. Prima di tutto, su quanto è stato detto e scritto ieri circa l'Aula semideserta. È certo che ci auguriamo una partecipazione piena e attiva, ma vogliamo ricordare anche che ieri era la giornata delle elezioni amministrative e che la politica è anche lì, a sostenere i candidati che si occupano di politica e di sostegno alla stessa causa (Applausi), la stessa causa, quella contro la violenza nei confronti delle donne.
Brevemente, la seconda annotazione di merito che vorrei sottolineare è la natura non routinaria, non solo formale e non solo di immagine della ratifica della Convenzione di Istanbul. Al contrario, se leggiamo con attenzione la stessa Convenzione comprendiamo come quello che sta compiendo oggi il Parlamento sia un atto di coraggio, di serietà, proprio in ragione dei comportamenti attivi e vincolanti, degli oneri che ci vengono richiesti.
Naturalmente, non voglio dilungarmi a ricordare i vincoli e le sanzioni previste dalla Convenzione e, persino, il consistente apparato di risorse, anche economiche – lo ricordava prima il collega Cirielli –, particolarmente impegnative e necessarie per il rispetto della Convenzione, che ci obbliga, invece, a comportamenti costanti per un obiettivo ambizioso, molto ambizioso, quale è il cambiamento di una cultura, il ritorno, il ripristino di valori di rispetto che, forse, una volta c'erano.
Il cambiamento della cultura di un'intera società, dunque, in cui antiche ed errate convinzioni circa i rapporti intrafamiliari, nei rapporti tra uomo e donna, si saldano oggi con la rabbia e le emergenze del nostro tempo; se, come stiamo assistendo, sempre più sono giovani uomini – di più, ragazzi minori –, a compiere violenza, senza incontrare ostacoli né morali, né sociali, né legali. E, quindi, dovremmo imparare noi tutte, cittadine e cittadini, che la violenza non è solo quella fisica, ma è anche quella psicologica; non è solo femminicidio, ma è fatta di percosse, minacce ripetute, ferite fisiche e morali.
Un ultimo aspetto: in questa battaglia culturale, credo che la trasversalità e la compattezza del Parlamento oltre gli schieramenti partitici rappresentino una forza inedita (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Scotto. Ne ha facoltà.
ARTURO SCOTTO. Signora Presidente, signori del Governo, signori deputati, noi oggi, con una celerità straordinaria, diamo piena attuazione ad un impegno che avevamo acquisito all'inizio della legislatura su forte impulso della Presidente Boldrini. E dare piena attuazione alla Convenzione di Istanbul è un segnale di un Paese che esce dall'angolo. Allo stato, sono solamente quattro i Paesi che hanno proceduto alla ratifica: Albania, Montenegro, Repubblica Ceca, Turchia. Noi siamo il quinto e possiamo andare nei prossimi giorni in Europa, fieri di una posizione che ci vede più avanti anche di tanti alleati che hanno accumulato ritardi e che, tante volte, hanno utilizzato la matita rossa e blu nei nostri confronti.
Chiediamo al Governo di farsi portavoce in tutte le sedi affinché si acceleri la ratifica della Convenzione e che questa divenga una carta fondamentale dell'Europa, perché l'Europa, se deve essere solo un vincolo, non può esserlo soltanto sul terreno finanziario ed economico, ma anche e soprattutto su quello politico e culturale. E l'Europa deve adottare come parametro, oltre al deficit, anche le politiche contro le discriminazioni e la violazione dei diritti umani. Anche così cambiamo l'Europa e la rendiamo uno spazio dei diritti.
E, poi, questo voto per noi – lo dico, forse, con un'espressione un po’ forte –, per noi uomini, non può essere una forma Pag. 8di autoassoluzione. Dobbiamo cominciare a ribaltare lo sguardo: dobbiamo guardare bene cosa c’è scritto dentro la Convenzione e guardare cosa c’è scritto all'articolo 16 della Convenzione, dove si dice che molte delle misure di carattere legislativo devono essere dirette a istituire e sostenere programmi rivolti agli autori degli atti di violenza domestica.
Bisogna lavorare e agire sulla prevenzione e sulla sensibilizzazione, così come fanno «Il Cerchio degli uomini» di Torino piuttosto che «Maschile Plurale» di Roma; ribaltare lo sguardo, lavorare su di noi, evitare forme di distrazione verso quello che non è più un fenomeno parziale, non è più semplicemente un'emergenza, ma rischia di essere un elemento strutturale dei rapporti di genere, quello che passa sotto il nome di femminicidio, che ogni anno miete tantissime vittime e produce un elemento di arretramento primitivo nei rapporti tra uomini e donne nel nostro Paese. Allora, lavoriamo in tempi rapidi perché anche al Senato la Convenzione sia ratificata e l'Italia possa lavorare finalmente su questo terreno in maniera molto più forte, in tutti i contesti, a partire dal contesto europeo (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico).
PRESIDENTE. Passiamo ai voti.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 4.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Spadoni, Malpezzi, Paris, Gnecchi...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni – Applausi).
(Presenti e votanti 536
Maggioranza 269
Hanno votato sì 536).
(La deputata Pes ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto favorevole)
(Esame degli ordini del giorno – A.C. 118-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati (Vedi l'allegato A – A.C. 118-A ed abbinate).
Avverto che sono in distribuzione ulteriori ordini del giorno rispetto a quelli già contenuti nel fascicolo pubblicato. Avverto, inoltre, che sono in distribuzione le nuove formulazioni degli ordini del giorno Faraone n. 9/118-A/2, Molteni n. 9/118-A/11 e Nardella n. 9/118-A/13.
Avverto, infine, che l'ordine del giorno Binetti n. 9/118-A/3 è stato sottoscritto anche dalla deputata Vezzali e che l'ordine del giorno Roccella n. 9/118-A/7 è stato sottoscritto anche dalla deputata Dorina Bianchi.
Se nessuno chiede di intervenire per illustrare gli ordini del giorno, invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sugli stessi.
MARTA DASSÙ, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente Boldrini, il Governo esprime parere favorevole su tutti gli ordini del giorno. Gli ordini del giorno sono 13, sono, nel loro insieme, un'ulteriore dimostrazione della straordinaria unità di intenti che muove Governo e Parlamento su una questione così rilevante per il futuro delle nostre società, per i diritti e la protezione delle donne in ambito nazionale, europeo ed internazionale.
Come Viceministro degli esteri posso confermare che il Governo si impegnerà in un'azione costante nelle sedi internazionali, multilaterali e bilaterali, per sollecitare ulteriori ratifiche. Come è stato appena detto, giustamente, una ratifica dell'Italia cambia le cose: apre la via a quelle ulteriori ratifiche necessarie perché la Convenzione di Istanbul entri in vigore.
Mi dispiace che oggi non possa essere qui la signora ministro Josefa Idem che partecipa in queste ore al funerale di Fabiana Luzzi. Non potrebbe esserci una occasione più drammatica, tutto il Governo e quest'Aula si stringe attorno alla Pag. 9famiglia di Fabiana, ai suoi cari (Generali applausi – L'Assemblea e i membri del Governo si levano in piedi).
Vi ringrazio e penso che questa vostra dimostrazione conti quanto il lavoro che abbiamo appena fatto; è un'occasione, la più drammatica che potessimo immaginare, è anche un'occasione altamente simbolica per l'approvazione in questa Aula della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Io ringrazio molto le Commissioni, ringrazio i deputati e le deputate che sono intervenuti oggi, ringrazio la Presidente Boldrini, il Governo farà il suo dovere. Grazie (Applausi).
PRESIDENTE. Prendo atto che i presentatori non insistono per la votazione degli ordini del giorno Murer n. 9/118-A/1, Faraone n. 9/118-A/2 (Nuova formulazione), Binetti n. 9/118-A/3, Spadoni n. 9/118-A/4, Villecco Calipari n. 9/118-A/5, Carfagna n. 9/118-A/6, Roccella n. 9/118-A/7, Di Vita n. 9/118-A/8, Buttiglione n. 9/118-A/9, Gigli n. 9/118-A/10, Molteni n. 9/118-A/11 (Nuova formulazione), Rondini n. 9/118-A/12 e Nardella n. 9/118-A/13 (Nuova formulazione), accettati dal Governo.
È così esaurito l'esame degli ordini del giorno.
(Dichiarazioni di voto finale – A.C. 118-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale. Ricordo che, secondo quanto convenuto dalla Conferenza dei presidenti di gruppo, lo svolgimento delle dichiarazioni di voto finale avrà luogo con ripresa televisiva diretta.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Pia Elda Locatelli. Ne ha facoltà per due minuti.
PIA ELDA LOCATELLI. Signor Presidente, approvando il disegno di legge per la ratifica della Convenzione di Istanbul, la Camera segna una pietra miliare nella storia dei diritti delle donne. Questa Convenzione è importante perché costituisce il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che definisce un quadro normativo completo a tutela delle donne contro la violenza, inclusa quella domestica.
Questa Convenzione è importante perché interviene sul piano non solo della repressione ma su quello della prevenzione, dell'assistenza, della sensibilizzazione culturale e dell'educazione con una attenzione specifica a situazioni di particolare vulnerabilità. È motivo di orgoglio essere tra i primi a ratificare la Convenzione, dobbiamo fare presto ma dobbiamo fare bene, realizzando tutto quanto è utile ad evitare che questo atto si riduca a pura operazione di immagine.
Tale sarebbe se si lasciasse immutata la legislazione vigente.
Il sistema italiano di contrasto alla violenza di genere presenta significative criticità: manca un quadro legislativo nazionale, manca una politica organica di riferimento e di sostegno finanziario, manca il recepimento di quattro direttive europee indispensabili. Chiediamo quindi di adeguare quanto prima l'ordinamento italiano agli standard internazionali e comunitari, e di adottare in tempi brevi ogni iniziativa utile a dare impulso alla realizzazione di una organica politica nazionale che garantisca i diritti umani e delle donne.
Vorrei infine richiamare l'attenzione sulla nota verbale che il precedente Governo ha depositato all'atto della firma della Convenzione. Con essa il Governo ha dichiarato che applicherà la Convenzione nel rispetto dei principi e delle previsioni costituzionali, non accettando la definizione contenuta nella Convenzione del termine «genere», inteso come «ruoli, comportamenti, attività, attributi socialmente costruiti, che una determinata società considera appropriati per donne e uomini». Il Governo precedente ha ritenuto che questa definizione presentasse profili di criticità con l'impianto costituzionale italiano, e mi è difficile capire questa posizione.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
Pag. 10PIA ELDA LOCATELLI. Ancora una volta invito il Governo attuale a ritirare la nota verbale, e che così la nostra ratifica sia piena, limpida, senza ombre o riserve di alcun genere (Applausi dei deputati del gruppo Misto).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Roberto Capelli. Ne ha facoltà.
ROBERTO CAPELLI. Signor Presidente, colleghi, mi chiedevo come possa essere possibile articolare una dichiarazione di voto che non sia il mero svolgimento di un rituale. Nel contempo, mi chiedevo chi può addurre, in Aula e fuori, delle motivazioni che portino a non condannare la violenza contro le donne, i bambini, cioè nei confronti delle parti deboli, socialmente e non solo, della famiglia e della società.
Nello stesso tempo esprimere l'unanimità su questo provvedimento non può essere un atto esso stesso formale e rituale. In sede di discussione sulle linee generali si è detto di tutto in Aula, e ci si è ripetuti anche in sede di dichiarazione di voto; e mentre si condannano atti contro le donne, e si commettono e si continuano a commettere omicidi, femminicidi (non ultimo appunto quello già ricordato della povera Fabiana), i media, rimproverati dall'Aula, e con titolo, da alcuni dei colleghi e delle colleghe, continuano a far scorrere immagini della donna in vendita, continuano a vendere anche sulla carta patinata e sulla carta stampata il prodotto donna.
Tutto ciò dopo il Piano nazionale del 2010 approvato in Italia contro la violenza sulle donne, che si basava allora sui dati ISTAT del 2007: in base ai quali in Italia si era in presenza allora di oltre 6 milioni di atti di violenza commessi ai danni delle donne tra i 16 e i 70 anni, e che nessuna denuncia di quei 6 milioni e oltre di atti di violenza era stata fatta.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
ROBERTO CAPELLI. Fu quello un passo importante per la nostra nazione, ma ad esso non si diede seguito. Dobbiamo allora dare seguito invece alla ratifica della Convenzione di Istanbul, affinché non rimanga un atto vuoto e non produttivo di azioni a favore della protezione delle vittime, ma anche dell'inasprimento delle pene nei confronti degli omicidi. Il Centro Democratico ha infatti presentato una legge che commina la pena dell'ergastolo a chi si macchia del reato di femminicidio o di omicidio nei confronti dei bambini, ed aumenta inoltre le pene previste per lo stalking.
Ma c’è un particolare, col quale vorrei concludere. Il nostro messaggio non è sicuramente rivolto alle donne: è rivolto a noi, a noi uomini. Siamo noi che dobbiamo cambiare ! Nessuno di noi può pensare che il cambiamento debba essere concedere «campo» alle donne.
Nessuna concessione: dobbiamo entrare nell'ordine di idee che è arrivato il momento di pagare un debito millenario, e ancora il percorso è lungo ed è appena iniziato (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Centro Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Gebhard. Ne ha facoltà.
RENATE GEBHARD. Signor Presidente, la ratifica e l'attuazione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica è un impegno del Parlamento, che ha come obiettivo l'introduzione di atti giuridicamente vincolanti in sede internazionale, che possono concorrere a determinare un quadro normativo efficace a tutela delle donne.
La Convenzione afferma – ed è il punto fondamentale, a nostro giudizio – che la violenza nei confronti delle donne è una violazione dei diritti umani, è un principio che, se riconosciuto sotto il profilo giuridico e culturale, rappresenta un vincolo a che non esistano ambiti nei quali possa essere inesistente, o anche soltanto attenuato, il contrasto verso atti persecutori e discriminatori nei confronti delle donne. Pag. 11La particolare attenzione dedicata dalla Convenzione alla lotta verso la violenza domestica che colpisce la donna è, a tale proposito, l'indicazione esplicita a rafforzare le tutele giuridiche anche in ambito familiare, al fine di prevenire i crimini di cui le donne sono vittime. Riteniamo, in questa prospettiva, che si debba procedere a un rafforzamento della normativa relativa allo stalking, dopo l'introduzione nel codice penale dell'articolo 612-bis, in ordine al delitto di atti persecutori per quel che riguarda la fattispecie per le quali si possa procedere non solo a querela di parte e, più in generale, alla necessità di più estese misure di prevenzione, senza le quali gli atti di stalking sono stati – e sono sempre – la condizione drammatica e spesso inascoltata che porta all'isolamento e all'uccisione di donne.
Il voto del Parlamento rappresenta un dovere per il Governo ad assumere le iniziative necessarie in sede europea, fino al Consiglio europeo di giugno, affinché il processo di ratifica da parte degli Stati firmatari avvenga in tempi brevi e consenta l'entrata in vigore della Convenzione.
Per queste ragioni, esprimiamo il nostro voto favorevole alla ratifica della Convenzione (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Minoranze Linguistiche).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Meloni. Ne ha facoltà.
GIORGIA MELONI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, preannunzio il voto convinto e favorevole di Fratelli d'Italia alla ratifica e all'esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
Ogni anno regolarmente la violenza sulle donne viene definita dalle Nazioni Unite o da qualche organizzazione nazionale, come Amnesty International, un flagello mondiale. Parliamo della violazione dei diritti umani più diffusa e, paradossalmente, forse, proprio per questo, meno conosciuta nel mondo. Il motivo è semplice: quando ci si abitua a qualcosa, perfino alla violenza, si finisce per sminuirne l'importanza, si arriva addirittura a giustificarla, come noi a volte facciamo, giustificando alcune forme di violenza contro le donne con un contesto distorto di usi e tradizioni popolari. Si smette di riconoscerla e, alla fine, si finisce per smettere di contrastarla. È, più o meno, quello che capita anche di questi tempi, eppure – vedete – i dati dicono proprio questo. La violenza sulle donne, qui e oggi, è ancora la violazione dei diritti umani più diffusa in assoluto.
Come al solito, ci aiutano i dati perché non accade solamente lontano da qui, accade anche in Italia. L'ISTAT ci regala alcuni dati che aiutano a capire la portata del fenomeno. Le donne italiane tra i sedici ed i settanta anni, vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita, sono stimate in quasi 7 milioni. Una donna su tre, tra i sedici ed i settant'anni, è stata vittima nella sua vita dell'aggressività di un uomo. Nel 2012, sono state uccise 124 donne, 31 dall'inizio dell'anno.
E poi c’è l'altro dato drammatico che noi non possiamo non ricordare e, cioè, che sempre secondo l'Istat in Italia, nella quasi totalità dei casi di violenza contro la donna, la donna sceglie di non denunciare. Accade anche nei casi di violenza sessuale. Siamo oltre il 90 per cento di donne che subiscono una violenza sessuale e scelgono di non denunciare.
Vale la pena di ricordare anche che questa violenza è un tipo di violenza che non termina con la fine dell'atto violento. Delle volte, perseguita le vittime anche per tutta la vita, le perseguita per anni, per decenni. Questo dipende anche dalla lungaggine dei processi e dei procedimenti. Insomma, varrebbe la pena di aprire tutto un altro file sul tema della razionalizzazione e della semplificazione del quadro giuridico, ma non è questa la sede.
Voglio dire, però, che io ho citato dei numeri e i numeri aiutano a capire la portata dei fenomeni, però spesso non rendono merito alla sofferenza, perché i numeri sono freddi e le persone non sono numeri e la sofferenza delle persone è Pag. 12qualcosa di diverso da quello che i numeri possono raccontare. Allora, forse vale la pena anche di ricordare qualche persona, qualche storia, che è nascosta dietro quelle statistiche.
È stata ricordata qui, dal rappresentante del Governo, Fabiana, 16 anni, che tenta di strappare dalle mani del suo aguzzino la tanica di benzina con la quale lui le darà fuoco mentre è ancora viva dopo averla accoltellata. Vale la pena, forse, di ricordare Monia, 19 anni. Viene uccisa, chiusa in sacchi della spazzatura e gettata sotto un ponte. È una storia accaduta anni fa se non fosse che è tornata alla ribalta perché l'Agenzia delle entrate ha pensato bene di mandare ai genitori una richiesta di 2.000 euro per il deposito della sentenza con la quale è stato condannato il suo assassino, che risulta nullatenente. E io ho presentato su questo un'interrogazione parlamentare al precedente Governo che, tristemente, non ha mai ricevuto risposta. Non lo dico tanto per me, lo dico per la mamma di Monia, Gigliola, che con me ha atteso una risposta a quell'interrogazione. O, forse, si potrebbe parlare di Carolina, 14 anni. Viene violentata, la violentano in gruppo, la riprendono, mettono il video su Internet. Lei non sopporta la vergogna e si getta dal terzo piano di casa sua.
Dunque, sembra impensabile che queste cose possano accadere da noi, in quella che ama definirsi una civiltà, che possa accadere oggi. Pare incredibile, perché questi episodi di cronaca e i tanti altri che noi potremmo raccontare – ripeto: le cose vanno raccontate con la vita delle persone, non solamente con i numeri – raccontano di una cultura diffusa in cui la donna e l'uomo non sono affatto uguali, in cui basta un rifiuto per innescare un omicidio, in cui il più forte fisicamente pensa ancora di poter imporre la sua supremazia con la forza fisica anche se, in verità, noi sappiamo bene che dimostra così la sua debolezza perché, come tutti sanno, la violenza, in qualunque forma si manifesti, è sempre un'implicita ammissione di inferiorità. Forse è questo che culturalmente noi dovremmo tentare di raccontare e trasferire, soprattutto ai giovani.
Pare incredibile eppure è così, e in questo quadro la ratifica di questa Convenzione può rappresentare uno strumento estremamente efficace di contrasto, perché la Convenzione è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, perché crea un quadro completo di norme per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza. Un quadro che è incentrato sulla prevenzione, sulla protezione delle vittime e sul perseguimento dei trasgressori. È un insieme di nuovi reati, di regole, di strumenti di controllo e di servizi a sostegno delle vittime, purché chiaramente noi diamo seguito alle prescrizioni che sono contenute nella Convenzione. È stato già detto dai colleghi e, quindi, non mi ripeto. Però, sicuramente la valutazione che faceva il collega Cirielli sul parere dato dalla Commissione bilancio, che ci dice che le misure necessarie all'attuazione dell'esecuzione sono assicurate con risorse disponibili a legislazione vigente, insomma rischia di significare che le risorse non ci sono. E, quindi, su questo, auspico una maggiore attenzione da parte del Governo. Lo dico, insomma, ai rappresentanti del Governo che sono in Aula, perché potrebbe non fare la differenza. Altrimenti noi rischiamo, diciamo così, di accogliere delle questioni di principio senza dare loro il necessario seguito.
E soprattutto, però, la Convenzione ci offre un approccio culturale al problema che, a mio avviso, è nuovo e molto importante perché per la prima volta la Convenzione ci consente di affrontare la questione in un'ottica globale.
Io penso che questo sia l'elemento più importante, perché avere il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante non significa soltanto armonizzare la normativa nelle nazioni e tra le nazioni, ma significa soprattutto stabilire il principio universale che la violenza contro le donne, di qualunque genere sia, è e rimane una violazione dei diritti umani e che, in nessun caso, può essere coperta, mistificata, giustificata, banalizzata sotto Pag. 13la voce usi, costumi e tradizioni locali, come a volte abbiamo visto e sentito.
Ci sono pratiche che ancora sopravvivono in molte aree del mondo, neanche tanto lontano da qui, che è incredibile pensare siano ancora così diffuse. Penso alla pratica delle mutilazioni genitali femminili: tre milioni di donne le subiscono ogni anno, significa ottomila ragazze al giorno. Secondo l'OMS tra 100 e 140 milioni di donne sono state vittime di questa pratica. Non è che accada solamente molto lontano, accade anche in Europa, le stime del Parlamento europeo parlano di circa 500 mila donne che hanno subito mutilazioni genitali, circa 180 mila le rischiano ogni anno. Ci sono forme di violenza apparentemente meno drammatiche, che sono molto diffuse e che noi a volte non abbiamo forse affrontato adeguatamente proprio per un malinteso concetto di rispetto delle tradizioni. Penso al tema del matrimonio forzato.
La Convenzione prevede di inserire negli ordinamenti giuridici nazionali reati che coprono tutti i casi di violenza contro le donne e questo può fare la differenza, perché propone di farlo con uno strumento globale che non escluda nessuna area del pianeta dalla necessità di sancire il principio che la violenza sulle donne è un atto criminale.
Ora noi sappiamo che la Convenzione per entrare in vigore ha bisogno della ratifica di almeno dieci Stati firmatari, di cui otto che facciano parte del Consiglio d'Europa. Sappiamo che hanno sottoscritto la Convenzione ventinove nazioni e che solo quattro hanno proceduto alla ratifica. Io penso che il fatto che la sottoscrizione della Convenzione sia aperta anche agli Stati che non fanno parte del Consiglio d'Europa – e mi avvio alla conclusione, Presidente – rappresenti l'elemento sul quale noi ci dobbiamo concentrare, perché la Convenzione può diventare e deve diventare uno strumento il più possibile diffuso e condiviso. La sfida non è tanto rendere omogenea la legislazione delle nazioni che già combattono la violenza contro le donne. La sfida è coinvolgere sempre più e sempre meglio quelle aree del pianeta nelle quali sopravvivono convinzioni e usi odiosi. Penso che sia questa la nostra sfida ed è anche la richiesta che facciamo al Governo.
La sfida è esportare questo modello, ed è una responsabilità che abbiamo soprattutto noi che siamo una nazione all'avanguardia nelle normative sulla violenza contro le donne. Particolarmente il lavoro che fece il Governo di centrodestra, ma con un grande consenso bipartisan, ci rende tra le nazioni che hanno già una legislazione molto vicina a quella che la Convenzione prescrive.
Penso che – e concludo davvero – l'approccio bipartisan che ha caratterizzato nella scorsa legislatura la legge sullo stalking e il Piano nazionale antiviolenza e, in questa legislatura, l'approvazione della Convenzione, raccontino di una capacità della politica di mettere alcune questioni al di sopra degli interessi di parte e di partito, per dare un segnale che ci sono dei temi sui quali si marcia insieme, anche se mi consenta un'ultimissima nota polemica, Presidente. Ho notato che anche in questo dibattito di ieri e oggi sono soprattutto le colleghe donne ad intervenire. Lo facciamo volentieri per carità, però tradisce un problema culturale, perché la violenza contro le donne non è un problema delle donne in Italia, è un problema di questa società. O noi capiamo che è un problema di questa società nel suo complesso o non metteremo mai le basi culturali per affrontare e vincere davvero la guerra contro la violenza sulle donne (Applausi).
PRESIDENTE. Condivido in pieno, onorevole Meloni.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Molteni. Ne ha facoltà.
NICOLA MOLTENI. Signor Presidente, mi fa particolarmente piacere da uomo intervenire in merito a questo dibattito e alla ratifica di questa importante Convenzione per la prevenzione e il contrasto alla violenza sessuale. Lo faccio annunciando sin da subito, in modo convinto, pieno e totale, il voto favorevole da parte del Pag. 14gruppo della Lega Nord ad una Convenzione necessaria, ad una Convenzione doverosa, ad una Convenzione utile, all'interno della quale vi sono principi, valori, benefici che noi riteniamo assolutamente indispensabili, in modo particolare per il contesto e per il momento in cui l'approvazione di questa importante ratifica si colloca.
Mi riferisco ovviamente ai fatti di quotidianità a cui, purtroppo e drammaticamente, siamo chiamati a dover assistere e rispetto ai quali colgo l'occasione, a nome mio e a nome del gruppo della Lega Nord, per esprimere solidarietà, vicinanza e una ferma condanna per i fatti drammatici e criminali, partendo proprio dall'uccisione in modo efferato di Fabiana, a cui ovviamente associamo tutte quelle donne, tutte quelle ragazze che sono state oggetto di episodi tanto criminali che vanno drammaticamente condannati e rispetto ai quali noi chiediamo e crediamo che una normativa di riferimento penale particolarmente rigida, dura e severa sia assolutamente doverosa.
Quindi, votiamo favorevolmente rispetto a questa Convenzione, nella convinzione che questa Convenzione non deve essere l'approdo finale di un percorso virtuoso che questo Parlamento ha avviato, ma deve essere l'avvio di politiche serie di sostegno contro e per il contrasto alla violenza sessuale.
E quindi non basta l'accoglimento dei principi che sono contenuti nella Convenzione, non basta accogliere e raccogliere lo spirito di questa Convenzione.
Io credo, e noi crediamo, che, proprio per la presenza e l'attenzione che il Ministro e il Governo hanno riversato su questo tema, bisognerà passare in tempi rapidi, con la stessa rapidità con cui le Commissioni prima, e il Parlamento poi, hanno avviato questo processo di ratifica, a fatti concreti; chiediamo al Governo che passi dalle parole importanti che sono state pronunciate a dei fatti, a dei fatti concreti proprio per contrastare in maniera seria, in maniera convinta, questo drammatico fenomeno.
Condividiamo, all'interno della Convenzione, gli elementi strutturali della Convenzione stessa. Condividiamo gli aspetti relativi alla prevenzione, alla prevenzione di natura culturale, alla prevenzione di natura sociale, agli aspetti relativi alla sensibilizzazione, agli aspetti relativi all'informazione, agli aspetti relativi all'educazione; educazione che deve avvenire, in modo particolare – come già è stato detto e piace anche a me ricordare – all'interno delle scuole. Bisogna partire dal basso, bisogna ripartire facendo formazione anche da un punto di vista culturale proprio per il rispetto e per la conservazione dell'integrità delle donne.
Importanti sono gli aspetti relativi alla protezione, importanti sono gli aspetti relativi all'assistenza. Per fare tutto ciò però, inevitabilmente, servono le dovute e le doverose risorse necessarie per dare avvio a questi processi virtuosi. E quindi l'impegno del Governo, l'impegno che il Governo si deve prendere in maniera seria, è quello di recuperare le risorse e i finanziamenti necessari, ad esempio, per far sì che i centri antiviolenza, piuttosto che le case-rifugio, possano continuare a svolgere quell'opera e quella funzione di assistenza fondamentali. Assistenza che per noi deve essere rivolta in modo particolare, se non addirittura in modo esclusivo, nei confronti di coloro i quali subiscono la violenza, e non nei confronti di coloro i quali le violenze le esercitano e le perpetuano.
Importante quindi la parte relativa alla prevenzione, rispetto alla quale la Convenzione dedica molto spazio, ma è importante e fondamentale per noi, in modo particolare, la parte relativa alle tutele di natura punitiva e sanzionatoria, che sono altresì contenute nella Convenzione. Noi crediamo che coloro i quali si macchiano di reati tanto crudeli e tanto efferati meritino la giusta punizione e meritino le giuste sanzioni, perché crediamo che di fronte a delitti così atroci, a crimini così efferati, serva la mano dura da parte dello Stato. E credo che dal punto di vista della tutela penale e dal punto di vista della tutela punitiva e sanzionatoria tanto si può fare, ma credo che sia giusto e Pag. 15doveroso riconoscere al sistema penale italiano il fatto di essere un sistema penale probabilmente all'avanguardia rispetto ad altri sistemi.
In questo Parlamento nella passata legislatura abbiamo affrontato tanti provvedimenti che andavano in questa direzione. Mi riferisco in modo particolare, anche per merito – credo che sia giusto ricordarlo – del Ministro Carfagna, all'introduzione del reato di stalking (articolo 612-bis) ovvero atti persecutori e molestie nei confronti delle donne. Sono provvedimenti che il gruppo della Lega Nord ha sempre sostenuto con determinazione, ha sempre sostenuto con convinzione nella certezza che un sistema penale repressivo, duro e severo possa rappresentare anche una soluzione a questo problema.
Credo che si possa fare di più e credo che si possa fare anche meglio. Voglio ricordare al Parlamento, al Ministro ed al Governo che vi sono parecchie proposte di legge. Ad esempio, in tema di violenza sessuale, ne ricordo una in modo particolare, presentata dal gruppo della Lega Nord, a prima firma Carolina Lussana, in materia di nuove disposizioni in materia di violenza sessuale. Si tratta di una proposta di legge approvata dalla Camera e arenata al Senato. Alcune parti importanti e significative di questa proposta di legge sono poi state inserite all'interno del pacchetto sicurezza voluto dal Ministro Maroni. Ricordo l'approvazione, sempre in quest'Aula, della ratifica della Convenzione di Lanzarote.
Quindi gli strumenti giuridici ci sono e possono evidentemente essere migliorati. Le pene ci sono, credo, e credo che debbano necessariamente essere inasprite. Credo, però, che uno dei problemi risieda nell'applicazione delle norme: non sempre le norme rigorose, rigide, severe che sono presenti in materia di violenza sessuale e in materia di violenza sulle donne vengono correttamente applicate.
Quindi noi chiediamo che il principio dell'effettività, che il principio dell'efficacia e che il principio della certezza della pena trovino, anche nelle normative che verranno introdotte e migliorate, piena applicazione.
Voglio ricordare, ad esempio, la proposta di legge sulla violenza sessuale a firma del gruppo della Lega Nord che, oltre a prevedere un inasprimento serio delle pene in materia di reati di violenza sessuale e, quindi, inevitabilmente anche tempi di prescrizione più lunghi proprio per avere tutti i tempi necessari per potere accertare delitti così efferati, aveva introdotto una norma – che poi purtroppo la Corte costituzionale con la sentenza n. 265 del 2010 aveva cassato – in materia di obbligatorietà delle misure cautelari in carcere nei confronti di chi si macchia di questi gravi reati.
Credo che sia proprio da qua che noi dobbiamo partire, che questo Parlamento – e il Governo, mi auguro, possa assecondare questa volontà politica – debba ripartire, dando certezza della pena e soprattutto comminando, a coloro i quali si macchiano di questi reati, il carcere. Perché dico questo ? Tra poche settimane, probabilmente fra qualche mese, soprattutto alla luce del dibattito che abbiamo sentito in Commissione e del dibattito che abbiamo sentito oggi in Aula e che sentiremo anche dopo, dove tutti chiedono pene certe, dove tutti chiedono pene particolarmente severe, dove tutti chiedono l'introduzione del reato di femminicidio – che noi ovviamente sosterremo nel massimo della severità dell'applicazione – tra qualche settimana noi saremo chiamati in quest'Aula, probabilmente affrontando un problema, un'emergenza, quella del sovraffollamento delle carceri, a discutere di un provvedimento...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
NICOLA MOLTENI. ...un provvedimento – e concludo – che era già stato portato all'attenzione e votato dalla Camera nella passata legislatura, in materia di pene alternative e di messa alla prova. Ebbene, con questo provvedimento noi andremo – anzi, voi andrete, perché noi faremo opposizione durissima – a votare Pag. 16una legge che sostanzialmente dice che per i reati con pene inferiori a quattro anni – e voglio ricordare che tra i reati con pene inferiori a quattro anni vi è anche il reato di stalking – il carcere non sarà più la misura detentiva principale, ma coloro i quali si macchiano di questi reati potranno beneficiare di misure alternative, come i domiciliari o la messa alla prova.
In conclusione, affinché questo dibattito non rimanga un dibattito solo verbale e per le parole che sono state pronunciate, parole importanti, parole di severità, parole di durezza nei confronti di chi si macchia di questi reati, mi auguro che la coerenza manifestata oggi in quest'Aula possa essere anche mantenuta nel momento in cui ci troveremo a votare quel provvedimento che garantisce impunità nei confronti di coloro i quali si macchiano dei reati, rispetto ai quali oggi questo Parlamento chiede maggiore severità.
Da parte della Lega ci sarà attenzione e non permetteremo che il dibattito di oggi...
PRESIDENTE. Concluda, per favore.
NICOLA MOLTENI. ... possa risultare vano ed inutile, perché la difesa e la tutela delle donne e il contrasto e la lotta alla violenza sessuale devono essere fatti sempre e in qualunque momento. Annuncio pertanto il voto favorevole da parte del gruppo della Lega (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Titti Di Salvo. Ne ha facoltà.
TITTI DI SALVO. Signor Presidente, signori e signore del Governo, colleghi e colleghi. Io annuncio il voto del gruppo Sinistra Ecologia Libertà sulla ratifica della Convenzione di Istanbul, che mi piace nominare in tutta la sua espressione, Convenzione per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. Perché, come si diceva ieri, le parole hanno un significato ed è un voto a favore, un voto che noi esprimiamo con tutta la forza, il sentimento, la passione, l'energia che sono risuonate nelle parole, ieri, di Claudio Fava, Marisa Nicchi, Celeste Costantino, Annalisa Pannarale e, oggi, di Arturo Scotto. Lo facciamo ad occhi aperti, in un momento in cui la sequenza terribile di nomi, di fatti, di visi, di femminicidi sembra sopraffare e sopraffarci. Lo facciamo ad occhi aperti, non perché non vediamo e non sappiamo come in sé la ratifica della Convenzione non determini automaticamente un risultato. Lo sappiamo che non è così, ma invitiamo, invito tutti e tutte a non sottovalutare il significato politico grandissimo che ha oggi questa ratifica. È un errore sminuirne il valore.
Intanto ha un significato politico enorme. Nel contesto europeo è stato detto: la Convenzione è stata fatta due anni fa e a due anni da tale data la Convenzione non è ancora operativa, perché delle dieci ratifiche necessarie ne sono state fatte soltanto quattro da Albania, Montenegro, Portogallo, Turchia. La ratifica dell'Italia non è solo un fatto simbolicamente rilevante, è un fatto necessario, nel momento in cui l'Italia si impegna, come si è impegnata, come ha detto di voler fare, a farsi promotrice e a sollecitare le ratifiche degli altri Paesi. Ma lo è anche per la costruzione degli Stati Uniti d'Europa, che non possono esser soltanto un mercato, ma uno spazio politico pubblico di diritti, in cui la libertà femminile diventa non soltanto una scelta, ma la scelta per uscire dalla crisi.
È un atto di grande significato politico anche per un'altra ragione, perché avviene in un tempo in cui, lo dicevamo tutti, in nome di Fabiana, di Carolina, la morte per mano maschile di tante ragazze, di tante donne, succede ogni giorno, nel tempo in cui Rashida Manjoo indica l'Italia come luogo dell'emergenza nazionale sulla violenza. Ma sono anche i tempi e i giorni in cui le cifre della crisi, gli annunci dei suicidi, degli operai, dei lavoratori, degli imprenditori, consegnano un quadro così difficile. Ecco, che in questo tempo il Parlamento italiano scelga di considerare Pag. 17come priorità la violenza contro le donne e la ratifica della Convenzione di Istanbul, consentitemi, non era scontato, ed è un atto importante, che va detto fuori di qui. È questo il messaggio che deve essere veicolato nella Rete, nella stampa (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico) e noi siamo responsabili del fatto che questa notizia venga veicolata così e che sia una priorità. In questo stesso tempo di crisi noi vorremmo che lo diventi, per la stessa ragione, la lotta contro l'omofobia, contro la transfobia e per i diritti delle coppie gay (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico).
Ed è un atto politico rilevante la ratifica della Convenzione, per i suoi contenuti, perché fa emergere il discorso pubblico europeo e mette al centro del discorso pubblico italiano la dimensione politica della violenza nei confronti delle donne.
Non una dimensione individuale, di chi esercita la violenza e di chi la subisce. Se la violenza ha una dimensione politica, la responsabilità pubblica ha il dovere di affrontarla, per tante ragioni, in primis per questa: la dimensione politica cioè di quella incapacità, di quella faccia oscura della relazione tra i sessi, di quella incapacità dei maschi, della sessualità maschile di riconoscere l'autonomia e la libertà delle donne, quella mescolanza di subalternità e dominio di cui dicevamo.
Guardate che i contenuti della Convenzione parlano anche di un'altra cosa: parlano di un ordine fondato sul dominio del corpo delle donne, di un ordine intero, e, quindi, della necessità del suo cambiamento. Un cambiamento – vorrei dire e voglio dire con molta forza – che deve e può essere guidato dalle donne, insieme agli uomini. Ma la Convenzione ci apre una strada, ci consegna molte responsabilità e molti impegni. Alcuni impegni sono già tracciati dalla Convenzione, sono chiari, presuppongono atti di indirizzo, una legge, alcuni li citava, li annunciava la Ministra Idem, quando parlava della task force per coordinare gli interventi, quando parlava dell'Osservatorio sulla violenza.
Ma ci sono altri impegni necessari e sono necessari se si dà seguito alla volontà di prevenire la violenza, nelle sue radici, in quel binomio di subalternità e dominio che ieri la Presidente Laura Boldrini ci indicava quando, all'inizio della seduta, parlava del femminicidio di Fabiana. Perché se è vero che la violenza contro le donne è alimentata dalla differenza di potere tra uomini e donne, allora il tema, il contrasto di quella violenza sta nell'aumentare, nel rendere forti le donne: aumentare la loro libertà – a proposito di legge n. 194 e del fatto che venga continuamente ostacolata (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico).
Ma soprattutto i contenuti della Convenzione parlano di lavoro e reddito e, guardando all'Italia per una Convenzione europea, guardando all'Italia, parlano di quelle cifre di disoccupazione femminile, di quella faccia femminile della precarietà, ed è per questo che ieri noi abbiamo nominato le dimissioni in bianco e la necessità che ci sia una legge efficace contro le dimissioni in bianco, perché – lo dice l'ISTAT in una indagine non recente e, quindi, sottostimata – un milione di donne all'inizio del loro rapporto di lavoro, nel momento dell'ingresso, subiscono un ricatto sessuale che non denunciano, che il 99 per cento non denuncia. Allora lì il grumo dei problemi sta nella differenza, non soltanto di potere tra un uomo e una donna, ma tra chi offre il lavoro e chi in quel momento è sottoposto al ricatto del lavoro, è lì che il ricatto sessuale agisce. Se allora quella è una radice della violenza, lì bisogna agire e bisogna ricordarsene quando si parla di lavoro, di reddito minimo, quando si parla della formazione dei lavoratori e delle lavoratrici del pubblico impiego, a cui peraltro si tagliano le risorse.
E se è vero che la radice della violenza sta nell'incapacità degli uomini a relazionarsi con un rapporto tra uguali, tra persone libere e non tra persone soltanto proiezione di un desiderio, se è così, allora è la scuola il luogo in cui agire per costruire una cultura differente di rispetto, Pag. 18perché è lì che si forma la coscienza civica, è lì che si forma l'identità. Se è vero che l'uso del corpo delle donne nei media, nella pubblicità alimenta la violenza, è lì che bisogna intervenire. E consentitemi – lo avete detto in tanti ieri – cosa c'entra il moralismo con questo ? Nulla, anzi c’è il rispetto della bellezza, non il moralismo. Se è vero che la fragilità e la solitudine delle donne vanno combattute con reti di sostegno, allora i finanziamenti ai centri antiviolenza non posso essere centellinati ed essere sottoposti all'iniziativa del singolo ente locale (Applausi). Lì ci vuole una scelta strutturata che dia certezza a quelle reti che sono state per molto tempo l'unico sostegno delle donne, l'unico sostegno delle donne e della loro solitudine.
E c’è bisogno di uno sguardo che non sia strabico, che non sia quello che abbiamo sentito in quest'Aula ieri e oggi e che magari non ci sarà più domani, quando parleremo di un altro argomento. Perché per recuperare l'autorevolezza della politica, la distanza – e ho concluso – che c’è tra le persone e la politica bisogna raggiungere questo: sobrietà e coerenza.
E concludo, signor Presidente, con i ringraziamenti, doverosi, importanti, che mi sento di fare con tutto il cuore. Intanto voglio farlo nei confronti dei movimenti delle donne e delle associazioni delle tante donne singole che hanno chiesto e sostenuto la richiesta della ratifica. Poi voglio farlo nei confronti della Commissione; voglio farlo nei confronti della relatrice, che ha iniziato ieri la sua relazione nominando l'onore di poter portare avanti una proposta così importante. Sono convinta che di onore si tratti, di una proposta veramente importante. Vorrei ringraziare lei, Presidente, il cui coraggio sicuramente è stato decisivo nel «rendere» questa proposta oggi in Parlamento e speriamo che al Senato ci sia la stessa celerità. Penso che questo è quanto noi dobbiamo veicolare al Paese, in rete, sulla stampa. Sinistra Ecologia Libertà, siccome è una forza, come si dice, responsabile sempre, esercita in questo la propria responsabilità, nel veicolare questo messaggio (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Ecologia Libertà, MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Di Salvo. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Santerini. Ne ha facoltà.
MILENA SANTERINI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, con la Convenzione che ratifichiamo l'Europa dei diritti, e non solo dei doveri, attua una strategia globale di prevenzione della violenza contro le donne e di protezione delle vittime. La violenza contro le donne, infatti, è un fenomeno universale che, anche se aggravato dalla povertà, è presente in tutte le classi sociali e in tutte le culture ed è, quindi, a livello globale che dobbiamo trovare insieme le cause dei fenomeni, le risposte coordinate ai problemi e scambiarci le buone pratiche.
Il gruppo Scelta Civica per l'Italia dichiara quindi il suo voto favorevole alla ratifica della Convenzione perché presenta un quadro completo delle azioni-chiave nell'architettura dei diritti. Prevenire, proteggere e perseguire penalmente, a cui aggiungerei promuovere azioni positive di cambiamento sociale. Le condotte descritte nel testo – per chi l'ha letto, veramente un affresco doloroso – appaiono già in gran parte punite dal nostro codice penale, ma occorre ricordare come sia necessaria una più vasta assunzione di responsabilità degli Stati stessi.
E vorrei sottolineare anche il legame esistente tra la violenza domestica verso le donne e il maltrattamento verso i bambini, vittime essi stessi non meno delle madri. Tuttavia la grave questione della violenza – lo abbiamo detto – non può essere affrontata solo con gli strumenti della tutela penale, bensì affrontando la dimensione culturale e collettiva del fenomeno, quella che chiamerei l'umiliazione a cui spesso le donne sono abituate o che hanno rinunciato a denunciare in una società o in società che la considerano normale o giustificata. Ed è soprattutto su questa Pag. 19sfera della mentalità che la Convenzione presenta una strategia politica. La violenza crea non solo paura, ma anche vergogna nella vittima, come emerge anche dalla riluttanza a denunciare i delitti e la resistenza delle donne a separarsi da partner violenti. La reticenza delle donne non giustifica però l'inerzia nel difenderle. La vergogna nel portare alla luce la violenza tanto meno giustifica, ad esempio, il ritardo degli educatori nell'intervenire a sostegno delle adolescenti colpite da comportamenti aggressivi dei coetanei diffusi sui social network. E di questo sessismo in rete la Presidente si è fatta interprete, in molti momenti. Spesso si arriva troppo tardi, come nel caso di Carolina, l'adolescente suicida a Novara qualche mese fa, dopo una diffamazione aggressiva sul web da parte dei ragazzi che frequentava. Si deve vigilare sui siti che in questo momento amplificano insulti e diffamazione, specie nelle comunità scolastiche.
Per questo saremmo incauti se pensassimo che l'articolo 12 della Convenzione non riguardasse anche l'Italia: «(...) Le Parti vigilano affinché la cultura, gli usi e i costumi, la religione, la tradizione o il cosiddetto “onore” non possano essere in alcun modo utilizzati per giustificare (...) gli atti di violenza (...)».
Conosciamo il lungo percorso che ha portato ad abrogare solo nel 1981 il delitto d'onore, codice che permane nel profondo della psiche collettiva e che oggi troviamo intrecciato con un «non amore» malato, per cui l'uomo non sopporta l'autonomia della donna, interpretata come un rifiuto della sua dignità virile, oltre che come una insopportabile separazione, o con l'idea che essa disonori l'uomo cui la donna appartiene, perché lede il suo prestigio agli occhi degli altri uomini. Tali codici d'onore – va sottolineato, signora Presidente – non hanno nulla a che fare con l'idea di dignità cristiana della persona e occorrerebbe discutere anche sul rapporto tra tradizioni arcaiche locali, come le mutilazioni genitali ad esempio, e la genuina fede islamica. In questo senso va accompagnato il cammino di altri Paesi verso un maggiore rispetto verso le donne, impegnando gli Stati, come è avvenuto con l'importante Carta approvata dall'ONU a New York il 15 marzo, a non giustificare la violenza con alcun costume, tradizione o considerazione religiosa.
Un imponente movimento popolare è stato suscitato mesi fa dallo stupro collettivo di una ragazza indiana.
L'attentato a Malala, quattordicenne pakistana che vuole far studiare le bambine e le ragazze, ci ricorda che l'alfabetizzazione delle donne è un fattore fondamentale – lo dicono i demografi – dello sviluppo di un Paese e della sua evoluzione democratica. Vogliamo che tutte le bambine del mondo come Malala studino (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica per l'Italia).
Quotidianamente la violenza assume anche altre forme: l'umiliazione delle molestie, delle piccole grandi prevaricazioni sul lavoro, le disuguaglianze nella retribuzione e nella carriera; in questo tessuto discriminatorio e, al massimo, paternalista cresce la subalternità femminile.
La Carta dei diritti di Nizza sulla parità nel lavoro fornisce il quadro in cui collocare politiche che non possono basarsi solo sulla repressione o sulla ricerca del capro espiatorio, specie straniero, quando le cause si trovano nella cultura dell'insensibilità verso le donne da parte di padri, mariti, figli, compagni, colleghi. Circa il 70 per cento di tutte le donne nei vari Paesi sono uccise da un partner domestico, mentre solo il 6 per cento degli uomini. La violenza per l'uomo è fuori, per la donna è dentro casa.
Lo sfruttamento della sua immagine sui mass media contribuisce a volte a creare un vero e proprio incitamento alla violenza, nella misura in cui involgarisce un corpo da comprare o da vendere. Non assolve chi utilizza il corpo femminile in questo modo, come è stato bene detto ieri, il fatto che le nostre ragazze più giovani siano a volte assuefatte o complici di questo sfruttamento.
L'accento posto dalla Convenzione sulla donna in quanto tale non separa, non isola la questione femminile dalle altre forme di discriminazioni, anzi dà ad essa particolare Pag. 20rilievo, nell'ambito di quanto affermato dall'articolo 3 della nostra Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni (...)». Sessismo, razzismo, classismo e tutte le forme di intolleranza vanno combattute insieme, come diversi volti di uno stesso odio verso l'altro. La donna è spesso questo «altro», ancora più fragile fisicamente, giuridicamente e socialmente. Sia per questo motivo – cioè per richiamarci al concetto della dignità sociale di tutti i cittadini – sia per il fatto che alcune definizioni potrebbero presentare profili di criticità con l'impianto costituzionale italiano, è stato da noi presentato un ordine del giorno che impegna il Governo, nel dare piena e intera esecuzione alla Convenzione, a richiamare esplicitamente i principi costituzionali italiani.
Nel concludere, ribadiamo il voto favorevole e convinto di Scelta Civica per l'Italia e, allo stesso tempo, sollecitiamo il Governo ad adottare concrete azioni di prevenzione e contrasto. Mi riferisco – e vorrei qui la vostra attenzione – in particolare a due tipi di intervento. Il primo è una tutela particolare per le donne immigrate, rom, sinti e richiedenti asilo. Nelle raccomandazioni del rapporto di Rashida Manjoo a seguito della sua missione in Italia, rapporteur dell'ONU, si legge che sono stati compiuti sforzi, da parte del Governo italiano, ma questi risultati non hanno portato a una diminuzione del tasso di femminicidi né si sono tradotti in un reale miglioramento della vita in particolare delle donne rom, sinti, donne migranti e donne affette da disabilità. L'Italia, come vorrei ricordare, non ha ancora recepito la direttiva europea n. 36/2011 contro la tratta pur essendo il Paese con il maggior numero di vittime. Anche su questo punto Scelta Civica per l'Italia ha presentato un ordine del giorno.
Vorrei qui concludere con la richiesta di una mirata sensibilizzazione ai nuovi programmi di formazione, soprattutto in rete. È la rete il nuovo campo della formazione. Chiediamo iniziative innovative sull'odio in rete e ci vogliamo impegnare per contrastare le nuove forme di diffusione della violenza, come il sessismo in rete o il cyberbullismo, nei confronti della adolescenti, responsabilizzando chi naviga in rete e sostenendo la formazione nei social network di nuove figure competenti nella mediazione dei conflitti, educatori online e online community manager. Nelle vecchie e nuove piazze, dove si usa l'arma dell'offesa, dovunque le donne sono ferite, va costruita una cultura del rispetto (Applausi dei deputati dei gruppi Scelta Civica per l'Italia e Partito Democratico).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Bergamini. Ne ha facoltà.
DEBORAH BERGAMINI. Signor Presidente, questa ratifica giunge – lo dicevamo anche ieri in sede di discussione sulle linee generali – come uno dei primi atti di questa legislatura nel momento più adatto e, paradossalmente, proprio perché nel momento più adatto, irrimediabilmente troppo tardi, in una fase nella quale stiamo registrando, nel nostro Paese, un incremento drammatico della forma più efferata, ignobile, traditrice di violenza contro le donne, quella che chiamiamo e anche nel testo della Convenzione si chiama violenza «domestica», un aggettivo quasi gentile, neutro, ma che in realtà indica la violenza da parte degli uomini (compagni, mariti, padri, figli) che dovrebbero amare le donne che hanno accanto.
E questa ratifica giunge nel momento più adatto proprio perché, come ricordava prima il Viceministro Marta Dassù, purtroppo avviene in concomitanza con i funerali di Fabiana Luzzi e, ovviamente, non può non andare a lei un pensiero di pena e pure di rabbia e non soltanto a lei, ma anche a tutte le donne, più giovani e meno giovani, che prima di lei sono state molestate, minacciate, violentate, stuprate, ammazzate, a tradimento, per una qualche forma di possesso malato, che non è questa l'occasione per psicanalizzare, da parte dei loro compagni o dei loro uomini. Pag. 21Questa ratifica, però, ha anche un grandissimo valore politico perché la Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa è uno strumento, il primo, come è stato già detto, organico e vincolante contro la violenza alle donne, che intende creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza grazie a misure di prevenzione, di tutela in sede giudiziaria e di sostegno e assistenza alle vittime.
Violenza che viene definita dalla Convenzione come violazione dei diritti umani fondamentali il che vuol dire che gli Stati saranno ritenuti responsabili se non daranno delle risposte adeguate per prevenire questa forma di violenza. Lo strumento, come è stato detto, non è ancora in vigore; ci vorranno, oltre alla ratifica del nostro Paese, altri cinque Stati in quanto dovremmo arrivare a dieci, ma è importante che lo ratifichi l'Italia. È un segnale importante per tutti gli altri Paesi membri del Consiglio d'Europa e non solo. Si tratta del trattato internazionale di più ampia portata per affrontare questa piaga, il livello più avanzato degli standard internazionali di prevenzione e di contrasto al complesso fenomeno della violenza alle donne, per l'assistenza alle vittime, per la criminalizzazione dei responsabili.
Oggi noi discutiamo qui, nel Parlamento italiano, questa ratifica, nel cuore di un'Europa che nominiamo spesso, di un Occidente che nominiamo spesso e che si trova a dover constatare, tuttavia, una realtà alquanto amara. La progressione del processo verso un'eguaglianza di genere, che è uno dei cardini del nostro sentirci europei, uno dei cardini della nostra costruzione di un'Europa libera e solidale, una progressione che sembrava già un punto acquisito nel lontano 1995 ai tempi della Conferenza di Pechino, in realtà, rischia, oggi, di trovarsi ad un punto morto e non solo qui da noi.
Questa progressione rimane per molti un'aspirazione, nel migliore dei casi, può essere un impegno; di certo, è tutto fuorché una realtà acquisita. Anzi, prendendo atto del fallimento del modello della globalizzazione, vediamo all'orizzonte l'arrivo di ineguaglianze nuove che riguardano tutti i Paesi: quelli più avanzati, in termini di democrazia e di economia, con una crisi sistemica di risorse materiali e spirituali che rischia di pesare soprattutto sulle spalle delle donne, e quegli altri Paesi, molti dei quali fanno parte del nostro vicinato, che si trovano nel pieno di una difficilissima transizione verso la democrazia, una transizione che presenta mille incognite, non ultima quella di dover affrontare, in tempi brevi, il tema sostanziale dell'emancipazione delle donne e della loro vera partecipazione alla vita politica, culturale e sociale. Con il risultato che, ancora oggi – anno 2013 –, in grandi aree del mondo, il destino per le donne è già segnato.
È, quindi, necessario, oggi più che mai, al di là di questa importantissima ratifica, moltiplicare gli sforzi per combattere la discriminazione e la violenza contro le donne e per affermare la loro parità di accesso ad ogni segmento della vita di un Paese, perché questi sforzi, a cascata, si irradino verso le assemblee parlamentari di tutti gli altri Paesi membri del Consiglio d'Europa e non solo, e verso tutti quei decisori che possono e devono fare in modo che questo torni ad essere, e rimanga, un punto primario dell'agenda politica di ciascun Governo; senza condizioni, vigilando; perché dietro all'urgenza delle tante questioni che oggi scuotono la nostra Europa non si celi il pericolo che il processo di uguaglianza, nonostante le tante parole spese, rimanga, appunto, una semplice aspirazione. E questo sì sarebbe uno spread inaccettabile.
Bisogna lottare, lottare insieme: anche se un cammino verso il riconoscimento dei fondamentali diritti civili, sociali e culturali a favore delle donne è stato imboccato, la violenza fisica e sessuale, ancora oggi, è una delle forme di violazione dei diritti umani più grave e più diffusa nel mondo, è già stato ricordato. Combattere con forza ogni atteggiamento o comportamento che tenda a tollerarla in qualsiasi modo, a giustificarla, a spiegarla o ad ignorarla è, pertanto, assoluta priorità di ogni livello di Governo ed è certamente Pag. 22una priorità per Popolo della Libertà. In questo quadro, accogliamo, dunque, con favore il pieno sostegno dato dal Governo a questo processo di ratifica e l'intenzione annunciata dal Ministro Idem di elaborare un disegno di legge governativo contro la violenza alle donne.
La Convenzione di Istanbul parte da lontano ed è uno dei punti di arrivo di un percorso lungo che, iniziato negli anni Novanta, ha fatto emergere la consapevolezza che la violenza contro le donne non è e non può essere trattata come un fatto privato, ma è una discriminazione e, come tale, colpisce tutta la società, non soltanto la sua vittima. Ma la Convenzione è anche il coronamento di una campagna di sensibilizzazione che il Consiglio d'Europa ha voluto e ha condotto negli ultimi anni, e di cui la Camera dei deputati italiana – e lo dico con orgoglio – è stata capofila nella scorsa legislatura, per favorire un profondo cambiamento di attitudine e di cultura – o di incultura, forse è meglio dire –, che, come tutti i cambiamenti profondi, richiede tempo e risorse. E dobbiamo metterceli: tempo e risorse.
Il testo vuole cambiare la testa delle persone, esortando tutti i membri della società e, in particolare gli uomini e i ragazzi, a cambiare atteggiamento; a cominciare dal fatto che non è più accettabile che a parlare di diritti delle donne – lo ricordava prima la collega Meloni – siano solo e sempre, invariabilmente, le donne.
In sostanza, è un rinnovato invito a promuovere una maggiore uguaglianza fra donne e uomini, perché la violenza sulle donne ha profonde radici nella disparità fra i sessi all'interno della società, ed è perpetuata nel silenzio da una cultura che tollera e giustifica la violenza di genere e addirittura si rifiuta di riconoscerla come problema. La Convenzione vuole conseguire l'obiettivo di «tolleranza zero» verso questo tipo di violenza e costituisce un passo in avanti significativo per una migliore sensibilizzazione a questo problema, per rendere più sicura la vita delle donne all'interno e all'esterno dei confini europei, con la consapevolezza che senza sicurezza qualunque diritto, anche ben scritto, rimarrà soltanto carta straccia.
Voglio ricordare che l'Italia sarà il quinto Paese a ratificare la Convenzione fra i 47 Paesi membri del Consiglio d'Europa: un traguardo raggiunto al termine di un impegno che nella precedente legislatura ha visto lavorare tutta insieme, al di là dei pregiudizi di appartenenza e di schieramenti, le forze politiche, determinate ad ottenere questo risultato, secondo uno spirito che dovrebbe albergare più spesso in questo Parlamento.
Ne approfitto per ringraziare le colleghe della delegazione al Consiglio d'Europa e tutte le colleghe parlamentari che negli anni scorsi hanno dato forte impulso, con grande impegno, a questa azione politica. Al contempo, la Convenzione è anche un punto di partenza, non solo di arrivo; un punto di partenza di un altro percorso, che strutturi ancora meglio in Italia, in Europa e nel mondo una cornice di azione che promuova efficacemente la lotta alla violenza alle donne, sottoponendo il Paese – questo è molto importante da sottolineare – a rigorosi controlli da parte una commissione indipendente. Il testo individua una serie di nuove tipologie di reato che gli Stati dovranno introdurre nei propri ordinamenti: la violenza sessuale, il matrimonio forzato, le pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili, l'aborto e la sterilizzazione forzata, il favoreggiamento, la complicità, le circostanze aggravanti del reato.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
DEBORAH BERGAMINI. Molte di queste condotte appaiono già in gran parte sanzionate – e mi avvio a concludere – dal codice penale italiano. Molto è stato fatto nel corso della passata legislatura su questo.
Di fronte ai dati allarmanti che riguardano la violenza contro le donne nel nostro Paese, che feriscono il nostro Paese, ogni iniziativa volta ad aumentare la sicurezza e rafforzare le donne nel loro cammino di libertà deve essere intrapreso Pag. 23senza indugio. Questo cammino è un cammino che non è a senso unico: i risultati sono estremamente deperibili, fragili, non hanno pace, e non dobbiamo aver pace neanche noi fino a quando non li avremo messi al sicuro. Per questo annuncio convintamente il parere favorevole del Popolo della Libertà alla ratifica di questa Convenzione (Applausi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Di Vita. Ne ha facoltà.
GIULIA DI VITA. Signor Presidente, colleghi deputati, vorrei innanzitutto ringraziarla anch'io, Presidente Boldrini, per aver sollecitato il Parlamento a provvedere con una certa urgenza alla ratifica della Convenzione di Istanbul, che oggi siamo chiamati ad approvare. Vorrei manifestare anche il mio compiacimento nei confronti dei colleghi deputati, soprattutto i colleghi della Commissione di cui faccio parte (Affari sociali), che ancora una volta si è espressa all'unanimità, dando senza esitazione parere favorevole alla ratifica, ma non solo. Chiara e forte si è mostrata la volontà, quantomeno, di non fermarsi a questo primo e importantissimo passo, ma di inaugurare tutta una serie di azioni successive, proposte dal Parlamento e dal Governo, che possano raccogliere consenso trasversale tra gli schieramenti. Proprio per tale motivo comprendiamo perfettamente il rammarico, Presidente, che lei ieri ha manifestato durante la discussione sulle linee generali, per un'Aula mezza vuota, nonostante la delicatezza e l'urgenza sociale del tema che stiamo affrontando.
Oggi l'Aula è, invece, quasi del tutto piena: purtroppo è questo un malcostume che abbiamo avuto modo di notare diverse volte e che abbiamo provveduto a denunciare, ma che solo grazie al suo richiamo di ieri ha raggiunto parte degli organi di stampa che ne hanno dato finalmente notizia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Entrando adesso nel merito della questione, il MoVimento 5 Stelle voterà favorevolmente alla ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Riteniamo che sia arrivato il momento, sia per l'Italia che per l'Unione europea, di dotarsi di un quadro normativo omogeneo a cui i Paesi membri non possano non fare riferimento, assicurando in questo modo una vera e concreta tutela della donna, della sulla figura e ruolo sociale, della sua dignità e della sua stessa vita. Essere il quinto Stato a ratificare la Convenzione di Istanbul ci mette nella posizione di poter incentivare attivamente il processo di ratifica da parte degli altri Stati, in modo da provvedere al più presto alla sua concreta attuazione, per cui il Governo si è anche impegnato a garantire copertura finanziaria, senza la quale ci troveremmo in forte difficoltà.
PRESIDENTE. Lasciate parlare per favore.
GIULIA DI VITA. Grazie. Azioni come questa ci renderanno migliori esportatori di pace e democrazia più di tante cosiddette missioni di pace in cui l'Italia è ancora oggi coinvolta; ciò che più apprezziamo del testo della Convenzione è lo sforzo corale che è stato fatto per mettere insieme i diversi aspetti del fenomeno della violenza sulle donne e sui bambini, sia dal punto di vista della gestione dell'emergenza e la repressione del fenomeno sia dal punte di vista sociale e culturale e sul fondamentale lavoro di educazione e prevenzione che noi riteniamo essere la vera chiave di volta.
Oggi infatti ci ritroviamo a dover affrontare situazioni di emergenza, e purtroppo i fatti di cronaca non fanno altro che ricordarcelo giorno dopo giorno, che avremmo potuto probabilmente evitare se le attenzioni dello Stato si fossero concentrate per tempo sulle pericolose derive sessiste e discriminatorie che si manifestano nel nostro Paese. Derive a cui, purtroppo, nemmeno la politica, in verità, si è sottratta ma che anzi ha contribuito a esarcebare con un abbassamento notevole Pag. 24del livello qualitativo di rappresentanti, linguaggio, messaggi, comportamenti, perfettamente in linea poi con il peggioramento della qualità dei contenuti mandati in onda dalla televisione, il grande vero educatore degli italiani, delle pubblicità e dei mass media in genere.
Il cittadino oggi, ed è bene prenderne atto se vogliamo migliorare, è ormai assuefatto e abituato a non credere più a una sola parola che viene detta qui dentro o da un qualunque politico in televisione. Ad esempio, alla battuta dell'ex assessore Franco Battiato è seguita la grande indignazione di questo Parlamento che ha portato giustamente alle sue immediate dimissioni. Di contro, per situazioni ben più gravi, se non tragiche, non si vede questo pronto intervento dello Stato ed è questo ciò che arriva ai cittadini oggi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Per compiere i successivi passi in seguito alla ratifica della Convenzione che rischia quindi di essere percepita solo come un provvedimento di facciata, occorre cominciare subito a dare dei segnali concreti liberando il dibattito da tutte le ipocrisie.
Abbiamo sentito dire, sia ieri che oggi in quest'Aula che in altre occasioni, ad esempio, che è nella scuola che dobbiamo agire per educare e insegnare il rispetto reciproco e delle diversità ai nostri bambini. Ma di che scuola stiamo parlando ? Quella formata da 30 a 40 alunni per classe, quella che sopravvive in edifici fatiscenti e costringe i bambini e i ragazzi a portarsi la carta igienica da casa ? Quella dove non esiste una programmazione e continuità didattica perché avete reso gli insegnanti, mestiere chiave per la qualità del futuro di un Paese, un mestiere precario, sfruttato e sottovalutato ?
Parliamo poi di pari opportunità, generalmente intese come accorgimenti normativi per agevolare la donna nel mondo del lavoro e nella società che finiscono poi col metterla paradossalmente in maggiore difficoltà. Questo perché non ci si interroga sul problema con una visione di insieme, ma si ragiona sempre a compartimenti stagni, donne da un lato, uomini dall'altro.
E ancora si parla di famiglia. Questa classe politica parla di promuovere iniziative rivolte alla famiglia per risanare il rapporto uomo/donna, quella stessa classe politica che negli ultimi anni ha negato tutti i cambiamenti sociali che stanno avvenendo nelle famiglie italiane. Il concetto classico di famiglia, per come l'abbiamo sempre inteso, sta mutando profondamente, occorre riconoscerlo, può piacerci o no, ma in quanto rappresentanti del popolo italiano siamo chiamati a prenderne atto e attivarci in questa direzione e non continuamente ostacolare ogni processo sociale e di cambiamento.
Questo Paese cambia lentamente, ma cambia, e piuttosto che avere una classe politica che stia alla guida del cambiamento ne abbiamo una che lo nega, lo rallenta o persino lo blocca, come se ne fosse impaurita, ma la classe dirigente non può avere paura di governare il cambiamento. Pertanto, non possiamo dire a parole di voler cambiare la realtà che ci circonda se non cambiamo prima noi stessi. È un concetto a noi molto caro che ci sforziamo di mettere in atto e che crediamo sia dovere di ogni rappresentante politico a tutti livelli.
Quindi, cari colleghi, prendiamo le vostre parole come la chiara volontà di cambiare e se noi possiamo servire come stimolo per questo processo ne andremo fieri, non per il MoVimento 5 Stelle, ma per il bene del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Infine, auspichiamo che le prossime azioni legislative e di approfondimento siano rivolte, oltre che alla repressione del fenomeno, anche allo studio delle cause, con una maggiore e mirata attenzione sugli uomini. Non esiste infatti, ad oggi, nel nostro Paese, la valutazione del rischio di usare o essere potenziale vittima di violenza, men che meno della presa in carico, se non in pochi casi, dei cosiddetti uomini a rischio da avviare verso centri di ascolto e recupero in via preventiva.Pag. 25
A tal proposito pensiamo infatti che troppo spesso la questione della violenza sulle donne venga affrontata generalmente con un approccio per così dire «femminista», che taglia fuori gli uomini proprio in quanto uomini, e si rivolge alle donne come unica parte in causa. Come è stato invece evidenziato più volte anche dagli stessi colleghi, gli episodi di violenza più frequenti sono quelli domestici, in famiglia, e nel rapporto tra partner o ex partner. È quindi di fondamentale importanza il coinvolgimento della parte maschile: agiremmo altrimenti sempre sugli effetti, e mai efficacemente sulle cause.
Come spunto di riflessione quindi per le nostre azioni future, concludo citando le parole di un uomo reo confesso, che ha usato violenza contro la propria donna: «Prima ancora di essermi pentito per quello che ho fatto, mi sono reso colpevole di ciò che ho fatto. Il pentimento è un'emozione subdola, che può nascondere la paura, ed è la paura a far scattare la violenza. Mi sono lasciato andare a un primo episodio, dove non c’è stato contatto fisico, ma l'ho minacciata con un coltello. Poi c’è stato il secondo episodio: le ho stretto le mani al collo, perché era davvero disperato, avevo paura. Io sono un uomo che non ha più paura: è su quello che gli uomini violenti devono lavorare, sulle proprie paure. Bisogna scavare dentro di sé, perché non c’è nessuna giustificazione per un atto di violenza, nessun fattore esterno lo giustifica. Ora io non ho più paura, e in quell'inferno non ci voglio più tornare. Ma come faccio ad essere sicuro che quella cosa non capiterà più ?»
Ancora una volta, colleghi, siamo quindi dinanzi a un problema culturale, che tocca profondamente l'animo di ciascuno di noi e che potrebbe vederci protagonisti del fenomeno: una totale perdita di valori e punti di riferimento, che è nostro dovere ripristinare. Che sia impegno di tutti noi cittadini, dentro e fuori da questo Parlamento, promuovere con i nostri esempi quotidiani la cultura dei sentimenti, in particolare la solidarietà ed il senso di comunità, proprio come ribadito dalla più che mai attuale Costituzione della Repubblica italiana (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Federica Mogherini. Ne ha facoltà.
FEDERICA MOGHERINI. Signor Presidente, oggi per il gruppo del PD non si tratta soltanto di dare un voto favorevole e molto convinto alla legge di ratifica della Convenzione di Istanbul per prevenire e contrastare la violenza domestica sulle donne: si tratta di vedere realizzato un obiettivo, direi quasi un sogno, se non suonasse stonato rispetto agli episodi di cronaca che abbiamo di fronte agli occhi. Un obiettivo a cui abbiamo lavorato tanto in questi anni e in questi ultimi mesi, con tenacia: certe volte con la tenacia della goccia d'acqua che scava la pietra, e con enorme convinzione. L'abbiamo fatto in Aula, l'abbiamo fatto al Consiglio d'Europa, come ricordava la collega Bergamini; l'abbiamo fatto nelle nostre città, nel Paese, insieme a tantissime associazioni, ai movimenti, ai centri antiviolenza.
Abbiamo lavorato la scorsa legislatura perché il Governo firmasse la ratifica, innanzi tutto. Poi abbiamo presentato il disegno di legge di ratifica, che oggi votiamo il primo giorno di insediamento di questa Camera, come atto simbolico e come volontà politica. Abbiamo fortemente voluto insieme a lei che questa fosse la prima legge che questo Parlamento approva, e credo che questo lo dobbiamo oggi rivendicare con un grande orgoglio ed una grandissima forza in quest'Aula (Applausi). Abbiamo messo tutto il nostro impegno, quello meno visibile ma più faticoso, tutto il nostro lavoro nelle Commissioni per approvare questo risultato in tempi rapidissimi: è passata solo una settimana da quando abbiamo incardinato il provvedimento, e con un voto che credo e spero potrà essere in Aula, così come è stato nelle Commissioni, unanime.
Lo dobbiamo a Fabiana, 16 anni, bruciata viva a Corigliano Calabro dal suo ragazzo. Ma lo dobbiamo anche ad Angelica, Pag. 2635 anni, uccisa a coltellate in provincia di Lodi dal suo ex; lo dobbiamo a Silvana, 49 anni, dipendente del comune di Padova, uccisa a colpi di pistola dal marito, agente di polizia. Lo dobbiamo a Micaela, 35 anni, uccisa a colpi di accetta dall'ex marito insieme a Enrica a Palermo; a Chiara, 28 anni, uccisa a Roma dal marito, che poi si è suicidato. Sono sei vittime, e sono solo nell'ultimo mese, tutte morte nel mese di maggio. Sono vittime di età diverse, sono vittime di diversissime condizioni economiche e sociali, alcune anche di diversa nazionalità; sono vittime nel nord e nel sud del Paese, nelle grandi città e nei piccoli centri.
Non è un'emergenza – come titolano i giornali – non è come il caldo, il mal tempo o l'esodo di agosto. No: è un dramma che investe il nostro Paese tutto intero, dalla Val d'Aosta alla Sicilia, e lo fa in modo sistematico, strutturale e profondo ed è per questo che richiede misure strutturali, coordinate e profonde per essere fermato. Ce lo dice il fatto che le donne uccise – tante e troppe, e se anche fosse solo una, sarebbe già troppo – queste donne sono solo la punta affilata e dolorosa di un iceberg immenso, immenso, che noi non vediamo neanche, a volte. Per ogni Fabiana bruciata viva, ci sono decine di Fabiana, di Elena, di Maria, di Laura, di Giulia, che vivono e che denunciano percosse, violenze fisiche, stupri, molestie sessuali e persecuzioni. E per ognuna di loro ci sono centinaia di donne che vivono la violenza senza denunciarla perché non trovano la forza, non trovano la fiducia in se stesse e nelle istituzioni, che consenta loro di svelare un dramma, di svelare il dolore, di svelare la perdita di senso della propria vita e delle proprie relazioni affettive e umane, quelle più private. Ecco, noi oggi, con questo voto, stiamo dicendo a quelle donne: «Trovate la fiducia. Noi siamo degni di riconquistare la vostra fiducia. Le istituzioni vi proteggeranno, vi accompagneranno, non vi lasceranno più sole». Ci prendiamo la nostra parte di responsabilità, che è questa responsabilità: fare in modo che non ci siano più condizioni in cui qualcuno possa dire – come è successo oggi, giustamente, forse – al funerale di Fabiana: «Né lo Stato, né i servizi sociali hanno funzionato». Questa è una frase che non dobbiamo mai più sentire. Questa è la nostra responsabilità (Applausi).
Ma è un lavoro che abbiamo fatto – e che continueremo a fare – anche per tutte quelle donne che non conoscono fortunatamente, nell'arco della loro vita, né violenza fisica, né violenza sessuale e che però sanno benissimo – credo che ognuna di noi lo sappia – che la nostra vita è costellata di piccole e grandi violazioni psicologiche, ricatti e rinunce forzate. Ogni volta che una donna rinuncia a un lavoro per un figlio, o rinuncia a un figlio per il lavoro, quello che non c’è o l'unico che ha per mantenerlo, ogni volta che una donna percepisce uno stipendio più basso di un collega uomo, ecco, ogni donna che vive una situazione del genere, vive sulla propria pelle una forma di violenza, che forse non uccide, ma toglie la dignità e la felicità.
E dobbiamo anche questo lavoro ai loro figli, ai nostri figli, che, troppo spesso, ci dimentichiamo quando parliamo di violenza domestica o di violenza sulle donne, che sono bambini costretti senza alternative ad assistere ad una violenza ed ad introiettare modelli relazionali malati, che li espongono ad essere, con più probabilità degli altri, vittime o carnefici di quella stessa violenza nella loro vita adulta.
PRESIDENTE. Lasciatela parlare, per favore. Un po’ di silenzio !
FEDERICA MOGHERINI. Ed infine, è un lavoro che abbiamo fatto e che continueremo a fare anche per gli uomini perché, ogni volta che un uomo compie violenza su una donna, è la sua dignità, è la sua umanità a morire ed è bene che gli uomini inizino a rendersene conto. È arrivato il momento di aiutare i nostri uomini: i nostri mariti, i nostri figli, i nostri fratelli e i nostri padri, aiutarli a riprendersi la propria dignità e a ricostruirla. Ci vuole coraggio, non è un passaggio banale: ci vuole il coraggio di noi Pag. 27donne di pretendere uomini così, ci vuole il coraggio di noi mamme e di noi papà di educare i nostri figli così e ci vuole anche il coraggio degli uomini di essere loro per primi a dire: «io non sono così, io non voglio essere così, io non sono tuo complice».
Oggi, questo voto non è un passaggio formale e rituale, non è una vuota celebrazione – altri lo hanno detto – credo che dobbiamo mettere molta enfasi sul passaggio che stiamo facendo oggi. È un'assunzione di responsabilità, è l'assunzione di un impegno consapevole e concreto. Primo: con il voto di oggi, questa Convenzione non diventa legge per l'Italia, dobbiamo compiere il percorso legislativo e dobbiamo fare in modo che il processo al Senato sia tanto rapido e tanto positivo, come quello che c’è stato alla Camera. Secondo: dobbiamo prendere dopo misure concrete, quelle che ci indica la Convenzione di Istanbul: punire e reprimere efficacemente i colpevoli, proteggere ed assistere le vittime – le donne e i bambini – e questo significherà, soprattutto, un rafforzamento, un'estensione e un finanziamento della rete dei centri antiviolenza, che in Italia è ancora troppo debole e che fa un lavoro egregio sul territorio. E qui mi lasci dire una parola sul ruolo che i sindaci e i consigli comunali potranno svolgere su tutto il territorio italiano: i sindaci già in carica, quelli che sono stati eletti ieri e a cui diamo il nostro augurio di buon lavoro e a cui chiediamo un impegno concreto, e quelli che saranno eletti tra dieci giorni nei ballottaggi. A loro spetterà, soprattutto, rendere operative le decisioni che questa Camera e il Senato prenderanno nei prossimi giorni.
E poi prevenire, prevenire, prevenire, perché qualsiasi altra misura arriva sempre quando è troppo tardi.
La Convenzione di Istanbul ci dà poi due indicazioni importanti di metodo, che credo siano fondamentali anche per altri settori del nostro lavoro. In primo luogo, a problemi strutturali e complessi bisogna dare risposte, come ha detto la Ministra Idem ieri, organiche e sistematiche, non occasionali, non d'immagine, non degli spot. Non abbiamo bisogno di questo, abbiamo bisogno di continuare sulla continuità, sul lungo periodo, perché la catena di interventi che lo Stato mette in campo possa non avere nessun anello mancante, nessun salto logico, nessuna crepa in cui si possa insinuare una qualsiasi negazione del diritto delle donne di vivere in sicurezza e dignità. Soltanto garantendo che quella catena di interventi dello Stato, dalla scuola all'assistenza sociale, alle forze dell'ordine, alla magistratura, agli enti locali, al Parlamento, ai finanziamenti che daremo, soltanto garantendo che quella catena non si interrompa noi possiamo chiedere ai cittadini e alle cittadine del nostro Paese di avere davvero fiducia nelle istituzioni. Infine, monitoraggio, per valutare l'applicazione, l'efficacia, la coerenza delle decisioni che prenderemo.
Noi sappiamo che oggi compiamo un primo importantissimo passo, un passo per fare entrare in vigore la Convenzione. È stato detto la ratifica da parte dell'Italia è cosa importantissima, importantissima. Siamo il primo grande Paese – non me ne vogliano gli altri –, il primo grandissimo Paese europeo che ratifica questa Convenzione e sarà un segnale per tutti gli altri.
Infine, per dotarci di strumenti efficaci successivamente.
Il PD, il gruppo del PD alla Camera continuerà il suo impegno per l'attuazione delle norme che ci vorranno, per trovare i fondi che potranno rendere operative le misure, per chiedere agli altri Paesi, all'Unione europea, alla comunità internazionale, di fare altrettanto e di seguire questa stessa strada. Mi faccia dire un'ottima notizia, che soltanto poche ore fa a Bruxelles il Viceministro degli Affari esteri Pistelli è riuscito a fare inserire, tra gli impegni che l'Unione europea porterà in sede Nazioni Uniti per gli obiettivi di sviluppo del post 2015, la violenza sulle donne come una delle priorità della politica che le Nazioni unite dovranno seguire dal 2015 in poi (Applausi), impegno concreto che porta a risultati concreti.
Qui, oggi noi ci assumiamo l'impegno di continuare il lavoro semplicemente con la stessa tenacia – concludo – che ci ha Pag. 28portato fin qui, con lo sguardo volto solo e unicamente a dare risposte concrete al Paese, senza polemiche, senza protagonismi, senza strumentalizzazioni, fare bene per noi e per gli italiani senza clamori ma soltanto con tanta serietà. È un cammino che dobbiamo e vogliamo fare insieme alle tante associazioni che ci hanno accompagnato in questi mesi e in questi anni ma, soprattutto, insieme ai tanti italiani, uomini e donne, che vogliono reagire, che vogliono ricordare a se stessi e insegnare ai loro figli il rispetto per sé e per chi ci sta intorno e anche restituire valore alla cosa più preziosa che abbiamo, che è la nostra vita, che non è un videogame, non è un film di Tarantino, è la cosa più preziosa che abbiamo, la nostra, quelle delle persone che amiamo, quella delle persone che ci vivono intorno e abbiamo il dovere di difenderla con tutti gli strumenti che abbiamo (Applausi).
PRESIDENTE. Questo era l'ultimo intervento. Sono così esaurite, quindi, le dichiarazioni di voto finale.
(Coordinamento formale – A.C. 118-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Se non vi sono obiezioni, la Presidenza si intende autorizzata al coordinamento formale del testo approvato.
(Così rimane stabilito).
(Votazione finale ed approvazione – A.C. 118-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.
Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul testo unificato delle proposte di legge di ratifica n. 118 ed abbinate, di cui si è testé concluso l'esame.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Malpezzi, Malisani, Lotti, Verini, Oliverio, Marti, Di Lello, Spadoni, Nuti, Galan...
Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione:
«Mogherini ed altri; Spadoni ed altri; Migliore ed altri; Bergamini ed altri; Giorgia Meloni: Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011» (118-878-881-940-968-A):
Presenti e votanti 545
Maggioranza 273
Hanno votato sì 545
(La Camera approva – L'Assemblea si leva in piedi – Generali applausi – Vedi votazioni).
(La deputata Rubinato ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto favorevole).
Sull'ordine dei lavori e per richiami al Regolamento (ore 17,40).
STEFANO QUARANTA. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
STEFANO QUARANTA. Signor Presidente, colleghe e colleghi deputati, alle 17,45 di mercoledì scorso si è spento a Genova Don Andrea Gallo (L'Assemblea si leva in piedi – Generali applausi). Un uomo, un prete, per me un amico, un grande genovese, di quelli che hanno costruito come pochi altri l'identità profonda della mia città, come il poeta Sanguineti, come il cantautore Fabrizio De André. Andrea Gallo nasce a Genova nel 1928, entra in noviziato nel 1948; nel 1953 chiede di partire missionario in Brasile, fino a che il clima della dittatura non lo costringe al ritorno.
Pag. 29PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI (ore 17,45).
STEFANO QUARANTA. Sacerdote nel 1959, viene presto nominato cappellano della nave scuola Garaventa, noto riformatorio per minori, ove introduce un'impostazione educativa dove fiducia e libertà prendono il posto dei metodi unicamente repressivi e anche per questo dopo tre anni però viene rimosso. Come trasferito sarà dal cardinal Siri dalla chiesa del Carmine, dove sabato sono stati celebrati i funerali, grandi funerali, e dove da viceparroco i contenuti delle sue prediche furono giudicati politici e di sinistra, essendo la sua parrocchia diventata luogo di aggregazione dei più poveri e degli emarginati. Il suo schierarsi con gli ultimi, tossicodipendenti, prostitute, transessuali, fu una costante del suo impegno religioso e civile, come lottare per i poveri e per il diritto al lavoro. Ma il suo essere controcorrente e scomodo anche nella chiesa era sempre senza astio, essendo una persona dal carattere allegro ed ironico ed era per anteporre il sentimento cristiano al precetto astratto, ragion per cui accompagnò anche le prostitute ad abortire perché sapeva che altrimenti l'aborto l'avrebbero procurato i protettori a calci nella pancia. La sua morte lascia...
PRESIDENTE. Le chiedo scusa. Per favore è possibile mantenere un po’ di silenzio in Aula ? Chi – finita la parte delle votazioni – non vuole ascoltare, può uscire. Chi rimane, gentilmente, ci lasci ascoltare. Grazie (Applausi).
STEFANO QUARANTA. Dicevo, la sua morte lascia in chi lo ha conosciuto una sensazione di smarrimento e di solitudine. Il Gallo non è stato mai né discreto né silente. Era con grande naturalezza un prete lontano dall'ipocrisia e dal quieto vivere tipici dei nostri tempi. Era di parte e sapeva bene con chi il suo credo cristiano gli imponeva di stare. Era un partigiano, antifascista militante, un testimone autentico, con il suo stile di vita, che un altro mondo è possibile, come affermavano a Genova i ragazzi del G8 nel 2001.
La sua era una battaglia quotidiana, forte, visibile, che obbligava le coscienze di tutti a schierarsi. Per questo molti lo hanno amato e per molti è stato un avversario. Lascia però un vuoto enorme per tutti. Se ne va un pezzo pregiato della genovesità. Città, Genova, che il Gallo ha amato profondamente, essendone stato protagonista della vita civile, sociale, culturale e politica, fino al rapporto di stima e affetto e di sostegno al sindaco Marco Doria.
È stato, come De André, un poeta della città degli ultimi, dei poveri, dei diversi, degli emarginati e ne ha narrato la loro bellezza perché li ha molto amati, davvero.
Per me è stato un amico, un consigliere ed un uomo dalla straordinaria capacità profetica di leggere il mutare dei tempi.
Mancherà, anche fisicamente, il suo sguardo, il suo sigaro, le sue mani ossute. Resteranno però le sue parole e soprattutto le sue opere, a partire dalla comunità di San Benedetto, esperienza da preservare con tutte le nostre forze.
Resteranno le sue battaglie in tema di droghe, contro il reato di clandestinità, sulle carceri, per i diritti degli omosessuali e dei transessuali, contro il gioco d'azzardo, temi che il gruppo di SEL porterà avanti con forza.
E rimane anche per noi un monito, per noi tutti, un monito alla coerenza, allo spirito di servizio, a non voltare lo sguardo dall'altra parte di fronte alla sofferenza umana. Tutti insegnamenti di cui una politica degna di questo nome non può non fare tesoro per dare un senso alto e nobile alla nostra missione civile (Applausi).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Quaranta.
Sullo stesso argomento chiede di parlare l'onorevole Simone Valente e vale la raccomandazione di prima: gentilmente, chi non è intenzionato ad ascoltare è Pag. 30pregato di uscire e lasciarci ascoltare, invece, chi intende parlare. Grazie. Onorevole Valente, ne ha facoltà.
SIMONE VALENTE. Signor Presidente, colleghi deputati, anche noi vogliamo ricordare don Andrea Gallo e lo vogliamo fare con le parole di Stefano Milano, un amico che ha condiviso con lui molte battaglie: Don Gallo, sei stato un grande uomo di chiesa che ha sempre unito la sfera spirituale con l'impegno civile, il messaggio del Vangelo con lo spirito e gli articoli della Costituzione. Hai avuto un riferimento costante alla nostra Carta, non enunciandola solo a parole, ma mettendola in pratica giorno per giorno, spesso faticosamente, nella ricerca della pari dignità sociale e della rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Principi che nel nostro Paese sono rimasti in larga parte disattesi, segno tangibile di una politica che da tempo ha rinunciato a farsi garante dello spirito dei padri costituenti, lasciando che grandi uomini come te, spesso in solitudine e con pochi mezzi, ma mossi da una grande passione civile rimasta intatta negli anni, provassero a colmare tale vuoto, tale tentativo di donare e riconoscere agli uomini un po’ di uguaglianza e di dignità, per donare loro una «goccia di splendore», come diceva il tuo amico De André. Il Presidente Pertini, che spesso amavi citare, diceva che i giovani, i cittadini non hanno bisogno di sermoni, ma di esempi, esempi che tu hai testimoniato ogni giorno, aprendo le porte agli oppressi, ai poveri, agli emarginati, agli esclusi che sempre più numerosi si rivolgevano alla tua piccola, grande, comunità di San Benedetto. Non hai solo combattuto la povertà, ma hai denunciato con forza le scelte politiche ed economiche che l'hanno governata.
Ricordo ancora bene le tue parole: perché si è permessa la concentrazione del potere economico nelle mani bramose di pochi, grandi colossi mondiali ? La crisi attuale è la vittoria degli ultraliberisti con l'assenza di un'alternativa ritenuta valida.
PRESIDENTE. Le chiedo scusa. Potrei pregare almeno di evitare i capannelli da tutte le parti ? Non è obbligatorio stare in Aula in questa fase (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !
SIMONE VALENTE. La debolezza della politica occidentale e la scomparsa dei valori di civiltà hanno fatto il resto. I ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Gli economisti e gli statisti attuali ne sono imbevuti e, rivestendo posti di responsabilità, la applicano senza scrupoli. Lo dice Stiglitz, Nobel per l'economia: Il mercato ed il potere finanziario creano armi di distruzione di massa. Questa logica liberista è propugnata dalle banche. Gli economisti italiani (Draghi, Monti e soci) sono composti chierichetti di questo neoliberalismo in una blindata cattedrale del dio denaro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Andrea, sei sempre stato un uomo scomodo quando contestavi il potere, le ingiustizie economiche e sociali, quando manifestavi contro le guerre travestite da finte missioni di pace e contro le centrali a carbone, che uccidono per profitto, quando accoglievi intorno a te omosessuali, trans, prostitute, quando assistevi le donne immigrate costrette ad abortire, quando parlavi di fine vita, del matrimonio dei preti o delle donne sacerdote, argomenti tabù per gerarchie ecclesiastiche che mal digerivano un prete che affermava di dover rispondere alla propria coscienza civica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Il tuo amico don Ciotti ha detto che eri scomodo per quella politica che, anche in quest'Aula, tende spesso a non servire la comunità, ma interessi e poteri consolidati, scomodo anche per quella Chiesa che viene a patti con quei poteri forti, scegliendo di non interferire, di non portare insieme alla carità e alla solidarietà la sveglia delle coscienze.
Eri un vero prete pastore, conoscevi bene l'odore dei tuoi parrocchiani con i quali condividevi il pane nella tua comunità, la domenica dopo messa. Con la tua dottrina, allo stesso tempo cristiana e Pag. 31laica, con la forza dirompente delle tue parole, con l'esempio dato dal tuo modo di vivere, ci hai insegnato che il peggior vizio capitale è l'indifferenza.
Ciao don, ci mancherai (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà e di deputati del gruppo Partito Democratico) !
MARIO TULLO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MARIO TULLO. Signor Presidente, cari colleghi, ho preso la parola anch'io per ricordare don Andrea Gallo. La sua scomparsa ha suscitato grande commozione e partecipazione nella sua città e in tutto il Paese. Valgono per tutte le parole che il Presidente Giorgio Napolitano ha voluto inviare alla comunità di San Benedetto al Porto.
Nei giorni passati, quando la città ligure piangeva le vittime del recente incidente in porto, si era sentita la sua mancanza: non c'era a sostenere le famiglie delle vittime, a ringraziare i soccorritori, a dire la sua sulla tragedia. Le sue forze stavano venendo meno, stava combattendo la malattia con serenità e accompagnato dalla fede, ma non ce l'ha fatta. Sì, è vero, a 85 anni si può pensare che ci può stare, ma quando se ne va uno come lui non sei mai preparato: il vuoto che lascia è grande, è immenso.
Don Andrea Gallo – è stato già ricordato – era nato a Genova il 18 luglio 1928. Ha percorso gran parte del secolo passato e l'inizio di questo da protagonista, impegnato quotidianamente a fianco dei più deboli, a favore degli ultimi, come amava dire.
Nel 1948 inizia il noviziato, nel 1953 è andato ad operare in una missione in Brasile, nel 1960 è nominato cappellano sulla nave scuola, un riformatorio, la nave scuola «Garaventa», e nel 1963 diventa viceparroco della chiesa del quartiere del Carmine.
Al Carmine don Gallo resta fino al 1970. Nel suo operare si dedica al rapporto con i più giovani, apre la chiesa a momenti di confronto, di dibattito. Non sempre è compreso e ciò crea anche risentimenti, incomprensioni. Alla decisione di trasferire e promuovere don Gallo ad arciprete alla Capraia, che dipendeva dall'arcidiocesi genovese, il quartiere si oppone e difende il suo prete. Sarà lo stesso don Gallo, che ha amato, servito la sua chiesa, che ha sempre rispettato le decisioni dei suoi superiori, a riportare la calma.
Con un megafono così salutò i suoi parrocchiani nel luglio del 1970. Don Gallo affermò in quell'occasione: «è vero, esiste un profondo dissenso tra me e la curia, ma un dissenso d'amore e di profonda, convinta ricerca della verità. La cosa più importante è che si continui ad agire perché i poveri contino. Ci incontreremo ancora. Ci incontreremo sempre. In tutto il mondo, in tutte le chiese, le case, le osterie. Ovunque ci siano uomini che vogliono verità e giustizia».
Don Gallo ci teneva alla sua chiesa, la voleva più vicina alle persone, ma era la sua chiesa e l'ha servita, rispettata e difesa fino alla fine. Don Gallo però non va alla Capraia, busserà invece alla porta di don Federico Rebora, a San Benedetto e nel 1975 fonderà la comunità di San Benedetto al Porto.
Sono gli anni in cui si diffonde in maniera devastante il consumo dell'eroina. Si occuperà in particolare del sostegno e del recupero dei tossicodipendenti. Nascono cascine, laboratori, ristoranti che occupano decine di ragazzi e di ragazze, di uomini e di donne senza prospettiva che, grazie alla sua accoglienza, trovano ragione di vivere e percorrere nuove strade.
San Benedetto diventa un punto di riferimento, una porta aperta per tante debolezze, diversità e sofferenze. La sua ultima battaglia è stata quella contro le nuove dipendenze dal gioco d'azzardo su cui, se vogliamo onorarne la memoria, sarebbe bene che, anche a suo nome, adottassimo norme che contrastino il fenomeno.
Era orgoglioso della sua comunità, dei suoi ragazzi e delle sue ragazze, ma riteneva che il sistema delle comunità e, più Pag. 32in generale, della cooperazione sociale e del terzo settore non potessero e non dovessero agire in totale autonomia senza un quadro regolatore. Chiedeva con forza la presenza, la regia, il controllo dei servizi pubblici.
Don Gallo è stato partigiano. A soli 17 anni fa parte della brigata delle SAP «Paolo Cozzo», di cui il fratello Dino era il comandante. È staffetta partigiana. Partecipa alla lotta di liberazione. Don Gallo era partigiano e odiava l'indifferenza. Era di parte ma aveva capacità di ascolto, ascoltava tutti. Don Gallo era severo con le gerarchie in generale. È stato severo con la politica e con i partiti ed in particolare con quella parte che sentiva più vicina. Anche in questo caso chiedeva di essere più vicini alle persone ed in particolare alle giovani generazioni e alle fasce più deboli. Il Vangelo e la Costituzione italiana erano i suoi punti di riferimento, gli ispiratori del suo agire come uomo di fede e di chiesa, come cittadino e lo ha rivendicato con tenacia.
Sabato mattina in migliaia hanno sfilato per accompagnarlo dalla comunità di San Benedetto alla sua parrocchia del Carmine. Una moltitudine di persone in una giornata di pioggia e freddo, una giornata genovese più di fine marzo che di fine maggio.
A metà degli anni Sessanta – e concludo, signor Presidente – un grande amico di don Gallo ha scritto e cantato: «a crepare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio». A don Gallo il coraggio non mancava. La sua forza fisica e morale gli ha consentito di spendersi in modo totale e per tutta la vita fino alla fine al servizio del prossimo, dei più deboli, dei suoi ultimi.
La sua vita è stata spesa bene, l'ha percorsa tutta in direzione ostinata e contraria, l'ha percorsa con coerenza, fedele al Vangelo e alla Costituzione italiana (Applausi).
SANDRO BIASOTTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SANDRO BIASOTTI. Signor Presidente, anche io voglio ricordare e onorare la memoria di don Andrea Gallo che mi ha colpito personalmente. L'ho avuto, agli inizi degli anni Sessanta, mio insegnante in collegio interno a Varazze, dai salesiani, ed ha colpito me e tutti i miei compagni perché era un prete diverso da tutti gli altri. Era un prete che pur avendo religione come materia di insegnamento non ci parlava mai di religione, ma ci parlava della «Garaventa», delle prostitute, dei deboli e ci lasciava fumare. Insomma un prete che ha lasciato il segno. Un prete che ha aiutato gli umili, i diversi, i poveri e che poi ho re-incontrato a Genova in occasione della mia attività politica e con il quale ho avuto anche diversi scontri, sempre nell'affetto, nella riconoscenza di quello che lui ha fatto quando studiavo. Un prete che, se non avesse fatto politica, secondo me sarebbe stato perfetto e il suo fare politica non ha visto la mia condivisione. Però io sono stato ai funerali, sono stato uno dei pochi di centrodestra ad aver partecipato sentitamente e ho sentito la sua mancanza.
Allora mi sembra giusto ricordare anche un altro grande prete che abbiamo avuto a Genova, don Gianni Baget Bozzo. Giorni fa è stato l'anniversario della sua morte. Anche lui è stato un prete controverso, un prete che ha diviso, che ha avuto grandi scontri anche con don Andrea Gallo. Due grandi persone che in questo momento mi sembra giusto ricordare entrambi (Applausi).
PAOLO BOLOGNESI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
PAOLO BOLOGNESI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, prendo oggi la parola in quest'Aula per ricordare quel che accadde a Firenze venti anni fa: la strage di via dei Georgofili, dove morirono 5 persone ed altre 48 rimasero ferite.
È una data che cade alla vigilia di un altro triste anniversario, quello della Pag. 33strage di Brescia del 28 maggio 1974, dove, in piazza della Loggia, i morti furono 8 e i feriti 102, mentre appena pochi giorni fa abbiamo partecipato alle commemorazioni della strage di Capaci del 23 maggio 1992.
Sin dalla strage di Portella delle Ginestre il mese di maggio ha contrassegnato iniziative eversive rivolte a spegnere ogni speranza che questo Paese fosse avviato verso una nuova primavera della democrazia. Lo fu negli anni Settanta con la strage di Peteano del 31 maggio 1972, lo fu con la strage della questura di Milano del 17 maggio 1973 e lo fu ancora con la strage di Brescia del 28 maggio 1974.
Le sentenze emesse in questi anni ne hanno tutte ritenuto responsabili i neofascisti del gruppo ordinovista veneto, collegato agli apparati antinsorgenza, lo stesso gruppo individuato dai giudici come responsabile anche del confezionamento e trasporto dell'ordigno di piazza Fontana a Milano e di piazza della Loggia a Brescia. E tutte le sentenze hanno sempre individuato il coinvolgimento, costante nel tempo, di apparati dello Stato in protezioni e depistaggi.
La burocratica ricorrenza primaverile degli attentati di maggio – quasi un vezzo degli apparati antinsorgenza, lasciati liberi di operare in questo Paese – è sempre stata utilizzata per lanciare messaggi intimidatori contro il sistema politico che allora governava, al fine di impedirne lo sbocco verso nuove aperture democratiche. E tale è rimasta anche la finalità delle stragi commesse, sempre nel mese di maggio, alla distanza di quasi un ventennio – questa volta con l'obiettivo di imporre una resa allo Stato – quando presero il sopravvento le sordide compagnie mafiose, che gli apparati antinsorgenza avevano imprudentemente frequentato: il 23 maggio 1992 vi fu l'attentato di Capaci, ove persero la vita il giudice Falcone e la sua scorta, e dopo un anno, il 27 maggio 1993, vi fu la strage dei Georgofili.
Gli ergastoli attribuiti a Totò Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro non possono bastare, perché occorre ancora estirpare il potenziale di ricatto che quelle stragi riescono ancora ad esprimere. Anche per la strage di Capaci è stato accertato che non mancò la mano di persone vicine ad Ordine Nuovo, che provvidero al confezionamento dell'ordigno esplosivo per conto della mafia, che, in sintonia con i neofascisti in Sicilia, svolse sempre un ruolo politico servente per impedire l'affermazione della democrazia.
La lunga storia dello stragismo italiano di quegli anni ricostruita nelle inchieste giudiziarie ha evidenziato una commistione tra metastasi cancerose formatesi all'interno degli apparati dello Stato, gruppi mafiosi e delinquenza organizzata, sulla quale occorre fare una volte per tutte chiarezza. Troppe trascuratezze, troppe risposte elusive, troppe connivenze si sono accumulate nel corso degli anni. Una democrazia matura non può accontentarsi di mettere la parola fine a quella stagione scrivendo su una lapide che si tratta di una «verità indicibile». Ha bisogno di capire e di liberare, una volte per tutte, le istituzioni da persone legate a quella stagione.
Alcune decisioni giudiziarie devono ancora essere pronunziate in merito a queste e ad altre stragi. Confidiamo che la magistratura, come in tante altre occasioni, riesca a fare chiarezza dimostrando il suo ruolo di baluardo, non solo della legalità, ma anche dello stesso sistema democratico, nella consapevolezza che la prospettiva dell'accertamento della verità è l'unico fattore realmente dissuasivo affinché tragedie analoghe non si ripetano. Confidiamo che le amministrazioni, all'ombra delle quali eventualmente ancora allignano strutture clandestine che hanno applicato o addestrato alle tecniche terroristiche e della guerra psicologica, o a più sofisticate sue forme che ne rappresentino l'evoluzione, si attivino per denunziarne l'esistenza e per farne cessare l'operatività.
Ieri una delegazione dei ciclisti aderenti alla Fitel è arrivata davanti al Parlamento per testimoniare ancora una volta la ricerca di giustizia e verità. A Firenze, nel corso della preparazione delle celebrazioni...
PRESIDENTE. La prego di concludere.
PAOLO BOLOGNESI. A Firenze, nel corso della preparazione delle celebrazioni per questo triste anniversario, l'associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili ha scritto ai sindaci...
PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Bolognesi, sia cortese.
PAOLO BOLOGNESI. ... ai sindaci delle quattro città colpite dalle stragi del 1992-1993: Palermo, Roma, Firenze e Milano. La spinta politica dovrebbe infatti...
PRESIDENTE. Onorevole Bolognesi, sono costretto a toglierle la parola. O conclude in una battuta oppure devo toglierle la parola.
PAOLO BOLOGNESI. Va bene. Vanno perseguite le responsabilità penale e morali. I familiari lo chiedono da vent'anni ed è giunta l'ora per la politica di rimboccarsi le maniche, non è più tempo delle risposte, della non partecipazione come nel caso dei quattro sindaci, all'anniversario di Firenze (Applausi).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Bolognesi.
ANDREA COLLETTI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ANDREA COLLETTI. Signor Presidente, «da circa due anni mi trovo a lavorare da solo su una vicenda che, come nessuno può dimenticare, ha a che fare con qualcosa come sette fatti di strage compiuti dalla più pericolosa organizzazione criminale europea»: queste sono le ultime parole del magistrato Gabriele Chelazzi, scritte a mano su una lettera destinata al capo del suo ufficio a Firenze. Chelazzi è morto d'infarto la notte tra il 16 e 17 aprile 2003. Sul suo capo pendeva la pesante responsabilità di individuare i mandanti a volto coperto delle stragi del 1993 e denunciava la sua solitudine...
PRESIDENTE. Mi scusi un attimo. Per cortesia !
ANDREA COLLETTI. ... la sua solitudine, il suo progressivo isolamento man mano che scopriva i cedimenti e le vicinanze anche dello Stato di fronte alle pressioni di Cosa Nostra a suon di bombe. Ieri erano vent'anni dalla strage di via dei Georgofili e quei mandanti continuano ad avere ancora il volto coperto. Ma oggi, forse, si sa qualcosa di più. Parti di quelle indagini, infatti, sono confluite nel processo sulla trattativa Stato-mafia che ha preso le mosse proprio ieri, a vent'anni da quella bomba, che uccise cinque persone, morti dimenticate da questo Stato, purtroppo.
Oggi però c’è un altro magistrato che porta il fardello di un'indagine molto pesante, portata avanti contro tutto e tutti, compresi i suoi stessi colleghi. È notizia di ieri che il PM di Palermo, Nino Di Matteo, è stato raggiunto da un'altra lettera anonima che lo avverte di essere spiato in auto, a casa, al cellulare. Perché ? Perché da sei anni Di Matteo ha scoperchiato le relazioni pericolose tra mafia e pezzi di istituzioni dello Stato, istituzioni che, per tutta risposta, lo processano, come il CSM che, vergognosamente, ha avviato un'azione disciplinare nei suoi confronti, accentuando il suo isolamento. A Di Matteo, autentico interprete del senso etico della giustizia, va la solidarietà di tutto il MoVimento 5 Stelle e a breve depositeremo un'interrogazione per sapere come sia possibile che, a otto mesi dalla prima lettera anonima, non siano state prese contromisure per difendere l'operato del magistrato. Non possiamo e non dobbiamo in questo momento avere paura di conoscere la verità, anche se agghiacciante. Solo la verità ci rende veramente liberi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
LUCA FRUSONE. Chiedo di parlare.
Pag. 35PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
LUCA FRUSONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei esprimere oggi la nostra apprensione dinanzi alle parole del Ministro Mauro che, ancora una volta, ha espresso la sua volontà di acquistare i tanto discussi F-35. Non mi soffermerò su questioni tecniche e sui già noti problemi di questi sistemi di difesa.
Le nostre perplessità nascono da questa posizione irremovibile, ferrea, da questa impossibilità di dialogo, su un progetto che ci può costare circa 15 miliardi: infatti non c’è certezza nemmeno sul costo. Anzi, di certo c’è che i costi aumenteranno quando Paesi più avveduti si ritireranno dal progetto, cosa che già si sta verificando.
In fondo, chiediamo poco. Chiediamo solo che il Parlamento, unico organo espressione diretta della volontà popolare, Porcellum permettendo, abbia la possibilità di discutere una spesa così importante e onerosa senza sbattere contro muri preesistenti.
Ma forse il problema sta alla base, forse il problema è il concetto di pace, perché affermare che questi caccia multiruolo, vettori di ordigni nucleari, servono per fare la pace denota una distorsione del significato stesso della parola «pace» (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà).
Speriamo che tale attribuzione di significato non sia dovuta alla generosità di Finmeccanica quale sponsor di meeting di Comunione e Liberazione, per fare un esempio.
Per questo chiediamo che si apra una seria discussione, scevra da ogni preconcetto, per valutare oggettivamente l'utilità di questi caccia per il nostro Paese, in un momento in cui una somma così cospicua potrebbe essere usata per più nobili scopi (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà).
TERESA PICCIONE. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
TERESA PICCIONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei ricordare anche stasera una figura particolare, che è quella di don Pino Puglisi, che proprio nella mia città, Palermo, è stato beatificato sabato scorso (Applausi). La storia di don Pino Puglisi è scritta in un cerchio spaziale e temporale: nasce nella borgata orientale di Palermo, a Brancaccio, il 15 settembre del 1937 e a Brancaccio muore il 15 settembre del 1993, all'età di 56 anni, nel giorno del suo compleanno. Don Pino Puglisi è un santo feriale, una persona normale, uno che ha dimostrato che si può essere grandi nella quotidianità dei gesti e in un'ubbidienza fondamentale al Vangelo ed alla Croce. È una persona straordinaria, ma piccola, esile, dalle grandi orecchie a sventola: lui, ironico sempre su se stesso, amava dire di averle così grandi come il lupo di Cappuccetto rosso, per ascoltare meglio, perché don Pino tutta la vita, prima di promuovere, ha ascoltato, tutti, tutti: dal suo vescovo agli ultimi della città.
Ha una vocazione semplice. Nasce in una famiglia di quattro figli, il padre è calzolaio e la madre sarta, sempre nel quartiere, anzi in una enclave di Brancaccio, che si chiama gli Stati Uniti. Diventa sacerdote nel 1960 e vive il Concilio Vaticano II con grande intensità. Parla nelle taverne di Mondello, borgata marinara di Palermo, con i comunisti atei del Roosevelt, gli educatori dei ragazzi orfani dei caduti sul lavoro. Legge tanti libri, perché nella cultura, oltre a quella del seminario, in tutta l'altra cultura, dalla filosofia alle scienze sociali alla psicanalisi, Don Pino cerca idee per cambiare il mondo. Dice che è bello fare strada con gli altri, almeno un pezzo di strada con chi anche non condivide la fede, perché condivide con lui il senso grande della giustizia, della solidarietà, della scelta radicale della libertà del cuore.
Don Pino accetta tutti gli incarichi: diventa parroco in un paese sperduto, dove c’è una faida terribile fra le famiglie, 16 morti in pochissimi anni. Mette la pace, riesce a far riconciliare una madre che ha avuto ucciso il figlio con la madre dell'assassino del figlio. Porta i ragazzi a guardare la bellezza, perché è convinto, come Dostoevskij, che la bellezza salverà il Pag. 36mondo. Don Pino diventa direttore del centro diocesano delle vocazioni e poi di quello regionale, e inaugura il senso nuovo della ricerca della vita, anzi di quella che è la ricerca di senso. Il suo motto è: «Sì, ma verso dove ?». È un appello per tutti. I giovani si interrogano, lo amano. Si definisce un rompiscatole, anzi lo fa visivamente; sale su una scatola, nella classe del Vittorio Emanuele dove insegna religione, uno dei licei classici di Palermo, vi salta su, la rompe e dice: «Ecco che cosa sono: sono un rompiscatole». Se ne accorgeranno bene i mafiosi di Brancaccio.
Don Pino lo voglio ricordare anche perché è una lezione per noi quello che è accaduto a Palermo: martire in odium fidei. Segna un punto di non ritorno, un cambio di cultura, non perché la Chiesa non abbia mai stigmatizzato la mafia, ma perché questa è la dichiarazione che la mafia ha ucciso un uomo perché era operatore di pace, perché credeva nel Vangelo. Segna l'assoluta incompatibilità culturale di una parola portatrice di salvezza con quella dell'arroganza, della prepotenza, della sopraffazione, del potere, della cultura di morte di stampo mafioso. Non ci potranno più essere mistificazioni da parte di Cosa Nostra; non basterà giurare l'affiliazione sul santino dell'Annunziata per essere considerati credenti. Questo è il messaggio culturale che aspettavamo. Stavolta don Pino è sacramentum di tutto questo (Applausi).
FRANCO BORDO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FRANCO BORDO. Signor Presidente, cari colleghi, cittadini di Pavia, sabato 18 maggio a Pavia si è tenuta la prima manifestazione contro il gioco d'azzardo. A Pavia perché questa è la città, anzi la provincia, con la percentuale più elevata di gioco d'azzardo, perlomeno di quello legale. Si conta una slot machine ogni 136 abitanti, minori compresi. Abbiamo appreso che, a seguito della manifestazione, le due società concessionarie dello Stato hanno presentato un esposto alla magistratura chiedendo di verificare l'esistenza di ipotesi di reato in merito ai contenuti relativi alla manifestazione. L'impressione data dall'azione di esposto alla magistratura da parte dei concessionari di gioco ha il sapore di chi intende spaventare un movimento civico composto da giovani, famiglie, associazioni e amministratori, di chi intende nascondersi dietro un dito per non affrontare invece un problema serio e grave, perché il fenomeno della ludopatia è molto grave a Pavia come in tutta Italia.
Sono i numeri che ci dicono i sindaci a declinare questo tipo di gravità: 100 miliardi di euro di fatturato, 4 per cento del PIL nazionale, la terza industria italiana, 8 miliardi di euro di tasse. Questa è la copertina con cui si presenta bene il gioco in Italia. Giriamo la copertina e vediamo che il 12 per cento della spesa delle famiglie italiane è assorbita dal gioco, l'Italia ha il primato europeo con il 15 per cento del gioco d'azzardo, il 4,4 per cento del mercato mondiale, 400 mila slot machine, 6.181 locali e agenzie autorizzati. Sono stati calcolati 15 milioni di giocatori abituali, 3 milioni a rischio patologico e oramai 800 mila sono i giocatori già patologici. L'ex Ministro della salute ha stimato in 5-6 miliardi di euro l'anno la spesa necessaria per curare i dipendenti dal gioco patologico in Italia.
Sono i numeri del gioco d'azzardo lecito che sta distruggendo le persone, le famiglie e le comunità. Il gioco sottrae ore al lavoro, alla vita affettiva, al tempo libero e produce sofferenza psicologica, di relazione, educativa e materiale, altera i presupposti morali e sociali degli italiani sostituendo con l'azzardo i valori fondanti sul lavoro, sulla fatica, sui talenti. Sono a rischio la serenità, i legami e la sicurezza di tante famiglie e delle nostre comunità. Spesso intorno ai luoghi di gioco d'azzardo si organizza la microcriminalità dei furti, degli scippi e dell'usura, ma anche quella della criminalità organizzata. Il gioco d'azzardo lecito è materia statale e i sindaci non hanno alcun potere regolativo, ispettivo, autorizzativo.
Ecco, noi oggi esprimiamo solidarietà e sostegno ai promotori dell'iniziativa di Pavia Pag. 37e a tutte le associazioni che a livello nazionale si stanno occupando di questo fenomeno, ai sindaci che chiedono a questo Parlamento una nuova legge in materia, fondata sulla riduzione dell'offerta e il contenimento dell'eccesso, una legge che consegni ai sindaci un reale potere di controllo e di pianificazione.
È con questo spirito, signor Presidente, che, condividendo questi obiettivi, esprimiamo questa sera la nostra preoccupazione per l'assegnazione della delega ai giochi d'azzardo al sottosegretario onorevole Giorgetti, che già si è mostrato in passato, nel recente passato, molto sensibile alla diffusione di questa piaga sociale (Applausi).
MIRIAM COMINELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
MIRIAM COMINELLI. Signor Presidente, il mio intervento è per ricordare quello che accadde il 28 maggio 1974, quando a Brescia, in piazza della Loggia, cuore del dibattito politico della città, durante una manifestazione antifascista indetta dai partiti dell'allora arco costituzionale e dai sindacati che dichiaravano uno sciopero generale, una bomba provocò otto morti ed il ferimento di oltre cento persone. Da quel giorno, i magistrati bresciani non hanno mai smesso di indagare per individuare la mano che pose l'ordigno. Da quel giorno, si è arrivati al 14 aprile 2012, alla sentenza di assoluzione della corte di appello di Brescia e ad una dichiarazione dei PM che, dopo 38 anni, sembra una resa: «Abbiamo fatto tutto il possibile, è una vicenda che va affidata alla storia». Da 39 anni, quindi, Brescia commemora i suoi morti e il ricordo di un atto criminoso che, ad oggi, non ha ancora dei colpevoli giudizialmente riconosciuti.
Diverso è il discorso se ci concentriamo sulla verità storica della strage di Brescia: perpetrata durante una manifestazione antifascista, assume un connotato particolarmente esplicito sul quale fosse il clima politico di quell'epoca. Piazza della Loggia, infatti, è una vicenda paradigmatica della strategia della tensione. Ed è terribile constatare, accanto al non accertamento della verità processuale, che pure quella che dovrebbe essere memoria condivisa non sembra, a volte, interessare più di tanto le stesse istituzioni, nel loro considerare le stragi d'Italia – da Portella della Ginestra in poi –, al massimo, una pagina di storia da non ripetere, certo, ma soprattutto, da dimenticare in fretta, senza che sia stata raggiunta chiarezza.
Ecco perché, oggi, non vorrei ricordare solo le vittime di quella strage – fra le quali vi è anche la madre del nostro collega, l'onorevole Bazoli –, ma anche il motivo per cui esse si trovavano in quel luogo. Rispetto alle altre stragi, le vittime di piazza della Loggia non erano lì per caso, ma avevano deciso liberamente di aderire all'invito del comitato antifascista. Erano persone che ritenevano, con la loro presenza in piazza quel giorno, di dare un segno preciso: volevano respingere la violenza neofascista e difendere la Costituzione, nata dalla Resistenza. Una strage politica, insomma. Ecco perché la sua impunità pesa enormemente sui familiari delle vittime.
I valori per cui esse si trovavano in quel luogo sembrano così annullati, dimenticati e, di conseguenza, le persone morte quella mattina sono anch'esse annullate e dimenticate. Solo attraverso il riconoscimento delle responsabilità vengono ripristinate le regole che sono state infrante. Un delitto – qualsiasi delitto – costituisce sempre la rottura delle regole di convivenza della società civile. L'affermazione della giustizia diventa un ristabilimento di quelle norme. Invece, l'impunità totale di quella strage è quasi un negare l'esistenza del passato. È questo il tema di fondo: per arrivare alla verità storica occorre prima la volontà di saper guardare ognuno al proprio passato con sincerità.
In una lettera, Manlio Milani, presidente dell'Associazione familiari caduti strage di piazza della Loggia, ha scritto: «L'Italia, dopo la Colombia, è il Paese con il più alto numero di cittadini, funzionari dello Stato, caduti per atti di terrorismo, Pag. 38stragismo politico e mafioso, omicidi politici. (...) Noi siamo il Paese delle associazioni delle vittime. Cosa vuol dire che famigliari si riuniscono e si battono per avere giustizia ? Vuol dire che senza l'impegno di una parte di società per strappare la verità, è difficile che la verità venga fuori; vuol dire che c’è una ferita nelle regole della democrazia nel nostro Paese talmente profonda, che non può essere rimarginata con l'oblio e la rimozione».
Il rischio per un Paese senza memoria è quello di essere un Paese che non impara dai propri errori, di un Paese che dà per scontato le istituzioni democratiche raggiunte con enormi sacrifici. Fare che momenti come quello di oggi diventino non dei riti stanchi, ma passaggi fondamentali di riflessione collettiva è una delle strade per diventare un Paese migliore e più coeso (Applausi).
CLAUDIO COMINARDI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
CLAUDIO COMINARDI. Signor Presidente, oggi ricordiamo un evento terribile, ignominioso, la strage di piazza della Loggia. Ma siamo capaci solo di ricordare ? Allo Stato, otto morti costano solo un minuto di silenzio.
Ma lo Stato dov'era quel giorno ? Beh, lo Stato c'era, eccome: era presente in piazza nei panni dell'agente del Sid Maurizio Tramonte, infiltrato nell'organizzazione terroristica «Ordine Nuovo». C'era nella persona del vice questore che ordinò ai pompieri di spazzare con gli idranti la scena del delitto. C'era anche all'ospedale, dove i corpi di reato estratti dai cadaveri sparirono misteriosamente. Lo Stato c'era, ma non era certo dalla parte dei cittadini. La strategia della tensione è servita allo Stato per condizionare l'opinione pubblica e per deviare il corso democratico del Paese. Le stragi come quella di Brescia entrano in un contesto fatto di tentativi di sovversione e di golpe che costellarono gli anni di piombo, golpe come quello dell'Immacolata, oppure come quello ipotizzato nel 1973, dove antidemocraticamente si voleva trasformare la Repubblica parlamentare in una Repubblica presidenzialista, lo stesso presidenzialismo citato nel piano di rinascita della P2, lo stesso presidenzialismo rincorso oggi così sfacciatamente dagli schieramenti di destra e sinistra. Bisogna togliere ogni velo e ogni segreto sulla lunga catena di stragi che ha insanguinato la vita della Repubblica, ha detto il Presidente Laura Boldrini, ed ha aggiunto che senza un pieno accertamento della verità non è possibile riconoscersi in un terreno di valori e di memoria condivisa. Le vorremmo ricordare che il segreto di Stato non è opponibile nei procedimenti per strage, e che se una cosa le indagini recenti sulle stragi compiute da Brescia a Milano ci hanno insegnato è che negli archivi non c’è nulla che porti ad una verità assoluta.
Dire che se si aprissero gli archivi sapremmo la verità è l'ennesimo depistaggio mediatico su cui costruire false aspettative, l'ennesimo affronto al sangue versato. Ci sono prove inoppugnabili che i servizi abbiano coperto decine di esponenti dell'estremismo nero, eppure gli archivi degli apparati sono stati svuotati, come denunciano le indagini. Dove sono finite quelle carte ? Chi le utilizza ancora ? Quali ricatti sono in grado di esercitare ? Le indagini della procura di Brescia rivelano che due esponenti dell'estremismo coinvolti nelle stragi, Esposti e Rognoni, hanno con certezza avuto stretti contatti con i servizi, ma nei loro archivi non c’è nulla di tutto questo.
Questo è il potere che non muore mai, che si autoriproduce nel tempo a protezione di se stesso e dei suoi infiniti giochi di specchi. Si parla tanto di rinnovamento, anche nel mondo degli apparati di sicurezza, ma come possiamo crederci se a capo dei servizi abbiamo Gianni De Gennaro, l'uomo che ha permesso la macelleria del G8, e come sottosegretario con delega ai servizi Marco Minniti, che non ha mai nascosto appoggio e amicizia al generale Mori, l'uomo della trattativa con Vito Ciancimino e la cupola ?Pag. 39
Ricordare le vittime di quegli anni mentre si continuano a nascondere i fatti e si proteggono i responsabili, non è il migliore dei modi per onorare gli innocenti che ci hanno rimesso la vita. Non potete ripensare il Paese senza prima affrontare la verità. Dire la verità è sempre illuminante: parole di Aldo Moro, vittima anch'egli di quell'insana ragion di Stato che ancora molti tendono a servire. Sulla base dei coinvolgimenti dello Stato, ed in particolar modo dei servizi segreti, in queste oscure vicende, vi invitiamo a lasciare la presidenza del Copasir all'unica vera opposizione, quella che non è satellite dei partiti di Governo: il MoVimento 5 Stelle. Questo sarebbe un segnale vero, reale, di un cambio gestionale di quello che è l'organo di controllo sull'operato dei servizi, compito che spetta per diritto all'opposizione...
PRESIDENTE. Le ricordo che lei sta parlando sull'ordine dei lavori.
CLAUDIO COMINARDI. ... e che ci spetta maggiormente perché non deriviamo da quei partiti che hanno avuto connivenze con gli apparati deviati dello Stato negli anni bui delle bombe e dei massacri. Concludo ricordando che il 14 aprile 2012 la Corte d'assise d'appello ha confermato l'assoluzione per tutti gli imputati, condannando le parti civili al rimborso delle spese processuali: è necessario, quanto meno, che le istituzioni se ne facciano carico, se la Cassazione dovesse confermare la sentenza d'appello (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
ETTORE ROSATO. Chiedo di parlare per un richiamo al Regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ETTORE ROSATO. Signor Presidente, intervengo solo per ricordare che, in questa fase, utilizzare strumentalmente, in particolare la commemorazione di un evento tragico che ha unito questo Paese nel dolore, che ha unito anche quest'Aula nel dolore, per rivendicare la presidenza di una Commissione o per attaccare un membro del Governo in maniera assolutamente strumentale, è inaccettabile, non previsto dal nostro Regolamento, ma anche dal buon gusto di quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Rosato. Infatti ho fatto presente che si interveniva sull'ordine dei lavori. Torno a dirlo, ma purtroppo non vedo presente il capogruppo del MoVimento 5 Stelle.
Nonostante l'osservazione che ho fatto l'altra volta, per le vie brevi e ho avuto garanzia dal capogruppo del MoVimento 5 Stelle che gli interventi sull'ordine dei lavori sarebbero stati, in qualche modo, ricondotti a quella che è la fisionomia dell'ordine dei lavori nella nostra Aula, evidentemente l'appello non è stato raccolto e a questo punto, inevitabilmente, della questione non potrà, cosa che farò attraverso la Presidente della Camera, non occuparsi la Conferenza dei capigruppo perché quello che, diciamo, si sta manifestando non ha molto a che vedere, in parte degli interventi, con l'ordine dei lavori. Comunque, la ringrazio onorevole Rosato.
DONATELLA AGOSTINELLI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
DONATELLA AGOSTINELLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vorrei riportare l'attenzione in questa sede su un argomento importantissimo, spesso tralasciato, spesso passato in secondo piano. Si tratta delle innumerevoli centrali a biomasse che vengono spesso in maniera scellerata autorizzate non solo nella mia regione Marche ma in tutto il territorio nazionale e, sottolineo, si tratta di un tema importantissimo perché qui non si tratta di porre l'accento soltanto su questioni ambientali ma soprattutto chiedere una più equa distribuzione delle risorse pubbliche.Pag. 40
Onorevoli colleghi, dopo la maxi inchiesta della procura della Repubblica di Ancona che ha portato 13 avvisi di garanzia, un altro grave macigno cade sulla testa della regione Marche e del presidente Spacca: la Corte costituzionale ha infatti dichiarato la parziale incostituzionalità della legge regionale n. 3 del 2012 sulla base della quale sono state autorizzate dalla regione Marche decine di centrali a biogas sul proprio territorio. Ancor più pesante appare la posizione della giunta e del presidente che hanno continuato ad autorizzare gli impianti nonostante la pesante impugnativa pendente alla Consulta e nonostante il Parlamento regionale abbia più volte deliberato in maniera ampia e condivisa tra maggioranza e opposizione di sospendere le autorizzazioni.
Non si capisce in base a quale interesse pubblico la giunta abbia disatteso le deliberazioni del Parlamento regionale ed oggi la sentenza pesante contro la legge regionale n. 3 del 2012 dimostra l'infondatezza e la non supportabilità giuridica di una tale decisione.
La regione ha ignorato inspiegabilmente anche innumerevoli memorie, pareri, diffide e pareri legali inviati da numerosi cittadini e comitati e persino da sindaci, in cui venivano chiariti sia il quadro di incostituzionalità delle norme regionali sia enormi criticità procedurali negli iter autorizzativi. Il presidente Spacca e la regione hanno proseguito imperterriti con le autorizzazioni permettendo a soggetti privati di completare gli impianti e di ottenere con il GSE, cioè il Gestore dei servizi elettrici, contratti per milioni di euro di incentivi pubblici. Il governatore della regione Marche, Spacca, ha permesso che decine di impianti fossero autorizzati sulla base di norme definite oggi illegittime dalla Consulta invece di sospendere e/o revocare in autotutela le autorizzazioni.
Quale interesse pubblico ha tutelato ? Perché sono gli interessi collettivi e non quelli privatistici i primi a dover essere posti sotto tutela. Le motivazioni della sentenza della Consulta, che è la n. 93 del 2013, sono pesantissime per la regione Marche; non mi soffermerò nella lettura di queste motivazioni, che possono essere lette da chiunque, voglio solo sottolineare che la Consulta dice questo: la mancata considerazione dei predetti criteri della direttiva UE pone la normativa regionale impugnata in evidente contrasto con le indicazioni comunitarie dal momento che il rispetto del suddetto obbligo comunitario grava sul legislatore regionale così come su quello statale. In sintesi, tutto ciò ha portato il prolificare indiscriminato di impianti sul territorio anche a poca distanza l'uno dall'altro con autorizzazioni che risultano quindi indebitamente agevolate alla luce della sentenza della Consulta.
Pertanto, a tutela degli interessi dei cittadini, agiremo con ogni mezzo a nostra disposizione anche parlamentare; annuncio che chiederemo la revoca delle autorizzazioni concesse sulla base di una legge dichiarata illegittima, anticostituzionale ed in contrasto con la direttiva europea; procederemo inoltre con l'istanza al GSE, cioè al Gestore dei servizi elettrici, affinché questo eserciti le sue funzioni di vigilanza e di controllo.
Infine, nel sopra citato passaggio della sentenza n. 93 del 2013 della Consulta si evidenzia come tutti gli impianti, anche dell'allegato 2 della direttiva 2011/92/UE, debbano essere sottoposti almeno a procedura di screening, cioè a verifica di assoggettabilità. Verrà inviata, quindi, ai Ministri dell'ambiente, dello sviluppo economico e della giustizia una richiesta di rivisitare, all'occorrenza, revocare, tutte le autorizzazioni per le quali gli obblighi della direttiva europea ribaditi dalla Consulta non siano stati rispettati.
ELENA CENTEMERO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
ELENA CENTEMERO. Signor Presidente, grazie di aver ricordato in precedenza il ruolo che ha questo Parlamento, ed il suo essere un'alta istituzione.
Intervengo oggi per ricordare quanto è successo domenica a Bologna. A Bologna Pag. 41si è tenuto un referendum consultivo sui finanziamenti comunali alle scuole dell'infanzia paritarie, referendum che ha visto i votanti pari al 28,71 per cento, referendum proposto dal comitato referendario «Nuovo articolo 33».
Il mio intervento è volto a richiamare l'attenzione di quest'Aula, dei colleghi presenti, ma anche del Ministro e dei sottosegretari sull'importanza che ha, all'interno del nostro sistema di istruzione, la scuola paritaria; e soprattutto a ricordare – poi richiamerò le parole del Ministro Carrozza – che, sia per Costituzione (l'articolo 33), sia per la legge n. 62 del 2000 (la legge cosiddetta Berlinguer), il sistema nazionale di istruzione prevede scuole statali, scuole paritarie e scuole degli enti locali.
Questo sistema integrato, in particolar modo per quanto riguarda le scuole paritarie, prevede un percorso di accreditamento molto complesso. I numeri sono abbastanza significativi: le scuole paritarie in Italia sono 13.500, 727 mila gli studenti; e molte di queste sono appunto scuole dell'infanzia, 6.610, con 443 mila alunni: due bambini su cinque frequentano quindi una scuola dell'infanzia paritaria.
Il referendum di Bologna è andato a toccare un tema molto significativo: nel comune di Bologna, nel 1994, per ampliare l'offerta di posti per le famiglie e per i bambini l'amministrazione ha introdotto un sistema di convenzioni. Questo sistema di convenzioni ha permesso di aggiungere, grazie a tali scuole appunto paritarie, 1.825 posti, cioè il 23 per cento di posti per i bambini. Ciò comporta un finanziamento, pari a un milione di euro, finanziamento che...
PRESIDENTE. Onorevole Centemero, le chiedo scusa. Vale lo stesso discorso anche per lei: va benissimo, ovviamente, siamo a fine seduta; però anche questo nell'ordine dei lavori rientra a prezzo di un arrampicamento su una dozzina di specchi. La pregherei di concludere, la ringrazio.
ELENA CENTEMERO. Stavo ricordando appunto che è opportuno fare una riflessione, a cui ci invita anche lo stesso Ministro, che però sembra non aver ben chiaro come è composto il nostro sistema di istruzione: parla di rapporto tra sistema pubblico e quello paritario. Vorrei appunto ricordare che il sistema pubblico di istruzione comprende le scuole statali, le scuole paritarie e le scuole comunali. Credo quindi che sia opportuno che noi tutti ci richiamiamo a quello che dice la nostra Costituzione, e soprattutto a quello che dicono le leggi del nostro Stato.
DONATA LENZI. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà. Ovviamente immagino che l'argomento sia simile, e la mia considerazione è altrettanto simile. La ringrazio.
DONATA LENZI. Signor Presidente, la ringrazio, anche se in realtà si tratta più di un'interlocuzione, a questo punto, rientra più nelle attività dell'Aula a risposta.
Parlo come deputata eletta a Bologna, e con una conoscenza concreta della situazione. Eviterei di fare di quel referendum – fra l'altro, ha votato il 28 per cento degli aventi diritto – un caso nazionale, perché non c’è nessun comune d'Italia che spende 36 milioni di euro e copre il 60 per cento della domanda di scuola... ringrazio la collega, che interloquisce uscendo. Risponde, dicevo, alle necessità del 60 per cento delle famiglie con finanziamenti propri.
Il tema vero è che c’è una proposta di legge di iniziativa popolare, che chiede di garantire a tutti i bambini da 0 a 6 anni il diritto ad avere gli asili nido e le scuole per l'infanzia a carico del finanziamento statale.
Nella mia città, come in tante altre città, questo diritto non è garantito. Noi non stiamo parlando di scuola dell'obbligo, ma stiamo parlando di un diritto dei bambini, che non viene garantito dallo Stato. Noi abbiamo solo il 17 per cento di scuole statali. Pag. 42
Quindi, stiamo sopperendo ad una mancanza di finanziamento statale. Questo avrebbe dovuto essere un punto unificante che tutte le forze politiche bolognesi dovevano impugnare per ottenere una garanzia di finanziamento pubblico e un diritto per tutti bambini e mi auguro che il Parlamento possa affrontare la discussione di quel progetto di legge, di cui chiedo, a questo punto, e sollecito l'incardinamento (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).
DALILA NESCI. Chiedo di parlare per richiamo al Regolamento.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà. Vorrei, però, precisare che, come di norma, dalla prossima seduta, magari, sarà utile, quando si fanno delle richieste per richiamo al Regolamento, indicare anche qual è l'articolo del Regolamento in virtù del quale si chiede di intervenire, in maniera che è anche più semplice per la Presidenza rispondere alle considerazioni dei deputati.
DALILA NESCI. Signor Presidente, vorrei dire una cosa. Noi abbiamo più volte preso in considerazione i suoi consigli, sia all'interno della Conferenza dei presidenti di gruppo, sia in Aula, quindi ci siamo impegnati a ridurre i nostri interventi in Aula che – lei stesso me lo ha detto – si devono tenere comunque a fine seduta. Quindi, già abbiamo rispettato la regola di non farli all'inizio della seduta. Inoltre, sempre nel rispetto del ruolo che lei ricopre, le do un'informazione che forse non ha, nel senso che ieri siamo stati collaborativi con l'Ufficio di Presidenza, che ci ha chiesto di rinunciare a tutti gli interventi, così come hanno fatto gli altri gruppi parlamentari, quindi è per questo che, in questa seduta, ci siamo ritrovati a fare sia gli interventi di ieri, che di oggi.
Le chiedo poi semplicemente un'altra cosa, se magari mi vuole dare una risposta, ossia se lei trova giusto, o meno, che altri gruppi parlamentari debbano giudicare le modalità di commemorazione di una strage, o di un fatto di una persona. A me non sembra giusto questo tipo di atteggiamento, poi non so: aspetto una sua risposta (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Onorevole Nesci, vorrei informarla che non è in discussione il numero di interventi sull'ordine dei lavori perché, teoricamente, siamo 630 persone e 630 persone – se intervengono sull'ordine dei lavori – è assolutamente lecito che lo facciano e noi dobbiamo garantire, nell'applicazione del Regolamento, che possano intervenire, stando, se necessario qui, anche fino a domattina. Non è questo il tema: il problema è cos’è l'ordine dei lavori. Allora, sicuramente, per ragioni le più disparate, le posso garantire che lo svolgimento degli interventi sull'ordine dei lavori di questa legislatura è assolutamente anomalo rispetto agli interventi sull'ordine dei lavori, come si sono sempre configurati nell'applicazione delle indicazioni del Regolamento e anche della prassi. Io ho trasferito queste considerazioni nella Conferenza dei presidenti di gruppo e anche al presidente del suo gruppo, semplicemente cercando di spiegare che, sull'ordine dei lavori, non si può venire qui e parlare su ogni argomento per cinque minuti, perché questo non è l'ordine dei lavori.
Siccome deve sapere che la Presidenza è sempre informata su quello che accade (non è che chi viene qui non sa quello che è successo ieri), ieri gli interventi sull'ordine dei lavori che sono stati rimandati a oggi erano sette e, nella fattispecie, nella stragrande maggioranza, erano interventi che sull'ordine dei lavori, assolutamente in modo conforme a quello che spesso è accaduto nelle scorse legislature, erano per ricordare – come lei avrà potuto vedere – personaggi importanti che sono scomparsi, ovvero stragi e accadimenti di una certa natura per i quali si è intervenuto anche in passato.
Nella fattispecie, il collega Rosato, intervenendo per richiamo al Regolamento, Pag. 43ha fatto riferimento al merito di un intervento che ha svolto il suo collega riguardo alla commemorazione. Ha fatto un richiamo al Regolamento esattamente come sta facendo lei. La Presidenza, a prescindere dal richiamo al Regolamento dell'onorevole Rosato, aveva già chiarito al collega che stava parlando che l'ordine dei lavori è una questione particolare, dopo di che l'argomento è chiuso. Quindi, credo di averle risposto su tutte le domande.
Non è in discussione il numero, è in discussione che cosa è l'ordine dei lavori. Adesso è inutile che, diciamo, si apra un dialogo tra la Presidenza e noi, perché questo problema non lo risolve, per come si è manifestato, né il Presidente né nessun altro. Lo risolve, come è giusto, la Conferenza dei presidenti di gruppo, che sarà inevitabilmente investita della questione.
Per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 18,45).
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor Presidente, anch'io ero iscritto a parlare ieri.
Signor Presidente, mi permetto di sollecitare una risposta alla mia interrogazione, n. 183 del 9 aprile scorso, sulla grave situazione finanziaria delle aziende che operano nel trasporto pubblico locale della Calabria, ormai prive anche della liquidità necessaria per i rifornimenti di carburante e sull'atteggiamento della regione che non adempie agli impegni precedentemente assunti con le società concessionarie e continua a operare ulteriori tagli al settore. Insomma, la regione Calabria promette ma non mantiene e ai calabresi dice: «se volete spostarvi arrangiatevi da soli».
È evidente il grave danno per le aziende e per i lavoratori, ai quali va la mia solidarietà, che da settimane sono in stato di agitazione ma, soprattutto, per l'utenza calabrese, già penalizzata da una notevole carenza infrastrutturale regionale. Quello dei trasporti è un problema annoso ma che ora, a seguito del protrarsi della crisi economica nazionale e del continuo aumento dei prezzi dei carburanti, ha assunto una dimensione tale da mettere a repentaglio lo svolgimento di un servizio essenziale. I pesanti e drammatici tagli che la giunta regionale della Calabria ha previsto per il settore trasporti rappresentano, poi, un colpo durissimo all'intera economia regionale e rischiano di riportare la Calabria indietro di 20 anni. È proprio il caso di dire che mentre tutto il mondo si muove a grande velocità c’è chi, chiuso nel palazzo della regione, tiene i calabresi desolatamente fermi.
Va, dunque, trovata una rapida soluzione, anche per evitare l'isolamento del territorio e delle aree interne. La crisi del settore trasporti in Calabria parte da lontano, ma si è aggravata notevolmente per la totale assenza di programmazione degli ultimi anni. La giunta regionale ormai scivola sulla gestione dell'ordinario e tutto precipita nell'emergenza. Dalla sanità ai rifiuti, all'ambiente, ai trasporti, tutto è sfuggito di mano, per finire nell'ennesima gestione straordinaria, che sembra tanto piacere al presidente Scopelliti e alla sua giunta. Il taglio del 50 per cento delle risorse per i trasporti produrrà un effetto devastante, sia...
PRESIDENTE. Onorevole Oliverio, volevo dirle che siccome ho appena finito di intervenire su questa materia...
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor Presidente...
PRESIDENTE. ... se lei fa il sollecito per un'interrogazione, va bene. Se, ovviamente, entriamo anche nel merito...
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Signor Presidente, è il contenuto dell'interrogazione. Comunque sto per finire.
PRESIDENTE. Sì, ma questo contenuto dovrebbe svolgerlo quando il Governo Pag. 44viene a rispondere all'interrogazione. Comunque, la pregherei di concludere.
NICODEMO NAZZARENO OLIVERIO. Sì, grazie signor Presidente.
Dicevo, sia per le conseguenze che può avere in termini occupazionali per i lavoratori interessati, sia per le gravi conseguenze che un taglio così netto, anche nei servizi, provoca ai cittadini che utilizzano il trasporto pubblico locale per motivi di lavoro, di studio e di turismo.
Signor Presidente, è necessario che il Governo segua direttamente la vicenda e convochi al più presto un tavolo di concertazione nazionale per trovare subito una soluzione che consenta la garanzia del diritto alla mobilità ai cittadini calabresi, coinvolgendo il sindacato, le associazioni imprenditoriali, i livelli istituzionali e tutti i protagonisti. Occorre fare subito e bene. I calabresi non possono subire un ulteriore scippo sulla strada delle poche infrastrutture che esistono nella regione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Mercoledì 29 maggio 2013, alle 10,30:
Discussione delle mozioni Giachetti, Antonio Martino, Migliore, Schirò Planeta, Schullian, Bueno ed altri n. 1-00053, Migliore ed altri n. 1-00054, Giancarlo Giorgetti ed altri n. 1-00055, Speranza, Brunetta, Dellai e Pisicchio n. 1-00056 e Dadone ed altri n. 1-00057 concernenti l'avvio del percorso delle riforme costituzionali.
La seduta termina alle 18,50.
VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO
INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 5) | ||||||||||
Votazione | O G G E T T O | Risultato | Esito | |||||||
Num | Tipo | Pres | Vot | Ast | Magg | Fav | Contr | Miss | ||
1 | Nom. | TU pdl 118 e abb.-A - articolo 1 | 525 | 525 | 263 | 525 | 32 | Appr. | ||
2 | Nom. | articolo 2 | 528 | 528 | 265 | 528 | 32 | Appr. | ||
3 | Nom. | articolo 3 | 533 | 519 | 14 | 260 | 519 | 32 | Appr. | |
4 | Nom. | articolo 4 | 536 | 536 | 269 | 536 | 31 | Appr. | ||
5 | Nom. | TU pdl 118 e abb.-A - voto finale | 545 | 545 | 273 | 545 | 28 | Appr. |
F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.