Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 3 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    in data 15 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato, con 485 voti a favore, 130 contrari e 27 astensioni, le norme per rendere obbligatorie le etichette «made in» sui prodotti non alimentari venduti sul mercato comunitario;
    è stato approvato anche un regolamento (con 573 voti a favore, 18 contrari e 52 astensioni) che chiede pene più severe per le imprese che non rispettano le norme di sicurezza e vendono prodotti potenzialmente pericolosi;
    in particolare, la maggioranza dei deputati ha votato contro l'emendamento che puntava a cancellare l'etichetta obbligatoria dal testo della «proposta Tajani-Borg» sulla direttiva per la sicurezza dei consumatori e la relatrice danese, Christel Schaldemose, ha criticato con forza il fatto che gli Stati membri non siano stati in grado di concordare una posizione comune sulla questione, bloccando così i negoziati sul regolamento nel suo complesso, a scapito della sicurezza dei consumatori in Europa;
    il Parlamento europeo ha approvato comunque i testi in prima lettura per fare in modo che il lavoro svolto potesse essere ripreso dal Parlamento europeo insediatosi in data 1o luglio 2014 e utilizzato come base per ulteriori negoziati con gli Stati membri e soprattutto dal Consiglio europeo;
    un provvedimento sul «made in» era stato già approvato dal Parlamento europeo nel 2010 ma, nell'ottobre del 2012, il Commissario europeo per il commercio, Karel de Gucht, aveva comunicato di aver rinunciato a portare a compimento la proposta di regolamento sul «made in» a causa dell'impraticabilità di raggiungere il necessario consenso con gli Stati membri, in quanto avversato dai Paesi nordici, dal Regno Unito, da Olanda e da Germania, poiché si intendeva introdurre l'obbligo di specificare sui prodotti extracomunitari il luogo di produzione in modo da fornire al consumatore una chiara indicazione: indicazione premiante per i produttori europei che non delocalizzano;
    il voto a favore del «made in» del 15 aprile 2014 ha segnato comunque la vittoria del fronte Italia, Spagna e Francia, particolarmente interessate ad avere un'etichetta che certifichi l'origine delle loro merci, in particolare nel settore della moda, del lusso e in quello calzaturiero, e la sconfitta del fronte opposto composto da Paesi del nord e dell'est Europa, tra cui la Germania, importatori e assemblatori di materiali prodotti da Paesi non europei;
    nel settore alimentare l'indicazione obbligatoria è tale solo nel caso in cui la sua omissione possa indurre il consumatore in errore circa l'effettiva provenienza del prodotto alimentare, così come delineato dall'articolo 3 della direttiva 2000/13/CE, principio confermato dal regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, che si applicherà a partire dal 13 dicembre 2014, con la contestuale abrogazione della direttiva 2000/13/CE;
    il Parlamento italiano ha già approvato la legge 3 febbraio 2011, n. 4, sull'etichettatura, con la finalità di difendere e promuovere il sistema produttivo italiano, per il quale la qualità è una caratteristica fondamentale collegata intrinsecamente alle origini territoriali del prodotto, che proprio per questo legame indissolubile devono essere correttamente e chiaramente comunicate al consumatore, ma resta particolarmente complesso il coordinamento tra l'obbligo stabilito in Italia e quelle norme europee che invece prevedono, al riguardo, principalmente regimi facoltativi;
    esiste la necessità di predisporre un quadro di misure organico nell'ambito del quale definire una puntuale articolazione e un maggiore dettaglio del sistema di etichettatura, da adottare ai sensi dell'articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011, ricordando che, ai fini di una maggiore tutela della qualità, esiste la possibilità di utilizzare le «ulteriori disposizioni» richiamate dall'articolo 39 del regolamento stesso, in particolare per ciò che attiene alla tutela delle denominazioni di origine controllate e delle indicazioni di provenienza dei prodotti agroalimentari, nonché alla repressione di fenomeni diffusi di concorrenza sleale;
    nel mercato interno agisce soprattutto la contraffazione, sui mercati internazionali i produttori italiani devono difendersi dalle imitazioni, visto che il «made in Italy» nel campo alimentare è il più copiato in assoluto,

impegna il Governo:

   ad attivarsi urgentemente, nel contesto della Presidenza italiana del semestre europeo, per far approvare il regolamento del «made in» in sede di Consiglio dell'Unione europea, al fine di non vanificare il successo politico del commissario italiano uscente e per favorire la competitività delle imprese italiane e la tutela dei consumatori;
   ad ampliare nel Consiglio dell'Unione europea lo spazio che già è stato creato, al fine di cercare un compromesso sul «made in» tra le diverse sensibilità nazionali;
   a farsi promotore, in forza delle disposizioni che entreranno in vigore dal 13 dicembre 2014, di iniziative che, in base all'articolo 39 del regolamento (UE) n. 1169/2011, prevedono la possibilità, per gli Stati membri, di dotarsi di una regolamentazione più dettagliata del sistema di etichettatura, introducendo ulteriori disposizioni, in particolare per ciò che attiene all'indicazione obbligatoria del Paese di origine e del luogo di provenienza degli alimenti, ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell'alimento e la sua origine o provenienza;
   a procedere ad una piena attuazione della legge n. 4 del 2011 in materia di etichettatura in un quadro di compatibilità con il diritto dell'Unione europea, considerato che l'entrata in vigore delle disposizioni di cui al regolamento (UE) n. 1169/2011, forniranno al Governo ulteriori ed efficaci strumenti per difendere la qualità dei prodotti italiani.
(1-00524) «Bergamini, Milanato, Palese, Russo».


   La Camera,
   premesso che:
    in questi ultimi anni, il Parlamento è intervenuto diffusamente in materia di tutela dei made in Italy;
    le innovazioni più significative sono state introdotte dalla legge del 23 luglio 2009, n. 99, meglio conosciuta come «Legge Sviluppo», che ha introdotto importanti requisiti per la tutela della proprietà industriale e del made in Italy, riformulando alcuni articoli del codice penale. Il provvedimento ha assicurato la tracciabilità dei prodotti introducendo un sistema di etichettatura obbligatoria che evidenzi il luogo di origine della produzione. L'uso dell'indicazione made in Italy è stato consentito per i prodotti le cui fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano, Bisogna evidenziare che per usare il termine «made in Italy» non occorre che il prodotto sia interamente realizzato in Italia ma è sufficiente che l'ultima trasformazione sostanziale del prodotto sia avvenuta in Italia, Il decreto n.166 del 2009 prevede che l'uso della dicitura «interamente realizzato in Italia» o «100 per cento Made in Italy sia consentito solamente per quei prodotti per i quali il disegno, la progettazione, la lavorazione e il confezionamento sono compiuti esclusivamente sul territorio italiano;
    con la legge n. 55 del 2010, sono state introdotte disposizioni in materia di commercializzazione di prodotti tessili, di pelletteria e di calzature. In particolare la legge ha istituito, in questi settori, un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti, che evidenzi il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione assicurando così la tracciabilità dei prodotti stessi;
    la legge n. 8 del 2013 ha dettato le nuove regole per la definizione, la lavorazione e la commercializzazione dei prodotti di cuoio, pelle e pelliccia, ove si prevede che, per i prodotti ottenuti da lavorazioni in Paesi esteri che comunque utilizzano la dicitura italiana dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia», l'etichetta debba indicare lo Stato di provenienza;
    per il settore agroalimentare il discorso è diverso. La legge 283 del 1962 vieta espressamente di impiegare nella preparazione o distribuzione per il consumo, sostanze alimentari mescolate ad altre sostanze di qualità inferiore o comunque trattate in modo tale da variarne la composizione naturale: in altre parole, sono vietate le adulterazioni e le variazioni compositive degli alimenti. Con il decreto legislativo n. 297 del 2004, sono state previste sanzioni amministrative pecuniarie per la contraffazione e l'usurpazione di DOP e IGP regolarmente registrate: la sanzione amministrativa prevista è di 50.000 euro. La successiva legge n. 99 del 2009, apporta numerose modifiche anche in campo agroalimentare: nello specifico, il nuovo articolo 517-quater prevede l'introduzione del delitto di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni d'origine dei prodotti agroalimentari, punito con la reclusione fino ad anni due e con multa fino a 20.000 euro;
    per quanto attiene alle pene previste nei confronti dell'acquirente il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 all'articolo 1 comma 7 prevede «salvo che il fatto costituisca un reato» una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 euro fino a 10.000 euro per chi acquista o accetta merce, senza averne prima accettata la legittima provenienza. La sanzione aumenta se l'acquisto viene effettuato da un operatore commerciale o importatore o da qualunque altro soggetto diverso dall'acquirente finale: questa volta si parte da un minimo di 20.000 fino a un milione di euro. Inoltre, in alcuni casi, chi acquista cose di sospetta provenienza può essere punito con l'arresto fino a sei mesi o con ammenda, come sancisce l'articolo 712 del Codice penale che sanziona penalmente «chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che per la loro qualità o per condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da un reato»;
    il tema della proiezione delle produzioni italiane di qualità e strettamente legato a quello della lotta alla contraffazione, tanto che si potrebbe dire che la più autentica ed efficace difesa dei prodotti «made in Italy» è proprio costituita dall'innalzamento del livello di protezione contro la contraffazione di marchi, brevetti, design, diritto d'autore e denominazioni d'origine protette;
    la contraffazione nel nostro Paese rappresenta, secondo gli studi condotti dal Censis e le risultanze derivanti dalle indagini eseguite dalla Guardia di finanza, una vera e propria economia parallela che ogni anno fattura miliardi di euro, con conseguenti ingentissime perdite per il bilancio dello Stato in termini di mancate entrate fiscali e contributive e migliaia di posti di lavoro sottratti all'economia regolare;
    il fenomeno della contraffazione, inoltre, si avvale di metodi sempre più sofisticati e risulta in aumento nel nostro Paese. L'Italia, infatti, è uno dei Paesi a maggiore rischio di perdita di competitività a causa dello sviluppo del mercato del falso, sia perché caratterizzata da un tessuto produttivo composto in gran parte da piccole e medie imprese che sovente riscontrano enormi difficoltà nel contrastare adeguatamente il fenomeno, sia perché l'Italia vanta una significativa quota di produzione e di export nel settore dei beni di lusso che corrisponde a uno di quei settori maggiormente esposti alla concorrenza sleale dei prodotti contraffatti;
    il fenomeno della contraffazione si presenta come un insieme complesso di violazioni a leggi, norme, regolamenti, vincoli contrattuali che regolano i diritti di proprietà intellettuale e di sfruttamento commerciale di prodotti di ogni genere ed è caratterizzato dalla presenza in Italia di due realtà particolarmente massicce: le merci contraffatte, ovvero le merci che recano illecitamente un marchio identico ad un marchio registrato; e le merci usurpative, cioè quelle merci che costituiscono riproduzioni illecite di prodotti coperti da copyright;
    attorno a queste due tipologie predominanti, esiste una ulteriore realtà di vari fenomeni illeciti, o al limite del lecito, che costituiscono un habitat favorevole alla contraffazione, alla pirateria e a ogni altra attività criminale ad esse connessa. Fra questi si menzionano: le sovrapproduzioni illegittime approntate da licenziatari di produzione infedeli e da questi smerciate, con o senza il marchio originale, ma comunque in violazione del contratto di licenza; le produzioni destinate contrattualmente a specifiche aree geografiche, ma dirottate da licenziatari commerciali infedeli fuori dalle zone di loro pertinenza; la produzione di prodotti che, senza violare direttamente marchi o modelli, ne imitano in maniera tendenziosa e confusiva l'aspetto;
    i disastri prodotti dalla contraffazione si configurano come l'esatto opposto dei benefici prodotti dalia sana concorrenza, in cui i produttori competono l'uno contro l'altro per il favore del consumatore sulla base della qualità e del prezzo. Lo scopo del contraffattore è invece quello di realizzare guadagni attraverso l'inganno, assumendo fraudolentemente l'identità di un produttore famoso e affidabile, in modo da evitare gli investimenti necessari per creare prodotti autenticamente di buona qualità. Il contraffattore non ha, quindi, nessun interesse ad investire nella buona qualità dei materiali impiegati, nei sistemi di controllo qualità degli oggetti prodotti, nella ricerca e sviluppo volta alla continua innovazione e, infine, nello sviluppo di tecniche di comunicazione e vendita volte a proporre i propri prodotti;
    la contraffazione che, nell'immaginario collettivo continua ad essere considerata un trascurabile fenomeno di «microcriminalità» più folcloristica che preoccupante, presenta invece le caratteristiche di un vero e proprio cancro che aggredisce progressivamente la società in tutto il suo insieme;
    con riferimento alla contraffazione, si rileva, infatti, la mancanza di una generale percezione dell'intrinseca pericolosità delle condotte ad essa collegate che si sostanziano nell'arricchimento illecito della criminalità organizzata, con i conseguenti effetti distorsivi dell'economia e della libera concorrenza; nei pericoli diretti ed immediati, assolutamente sottostimati, derivanti dall'uso di farmaci, alimenti, giocattoli, indumenti contraffatti e prodotti senza il rispetto delle rigorose procedure di controllo poste a tutela della salute dei consumatori; nel pregiudizio causato alle aziende interessate, specie per quelle titolari di marchi di elevata qualità all'interno del cosiddetto italian style, che a causa della contraffazione subiscono danni all'immagine, diminuzione del fatturato, incremento delle spese per la protezione del marchio e per il contenzioso che le stesse sono costrette ad intraprendere sia come attori per tutelare i loro prodotti, sia in qualità di convenuti per provare la loro estraneità ai reati imputati ai reali contraffattori (tale danno investe, naturalmente, anche gli interessi delle case di distribuzione, le quali si trovano a concorrere con un mercato parallelo che agisce sopportando minori costi e lucrando sul mancato versamento delle imposte); nella distorsione del mercato del lavoro, che si traduce in una perdita di posti regolari, nell'incremento della manodopera clandestina in nero, e nei mancati investimenti di produttori stranieri, non interessati ad investire in paesi in cui il fenomeno della contraffazione è dilagante per non mettere a rischio i propri diritti di proprietà intellettuale; alle perdite per l'erario, con riferimento al mancato versamento delle imposte sui redditi e dell'Iva;
    recentissimamente, un'indagine realizzata dal Censis pubblicata il 12 maggio 2014, su incarico della direzione generale Lotta alla Contraffazione-Uibm del Ministero dello sviluppo economico, basata su un campione di giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni intervistati a Roma nei mercati di Porta Portese, via Sannio e Villaggio Olimpico ha evidenziato che la grande maggioranza dei giovani romani (il 74,6 per cento) acquista merce contraffatta. Al primo posto della classifica dei prodotti più venduti del mercato romano del falso ci sono i capi d'abbigliamento (67,3 per cento), seguiti da cd e dvd (48,3 per cento), accessori come cinture, portafogli, borse (45,3 per cento), scarpe (37,5 per cento), occhiali da sole (31,6 per cento), orologi e bigiotteria (20,1 per cento), prodotti elettronici (20,1 per cento), prodotti informatici (18,2 per cento), profumi e cosmetici (16,1 per cento);
    i luoghi privilegiati per l'acquisto di merce contraffatta sono la strada, con le sue bancarelle (indicata dall'81,2 per cento dei giovani acquirenti), e i mercati (segnalati dal 48 per cento). Altro luogo deputato all'acquisto di merce contraffatta è la spiaggia (32,7 per cento). Il 22,8 per cento trova prodotti falsi nei negozi. Solo il 16,6 per cento dei giovani romani li compra su Internet. E il 7,5 per cento persino all'interno di case private;
    l'acquisto è il risultato di una scelta intenzionale: solo l'11 per cento era convinto di acquistare un prodotto autentico. Ed è guidato in primo luogo dalla volontà di risparmiare (69,6 per cento), poi di possedere qualcosa di poco impegnativo (29,8 per cento) o di cui si aveva effettivamente bisogno (28 per cento). Comprare contraffatto dà soddisfazione anche perché permette di «punire» le griffe amate e desiderate, ma allo stesso tempo odiate a causa dei prezzi troppo elevati: è di questa opinione il 76,1 per cento: degli intervistati. Poco importa se la qualità del falso è inferiore rispetto a quella dell'originale: chi compra merce contraffatta sa a cosa va incontro, senza aspettarsi e pretendere troppo in termini di qualità, durata e riuscita complessiva del prodotto. È comunque pienamente (34,7 per cento) o in parte soddisfatto (57,7 per cento) di quello che ha acquistato;
    l'acquisto di merce contraffatta è quindi un atto socialmente accettato, che fanno tutti: la pensa così il 66,5 per cento dei giovani romani. Anche quando c’è la percezione che la contraffazione è un reato, viene comunque considerato un illecito di lieve entità, che non merita una particolare attenzione da parte delle forze dell'ordine (lo crede il 63,9 per cento degli intervistati);
    a poco vale, dunque, che la normativa attuale preveda pene consistenti tanto per chi vende merce contraffatta quanto per chi le acquista;
    appare, invece, del tutto evidente l'esigenza di intervenire nella lotta alla contraffazione anche e soprattutto attraverso un cambiamento della cultura e della percezione da parte del consumatore della merce che acquista;
    sul piano europeo, una prima proposta di regolamento relativa all'indicazione del Paese di origine di alcuni prodotti industriali (come viti, bulloni, utensileria, tubi e rubinetterie, pneumatici, ceramica, tessili) importati da Paesi terzi era stata presentata dalla Commissione europea il 16 dicembre 2005 (COM(2005)661). Tale proposta, tuttavia, non è mai stata discussa dal Consiglio;
    inoltre, il Parlamento europeo in sessione plenaria, in data 11 dicembre 2007, ha adottato una dichiarazione nella quale si ribadiva il diritto dei consumatori europei ad un accesso immediato alle informazioni relative agli acquisti; il 25 novembre 2009 ha votato una risoluzione sul marchio d'origine nella quale, tra l'altro, invitava la Commissione e il Consiglio a istituire meccanismi di vigilanza e di lotta contro la frode in campo doganale; il 21 ottobre 2009 ha approvato una risoluzione volta a prevedere che alcuni beni importati da Paesi extra UE indichino chiaramente il Paese d'origine per aiutare i consumatori a compiere una scelta informata, che vengano erogate sanzioni in caso di violazione delle norme e che si utilizzi l'inglese sulle etichette ovunque nell'Unione;
    il 23 ottobre 2012 la Commissione europea, nell'adottare il programma di lavoro per il 2013, tenendo conto dell’impasse, che da anni si registrava in Consiglio, ha indicato tra le proposte legislative pendenti da ritirare quella sul «made in». Il 17 gennaio 2013, quindi, il Parlamento europeo in sessione plenaria ha approvato un'ulteriore risoluzione sull'indicazione del Paese di origine di taluni prodotti importati da Paesi terzi nell'Unione europea in cui si afferma che l'Unione europea deve rendere obbligatorio l'uso del marchio d'origine per tali beni importati nell'Unione europea, quali abiti, scarpe e gioielli, richiedendo altresì la presentazione da parte della Commissione europea di una nuova proposta legislativa;
    successivamente, il 13 febbraio 2013 la Commissione europea ha presentato due proposte di regolamento sulla sicurezza dei prodotti. La prima proposta riguarda la sicurezza dei prodotti di consumo ottenuti, sia all'interno che all'esterno dell'Unione europea mediante un processo di fabbricazione. Contiene norme volte ad assicurarne la piena tracciabilità mediante l'obbligatorietà dell'indicazione di origine, nonché tramite la fissazione di regole specifiche per produttori, importatori e distributori;
    in base a tale proposta per i beni prodotti in Europa, l'impresa avrebbe potuto scegliere se indicare genericamente «made in Europe» o, più specificamente, ad esempio: «made in Italy» o «made in Germany» o «made in Slovakia» o «made in France»;
    la seconda proposta riguarda la sorveglianza del mercato dei prodotti e punta ad un maggiore ed efficace coordinamento tra le autorità di sorveglianza, anche rispetto ai risultati delle diverse attività di controllo;
    da ultimo, in data 15 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato le norme per rendere obbligatorie le etichette «made in» sui prodotti non alimentari venduti sul mercato comunitario;
    in particolare, il Parlamento europeo ha approvato l'obbligo di indicazione di origine controllata contenuto nella proposta di regolamento sulla sicurezza dei prodotti. In questo modo si definiscono nuove disposizioni in materia di «made in» per garantire la piena tracciabilità del prodotto, come già avviene nei principali Paesi aderenti al WTO (ad esempio USA, Giappone, Canada e Corea). In base alle disposizioni approvate lunedì 15 aprile 2014 a Bruxelles, tutti i prodotti dovranno quindi presentare il marchio «made in» sulla propria etichetta per essere immessi nel mercato;
    si tratta questo di un passo decisivo per la tutela dell'origine dei prodotti italiani e per valorizzare il patrimonio manifatturiero italiano rappresentato da 596.230 imprese con 16.274.335 addetti, di cui il 47,2 per cento in micro imprese sotto i 9 addetti, il 58,1 per cento in micro e piccole imprese fino a 20 addetti e il 67,9 per cento in piccole imprese sotto i 50 addetti;
    dette disposizioni colgono, infatti, molteplici obiettivi: ovverosia quello di valorizzare il patrimonio manifatturiero dell'artigianato e dell'impresa diffusa, difendere il diritto dei consumatori a una corretta informazione sull'origine dei beni acquistati, e infine combattere il fenomeno della contraffazione;
    nel settore alimentare il processo di costituzione e consolidamento dell'unificazione europea si è accompagnato a una giurisprudenza della Corte di giustizia che ha ritenuto incompatibile con il mercato unico la presunzione di qualità legate alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo di un prodotto alimentare. A tale principio hanno fatto eccezione solo le regole relative alle denominazioni di origine (Dop). e alle indicazioni di provenienza (Igp). Per i restanti prodotti alimentari è stato sinora fissato il principio che l'indicazione del luogo d'origine o di provenienza possa essere resa obbligatoria solo nella ipotesi che l'omissione dell'indicazione stessa possa indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare (articolo 3 della direttiva 2000/13/CE, recepito dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 109 del 1992). Il principio è stato confermato anche con il regolamento (CE) n. 1169 del 2011, che in sostituzione della precedente direttiva ha tuttavia esteso a talune carni l'obbligo di indicarne l'origine (articolo 26, paragrafo 2) e che si applicherà a partire dal 13 dicembre 2014;
    il Parlamento italiano ha approvato all'unanimità la legge n. 4 del 2011 che individua nell'indicazione in etichetta del luogo di origine del prodotto lo strumento idoneo ad informare correttamente il consumatore e nella stessa direzione vanno le norme del decreto-legge n. 83 del 2012, che consentono di indicare anche l'origine dei prodotti della pesca. Pur tuttavia esistono ancora particolari criticità che riguardano il coordinamento tra l'obbligo stabilito in Italia e la normativa europea che prevede sul punto regimi di carattere facoltativo,

impegna il Governo:

   ad adottare gli opportuni provvedimenti tesi a potenziare le campagne informative nelle scuole di istruzione primaria e secondaria sulla gravità del fenomeno della contraffazione, rafforzando al contempo gli strumenti di sensibilizzazione dei consumatori italiani utilizzati sino ad oggi dalle istituzioni pubbliche;
   ad assumere ogni iniziativa, anche normativa, volta a potenziare il controllo della diffusione delle merci contraffatte su e-bay;
   ad adottare con urgenza ogni iniziativa di competenza, anche presso le competenti sedi europee, volto ad arginare il dirompente fenomeno della contraffazione che minaccia i consumatori e le imprese del nostro Paese, adoperandosi affinché gli Stati membri dell'Unione europea attuino un efficace e continuo monitoraggio in tempo reale delle importazioni extracomunitarie provenienti in particolare dal Sud-est asiatico, e segnatamente dalla Cina, così da garantire la piena attuazione dei divieti e delle correlative sanzioni previste a livello nazionale ed europeo;
   ad adottare ogni atto di competenza volto a dotare le dogane italiane di strumenti tecnologici adeguati al controllo qualitativo delle merci, al fine di individuare la presenza di sostanze vietate per legge e pericolose per la salute pubblica;
   ad individuare specifici indirizzi per sostenere e tutelare il made in Italy promuovendo l'immagine dell'Italia all'estero, anche attraverso l'implementazione di strumenti efficaci a contrastare gli abusi di mercato e la contraffazione a garanzia delle imprese e a tutela dei consumatori;
   a valutare l'opportunità di incrementare le risorse finanziarie attualmente previste a legislazione vigente per sostenere la lotta alla contraffazione nell'ambito dei capitoli di spesa relativi alla competitività e allo sviluppo delle imprese;
   a potenziare i sistemi di vigilanza e di repressione dei fenomeni di contraffazione dell'agroalimentare, del made in Italy, ovvero dell’italian sounding, che ha raggiunto livelli intollerabili, a tutela della qualità e della sicurezza agroalimentare in linea con le politiche pubbliche che attribuiscono ai prodotti di qualità un'importanza strategica per accrescere la capacità di penetrazione nei mercati internazionali;
   a porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata, nel contesto della Presidenza italiana dell'Unione europea, a far approvare in via definitiva le disposizioni del regolamento del «made in» già approvate dal Parlamento europeo in data 15 aprile 2014;
   a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a garantire la piena attuazione della citata legge n. 4 del 2011.
(1-00525) «Fratoianni, Ferrara, Matarrelli, Franco Bordo, Duranti, Quaranta, Melilla, Ricciatti».

Risoluzione in Commissione:


   La V Commissione,
   premesso che:
    nel quadro dell'organizzazione amministrativa dello Stato risalta il fenomeno delle società partecipate, totalmente o in parte, dal capitale pubblico, che compongono un mondo articolato e poco trasparente che necessita al più presto, secondo la Corte dei conti, di «un disegno di ristrutturazione organico e complessivo»;
    nell'ultima rilevazione della Corte le partecipate risultano essere in tutto circa 7.500:50 dallo Stato e 5.258 dagli enti locali, cui si sommano altri 2.214 organismi di varia natura (consorzi, fondazioni e altri). Il numero è però variabile, in quanto le società sono soggette a frequenti modifiche dell'assetto societario;
   come ha sottolineato il procuratore generale Salvatore Nottola nei suo giudizio sul rendiconto generale dello Stato presentato in questi giorni, per la notevole estensione del fenomeno e per la sua dimensione economica, gli enti partecipati hanno un «forte impatto sui conti pubblici sui quali si ripercuotono i risultati della gestione, quando i costi non gravano sulla collettività, attraverso i meccanismi tariffari»: il movimento finanziario indotto dalle società partecipate dallo Stato, costituito dai pagamenti a qualsiasi titolo erogati dai Ministeri nei loro confronti, ammonterebbe infatti a 30,55 miliardi nel 2011, 26,11 miliardi nel 2012 e 25,93 nel 2013; il «peso» delle società strumentali sul bilancio dei Ministeri sarebbe stato di 785,9 milioni nel 2011, 844,61 milioni nel 2012 e 574,91 milioni nel 2013; quanto agli enti partecipati dagli enti locali, un terzo delle 5.258 partecipate è in perdita;
    visti i numeri che caratterizzano questo fenomeno, sarebbe necessaria un'assoluta trasparenza, ma la realtà sembra diversa, come sottolineato dalla Corte dei conti che spiega come «anzitutto, soltanto nel dicembre 2013 il MEF ha reso il “rapporto sulle partecipazioni statali” (richiesto dall'articolo 2, comma 222, della legge 191 del 2009), peraltro riferito al 31 dicembre 2011; quanto alle partecipazioni degli enti locali, è stato rilevato che i dati disponibili all'attualità non coprono “l'universo degli organismi partecipati” pur consentendo approfondimenti successivi (delibera Sezione Autonomie 6 giugno 2014)»;
    nonostante la costituzione di società partecipate risponda di norma ad esigenze di snellezza dell'azione amministrativa, oltre ad essere difficilmente quantificabili, queste sono soggette anche a vicende spesso complesse: ad esempio, le società partecipate dallo Stato a loro volta «partecipano» ad altre 526 società, dette di secondo livello; inoltre, gli aspetti contabili sono spesso oscuri;
    anche a causa della carenza di controlli, appare diffuso l'utilizzo di dette società al servizio di logiche assistenzialistiche o per eludere i vincoli di finanza pubblica, specialmente riferiti all'attività contrattuale ed alle assunzioni di personale: tali enti spesso reperiscono risorse lavorative esterne alla struttura pubblica dando vita ad assunzioni di personale a tempo determinato ed al conferimento di incarichi di prestazioni professionali e di consulenza esterna, pratiche che la forma privatistica consente loro di effettuare e che spesso rispondono semplicemente a logiche clientelari;
    secondo diverse denunzie giornalistiche le spese di personale di queste società sono spesso eccessive rispetto alle effettive esigenze operative delle società pubbliche di riferimento: il personale di concetto adibito agli uffici gestionali, ma in molti casi anche quello adibito alle attività operative e quello d'ordine, sarebbe di dimensioni eccedenti rispetto alle reali esigenze operative della società e l'insieme dei costi di personale amministrativo, direttivo e operativo sarebbe sproporzionato in percentuale rispetto agli altri costi aziendali delle società pubbliche; questo eccesso di spesa dà luogo a costi complessivi di esercizio non sempre coperti dai proventi ordinari derivanti dall'attività svolta e quindi in molti casi grava sul bilancio degli enti pubblici di controllo con trasferimenti a copertura, diretta o indiretta, dei disavanzi di tali enti, con conseguente concorso all'incremento del disavanzo pubblico, danneggiando le risorse disponibili per promuovere lo sviluppo di ogni finalità sociale degli stessi enti pubblici controllanti;
    con la crisi economica che ha investito il nostro Paese, gli enti locali convivono con una crescente carenza di risorse finanziarie e sono spesso costretti ad intaccare servizi pubblici utili alla collettività per far quadrare i bilanci, anche per le regole restrittive del patto di stabilità interno, per cui appare inammissibile avallare sprechi di spesa di questa portata, e non si può accettare che servizi non indispensabili o male gestiti gravino sulla cittadinanza per mezzo di servizi scadenti e nuove tasse;
    anche se sono stati tentati degli interventi legislativi per assicurare razionalità ed efficienza nel settore e perseguire il contenimento della spesa, finora tutto questo non è stato sufficiente a risolvere il problema,

impegna il Governo:

   ad attivarsi affinché sia implementato al più presto un disegno di ristrutturazione complessivo e coerente, che preveda forme organizzative omogenee, regole chiare, criteri razionali di partecipazione imprescindibili ed effettivi controlli sull'universo delle cosiddette partecipate;
   a intraprendere azioni volte a rispondere a risolvere le criticità denunciate nella relazione della Corte dei conti in relazione al fenomeno delle società partecipate, alle sue distorsioni e al suo elevato costo;
   ad attivarsi con urgenza per impedire che l'eccedenza, rispetto a quanto necessario alle società pubbliche in tema di spesa corrente per il personale, contragga le disponibilità di spesa sociale di tali soggetti giuridici e dei relativi enti pubblici controllanti, assumendo a tale scopo iniziative normative e prevedendo interventi volti a ridurre gli eccessi esistenti e a impedirli per il futuro;
   ad assumere iniziative per effettuare un censimento esaustivo delle partecipate, in particolar modo delle 526 società dette di secondo livello, e una verifica puntuale circa le loro caratteristiche contabili: dalla remunerazione diretta di detti organi alle spese di rappresentanza, dalla consistenza di capitale alle funzioni, dai proventi finanziari ordinari alla composizione e alla consistenza degli organi amministrativi e di missione, anche con riferimento alla sede e agli uffici, valutando l'opportunità dello stesso mantenimento in essere di ciascuna di queste realtà, anche alla luce delle più recenti e rigorose linee normative esistenti in merito.
(7-00403) «Sorial».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   i giornalisti non dipendenti, circa il 60 per cento della categoria, oggi rivestono un ruolo fondamentale nella realizzazione del prodotto informativo ma, pur essendo una figura essenziale del sistema dei media, coloro che lavorano fuori dalle redazioni sono esclusi dall'applicazione del Contratto collettivo giornalistico, quindi senza tutele economiche e contrattuali, con costi e spese a loro carico. Nonostante competenze professionali elevate, i «diversamente giovani», secondo il rapporto Lsdi più dell'80 per cento degli iscritti alla gestione separata dell'Inpgi ha un'età compresa tra i 31 e i 55 anni, lavorano in condizioni di precariato a vita ormai non più sostenibili;
   un freelance, secondo una ricerca di Lsdi su dati ordine dei giornalisti e Inpgi, Istituto di previdenza dei giornalisti, guadagna in media 5 volte in meno di un dipendente, mentre un parasubordinato 7 volte in meno, pur svolgendo un lavoro a volte identico ai dipendenti, senza peraltro le garanzie contrattuali, previdenziali e assicurative;
   la legge n. 233 del 2012 ha inteso stabilire un principio di dignità del lavoro non subordinato: all'articolo 1 richiama la Costituzione: «In attuazione dell'articolo 36, primo comma, della Costituzione, la presente legge è finalizzata a promuovere l'equità retributiva dei giornalisti iscritti all'albo di cui all'articolo 27 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, e successive modificazioni, titolari di un rapporto di lavoro non subordinato in quotidiani e periodici, anche telematici, nelle agenzie di stampa e nelle emittenti radiotelevisive». All'articolo 2 la stessa legge stabilisce che «Ai fini della presente legge, per equo compenso si intende la corresponsione di una remunerazione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, tenendo conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione nonché della coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato»;
   la «Commissione per la valutazione dell'equo compenso nel lavoro giornalistico», istituita presso il dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, il 19 giugno 2014 ha stabilito «il trattamento economico minimo» per i collaboratori coordinati e continuativi nella cifra di 3 mila euro lordi l'anno (250 euro al mese), in particolare: i cococo che lavorano per i quotidiani devono produrre «minimo 144 articoli» (di almeno 1.600 battute) l'anno, pari a 12 articoli pubblicati in media per mese in ragione d'anno (20 euro a pezzo), i collaboratori dei settimanali devono scrivere minimo 45 pezzi l'anno di almeno 1.800 battute (65 euro a pezzo), quelli dei mensili almeno un pezzo (di 7 mila battute) per numero, i collaboratori di agenzie di stampa e di testate online minimo 40 segnalazioni/informazioni (6,25 euro l'una), anche corredate da foto/video, pubblicate in media per mese in ragione d'anno. I suddetti trattamenti economici minimi si applicano ai collaboratori coordinati e continuativi (circa 10 mila ndr) ma anche «alle altre forme di lavoro autonomo» che – fermo restando il rispetto dei requisiti minimi di cui sopra «abbiano una durata minima, con lo stesso committente, pari o superiore a 8 mesi per 2 anni consecutivi e a condizione che il corrispettivo versato dallo stesso committente e derivante da tale rapporto di lavoro sia pari o superiore all'80 per cento dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal lavoratore nell'arco di 2 anni consecutivi»;
   già 7 anni fa, nel 2007, una delibera dell'Ordine nazionale dei giornalisti aveva fissato «compensi minimi per le prestazioni professionali giornalistiche non regolate dal contratto collettivo di lavoro perché non comportanti subordinazione, (ndr) nei quotidiani, nei periodici, anche telematici, nelle agenzie, nelle emittenti radiotelevisive e negli uffici stampa» al netto delle contribuzioni previdenziali, in base a parametri quali: diffusione e tiratura delle testate, distinzione tra notizia, articolo e servizio; a titolo di esempio: per «quotidiani e periodici a diffusione nazionale con tiratura oltre 250.000 copie – Agenzie di stampa a diffusione nazionale – Periodici stranieri – Emittenti radiotelevisive a diffusione nazionale e network» il compenso minimo per la notizia, allora (quindi non adeguato al costo della vita di oggi) era 33 euro, per l'articolo 171 euro, il servizio 342 euro;
   i trattamenti economici minimi stabiliti dalla Commissione, ad avviso degli interroganti, sono in contrasto con la legge n. 233 e la stessa Costituzione cui la normativa fa riferimento («Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi»), in quanto ben al di sotto dei minimi stabiliti dal contratto collettivo nazionale per i lavoratori dipendenti, quindi in violazione anche del principio di equità tra lavoratori;
   questi trattamenti appaiono agli interroganti lesivi della dignità dei giornalisti non dipendenti, resi ulteriormente ricattabili, con ripercussioni sulla libertà di informazione, «bene pubblico» fondamentale per la stessa democrazia;
   la restrizione della platea, cui viene applicato il trattamento economico minimo, ad avviso degli interroganti, indebitamente ristretta col rischio che i rapporti cococo siano trasformati in partite Iva «finte», quindi in contrasto con quanto specificato nella legge;
   l'estensione dei trattamenti minimi economici ad «altre forme di lavoro autonomo» coi requisiti di cui sopra appare inoltre in contrasto con un'altra legge dello Stato, la cosiddetta «Riforma Fornero», che invece individua quei requisiti idonei per la trasformazione dei rapporti di lavoro precario in rapporti a tempo indeterminato;
   in merito al Fondo straordinario dell'editoria, con il protocollo d'intesa firmato da Presidenza del Consiglio dei ministri, Fieg, Fnsi e Inpgi, si avalla per gli interroganti una situazione di illegittimità dal momento che l'introduzione dell'apprendistato professionalizzante, introdotto con la legge n. 78 del 2014 e «importato» nel nuovo Contratto collettivo nazionale del lavoro giornalistico, non sembra compatibile con la legge n. 69 del 1963 che disciplina la professione giornalistica e prevede in 18 mesi e non in 30 o 36 il periodo di praticantato precedente l'esame di Stato previsto dall'articolo 33 della Costituzione;
   alcuni giornalisti, già professionisti per la legge ordinistica, verranno considerati ancora da «professionalizzare» per le norme giuslavoristiche e dunque costretti a uno stipendio più basso illegittimamente e si tratta, ad avviso degli interroganti, una chiara forzatura formare chi ha già superato l'esame di Stato;
   le nuove tipologie di assunzione, come il salario di ingresso, non riducano i diritti e le tutele dei nuovi assunti e, di riflesso, anche quelle degli occupati, minando la professione e conseguentemente aprendo una falla nel sistema delle garanzie democratiche del Paese di cui l'informazione è un pilastro insostituibile;
   con la possibilità di assumere un dipendente ogni tre prepensionati, si rischia di dare impulso alla fuoriuscita dei dipendenti con esperienza e considerevole formazione dalle redazioni;
   negli accordi dei salari d'ingresso a retribuzione ridotta e «sconti» contributivi estesi anche ai contratti a tempo determinato, rischia d'essere vista come una rinuncia a legare gli aiuti agli editori alla creazione di nuova occupazione, davvero stabile e non sottopagata –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative intendano assumere;
   se siano a conoscenza che, in riferimento al decreto sull'editoria, che prevede aiuti per l'assunzione di «giovani», la maggioranza dei giornalisti precari non è più «giovane», ma ha in media un'età di 40 e più anni, e con una professionalità ultraventennale;
   se non reputino opportuno, alla luce di tutto ciò il ritiro della delibera nata dall'accordo tra il sindacato dei giornalisti e gli editori, perché anticostituzionale e contraria ai principi della legge sull'equo compenso.
(2-00610) «Zaccagnini, Tacconi, Furnari, Sberna, Melilla, Catalano, Nicchi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MURER. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 giugno 2014 il Dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ha trasmesso lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di riparto delle risorse finanziarie del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità relative agli anni 2013 e 2014 da destinare alla prevenzione al contrasto della violenza contro le donne;
   tale schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è stato trasmesso, per i pareri di cui alla normativa, alla Conferenza delle regioni e delle province autonome;
   il provvedimento ripartisce, in una unica soluzione, circa 17 milioni di euro (10 milioni di euro per il 2013 e 7 milioni per il 2014);
   i criteri di riparto stabiliti sono i seguenti: il 33 per cento della somma complessiva di 17 milioni, pari a 5,67 milioni, destinato alla creazione di nuovi centri antiviolenza e case rifugio; il restante 67 per cento è così suddiviso: l'80 per cento, ovvero 9,064 milioni, va al «finanziamento aggiuntivo degli interventi regionali già operativi volti ad attuare azioni di assistenza e sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli, sulla base della programmazione regionale»; il 20 per cento, ovvero 2,26 milioni, è ripartito in parti uguali tra i centri antiviolenza e le case rifugio già esistenti, pubblici e privati;
   per le nuove iniziative, le risorse sono state ripartite basandosi sul numero della popolazione e sul numero di case e centri esistenti, rapportati alla mediana pari a 1,79 per ogni 400 mila abitanti;
   secondo le tabelle allegate al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, le nuove strutture finanziate sarebbero 79, di cui 23 in Lombardia, 18 nel Lazio, 17 in Campania, 12 in Sicilia e in Veneto, con un contributo unitario pari a 71.772 euro;
   i centri attivi «censiti» sono, invece, 188, le case rifugio 164; a loro spetterebbe, a conti fatti, in media, circa 3 mila euro l'anno ciascuno di finanziamento: una cifra esigua, insufficiente, inadeguata rispetto alla funzione, all'importanza, che hanno sui territori gli storici centri antiviolenza e case rifugio che operano con efficacia da decenni e in regime di volontariato;
   appare, invece, sproporzionata la parte del finanziamento ripartito in favore delle Regioni perché attuino nuove «azioni di assistenza e sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli»; azioni tutte ancora da scrivere, dai contorni non ben definiti, che rischiano di essere improvvisate e che possono essere troppo legate ai livelli istituzionali laddove, invece, vanno sostenute le reti indipendenti;
   i criteri di riparto hanno sollevato la giusta indignazione di molte associazioni, in particolare della Rete Di.Re., e dei centri antiviolenza che appaiono preoccupati per l'iniqua assegnazione dei Fondi;
   con l'esiguo finanziamento contenuto nel riparto i centri antiviolenza e la case rifugio già attivi faranno fatica perfino a pagare anche solo le utenze mentre queste risorse potevano servire a sostenere, consolidare, implementare le attività indipendenti già sperimentate con successo sui territori, radicate nel sapere e nel metodo, operative da anni, associate alle reti nazionali, che hanno consentito già a moltissime donne di ritrovare una strada, di ricostruirsi un'autonomia, di salvarsi la vita;
   il criterio di riparto, inoltre, contravviene alla Convenzione di Istanbul per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, che l'Italia ha ratificato e che entrerà in vigore il prossimo 1o agosto, la quale prevede che siano destinate «adeguate risorse finanziarie e umane per la corretta applicazione delle politiche integrate, misure e programmi per prevenire e combattere tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione, incluse quelle svolte da organizzazioni non governative e dalla società civile»;
   la Convenzione privilegia il lavoro dei centri di donne indipendenti, mentre lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di riparto dei fondi sceglie di destinare la maggior parte dei finanziamenti alle reti di carattere istituzionale –:
   se, alla luce di quanto espresso in premessa, non intenda rivedere i criteri di riparto delle risorse finanziarie del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità relative agli anni 2013 e 2014 da destinare alla prevenzione al contrasto della violenza contro le donne, così come definiti nello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri trasmesso alla Conferenza delle regioni e delle province autonome, e se non intenda spostare maggiormente l'asse del riparto sui centri antiviolenza e sulle case rifugio, autonome, indipendenti, già attive sul territorio, che svolgono una funzione irrinunciabile nella lotta alla violenza e nel sostegno alle vittime in un percorso reale di tutela, protezione, recupero di autonomia e indipendenza. (5-03146)


   VENITTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 ottobre 2013 è stato firmato, dall'allora Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Nunzia De Girolamo, il decreto che ha emanato un bando mirato alla «rottamazione» delle imbarcazioni della piccola pesca, recante le modalità attuative della misura di arresto definitivo mediante demolizione, ai sensi degli articoli 21 e 23 del regolamento (CE) n. 1198 del Consiglio del 27 luglio 2006, nelle Regioni obiettivo convergenza;
   con il suddetto decreto si intendeva completare il conseguimento degli obiettivi di riduzione della capacità di pesca di cui ai Piani nazionali di disarmo in cui si articola il Piano di adeguamento, adottato con decreto direttoriale 19 maggio 2011, assegnando le risorse residue per le Regioni obiettivo convergenza di cui all'Asse 1, pari ad euro 25.000.000,00;
   il decreto ha consentito di attivare la procedura per l'acquisizione delle domande di ammissione al premio di arresto definitivo da parte delle imprese di pesca interessate alla demolizione delle proprie imbarcazioni;
   la domanda di ammissione, redatta in carta semplice dal proprietario dell'unità, doveva essere presentata all'ufficio marittimo di iscrizione della nave entro 30 giorni, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La data di scadenza per la presentazione delle domande era fissata per il 27 dicembre 2013;
   la fase istruttoria legata a queste procedure è stata lunga e irta di ostacoli burocratici e le imprese interessate sono ancora in attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della graduatoria degli aventi diritto al premio di arresto definitivo;
   il ritardo nella pubblicazione della graduatoria sta creando notevoli disagi agli armatori iscritti in ciascuno dei compartimenti marittimi dell'obiettivo convergenza, i quali, a causa del permanere dell'incertezza, hanno finora rinunciato a presentare progetti di investimento con il conseguente rischio di veder fallire la propria attività –:
   quali siano gli ostacoli che hanno impedito finora la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della graduatoria degli aventi diritto al premio di arresto definitivo, mediante demolizione, delle imbarcazioni della piccola pesca e quali siano i tempi previsti per tale pubblicazione;
   se il ritardo nelle procedure previste dal decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali del 14 ottobre 2013 possa compromettere la possibilità di utilizzo entro i termini previsti dei fondi europei destinati al comparto della pesca nelle regioni Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. (5-03148)


   SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 5 maggio 2014 il Ministro dell'interno ucraino Arsen Avakov ha creato il battaglione «Azov»;
   si tratta di un battaglione internazionale composto da circa dodicimila volontari provenienti da tutta Europa;
   la base del battaglione «Azov» si trova in prossimità del mare nell'area di Mariupol, nel sudest del Paese;
   i volontari internazionali ricevono un addestramento basico, comprensivo di tattiche di guerra, per poi essere spediti in prima linea a combattere contro i separatisti russofoni;
   caratteristica di questo battaglione è che tutti i volontari sono dichiaratamente nazisti o fascisti;
   il battaglione «Azov» è composto dai «Patrioti dell'Ucraina», l'ala paramilitare dell'Assemblea nazionalsociale, di estrema destra, guidata da Andriy Belitsky, un ex prigioniero politico;
   esiste anche un servizio di David Chater per «Al Jazeera», in cui si racconta di questo battaglione, e tra i volontari intervistati c’è un italiano di 52 anni, sposato e con figli, che si dichiara apertamente neofascista;
   l'italiano in questione potrebbe con tutta probabilità essere Francesco Fontana, che già in un'intervista al settimanale «Panorama» aveva dichiarato di essersi arruolato nel battaglione «Azov»;
   Fontana, che aveva già un passato nell'estrema destra italiana, nel mese di gennaio 2014 ha deciso di passare all'azione, quando nella capitale ucraina erano in azione le centurie di Pravy Sektor, i camerati ucraini schierati sulle barricate di piazza Maidan;
   già da qualche tempo si specula sulla presenza di italiani in Ucraina;
    tra la fine di aprile e l'inizio di maggio 2014 è girato molto un video in cui un militare ucraino conversa in italiano con dei giornalisti, probabilmente nei pressi di Kramatorsk;
   all'epoca la notizia fu smentita da uno dei giornalisti in questione, che riportò come il militare fosse ucraino e parlasse italiano esclusivamente perché, per motivi di lavoro, aveva vissuto per 12 anni in Italia;
   i fatti narrati sono riportati, tra gli altri, dall'articolo intitolato «Ucraina/Il battaglione nazi che combatte per Kiev», pubblicato dal blog di informazione «Popoff» il 24 giugno 2014, dall'articolo intitolato «Il volontario italiano che combatte con l'estrema destra in Ucraina», pubblicato dal sito di informazione «Vice» il 12 giugno 2014 e dall'articolo «Io, volontario italiano al fronte ucraino contro i ribelli filorussi» pubblicato dall'edizione online del quotidiano «Il Giornale» il 26 giugno 2014 –:
   se risulti al Governo la presenza di volontari italiani d'estrema destra coinvolti nella guerriglia in corso in Ucraina.
(5-03157)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il territorio di competenza della sezione distaccata del TAR di Pescara comprende le province di Chieti e Pescara che sono le province più popolose della regione Abruzzo con la concentrazione più alta di imprese e di contenzioso giudiziario amministrativo;
   la sede del capoluogo regionale dell'Aquila è insufficiente ad ospitare il personale e le strutture della sezione staccata di Pescara;
   l'alta produttività della sezione distaccata di Pescara ha comportato la riduzione dell'arretrato del 64 per cento e gli incassi derivanti dal versamento del contributo unificato per il solo anno 2013 sono stati pari a euro 528.349,44 a fronte di un budget di spesa di euro 167.633,61 complessivi, secondo dati resi noti dal consiglio dell'Ordine degli avvocati del tribunale di Pescara;
   la soppressione della sezione distaccata di Pescara si tradurrebbe in una operazione costosa e dannosa per i cittadini abruzzesi e per la giustizia amministrativa –:
   se il Governo non intenda assumere ogni iniziativa di competenza per evitare la chiusura della sezione distaccata del TAR di Pescara. (4-05370)


   VALIANTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi a seguito di un incontro avvenuto tra il Governo rappresentato dal sottosegretario alla Presidenza del consiglio. Graziano Del Rio, e i rappresentanti sindacali dei lavoratori dei consorzi che si occupano della gestione del ciclo di raccolta e smaltimento rifiuti nella regione Campania, si è convenuto di dare esecuzione al piano di impiego dei lavoratori dei consorzi di bacino in attività del ciclo dei rifiuti dalla raccolta differenziata alla gestione delle discariche e degli altri siti intermedi;
   il piano viene finanziato con le risorse del fondo sociale di coesione e per il triennio richiesto dalla regione Campania; a tutela dei livelli occupazionali nel trienni, tutti i lavoratori dovranno essere reinseriti nelle attività stabilite senza nessuna previsione di esuberi o di licenziamenti;
   l'articolo 14, comma 3, del decreto-legge n. 91 del 2014, licenziato dal Governo qualche giorno fa, dispone la proroga al 30 novembre 2014, delle disposizioni relative alle attività di raccolta, spazzamento e trasporto dei rifiuti e di smaltimento e recupero inerenti alla raccolta differenziata nella regione Campania precedentemente disposte dall'articolo 11, comma 2-ter, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25 e successive modificazioni, termine progressivamente prorogato in seguito con altri interventi legislativi fino al 30 giugno 2014;
   con nota del 4 giugno 2013 il commissario liquidatore del CoRiSa 4 Salerno, Consorzio per la gestione degli impianti e del servizio di smaltimento dei rifiuti con sede a Vallo della Lucania (Salerno) disponeva la necessità di dare seguito alla cessazione del Consorzio e al trasferimento della dotazione organica sia del Consorzio quanto della partecipata YELE Spa secondo lo schema delineato nella bozza di convenzione siglata con la regione Campania;
   ad oggi, a seguito anche delle successive proroghe introdotte, il Consorzio è ancora in attività, ma risulta però che tutti i 64 dipendenti sono suddivisi tra chi e stato trasferito alla Yele spa, chi è stato inopinatamente licenziato, e altri come gli operai della sede di Agropoli che da martedì 24 giugno 2014, si sono visti negare il proprio diritto al lavoro trovando il luogo di lavoro chiuso e non attivo in attesa di ulteriori e nuove comunicazioni da parte dell'ente;
   in un nota inviata al commissario attuale dal suo predecessore ed ex presidente del consorzio viene ricordato come all'atto del passaggio di consegne l'ente è stato consegnato al nuovo commissario con una dotazione di impianti in piena efficienza ed operativa, unico caso in Campania nel settore, e che gli stessi per volere successivo del nuovo commissario venivano invece, ad avviso dell'interrogante inspiegabilmente, chiusi, dismessi creando un deficit di sviluppo per il territorio e presupposti per la disoccupazione obbligata a molti dei lavoratori che vi operavano;
   i sindacati di riferimento del settore e gli stessi dipendenti del Corisa/4 ormai da molto tempo denunciano l'inadeguatezza della gestione del Consorzio da parte del commissario liquidatore incaricato, contro il quale hanno inviato anche un esposto alla procura della repubblica di Vallo della Lucania, accussandolo di cattiva condotta amministrativa e contabile che non garantisce la fruizione delle loro spettanze e ancor di più la stabilità del loro futuro occupazionale, con il rischio di licenziamento, anche a fronte delle garanzie mantenimento dell'operatività che vengono assegnate al Consorzio dalla legislazione nazionale;
   per quanto sopra riportato si profilerebbe da parte del commissario liquidatore del consorzio in questione una gestione quantomeno poco virtuosa e con una condotta che sembrerebbe profilare anche la violazione delle norme nazionali sopra riportate in materia di gestione del ciclo di gestione e smaltimento rifiuti per la regione Campania –:
   se non ritengano, per quanto di competenza, assumere ogni iniziativa utile a salvaguardare i livelli occupazionali del Consorzio CO.Ri.SA.4. (4-05377)


   RUOCCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 marzo 2014 dall'interpellante è stata depositata un interrogazione a risposta scritta 4-04122 con la quale si chiedeva al Governo di sapere quali misure intendesse intraprendere in merito alla mancata attuazione dei decreti attuativi al fine di evitare le pesanti ripercussioni derivanti dal gap tra quelli emanati e quelli non ancora emanati;
   in data 3 giugno 2014 il Ministro per rapporti con il Parlamento ha inviato la sua risposta all'interrogazione sopra citata affermando che «Considerata la situazione sopra rappresentata, il Governo, al fine di assicurare la più rapida applicazione delle disposizioni legislative a favore di famiglie ed imprese, intende procedere incisivamente, da un lato attraverso azioni di sollecitazione e di stimolo nei confronti dei ministeri competenti all'emanazione dei decreti attuativi e, dall'altro, promuovendo la riduzione della normativa di secondo livello e dell'uso, ove possibile, di modalità applicative che appesantiscono e allungano i procedimenti attuativi»;
   secondo fonti di stampa però continua a crescere lo stock dei decreti necessari per rendere pienamente operative le riforme. Il Sole 24 ore del 2 luglio 2014 ha scritto:
  «In due mesi-rispetto all'ultimo Rating 24 (si veda il Sole 24 Ore del 22 Aprile) si è passati da 500 a 511 provvedimenti ancora da mettere a punto. Sono, infatti, arrivati al traguardo tre decreti legge, che prevedono ben 84 regolamenti per poter dispiegare pienamente gli effetti. Provvedimenti che si sommano a quelli lasciati in eredità dagli Esecutivi Monti e Letta: si tratta complessivamente di 428 decreti attuativi ancora in attesa, di cui 177 già scaduti»;
   un esempio può essere il decreto legge 20 marzo 2014, n. 34, «Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese». Manca il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali previsto da questo decreto che avrebbe dovuto rendere operativa la verifica on line della regolarità contributiva delle imprese e che allunga a 120 giorni la validità dei dati dichiarati;
   un altro esempio è la mancanza dei decreti attuativi del decreto legge 66 del 24 aprile 2014 «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale», decreti attesi per fine maggiore non ancora pubblicati sulla «Gazzetta Ufficiale» –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere anche attraverso la previsione di una norma che imponga ai Ministeri di predisporre per tempo gli atti di propria competenza e, in caso di inadempienza, dare alla Presidenza del consiglio la possibilità di attivare stringenti meccanismi di attuazione. (4-05385)


   DURANTI, SCOTTO, PIRAS, MARCON, MELILLA, PELLEGRINO, ZARATTI, PALAZZOTTO e PANNARALE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 giugno 2014 è stato pubblicato sul quotidiano La Repubblica.it un reportage dal titolo «L'hangar segreto di Sigonella con i droni spia americani» a firma Alberto Bonanno e Alessandro Puglia;
   dalle immagini girate all'interno della base militare si vedono i velivoli a pilotaggio remoto denominati «Global Hawk»;
   secondo quanto riferito dai giornalisti autori del reportage, all'interno della base di Sigonella ci sarebbero almeno 5 «Global Hawk» mentre in un'altra parte della base, off-limts alle telecamere di Repubblica.it, ci sarebbero i velivoli a pilotaggio remoto cosiddetti «Predator», in grado di trasportare armamenti e bombe;
   ulteriormente i giornalisti raccontano di una notevole presenza di marines americani all'interno della base, appartenenti allo «Special Purpose Air Ground Task Force Crises Response» che fa capo al comando Africom;
   la presenza dei militari sarebbe spiegata dall'evoluzione della crisi in Nord Africa, tant’è che il colonnello Brian T. Koch, comandante del gruppo appena menzionato dichiara a Repubblica.it che: «Non abbiamo scadenza. Siamo qui a Sigonella su ordine del Pentagono, secondo gli accordi con il Governo italiano, per fronteggiare qualsiasi cosa accada nel Nord Africa, e ovviamente in Libia, considerato che è il luogo a noi più vicino. Per il resto la nostra principale attività rimane l'addestramento dei militari africani»;
   secondo quanto riportato da numerose fonti di stampa e confermato anche dall'allora Ministro della difesa, Ignazio La Russa al Parlamento il 12 giugno 2009, i Paesi della NATO hanno acquistato e messo a disposizione di quest'ultima diversi aerei a pilotaggio remoto, tra cui i «Predator» e i «Reaper», operativi nell'ambito del sistema C4ISTAR dell'Alleanza;
   il 3 agosto del 2013, sempre il quotidiano La Repubblica, nell'edizione locale di Palermo, pubblicava l'articolo «Sigonella diventa base strategia ecco le slides riservate della Nato»;
   nell'articolo si riportavano integralmente le slide dei documenti riservati che provano che la base di Sigonella entro il 2017 diventerà la più strategica testa di ponte italiana per le operazioni statunitensi nel continente africano, anche per via di un rafforzamento del contingente americano di quasi mille marines;
   il rafforzamento strategico della base di Sigonella rientrerebbe quindi nell'ambito del più ampio progetto della Nato denominato AGS (Alliance Ground Survelliance), in cui i droni spia hanno un ruolo fondamentale per sorvegliare, fotografare e intercettare i movimenti del «nemico» nei Paesi africani e dove il MUOS, in fase di ultimazione a Niscemi, avrà un ruolo fondamentale;
   negli ultimi anni è cresciuto il ricorso da parte degli Stati Uniti all'utilizzo dei mezzi senza pilota a controllo remoto, in grado di compiere operazioni militari complesse e in scenari difficili e ostili come in Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, Mali e Niger;
   queste operazioni non sempre sono state apprezzate dall'opinione pubblica, talvolta portando ad azioni rivelatesi poi fallimentari, suscitando un grosso dibattito specie negli Stati Uniti rispetto all'utilizzo dei droni negli scenari di guerra e nel campo della sicurezza e della sorveglianza;
   le principali organizzazioni internazionali e non governative in difesa dei diritti umani e anche la stessa ONU, che ha aperto un'inchiesta sull'uso dei droni e la loro legittimità rispetto al diritto internazionale, hanno più volte posto l'attenzione sugli effetti collaterali determinati dal loro utilizzo che in più casi hanno portato ad omicidi mirati e vere e proprie stragi nei Paesi sopra menzionati;
   il Governo italiano ha autorizzato nel settembre del 2012 l'installazione dei droni sul territorio, compresi i famigerati «Predator», tuttavia il Governo non ha mai rilasciato alcuna informazione, né informato il Parlamento circa le operazioni e l'utilizzo dei droni installati nelle basi italiane e in particolare in quella di Sigonella;
   ad opinione degli interroganti non è più tollerabile la fornitura delle infrastrutture militari ad esclusivo uso delle forze armate statunitensi senza alcuna informazione circa le operazioni in cui sono coinvolti i cosiddetti droni come anche le altre installazioni militari straniere presenti sul territorio, spesso in contrasto con quanto previsto a livello costituzionale e quanto deciso a livello parlamentare –:
   se sia noto quali e quanti sono i mezzi a pilotaggio remoto presenti all'interno della base militare di Sigonella;
   se il Governo sia a conoscenza delle operazioni militari condotte dalla base di Sigonella e in particolare quelle in cui sono coinvolte i velivoli a pilotaggio remoto;
   se in mancanza di informazioni, il Governo non intenda chiedere chiarimenti al Governo degli Stati Uniti circa le operazioni in cui è coinvolta la base di Sigonella. (4-05388)


   NUTI, BARONI, CECCONI, DADONE, DALL'OSSO, DI VITA, D'UVA, LOREFICE, MANTERO, SARTI, SILVIA GIORDANO e GRILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 24 giugno 2014 i carabinieri, coordinati dalla procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria, hanno eseguito l'arresto, nell'ambito dell'operazione «Mediterraneo», di decine di persone affiliate alla ’ndrangheta ed hanno proceduto al sequestro di beni per un valore di circa 25 milioni di euro;
   dalle indagini è emerso che la ’ndrangheta, in particolare la cosca Molè, otteneva proventi dal commercio d'armi, di stupefacenti e, in particolare, dall'infiltrazione nel settore del gioco d'azzardo, legale e illegale, su tutto il territorio nazionale; inoltre, sembrerebbe assodato il coinvolgimento di membri delle forze dell'ordine nel sodalizio criminale;
   le notizie di cui sopra sono solo le ultime in ordine temporale di una lunghissima lista, che ha sfortunatamente riempito le cronache degli ultimi anni e riguardano tutto il territorio nazionale, senza distinzione geografica;
   la massiccia infiltrazione della mafia nel settore del gioco d'azzardo è confermata, oltre che dalle indagini giudiziarie e dalle notizie di cronaca, anche da studi e ricerche compiuti da associazioni e da esperti nel settore, dalle relazioni pubblicate dalle medesime forze dell'ordine, tra le quali anche la direzione nazionale antimafia, e dal lavoro svolto dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle aure associazioni criminali, anche straniere;
   la direzione nazionale antimafia, nell'ultima relazione annuale riferita al 2013, ha dichiarato che «tutte le mafie tradizionali investono nel settore» del gioco d'azzardo, ritenuto di «preminente interesse», incluso il comparto del gioco legale, attraverso il quale la criminalità mafiosa investe sia per percepire rapidamente guadagni consistenti, sia per riciclare capitali illecitamente acquisiti, e «a fronte di ciò il rischio che le condotte illecite vengano individuate è relativamente basso, e le conseguenze giudiziarie piuttosto contenute»;
   in particolare, sempre secondo quanto emerge dalla relazione annuale della direzione nazionale antimafia, l'attività della criminalità organizzata si concentra sui settori più redditizi del sistema, vale a dire gli apparecchi da intrattenimento (new slot e video lottery, di cui circa 200 mila sarebbero illegali), le scommesse sportive e il gioco d'azzardo online;
   inoltre, si legge ancora nella relazione, «sono stati del tutto frustrati gli intendimenti del legislatore che, con le liberalizzazioni del 2003 e con i successivi provvedimenti legislativi, intendeva accrescere l'offerta di gioco per attirare e fidelizzare i giocatori al sistema del gioco legale e drenare così risorse alla criminalità», in quanto contemporaneamente è aumentata esponenzialmente l'infiltrazione nel settore da parte della criminalità mafiosa;
   molto importante risulta essere la proprietà dei centri in cui si pratica il gioco d'azzardo al fine di esercitare il controllo sul territorio da parte della criminalità organizzata;
   in un dossier reso noto lo scorso aprile dal titolo «Jacktop ! Riciclaggio di denaro attraverso il gioco d'azzardo online», la società multinazionale esperta nel settore dell’Information Security, McAfee, ha lanciato l'allarme dell'uso che la criminalità organizzata sta facendo del gioco d'azzardo online, sin dalla sua nascita, ai fini di riciclaggio di proventi da attività illecite, tant’è che il numero dei siti non regolamentati sarebbe superiore di circa 10 volte a quello dei siti regolamentati, attualmente stimati in più di 2.700;
   secondo quanto emerge dal citato dossier, vi sarebbero tre elementi che favorirebbero l'utilizzo del gioco d'azzardo online a fini di riciclaggio: l'anonimato dei giocatori e dei punti d'accesso, l'elevato numero di portali web dedicati, difficili da monitorare, e l'ampia scelta tra metodi di pagamento e l'utilizzo di monete virtuali;
   inoltre, vi sarebbero lacune normative in merito alla regolarizzazione del gioco d'azzardo online di piattaforme registrate in altri Paesi, verso i quali le autorità italiane non possono esercitare alcun reale controllo, mentre emerge come molti apparecchi new slot o videolottery siano prodotti in Paesi che adottano standard di sicurezza non adeguati;
   l'associazione Libera ha pubblicato il dossier «Azzardopoli 2.0», dopo il precedente dossier «Azzardopoli», in cui stima che nel 2012 le imprese operanti nel settore del gioco d'azzardo, circa 5 mila, avrebbero fatturato quasi 90 miliardi di euro, oltre a circa 15 miliardi di euro fatturati nel comparto del gioco illegale, ed impiegato circa 120 mila addetti, meno di 50 sarebbero i clan mafiosi operanti nel settore;
   il fenomeno del gioco d'azzardo patologico (GAP) in Italia presenta connotati allarmanti: secondo uno studio elaborato dal Centro nazionale delle ricerche, nel nostro Paese circa il 47 per cento della popolazione tra i 15 e 64 anni di età è coinvolta nel gioco d'azzardo (circa 17 milioni di persone), di cui quasi un milione soffre di GAP mentre sono circa 2 milioni i soggetti a rischio;
   secondo i dati forniti da EURISPES, il fenomeno del GAP riguarda le fasce della popolazione più deboli, quali disoccupati, giovani, pensionati, indigenti;
   i dati dimostrano altresì che la liberalizzazione del mercato portata avanti dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni non ha portato alcun reale beneficio per le casse pubbliche: infatti, nella documentazione consegnata dal direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli alla Commissione parlamentare VI della Camera dei deputati nel giugno del 2013, si evince come negli ultimi anni, a fronte dell'aumento esponenziale del fatturato delle società attive nel settore, si è registrata la diminuzione delle entrate erariali;
   contemporaneamente, con l'aumentare dei soggetti affetti da GAP e, in generale con l'aumento dei soggetti coinvolti a vario titolo nel gioco d'azzardo, sono aumentati vertiginosamente i costi sociali diretti e indiretti, stimabili in circa 6 miliardi, con conseguente inevitabile aggravio del carico di lavoro per il servizio per le dipendenze patologiche;
   infatti, il direttore del Sert di Genova, Giorgio Schiappacasse, ha recentemente dichiarato che è stato proprio l'irrefrenabile sviluppo negli ultimi 20 anni della cultura dell'azzardo, generata dall'aumento dell'offerta legale, ad alimentare il sistema del gioco d'azzardo illegale;
   nel «Dossier su gioco d'azzardo e politica, poche luci e molte ombre» elaborata dal CONAGGA e presentato nel febbraio del 2013 in Senato, emergono allarmanti commistioni fra esponenti politici, anche di primo piano, e società che operano nel settore del gioco d'azzardo;
   dalle innumerevoli indagini giudiziarie relative alle infiltrazioni mafiose nel settore del gioco d'azzardo, così come ribadito dalla già richiamata relazione annuale della DNA, è inoltre emersa la scandalosa collusione di soggetti appartenenti alle istituzioni, in particolare membri delle forze dell'ordine ed esponenti politici: appare dunque evidente che la fitta rete di relazioni costruita dalla criminalità organizzata nelle istituzioni garantisce alla criminalità condotte omertose e assenza di controlli da parte delle istituzioni, consentendo loro di ottenere, in breve tempo e senza rischi, ingenti benefici;
   ad avviso degli interroganti, è certo che l'attuale sistema normativo ha dimostrato enormi carenze e inadeguatezze soprattutto riguardo alle cosiddette «agenzie fantasma». Sarebbero addirittura oltre 5.000 (contro le 7.400 legali) i CTD (Centri trasmissione dati) che non hanno né la concessione né l'autorizzazione di pubblica sicurezza e che, attraverso un semplicissimo click permettono al giocatore di scommettere su siti di bookmakers con sede all'estero con un'evasione stimata in circa 400 milioni di euro. L'argomento era già stato oggetto di un'interrogazione (n. 4-03214) a cui il Governo non ha mai risposto –:
   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda porre in essere, al fine di contrastare il gioco d'azzardo illegale e, più in generale, le infiltrazioni da parte della criminalità organizzata nel settore del gioco d'azzardo;
   se e in che modo intenda contrastare la «cultura» del gioco d'azzardo sviluppatasi in questi ultimi anni, grazie anche alla liberalizzazione del settore;
   se non ritenga di assumere iniziative normative dirette ad impedire che soggetti che abbiano avuto compiti e funzioni di regolamentazione nel settore dei giochi e delle scommesse possano svolgere incarichi professionali presso le società operanti nel settore e viceversa se non dopo un congruo termine dalla cessazione del precedente incarico;
   quali iniziative intenda assumere per evitare che le società che operano nel settore del gioco d'azzardo possano godere di benefici indebiti;
   in che modo intenda affrontare eventuali elementi di tipo sovranazionale che ostacolano gli accertamenti nel settore da parte delle autorità italiane, in particolare i diversi regimi regolatori delle piattaforme online e degli standard produttivi di apparecchi new slot e videolottery, come esposto in premessa;
   se e in che modo intenda intraprendere controlli più stringenti sulle società concessionarie nel settore del gioco azzardo;
   quali iniziative intenda avviare contro le gravi conseguenze di ordine criminale e sociale citate in premessa, che la proliferazione del gioco d'azzardo sta creando in ambito italiano, soprattutto in riferimento al contrasto della criminalità organizzata, rafforzando ulteriormente i piani coordinati di intervento condotti a livello nazionale, potenziando al contempo le attività del Corpo della Guardia di finanza. (4-05389)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ai fini dell'aggiornamento/inserimento nelle graduatorie finalizzate alla destinazione all'estero del personale docente e amministrativo da assegnare alle istituzioni scolastiche italiane all'estero il Ministero degli affari esteri pubblicava sulla Gazzetta Ufficiale, serie concorsi, del 18 dicembre 2012 un avviso pubblico;
   l'Ordinanza Ministeriale degli affari esteri n. 5300 del 5 dicembre 2012, di cui sopra, all'Allegato A recita: «Dichiarazione dei titoli culturali, professionali e di servizio — indicare i titoli e il punteggio come da tabella di valutazione allegata al CCNL 24.07.2003 — Non saranno valutati i titoli che non riportano gli estremi identificativi completi»;
   tale tabella di valutazione, al punto 9 della sezione A) titoli culturali riporta: «per ogni titolo finale di corsi di specializzazione post-lauream, rilasciato da università italiana o straniera – punti 5);
   l'Allegato n. 3, della medesima O.M. n. 5300/2012, al punto 9 della sezione A) Titoli culturali testualmente riporta che: «per ogni titolo di specializzazione post-lauream, rilasciato da università italiana o straniera – punti 5;
   ambedue le tabelle richiamate dalla suddetta Ordinanza Ministeriale utilizzate per la valutazione dei titoli riconoscono l'attribuzione di punti 5 ai titoli di specializzazione pluriennali post-lauream;
   con nota successiva al bando, il Ministero degli affari esteri ha fatto presente che: i corsi post-lauream conseguiti dopo il 2004 non sono valutabili se mancanti dei CFU;
   un candidato pur avendo presentato ricorso avverso la graduatoria provvisoria ai sensi dell'articolo 10 della O.M. 5300/2012, si è visto respingere il ricorso con la seguente motivazione: «il titolo A14 è stato valutato come titolo A13 dalla verifica dei CFU dichiarati», ciò nonostante il corso fosse strutturato su 1500 ore e 60 CFU acquisiti;
   il punto A13 dei titoli culturali dell'Allegato A alla domanda testualmente recita «per ogni attestato finale di corso di perfezionamento post-lauream conseguito presso università italiane o straniere di durata annuale -punti 2»;
   questa valutazione è in palese contrasto con quanto previsto dall'articolo 7, comma 3 del Decreto MURST del 3 novembre 1999, n. 509 «i decreti ministeriali determinano il numero di crediti che lo studente deve avere acquisito per conseguire il diploma di specializzazione. Tale numero deve essere compreso tra 300 e 360 crediti, ivi compresi quelli già acquisiti dallo studente e riconosciuti validi per il relativo corso di specializzazione», decreto quest'ultimo a cui l'O.M. Ministero degli affari esteri (vedi punto 14 dell'Allegato 2 alla domanda «ISTRUZIONI PER LA COMPILAZIONE DELL'ALLEGATO A RELATIVO ALLA DICHIARAZIONE DEI TITOLI») fa riferimento per la valutazione dei diplomi di specializzazione, aggiungendo altresì che «per essere ammessi ad un corso di specializzazione occorre essere in possesso della laurea»;
   molto chiaramente il «CCNI mobilità personale docente, educativo ed ATA a.s. 2014-2015 del 26 febbraio 2014», all'Allegato D — TABELLE DI VALUTAZIONE DEI TITOLI E DEI SERVIZI, punto C) dei TITOLI GENERALI, riporta «per ogni diploma di specializzazione conseguito in corsi post-laurea previsti dagli statuti ovvero dal decreto del Presidente della Repubblica 162 del 1982, ovvero dalla legge n. 341/90 (artt. 4,6,8) ovvero dal decreto 509/99 attivati dalle università statali o libere ovvero da istituti universitari statali o pareggiati, ovvero in corsi attivati da amministrazioni e/o istituti pubblici purché i titoli siano riconosciuti equipollenti dai competenti organismi universitari (11) e (11bis), ivi compresi gli istituti di educazione fisica statali o pareggiati, nell'ambito delle scienze dell'educazione e/o nell'ambito delle discipline attualmente insegnate dal docente – punti 5»;
   attraverso la Nota (11) su richiamata viene chiarito che «il punteggio va attribuito al personale in possesso di laurea. Vanno riconosciuti oltre ai corsi previsti dagli statuti delle università (articolo 6 legge n. 341/90), ovvero attivati con provvedimento rettorale presso le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 162 del 1982 (articolo 4 — 1° comma, legge n. 341/90) anche i corsi previsti dalla legge n. 341/90, articolo 8 e realizzati dalle università attraverso i propri consorzi anche di diritto privato nonché i corsi attivati dalle università avvalendosi della collaborazione di soggetti pubblici e privati con facoltà di prevedere la costituzione di apposite convenzioni (articolo 8 legge n. 341/90) nonché i corsi previsti dal decreto 3.11.1999, n. 509;
   sono assimilati ai diplomi di specializzazione i diplomi di perfezionamento post-laurea, previsti dal precedente ordinamento universitario, qualora siano conseguiti a conclusione di corsi che presentino le stesse caratteristiche dei corsi di specializzazione (durata minima biennale, esami specifici per ogni materia nel corso dei singoli anni e un esame finale)»;
   quindi, i diplomi di perfezionamento possono essere assimilati ai diplomi di specializzazione e non viceversa;
   ancora il Ministero degli affari esteri, direzione generale per il sistema Paese, in data 18 aprile 2014 — Protocollo N. 3515/P/0091968 pubblica il seguente Avviso «ESAMI DI STATO CONCLUSIVI DEI CORSI DI STUDIO DI ISTRUZIONE SECONDARIA DI SECONDO GRADO NELLE SCUOLE ITALIANE ALL'ESTERO — NOMINE PER FUNZIONI DI COMMISSARIO DI ESAME CONFERIBILI A PERSONALE DOCENTE IN SERVIZIO IN ITALIA — ANNO SCOLASTICO 2013/14»;
   le modalità operative di compilazione ed invio della domanda di partecipazione al suddetto Avviso seguono una procedura telematica. La terza fase di tale procedura prevede la dichiarazione dei titoli di servizio, culturali e professionali secondo le indicazioni di cui all'Allegato C «Sezione 3 — «Curriculum». Dichiarare i titoli di servizio e i titoli culturali e professionali. Non sono dichiarabili titoli diversi da quelli indicati nella Tabella Titoli e Punteggi (All. C). Non sono ammesse integrazioni ai titoli successivamente all'avvenuto invio della domanda.»;
   il punto d) di tale tabella riporta testualmente «Diploma di specializzazione post-lauream di durata biennale» e la Nota (4) specifica che «per diploma di specializzazione biennale si intende quello rilasciato al termine di studi accademici post-lauream di pari durata, a seguito di superamento di esami espressi in trentesimi e a seguito di dissertazione finale»;
   risulta quindi palese come il Ministero degli affari esteri, direzione generale per il Sistema Paese, abbia usato due distinti criteri nel riconoscere lo stesso titolo «diploma di specializzazione post-lauream» in occasione di due procedure di selezione di personale da destinare all'estero per la funzione di docente;
   nel primo caso, riferimento Ordinanza Ministeriale n. 5300 del 5 dicembre 2012, il diploma di specializzazione viene riconosciuto ed anche erroneamente soltanto in funzione dei CFU senza affatto considerare le proprie caratteristiche intrinseche e sostanziali;
   nel secondo caso, riferimento Avviso del 18 aprile 2014 — Protocollo N. 3515/P/0091968, vengono considerate per il Diploma di Specializzazione le sue caratteristiche intrinseche e sostanziali così come riportato nella citata nota (4). –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati in merito a quanto evidenziato nelle premesse;
   come sia stato possibile, nonostante la chiarezza dalla normativa vigente attribuire, per la graduatoria in essere punteggi diversi a titoli equipollenti;
   quali provvedimenti urgenti intendano adottare, i Ministri interrogati, ognuno per propria competenza, al fine di aggiornare le graduatorie finalizzate alla destinazione all'estero del personale docente ed amministrativo da assegnare alle istituzioni scolastiche italiane all'estero, secondo quanto effettivamente stabilito dalla normativa e dai regolamenti vigenti. (4-05361)


   BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   la situazione scolastica dei cittadini italiani ed europei ad Istanbul risulta particolarmente difficoltosa a causa della normativa locale che prevede che in territorio turco non si possono aprire scuole straniere per tutto il primo ciclo (8 anni);
   la frequenza degli istituti scolastici locali risulta molto problematica sia per la lingua che per finalità e linee educative di diversa ispirazione;
   per ovviare a tali inconvenienti, a beneficio dei cittadini italiani, a partire dal 2009, il Ministero degli affari esteri ha permesso l'avvio di un progetto scolastico che potesse risolvere il problema concedendo locali consolari così come già attuato dal consolato francese e da quello austriaco. Con la stessa modalità funziona negli stessi locali consolari la scuola media statale italiana, anch'essa soggetta al divieto della legge locale ad operare in territorio turco;
   da tre anni la scuola primaria «Marco Polo» (che ha potuto attivare anche una sezione di scuola dell'infanzia] è retta da un comitato di gestione di genitori che nel 2013 si è legalmente costituito, con riconoscimento giuridico, in Associazione aperta a terzi (con denominazione ITEKAD: Associazione per la ricerca, l'educazione e la cultura italiana);
   la scuola «Marco Polo» applica interamente i programmi previsti dalla vigente normativa italiana, ha creato regolari organi collegiali per permettere la partecipazione dei genitori e dei docenti;
   il personale docente e la coordinatrice didattica, tutti con cittadinanza italiana, sono in possesso dei titoli e delle abilitazioni richieste;
   le modalità di lavoro della scuola sono quelle previste dalla normativa ed applicate in Italia sia per quanto attiene ai programmi, agli incontri collegiali e alla programmazione;
   l'Associazione ITEKAD, che gestisce la scuola dal punto di vista amministrativo, oltre ad essere ente gestore con personalità giuridica idonea alla conduzione di una scuola italiana, che si auspica al più presto riconosciuta come paritaria nell'interesse degli alunni, svolge la propria attività senza scopo di lucro;
   la scuola «Marco Polo» è totalmente autofinanziata grazie alle quote associative ed opera in piena autonomia economica;
   la finalità di accogliere i cittadini italiani è resa possibile anche dall'applicazione di rette scolastiche decisamente basse rispetto allo standard turco (1/3 rispetto alle normali scuole private);
   in casi di situazioni di difficoltà, la scuola concede borse di studio per l'esonero dal pagamento delle quote;
   le entrate, come prevede la natura dell'ente, sono completamente destinate al pagamento delle spese di gestione amministrativo-didattica e al costo del personale;
   come accennato, avendone i requisiti, la scuola italiana ha richiesto il riconoscimento della parità scolastica ed è in attesa della conclusione dell’iter previsto;
   malgrado ripetute richieste le autorità diplomatico consolari italiane ad Istanbul non prendono in considerazione la richiesta della scuola di concessione di locali suppletivi, necessari per venire incontro alle aumentate esigenze di scolarità dei connazionali, da adeguare ed attrezzare a spese della scuola stessa. Ciò malgrado lo Stato italiano disponga di grandi spazi nel Palazzo Venezia, nelle tante costruzioni del consolato e nei vasti giardini. Questa situazione è motivo di tristezza tanto più che di fronte alla scuola italiana c’è il modello vincente della scuola francese che accoglie un numero altissimo di allievi nei giardini dell'Ambasciata utilizzando anche prefabbricati oltre agli edifici storici;
   invece di venire incontro alle esigenze della scuola italiana, le nostre autorità diplomatico consolari si sono spese per pubblicizzare la nascente scuola turca turca «Italyan Koleji», spingendosi inizialmente a propagandarla come «scuola italiana» pur trattandosi di una scuola privata turca. Per il lancio di detta scuola sono stati usati i luoghi dell'italianità (grande festa a Palazzo Venezia), l'iscrizione presso il Circolo Roma nonché lo stemma della Repubblica Italiana nella home page del sito internet. Un italian sounding a scapito del made in Italy che ingenera nella comunità italiana il timore che le autorità diplomatico consolari italiane vogliano favorire un'iniziativa commerciale profit quale la «Italyan Koleji» a scapito di una scuola italiana no profit ed autogestita. Senza contare che le rette della scuola privata turca in questione sono tre volte più costose di quelle della scuola italiana –:
   in merito a quanto esposto in premessa, quali iniziative il Governo, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di mettere rapidamente a disposizione della scuola italiana gli spazi di cui necessita per l'espletamento delle attività didattiche all'interno dei luoghi extraterritoriali dello Stato italiano.
(4-05362)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PES. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 91 del 2014 che contiene norme per la crescita e la competitività del Paese, attraverso misure che possono essere adottate con semplificazioni procedurali, al fine di superare l'iter, spesso lento, amministrativo, altresì, prevede anche disposizioni urgenti di impatto ambientale per la bonifica dei siti contaminati;
   all'articolo 13 «Procedure semplificate per le operazioni di bonifica o di messa insicurezza e per il recupero di rifiuti anche radioattivi. Norme urgenti per la gestione dei rifiuti militari e per la bonifica delle aree demaniali (...)», in particolare, vengono introdotti l'articolo 242-bis e il 241-bis; il primo con lo scopo di snellire l'iter amministrativo, attraverso la richiesta di bonifica che può essere avanzata anche dai cittadini con un progetto specifico che, decorsi i 45 giorni, si intende approvato; il secondo, le cui disposizioni innalzano i limiti di sostanze inquinanti delle zone verdi e residenziali, precedentemente previsti dalla colonna A degli allegati al Testo Unico dell'Ambiente, decreto legge 152 del 2006, comparandoli, invece, a quelli contenuti nella colonna B, sempre del novellato Testo Unico, previsti per le zone industriali;
   i valori limite e delle sostanze dannose della colonna A, rapportate ai valori della colonna B, chiaramente evidenziano che le soglie di contaminazione, per essere considerate nocive per le zone, devono raggiungere livelli di inquinamento di gran lunga superiori a limiti precedentemente previsti;
   nella parte V degli allegati del decreto legislativo n. 152 del 2006, tabella 1, di cui riporto solo alcuni dati, sono rappresentati i limiti dei valori delle sostanze inquinanti del suolo e del sottosuolo, con una netta separazione tra zone ad uso verde, pubblico, privato e residenziale (colonna A), zone ad uso commerciale e industriale (colonna B):
           A       B

ANTINOMIO     10       30
ARSENICO      20       50
BERILLIO       2       10
CADMIO       2       15
COBALTO        20        50
CROMO TOTALE  150      180
CROMO VI      2       15
MERCURIO     1          5
NICHEL         120            500
PIOMBO        100            1000
RAME          120              600
SELENIO       3              15
STAGNO            1              350
   è del tutto evidente che i valori della 1 colonna, sono di gran lunga inferiori a quelli della seconda;
   a tutti è noto che i poligoni militari ricadono in zone verdi della macchia mediterranea, come quello di Capo Teulada, Capo frasca e Quirra (Perdasdefugu), in Sardegna e Monte Romano nel Lazio e molti altri che sono situati in zone residenziali, coperte da vegetazione boschiva;
   in Sardegna sono presenti il 65 per cento delle servitù militari, essi investono circa 30 mila ettari di territorio e 80 chilometri di costa, interdetta al turismo;
   per le disposizioni contenute nel decreto-legge n. 91 del 2014, la Sardegna sarebbe la regione maggiormente penalizzata –:
   se a seguito del decreto-legge 24 giugno, n. 91, le bonifiche dei poligoni militari in Sardegna subiranno una qualche limitazione;
   se la suddetta eventuale limitazione alle bonifiche possa creare pericoli per le persone e l'ambiente. (5-03158)


   SIBILIA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, DALL'OSSO, BARONI, CECCONI e COZZOLINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ambito territoriale in provincia di Avellino comunemente indicato come media Valle del Sabato comprende i comuni di Avellino, Montefredane, Manocalzati, Prata Principato Ultra, Pratola Serra, Atripalda, tutti interessati da un preoccupante inquinamento ambientale;
   nel corso di un'indagine commissionata dalla provincia di Avellino nel 2005 l'Agenzia regionale protezione ambientale della Campania riscontrava nei suoli dei 12 punti campionati della Valle del Sabato valori di pcb (policlorobifenili, composti organici che hanno una tossicità simile a quella della diossina) fino a 0,0048 mg/kg, quasi cinque volte oltre i limiti consentiti. Oltre le soglie imposte dal decreto legislativo n. 471 del 1999 anche rame, piombo stagno, berillio, vanadio, tallio. Sul fronte delle acque superficiali del fiume Sabato veniva registrata la presenza di valori old e norma di ammoniaca, fosforo e tensioattivi anionici. Nei pozzi sotterranei, le analisi chimiche evidenziavano concentrazioni anomale di cloruri, ione ammonio, manganese, ferro e idrocarburi. Rispetto al monitoraggio dell'aria con sei postazioni nei comuni di Atripalda, Manocalzati, Pianodardine di Avellino, Arcella di Montefredane, Pratola Serra, Prata di Principato Ultra si registrava il superamento dei valori normati «a protezione della salute umana» di monossido di carbonio, ozono, polveri sottili (PM 10), valori oltre norma di toluene, ossidi di azoto e, soprattutto, una quantità di benzo(a)pirene, pericoloso cancerogeno, fino a 4,8 nanogrammi per metro cubo, quasi cinque volte oltre il valore normato di 1 nanongrammo per metro cubo;
   secondo il piano di monitoraggio del 2007 dell'Arpac nei suoli risultava sforata la soglia di contaminazione per berillio e stagno in tutti i punti campionati, mentre la concentrazioni media di pcb era fino a sei volte maggiore del valore del 2005 (con picchi di 0,23 mg/kg). Nelle acque sotterranee la concentrazione di ferro aumentava da 3 a 10 volte rispetto al precedente monitoraggio. Nel fiume Sabato risultavano stabili le presenze di ammoniaca, fosforo e nitrati. Nell'aria di tre siti analizzati, le polveri sottili (PM 10) raggiungevano picchi di 84 microgrammi per metro cubo nell'arco della giornata (valore massimo consentito dalla legge 50 microgr/m3) e concentrazioni medie durante il periodo di monitoraggio pari a 49 microgr/m3 (limite a protezione della salute umana 40 microgr/m3). Ad Arcella di Montefredane, nel cuore del nucleo industriale, i valori di PM 10 risultavano sballati in 7 giorni su 12 (basti pensare che in tutto l'anno si possono superare solo 35 volte);
   la relazione del primo semestre del 2007 a cura della provincia di Avellino, dell'allora Azienda sanitaria locale Av2 e della seconda università degli Studi di Napoli mostrava per la Valle del Sabato una mortalità superiore alla media regionale, per tumori delle ossa e del connettivo. I dati evidenziavano, inoltre, un'incidenza significativa di leucemie nel comune di Pratola Serra per i maschi e del tumore del colon a Montefredane per le donne;
   ad Arcella di Montefredane, in prossimità con l'abitato, c’è l'impianto di trito vagliatura dei rifiuti, denominato Stir, dove stazionano circa 20mila ecoballe, ognuna delle quali pesa circa 1 tonnellata, frutto dell'ultima emergenza rifiuti in Campania;
   a Manocalzati c’è la Irm, uno stabilimento adibito allo stoccaggio di rifiuti, oggi dismesso. Il 22 gennaio 2005 un incendio durato più di 24 ore mandò in fumo oltre 7000 tonnellate di rifiuti stipati nel sito. Da allora la bonifica non è stata effettuata né si è mai stimata la diossina prodotta dal rogo;
   in un popoloso quartiere di Avellino, denominato Borgo Ferrovia, c’è lo stabilimento dell’ex Isochimica, in cui per conto delle Ferrovie dello Stato, dal 1983 al 1988, sono state scoimbentate 499 elettromotrici e 1700 carrozze per un totale di 20mila chili di amianto smaltiti, interrati o cumulati in oltre 500 cubi friabili di cemento. Il sito non è mai stato sottoposto a bonifica e solo nel giugno dello scorso anno la Procura di Avellino ne ha disposto il sequestro, in via d'urgenza, e ha iscritto nel registro degli indagati 24 persone, tra cui alcuni amministratori comunali dell'epoca, con l'ipotesi di reato di disastro ambientale. Finora 10 ex operai sono deceduti per malattie asbesto-correlate e oltre 140 sono ammalati;
   la Valle del Sabato è attraversata dal fiume Sabato, tra i più inquinati d'Italia e al centro delle inchieste di tre procure (Santa Maria Capua Vetere, Benevento e Avellino) per il cattivo funzionamento degli impianti di depurazione e gli sversamenti illeciti nei Comuni che lambisce. Forestale e Arpac hanno attestato la presenza di batteri come escherichia coli e streptococco, azoto ammoniacale (dovuto a scarichi fognari o zootecnici) e tensioattivi (sostanze inquinanti contenute nei detergenti) oltre i limiti stabiliti dal Testo Unico Ambientale, come è riportato nell'inchiesta giornalistica pubblicata il 19 febbraio 2014 su «L'Espresso» con il titolo «I veleni della Valle del Sabato, una storia lunga 30 anni»;
   il Protocollo di Intesa stipulato nel 2010 tra l'associazione «Ambiente e Salute», i sindaci dei Comuni interessati, la Provincia di Avellino, il consorzio Asl che gestisce i servizi nell'area industriali e la società IrpiniAmbiente che si occupa del sito di trito-vagliatura dei rifiuti, con l'obiettivo di predisporre un piano di gestione dell'area che consenta di monitorare le prestazioni ambientali individuando specifiche azioni attraverso l'impiego di indicatori per valutare lo stato dell'ambiente e di istituire organismi di dialogo con gli enti e le forze produttive, finora non ha visto la sua effettiva attuazione;
   il giorno 11 giugno 2014 lo stabilimento Novolegno del gruppo Fantoni, allocato in Arcella di Montefredane, viene interessato da un incendio che, secondo le prime ricostruzioni, sembra sia stato causato dall'esplosione interna di un silos le cui fiamme si sarebbero propagate all'interno dei condotti che raccordano i vari silos interni ed esterni allo stabilimento in cui si producono pannello di fibra di legno;
   la comunità locale e le organizzazioni sindacali hanno espresso forti preoccupazioni in merito a questo incidente, evidenziando che si tratta del terzo incidente del genere in meno di un anno e denunciando le gravi carenze che riguardano il sistema antincendio dello stabilimento Novolegno;
   nei giorni 12 e 13 giugno 2014 l'Arpac ha provveduto ai rilievi necessari per escludere che le popolazioni residenti nella Valle del Sabato corrano rischi derivanti dall'inalazione dei fumi e dalle polveri, presumibilmente tossici, dispersi nell'aria in seguito all'incendio che ha interessato lo stabilimento;
   il 26 giugno 2014 sul sito on-line del comune di Montefredane sono stati resi noti i risultati dei rilievi effettuati dall'Arpac, che nel relativo report sottolinea che «per gli aspetti ambientali, i valori ritrovati non risultano preoccupanti se indicativi di una situazione di picco correlabile all'evento incidentale dell'incendio della Novolegno» e che «è utile che ci si attivi per avviare un monitoraggio in continuo nella zona industriale di Pianodardine, mediante centralina fissa»; a parere degli interroganti, dall'esame dei dati sopra richiamati si rilevano valori puntuali di cadmio ed arsenico superiori alle soglie di media annua di cui decreto legislativo n. 152 del 2007. Tali dati, ovviamente, non sono tra loro confrontabili, considerate le diverse metodologie di rilevamento, e i valori rilevati puntualmente nelle giornate del 12 e 13 giugno andrebbero integrati ampliando e prolungando la campagna di rilevamento. In ogni caso, comunque, i valori misurati sono difficilmente compatibili con un «picco correlabile all'evento incidentale», come dichiarato nella relazione dell'Arpac, in quanto risultano in crescita dalla prima misurazione (+24h) alla seconda misurazione (48h) a fronte di un andamento decrescente che sarebbe lecito attendersi dopo l'evento;
   intanto la procura della Repubblica di Avellino ha aperto un fascicolo sull'incidente avvenuto e ha sequestrato il filtro a manica che ha preso fuoco all'interno della linea di produzione NI3 e il silos dello stabilimento Novolegno. Al momento è stato configurata l'ipotesi di reato di inquinamento ambientale a carico del presidente del consiglio di amministrazione e per il direttore generale dell'azienda;
   sull'incendio alla Novolegno è stato convocato per il prossimo 9 luglio il tavolo tecnico in prefettura con i sindaci dei paesi della Valle del Sabato, l'Arpac, l'Asl e i dipartimenti per l'ambiente;
   con la delibera 125/14 del 29 aprile 2014 la giunta della regione Campania ha deciso di conferire, nell'attuale Stir allocato nella zona industriale di Avellino, rifiuti indifferenziati provenienti dalla Calabria per il trattamento industriale degli stessi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della grave situazione di inquinamento ambientale presente nella cosiddetta media Valle del Sabato e se intenda comunicare le risultanza dei lavori del tavolo tecnico che so riunirà il 9 luglio 2014. (5-03159)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FUCCI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i consorzi di bonifica si configurano come enti di diritto pubblico economico dotati di propria personalità giuridica, proprio patrimonio e proprio personale. Essi trovano il fondamento giuridico della propria costituzione nel regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215, recante «nuove norme per la bonifica integrale»;
   tali consorzi di bonifica ricevono annualmente tributi dai cittadini. Si tratta di tributi speciali che il consumatore di un bene o l'utente di un servizio è tenuto a pagare indipendentemente da una specifica richiesta, come corrispettivo di un vantaggio che gli è derivato dal compimento di un'attività di interesse generale da parte dell'ente pubblico. Tuttavia, come da costante giurisprudenza è emersa la necessità che tali contributi, per essere legittimamente inviati ai contribuenti, debbano prima di tutto indicare la motivazione sottesa agli stessi, nonché il tipo di vantaggio fondiario direttamente e strettamente incidente sull'immobile oggetto di contribuzione. L'onere della prova è a carico dell'ente impositore;
   la necessità di un vantaggio, quale presupposto per la contribuzione, è stata affermata da diverse sentenze della Corte di cassazione a Sezioni Unite (Cass. S.U. 6 febbraio 1984 n. 877, Cass. 8 luglio 1993 n. 7511 e Cass. S.U. n. 8960 del 1996), le quali hanno stabilito che, ai fini della contribuzione, gli immobili devono conseguire un incremento di valore direttamente riconducibile alle opere di bonifica ed alla loro manutenzione;
   il consorzio di bonifica terre d'Apulia ha notificato agli agricoltori minervinesi la cartella per il pagamento del «contributo di bonifica – codice 630»;
   tale contributo è calcolato sulla base del piano di riparto, anno 2014, approvato con deliberazione del Commissario straordinario n. 71 dell'11 marzo 2014 secondo le linee guida predisposte dalla regione Puglia ed approvate con deliberazione della giunta n. 1150 del 18 giugno 2013;
   il contributo richiesto dovrebbe essere destinato all'esecuzione di lavori di manutenzione e delle opere di bonifica (canali di scolo), secondo il programma di interventi approvato dal commissario straordinario con deliberazione n. 18 del 3 febbraio 2014;
   esperti tributaristi interpellati dai soggetti interessati al pagamento hanno sostenuto il carattere non coattivo del versamento richiesto;
   ciò risulta anche confermato da quanto pronunciato dall'assessore all'agricoltura di Canosa di Puglia, Leonardo Piscitelli, il quale in una nota pubblicata sulla Gazzetta del Mezzogiorno, edizione del barese, di metà giugno, a chiare lettere asseriva che i contributi di bonifica sono la quota parte della spesa rimasta a carico del bilancio del consorzio di bonifica per l'opera o la manutenzione realizzata nell'interesse della proprietà consorziata e alla quale abbia portato un beneficio di natura fondiaria. Il contributo di bonifica è un onere reale, non personale. Il beneficio nasce dal rapporto inscindibile tra l'opera e il fondo (o immobile che dir si voglia), quale apporta un incremento di valore. Sfruttando l'abitudine a pagare la «fondiaria», si è iniziato ad addebitare in via generalizzata i contributi di bonifica, in modo assolutamente estraneo alla normativa che li disciplina (a partire dal regio decreto n. 215 del 1933 sulla Bonifica Integrale e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 947 del 1962 che impone il rispetto del vincolo di bilancio nel riparto della spesa). Infatti prima degli anni ’70 non vi è contenzioso in materia di contributi di bonifica;
   la necessità di un beneficio, quale presupposto per legittimare la contribuzione, è stata affermata da diverse sentenze della Corte di cassazione a sezioni unite (Cass. S.U. 6 febbraio 1984 n. 877, Cass. 8 luglio 1993 n. 7511), le quali hanno stabilito che, ai fini della contribuzione, gli immobili devono conseguire un incremento di valore direttamente riconducibile alle opere di bonifica ed alla loro manutenzione e che l'onere della prova del beneficio, se contestato, è a carico dell'ente impositore, cioè il consorzio di bonifica (Cassazione a sezione unite 8957 e 8960 del 1996) –:
   quali siano, per gli aspetti di competenza, le intenzioni del Governo a questo proposito;
   se il Ministro non ritenga utile, nell'ambito delle sue competenze, adoperarsi al fine di superare un quadro normativo obsoleto e risolvere in via definitiva la questione dell'obbligatorietà o meno del versamento dei contributi di bonifica, anche attraverso l'adozione di una normativa di interpretazione autentica. (4-05369)


   GAGNARLI, GALLINELLA, LUPO, L'ABBATE, BENEDETTI, PARENTELA, PAOLO BERNINI, BASILIO, CORDA e MANTERO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – Per sapere – premesso che:
   l'annuncio pubblico fornito in data 1 luglio 2014 dal sindaco di Rimini Andrea Gnassi che ha autorizzato la riapertura del Delfinario di Rimini come «spettacolo viaggiante» con l'utilizzo da sabato 5 luglio di tre leoni marini, porta nuovamente alla ribalta la disapplicazione del decreto legislativo n. 73 del 2005 sui giardini zoologici in Italia e della normativa europea di riferimento (direttiva 1999/22/CE);
   nonostante il nostro Paese sia già stato condannato dalla Corte europea di giustizia nel 2004 per mancata applicazione di questa Direttiva comunitaria e si sia adeguato solo nel 2005, a dieci anni da quella data, la situazione appare di fatto invariata. I comuni, infatti, continuano ad autorizzare strutture permanenti che espongono animali al pubblico, nonostante la licenza di giardino zoologico possa essere rilasciata solo dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   attualmente in Italia, denuncia la LAV in una lettera inviata al Ministro interrogato in data 2 luglio 2014, ci sono meno di 20 strutture permanenti che espongono animali al pubblico che posseggono una regolare licenza di giardino zoologico da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, da una stima provvisoria, ben 100 strutture non hanno tale licenza in violazione della normativa vigente;
   il delfinario di Rimini, denuncia la LAV nella stessa lettera, non ha mai ottenuto una licenza di giardino zoologico ed ha potuto operare con delfini al di fuori del quadro normativo fino al settembre del 2013, quando i delfini, a seguito di un procedimento penale, sono stati sequestrati in via preventiva per maltrattamenti su ordine della Procura della Repubblica di Rimini, provvedimento poi confermato dalla Corte di Cassazione nel marzo scorso;
   nel mese di giugno il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato un decreto di chiusura della struttura; il delfinario, tuttavia, viene ora autorizzato dal sindaco di Rimini a riaprire con leoni marini, in forza di una licenza comunale di spettacolo viaggiante; quindi, fino al 31 ottobre prossimo, l'impianto potrà riprendere gli spettacoli come «acquario» pur essendo a tutti gli effetti una struttura «permanente» ma priva della dovuta licenza ministeriale di giardino zoologico;
   a seguito del mancato intervento in materia e di una situazione emergenziale che riguarda la detenzione di animali esotici in Italia, la LAV ha anche inviato nei giorni scorsi una dettagliata denuncia alla Commissione europea ed una richiesta di intervento urgente al Sottosegretario alle politiche europee, Sandro Gozi;
   tanti paesi, riporta un articolo de Il fatto quotidianohttp://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/02/rimini-il-comune-da.lok-per-la-riapertura-del-delfinario-chiuso-per-maltrattamenti/1047474/ fra cui India, Slovenia, Croazia, hanno bandito circhi acquatici e delfinari dal loro territorio, e molti altri stanno approvando normative atte a proibire l'attendamento di circhi con animali, come Grecia, Danimarca, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa ed in particolare del fatto che il decreto di chiusura della struttura del Delfinario di Rimini da esso emanato, sia stato di fatto privato di efficacia da un atto amministrativo locale;
   quali iniziative intenda porre in essere affinché la direttiva dell'Unione europea sui giardini zoologici (1999/22/CE) e il relativo decreto legislativo di attuazione n. 73 del 2005 trovino finalmente una corretta applicazione in Italia. (4-05378)


   AMODDIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 giugno 2014 un elicottero ha sorvolato a bassa quota e ripetutamente i centri abitati di Floridia e Solarino in provincia di Siracusa causando panico e preoccupazione tra le istituzioni comunali e i cittadini;
   che l'elicottero in questione trasportava, agganciato alla sua scocca, uno strano oggetto che solo dopo si è scoperta essere una sonda;
   il volo dell'elicottero in questione sembrerebbe fare parte del PON sicurezza 2007-2013, «Monitoraggio dell'impatto ambientale dovuto a reati ambientali», per individuare fonti di radiazioni e d'inquinamento nelle regioni Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. Il progetto è del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. L'elicottero dunque trasportava un sensore a raggi gamma, capace di tracciare una mappa del territorio captando ogni tipo di radiazione, sia quella generata da fonti naturali, sia determinata da depositi clandestini di rifiuti;
   da fonti istituzionali si è potuto risalire alla società Helica srl di Udine alla quale è affidata la mappatura aerea –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se il Ministro sia in grado di riferire se il volo in questione abbia seguito tutte le procedure dovute;
   se il volo in questione godeva delle autorizzazioni dell'Enac e di un apposito piano di volo dato che il velivolo ha sorvolato caseggiati e zone abitate;
   se il Ministro possa chiarire perché non sono stati preventivamente avvertiti i sindaci dei comuni interessati al fine di informare preventivamente la cittadinanza ed evitare panico ed inutili preoccupazioni. (4-05383)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PALMIERI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 7 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, stabilisce che al fine di agevolare il rilancio del sistema musicale italiano ed in particolare dei giovani artisti e compositori emergenti, è stato riconosciuto un credito di imposta per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016;
   le modalità applicative della suddetta disposizione, condivisa all'unanimità dal Parlamento, avrebbero dovuto essere adottate con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro dello sviluppo economico entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 112 del 2013;
   allo stato attuale risulta che il provvedimento sia pronto ma ancora in attesa di essere emanato. Questo ritardo rischia di provocare un serio danno per tutto il sistema musicale e in particolare per i giovani artisti che avrebbero già potuto usufruire del credito di imposta per l'anno in corso. Si tratta di risorse particolarmente importanti, evidentemente molto attese dal settore e che risulterebbero fondamentali per sostenere il lancio delle opere prime e seconde degli artisti al fine di valorizzare in primo luogo le specificità italiane –:
   quale iniziativa intenda assumere il Ministro per sbloccare la situazione e provvedere alla emanazione del provvedimento attuativo, al fine di riconoscere l'agevolazione prevista per legge a favore degli artisti e dei giovani talenti. (5-03147)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, BATTELLI e MARZANA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Domus Aurea, realizzata per volontà dell'imperatore romano Nerone dopo il grande incendio che devastò Roma nel 64 d.c., costituisce uno dei più preziosi gioielli che il patrimonio culturale italiano possiede. Conosciuta in tutto il mondo sia per la sua mole che per i suoi bellissimi affreschi, è stata inserita nel 1980 nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'Unesco ed è stata oggetto di alterne vicende che ne hanno visto la parziale riapertura, un commissariamento ed una totale chiusura dovuta ad uno stato di profonda incuria;
   dall'inizio degli anni ottanta, la struttura di evidente valore architettonico venne definitivamente chiusa per ragioni di sicurezza e di conservazione: occorreva infatti eseguire immediati ed accurati controlli ed effettuare un'attenta attività di manutenzione delle strutture murarie, delle pitture e degli stucchi in evidente stato di degrado ed arginare i pericoli derivanti dalle acque piovane; venne, pertanto, predisposto un programma ad hoc a cura della Soprintendenza archeologica di Roma e dell'Istituto centrale per il restauro, finalizzato ad individuare criteri per realizzare interventi conservativi e realizzazioni di impianti per la sicurezza e l'illuminazione delle sale;
   il monumento fu riaperto nel 1999 ma sei anni dopo, nel 2005, chiuso a causa di copiose infiltrazioni d'acqua, del rischio di crolli e di cedimenti strutturali;
   nel 2006, giusta ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3541 del 18 agosto 2006 recante «disposizioni urgenti per la messa in sicurezza della Domus Aurea» si diede avvio alla procedura di commissariamento dell'area; tuttavia, nonostante l'intervenuta cessazione della procedura commissariale avvenuta con successiva ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 4017 del 25 aprile 2012 recante «disposizioni urgenti per la cessazione delle funzioni commissariali», le problematiche restarono;
   ad oggi, la struttura (che si articola in 150 stanze per una lunghezza totale di circa 250 metri) rimane un cantiere chiuso al pubblico; le tredici imprese e i settanta tecnici tra archeologi, ingegneri, architetti, geologi che ivi lavorano ogni giorno stanno attuando interventi strutturali su volte e mura, usando esclusivamente mattoni realizzati a mano e materiali identici a quelli originali;
   il monumento, inserito nel contesto del parco del Colle Oppio dove di notte trovano riparo alcuni senzatetto, continua purtroppo a soffrire di una situazione a rischio dovuta soprattutto al traffico e alle radici degli alberi del giardino;
   in data 18 giugno 2014 la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma ha presentato un progetto concernente un sistema di protezione integrata che prevede la messa in sicurezza dell'area sovrastante la Domus (il giardino del Parco Colle Oppio) attraverso la realizzazione di un nuovo giardino; il progetto si basa su un serrato cronoprogramma articolato in sette fasi da eseguire in quattro anni con un costo complessivo pari a 31 milioni di euro (circa 8 milioni di euro l'anno;
   appaiono evidenti il forte rischio in cui si trova la preziosa reggia riaperta e richiusa svariate volte, allarmante il degrado dovuto ai funghi sopra gli affreschi nonché incombente il pericolo derivante dalle infiltrazioni di acqua piovana;
   il decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, introduce un regime fiscale agevolato (art bonus) tramite il conferimento di un credito d'imposta per le persone fisiche e giuridiche che effettuano erogazioni liberali a favore della cultura e quindi anche per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici –:
   quali eventuali benefici siano stati generati dalla procedura commissariale di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3541 del 18 agosto 2006;
   quale sia lo stato di avanzamento dei lavori interni di messa in sicurezza e di restauro in vista di una probabile ed imminente riapertura;
   come intenda il Ministro interrogato rispettare il serrato cronoprogramma sopra menzionato necessario ad ultimare l'opera in quattro anni qualora venisse meno l'auspicato intervento degli operatori privati di cui al decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, e dove eventualmente intenda reperire le risorse finanziarie necessarie.
(4-05368)


   SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, BATTELLI e MARZANA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Palazzo Spada, prestigiosa struttura romana realizzata nel 1540 ed acquistata dallo Stato italiano nel 1927, ospita attualmente l'omonima Galleria (nata anticamente per volontà del cardinale Bernardino Spada come una raccolta privata) nonché il Consiglio di Stato; l'edificio di indiscutibile valore culturale ed architettonico accoglie quotidianamente una grande quantità di turisti provenienti da ogni parte del mondo, affascinati dalle preziose sculture presenti al suo interno come i quadri di Tiziano, Caravaggio e Rubens nonché i fregi, le colonne, gli stucchi e le statue barocche. In particolare, il cortile ospita le statue di Ercole, Marte, Venere, Giunone, Giove, Proserpina, Minerva, Mercurio, Anfitrite, Nettuno, Plutone e la monumentale scultura di Pompeo Magno;
   da numerose agenzie di stampa locale e nazionale di qualche mese fa si apprende che all'inizio dell'anno in corso, all'interno del giardino seicentesco, sono stati avviati dei lavori volti alla realizzazione di alcuni locali di servizio sotterranei fra cui un parcheggio; questi lavori hanno condotto alla rimozione del manto erboso che ricopriva il giardino retrostante il palazzo ed allo smantellamento delle preziose fontane seicentesche; i tentativi di avvio dei lavori erano iniziati circa quattro anni fa, ma puntualmente erano stati bloccati per il ritrovamento di alcuni reperti archeologici situati sotto il palazzo;
   in svariate occasioni è stato garantito dalle autorità competenti che al termine dei lavori di costruzione, si provvederà a ripristinare in maniera ottimale la situazione antecedente;
   nell'ordinamento italiano numerose disposizioni si pongono a garanzia dell'inestimabile valore storico ed architettonico del Palazzo: basti pensare alla legge 1o giugno 1939, n. 1089, recante disposizioni per la «Tutela delle cose d'interesse storico ed artistico»;
   ad essa si aggiunte il disposto contenuto nell'articolo 20 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, relativo alle misure di protezione da adottare al fine di evitare un uso distorto dei beni culturali o comunque non conciliabile con il loro carattere storico o artistico nonché di recare grave pregiudizio alla loro conservazione –:
   quali misure il Ministro interrogato intenda adottare al fine di evitare che questo cantiere a cielo aperto possa mettere seriamente a repentaglio uno dei gioielli museali di Roma nonché per tutelare la conservazione degli eventuali nuovi reperti archeologici che potrebbero essere rinvenuti;
   se tutte le autorizzazioni necessarie ad attuare i sopracitati lavori siano state concesse nel rispetto delle prescrizioni previste dalle normative in materia. (4-05380)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Wall Street Journal ha sottolineato i risultati «deludenti» del programma di vendite demaniali, varato due anni fa dal Governo di Mario Monti e portato avanti dal Governo di Matteo Renzi;
   partendo da un ambizioso programma per vendere isole, castelli, strutture militari e altri beni immobiliari pubblici ci si è ritrovati che l'Agenzia del demanio, riferisce il Wall Street Journal ha accettato solo un'offerta per una grande proprietà: 610 mila euro per un ex ospedale militare del XIX secolo a Trieste;
   gli offerenti e altre persone potenzialmente interessate, riferisce sempre il Wall Street Journal, hanno criticato il processo di vendita, facendo notare, per esempio, che l'asta non aveva prezzi di partenza per le proprietà. «Non abbiamo avuto la sensazione di un processo trasparente», ha testualmente affermato Davide Dalmiglio, capo Capital Markets per l'Italia di Jones Lang LaSalle;
   l'Agenzia del demanio afferma di voler vendere 40 edifici – tra cui castelli e fari – entro la fine dell'anno e ha valutato ciascuna proprietà dai 400 mila euro in su;
   per ridurre il debito incassando denaro dai beni pubblici, il Governo ha messo a punto anche altri piani. Il Ministero dell'economia e delle finanze ha istituito la società di gestione del risparmio Invimit (Investimenti Immobiliari Italiani), per gestire fondi che avranno la proprietà dei beni pubblici. La società si aspetta che entro il 2017 i fondi abbiano un valore compreso tra i 2,5 miliardi e i 6,1 miliardi di euro e prevede di vendere azioni agli investitori –:
   quale sia la motivazione per la quale le aste effettuate non hanno i «prezzi di partenza». (4-05376)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AMODDIO e ERMINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 settembre 2011 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge n. 148 del 2011 che delegava il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di sua entrata in vigore, uno o più decreto legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa ed incremento di efficienza con l'osservanza dei principi e dei criteri direttivi ivi enunciati;
   con decreto legislativo n. 155 del 2012, in vigore dal 14 settembre 2013 (articolo 11), sono stati soppressi (articolo 1) i tribunali ordinari, le sezioni distaccate e le procure della Repubblica di cui all'allegata tabella A), fermo il potere del Ministro, in presenza di specifiche ragioni organizzative o funzionali, di disporre l'utilizzo a servizio del tribunale, per un periodo non superiore a cinque anni, degli immobili di proprietà dello Stato, ovvero di proprietà comunale, interessati da interventi edilizi finanziati ai sensi dell'articolo 19 della legge n. 119 del 1981 adibiti a servizio degli uffici giudiziari; dal provvedimento non sarebbero dovuti derivare (clausola di invarianza, articolo 10) nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;
   con decreto ministeriale 8 agosto 2013 il Ministro pro tempore, vista la nota 29 aprile 2013, prot. n. 723/U del presidente del tribunale di Ragusa (accorpante) – che rappresentava la necessità di disporre dei locali dell'ex tribunale di Modica (accorpato) per cinque anni e per tutto il contenzioso civile – ne autorizzava l'utilizzo solo per anni due e limitatamente agli affari pregressi del contenzioso civile; il decreto è stato impugnato avanti il TAR di Catania, che ha negato la misura cautelare, concessa, seppure in parte, dal Consiglio di giustizia amministrativa in sede di appello;
   in data 12 settembre 2013 si è costituito il Comitato permanente «Pro Tribunale Modica» finalizzato a contrastare l'attuazione del progetto di riforma della geografia giudiziaria nei termini di cui al decreto legislativo n. 155 del 2012 apparsa, sin dalle prime battute, in palese contrasto con i proclamati principi di risparmio della spesa e di incremento di efficienza; a tale effetto il consiglio dell'ordine forense di Modica, che ha aderito al Comitato, trasmetteva ai responsabili degli uffici preposti un esposto mediante il quale venivano portate a conoscenza, in ottica preventiva, deficienze strutturali e funzionali della struttura giudiziaria accorpante; in data 17 ottobre 2013 lo stesso Consiglio reiterava l'esposto  denunciando l'intollerabile violazione delle disposizioni normative che obbligano il datore di lavoro ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare la integrità fisica e morale dei lavoratori, senza averne tuttavia riscontro;
   nel corso della riunione della commissione di manutenzione del tribunale di Ragusa del 3 ottobre 2013, convocata in conseguenza della notifica di tali atti, emergeva una relazione, a firma del tecnico nominato dal capo dell'ufficio, in cui si legge che l'immobile presenta criticità strutturali;
   il tribunale di Modica, ubicato all'interno di una recente moderna e ampia costruzione, inaugurata nel 2003, che si compone di tre piani in cui sono ubicati gli uffici del giudice di pace, del tribunale e della procura;
   inoltre, l'edificio è dotato di ampie aule di udienza, degli uffici del consiglio dell'Ordine degli avvocati, mentre il piano interrato è destinato all'archivio;
   sottostante all'edificio è ubicato un ampio parcheggio interno collegato direttamente con ascensore alla struttura giudiziaria;
   il tribunale di Modica è ubicato a soli 14 chilometri da Ragusa, ultimato nel 2004, con un costo di ben 12 milioni di euro;
   l'articolo 1 della legge n. 148 del 2011 prevede che la delega al Governo venga espressamente finalizzata a riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari al fine di realizzare risparmi di spesa e incremento di efficienza nel rispetto della clausola di invarianza di cui all'articolo 10 del decreto legislativo n. 155 del 2012 che fa divieto di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica;
   l'immobile ove ha sede oggi il tribunale di Ragusa, costruito oltre 40 anni or sono, ubicato nel centro storico di Ragusa in zona difficilmente accessibile al traffico veicolare, non adeguato alla vigente normativa in materia di sicurezza sul lavoro, antincendio, rischio sismico, non può con certezza far fronte alle maggiori sopravvenienze in tema di carico di lavoro e di personale conseguenti al provvedimento di accorpamento;
   la ricerca nell'ambito del territorio del comune di Ragusa di altra struttura da utilizzare quale secondo palazzo di giustizia nella prospettiva di rinunziare a utilizzare in via definitiva l'esistente palazzo di giustizia del tribunale di Modica, è, ad avviso degli interroganti, non solo irragionevole e assolutamente inspiegabile, ma comporta un rilevantissimo esborso economico aggiuntivo e quindi in contrasto con l'articolo 1 della legge n. 148 del 2011;
   il mancato utilizzo in via definitiva dell'immobile sede del tribunale di Modica costituirebbe infatti un macroscopico esempio di spreco di risorse e di inefficienza. A tale effetto il portavoce del comitato ha inoltrato, nel novembre del 2013, l'esposto alla procura della Corte dei Conti di Palermo. Non solo, a seguito degli esposti presentati e delle sollecitazioni dei capi degli uffici giudiziari, il comune di Ragusa ha incaricato il proprio u.t.c. di mettere in sicurezza le vie di fuga della struttura giudiziaria di Ragusa. L'u.t.c. con nota indirizzata al presidente del tribunale, ha comunicato di avere redatto a tal fine un progetto che prevede giorni 180 per la sua realizzazione ed un impegno di spesa di 350.000,00 euro. Iniziativa, anche questa, che si pone, secondo gli interroganti, in palese contrasto con i principi sottesi alla legge delega n. 148 del 2011;
   la inadeguatezza del palazzo di giustizia di Ragusa ha reso necessaria la stipula di onerosi contratti di locazione per ospitare gli uffici del giudice di pace, della polizia giudiziaria e degli ufficiali giudiziari, mentre, con l'utilizzo della struttura giudiziaria di Modica, si recupererebbero spazi all'interno del tribunale di Ragusa, con conseguente risparmio della somma corrispondente a tali locazioni passive;
   a prescindere dal costo dell'adeguamento di qualsivoglia immobile possa reperire l'amministrazione comunale di Ragusa, ad ogni modo l'attuale immobile è condotto in locazione e sarebbe necessario reperire altri locali in locazione;
   quanto sopra esposto è stato già segnalato al Ministro interrogato più volte;
   l'ente preposto (regione siciliana) è disposto a farsi carico delle spese di gestione e di funzionamento del palazzo di giustizia di Modica nell'ambito della previsione di cui all'articolo 1, comma 397, della legge di stabilità dello Stato approvata il 30 dicembre 2013, come confermato dal Presidente Crocetta al Ministro della giustizia, a Comiso, in occasione della recente visita per intitolazione dell'aeroporto;
   da notizie riportate sui giornali è noto che sono state avviate indagini della procura di Ragusa sul Comitato Pro Tribunale di Modica; infatti, il portavoce dell'organismo modicano, avvocato Enzo Galazzo, è stato convocato dalla polizia giudiziaria su delega del procuratore della Repubblica di Ragusa, Carmelo Petralia; al rappresentante del Comitato sono state chieste informazioni in merito alla costituzione, alle finalità e ai componenti del Comitato e la consegna, come richiesto, di copia dell'atto costitutivo in uno alle sottoscrizioni di adesione. Il Comitato Pro Tribunale di Modica esprime incredulità e stupore circa l'indagine promossa dalla procura su iniziative condotte dal Comitato con assoluta trasparenza di finalità e di metodi. Ribadisce l'assoluta legalità del proprio operato nel quale insisterà sino al raggiungimento degli obiettivi prefissi –:
   se il Ministro ritenga coerenti con la ratio della disciplina sopra richiamata concentrare la gestione di tutte le domande di giustizia provenienti dall'intero territorio ibleo nella struttura giudiziaria di Ragusa, inadeguata ancor prima dei disposti accorpamenti, dismettendo già ora, di fatto, il presidio giudiziario di Modica, svuotato nell'organico e nella trattazione degli affari;
   se il Ministro ritenga di manifestare il proprio consenso alla stipula della convenzione di cui al comma 397 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013 per l'utilizzo del palazzo di giustizia di Modica. (5-03156)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSTAN e IMPEGNO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente della Repubblica del 9 aprile 2013 è stato sciolto il consiglio comunale di Quarto (provincia di Napoli) in base alla normativa antimafia dopo la richiesta presentata dal Ministro dell'interno pro tempore;
   l'amministrazione del centro flegreo è stata al centro di un'inchiesta riguardante pressioni del clan dei Polverino sulle scelte urbanistiche: il 9 luglio del 2012 i carabinieri eseguirono anche delle perquisizioni negli uffici privati del sindaco, Massimo Carandente Giarrusso, che non era indagato, e in quelli di alcuni consiglieri comunali e imprenditori;
   le risultanze della commissione d'accesso – che a Quarto ha operato per circa sei mesi subito dopo lo scioglimento del consiglio comunale per le dimissioni del sindaco di centrodestra Massimo Carandente Giarrusso – sono risultate determinanti nello stabilire l'esistenza di presunte collusioni tra il clan camorristico e la politica locale;
   negli ultimi venti anni il comune è stato commissariato già tre volte ed in due occasioni per infiltrazioni camorristiche;
   a fronte della preoccupante diffusione di fenomeni camorristici sul territorio del comune di Quarto, diverse sono state, negli anni, le iniziative avviate dalla popolazione residente, tese a diffondere la cultura della legalità e del contrasto alla criminalità organizzata;
   tra le tante iniziative promosse, una delle più significative è stata ed è tuttora, senza ombra di dubbio, quella posta in essere dalla squadra di calcio locale denominata «Nuova Quarto Calcio per la legalità», società calcistica sottratta alla gestione della camorra ed affidata alle associazioni che localmente lottano contro il racket;
   il sostegno economico della squadra è stato garantito dai cittadini di Quarto con una sorta di «azionariato popolare» lanciato attraverso una sottoscrizione sostenuta dalle associazioni prima indicate;
   alla presentazione del team ha preso parte anche il pubblico ministero dell'Antimafia di Napoli Antonello Ardituro, mentre la vecchia società è finita in amministrazione giudiziaria dopo l'arresto e la detenzione con il 41-bis del presidente Castrese Paragliola, accusato di collegamenti con la camorra locale;
   la squadra costituisce un presidio dell’antiracket nell'area flegrea essendo collegata con la rete per la legalità e con le principali associazioni antiracket operanti nell'area flegrea;
   nonostante la straordinaria importanza ed il profondo significato dell'iniziativa messa in campo dalle associazioni antiracket flegree, la squadra di calcio è stata destinataria, fin dalla sua rinascita, di numerosi attacchi ed episodi di violenza portati avanti, con ogni probabilità, da esponenti della criminalità organizzata locale;
   l'ennesimo raid ai danni della Nuova Quarto Calcio per la legalità è stato messo a segno ad inizio luglio 2014;
   si è trattato di danni dal modesto valore economico, ma dall'alto valore simbolico che costituiscono un episodio inquietante che, come affermato da Gigi Cuomo, presidente del club che oggi milita in eccellenza, dimostra come le forze oscure che si oppongono alla legalità sul territorio di Quarto stiano tornando prepotentemente alla ribalta;
   sull'episodio indagano i carabinieri della tenenza di Quarto, diretta dal maresciallo Antonio Flore e il nucleo radiomobile di Pozzuoli, coordinato dal tenente Gianfranco Galletta;
   la squadra di calcio divenuta simbolo di lotta alla camorra e al racket in un territorio dominato dalla malavita maranese è stata più volte al centro di episodi intimidatori;
   è fondamentale che il Governo, attraverso tutte le proprie articolazioni, le forze dell'ordine e la commissione straordinaria, intervenga e si adoperi per garantire la sopravvivenza del progetto della Nuova Quarto Calcio per la legalità ed al tempo stesso per contrastare tutti gli atti intimidatori posti in essere dalla criminalità locale –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali, ormai improcrastinabili, iniziative intenda intraprendere per contrastare il fenomeno sopra descritto e garantire la continuazione del progetto della Nuova Quarto Calcio per la legalità. (4-05384)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   la pubblica assistenza ANPAS, Associazione nazionale pubbliche assistenze, coinvolge 880 associazioni di pubblica assistenza in tutta Italia, e rappresenta una delle più grandi Associazione nazionali di volontariato per quanto riguarda l'ambito socio-sanitario;
   il lavoro di volontari e operatori, competenti e adeguatamente formati, consente di fornire una risposta immediata alle esigenze dei cittadini, ragione per cui ANPAS svolge da anni un ruolo strategico fondamentale, in grado di offrire assistenza ospedaliera, servizi ambulatoriali e un'efficace mobilità sul territorio, svolgendo circa il 70 per cento del trasporto sanitario del nostro Paese;
   ANPAS, nei prossimi mesi, rischia di attraversare una situazione di forte difficoltà nell'espletamento dei servizi sanitari, sia di emergenza che di trasporto socio sanitario cosiddetto ordinario;
   a partire dal 2 luglio 2014, infatti, la Società Autostrade per l'Italia spa ha confermato la disdetta dell'accordo con ANPAS (stipulato dai 1999) per il rilascio di telepass esenti in modo permanente senza concedere ulteriore proroghe, decidendo in modo unilaterale le nuove modalità;
   la decisione pone in grave difficoltà le organizzazioni di volontariato, quotidianamente impegnate da oltre 100 anni in questo settore e, più in generale, nella presa in carico di ogni cittadino malato o infortunato;
   dal mese di luglio, 2962 telepass in dotazione sulle ambulanze e sui veicoli di soccorso avanzato delle associazioni di pubblica assistenza aderenti ad ANPAS, oltre a quelli delle Misericordie, saranno disattivati, provocando molti problemi e serie difficoltà nei transiti e nell'accesso ai tratti autostradali, con particolare riferimento a quelli che non sono presenziati dal personale di Autostrade;
   a questo proposito, le ripetute istanze di modifica del codice della strada che ANPAS, insieme alla Confederazione delle Misericordie d'Italia, ha rivolto al Governo e la manifestazione di protesta organizzata il 3 aprile 2014 a Roma sono rimaste del tutto inascoltate;
   analogamente, la risoluzione approvata dalla IX Commissione trasporti della Camera dei deputati (n. 8-00060 Tullo-Fossati) il 4 giugno 2014, che impegna il Governo a «definire e rendere individuabili i veicoli adibiti al soccorso; concedere telepass per l'esenzione del pedaggio autostradale in comodato d'uso gratuito senza aggravi burocratici ed organizzativi ai veicoli di soccorso delle associazioni di volontariato, modificando ed integrando le concessioni in essere su tutte le autostrade italiane, senza oneri per il bilancio dello Stato» non ha avuto alcun seguito;
   al momento, persiste un'evidente disomogeneità di trattamento in termini di esenzione del pedaggio fra i mezzi di Croce Rossa Italiana, ANPAS e Misericordia, in seguito alla recente trasformazione della Croce Rossa Italiana, nella sua parte civile, in ente privato –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per consentire ad ANPAS ed alle altre associazioni di volontariato di garantire interventi tempestivi ed efficaci, nel rispetto della sicurezza, allo scopo di tutelare la salute dei cittadini, anche in seguito alla disdetta del suddetto accordo da parte della società Autostrade spa.
(2-00611) «Fanucci, Albini, Beni, Biffoni, Bini, Carrozza, Cenni, Capozzolo, Coppola, Dallai, De Menech, Donati, Ermini, Famiglietti, Faraone, Fontanelli, Fossati, Gadda, Gelli, Grassi, Manciulli, Mariani, Morani, Parrini, Rigoni, Rocchi, Sani, Senaldi, Simoni, Vazio».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BARGERO e BENAMATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi anni si è assistito ad un aumento esponenziale di automobili immatricolate in Stati esteri che circolano nel territorio nazionale;
   in molti casi l'immatricolazione di veicoli all'estero circolanti nel territorio nazionale è volta ad evitare il pagamento del cosiddetto «super-bollo» introdotto dall'articolo 16, comma 1 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, il quale prevede, dal 2012, un'addizionale erariale della tassa automobilistica pari a 20 euro per ogni chilowatt di potenza del veicolo superiore a 185 chilowatt;
   come recentemente segnalato dall'Assilea, l'Associazione italiana delle imprese di leasing, la locazione da parte di soggetti nazionali (sia in leasing che in noleggio) di veicoli targati all'estero a nome di società straniere prive di sede in Italia è notevolmente aumentata; i dati sull'esportazione dei veicoli mostrano nel 2012 volumi più che raddoppiati per le autovetture sopra i 185 chilowatt (da circa 13.000 unità del 2011 a quasi 29.000, + 115 per cento);
   molti stranieri – anche dell'Unione europea – residenti in Italia, acquistano un veicolo in Italia e lo esportano nel proprio Paese, ove lo ritargano per poi reimmetterlo in uso nel territorio italiano rischiando in alcuni casi una denuncia di concorso in truffa ai danni dello Stato e falsità materiale commessa da privato;
   nel caso di vetture immatricolate ed assicurate in alcuni Paesi, è prevista la copertura automatica assicurativa prevista dalla Convenzione multilaterale di garanzia, firmata a Madrid il 15 marzo 1991 per cui le forze dell'ordine non possono controllare la copertura assicurativa di auto immatricolate in questi Paesi fino al verificarsi di un sinistro che coinvolga l'autovettura assicurata all'estero;
   immatricolare un'auto in un Paese straniero comporta un costo in termini di imposta provinciale di trascrizione e copertura assicurativa molto inferiore al costo previsto in Italia; questa differenza, complice anche la crisi economica, ha scatenato un fenomeno dilagante di immatricolazioni di auto all'estero attraverso prestanomi finalizzata a pagare le polizze assicurative auto in misura molto minore e a rendersi invisibili al cosiddetto «redditometro» – lo strumento di accertamento sintetico del reddito di tipo induttivo, che consente all'Agenzia delle entrate una determinazione indiretta del reddito complessivo del contribuente, basata sulla capacità di spesa del medesimo – previsto dall'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica del 29 settembre 1973, n. 600;
   per i veicoli immatricolati in alcuni Paesi europei, tra cui la Germania, essendo le multe personali, sono considerate valide solo quelle in cui il guidatore sia identificato; il contrasto di tale norma con quelle previste dalla legislazione italiana consente in molti casi di usufruire di una sorta di «scudo» contro le multe dei cosiddetti autovelox con grave pregiudizio della sicurezza stradale e autostradale nel territorio nazionale;
   secondo Assilea, come dichiarato nel corso di un'audizione del 2012 alla X Trasporti della Camera dei deputati, il leasing tedesco è solo una formula che mira ad aggirare le norme regolamentari e fiscali nazionali e non può essere assimilato al leasing finanziario tradizionale perché mentre in Italia i leasing finanziario può essere erogato soltanto da banche e da società finanziarie iscritte negli elenchi tenuti da Banca d'Italia, quello «tedesco, funziona con una fidejussione bancaria. L'auto viene data in noleggio da soggetti commerciali e utilizzate da clienti italiani e se è già di proprietà del cliente può essere riscattata dalla società tedesca; inoltre in Germania, non dovendo rispondere agli obblighi previsti dalle tradizionali società di leasing italiane, non vengono chiesti documenti sul reddito e bilanci societari; secondo le principali associazioni di categoria i mancati provvedimenti per porre rimedio a questo stato di fatto sta producendo un irreparabile danno al settore del leasing e del noleggio con conseguenti perdite anche in termini di occupazione;
   il nuovo codice della strada di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, e successive modificazioni, all'articolo 132 prevede per gli autoveicoli, i motoveicoli e i rimorchi immatricolati in uno Stato estero, che abbiano già adempiuto alle formalità doganali, l'ammissione alla circolare in Italia per la durata massima di un anno, in base al certificato di immatricolazione dello Stato di origine; decorso il predetto termine tali mezzi non possono più circolare se non vengono nazionalizzati (cioè immatricolati in Italia), pena l'applicazione della sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 84 a euro 335;
   la violazione di tale disposizione comporta quindi una specifica sanzione amministrativa senza che sia stabilita la sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo con una grande differenza in termini di entità e con riferimento alla confisca rispetto alla previsione dell'articolo 93, comma 7 che si applica per gli autoveicoli sprovvisti di carta di circolazione «ab origine», per i quali è prevista una sanzione amministrativa da euro 419 a euro 1.682 oltre alla confisca del mezzo;
   con riferimento al citato articolo 132 del nuovo codice della strada emergono inoltre alcuni dubbi interpretativi a partire dal richiamo alle formalità doganali operato dal primo comma che impone necessariamente, in virtù degli operanti accordi europei, la distinzione tra importazioni comunitarie e importazioni extra-UE; in virtù della normativa comunitaria non può essere prevista alcuna formalità doganale in ambito comunitario, diventa quindi difficile stabilire la data di definitiva importazione di un veicolo immatricolato in uno Stato membro –:
   se non ritengano utile, per quanto di competenza, assumere un'iniziativa normativa volta a prevedere una modifica dell'articolo 132 del nuovo codice della strada al fine di obbligare i cittadini stranieri residenti in Italia proprietari di un veicolo immatricolato in uno Stato aderente alla Convenzione multilaterale di garanzia ad immatricolare l'auto in Italia entro un anno, identificando una data certa per quanto riguarda l'importazione del veicolo;
   se non ritengano utile, per quanto di competenza, di intervenire al fine di prevedere una proposta da formulare in ambito europeo volta ad armonizzare i sistemi informatici comunitari delle compagnia di assicurazione abilitate ad operare nel ramo della responsabilità civile auto tale per cui sia possibile riunire in un unico database tutti i dati relativi alle assicurazioni dei veicoli circolanti in Europa nonché ad armonizzare le norme in materia di accertamento delle violazioni del codice della strada. (5-03149)


   BERGAMINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento adottato con il decreto del Presidente della Repubblica 9 giugno 2000, n. 277, recante la disciplina dell'agevolazione fiscale a favore degli esercenti le attività di trasporto merci, a norma dell'articolo 8 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, riconosce il credito d'imposta sugli incrementi dell'aliquota di accisa sul gasolio per autotrazione, il cui rimborso dell'importo potrà avvenire con una restituzione in denaro oppure utilizzando il credito in compensazione fino al 31 dicembre dell'anno solare successivo a quello in cui è sorto;
   la legislazione vigente attraverso il decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 452, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2002, n. 16, in tema d'individuazione di soggetti per i quali si stabilisce il suddetto beneficio fiscale, unitamente a quanto disposto in tema di trasporto pubblico, precisa che la medesima agevolazione, è consentita per coloro che esercitano tale funzione pubblica e possiedono mezzi di trasporto di proprietà o in affitto, ad esclusione di quelli in comodato d'uso;
   l'interrogante segnala come alcune società private a partecipazione pubblica, che svolgono un servizio pubblico, detengono numerosi mezzi di trasporto appartenenti alla pubblica amministrazione e li gestiscono ad uso gratuito o in comodato d'uso per meglio affrontare le esigenze e calmierare i costi di trasporto;
   per lo svolgimento delle attività di servizio pubblico, l'interrogante rileva altresì che le suddette aziende di trasporto sostengono direttamente i costi derivanti dalle spese per il carburante, senza tuttavia accedere al rimborso delle accise o al credito d'imposta previsto, come avviene invece per quelle aziende che posseggono direttamente i mezzi di trasporto, anche noleggiati, poiché la vigente disciplina non contempla la forma del comodato d'uso per l'utilizzo di mezzi adibiti al trasporto di persone o cose;
   le società di trasporto che possiedono mezzi con un contratto di comodato d'uso, al fine di ottenere un legittimo riconoscimento, sono costrette di conseguenza a ricorrere in sede giudiziale, con tempi notoriamente lunghi ed inevitabili e prevedibili ripercussioni negative, sia nell'ambito della gestione amministrativa, che nei servizi offerti;
   l'interrogante evidenzia, in aggiunta a quanto suesposto e al fine di rendere il più possibile manifesta l'esistenza della lacuna normativa in questione, l'incongruenza derivante dall'impossibilità, da parte di una società che svolge servizio pubblico e possiede degli autobus della pubblica amministrazione in comodato d'uso, della riscossione dei previsti rimborsi fiscali, a differenza del caso in cui la medesima società stipulasse un contratto di affitto simbolico, con la stessa pubblica amministrazione, anche di un solo euro, in cui potrebbe invece usufruire delle agevolazioni previste;
   l'articolo 3 del suesposto regolamento, al comma 6, riporta infatti l'espressione di: «proprietario ovvero, nel caso di contratto di locazione con facoltà di compera o di contratto di noleggio di cui all'articolo 84 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni», omettendo tuttavia di prevedere l'espressione: «comodato d'uso»;
   l'interrogante ricorda a tal fine come, nel nostro ordinamento, la natura giuridica del comodato d'uso sia quella di un contratto gratuito, anche definito con prestazioni, a carico di una soltanto delle parti, e trova la sua giustificazione nello spirito di liberalità, le cui peculiarità lo contraddistinguono dal contratto di locazione (ipotesi ammessa al beneficio) e tutelato anche dalla legislazione che protegge l'interesse del comodante alla restituzione di quanto dato in prestito;
   un caso emblematico, a giudizio dell'interrogante, è rappresentato dalla ditta «Nord-Est Mobility» controllata dalla ditta «La Linea Spa» partecipata del comune di Venezia con sede a Mestre, che svolge attività di trasporto pubblico, utilizzando automezzi in comodato d'uso, la cui amministrazione ha richiesto all'Agenzia delle dogane e dei monopoli di Venezia, il riconoscimento del credito d'imposta, risultante dalla prescritta dichiarazione resa, in data 24 ottobre 2013, pari ad euro 46.535.96;
   a seguito delle necessarie verifiche il suesposto ufficio delle dogane e dei monopoli ha rilevato alcune irregolarità in considerazione del fatto che gli automezzi per i quali è stato esercitato il trasporto pubblico sono posseduti dalla società in precedenza riportata attraverso il contratto di comodato d'uso;
   quanto predetto ad avviso dell'interrogante non costituisce una disfunzione amministrativa, ma un'interruzione delle procedure tecniche, in considerazione del fatto che il modello di dichiarazione predisposto per facilitare gli operatori nella compilazione non può che prevedere le modalità di rimborso ed i titoli di possesso del mezzo di trasporto, rivolte espressamente alle disposizioni giuridiche che disciplinano l'agevolazione fiscale, senza pertanto l'estensione del comodato d'uso;
   l'interrogante segnala inoltre che la suesposta ditta, innanzi alla CNP di Venezia, abbia vinto in prima istanza il ricorso al diniego di pagamento, ma l'ufficio delle dogane e dei monopoli di Venezia ha presentato ricorso in appello alla Commissione tributaria regionale, avverso alle sentenze n. 47 e n. 48 della Commissione tributaria provinciale di Venezia;
   quanto suesposto, a giudizio dell'interrogante, evidenzia in definitiva una serie di difficoltà interpretative e la mancanza di una corretta applicazione delle disposizioni in materia di fruizione delle agevolazioni a favore degli esercenti le attività di trasporto merci, in considerazione del fatto che le criticità in precedenza riportate, connesse alle attività di servizio pubblico da parte di aziende private e partecipate dalla pubblica amministrazione, determinano incertezza e disorientamento da parte degli operatori interessati, nelle disposizioni concernenti il beneficio dell'agevolazione fiscale previsto dalla disciplina vigente in precedenza riportata –:
   quali orientamenti intendano esprimere nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non convengano che le criticità in precedenza riportate, connesse alle difficoltà interpretative delle disposizioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 9 giugno 2000 n. 277 recante la disciplina dell'agevolazione fiscale a favore degli esercenti le attività di trasporto merci, a norma dell'articolo 8 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, sul riconoscimento del credito d'imposta dell'accisa applicata al gasolio per autotrazione necessitino di una iniziativa normativa ad hoc volta a definire che l'estensione dei benefici fiscali previsti anche per gli automezzi posseduti dalle società private a partecipazione pubblica, che svolgono un servizio pubblico di trasporto, si intende anche per i contratti stipulati in comodato d'uso;
   se non convengano che nella fase in cui il Paese sembra iniziare a invertire la tendenza della crisi, occorre riconsiderare quando previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 febbraio 2014, che dispone la riduzione del 15 per cento a partire dal 1o gennaio 2014 delle quote percentuali di fruizione dei crediti d'imposta indicati all'elenco 2 allegato alla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per l'anno 2014), ai sensi del comma 577 dell'articolo 1 della medesima legge. (5-03155)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 30 gennaio 2007 i funzionari dell'ENAC dell'aeroporto di «Roma Urbe», hanno ispezionato due società che facevano capo all'imprenditore Riccardo Marano, 63 anni, ex pilota di linea, la «Aviomar» e la «Atlantic AviatioN Supply»;
   l'ispezione, iniziata per il sospetto di irregolarità tecniche, riuscì solo in parte vista l'assenza del proprietario, che proprio quel giorno venne convocato nella sede centrale di ENAC, ed il relativo diniego da parte del personale dipendente alla richiesta di esibizione di atti e documenti;
   in seguito a questa ispezione il direttore generale dell'ENAC, aprì un'inchiesta interna sull'ufficio dello stesso ente che stava indagando sull'Aviomar, e denunciò i funzionari dell'ENAC che avevano messo in atto l'ispezione, denuncia poi archiviata dal tribunale di Roma nell'aprile 2008;
   il 20 gennaio 2008, nel territorio di Bastia Umbra (Perugia), precipita un aeromobile di tipo «Cessa 177 B» della società Aviomar in volo d'addestramento, e nell'incidente periscono il pilota istruttore Antonino Sarica e la sua allieva Noemi Moscetta;
   il 26 gennaio 2008 il pubblico ministero G. Petrazzini di Perugia, dà l'incarico al consulente tecnico maggiore Lorenzo Aiello, di esaminare i documenti ed effettuare il sopralluogo nell'hangar sito nell'Aeroporto di «Sant'Egidio» di Perugia dove erano conservati i resti dell'aeromobile, al fine di accertare «le cause della caduta dell'aeromobile»;
   il 19 febbraio 2008 sono stati visionati, ma non acquisiti, i documenti di manutenzione del velivolo presso l'Aviomar (Roma Urbe);
   il 5 giugno 2008, posto che l'Aviomar aveva inoltrato la domanda di certificazione come ditta di manutenzione secondo la normativa europea EASA Part M sub F, l'ENAC ha condotto un'ispezione presso l'officina di manutenzione della scuola Aviomar, anche al fine del rinnovo del «certificato di idoneità tecnica», (CIT 1078M in scadenza al 6 giugno 2008), rilasciato secondo regolamento nazionale, durante la quale vengono scoperte irregolarità tecniche evidenziate nel «verbale di Audit di Sistema» del 5 giugno 2008, ed il giorno successivo l'ENAC ha disposto la sospensione cautelativa e l'attivazione del processo di revoca della licenza di manutentore aeronautico del signor Gerardo Marziello, capo controllo;
   le irregolarità tecniche riscontrate nel verbale erano la mancata revisione dei due unici estintori nell'hangar, scaduta da 16-18 anni, ed il parcheggio sul piazzale di aeromobili senza alcuna distinzione tra quelli efficienti, autorizzati alla «scuola di pilotaggio», ed altri inefficienti;
   inoltre, i due ispettori dell'ENAC avevano rilevato che, dal 2 marzo 2008, trentuno manutenzioni su aerei della scuola erano state eseguite con strumenti non tarati o inesistenti, come la delicata verifica della compressione cilindri; «Effettuata da personale e con attrezzature non identificabili» ai motori del CESSNA 152 «I-BOYA» e del PIPER PA23 «I-KEIT»;
   nel magazzino vengono trovate parti di ricambio scadute e prive di cartellino di efficienza;
   risulta agli atti della relazione del consulente tecnico al pubblico ministero che i libretti dell'a/m (velivolo, motore ed elica) sono stati sequestrati solo cinque mesi dopo l'incidente, fatto che potrebbe aver consentito la manipolazione degli stessi con scritture postume, persino fuori dagli spazi previsti;
   l'8 settembre 2008 gli ispettori dell'ENAC Massimo Montanari e Aldagisa Menolascino in un nuovo verbale chiedono che nonostante le carenze riscontrate alla scuola Aviomar, sia rinnovata la licenza di scuola FTO (Flying Training Organization). Si noti l'ambivalenza della relazione conclusiva dei due indicati ispettori inviata all'ENAC. Nella documentazione stampata si legge una annotazione manoscritta a penna, la preposizione «che» viene corretta in «se» –:
   chi e cosa abbia causato il ritardo nel sequestro dei libretti dell'a/m (velivolo, motore e elica), chi ne fosse il custode e a chi sia stato dato il compito di custodire i resti dell'a/m incidentato;
   per quali ragioni le irregolarità tecniche e manutentive della società Aviomar emerse a seguito dell'incidente in parola, alcune delle quali si protraevano da molti anni, non siano mai emerse durante precedenti controlli ed attività ispettive dell'Ente presso la società Aviomar;
   a fronte di quali correttivi all'organizzazione sia stato possibile permettere la continuazione dell'attività scolastica e manutentiva alle stesse persone e se in seguito all'evento sia stata incrementata l'azione di sorveglianza dell'ENAC;
   ricordando lo scandalo che coinvolse l'aviazione commerciale e che riguardò il riciclaggio di parti di ricambio (articoli dell'Espresso n. 42 del 23 ottobre 2008) e stante l'inequivocabile avaria dell'orizzonte artificiale accertato anche dalla registrazione in voce dei piloti Antonino Sarica e Noemi Moscetta periti nell'incidente del 20 gennaio 2008, come sia possibile che gli strumenti presenti sull'aeromobile precipitato siano privi di documentazioni amministrative e tecniche che assicurerebbero, qualora ci fossero, l'assenza di uso e commercio di parti usate illegali, avariate o non originali;
   quali fossero i codici di identificazione degli strumenti giroscopici (orizzonte e direzionale) ed i loro numeri di serie e quando siano stati imbarcati, quando e chi abbia abilitato al volo strumentale IFR scuola l'aeromobile incidentato, e se gli strumenti minimi necessari per tale abilitazione risultino essere quelli originali (montati fin dalla costruzione) e se, nell'arco di 35 anni di vita dell'aeromobile, risulti che siano mai stati revisionati o controllati da un laboratorio per accertare la loro intrinseca efficienza e funzionalità e se tale ipotesi ricorresse, se sia paragonabile tale pratica con quella relativa ad altri strumenti, aeromobili e/o soggetti aeronautici;
   considerato che gli ispettori dell'ENAC, oltre a sorvegliare l'organizzazione tecnica e operativa delle imprese aeronautiche firmano annualmente i certificati di aeronavigabilità che attestano le possibilità di impiego in sicurezza degli aeromobili civili italiani, se l'ENAC, soprattutto in occasione di eventi mortali, abbia mai avviato un'inchiesta interna per accertare fatti e circostanze collegate alle attività istituzionali svolta dal proprio personale e se per tali casi alcuno abbia subito provvedimenti disciplinari, e, nello specifico caso in parola, quale attività d'indagine tecnica ed ispettiva in proprio o in concerto con l'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo abbia espletato l'ENAC per contribuire ad accertare le cause dell'incidente di cui in premessa, nonché ad apportare miglioramenti alla sicurezza del volo. (4-05371)


   FANTINATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la stazione di Verona «Porta Nuova», situata nelle immediate vicinanze del centro, è il principale scalo ferroviario della città, con un flusso giornaliero di 68 mila passeggeri e circa 300 treni che, quotidianamente, transitano sui suoi binari;
   dieci anni fa, la stazione fu inserita nel programma di riqualificazione dei principali scali italiani curato da Grandi Stazioni – società per azioni controllata dalle Ferrovie dello Stato, partecipata al 40 per cento dai gruppi Benetton, Pirelli e Caltagirone – che gestisce le tredici principali stazioni ferroviarie italiane;
   nel 2003, Grandi Stazioni ottenne il diritto di sfruttamento commerciale, per
cinquantanni, di tesori come Roma Termini, Milano Centrale e Firenze Santa Maria Novella. In cambio avrebbe dovuto investire su tutte e tredici le stazioni in affidamento per trasformarle in moderni scali ferroviari, con radicali interventi di ristrutturazione approvati dal Cipe in quell'anno;
   dopo 11 anni, le stazioni di Venezia, Verona, Bologna, Genova, Firenze, Bari e Palermo sono ancora arretrate o inadeguate; gran parte dei lavori non risultano ultimati, alcuni sono addirittura fermi;
   gli interventi interni ed esterni previsti per la stazione di Verona, presentati nel marzo del 2010, dovevano essere completati entro la primavera del 2013, per un investimento complessivo di oltre 15 milioni di euro;
   nel 2005, l'allora presidente di Ferrovie assicurava che nel 2006 sarebbero iniziati i lavori per il piazzale antistante la stazione di Porta Nuova, ma così non è stato fino al marzo del 2010, data in cui ha preso il via il cantiere che, come appena ricordato, dove completare le opere entro la metà del 2013;
   il progetto di riqualificazione, nel corso degli anni, ha subito numerose modifiche, e, a tutt'oggi, è ancora tutto sospeso: Grandi Stazioni non dà spiegazioni, ma le aree chiuse e i cantieri aperti creano notevole disagio ai passeggeri. Senza considerare il danno economico arrecato alla quarta città turistica d'Italia;
   per chi arriva a Verona non ci sono parcheggi, perché alcune aree sono inaccessibili; per usufruire dei servizi igienici bisogna pagare 80 centesimi e le porte neppure si chiudono; pochi gli ascensori e i viaggiatori sono costretti a salire le scale portando le valigie a mano. Figurarsi l'odissea per i disabili;
   la stazione è sporca, non c’è segnaletica adeguata, non c’è un ufficio informazioni e neppure personale addetto a fornire indicazioni agli utenti –:
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di verificare l'attuale stato avanzamento dei lavori di riqualificazione della stazione di Porta Nuova. (4-05382)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i dati riportati da «Assoporti» relativi al traffico merci e a quello crocieristico del porto di Napoli registrano da alcuni anni un trend negativo, che si aggraverà ulteriormente nell'anno 2014 per la perdita dell'armatore genovese Ignazio Messina, il quale ha dichiarato alla stampa che avrebbe abbandonato il porto di Napoli con le proprie navi container affermando che esso non risponde più alle esigenze della sua compagnia armatoriale. Anche il consorzio asiatico «Cosco», che raggruppa le compagnie Hanjin, Kline, Yang e Ming, ha deciso di abbandonare, con rotte dirette, lo scalo partenopeo per l'impossibilità tecnica di attraccare con navi container da 8.000 TEU (twenty-foot equiyalent unit), quelle più usate attualmente dagli armatori per abbattere i costi del trasporto;
   dalla stampa locale (Diario partenopeo del 14 marzo 2014) si apprende che da oltre 3 anni il consorzio Cosco, impegnato in un servizio settimanale con arrivi diretti dall'Asia a Napoli, chiede scavi e banchine più lunghe. Il porto di Napoli non è stato finora adeguato e questi armatori sono stati costretti a scegliere altre destinazioni per i loro container. Le sole cifre di quest'ultimo abbandono sono devastanti in quanto mancheranno altri 110.000 TEU all'anno, più del 25 per cento dell'attuale traffico di container. Questo scenario fa prevedere nell'immediato inevitabili crisi lavorative con ripercussioni anche sui livelli occupazionali finora garantiti dalle imprese operanti nel porto di Napoli e riflessi negativi su un tessuto economico produttivo, già molto provato, come quello napoletano e campano;
   l'ultimo presidente del porto è scaduto nel 2012 e da allora si sono succeduti 3 commissari, da ultimo il professor Francesco Karrer. Tale situazione rappresenta ormai la prassi di una gestione costantemente emergenziale tralasciando quella che invece dovrebbe essere la ben più auspicabile gestione ordinaria. Nel contempo, questi continui avvicendamenti potrebbero pregiudicare l'utilizzo delle ingenti risorse finanziarie messe a disposizione dall'Unione europea per il «grande progetto» del porto di Napoli, finalizzato allo sviluppo ed al potenziamento dello scalo;
   la maggior parte delle concessioni rilasciate nel porto di Napoli dal 2004 non sarebbero accompagnate da adeguati piani di impresa, come evidenziato dagli organi di stampa che hanno riportato il contenuto di atti del comitato portuale di Napoli. Inoltre risulta agli interroganti che non sarebbero stati riscossi canoni demaniali per circa 20 milioni di euro. La legge n. 84 del 1994 stabilisce che l'autorità portuale, nel rilasciare le concessioni relative alle aree demaniali marittime portuali, non solo deve controllare il regolare pagamento dei canoni e la gestione delle manutenzioni delle infrastrutture portuali e delle parti comuni, ma soprattutto deve verificare le attività di rendicontazione dei concessionari, misurando la «persistenza» dei requisiti che hanno determinato il rilascio della concessione (articoli 13 e 18). La mancanza di tale controllo, al di là di eventuali responsabilità contabili, civili e/o penali, pregiudica la possibilità di nuove o diverse realtà imprenditoriali presenti sul territorio a partecipare alla filiera portuale in sostituzione delle aziende sostanzialmente improduttive;
   la normativa in materia assegna alle autorità portuali un ruolo importante e fondamentale per lo sviluppo ed il mantenimento della competitività dei porti italiani, i quali devono, pertanto, essere dotati di un organico in grado di attuare le finalità previste dalla legge;
   relativamente all'autorità portuale di Napoli notizie di stampa mettono in evidenza una perdurante gestione improntata all'inefficienza, con gravissimi pregiudizi per l'economia portuale e del territorio (Il Mattino del 16 dicembre 2013);
   nella nota inviata il 24 gennaio 2014 alle autorità portuali a firma del direttore generale della direzione per i porti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dottor Cosimo Caliendo, si esortavano tutte le autorità (a seguito di risposta da parte del Sottosegretario di Stato per le infrastrutture all'interpellanza 2-00333 d'iniziativa dell'onorevole Tidei ed altri) a fornire nel più breve tempo possibile: la comunicazione relativa alle modalità di assunzione del personale con relativa documentazione (bandi per la selezione del personale indicando le modalità di pubblicizzazione degli stessi) e nel caso di chiamate dirette, specificare le professionalità per le quali si è deciso di utilizzare tale tipologia di assunzione, anziché la selezione pubblica –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per porre fine alla condizione del commissariamento dell'autorità portuale di Napoli in tempi brevi;
   se siano stati attuati controlli sull'autorità portuale di Napoli per verificare la veridicità delle notizie riportate dagli organi di stampa, ed in particolare se siano state assegnate concessioni pluriennali su aree demaniali marittime portuali in assenza di programmi di attività, come richiede l'articolo 18, comma 6, lettera a), della legge n. 84 del 1994;
   se annualmente l'autorità portuale di Napoli esegua i dovuti controlli onde accertare la permanenza dei requisiti richiesti al momento del rilascio delle concessioni e l'attuazione degli investimenti previsti nel programma di attività, come disposto dal richiamato articolo 18, comma 8;
   qualora siano riscontrate le irregolarità di cui ai succitati comma 6, lettera a), e comma 8 dell'articolo 18, se l'autorità portuale abbia attivato le procedure di cui al comma 9 del medesimo articolo;
   in caso contrario, come intenda procedere per il ripristino della regolarità delle concessioni delle aree banchine interne al porto di Napoli;
   quanti lavoratori a tempo determinato e non, nonché dirigenti, risultino allo stato in organico dell'autorità portuale di Napoli, presto atto che la sezione amministrazione trasparente dell'autorità è mancante nella divulgazione dei dati, come invece previsto dal decreto legislativo n. 33 del 2013, in quanto non sono pubblicati i documenti che riportino alla dotazione organica complessiva in essere;
   se l'autorità portuale di Napoli abbia provveduto alla comunicazione relativa alle modalità di assunzione del personale e consegnato la relativa documentazione alla direzione generale per i porti e se la stessa abbia ottemperato alle formalità richieste dalla normativa vigente. (4-05386)

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INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si constata in molte parti del territorio nazionale un degrado delle condizioni dell'ordine pubblico e del rispetto della legalità decisamente incompatibile con il proposito politico di non sottrarre risorse al comparto sicurezza;
   situazioni di degrado e declino della legalità si osservano in particolare a Piacenza, spingendo la cittadinanza ad iniziative di sensibilizzazione delle istituzioni che meritano di trovare ascolto e risposta;
   i membri dell'Associazione Amici dei Giardini Margherita e Merluzzo, ad esempio, dopo anni di proteste che definiscono «tristemente inascoltate», hanno deciso di avviare una raccolta di firme fra residenti e commercianti del quartiere Roma — e in particolare di via Torricella e via Crescio — da allegare ad un esposto che intenderebbero inviare al Ministro dell'interno per segnalare, tra le altre cose, i luoghi di ritrovo e di bivacco della zona, la pratica della vendita delle bevande alcoliche oltre l'orario consentito dalla legge e, più in generale, la sensazione di abbandono da parte delle istituzioni;
   vengono soprattutto contestati i tagli ai presidi locali delle forze dell'ordine e rimpiante le forme di coordinamento che esistevano in passato e permettevano di ottimizzare l'impiego delle scarse risorse comunque disponibili;
   gli abitanti del quartiere Roma lamentano anche il malcostume di cui si renderebbero protagonisti alcuni stranieri extracomunitari, avventori di un locale che venderebbe alcolici sotto prezzo e fuori orario;
   per riqualificare l'area è stato elaborato un progetto di intervento mirato, denominato Porta Galera 3.0, che ben difficilmente avrà successo se l'impegno a modificare la zona, facendone un centro di propulsione dello sviluppo piacentino, non verrà assistito anche da un adeguato supporto da parte delle forze dell'ordine –:
   quali misure il Governo intenda assumere per porre fine al degrado che interessa il quartiere Roma di Piacenza e ripristinarvi il pieno rispetto della legalità.
(4-05367)


   BRANDOLIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Gradisca d'Isonzo, opera dal 2004 un CARA e fino ad alcuni mesi fa un CIE con fino a 400 ospiti;
   il consorzio Connecting People che assicura il personale per assistere gli ospiti extracomunitari e rifugiati presso il Cara di Gradisca d'Isonzo, struttura che attualmente ospita 204 rifugiati rispetto ai 138 posti previsti;
   il consorzio Connecting People è in grave crisi di liquidità; infatti gli operatori del CARA non ricevono lo stipendio dal mese di gennaio, le mensilità arretrate da giugno a dicembre 2013, erano stati pagate, seppure all'80 per cento direttamente dalla Prefettura senza che il denaro passasse attraverso l'ente gestore;
   al dramma dei dipendenti del consorzio Connecting People si aggiunge quello della cooperativa Luoghi Comuni che forniva ai due centri gli interpreti e mediatori linguistici e, causa il mancato pagamento da parte di Connecting People, a fine marzo aveva licenziato 9 operatori che lavoravano alla struttura di Gradisca d'Isonzo, le organizzazioni sindacali sono riuscite a far riassumere tutti gli operatori per evitare l'interruzione del servizio –:
   come intenda affrontare questa grave e ricorrente situazione per garantire il regolare pagamento degli stipendi e l'assistenza agli ospiti;
   se non sia il caso che la prefettura si sostituisca in maniera continuativa e definitiva a Connecting People e provveda direttamente al pagamento degli stipendi per evitare che si perpetui questa drammatica situazione sia per gli operatori che i rifugiati. (4-05372)


   SIBILIA, TOFALO, CARIELLO, MANLIO DI STEFANO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno con decreto ministeriale 24 novembre 2011 bandiva un concorso per 2.800 allievi agenti, riservato ai volontari in ferma prefissata congedati senza demerito;
   nella graduatoria approvata con decreto del Ministero dell'interno del 5 novembre 2012 risultavano 2.800 vincitori alle cui spalle figuravano e figurano ulteriori 939 idonei;
   in data 19 marzo 2013 (Gazzetta Ufficiale serie speciale 26 marzo 2013) il Ministero dell'interno bandiva un ulteriore concorso per il reclutamento di 964 allievi agenti, senza prima aver provveduto all'utilizzo della graduatoria degli idonei del precedente concorso;
   86 dei 939 allievi agenti idonei del concorso del 2011 presentavano ricorso al tribunale amministrativo regionale del Lazio per impugnare il bando del 2013 e il Tar adito, con sentenza n. 7482/2013, in data 23 luglio 2013, accoglieva, nei limiti dell'interesse dei soli rincorrenti, l'annullamento in parte del bando impugnato in quanto riconosceva agli idonei il diritto allo scorrimento in base alla recente sentenza dell'adunanza plenaria n. 14/2011 del Consiglio di Stato, in cui si afferma che tutte le pubbliche amministrazioni, senza distinzione di soggettività e oggettività, con graduatorie valide ed efficaci come previsto dall'articolo 35, comma 5-ter, della legge n. 165 del 2001, sono soggette a scorrimento, in quanto tale principio ha una valenza di carattere generale ed è riferito indistintamente a tutte le amministrazioni pubbliche anche quelle regolate da speciali discipline di settore come la polizia di Stato;
   il Ministero dell'interno impugnava detta sentenza dinanzi al Consiglio di Stato;
   l'udienza veniva fissata il 17 ottobre 2013 e la sentenza veniva pubblicata lo scorso 14 gennaio 2014, quindi dopo 3 mesi durante i quali il Ministero dell'interno è rimasto inadempiente nei confronti degli 86 ricorrenti, in dispregio della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, che all'articolo 33 stabilisce che «le sentenze dei tribunali amministrativi regionali sono esecutive. Il ricorso in appello al Consiglio di Stato non sospende l'esecuzione della sentenza impugnata». Addirittura, nelle more del giudizio, il 27 novembre 2013 il Ministero dell'interno pubblicava la graduatoria del concorso del 2013 per 964 allievi agenti;
   nel frattempo, vista la chiara inadempienza, i ricorrenti depositavano il 13 dicembre 2013 ricorso per il giudizio di ottemperanza della sentenza del Tar n. 7842/2013 chiedendo la sospensione della graduatoria pubblicata il 27 novembre 2013;
   il 14 gennaio 2014 il Consiglio di Stato emanava la sentenza n. 100/2014 che annullava la precedente n. 7842/2013 del Tar del Lazio a favore degli 86 ricorrenti;
   tuttavia, il principio dello scorrimento è sancito dal decreto cosiddetto «D'Alia» ovvero dal decreto-legge n. 101 del 2013 convertito dalla legge 125 del 2013 recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni»;
   in particolare, l'articolo 4, comma 5, si riferisce indistintamente a tutte le amministrazioni di cui all'articolo 1 comma 2 regolate del decreto legislativo n. 165 del 2001 e, quindi, anche alla polizia di Stato in quanto la suddetta norma include le forze di polizia di Stato tra le categorie del «personale» qualificato «in regime di diritto pubblico»;
   con il cosiddetto decreto D'Alia l'assorbimento degli idonei nelle graduatorie vigenti è un dovere per le pubbliche amministrazioni ed è un diritto soggettivo inderogabile per gli idonei e i vincitori di concorso;
   inoltre, anche prima dell'entrata in vigore del citato decreto-legge, sussistono numerose pronunce del giudice amministrativo di primo e secondo grado che hanno correttamente applicato il principio dello scorrimento anche ai concorsi per il reclutamento del personale del comparto delle forze armate (TAR Lazio, sez. I ter, n. 836/2013; 7482/2013; TAR Lazio, sez. II ter, n. 5059/2012; sez. II, n. 1889/2013; Consiglio di Stato, IV, n. 1476/2012; n. 6560/2012);
   il 13 febbraio 2014 il Tar del Lazio, sezione I ter, con ordinanza n. 775/2014 depositata il 19 febbraio 2014, accoglieva la domanda cautelare in via incidentale, ritenendo fondato il ricorso sulla legge 125 del 2013 e sospendendo la graduatoria dei 964 allievi agenti. La stessa ordinanza riconosce l'assorbimento degli 86 ricorrenti all'interno del ruolo agenti di polizia di Stato;
   il Ministero dell'interno, con ricorso depositato il 15 aprile 2014, chiedeva l'annullamento dell'ordinanza n. 775/2014, ma il Consiglio di Stato, sezione III, il 23 maggio 2014 respingeva l'appello erariale, con ordinanza n. 2167/2014, ponendo le spese della fase cautelare a carico dello stesso Ministero ricorrente;
   nel frattempo la Presidenza del Consiglio dei ministri il 5 maggio 2014, richiamava tutte le amministrazioni pubbliche indicate all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2011 (tra le quali rientra anche il Ministero dell'interno) a prestare esecuzione all'articolo 4, comma 5, del decreto-legge 101 del 2013 e, per l'effetto, a fornire alla PCM le graduatorie degli idonei entro il 23 maggio 2014 –:
   quali siano le motivazioni che spingono il Ministero dell'interno a non dare ancora esecuzione all'ordinanza n. 775/2014 del Tar del Lazio, depositata il 19 febbraio 2014, danneggiando così gli 86 ricorrenti idonei del concorso del 2011. (4-05373)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, VACCA, LUIGI GALLO, MARZANA, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO, D'UVA, BATTELLI, TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, BALDASSARRE, BECHIS e RIZZETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato ha più volte dichiarato di voler portare l'orario settimanale degli insegnanti dalle 18 ore attuali alle 24 avvalendosi dei docenti già in ruolo;
   tali dichiarazioni hanno suscitato forti contestazioni da parte dei docenti, dei sindacati e del mondo della scuola;
   a queste dichiarazioni si aggiunge l'annuncio del sottosegretario Reggi comparso sul quotidiano La Repubblica in data 2 luglio 2014 in cui si annuncia una imminente legge delega che conterrà un nuovo contratto di lavoro, più ore per tutti i docenti, 36 a settimana, e aumenti di stipendio a chi si prende responsabilità e offre competenze specifiche;
   tale misura, se messa in atto, comporterebbe un danno gravissimo per tutto il personale precario che attualmente sopravvive grazie a spezzoni di orario e supplenze brevi non coperte dai docenti in ruolo;
   sull'ipotesi di aumento dell'orario settimanale si è già espresso anche il presidente dell'ANP (Associazione nazionale presidi) Giorgio Rembado, che, in un editoriale pubblicato il 1o luglio 2014 dal quotidiano Italia Oggi, ha criticato fortemente questa scelta;
   con questa proposta, ad avviso degli interroganti, il Ministro prosegue con le politiche di indebolimento della scuola pubblica e dei tagli allo stato sociale;
   il reintegro delle 24 ore è un provvedimento a cui aveva già pensato Ministro pro tempore Profumo con il disegno di legge stabilità del 2012, nel quale proponeva ai docenti di aumentare il loro monte ore settimanale a 24 a fronte di un inesistente aumento di stipendio, ma accettando come contropartita 15 giorni in più di ferie;
   a causa delle numerose contestazioni da parte dei docenti di tutt'Italia, ma anche di sindacati e studenti, tale proposta fu ritirata;
   a distanza di due anni si constata che l'istruzione ha ricevuto solo ulteriori pesanti tagli, ma il Ministro interrogato ripropone una riforma ispirata agli stessi principi, seppur con un aumento non ancora quantificato di stipendio per i docenti;
   i docenti in ruolo stanno già lavorando per un numero di ore maggiore rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi nazionali, così come evidenziato nel rapporto OCSE-TALIS;
   oggi sarebbe doveroso compiere una più attenta e approfondita riflessione su un percorso parallelo che possa vedere coinvolte le categorie di lavoratori occupati in sinergia con quelle del precariato perpetuo e che non dovrebbe vertere su un aggravio di ore rispetto all'attuale monte contrattuale per i docenti di ruolo, ma al contrario, virare verso un progetto di inserimento occupazionale per gli insegnanti precari presenti da anni in graduatoria –:
   in che misura verrà stabilito il compenso aggiuntivo delle ore eccedenti il monte contrattuale come in premessa;
   quali iniziative si intendano adottare per equiparare ai livelli europei anche gli stipendi dei docenti e non solo le ore lavorative;
   quali iniziative saranno previste a tutela dei docenti precari per evitare che l'incremento orario di cui in premessa abbia come conseguenza per loro la perdita delle supplenze brevi nella scuola e per evitare che l'aumento di 6 ore settimanali a docente comporti una drastica riduzione degli organici;
   a quali risorse si attingerà nell'eventualità di un'apertura pomeridiana e/o estiva degli istituti scolastici per rendere possibile l'aumento del monte ore. (5-03154)

Interrogazione a risposta scritta:


   BASSO, BENI, ASCANI e BERLINGHIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa — tra le altre il Sole 24 on line e gioconews.it del 17 giugno 2014 — si è appreso che nei giorni scorsi, a trenta dei migliori studenti in storia e italiano frequentanti l'ultimo anno in dieci fra i più importanti licei del Lazio, «è stata offerta la possibilità di confrontarsi con esperti del settore del gioco d'azzardo» e di ottenere i primi 4 crediti formativi universitari;
   è stata dunque data l'opportunità ai rappresentanti di importanti aziende dell'azzardo di presentare una tematica così controversa e di stretta attualità nelle scuole e d'intesa con esse, anche se le «lezioni» sono state integrate da relazioni di docenti dell'Università Luiss su economia, marketing, diritto, comunicazione e sociologia e da interventi di associazioni di consumatori, peraltro non identificate nelle notizie che sono state diffuse;
   questo Parlamento è impegnato ad approvare una regolazione restrittiva del mercato dell'azzardo articolo 14 della legge 23 del 2014 cosiddetta delega fiscale approvata l'11 marzo 2014; proposta di legge sul gioco di azzardo patologico all'esame della XII Commissione Affari sociali della Camera dei deputati il 26 giugno 2014), improntata all'obiettivo di contenerne la diffusione ormai massiva nella società italiana, testimoniata da una raccolta giochi che, in anni di forte crisi economica, ha conosciuto rilevanti incrementi, fino a superare ampiamente gli 80 miliardi di euro l'anno;
   sono circa un milione gli italiani in stato di dipendenza o a rischio di caderci, stimolati da una pubblicità pervasiva che fa breccia, specie in un contesto socio-economico come quello attuale, soprattutto nelle persone in maggiore difficoltà economica;
   il concetto di «gioco responsabile», come veicolato anche nella campagna in esame, è in contrasto con la vera natura dell'azzardo che, per quanto legale, ha ormai assunto, per le sue ricadute socio-sanitarie, i connotati di un comportamento negativo, quale il consumo di tabacco e suoi derivati;
   l'industria del gioco, per quanto socialmente impegnata nel far rispettare sia il divieto di accesso per i minori all'azzardo, sia l'obbligo di informare la popolazione sui rischi dell'azzardo patologico, ha comunque, per la sua natura commerciale, lo scopo di promuovere il ricorso all'azzardo nell'intento di aumentare i propri profitti;
   tale situazione configura un macroscopico conflitti di interessi per chi, da un lato, gestisce progetti legati al cosiddetto — e dagli interroganti censurato — concetto di «gioco responsabile», mentre dall'altro persegue l'obiettivo di allargare il mercato dell'azzardo;
   le istituzioni scolastiche e universitarie non devono pertanto prestarsi a progetti che, in qualsiasi forma, promuovano l'azzardo, dovendo al contrario sostenere, di concerto con il Ministero della salute e le ASL territoriali, progetti finalizzati a scoraggiare il ricorso ad ogni forma di azzardo –:
   chi abbia autorizzato questa «formazione»;
   se si ritenga che questa formazione sia in linea con gli orientamenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in tema di gioco di azzardo;
   se si ritenga opportuno che una materia così delicata possa essere trattata, nelle scuole, affidandosi a progetti promossi dall'industria dell'azzardo, portatrice di interessi economici legittimi, ma che presentano numerosi elementi di criticità per la collettività, senza che siano presenti, nello stesso contesto, soggetti qualificati impegnati nell'azione di sensibilizzazione sui rischi dell'azzardo;
   se non sia opportuno diramare specifiche linee guida agli istituti scolastici volte a contrastare ogni progetto che possa sostenere in qualsiasi forma il gioco d'azzardo, anche indirettamente, valorizzando al contrario i progetti educativi che ne evidenzino i grandi rischi. (4-05379)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   TNT Express è uno dei maggiori corrieri di trasporto espresso al mondo con una copertura di 200 Paesi e un forte posizionamento sul mercato europeo: connette più di 40 nazioni europee con 19 road hub e 550 depot;
   da fonti di stampa si apprende che il 2 luglio 2014 a Torino si è svolto uno sciopero di 24 ore dei lavoratori della Tnt Express, con presidio davanti alla prefettura, poiché sono a rischio 854 posti di lavoro;
   il segretario generale della Filt Cgil Torino, Teresa Bovino, ha spiegato all'Ansa: «L'accordo firmato al Ministero del lavoro il 23 giugno prevede il ricorso alla cassa integrazione in deroga fino al 31 agosto, ma la riorganizzazione, che interessa tutto il gruppo in Italia, andrà avanti ancora nel 2015»;
   la rappresentanza dei 400 dipendenti dello stabilimento di corso Giulio Cesare si è ritrovato in piazza Castello per protestare contro l'accordo firmato lo scorso 23 giugno 2014 al Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   il timore dei lavoratori è quello di una delocalizzazione da parte dell'azienda, con i lavoratori costretti o a trasferirsi in altre sedi all'estero, o a perdere il lavoro perché le attività sono spostate in Bangladesh o in Polonia;
   i sindacati ritengono che il rinvio di due mesi della cassa integrazione (dal 1o luglio al 31 agosto) integri un periodo «troppo breve», considerando che il piano di riorganizzazione dell'azienda ha un arco temporale che raggiunge il 2015. Entro tale anno, TNT si è impegnata a un rilancio produttivo e occupazionale «quindi a ricollocare nel perimetro delle attività aziendali la maggior parte possibile delle unità lavorative in eccedenza» –:
   se non ritenga necessario sbloccare le risorse finanziarie al fine di prolungare la cassa integrazione in deroga per raggiungere il 2015, così da consentire il mantenimento del rapporto di lavoro e ricollocare la gran parte delle lavoratrici e dei lavoratori interessati, evitando i licenziamenti, e attivare politiche utili a scongiurare l'ipotesi di delocalizzazione. (5-03151)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Ericsson Telecomunicazioni spa impiega 140 lavoratori, di cui molti ingegneri e tecnici di alto profilo, nella divisione ricerca e sviluppo, a Vimodrone in provincia di Milano;
   recentemente, come si è appreso dalla stampa, la società ha comunicato che intende trasferire con effetto dal 1o agosto 2014 un ramo d'azienda denominato «Design Organization Microwave and Mobile Backhaul Italy» – che coinvolge i predetti lavoratori – alla filiale italiana della società indiana Hcl Italy srl, con sede legale a Milano;
   tale comunicazione ha determinato scioperi e manifestazioni di protesta dei dipendenti, poiché Ericsson e la società indiana, che dovrebbe acquisire il ramo, non hanno presentato un piano aziendale attraverso il quale possano essere individuate le attività che dovranno svolgere i dipendenti ceduti, nonché disposizioni a salvaguardia degli attuali livelli occupazionali;
   inoltre, si mette in evidenza che la società acquirente Hcl Italy ha un modesto capitale sociale di diecimila euro ed è una società a responsabilità limitata inquadrata nel settore del commercio. Pertanto, i dipendenti non si sentono garantiti economicamente nella nuova realtà aziendale;
   al riguardo, infatti, i sindacati hanno chiesto di procedere ad un aumento di capitale e successiva trasformazione in società per azioni, nonché inquadramento nel settore dell'industria. In tal modo, i lavoratori potrebbero usufruire degli ammortizzatori sociali in caso di stato di crisi aziendale;
   si ritiene necessario adottare provvedimenti per tutelare i lavoratori in questione, affinché possano avere delle certezze sulle mansioni che andranno a svolgere e rispetto alla stabilità dei propri posti di lavoro, in conseguenza della cessione del ramo di azienda –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro, affinché vi sia una corretta gestione delle relazioni industriali e sindacali, al fine di individuare un piano che consenta di salvaguardare gli attuali livelli occupazionali dei lavoratori ceduti e che garantisca agli stessi di essere inquadrati in posizioni lavorative consone ai profili professionali acquisiti. (4-05364)


   SPESSOTTO, SILVIA GIORDANO, TOFALO, DA VILLA, D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 117, comma 3, della Costituzione, esclude esplicitamente le materie «della istruzione e della formazione professionale» dalla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, demandandole, così, alla potestà legislativa residuale di queste ultime (ai sensi del comma 4 dello stesso articolo 117 della Costituzione;
   in attuazione a quanto previsto dalla programmazione regionale, le singole province erogano formazione di primo e secondo livello attraverso i contratti di formazione professionale di diretta gestione ed esercitano, nel quadro dei propri obiettivi di sviluppo territoriale e sulla base delle risorse finanziarie regionali e comunitarie ad essa trasferite, le funzioni amministrative di competenza concernenti la definizione del programma regionale di formazione professionale nonché l'affidamento alle strutture accreditate delle attività formative secondo le procedure individuate dal programma regionale di formazione professionale;
   la recente legge 7 aprile 2014, n. 56 recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», entrata in vigore lo scorso 8 aprile 2014, detta disposizioni in materia di riordino di funzioni attualmente eserciate dalle province, ma non prevede espressamente l'attribuzione alle città metropolitane della formazione professionale;
   in assenza di precise disposizioni in materia, e tenuto conto dell'approssimarsi del nuovo anno scolastico, risulta oltremodo urgente – ad avviso degli interpellanti – chiarire se le deleghe sulla formazione professionale, oggi in mano alle province, torneranno in capo alle regioni o verranno affidate alle nascenti città metropolitane;
   è indubbia, ad avviso degli interpellanti, la rilevanza di diretta derivazione costituzionale, della funzione della formazione professionale – volta all'ottenimento di qualifiche nei più diversi ambiti professionali – che riveste altresì il carattere di servizio di interesse pubblico e la cui efficace realizzazione costituisce una specifica attribuzione in capo alle Regioni, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione;
   nonostante i tagli generalizzati dei trasferimenti regionali degli ultimi anni, i Centri di formazione professionale rappresentano, ad oggi, l'unico strumento gratuito di accompagnamento al lavoro ed è da ritenersi fondamentale – ad avviso degli interroganti – il valore sociale ricoperto da questi centri in materia di sostegno e riqualificazione professionale per gli adulti disoccupati o espulsi temporaneamente dal mercato del lavoro –:
   se il Ministro interrogato non intenda al più presto definire, alla luce di quanto esposto in premessa, la situazione di indeterminatezza e incertezza normativa in cui versa l'ambito della formazione professionale, incertezza venutasi a creare a seguito dell'entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56;
   se il Ministro possa altresì chiarire, in attesa della definizione e redistribuzione delle materie di competenza provinciale, se il Governo intenda trasferire alle nascenti città metropolitane anche le deleghe afferenti ai contratti di formazione professionale, o se le suddette deleghe torneranno in capo alle regioni;
   se, come la prospettiva di taglio alle risorse in questo settore sembrerebbe confermare, tenuto conto della recente pubblicazione, a cura di alcune province italiane, di avvisi pubblici finalizzati ad individuare organismi di formazione per la gestione dei percorsi di formazione, il Governo intenda procedere con una progressiva privatizzazione del settore della formazione professionale provinciale e dei relativi istituti, attraverso l'assegnazione, anche parziale, della gestione ad altri soggetti dei centri di formazione professionale;
   quali iniziative, in via generale, intenda assumere, per quanto di competenza, per rafforzare e rendere più efficaci le politiche di formazione professionale e per rafforzare l'incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro. (4-05387)

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POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ARLOTTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il fermo pesca biologico, attivato nel nostro Paese in attuazione della normativa comunitaria recata dal regolamento (CE) n. 1198/2006 relativo al Fondo europeo per la pesca (FEP), è una della misure obbligatorie utili a preservare gli stock ittici e a contribuire al ripopolamento della flora e della fauna acquatiche gravemente compromesse, nel corso degli anni, da catture eccessive e da sistemi di pesca inadeguati;
   in virtù di tale arresto temporaneo, comunemente detto «fermo biologico», per le navi da pesca autorizzate ad esercitare l'attività di pesca con il sistema strascico e/o volante, iscritte nei compartimenti marittimi nazionali, ogni anno viene disposta l'interruzione temporanea obbligatoria delle attività di pesca per un periodo che va da 4 a 6 settimane, nel rispetto dei periodi contemplati nei piani di gestione;
   la normativa europea reca disposizioni specifiche in materia di aiuti pubblici per l'arresto temporaneo della pesca da erogare ai pescatori, tramite cassa integrazione in deroga, e agli armatori, tramite risorse comunitarie, a parziale indennizzo del mancato reddito derivante dall'interruzione della loro attività;
   sino ad oggi i lavoratori/pescatori (1000 addetti nella sola regione Emilia-Romagna) non hanno ancora ottenuto il sostegno al reddito previsto per l'arresto temporaneo del 2013;
   la mancanza del detto sostegno, a distanza di 10 mesi, sta determinando una pesante ricaduta sulle legittime spettanze dei lavoratori e, consequenzialmente, un crescente clima di preoccupazione in tutto il settore, già attraversato da una forte crisi economica particolarmente accentuata dall'aumento del prezzo del carburante –:
   quali urgenti iniziative si intendano assumere al fine di assicurare la più sollecita conclusione dell’iter amministrativo ai fini della erogazione del sostegno al reddito per il fermo per i lavoratori del settore, con l'immediato pagamento della cassa integrazione già richiesta per i 90 giorni di inattività del 2013;
   quali siano le intenzioni del Ministro circa la copertura finanziaria del fermo pesca 2014 e il rifinanziamento della cassa integrazione per il 2014;
   come intenda attivarsi per la definizione di tempi e modalità del fermo 2014.
(5-03150)


   GALLINELLA, PARENTELA, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la decisione 2003/530/CE del Consiglio, del 16 luglio 2003, sulla compatibilità con il mercato comune di un aiuto che l'Italia ha inteso concedere ai suoi produttori di latte sostituendosi ad essi nel pagamento degli importi dovuti all'Unione a titolo di prelievo supplementare sul latte e sui prodotti lattiero-caseari per i periodi dal 1995/96 al 2001/02, prevede che le Autorità italiane riferiscano annualmente al Consiglio e alla Commissione europea in merito ai progressi da esse compiuti nel recupero dei suddetti importi;
   conformemente alla succitata disposizione, le autorità italiane nell'ottobre 2013 hanno presentato alla Commissione la loro nona relazione, concernente il pagamento della rata 2012, a seguito della quale l'esecutivo comunitario ha esposto le sue valutazioni sui progressi fatti dal nostro Paese nel recupero del prelievo supplementare sia nei periodi contemplati dalla decisione del Consiglio che in quelli non contemplati da detto provvedimento;
   nella relazione della Commissione europea al Consiglio relativa alla valutazione della situazione comunicata dall'Italia in merito al recupero degli importi in questione, emerge che le autorità italiane stanno procedendo in termini molto soddisfacenti nel garantire il rispetto del meccanismo di rimborso rateale e la riscossione definitiva dell'ammontare dovuto, mentre appare del tutto insoddisfacente l'impegno profuso dall'amministrazione italiana nella riscossione dei prelievi dovuti dai produttori esclusi dal regime di pagamento rateale in seguito al mancato pagamento di una rata, tanto più se si considera che tali produttori, per poter partecipare al regime di pagamento rateale, hanno rinunciato all'esercizio dell'azione penale e pertanto il mancato recupero non sembra imputabile ad eventuali lungaggini dei procedimenti giudiziari;
   nonostante le ripetute richieste della Commissione europea sui diversi aspetti relativi alla riscossione del prelievo non incluso nel meccanismo di pagamento rateale, le autorità italiane non hanno ad oggi recuperato la maggior parte dei prelievi dovuti e le informazioni trasmesse dall'Italia nella relazione sulla nona rata, non evidenziando alcun progresso di rilievo nell'effettiva riscossione del prelievo in parola, non garantiscono l'efficienza e l'efficacia del diritto dell'Unione europea, motivo per il quale l'esecutivo comunitario ha aperto un procedimento di infrazione a norma dell'articolo 258 del TFUE –:
   di quali ulteriori elementi dispongano i Ministri interrogati in relazione a quanto espresso in premessa e come intendano procedere per garantire in tempi brevi la riscossione delle somme dovute dai produttori che non rientrano nel regime di pagamento rateale specie con riferimento a quegli importi esigibili che risultano contestati o che siano stati confermati dal giudice competente a seguito di contestazione, oppure oggetto di contenzioso in corso senza che siano stati emanati provvedimenti sospensivi. (5-03152)


   MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, BENEDETTI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da almeno un decennio, il settore castanicolo italiano versa in una profonda crisi a seguito della forte infestazione da parte del cinipide del castagno (Dryocosmus kuriphilus Yatsumatsu), un imenottero originario della Cina che ha determinano danni molto gravi, con perdite rilevanti di produzione di frutti e di accrescimenti legnosi, a seguito del forte depauperamento delle strutture vegetative della pianta, predisponendole inoltre all'attacco di altre malattie endemiche e non che pregiudicano la sopravvivenza stessa dei castagni italiani;
   già da tempo sono stati messi a punto metodi efficaci di contenimento del patogeno individuati da vari enti di ricerca pubblica (in primis l'Università degli Studi di Torino, dipartimento di scienze agrarie, forestali e alimentari) e riportati nel piano del settore castanicolo (2010-2013) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali che prevedono l'introduzione nei castagneti dell'antagonista specie-specifico, Torymus sinensis, capace di rendere non infestanti le larve di cinipide;
   il 22 gennaio 2014 è stata approvata dalla XIII Commissione agricoltura della Camera dei deputati la risoluzione Bernini n. 8-00033, iniziative urgenti per la tutela dei castagneti, che impegna il Governo a definire, d'intesa con le regioni e in coerenza con il Piano castanicolo nazionale, le linee d'azione necessarie all'eradicazione del cinipide galligeno del castagno, attraverso l'utilizzo dell'insetto antagonista Torymus sinensis;
   il metodo è annoverato tra sistemi di lotta biologica e per essere efficace necessita dell'interruzione di tutti i trattamenti chimici nelle aree castanicole dove vengono effettuati i lanci, per almeno un quinquennio, al fine di consentire la moltiplicazione dell'antagonista;
   l'Arpav (Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto) ha rilevato che i metodi di difesa chimica delle colture, attuati per molto tempo con prodotti a largo spettro, hanno provocato una drastica semplificazione dell'agroecosistema, con riduzione della biodiversità, con la significativa contrazione numerica di alcune popolazioni e con la conseguente comparsa di forti densità di specie dannose, in precedenza assai rarefatte, o la tendenza di specie occasionalmente dannose a mutarsi in infestanti stabili;
   a dimostrazione del punto precedente, i fitofarmaci nei castagneti hanno indotto altre infestazioni tra cui quella della Pammene fasciana o Cydia precoce dovuta alla distruzione dell'avifauna sua principale antagonista;
   in Piemonte, dove la metodologia di lotta biologica con l'antagonista di cui ai punti precedenti viene applicata in modo rigoroso dal 2013, le aree castanicole hanno recuperato quasi completamente i livelli di produzione e di rigoglio vegetativo preinfestazione;
   come riportato in numerosi articoli della stampa locale della provincia di Viterbo, il blocco della lotta chimica nelle aree castanicole da parte delle amministrazioni, è lungi dall'essere realizzato, anzi, si osserva nell'ambito di questa primavera (2014), una recrudescenza dello spargimento dei veleni, acutizzata del clima torrido, al punto che il sindaco di Vallerano (Viterbo), Maurizio Gregori, ha pubblicato un avviso sul sito istituzionale del comune con il quale «consiglia vivamente» ai suoi concittadini di evitare di circolare nei castagneti e nelle strade vicinali che li costeggiano;
   il fitofarmaco più utilizzato per i trattamenti nei castagneti della provincia di Viterbo, riporta tra i rischi per l'uomo, il blocco della trasmissione nervosa iperstimolando prepostinapticamente le terminazioni neuronali, la sensibilità da parte di soggetti allergici ed asmatici, nonché dei bambini, sintomi a carico del sistema nervoso centrale (tremori, convulsioni, atassia), irritazione delle vie aeree (rinorrea, tosse, broncospasmo e dispnea) e reazioni allergiche scatenanti (anafilassi, ipertermia, sudorazione, edemi cutanei, collasso vascolare periferico), al punto che l'azienda produttrice consiglia di non entrare nelle zone trattate prima di 24-48 ore senza indossare i necessari indumenti protettivi e di impedire l'accesso agli animali domestici;
   già nel corso dell'annata precedente è stata avanzata al prefetto di Viterbo da parte di alcuni amministratori locali, la richiesta d'indizione di una conferenza di servizi finalizzata a pianificare e a coordinare l'attività di controllo sull'uso dei fitofarmaci nei castagneti e che hanno come principale «ingrediente» l'arsenico, e che è stata varata il 27 giugno 2014;
   simili inosservanze sono riscontrabili non solo nel Lazio ma anche in altre regioni italiane, in modo particolare in Campania e in Calabria –:
   quali azioni abbia finora intrapreso per ottemperare alla risoluzione approvata all'unanimità il 22 gennaio 2014 dalla XIII Commissione della Camera dei deputati e alle misure riportate nel piano del settore castanicolo del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali;
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere, in accordo con le regioni, per vietare o limitare i trattamenti chimici, al fine di non vanificare gli interventi per la lotta biologica fin qui intrapresi e promossi nella maggior parte delle aree castanicole nazionali;
   se intenda intraprendere ogni iniziativa di competenza volta ad individuare le responsabilità di chi, utilizzando prodotti chimici, ha, di fatto, vanificato gli interventi di lotta biologica in alcune aree castanicole nazionali. (5-03153)

Interrogazione a risposta scritta:


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 febbraio 2013 è entrata in vigore la legge 14 gennaio 2013, n. 10 recante Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani;
   la legge 14 gennaio 2013, n. 10 contiene, all'articolo 7 Disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale, che contengono una definizione normativa di «albero monumentale» ovvero elencano le tipologie di alberi e di filari ed alberature che, agli effetti della stessa legge 10 e di ogni altra normativa in vigore, devono essere considerati come tali;
   l'articolo 7 della legge 10 del 2013 prevede che, al fine di fornire ai comuni le indicazioni per la predisposizione e l'aggiornamento di un censimento degli alberi monumentali, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali — di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ed il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e sentita la Conferenza unificata — adotti, entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, un decreto con il quale devono essere stabiliti i principi e i criteri direttivi per il censimento degli alberi monumentali e per la redazione degli elenchi comunali e regionali, e con il quale deve essere istituito l'elenco degli alberi monumentali d'Italia;
   in relazione alle attività censuarie previste dalla legge 10 del 2013, va tenuto comunque conto che nel 1982 è stato predisposto, a cura del Corpo forestale dello Stato, un inventario ufficiale degli alberi monumentali che comprendeva, allora, 1255 alberi monumentali;
   la legge 10 del 2013, all'articolo 7, ha stabilito anche che — entro un anno dalla data della sua entrata in vigore — le regioni recepiscono la definizione di albero monumentale contenuta nella stessa legge;
   in relazione alla definizione normativa di albero monumentale, e in particolare al recepimento della definizione contenuta nella legge 10, va tenuto comunque conto che in diverse regioni vigono leggi specificatamente finalizzate alla tutela degli alberi monumentali di alto pregio storico e paesaggistico, e nelle altre vigono leggi regionali in materia forestale che contengono spesso disposizioni concernenti gli stessi alberi monumentali;
   con riferimento agli alberi monumentali, il Codice dei beni culturali e del paesaggio, così come modificato dal decreto legislativo n. 63/2008, ha ricompreso quest'ultimi tra i beni dei quali — con le modalità previste dagli articoli 136 e seguenti dello stesso Codice — può essere dichiarato il notevole interesse pubblico, con la conseguente applicazione dell'apposito regime normativo previsto per i beni paesaggistici;
   agli alberi monumentali oggetto del provvedimento di dichiarazione notevole interesse pubblico — che viene adottato dalla regione o in caso di inerzia dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo — si applicano, dunque, in caso di interventi eseguiti senza autorizzazione o in difformità da essa, le sanzioni penali previste dall'articolo 181 del Codice dei beni culturali e del paesaggio;
   per effetto di quanto disposto dal citato articolo 7 della legge 10 del 2013 invece, l'abbattimento o il danneggiamento di alberi monumentali — una volta censiti e inseriti negli appositi elenchi comunali e regionali — sono puniti con sanzioni amministrative, salvo che il fatto non costituisca reato;
   nella risposta scritta all'interrogazione n. 4/02640, con la quale si chiedeva conto dell'applicazione delle disposizioni della legge 10 del 2013, l'allora Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali — in data 17 febbraio 2014 — ha segnalato che il decreto interministeriale di cui al comma 7 era «in corso di definizione»;
   a distanza di altri quattro mesi, il decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di cui all'articolo 7 della legge 10 del 2013 non risulta essere stato adottato e pubblicato, e dunque, dopo 16 mesi dall'entrata in vigore della stessa legge, ai comuni non sono state ancora fornite le direttive necessarie per la predisposizione del censimento degli alberi monumentali;
   per quanto concerne la tutela degli alberi monumentali, allo stato attuale nell'ordinamento, alle disposizioni contenute nelle leggi regionali si aggiungono due regimi normativi — quello stabilito dal codice dei beni culturali e del paesaggio e quello della legge 10 del 2013 — che presuppongono procedure per l'individuazione dei beni da tutelare, meccanismi conservativi e sistemi sanzionatori distinti, e che coinvolgono amministrazioni diverse;
   nella relazione annuale 2013 trasmessa al Parlamento — come disposto dall'articolo 3 della legge 10 del 2013 Parlamento — il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico ha evidenziato, nella sezione «Verde pubblico e Codice della Strada», i possibili conflitti tra le esigenze di tutela, alla base della stessa legge 10 del 2013, e quelle connesse alla sicurezza stradale, all'origine dell'articolo 26 comma 6 del regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada, che prescrive una distanza minima tra le alberature e il confine della strada di 6 metri;
   nella stessa sezione, gli estensori della relazione hanno sottolineato come l'affermarsi dell'idea che tutti gli alberi posti a meno di sei metri dal confine stradale non siano rispettosi della legge — con il rischio, dunque, che i responsabili della manutenzione stradale vengano condannati in caso di incidente — «stia producendo, in concreto, un ampio ricorso a potature e abbattimenti in logica anche emergenziale, rispetto ai quali pare essere mancato un congruo approfondimento complessivo del problema» –:
   quali siano i tempi prevedibili entro i quali verrà adottato il decreto — di cui all'articolo 7 della legge 10 del 2013 — con il quale dare piena attuazione alle disposizioni contenute nella stessa legge, ed istituire l'elenco degli alberi monumentali d'Italia;
   se nello stesso decreto — presumibilmente ancora in corso di definizione — ovvero in un successivo provvedimento, intendano definire un modello procedurale per la compilazione degli elenchi comunali degli alberi monumentali, del tutto analogo al procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico di cui agli articoli 136 e seguenti del codice dei beni culturali e del paesaggio, con particolare riferimento alle forme di pubblicità e partecipazione previste negli stessi articoli;
   se ritengano che i problemi derivanti dall'applicazione dell'obbligo — desumibile dall'articolo 26 comma 6 del regolamento del codice della strada — di mantenere le alberature oltre 6 metri dal confine stradale, in ogni caso e comunque anche per le alberature piantumate prima dell'entrata in vigore della norma dello stesso codice — così come esposti nella relazione citata nelle premesse — possano essere valutati e risolti in seno al decreto di cui all'articolo 7, ovvero che debbano essere necessariamente affrontati all'interno di successivi, e comunque urgenti, provvedimenti;
   se, nelle more dell'adozione del decreto e dell'avvio delle operazioni censuarie, non intendano raccogliere in un elenco — da rendere successivamente pubblico — gli alberi monumentali dei quali è stato dichiarato il notevole interesse pubblico, ai sensi dell'articolo 136 del codice dei beni culturali e del paesaggio, anche al fine di mettere a disposizione delle amministrazioni incaricate della compilazione degli elenchi degli alberi monumentali una significativa base di dati;
   se ai fini dell'individuazione dei casi rispetto ai quali si renda eventualmente necessario attivare i poteri sostitutivi previsti dall'articolo 7, comma 3, della legge 10 del 2013 — a causa del mancato recepimento, da parte delle regioni, della definizione di albero monumentale contenuta nello stesso articolo 7 — abbiano condotto una ricognizione sia rispetto alle disposizioni in materia di alberi monumentali contenute nelle leggi regionali vigenti, sia rispetto alle iniziative legislative assunte dalle regioni successivamente all'entrata in vigore della legge 10 del 2013;
   se intendano valutare l'opportunità di introdurre — anche attraverso ulteriori e successive iniziative normative — disposizioni che assicurino:
    a) il contestuale inserimento degli alberi monumentali oggetto della declaratoria di notevole interesse pubblico, ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, nell'elenco degli alberi monumentali d'Italia di cui alla legge 10 del 2013;
    b) l'applicazione dei meccanismi di tutela e dei sistemi sanzionatori previsti dallo stesso codice a tutti gli alberi monumentali compresi nell'elenco di cui alla legge 10 del 2013. (4-05363)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA, PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI e LUPO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   i suini sono tutelati in Italia dal decreto legislativo n. 122 del 2011 che costituisce il recepimento della direttiva 2008/120/CE;
   il paragrafo 8 del Capitolo I, Allegato I della direttiva 2008/120/CE proibisce il mozzamento della coda come operazione sistematica e stabilisce che gli allevatori prima di effettuare il mozzamento della coda devono adottare altre misure intese ad evitare le morsicature delle code ed in particolare «modificare condizioni ambientali o sistemi di gestione inadeguati»;
   il paragrafo 4, capitolo I, allegato I della direttiva 2008/120/CE stabilisce che: «... i suini devono avere accesso permanente a una quantità sufficiente di materiali che consentano loro adeguate attività di esplorazione e manipolazione (paglia, fieno, legno, segatura, compost di funghi, torba o un miscuglio di questi)... »;
   in Italia sono state documentate diffuse condizioni di allevamento dei suini in aperta violazione dei summenzionati requisiti, ovvero con animali aventi tutti le code mozzate e senza alcun materiale manipolabile;
   la mancanza di conformità ai predetti requisiti compromette gravemente il benessere dei suini, causando sofferenza e dolore negli animali;
   l'associazione CIWF (Compassion in world farming) Italia, ad esempio, ha recentemente svolto una video-inchiesta in allevamenti intensivi di suini in Italia, Paese rinomato per le sue specialità suinicole, e su 11 allevamenti visitati nessuno osservava la direttiva 2008/120/CE sulla tutela dei maiali. In particolare sono stati riscontrati ambienti privi di materiali manipolabili che potessero stimolare ed incuriosire gli animali, code pesantemente amputate, pessime condizioni igieniche, scarso controllo della temperatura, zoppie, scarse cure e trascuratezza;
   l'articolo 54.1 del Regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti ed alle norme sulla salute e sul benessere degli animali, prevede che quando gli Stati membri individuano una non conformità con le leggi europee in materia di benessere animale, devono intervenire per assicurare che l'operatore ponga rimedio alla situazione. L'articolo 54.2 dello stesso regolamento sancisce che tale azione possa includere la sospensione delle operazioni o la chiusura in toto o in parte dell'azienda interessata per un appropriato periodo di tempo –:
   quale sia la percentuale degli allevamenti in Italia che praticano sistematicamente il mozzamento della coda e di quelli che invece non la praticano e sono quindi conformi alla normativa in vigore;
   quale sia la percentuale degli allevamenti in Italia che usano l'arricchimento ambientale adeguato, ovvero edibile, masticabile, investigabile e deformabile, tale da permettere ai suini adeguate attività di esplorazione e manipolazione;
   quali azioni intenda intraprendere perché si applichino le suddette disposizioni della direttiva 2008/120/CE agli allevamenti non conformi. (4-05360)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 giugno 204, è stata presentata interrogazione a risposta scritta D'Ambrosio (n. 4-05196), inerente le problematiche riguardanti i lavoratori del Don Uva di Potenza che non ha ricevuto esposto;
   la casa Divina Provvidenza è un ente ecclesiastico, ONLUS, fondato nel 1922, la cui mission è dedicarsi alla cura, all'assistenza, alla riabilitazione, alla risocializzazione, alla difesa ed alla sorveglianza delle persone nelle quali è presente una compromissione delle facoltà intellettive superiori, in special modo verso i neuropatici, i minorati psichici e anche i lungo degenti;
   nel corso dell'anno 2012, l'ente ha avuto difficoltà nell'erogazione dei pagamenti stipendiali ai lavoratori, i quali per mesi non hanno ricevuto le spettanze;
   per sopperire alle carenze economiche, nel 2012 l'ente «Don Uva» è ricorso ai «contratti di solidarietà»;
   nell'anno 2013, la Procura di Trani ha riscontrato alcune anomalie nei bilanci dell'ente ecclesiastico;
   da diversi anni si assiste al ricambio dei vertici aziendali e, allo stato attuale, la congregazione è in amministrazione controllata ed è stata affidata al commissario straordinario avvocato Bartolomeo Cozzoli nominato dal Ministero dello sviluppo economico;
   il commissario straordinario avrebbe dovuto presentare un piano industriale di possibilità di rilancio della congregazione, di cui, al momento, non se ne ha notizia;
   a causa dei contratti di solidarietà, pare che il carico di lavoro sia incrementato a tal punto da rendere problematica la fruizione delle ferie da parte dei lavoratori;
   nonostante il contratto di solidarietà, i lavoratori del Don Uva hanno dimostrato in questi mesi di lavorare con serietà ed efficienza portando la struttura di Foggia ad un elevato livello di produttività –:
   quali azioni si intendano porre in essere complessa situazione in essere in relazione alla complessa situazione del «Don Uva». (4-05374)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'operazione militare e umanitaria nel Mar Mediterraneo meridionale denominata Mare Nostrum è iniziata il 18 ottobre 2013 per fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria in corso nello Stretto di Sicilia, dovuto all'eccezionale afflusso di migranti. L'operazione consiste nel potenziamento del dispositivo di controllo dei flussi migratori già attivo nell'ambito della missione Constant Vigilance, che la marina militare svolge dal 2004 con una nave che incrocia permanentemente nello Stretto di Sicilia e con aeromobili da pattugliamento marittimo. Il duplice fine è quello di garantire la salvaguardia della vita in mare e di assicurare alla giustizia tutti coloro i quali lucrano sul traffico illegale di migranti;
   grazie anche all'operazione così detta «Mare Nostrum», negli ultimi giorni stiamo ascoltando sempre più spesso notizie di sbarchi di rifugiati provenienti dall'Africa centro-settentrionale;
   detti rifugiati, spesso pervengono su territorio italiano presentando sintomi riconducibili a malattie infettive –:
   quali siano i programmi di prevenzione del rischio di propagazione di malattie infettive messi in atto o in programmazione nella specifica situazione.
(4-05375)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   DE GIROLAMO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   alla fine del 2009 è stato avviato il progetto Nidi PA per incrementare l'offerta di nidi a disposizione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni attraverso la sottoscrizione di un protocollo d'intesa tra il Ministro della pubblica amministrazione e l'innovazione, il Ministro per le pari opportunità e il Sottosegretario con delega per le politiche per la famiglia pro tempore. Il protocollo prevedeva l'attivazione di un insieme coordinato di azioni e di interventi volti a favorire la realizzazione, presso la pubblica amministrazione di tutti i livelli di governo, di nidi aziendali e di eventuali altri servizi socio-educativi per l'infanzia, al fine di tutelare e favorire il lavoro femminile, anche nell'ottica del progressivo innalzamento dell'età pensionabile delle lavoratrici del settore pubblico;
   è stato, quindi, avviato un primo intervento che comprendeva:
    a) il progetto pilota NIDI PA presso le sedi centrali e periferiche delle pubbliche amministrazioni nazionali finanziato con 18.000.000 euro dal dipartimento per le politiche della famiglia;
    b) un intervento di sostegno dell'avvio e della gestione dei servizi di nido, finanziato con 7.200.000 euro dal dipartimento per le pari opportunità; c) un'indagine conoscitiva, curata dal Formez e dal dipartimento della funzione pubblica sulla rete dei servizi educativi per la prima infanzia presso le pubbliche amministrazione italiane;
   quest'ultima indagine, conclusasi nel marzo 2010, ha rilevato che i nidi aziendali, pur se presenti da anni all'interno di alcune amministrazioni centrali, hanno grande difficoltà a diffondersi. Essi assumono caratteristiche particolarmente interessanti quando riescono ad offrire un servizio mirato e flessibile, ovvero a strutturare un'offerta che non sia solo aggiuntiva a quella istituzionale, ma che garantisca prestazioni aggiuntive. È il caso, in particolare dei nidi delle aziende sanitarie ed ospedaliere dove gli asili garantiscono ai genitori un orario personalizzato in linea con l'articolazione dell'orario di lavoro. Il servizio appare, inoltre, limitato sia da condizioni oggettive, quali il progressivo aumento dell'età media dei dipendenti, sia da una relativa incapacità, da parte delle amministrazioni, di individuare le caratteristiche distintive che il servizio di nido dovrebbe assumere per cogliere pienamente le esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori. La ricerca ha inoltre evidenziato che alle spese di istituzione dei nidi aziendali hanno partecipato in maniera significativa soggetti diversi dall'ente stesso, talvolta anche privati;
   la stessa indagine ha rilevato che, a fronte dello stanziamento di 25 milioni di euro, solo il 4 per cento delle amministrazioni ha aderito all'iniziativa coinvolgendo unicamente 3.500 bambini. Le stesse amministrazioni hanno inoltre sottolineato che gli ostacoli maggiori per l'apertura di nidi aziendali sono stati individuati nella burocrazia connessa all'intero procedimento autorizzativo. Inoltre, l'indagine ribadisce come l'adesione da parte delle famiglie dei lavoratori pubblici al progetto NIDI PA dipenda dalle capacità di fornire un servizio modulato sulle esigenze specifiche legate all'orario di lavoro e al contesto territoriale in cui è inserita l'amministrazione/ente di riferimento;
   diventa importante e fondamentale, quindi, attivare investimenti al fine di favorire la costituzione di asili nido nella pubblica amministrazione centrale e nelle sedi periferiche;
   l'Italia è in evidente ritardo rispetto agli obiettivi stabiliti dalla Strategia di Lisbona, dove si fissano obiettivi per l'occupazione femminile, garantendo servizi come gli asili nido. L'Unione europea ha chiesto più volte agli Stati membri di raggiungere l'obiettivo di Lisbona, che prevede negli asili nido un numero di posti equivalente a 33 ogni 100 bambini di età compresa tra 0 e 3 anni entro la fine del 2010;
   il nostro Paese è, altresì, caratterizzato da una bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro: il tasso di occupazione femminile è uno tra i più bassi in Europa. La disponibilità sul territorio degli asili nido è un fattore che incide molto su questo fenomeno. Infatti, spesso le giovani madri, a causa una scarsa offerta di servizi per l'infanzia, sono costrette a rinunciare al posto di lavoro per prendersi cura dei figli –:
   quali iniziative si intendano adottare ai fini della costruzione di asili nido all'interno della pubblica amministrazione;
   se non sia necessario attuare quanto stabilito dalla Strategia di Lisbona;
   se non ritenga opportuno snellire le procedure burocratiche per l'apertura di nidi aziendali. (4-05366)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, all'articolo 1, prevede che «Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento»;
   l'articolo 17 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, prevede che le società e le imprese, nella relativa dichiarazione dei redditi, debbano indicare il numero di abbonamento speciale alla radio o alla televisione e la categoria di appartenenza, ai fini della verifica del pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo speciale;
   in seguito alla ennesima ripresa di una massiccia campagna condotta dalla Rai nei confronti delle imprese, iniziata successivamente all'entrata in vigore dell'articolo 17, la concessionaria pubblica esige il pagamento del canone speciale per la detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive al di fuori dall'ambito familiare, indipendentemente dall'uso al quale gli stessi vengono adibiti, ivi compresi gli impianti di videosorveglianza;
   con nota del 22 febbraio 2012 il Dipartimento delle comunicazioni ha precisato che cosa debba intendersi per «apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni», ai fini dell'insorgere dell'obbligo di pagare il canone radiotelevisivo ai sensi della normativa vigente;
   la cifra da versare, a seconda della tipologia dell'impresa, può variare da un minimo di 200 ad un massimo di 6.000 euro all'anno;
   la martellante campagna di richieste indiscriminate e reiterate più volte nei confronti delle imprese – non riferite alla circostanza oggettiva del possesso di un apparecchio per cui è dovuto il pagamento del canone speciale, ma basate su una mera presunzione – assume secondo gli interpellanti quasi le caratteristiche dello stalking –:
   se non si ritenga opportuno intervenire, anche attraverso la promozione di una specifica modifica legislativa, per stabilire definitivamente ed in modo inequivocabile che non sono tenuti al pagamento del canone di abbonamento speciale di cui agli articoli 1 e 27 del R.D.L. del 21 febbraio 1938, n. 246, e dall'articolo 2 del D.L.Lt. 21 dicembre 1944, n. 458, coloro che detengono uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive in esercizi pubblici, in locali aperti al pubblico o comunque fuori dell'ambito familiare e che li utilizzino per scopi strettamente connessi alle attività lavorative, di impresa o professionali e comunque diversi dall'intrattenimento, ovvero che non rientra altresì nell'obbligo del pagamento l'occasionale fruizione di trasmissioni radiotelevisive attraverso detti apparecchi.
(2-00612) «Vignali, De Girolamo».

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   uno degli effetti indiretti della grave crisi economica che ha investito l'economia globale a partire dal 2011 ed ancora non del tutto superata, è l'incremento dei debiti contratti da famiglie ed imprese con corrispondente aumento esponenziale dell'insolvenza ed un crescente ricorso da parte di grandi operatori economici delle società di tutela del credito, che in Italia svolgono un rilevante ruolo economico e sociale in specie per ciò che attiene gestione delle situazioni debitorie e alla risoluzione delle stesse in via stragiudiziale;
   i dati pubblicati da UNIREC (una delle principali associazioni di categoria del comparto) rappresentano in modo chiaro la crescente dimensione e rilevanza del settore, denotando con riferimento all'anno 2013, le seguenti circostanze:
    crescente contrazione dell'erogazione di credito in favore di famiglie e imprese;
    n. 111.000 aziende hanno cessato le loro attività, il 7 per cento in più rispetto al 2012, con il maggior numero di chiusure registrate nelle regioni più popolose quali Lombardia +21 per cento, Emilia Romagna +13 per cento, Campania +12 per cento, Veneto +5 per cento e Sicilia +5 per cento;
    accentuazione dei livelli di «precarietà» nel mondo del lavoro: nel 2013 solo il 31 per cento delle nuove assunzioni si è perfezionato a tempo indeterminato, mentre il rimanente 69 per cento è avvenuto con contratti atipici o parzialmente standard;
    incremento registrato del tasso di disoccupazione a livello nazionale, che ha raggiunto il record del 12,7 per cento (superato nei primi mesi del 2014, quando a gennaio ha superato il 13 per cento) con picchi del 20 per cento nell'area Sud e isole del 40 per cento per i giovani con meno di 25 anni. Il numero di disoccupati a dicembre 2013 ha superato quota 3.300.000 unità, ovvero 300.000 unità in più rispetto al 2012 (600.000 in più rispetto al 2011);
   tali circostanze hanno determinato l'accentuazione della fragilità delle famiglie e delle imprese che hanno visto peggiorare la loro capacità di onorare le obbligazioni assunte e di rimborsare i prestiti contratti, rendendo oltremodo difficoltoso per le società di tutela del credito il conseguimento di performance di recupero in linea con quelle pregresse ed attese dalla committenza;
   l'ammontare dei crediti scaduti e non pagati, affidati per il recupero alle imprese (fonte Assindustria) del 2013 è aumentato a n. 39 milioni di posizioni (con un incremento del 12 per cento rispetto al 2012, pari a 4,2 milioni di pratiche in più), per complessivi 48,6 miliardi di euro (5,6 miliardi in più rispetto al 2012, pari al 13 per cento, di cui:
    29,1 miliardi di euro, pari a 17,5 milioni di pratiche – dal settore bancario/finanziario/leasing, relativi a rate di prestiti, rate per acquisto di beni di largo consumo, rate di mutui, scoperti di conti bancari, carte di credito revolving e canoni di leasing;
    18,0 miliardi di euro, ovvero 19,1 milioni di pratiche, dal settore utility/TLC, riguardanti bollette insolute per servizi di prima necessità, quali: luce, acqua, gas e telefono;
    1,5 miliardi di euro, ovvero 2,4 milioni di pratiche, per crediti commerciali e di altra natura;
   in tale contesto, come si può facilmente intuire, è risultato più complesso e soprattutto più costoso recuperare i crediti;
   si rileva inoltre come oggi sul mercato della tutela del credito operino n. 1.406 regolarmente iscritte alla Camera di Commercio 200 di queste società danno lavoro a quasi n. 18.000 addetti, riuscendo a risolvere positivamente ed in via stragiudiziale, circa il 44 per cento delle posizioni gestite, recuperando per le proprie committenti oltre 9,5 miliardi di euro;
   dai bilanci per l'anno 2012 delle imprese attive in Italia nel comparto della tutela del credito, si rileva un fatturato complessivo di n. 1,023 miliardi di euro. Tali risultati frutto soprattutto dell'impegno e della professionalità degli operatori del settore confermano che il servizio da questi erogato è strategico per le imprese, vitale per l'economia e importante per la tenuta del sistema Paese, data la funzione svolta anche di vero e proprio ammortizzatore sociale e di interfaccia professionale tra chi è in difficoltà nei pagamenti e le committenti creditrici;
   a fronte delle critiche condizioni di contesto finanziario sopra descritte e del crescente ruolo delle strutture preposte al recupero dei crediti e alla gestione delle situazioni debitorie, gli operatori del settore segnalano un livello insufficiente di tutela da parte del legislatore nei confronti del comparto, evidenziando in particolare discrasie nel meccanismo di applicazione dei principi di libera concorrenza nel mercato unico europeo;
   in particolare, le procedure di gara indette da parte delle principali committenti del settore – tra le quali in particolare quelle a partecipazione pubblica – sarebbero improntate esclusivamente al criterio del prezzo più basso di cui all'articolo 82 del codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163) con conseguente grave pregiudizio per le aziende operanti sul territorio nazionale, le quali si trovano spesso penalizzate rispetto alle concorrenti europee, operanti in contesti di mercato più favorevoli sia dal punto di vista del costo del lavoro che dal punto di vista del regime fiscale al quale sono soggette e nel quale operano, risultando conseguentemente, più competitive;
   si tratta di una situazione che, oltretutto, è considerata dagli stessi operatori del settore inadeguata sotto il profilo della garanzia della tutela della privacy delle parti interessate dai rapporti obbligatori che costituiscono l'oggetto delle attività gestionali delle società operanti nel settore detta tutela del credito, data la non uniformità della normativa europea dei vari Stati membri o Paesi operanti nell'Eurozona in materia di riservatezza e tutela dei dati personali;
   il trend che emerge, secondo quanto evidenziato da esponenti della categoria, testimonia che nel prossimo futuro, se non interverranno cambiamenti significativi, soprattutto in termini di riconoscimento del ruolo svolto e di un'adeguata remunerazione dei servizi prestati dagli operatori del settore di recupero dei crediti, il comparto rischia di implodere;
   l'interrogante ritiene opportuno rimarcare che il criterio del prezzo più basso, secondo la normativa vigente e coerentemente con le direttive europee 2004/17/CE e 2004/18/CE, non dovrebbe essere considerato in via esclusiva dagli operatori del settore nell'ambito dei processi di affidamento ed esecuzione di lavori ed opere pubbliche, servizi e forniture, ma operare contestualmente ai principi legislativamente imposti di parità di trattamento, principio che impone un'analisi più approfondita delle circostanze economiche di contesto e che si estenda anche alla disciplina fiscale alla quale le imprese sono soggette; la libera concorrenza, in definitiva, non dovrebbe essere l'applicazione di meri criteri matematici, ma dovrebbe coincidere con un'analisi più approfondita delle circostanze economiche, nel complesso, se si vuole realmente, come si dichiara, fare del mercato unico europeo uno strumento per l'innalzamento dei livelli di benessere e, di conseguenza, configurare un assetto istituzionale europeo percepito come favorevole, anziché avverso, dalle imprese europee e dai cittadini;
   a partire dalla fattispecie considerata, l'interrogante ritiene necessario sottolineare come oggi più che mai, a fronte dei crescenti e motivati elementi di sfiducia da parte dei cittadini, debba essere un impegno del Governo introdurre elementi che vadano nella direzione del raccordo tra le esigenze dello sviluppo del mercato unico, da una parte, e la giusta salvaguardia delle economie nazionali, dall'altra –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare, pure in coerenza con i principi della libera concorrenza, al fine di garantire, nell'ambito delle procedure di gara, il rispetto sostanziale dei principi di parità di trattamento tra imprese del settore della tutela del credito operanti nel mercato unico ed evitare che il criterio del prezzo più basso sia applicato in modo esclusivo ed automatico, con conseguente pregiudizio per le imprese operanti sul territorio nazionale ed, in specie, nel caso in cui le committenti siano società a partecipazione pubblica;
   in quale misura il Governo ritenga di poter intervenire al fine di accertare che, a fronte di una disciplina non uniforme tra i vari Stati membri e nel caso di aggiudicazione di procedure da parte di società aventi sede all'estero ed ivi operanti, la tutela della privacy delle parti dei rapporti obbligatori, oggetto di gestione da parte delle società di recupero crediti, sia garantita. (4-05365)


   LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Sire spa nasce negli anni ‘70 dalla iniziativa di quattro imprenditori attivi nel commercio dei prodotti per l'edilizia, sviluppandosi rapidamente ed espandendosi anche nel segmento di mercato dei prodotti residenziali;
   è una società operante nel campo di produzione del klinker, ovvero una ceramica di particolare resistenza e durata che si ottiene da un processo produttivo di estrusione e da una cottura lenta a temperature tra le più elevate del settore pari a 1300o;
   la società, con sede legale a Torino e unità produttive a Roreto di Cherasco (Cuneo), occupa complessivamente n. 179 unità lavorative, al 20 agosto 2012; 
   nel periodo compreso tra il 2008 al 2011, la società ha manifestato performance di redditività negativa in conseguenza della crisi economica che ha colpito molto pesantemente tutto il settore dell'edilizia, determinando altresì una grave contrazione del mercato immobiliare;
   nel mese di luglio del 2012, perdurando la recessione economica e nel pieno del crollo delle vendite che a fine giugno 2012 avevano subito un calo del 30 per cento, la società ha deciso di far ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale per cessazione di attività a 12 mesi;
   dopo aver cercato di portare avanti la vendita ad una azienda spagnola di una linea di produzione con una possibile riallocazione di una parte del personale, l'azienda di Cherasco ha avviato la procedura di fallimento;
   inoltre, in risposta all'interrogazione n. 4-00222 presentata il 16 aprile 2013, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali fa sapere che: «è stata autorizzata la corresponsione del trattamento straordinario di integrazione salariale (Cigs) in favore dei dipendenti della società – un massimo di 174 unità lavorative – per il periodo anzidetto (20 agosto 2012 al 19 agosto 2013).»;
   il 13 marzo 2013 la società, preso atto dell'aggravarsi della crisi, ha sottoscritto con le parti sociali, presso i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, verbale di accordo per trasformare la predetta cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale per cessazione di attività a 12 mesi – ai sensi della citata legge n. 223 del 1991 – in cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale per cessazione di attività a 24 mesi – ai sensi del decreto-legge n. 249 del 2004;
   a seguito di tale accordo, la società – con istanza presentata il 19 marzo 2013 – ha chiesto l'approvazione del programma di crisi aziendale per cessazione di attività con gestione degli esuberi in 24 mesi ai sensi del citato decreto-legge n. 249 del 2004;
   i competenti uffici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali hanno, perciò, autorizzato per i primi 12 mesi – dal 20 agosto 2012 al 19 agosto 2013 – il trattamento di integrazione salariale;
   per la concessione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria per il secondo anno – dal 20 agosto 2013 al 19 agosto 2014 – è necessario attendere che la competente direzione territoriale del lavoro effettui gli accertamenti sul concreto avvio del concordato piano di gestione delle eccedenze occupazionali come previsto dal 1° comma dell'articolo 1 del decreto-legge n. 249 del 2004;
   le disposizioni della circolare n. 42 del 2004, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali prevedono – in particolare ai punti C e D – che l'adozione dei provvedimenti relativi all'approvazione del programma del secondo anno e conseguentemente della concessione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria avviene solo in presenza delle risultanze ispettive del servizio ispezione della competente direzione territoriale del lavoro;
   tale circolare puntualizza, inoltre, che dette verifiche non possono essere effettuate prima della scadenza dei primi 9 mesi di trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria;
   pur dandosi atto della rilevanza delle questioni prospettate nel presente atto parlamentare sarà possibile dare ad esse una risposta positiva solo all'esito delle trattative menzionate e al termine delle verifiche da parte dell'organo di vigilanza a ciò preposto dalla normativa di riferimento;
   dal mese di ottobre del 2013 i lavoratori non percepiscono alcun sussidio da parte dello Stato, in attesa che venga autorizzata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali la cassa integrazione straordinaria. La dignità dei lavoratori è inoltre ulteriormente compromessa dalla totale assenza di comunicazioni da parte del curatore fallimentare che rende indecifrabile la condizione dei lavoratori –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e se intenda procedere in tempi rapidi per un futuro ricorso alla cassa integrazione straordinaria per i dipendenti di tale società. (4-05381)

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Lorefice n. 4-05322, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 254 del 1o luglio 2014.

   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, BARONI, CECCONI, DALL'OSSO, DI VITA, GRILLO e MANTERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 29 giugno 2014 un peschereccio con a bordo oltre 600 profughi e almeno 30 cadaveri, è stato soccorso dai mezzi della Marina militare nel Canale di Sicilia. L'imbarcazione è stata presa a rimorchio e portata nel porto di Pozzallo, nel Ragusano;
   gli immigrati sarebbero morti per asfissia, i corpi si trovano in una parte angusta dell'imbarcazione, sono stati recuperati dopo l'arrivo del peschereccio nel porto di Pozzallo;
   le operazioni di recupero dei corpi non sono state possibili nell'immediato, in quanto la posizione in cui si trovano i corpi ha impedito il loro immediato recupero; solo un paio di cadaveri sono stati recuperati immediatamente e portati a bordo della nave militare;
   per la Marina militare le morti sono state causate da asfissia e annegamento;
   il sindaco di Pozzallo ha dichiarato pubblicamente che non è in grado di affrontare l'emergenza da solo, ed ha ricordato che le due uniche celle frigorifere a disposizione nel cimitero comunale, ospitano già corpi di migranti ai quali non è stata data sepoltura, e, quindi, non sa dove mettere i corpi dei 30 migranti deceduti nei giorni scorsi;
   due donne incinte sono state soccorse immediatamente;
   quella che si è conclusa domenica tragicamente è stata un'altra giornata, che da venerdì ha impegnato ininterrottamente gli uomini e le unità del dispositivo Mare Nostrum;
   il 27 giugno 2014, le navi della Marina militare e della Guardia costiera hanno soccorso sette barconi e hanno salvato 1.654 persone partite dalle coste africane;
   il primo intervento, venerdì mattina, è stato eseguito dalla nave Dattilo della Guardia costiera, che ha preso a bordo 416 migranti che si trovavano su un barcone in difficoltà;
   quattro sono state le imbarcazioni soccorse dalla fregata Grecale: un primo intervento, nei confronti di un barcone che aveva una falla ed era alla deriva, ha consentito il salvataggio di 227 persone, tra cui 19 donne e 18 minori; a questo si sono succeduti gli interventi con i quali sono state soccorse altre 218 persone, tra cui 29 donne e 39 minori, su un barcone e 84 su un gommone che aveva difficoltà di galleggiamento. L'ultimo intervento ha coinvolto un barcone con a bordo 327 migranti, di cui 13 donne e 25 minori;
   sono complessivamente 382, invece, i migranti che erano sulle due imbarcazioni soccorse dalla nave Orione della Marina militare;
   dal 27 giugno al 30 giugno 2014 risultano circa 5000 i migranti soccorsi complessivamente; ai già citati vanno aggiunti i migranti soccorsi: dalla corvetta Chimera, con 353 migranti, arrivata a Pozzallo, dalla nave anfibia San Giorgio con a bordo 1.170 migranti arrivata nel porto di Taranto, dal pattugliatore d'altura Dattilo della capitaneria di porto con a bordo 1.096 migranti arrivato nel porto di Augusta; dalla rifornitrice Etna con a bordo 1.044 migranti arrivata nei porto di Salerno; dal pattugliatore Orione con a bordo 396 migranti e dal mercantile Mare Atlantic con a bordo 235 migranti arrivati nel porto di Messina; dalla motovedetta della capitaneria di porto 906 Corsi con a bordo 341 migranti arrivata a Porto Empedocle in giornata, dal mercantile City of Beirut con a bordo 105 migranti e dal mercantile Ticky con a bordo 190 migranti arrivati nel porto di Trapani;
   appare evidente come la sola operazione «Mare nostrum», senza l'aiuto delle altre forze europee, si stia rivelando ogni giorno insufficiente e incapace ad affrontare la questione degli sbarchi e in tale contesto appare inammissibile il costo in vite umane che persone disperate sono costrette a pagare per approdare alle coste italiane e, in particolare, della Sicilia –:
   quali iniziative intenda avviare, a partire dal semestre di presidenza italiana europea, in coordinamento con l'Unione europea e l'Onu, per affrontare la questione degli sbarchi che non può continuare ad essere trattata in termini emergenziali, in quanto è questione strutturale che attiene ad una problematica che può e deve essere affrontata solo a carattere internazionale;
   quali azioni siano state avviate per sostenere in particolare i comuni della Sicilia, che sono lasciati da soli ad affrontare la gravissima vicenda degli sbarchi di persone provenienti dal Nord Africa.
(4-05322)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta D'Incà n. 4-05359, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 255 del 2 luglio 2014.

   D'INCÀ, DA VILLA, ROSTELLATO, SPESSOTTO e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 «Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della Legge 15 marzo 1997, n. 59», stabilisce i principi e le norme generali sull'esercizio dell'attività commerciale, con l'obiettivo di garantire la trasparenza del mercato, la concorrenza, la libertà di impresa e la libera circolazione delle merci, tutelare il consumatore dal punto di vista dell'informazione, alla vicinanza degli esercizi commerciali, all'assortimento e alla sicurezza dei prodotti e rendere più efficiente, moderna ed estesa la rete distributiva, anche al fine del contenimento dei prezzi. Tra gli obiettivi c’è anche il pluralismo e l'equilibrio tra le diverse tipologie delle strutture distributive e le diverse forme di vendita, oltre alla valorizzazione e alla salvaguardia del servizio commerciale nelle aree urbane, rurali, montane, insulari;
   il compito di fissare gli indirizzi generali per l'insediamento delle attività commerciali ed i criteri della programmazione urbanistica, così come previsto dall'articolo 6, sono demandati alla disciplina delle regioni;
   in alcune regioni gli obiettivi del decreto legislativo n. 114 del 1998 tuttavia, pur sostanzialmente ripresi in atti normativi, come la legge regionale del Veneto n. 50 del 2012, non sempre sono oggetto di effettivo perseguimento nelle politiche territoriali e del commercio di volta in volta elaborate;
   ad esempio, in Veneto, si rileva che sono stati riconosciuti benefici (riduzione del 50 per cento degli oneri di urbanizzazione) per l'apertura, nei centri storici, di strutture di vendita con superfici superiori a 1500 metri quadrati (di fatto destinate alla grande distribuzione), proprio nel regolamento attuativo della legge, appena citata, che, tra l'altro, avrebbe dovuto porre un freno alla proliferazione di nuovi parchi e centri commerciali (regolamento attuativo, n. 1 del 2013);
   anche gli strumenti di recupero e programmazione urbanistica spesso destano perplessità in relazione all'effettivo perseguimento degli obiettivi previsti dal decreto legislativo n. 114 del 1998 posto che sembrano privilegiare in vario modo l'apertura di grossi centri di grande distribuzione in contrasto con l'obiettivo, previsto dal decreto legislativo, di perseguire il pluralismo e l'equilibrio tra le diverse tipologie delle strutture distributive;
   in Veneto ad esempio i piani integrati di recupero urbano, pur attualmente non realizzati in ragione della crisi economica in essere, hanno previsto la trasformazione di aree agricole, anche assai consistenti, in aree edificabili e con possibile destinazione commerciale suscitando preoccupazioni tra i cittadini per il rischio di operazioni speculative; il piano territoriale di coordinamento della medesima regione consente la possibilità ai privati di concertare direttamente con la giunta regionale, nelle aree strategiche, anche la costruzione di centri commerciali; risulta infine che il piano del commercio approvato dalla regione nel 2004 ha portato ad una presenza della grande distribuzione così ampia (230 mq ogni 1000 abitanti) da produrre effetti di saturazione e distruzione del piccolo commercio (l'Unione europea ha fissato in 150 metri quadri ogni 1000 abitanti la soglia di criticità);
   anche le politiche di liberalizzazione delle aperture commerciali nei giorni festivi nate con l'intento di creare nuovi posti di lavoro, di fatto si sono rivelate fallimentari mettendo in ulteriore crisi la piccola distribuzione e senza peraltro aumentare l'occupazione nella media e grande distribuzione –:
   si chiede di conoscere, se l'interrogato Ministro è a conoscenza di quanto sopra descritto;
   se e quali azioni intenda intraprendere, pur nel rispetto delle autonomie regionali, per garantire il rispetto delle prescrizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114, al fine di tutelare le attività commerciali di vicinato, e di porre un freno alle possibili nuove realizzazioni di strutture di vendita di medie e grandi dimensioni anche all'interno dei centri urbani, tenendo conto anche del forte impatto che queste nuove strutture avranno sulla viabilità, i parcheggi e sull'inquinamento delle città;
   se e quali politiche di indirizzo intende adottare per salvaguardare il tessuto socio economico esistente e tutelare la piccola distribuzione a livello locale, visto il momento di forte crisi economica che colpisce soprattutto il commercio al dettaglio e di vicinato. (4-05359)

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Realacci e Mongiello n. 4-04792 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 226 del 12 maggio 2014.

  Alla pagina 12881, seconda colonna, dalla riga quarantesima alla riga quarantaseiesima deve leggersi: «tutela del territorio e del mare non intenda avviare con urgenza il monitoraggio e la messa in sicurezza delle aree, anche con l'analisi delle eventuali falde acquifere sottostanti, per poi procedere alla» e non «tutela del territorio e del mare non intenda, anche per tramite delle agenzie specializzate del suo dicastero, avviare con urgenza il monitoraggio e la messa in sicurezza dei predetti siti sequestrati, anche con l'analisi delle eventuali falde acquifere sottostanti, per poi procedere alla», come stampato.

  Interrogazione a risposta scritta Bossa n. 4-05356 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 255 del 2 luglio 2014.

  Alla pagina 14611, seconda colonna, dalla riga quarantesima alla riga quarantaduesima deve leggersi: «Bruno Bossio, Albini, Ginoble, Garofani, Bindi, Tartaglione, Gnecchi, Lenzi, Malpezzi,» e non «Bruno Bossio, Albini, Paolucci, Ginoble, Garofani, Bindi, Tartaglione, Gnecchi, Lenzi, Malpezzi,», come stampato.