Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 30 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    è stimato che il fenomeno della disabilità interessi in complesso all'incirca il 15 per cento delle famiglie italiane;
    non esiste attualmente, a livello internazionale, un'univoca definizione del termine disabilità, anche se il concetto di disabilità è stato dibattuto in occasione della Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, che ha elaborato un documento finale approvato dall'Assemblea generale il 25 agosto 2006;
    il mondo della disabilità ha progressivamente vissuto profonde trasformazioni e, a partire dagli anni settanta, c’è stata un'azione di rinnovamento dei servizi e degli interventi a favore del disabile. Questa fase di mutamenti coincide con l'inizio di un progressivo decentramento delle competenze, che dallo Stato sono passate alle regioni. Tanto che il cosiddetto processo d'inserimento dei portatori di handicap, oggetto delle politiche sociali di quegli anni è andato via via affinandosi, sino a diventare, oggi, un processo d'integrazione con le realtà territoriali sempre più dinamico e creativo;
    è però opportuno considerare che tra i due termini, inclusione sociale ed integrazione sociale, va fatta un'importante distinzione: l'inclusione sociale può essere definita come la situazione in cui le disparità tra le persone diventano socialmente accettabili in rapporto a una serie di aspetti multidimensionali, che consentono agli individui di vivere secondo i propri valori e le proprie scelte, migliorando le proprie condizioni di vita;
    con il termine integrazione sociale, si intende, invece, qualcosa di più profondo, come l'inserimento delle diverse identità in un contesto in cui non ci siano discriminazioni. L'integrazione è quindi il processo attraverso il quale si crea un equilibrio interno al sistema attraverso processi di cooperazione sociale e di coordinamento tra i ruoli e le istituzioni;
    l'OMS nell'arco di 20 anni è passata da una definizione della disabilità che partiva dalla condizione di disagio: di patologia, del soggetto, ad una definizione che ribalta la valutazione del disagio mettendo in primo piano il livello di salute e di autonomia del soggetto stesso;
    la classificazione ICIDH (International Classification of Impairments Disabilities and Handicaps) dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nel 1980 distingueva tra: minorazione, disabilità e handicap; mentre la disabilità veniva intesa come lo svantaggio che la persona presentava a livello personale, l'handicap rappresentava lo svantaggio sociale della persona con disabilità;  questa classificazione negli anni è stata superata perché non teneva conto che la disabilità è un concetto dinamico, in quanto può essere anche solo temporanea; negli anni 90, l'OMS ha riformulato la classificazione tenendo conto di questi aspetti e la nuova classificazione, detta ICF (International Classification of Functioning) o Classificazione dello stato di salute, definisce lo stato di salute delle persone piuttosto che le limitazioni, dichiarando che l'individuo «sano» si identifica come «individuo in stato di benessere psicofisico» ribaltando, di fatto la concezione di stato di salute. Introduce inoltre una classificazione dei fattori ambientali;
    nella classificazione International Classification of Functioning, approvata da quasi tutte le nazioni afferenti all'ONU, il concetto di disabilità, cambia e identifica le difficoltà di funzionamento della persona sia a livello personale che nella partecipazione sociale. In questa classificazione i fattori biomedici e patologici non sono più gli unici presi in considerazione, ma si considera anche l'interazione sociale: l'approccio diventa multiprospettico: biologico, personale, sociale;
    l’International Classification of Impairments Disabilities and Handicaps era coerente con una prospettiva organicistica, mentre quella dell'ICF è una prospettiva multidimensionale, che non si limita solo ai fattori organici, ma considera la persona nel pieno del suo contesto familiare e socio-professionale. Ogni fattore interagisce con gli altri, ed i fattori ambientali e personali non sono meno importanti dei fattori organici. In sostanza l’International Classification of Impairments Disabilities and Handicaps valutava i fattori di disabilità iniziando dalla menomazione, mentre l’International Classification of Functioning valuta le abilità residue dell'individuo, tale ottica è evidente sin dal nome dello standard, ovvero «classificazione internazionale delle funzionalità», sostituendo al concetto di «grado di disabilità» quello di «soglia funzionale». Ciò che è fondamentalmente diverso è l'ambito di applicazione: mentre l’International Classification of Impairments Disabilities and Handicaps è limitato al semplice ambito della disabilità, l’International Classification of Functioning descrive i vari gradi di funzionalità partendo dall'interazione di tutti i suoi fattori;
    per il disabile il sostegno familiare è da sempre la più immediata e completa delle soluzioni ai bisogni assistenziali e ai problemi dell'integrazione sociale: ben il 68,2 per cento degli aiuti ricevuti dai disabili proviene infatti da parenti più o meno stretti anche se, una situazione simile, tuttavia, rischia di produrre situazioni di netto svantaggio per tutti i membri della famiglia, che spesso, per accudire ed assistere il disabile convivente, riducono la quantità di tempo dedicata al lavoro, con una conseguente riduzione del reddito, oppure decidono di affidarsi a quelle figure che ormai da tempo rappresentano la prima fonte di sostegno ed assistenza per gli individui non più autosufficienti: le cosiddette badanti;
    negli ultimi decenni le associazioni dei familiari sono state indubbiamente, con gli operatori e le organizzazioni del terzo settore, elemento di stimolo alle istituzioni ed hanno espresso con continuità un'azione che ha contribuito a promuovere importanti cambiamenti normativi, dalla legge n. 118 del 1971 alla n. 517 sull'integrazione scolastica del 1977, alla 18 del 1980 sull'indennità di accompagnamento, alla n. 104, legge quadro in materia di assistenza e di integrazione sociale, alla n. 68 sull'inserimento lavorativo;
    si tratta sicuramente di un complesso di leggi che hanno promosso un rilevante processo di integrazione sociale, sviluppando una rete di servizi e di opportunità ma che non affrontano quello che viene definito il problema del «dopo»;
    infatti, ciò che da sempre preoccupa maggiormente i genitori di persone disabili riguarda il «dopo», il momento in cui essi diventano anziani e non possono più assistere un figlio che non è in grado di far fronte autonomamente alle necessità della vita quotidiana e soprattutto il momento in cui i genitori non ci saranno più e il figlio disabile dovrà trovare chi lo assiste;
    il problema del «dopo» (dopo la nascita di un bambini disabile, dopo il trattamento riabilitativo, dopo la scuola, dopo la morte dei genitori...) è giustamente sentito come un problema che consapevolmente va costruito «durante noi» e questo, spesso, paralizza il dialogo fra le famiglie e lo Stato e le organizzazioni sociali preposte;
    tutto questo genera solamente tensioni, chiusure, regressioni e una forzata ricerca di soluzioni individuali che spesso si rivelano non adeguate, costose e a volte del tutto negative;
    manca, infatti, ad oggi, un quadro complessivo di norme ed agevolazioni che consentano alle famiglie prima di tutto e alle istituzioni locali di definire, programmare ed attuare percorsi individualizzati che garantiscano tutela assistenziale, qualità della vita e integrazione nel territorio di appartenenza a quanti vedono di giorno in giorno venir meno il sostegno e la tutela familiare; è compito dello Stato andare incontro alle necessità di tutti i suoi cittadini, specialmente di quei cittadini e di quelle famiglie che giornalmente vivono il dramma e le preoccupazioni di avere un familiare disabile sia garantendo loro soluzioni pubbliche con finanziamenti statali sia predisponendo normative volte ad introdurre soluzioni privatistiche, tutte comunque aventi come obiettivo la tutela della persona disabile;
    qualche anno fa, alcune persone disabili hanno avuto l'acuta e orgogliosa intuizione di sottolineare come, anche in presenza di una menomazione importante, riescano a produrre, realizzare, essere competitivi con il resto del mondo. Il che talvolta è vero. Per definire questa condizione hanno coniato il neologismo «diversamente abili»; ci sono però persone, più di quante si creda, la cui principale e vitale esigenza non è quella di trovare un lavoro e un collocamento mirato, ma quella di assicurarsi un servizio di assistenza che renda meno gravosa l'insostenibile pesantezza del quotidiano per i loro familiari a cui è delegata in toto – da distretti, comuni e servizi sociali – la loro stessa sopravvivenza. Sono le persone con handicap gravissimo che potremmo definire «diversamente ospedalizzate». Sono portatori di esigenze particolari che sono tanto sono più gravi in quanto meno trovano risposta;
    anche sotto il profilo del riconoscimento dei diritti dei disabili la sensibilità è andata mutando negli ultimi anni e dalla dichiarazione di Madrid, promulgata nel 2002 in occasione dell'Anno internazionale della disabilita (2003), dove già si spostava l'asse di interesse da una visione eminentemente medico-scientifica ad una prettamente sociale, si è arrivati alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, promulgata dall'ONU nel 2007. La convenzione si richiama esplicitamente a diversi principi della Dichiarazione universale dei diritti umani: non discriminazione, eguaglianza, pari opportunità, rispetto dell'identità individuale;
    ma anche in questo caso la prima cosa che risulta evidente dalla Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità è che manca una definizione chiara del concetto di disabilità, preferendo parlare, piuttosto, di persone disabili. Questo perché manca ancora, a livello internazionale, un'univoca e coerente definizione del concetto di «disabilità» (nonostante l'adozione dell'ICF), della quale pur si sente la necessità, in quanto basilare per qualsiasi strategia di ricerca e di pianificazione politica;
    l'articolo 1 definisce lo scopo stesso della Convenzione, che è quello di promuovere tutti i diritti delle persone disabili al fine di assicurare loro uno stato di uguaglianza, mentre l'articolo 3 indica i principi entro i quali la Convenzione si muove, elencandoli esplicitamente:
     a) il rispetto della persona nelle sue scelte di autodeterminazione;
     b) la non discriminazione;
     c) l'integrazione sociale;
     d) l'accettazione delle condizioni di diversità della persona disabile;
     e) rispetto delle pari opportunità e dell'uguaglianza tra uomini e donne;
     f) l'accessibilità;
     g) il rispetto dello sviluppo dei bambini disabili;
    l'Italia ha recepito la Convenzione con legge ordinaria numero 18 nel 3 marzo 2009, dando il via libera alla istituzione di un osservatorio sulla disabilità presieduto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali che, oltre a promuovere la Convenzione, ha il compito di promuovere la raccolta di dati che illustrino le condizioni delle persone con disabilità, per predisporre un programma biennale di promozione dei diritti e di integrazione sociale,

impegna il Governo:

   ad individuare le risorse finanziare necessarie e ad approvare insieme alle regioni, ognuno per le proprie competenze, linee guida valevoli su tutto il territorio nazionale volte ad incrementare il sistema di protezione sociale e di cura per le persone affette da disabilità grave e prive del sostegno familiare nonché ad assumere iniziative per prevedere regimi fiscali agevolati per le erogazioni liberali in denaro in favore dei programmi di intervento per la tutela e l'assistenza dei soggetti disabili che restano privi di un'adeguata assistenza;
   a favorire l'attivazione di progetti che abbiano come obiettivo principale la vita indipendente nei soggetti disabili, integrando tutte le possibili risorse a cui hanno diritto ed integrandole ove necessario per garantire loro le condizioni essenziali di una vita dignitosa;
   a sostenere progetti volti alla creazione di famiglie-comunità e di case-famiglia in cui inserire progressivamente le persone affette da disabilità grave, per alleviare gradatamente la famiglia dall'impegno dell'assistenza;
   ad assumere iniziative dirette ad istituire un «Fondo per l'assistenza alle persone affette da disabilità grave prive del sostegno familiare», nel rispetto degli articoli 3, 38, 117, secondo comma, lettera m), e 119 della Costituzione e in attuazione dei princìpi di cui alla legge 8 novembre 2000, n. 328, e alla legge 5 febbraio 1992, n. 104, al fine di incrementare il sistema di protezione sociale e di cura per le persone affette da disabilità grave, prive del sostegno familiare;
   ad assumere iniziative per prevedere e disciplinare anche nel nostro ordinamento, per coloro che ne facciano richiesta, l'istituzione di fondi di sostegno «trust» a favore di persone disabili offrendo così la garanzia di una struttura blindata esclusivamente diretta a garantire tutta l'assistenza necessaria e la migliore qualità di vita possibile attraverso anche la tutela del patrimonio familiare che si vuole destinare, prevedendo anche regimi fiscali agevolati per la costituzione del fondo stesso;
   ad adottare iniziative normative volte ad agevolare la sottoscrizione di polizze previdenziali ed assicurative finalizzate alla tutela delle persone disabili, in particolar modo nel momento del «dopo di noi».
(1-00564) «Binetti, Dellai, D'Alia, Buttiglione, Adornato, De Mita, Cera, Gigli, Sberna, Fitzgerald Nissoli, Caruso, Fauttilli, Piepoli».


   La Camera,
   premesso che:
    il mondo dell'occulto anche nel nostro Paese, sulla base di una serie di dati riportati anche dai mezzi di informazione, ha un fatturato crescente tant’è che nel corso dell'ultimo anno ha fatto registrare un aumento, passando da 7,5 miliardi a 8,3 miliardi;
    una ricerca del Codacons ha stimato in ben 13 milioni gli italiani che si rivolgono a maghi, cartomanti, sensitivi e operatori esoterici, un milione in più rispetto al 2011 e oltre 3 milioni in più rispetto al 2001;
    siamo in presenza di un vero e proprio boom dell'occultismo con 4 italiani su dieci che si rivolgono a tali «servizi»;
    le più recenti tecnologie, la crisi, la mancanza di fiducia nelle istituzioni, comprese quelle religiose, sta dirottando l'interesse e la curiosità, anche delle nuove generazioni, verso forme comunitarie alternative di spiritualità, reclamizzate da canali televisivi o più comunemente attraverso i social network;
    a questo bisogna aggiungere anche l'aumento del fenomeno delle ludopatie e del gioco d'azzardo;
    la crisi infatti spinge molte persone a rivolgersi a maghi, santoni, presumendo di ricevere aiuto per vincere al gioco e risolvere i propri problemi;
    ci si rivolge a queste figure per problemi sentimentali, occupazionali, familiari, fisici nella vana speranza di poter trovare una risposta;
    il 40 per cento di chi si rivolge all'occulto ha un'età compresa tra i 30 e i 55 anni e un 10 per cento è addirittura in età adolescenziale;
    tra gli occultisti inoltre stanno emergendo nuove figure come quella dei presunti «guaritori» e tutti hanno una sorta di tariffario molto oneroso ovviamente tutto in nero e sottratto al fisco;
    la Lombardia è in Italia la prima regione per «operatori» e «clienti» con 2.800 operatori dell'occulto e 200 mila clienti con un volume di affari che si aggira intorno agli 80 milioni di euro seguita dal Lazio, dalla Sicilia, dalla Campania, dal Piemonte, dall'Emilia Romagna e dal Veneto;
    solo per quanto riguarda l'anno appena trascorso, in relazione a denunce scattate per alcuni programmi considerati «nocivi per lo sviluppo psico-fisico e morale dei minori» o «in abuso della credulità popolare», il nucleo speciale per la radiodiffusione e l'editoria ha controllato 100 emittenti radiotelevisive segnalandone 90 all'AGCOM e 10 all'autorità giudiziaria: le violazioni evidenziate hanno riguardato, tra l'altro, programmi condotti da indovini, maghi e sedicenti esperti del lotto che spesso per ore invadono la programmazione di determinate emittenti;
    la Conferenza episcopale regionale dell'Emilia-Romagna ha pubblicato un documento ufficiale «Religiosità alternativa, sette, spiritualismo. Sfida culturale, educativa e religiosa» attraverso il quale si fornisce un quadro abbastanza obiettivo di un fenomeno in crescita, con profili di pericolosità sia per quanto concerne l'universo della magia e dell'occulto, che quello dei cosiddetti gruppi a manipolazione psicologica degli adepti;
    accanto alle attività truffaldine dei cosiddetti operatori dell'occulto, desta infatti profonda apprensione, soprattutto nelle società occidentali, la crescente diffusione del fenomeno di gruppi di natura spirituale, magico-esoterica, pseudo-terapici o del potenziale umano nonché di «aggregazioni» religiose o pseudo tali, che sovente, operando al riparo della libertà religiosa, minano di fatto le libertà fondamentali degli individui rappresentando una minaccia per le stesse società democratiche;
    con la raccomandazione n. 1412 (1999) l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ha sollecitato gli Stati membri alla necessaria azione di vigilanza nonché all'attuazione, in particolare, di programmi educativi e di politiche di prevenzione rispetto al fenomeno in oggetto con particolare riferimento alla tutela dei minori e delle fasce maggiormente vulnerabili;
    tuttavia, solo pochi Stati membri, nonostante la ribadita diffusione e gravità del fenomeno, risultano aver recepito le importanti indicazioni previste dai dispositivi approvati in sede comunitaria, come rilevato anche dai rappresentanti della Commissione dei diritti dell'uomo nell'ambito della Conferenza delle Ong presso il Consiglio d'Europa del 5 ottobre 2012;
    in Francia è stata prevista l'istituzione di una struttura interministeriale finalizzata alla vigilanza e al contrasto delle derive settarie (MIVILUDES), con il principale intento di tutelare efficacemente e concretamente l'interesse superiore del bambino da ogni forma di brutalità, maltrattamento e negligenza;
    tale esperienza ha indubitabilmente segnato un approccio equilibrato al fenomeno delle «sette» nocive fornendo indispensabili strumenti informativi e conoscitivi a salvaguardia della stessa sicurezza dei cittadini;
    al fine di prevenire e contrastare gli illeciti commessi dall'attività di gruppi settari abusanti, con decreto n. 225 UAG/2006-64767-U del 2 novembre 2006, il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha istituito una apposita specialità: la squadra anti sette (SAS);
    tuttavia la risposta dello Stato evidenzia ancora lacune e una sorta di inadeguatezza se rapportata alla pericolosità di un fenomeno in espansione;
    molto del lavoro di vigilanza e informazione preventiva oggi grava sulle associazioni di volontariato onlus e su alcuni centri specializzati di ricerca che supportano vittime e famiglie;
    ad esempio l'associazione Familiari delle vittime delle sette (FAVIS) ha realizzato, primo progetto in Italia, un opuscolo informativo dal titolo «Le mani sulla mente», distribuito gratuitamente durante gli incontri con gli studenti degli istituti scolastici superiori della provincia di Rimini, dove opera tra l'altro da tempo il Servizio antisette della comunità «Giovanni XXIII»;
    è da tempo in atto, in particolare sulla rete web, una grave e reiterata campagna di discredito di queste stesse associazioni, della SAS (Ministero dell'interno) nonché di altri soggetti istituzionali, come già ripetutamente evidenziato nei testi di interrogazioni parlamentari presentate nella precedente e nella attuale legislatura;
    dal punto di vista legislativo il consiglio regionale della regione Friuli Venezia Giulia ha varato una legge concernente «Norme per il sostegno dei diritti della persona e la piena libertà intellettuale, psicologica e morale dell'individuo» con cui sono stati previsti una serie di interventi e di azioni finalizzate a offrire concreto aiuto alle famiglie e alle persone che spesso loro malgrado finiscono nella rete di gruppi settari abusanti;
    è indispensabile controllare e monitorare il web attraverso le strutture istituzionali di vigilanza perché internet è un mondo pieno di insidie sotto questo profilo,

impegna il Governo:

   a promuovere una efficace azione di sensibilizzazione e vigilanza sul fenomeno, anche mediante attività di informazione preventiva comprensiva di appositi programmi educativi, che coinvolga tutti i soggetti istituzionali competenti a partire dalla scuola e dalle strutture sanitarie come del resto richiesto anche in ambito europeo;
   a valutare, sulla base della esperienza francese, la realizzazione di una struttura interministeriale, di vigilanza e contrasto contro le derive settarie in grado di raccordarsi con gli altri centri europei esistenti anche in considerazione del proliferare di organizzazioni con problematici aspetti di pericolosità sociale che spesso hanno ramificazioni che valicano i confini dei diversi Paesi;
   a rafforzare il controllo di natura fiscale sulle società che operano nel campo dell'occultismo;
   ad assumere iniziative per predisporre piani di supporto e sostegno alle vittime e alle loro famiglie considerata la pericolosità delle organizzazioni in questione;
   per quanto di competenza, a garantire che il prezioso supporto fornito dalle associazioni di volontariato, che si raccordano nel loro gratuito operato con realtà istituzionali e le stesse forze di polizia, possa svolgersi con la opportuna considerazione e tutela nel principale interesse dei cittadini che le stesse associazioni rappresentano.
(1-00565) «Arlotti, Albanella, Antezza, Ascani, Basso, Borghi, Bossa, Paola Bragantini, Brandolin, Capone, Carra, Crivellari, Ermini, Fabbri, Gadda, Grassi, Gullo, Iori, Malpezzi, Minnucci, Piccione, Rampi, Realacci, Ribaudo, Rocchi, Romanini, Rostan, Rubinato, Scanu, Tidei, Vazio, Verini, Zardini».


   La Camera,
   premesso che:
    durante il terzo Governo Berlusconi, con la legge 17 maggio 2005, n. 94 (Ratifica ed esecuzione del Memorandum d'intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato di Israele in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa) è stata rafforzata la cooperazione tra le rispettive forze di difesa «al fine di incoraggiare, agevolare e sviluppare la cooperazione nei settori militare e della difesa su una base di reciprocità»;
    la cooperazione fra le due Parti riguarderà l'importazione, l'esportazione e il transito di materiali militari e di difesa, come stabilito dall'articolo 2, punto 2 del Memorandum, ma anche le operazioni umanitarie, l'organizzazione delle forze armate e la gestione del personale, la formazione e l'addestramento, i servizi medici militari; l’import e l’export di sistemi d'arma sono dunque l'essenza delle consolidate relazioni tra Roma e Tel Aviv, ancorché in palese violazione della legge italiana (legge 185 del 1990) che disciplina il commercio di tecnologie belliche e che vieta le vendite a paesi belligeranti o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali dei diritti umani; inoltre, in base all'articolo 3, comma 1, punto 2 di tale Accordo («Organizzazione e attuazione delle attività di addestramento e delle esercitazioni») i caccia israeliani svolgono periodicamente esercitazioni in Sardegna (base di Decimomannu e poligono aria-terra di Capo Frasca) e le prossime sono previste a settembre 2014, mentre i caccia italiani le svolgono nel deserto del Neghev, l'ultima delle quali nota come Blue Flag 2013 nel novembre dello stesso anno;
    l'attuazione della cooperazione nei settori militare e della difesa avverrà con lo scambio di dati tecnici, informazioni e hardware, conseguendo una migliore comprensione delle necessità militari e di difesa e delle relative soluzioni tecniche, tramite la cooperazione nella ricerca, nello sviluppo e nella produzione;
    l'articolo 9 concerne l'entrata in vigore, la durata e la modifica del Memorandum ed è previsto che esso può essere emendato, in qualsiasi momento, tramite Note Ufficiali e che esso resterà in vigore per cinque anni, prorogato automaticamente per periodi aggiuntivi di cinque anni in assenza di una notifica scritta dell'intenzione di denunciarlo inviata da una Parte all'altra;
    a tale accordo ne ha fatto seguito un altro: si tratta dell'accordo firmato nel luglio del 2012, durante il Governo Monti, e con il benestare dell'allora Ministro della difesa Di Paola, per la fornitura alle forze armate israeliane di 30 velivoli da addestramento avanzato M-346 «Master», prodotti da Alenia Aermacchi, e dei relativi sistemi operativi di controllo del volo, e all'Italia un sistema satellitare ottico ad alta risoluzione per l'osservazione della Terra (OPTSAT 3000) e di sottosistemi di comunicazione con standard Nato per alcuni velivoli dell'AMI e anche la fornitura di 2 velivoli da sorveglianza elettronica G550 CAEW del valore di 791 milioni di dollari;
    secondo i dati diffusi dall'Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa, l'Italia supera Francia e Germania messe insieme nell’export di armi verso Israele: «tra i Paesi dell'Ue siamo di gran lunga il primo fornitore di sistemi militari dello Stato israeliano, con un volume di vendite che è oltre il doppio di quello totalizzato da Parigi o Berlino. Anzi, da soli quasi eguagliamo Francia, Germania e Regno Unito»; il nostro Paese, sempre secondo questa analisi, è il maggiore esportatore dell'Unione europea di sistemi militari e di armi leggere verso Israele: si tratta di oltre 470 milioni di euro di autorizzazioni per l'esportazione di sistemi militari rilasciate nel 2012 (dati del Rapporto UE) e oltre 21 milioni di dollari di armi leggere vendute dal 2008 al 2012 (dati Comtrade). In percentuale, oltre il 41 per cento degli armamenti regolarmente esportati dall'Europa verso Israele sono italiani;
    è in atto da giorni, come è noto, una tragica escalation militare dell'occupazione israeliana dei territori palestinesi che, purtroppo, ha già causato la morte di oltre 1000 palestinesi e oltre 6000 feriti (secondo le stime delle organizzazioni umanitarie oltre 1/3 delle vittime sono donne e bambini), e la morte di oltre 50 tra militari e civili israeliani, anche se si tratta di numeri destinati purtroppo a cambiare giorno per giorno,

impegna il Governo:

   a procedere alla denuncia del Memorandum di cui alla legge 17 maggio 2005, n. 94 secondo le disposizioni previste dall'articolo 9 dello stesso, soprattutto per impedirne l'automatico rinnovo per il 2015;
   a procedere, nel frattempo, all'embargo immediato sulla vendita di sistemi d'arma allo Stato di Israele;
   a sospendere, nel frattempo, e con effetto immediato le procedure relative all'effettuazione delle esercitazioni di cui in premessa.
(1-00566) «Sibilia, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Scagliusi, Grande, Del Grosso, Nuti».

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    sul territorio italiano a partire dal secondo dopoguerra, comparti tradizionali della produzione industriale hanno subìto significative trasformazioni e pesanti contrazioni; in alcuni casi attività caratteristiche di territori geograficamente, marginali hanno subìto il sostanziale abbandono;
    un esempio rappresentativo di questo progressivo abbandono è costituito dalle attività estrattive e di processo connesse con l'industria mineraria del nostro Paese. In poco più di un decennio, tra la fine degli anni ’70 e l'inizio degli anni ’90 del secolo scorso, questo comparto industriale è pressoché scomparso dal panorama produttivo nazionale. Con la chiusura delle miniere è venuta a mancare non solo una parte dell'economia, ma si è conclusa una storia produttiva che in Italia, per continuità e per concentrazione, ha attraversato i millenni e segnato le trasformazioni sociali, dall'antichità fino alla fase contemporanea. Le miniere, il loro sfruttamento, gli insediamenti connessi ad esso, la lavorazione dei metalli sono state e inevitabilmente continuano ad essere, parti costitutive dell'identità e della storia nazionali;
    giacimenti minerari, miniere antiche e moderne, impianti e architetture della produzione, insediamenti umani e paesaggi che conservano le tracce antiche e recenti della storia della lavorazione dei metalli racchiudono dunque un valore storico, sociale e costituiscono un patrimonio culturale da valorizzare;
    tuttavia, a causa della rapidità e della vastità dei processi di dismissione delle attività industriali, gli strumenti, le metodologie e le strutture materiali connesse alla produzione, sono inevitabilmente soggette ad abbandono; esiste dunque il rischio concreto che il significato storico e sociale delle attività estrattive, le potenzialità di valorizzazione culturale delle tradizioni e dei luoghi, l'equilibrio ambientale, connesso con la messa in sicurezza delle miniere, vengano compromessi;
    un rischio aggravato dal fatto che ancora oggi in Italia si stenta ad attribuire valore culturale alle testimonianze delle produzioni in generale e di quella mineraria in particolare, che pure sono state determinanti per la storia e le trasformazioni del territorio: sviluppo e declino di antiche città in epoca classica, nascita e abbandono di villaggi minerari medioevali, sviluppo e declino della moderna industria metallurgica e siderurgica, ma anche imponenti trasformazioni del paesaggio, arte e produzione monumentale sono tutti episodi connessi allo sfruttamento delle risorse minerarie e alla lavorazione dei metalli che, nei secoli, hanno concorso a configurare l'economia, la storia sociale e urbanistica, la cultura e le tradizioni di buona parte del nostro Paese;
    poiché la vastità dei processi di dismissione e la complessità strutturale dei luoghi edificati a fini industriali, così come del sottosuolo, non consentono l'integrale conservazione dei beni minerari, occorre definire un quadro legislativo finalizzato a conoscere approfonditamente il patrimonio archeo-minerario, catalogarne gli elementi costitutivi, analizzarne i profili di interesse culturale. Dunque, in prima istanza, selezionare siti, impianti, architetture e paesaggi d'interesse storico per i quali è necessario intervenire con gli strumenti propri della tutela e della valorizzazione;
    in mancanza, in forma sistemica, di un indirizzo legislativo di livello nazionale, sono state numerose le iniziative locali volte alla conservazione della cultura archeo-mineraria. In alcuni casi sono state le regioni a promuovere ricerche sulle attività minerarie dismesse con lo scopo di suscitare attenzioni di tipo storico e possibili processi di recupero turistico-culturale;
    nel corso degli anni ottanta e novanta del secolo scorso, ad esempio, la regione Toscana, con la collaborazione delle università presenti sul territorio regionale, ha promosso un'importante ricognizione dei siti minerari e mineralogici finalizzata alla sensibilizzazione delle comunità locali sulla consistenza e sull'importanza di questo patrimonio. La regione Sardegna, con la collaborazione dell'Ente minerario sardo, in occasione della Conferenza generale dell'Unesco tenutasi a Parigi nel novembre 1997, ha proposto l'inserimento del parco geominerario storico e ambientale della Sardegna nella rete mondiale dei geositi e dei geoparchi;
    nel corso degli anni novanta e nei primi anni duemila si sono registrate, inoltre, iniziative diffuse in molte zone d'Italia (come ad esempio Piemonte, Lombardia, Toscana, Sardegna, Marche, Sicilia) con l'obiettivo di mantenere viva la memoria del lavoro minerario, prefigurando possibili scenari di recupero e di valorizzazione di tipo culturale;
    queste iniziative, che prendono consistenza anche sotto il profilo della forma organizzativa e della gestione, con una pluralità di modelli che vanno da atipici parchi istituiti con decreti nazionali, a consorzi di enti, alle società per azioni, fino a semplici associazioni, si sono comunque concretizzate in assenza di un quadro legislativo nazionale di riferimento che ne potesse orientare forme organizzative e strumenti operativi, a partire dal mancato riconoscimento del valore culturale delle testimonianze delle attività minerarie;
    soltanto nel 2004, con il Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, i siti minerari d'interesse storico ed etnoantropologico sono stati indicati tra i beni culturali da tutelare (articolo 10, comma 4, lettera h);
    la mancanza, però, di un quadro conoscitivo specifico da parte degli organi statali di questo settore fa sì che ancora oggi, a distanza di dieci anni dall'approvazione del citato codice, pochissimi siano stati i beni e i siti effettivamente vincolati;
    si tratta di lacune che richiedono un impegno straordinario dei Ministeri competenti, delle regioni e degli enti locali territoriali per colmare i vuoti legislativi e, soprattutto, per avviare il censimento, la valutazione e l'apposizione dei vincoli sul patrimonio archeo-minerario d'interesse culturale e paesaggistico di cui ancora disponiamo. Questo censimento rappresenta inevitabilmente un'azione propedeutica ed un punto di partenza imprescindibile per costruire una normativa organica di riferimento per l'intero comparto;
    in questo contesto va inoltre sottolineato come i soggetti pubblici che hanno intrapreso le iniziative di valorizzazione non dispongono comunque di specifici strumenti per la tutela dei beni che si propongono di salvaguardare. Se si escludono i siti minerari d'interesse storico, infatti, non esistono adeguate disposizioni legislative a supporto dei soggetti istituzionali che hanno l'obiettivo di tutelare i parchi minerari;
    negli anni scorsi, in mancanza di una normativa organica, sono stati comunque istituiti, attraverso singoli decreti ministeriali, alcuni parchi di carattere «minerario»:
     il Parco tecnologico ed archeologico delle Colline Metallifere Grossetane (istituito con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 28 febbraio 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 107 del 9 maggio 2002);
     il Parco museo minerario delle miniere di zolfo delle Marche (istituito con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 20 aprile 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 156 del 7 luglio 2005);
     il Parco museo delle miniere dell'Amiata (istituito con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 28 febbraio 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 102 del 3 maggio 2002);
     il Parco geominerario storico ed ambientale della Sardegna (istituito con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 16 ottobre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 14 novembre 2001);
    in questo contesto è significativo rimarcare che uno degli obiettivi prioritari dei parchi sopracitati sia stato quello di promuovere e realizzare la messa in sicurezza, il recupero dei manufatti e la tutela ambientale dei siti minerari dismessi. Non va infatti dimenticato che, in molte occasioni, l'istituzione di un parco minerario è stata il punto di arrivo di una complessa, strutturata e multifunzionale azione di recupero e bonifica di un ex sito produttivo. Un sito che diviene al tempo stesso testimone storico e culturale di un paesaggio antropizzato ed una opportunità di crescita e sviluppo economico e sociale in un territorio legato alle sue nuove e riscoperte peculiarità paesaggistiche, ambientali e faunistiche; complice una rinnovata e moderna interazione sostenibile fra uomo ed ambiente;
    va comunque specificato che tali organismi, pur godendo del riconoscimento di parchi nazionali, sono però estranei alla legge quadro nazionale sui parchi (Legge numero 394 del 1991), concepita per la tutela delle aree protette intese sostanzialmente come luoghi per la conservazione degli elementi naturali e della biodiversità: paesaggi, beni forestali, aree umide, fauna;
    tali tipologie di siti, al contrario, sembrano escludere, concettualmente, gli assetti territoriali scaturiti da attività produttive di tipo minerario, nate per interessi di natura economica e che hanno concorso in modo spesso dirompente ad alterare la «naturalità» del territorio;
    si tratta invece di aree che, con un'accezione più ampia di quella connessa alla sola naturalità dei beni protetti, possono tuttavia configurarsi come paesaggi antropizzati che meritano di essere tutelati per il loro valore storico-documentale e per le profonde interazioni tra il lavoro e le trasformazioni ambientali che questi rappresentano (oltre che per le grandi potenzialità di sviluppo sociale, economico ed occupazionale dei territori di riferimento);
    appaiono, quindi, evidenti i limiti della legislazione nazionale del settore che, anche quando ha previsto la possibilità di istituire parchi minerari, non ha concesso la possibilità a questi enti di approvare un proprio piano, prevalente su quello dei comuni che ricadono nel perimetro del parco. Anche i parchi minerari, dunque, a differenza dei parchi istituiti ai sensi della legge numero 394 del 1991, non dispongono di uno strumento autonomo di pianificazione e di tutela del patrimonio culturale e paesaggistico per il quale sono stati istituiti;
    emerge con tutta la sua urgenza, anche la necessità di colmare la lacuna normativa dei parchi minerari istituiti con decreti ministeriali attraverso il pieno riconoscimento di tali siti quali parchi nazionali, ai sensi della legge numero 394 del 1991, consentendo a tali istituzioni una dotazione di strumenti finanziari, direttivi e di programmazione stabili nel tempo per poter elaborare un piano gestionale, di attività e di recupero concreto, efficace e strutturato;
    sono presenti attualmente in Parlamento numerosi provvedimenti che prevedono modifiche alla legge 6 dicembre 1991, n. 394. In particolare l’iter dei seguenti testi è in avanzata fase di discussione presso le Commissioni competenti:
     alla Camera dei Deputati: «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali (collegato alla legge di stabilità 2014 – AC numero 2093 presentato dal governo)»;
     al Senato della Repubblica: «Nuove norme in materia di parchi e aree protette (AS numero 1034)»,

impegna il Governo:

   a promuovere, di concerto con i competenti organi statali e territoriali, il censimento dei beni geominerari nazionali d'interesse storico ed etnoantropologico di cui all'articolo 10, comma 4, lettera h) del decreto legislativo numero 42 del 2004 ai fini dell'avvio del procedimento di cui all'articolo 14 del medesimo provvedimento;
   a promuovere, per quanto di sua competenza, nel rispetto delle differenti prerogative costituzionali:
    a) il patrimonio tecnico-scientifico, storico-culturale e ambientale dei siti e dei beni dell'attività mineraria presenti su territorio nazionale, anche al fine di garantire il benessere economico e sociale dei territori interessati;
    b) il riconoscimento giuridico dei «beni geominerari» e i «parchi geominerari» incentivando, al tempo stesso, iniziative mirate di recupero e di conservazione dei siti e sostenendo attività educative, ricreative, di formazione e di ricerca;
    c) il riconoscimento, in via prioritaria e di concerto con gli enti locali e le comunità territoriali di riferimento, a parchi nazionali geominerari dei parchi citati in premessa («Parco tecnologico ed archeologico delle Colline Metallifere Grossetane», «Parco museo minerario delle miniere di zolfo delle Marche», «Parco museo delle miniere dell'Amiata», «Parco geominerario storico ed ambientale della Sardegna»), trasformando i relativi consorzi in enti parco ai sensi della legge numero 394 del 1991, incentivando l'approvazione di uno statuto comprensivo delle funzioni, delle modalità di designazione degli organismi dirigenti, degli strumenti normativi e di programmazione, e dell'individuazione dei divieti per attività e opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati;
   ad assicurare ai parchi geominerari nazionali riconosciuti, nel rispetto dell'ottimizzazione e della salvaguardia del bilancio dello Stato, risorse economiche e strutturali stabili nel tempo, capaci di consentire una programmazione funzionale delle attività e delle finalità degli enti stessi.
(7-00444) «Dallai, Sani, Arlotti».


   La X Commissione,
   premesso che:
    nel corso dell'incontro che si è svolto nella giornata del 9 luglio 2014 tra Eni e organizzazioni sindacali si sono rotte le trattative per quanto concerne il nuovo piano industriale, in particolar mondo nell'ambito del settore della raffinazione;
    l'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, ha evidenziato infatti gravi perdite nel settore a causa di un surplus europeo di raffinato, garantendo una prospettiva produttiva solo al sito di Sannazzaro, in provincia di Pavia, e di Milazzo, in provincia di Messina, per la quota che riguarda il gruppo;
    a rischio sono le raffinerie di Gela, Taranto, Livorno e Porto Marghera, oltre a una serie di impianti petrolchimici come Priolo e Brindisi;
    a Porto Marghera sono operative due raffinerie: Versailes e Raffinazione, che occupano complessivamente 600 unità lavorative;
    per la controllata Versailes – ex Polimeri Europa – era invece in essere il progetto del cracking della virginafta, oltre alla previsione di realizzare un impianto di chimica verde finalizzato a produrre biolubrificanti mediante brevetto di una multinazionale americana;
    la decisione dell'amministratore delegato di Eni verrebbe assunta in palese contraddizione con il piano industriale del management precedente dell'ex amministratore delegato Scaroni, che aveva assicurato una serie di investimenti proprio in alcuni dei siti oggi a rischio chiusura. A Gela erano infatti previsti 700 milioni di investimenti per produrre biocarburanti e realizzare impianti di chimica verde, mentre a Porto Marghera pareva garantita la continuità produttiva attraverso un piano di riconversione, con 100 milioni di euro di investimenti, per produrre olio vegetale da miscelare con il diesel, operazione, quest'ultima, in grado di salvare i due terzi dei posti di lavoro in essere;
    a seguito di queste notizie, i lavoratori degli impianti di Porto Marghera hanno esercitato il diritto di sciopero nei giorni 7 e 8 luglio 2014, bloccando la pipe line e le navi cisterna che forniscono gli impianti industriali emiliani e minacciando ulteriori proteste;
    un cambio così repentino di strategie industriali a distanza di pochi mesi rischia di pregiudicare quegli importanti segnali di rilancio dell'area di Porto Marghera e degli altri stabilimenti, tra cui quello di Gela, ponendo a rischio centinaia di posti di lavoro diretti nonché dell'indotto,

impegna il Governo

a richiamare Eni alla responsabilità e al rispetto degli impegni assunti, in modo che sia scongiurata la chiusura dei due impianti di Porto Marghera, Versailes e Raffinazione, e sia altresì garantita la continuità delle attività negli impianti di Gela, Taranto, Livorno, Priolo e Brindisi e sia assicurato il prosieguo degli investimenti che erano stati annunciati solo pochi mesi fa, anche attraverso politiche di riconversione e investimenti nella chimica verde.
(7-00445) «Lacquaniti, Zan».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il cabotaggio disciplinato nell'Unione europea dal Regolamento (CE) n. 1072/2009 — è la pratica legata al trasporto merci su strada che consente a un vettore comunitario di effettuare, in uno Stato membro diverso da quello di residenza, tre trasporti interni dopo aver compiuto quello internazionale;
   il ricorso al cabotaggio attualmente non è ammesso per la sola Croazia, entrata a far parte, dell'Unione il primo luglio 2013;
   l'introduzione di questa pratica ha avuto conseguenze drammatiche per le aziende di trasporto italiane che operano nelle Regioni frontaliere come il Friuli Venezia Giulia dove — secondo le stime di Confartigianato — negli ultimi 7 anni sono state chiuse 500 imprese di trasporto soprattutto a causa della concorrenza di aziende slovene che beneficiano di costi minori di esercizio, circa il 30 per cento;
   per contrastare l'abuso del cabotaggio in Friuli Venezia Giulia, visto che molto spesso gli spedizionieri comunitari non rispettano il limite dei tre trasporti interni, si è svolto a Trieste, come riportato dal quotidiano Il Messaggero veneto del 21 luglio scorso, un vertice tra rappresentanti di Confartigianato trasporti Fvg e il prefetto Francesca Adelaide Garuffi;
   durante l'incontro il presidente di Confartigianato trasporti Fvg Pierino Chiandussi ha chiesto più controlli sulle strade da parte delle forze dell'ordine — con una proporzione di un camion italiano ogni 12 stranieri da sottoporre a verifiche — soprattutto nei confronti di veicoli provenienti da Paesi che effettuano stabilmente la pratica del cabotaggio, oltre a proporre l'estensione delle verifiche anche alla committenza;
   il prefetto ha confermato la disponibilità ad aumentare i controlli sui mezzi che, oltre ad essere effettuati dalle forze di polizia, potrebbero coinvolgere anche altre istituzioni, soprattutto quelle che operano sul versante dei contratti di lavoro;
   l'interrogante ha già presentato in materia l'atto di sindacato ispettivo n. 4-05274, con il quale ha fatto presente la necessità di ricorrere alla clausola di sicurezza sul cabotaggio;
   quest'ultima, prevista dallo stesso Regolamento CE n. 1072/2009, stabilisce che in caso di grave perturbazione del mercato dei trasporti nazionali all'interno di una determinata zona geografica, lo Stato membro possa richiedere alla Commissione Ue l'applicazione della cosiddetta «Procedura di salvaguardia», cioè la sospensione del cabotaggio per un periodo di sei mesi, prorogabile per altri sei una sola volta;
   l'abuso del cabotaggio non riguarda solo l'Italia, come testimoniato da un articolo pubblicato dal portale Trasporto Europa il 16 giugno 2014, che annuncia la decisione del Governo belga di portare da 55 a 1.500 euro la multa nei confronti delle imprese di autotrasporto straniere che effettuano questa pratica e che non presentano i documenti relativi alla spedizione sulla regolarità delle loro attività. Secondo l'articolo, «alcune stime rivelano che in Belgio sarebbero stati persi circa quattromila posti di lavoro tra gli autisti dal 2008 a oggi, a causa del cabotaggio terrestre, svolto spesso dalle filiale dell'Est delle stesse imprese belghe»;
   è inaccettabile consentire l'abuso del cabotaggio che ormai da anni sta danneggiando gravemente il settore del trasporto merci in Friuli Venezia Giulia e nelle altre regioni transfrontaliere –:
   se l'Esecutivo intenda rivolgersi immediatamente alla Commissione europea per l'adozione della clausola di salvaguardia sul cabotaggio terrestre, sospendendolo per sei mesi in considerazione delle gravi ed evidenti distorsioni di mercato in atto;
   se saranno adottate, e rese applicabili da subito, misure urgenti per promuovere ed incentiva e controlli mirati e azioni coordinate tra forze di polizia, prefetture e motorizzazione per garantire l'efficacia delle stesse verifiche. (4-05730)


   ARLOTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, come modificato dall'articolo 2, comma 158, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, prevede che l'autorizzazione unica alla costruzione e all'esercizio degli impianti a fonti rinnovabili offshore è rilasciata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sentiti il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e previa concessione d'uso, del demanio marittimo da parte della competente autorità;
   con la circolare n. 40 serie II del 5 gennaio 2012 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – direzione generale per i porti «Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative fonti energetiche rinnovabili – decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 Articolo 12 così modificato dall'articolo 2, comma 158, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008)» sono state predisposte le linee guida operative per favorire una razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative di impianti offshore di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili;
   tale circolare al fine di offrire le indicazioni operative necessarie agli enti destinatari, si sofferma tra l'altro sull'individuazione degli assensi da conseguire e degli enti da convocare nelle conferenze di servizi inerenti ai procedimenti di rilascio della concessione demanio marittima e dell'autorizzazione unica;
   ciò nonostante, come riconosce la risposta scritta data dal viceministro dello, sviluppo economico prof. De Vincenti  all'interrogazione n. 4-05350 del 2 luglio 2014 presentata dal sottoscritto, «non possono sottacersi le problematiche che riguardano i procedimenti per l'autorizzazione degli impianti eolici offshore. Le cause vanno indubbiamente ricercate nelle criticità ambientali e paesaggistiche che spesso sono legate a tali installazioni»;
   di fatto, accade che l'effetto semplificazione auspicato dalla citata circolare in realtà non si è verificato, e il MIBAC risulta fino ad oggi avere dato sempre parere negativo a tutte le domande presentate ed esaminate in sede di valutazione di impatto ambientale, parere spesso fondato sull'interposizione visiva degli impianti rispetto alle visuali paesaggistiche –:
   se per affrontare le problematiche evidenziate non si ritenga necessario promuovere un coinvolgimento pieno, oltre che del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (quale amministrazione procedente), del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, anche promuovendo un confronto istituzionale con le amministrazioni competenti a vario titolo sul piano autorizzativo;
   se non sia opportuno valutare, in sede di confronto, la possibilità di introdurre una forma di consultazione allargata sul modello del francese debat public e soprattutto un sistema che consenta di individuare ex ante le aree non compatibili (come peraltro già in vigore per l'eolico onshore e proposto dagli operatori del settore);
   se non si ritenga necessaria una revisione della suddetta circolare n. 40 del 2012. (4-05733)


   LUIGI DI MAIO, RIZZO, MANLIO DI STEFANO, BASILIO, ARTINI, TOFALO e FRUSONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'abuso della decretazione d'urgenza è senza dubbio uno dei mali più gravi del sistema normativo italiano ed uno dei maggiori responsabili della pessima qualità della legislazione italiana; a questo proposito, i ripetuti richiami del Capo dello Stato sono rimasti inascoltati e, da ultimo, è intervenuta la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 32 del 2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies ter, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272 (cosiddetto decreto Olimpiadi di Torino), come convertito dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 (cosiddetto Fini-Giovanardi), per violazione dell'articolo 77 della Costituzione, ovvero per difetto di omogeneità, e quindi di nesso funzionale, tra le disposizioni originarie del decreto-legge e quelle impugnate, introdotte nella legge di conversione;
   da questo punto di vista, negli ultimi anni non vi è stato Presidente del Consiglio che, al momento dell'insediamento, non si sia impegnato a ridurre drasticamente l'utilizzo della decretazione d'urgenza, salvo poi nei fatti porre in essere comportamenti sempre più gravi rispetto ai predecessori;
   anche il Governo Renzi non sfugge a questa regola: secondo quanto si apprende da fonti di stampa, la media mensile dei decreti-legge dal Governo Prodi II all'attuale Esecutivo è passata da 1,99 a 3,33 al mese, passando per 1,89 del Governo Berlusconi IV e 2,66 del Governo Monti e 2,55 del Governo Letta;
   la responsabilità di questa disdicevole prassi viene fatta ricadere su presunte inefficienze del nostro ordinamento, per cui il Governo non sarebbe dotato dei necessari strumenti per legiferare in tempi rapidi. Tuttavia, negli ultimi anni l'esercizio della decretazione d'urgenza ha dimostrato che anche quando le norme si scrivono nelle segrete stanze dei ministeri ed entrano in vigore il giorno successivo alla loro pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ciò conduce a tutt'altro che ad un miglioramento della qualità delle norme; tutto questo dovrebbe indurre il Governo a realizzare che le problematiche legate alla qualità della legislazione italiana non sono da ricondurre a questioni di ordine istituzionale, ma a inadeguatezze della classe politica connesse soprattutto alla eterogeneità delle maggioranze parlamentari;
   peraltro, negli ultimi mesi, con il Governo Renzi si sta aggravando anche un'altra deleteria prassi, che il gruppo parlamentare del Movimento Cinque Stelle ha già peraltro denunciato con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-04101 dello scorso 19 marzo alla quale purtroppo non è ancora stata data risposta; infatti, sempre più tempo intercorre tra la delibera del testo del decreto-legge da parte del Consiglio dei ministri (cui segue una pomposa campagna di stampa) e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del testo medesimo, lasciando sullo sfondo inquietanti interrogativi circa il reale oggetto delle delibere del Consiglio dei ministri e un alone di oscuro mistero sui reali estensori dei decreti-legge;
   si segnalano, da questo punto di vista, molti casi, alcuni dei quali clamorosi, come quello del decreto-legge 12 maggio 2014, n. 74 (recante Misure urgenti in favore delle popolazioni dell'Emilia-Romagna colpite dal terremoto e dai successivi eventi alluvionali verificatisi tra il 17 ed il 19 gennaio 2014, nonché per assicurare l'operatività del Fondo per le emergenze nazionali) deliberato il 18 aprile e pubblicato dopo ben 24 giorni; per non parlare del decreto-legge 12 maggio 2014, n. 73, recante misure urgenti di proroga di commissari per il completamento di opere pubbliche, che è stato deliberato nel Consiglio dei ministri del 31 marzo 2014 e poi nuovamente deliberato nella riunione del 30 aprile 2014 e non si comprendono la necessità e l'urgenza di un provvedimento che può attendere 42 giorni per la sua pubblicazione;
   infine, si segnala che l'ultimo decreto-legge sulle missioni internazionali prevedeva il rifinanziamento fino allo scorso 30 giugno. Secondo quanto si apprende dal sito web della Presidenza del Consiglio, un nuovo decreto-legge sarebbe stato deliberato dalla riunione del Consiglio dello scorso 23 luglio. A parere degli interroganti, sarebbe opportuno avviare una profonda riflessione politica sull'opportunità di tali missioni e sullo strumento con cui vengono normate. Tuttavia, poiché nessun decreto-legge è stato ad oggi pubblicato con riferimento a tali missioni, gli interroganti debbono constatare che dallo scorso 1o luglio centinaia di militari italiani nel mondo sono privi di una copertura legislativa al loro operato –:
   se il Governo non ritenga di limitare il ricorso alla decretazione d'urgenza;
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative affinché tra la deliberazione del decreto-legge e la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale intercorrano tempi ragionevoli conformemente allo spirito della normativa vigente;
   quali intenzioni il Governo abbia in ordine alla pubblicazione del decreto-legge deliberato dal Consiglio dei ministri dello scorso 23 luglio 2014 in merito alle missioni internazionali. (4-05735)


   LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa e da segnalazioni pervenute all'interrogante, gli agenti del commissariato di pubblica sicurezza di Sessa Aurunca il 24 aprile 2014 hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro preventivo dell'intero impianto del campo sportivo ubicato nella frazione San Castrese di Sessa Aurunca;
   secondo quanto riportato dalla stampa locale, la ragione di tale sequestro sarebbe legata alla necessità di salvaguardare la pubblica incolumità impedendo l'accesso alla struttura sportiva essendone stata accertata la non agibilità;
   tale sequestro ha inferto un danno molto pesante alla comunità sportiva della zona, che si è trovata priva di un punto di aggregazione sportiva di grande importanza;
   il caso potrebbe non essere isolato e riguardare anche altre realtà territoriali –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a possibili rischi per la pubblica incolumità connessi alla fruizione degli impianti sportivi sul territorio nazionale e se non intenda assumere iniziative volte a promuovere, in collaborazione con gli enti locali, un programma straordinario di interventi per riqualificare le strutture sportive pubbliche. (4-05740)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MICILLO, MANNINO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la città di Cinisello Balsamo (Milano) è compresa tra due autostrade, la A4 e la A52, e dalla Strada Statale 36 «del lago di Como e dello Spluga», sulle quali transitano mediamente 250.000 veicoli/giorno o 91.250.000 all'anno;
   Autostrade per l'Italia, in qualità di cessionario del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha in corso il potenziamento dell'autostrada A4 con la realizzazione della quarta corsia dinamica in territorio di Cinisello Balsamo senza prevedere sistemi di abbattimento o mitigazione degli inquinanti che ricadono sui cittadini, soprattutto nel parco regionale Nord Milano dove migliaia di persone, soprattutto bambini, sono esposti a inalazione di dosi massicce di PM a causa dei circa 140.000 veicoli in transito giornalmente su questa infrastruttura;
   la regione Lombardia ha in corso un accordo di programma con il comune di Cinisello Balsamo per la realizzazione, nel territorio comunale, del nuovo capolinea della metropolitana 1 (linea rossa) e conseguente ridefinizione della destinazione d'uso delle aree circostanti che vedranno nuovi insediamenti commerciali/terziari per oltre 100.000 metri quadrati di superficie lorda di pavimento (SLP) strutture commerciali e infrastrutture che attrarranno nel territorio comunale non meno di altri 50.000 veicoli giorno senza che nessuna istituzione abbia ancora valutato il traffico indotto dal nuovo capolinea M1 e dalle limitrofe realizzate/realizzando strutture commerciali/terziarie che, si evidenzia, occuperanno circa 150.000 metri quadrati di superficie lorda di pavimento;
   l'8 maggio 2013 la Commissione europea ha avviato a procedura di infrazione verso l'Italia (n. 2013/2022) – ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea – per violazione del diritto dell'Unione europea in relazione alla non corretta attuazione degli obblighi previsti dagli articoli 7, 8 e 10 della direttiva 2002/49/CE, relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale;
   la citata norma comunitaria dispone che gli Stati membri assicurino: ai sensi dell'articolo 7, la predisposizione, al 30 giugno 2007, di mappe strategiche e mappature acustiche relative (...) a tutti gli assi stradali principali su cui transitano più di 6.000.000 di veicoli all'anno (a Cinisello Balsamo la A4, la A52 e la Strada Statale 36 «del lago di Como e dello Spluga» superano, ognuna, abbondantemente questo limite);
   lo studio «ESCAPE» (European Study of Cohorts for Air Pollution Effects), pubblicato a fine 2013 prima su Lancet Oncology e poi su The Lancet, ha evidenziato che per ogni 5 microgrammi per metro cubo di esposizione annua a inquinamento da PM2,5, il rischio di morire per cause naturali, legate all'inquinamento, aumenta del 7 per cento. Nella città di Cinisello Balsamo il limite medio per questo inquinante è di 30 microgrammi per metro cubo;
   nel Piano sanitario nazionale 2006-2008, con particolare riferimento al punto 5.12 (tutela della salute in relazione all'inquinamento atmosferico), vengono ribadite le emergenze sanitarie del piano sanitario precedente connesse con la qualità dell'aria ambiente e, in particolare, si legge al paragrafo intitolato «inquinamento atmosferico e qualità dell'aria» che «Sulla base degli studi epidemiologici condotti in ambito internazionale ed italiano, si può affermare con assoluta certezza che all'inquinamento atmosferico è attribuibile la diminuzione della speranza di vita dei cittadini che vivono in aree con livelli di inquinamento elevato, e che non sembra esserci una soglia al di sotto della quale non si osservano danni» e ancora in un passo immediatamente successivo «... la gravità degli effetti sulla salute umana, sia a breve che a lungo periodo, di questi inquinanti è direttamente proporzionale alla concentrazione degli inquinanti, al tempo e/o modalità di esposizione e la associazione con ulteriori fattori di rischio può rafforzare considerevolmente l'entità dei singoli rischi»;
   la legge n. 615 del 1966 e il decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 e l'articolo 4 legge 833 del 23 dicembre 1978. La legge 13 luglio 1966 n. 615 (Provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico) individua «l'aria, come risorsa, il bene giuridico da proteggere». La legge si applica a tutte le emissioni in atmosfera di fumi, polveri, gas e odori di qualsiasi tipo e provenienza «atti ad alterare le normali condizioni di salubrità dell'aria e di costituire pertanto pregiudizio diretto o indiretto alla salute dei cittadini e da o ai beni pubblici o privati», inoltre, in particolare sull'inquinamento atmosferico da veicoli, il decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 e l'articolo 4 della legge n. 833 del 1978 configurano i limiti stabiliti dai regolamenti come limiti inderogabili;
   il comune di Cinisello Balsamo risulta inserito nell'area A (la più critica) del Piano regionale di tutela e risanamento atmosfera che prevede: 1) azioni di risanamento da attuare in quelle parti del territorio in cui vi sono situazioni di criticità, dove si intende mettere in atto misure volte ad ottenere il rispetto degli standard di qualità dell'aria; 2) prevenzione e mantenimento dei livelli di qualità dell'aria laddove non si ha o condizioni di criticità con attuazione di misure volte ad evitare un deterioramento delle condizioni esistenti;
   il comune di Cinisello Balsamo ha recentemente approvato il piano di governo del territorio (PGT) che prevede tra l'altro l'edificazione residenziale per circa 3000 abitanti in aree vicinissime alle infrastrutture A4, A52 e SS36, già soggette oggi a superamenti continui di inquinanti atmosferici e acustici –:
   se il Governo non ritenga opportuno adottare delle iniziative, nell'ambito di propria competenza, al fine di tutelare la salute e l'incolumità pubblica della popolazione di Cinisello Balsamo ed evitare che l'Italia incorra in ulteriori sanzioni della Commissione europea, a causa del mancato rispetto dei previsti standard comunitari sulla qualità dell'aria, in città come Cinisello Balsamo. (5-03362)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si è appreso della conclusione delle indagini condotte dalla procura di Ancona in collaborazione con il Gico della Guardia di finanza ed il Corpo forestale dello Stato sulle procedure per il rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione di sette centrali a biogas che, secondo l'accusa, sarebbero state realizzate senza valutazione di impatto ambientale e con procedure «accelerate», la cosiddetta inchiesta sul biogas;
   tra gli imputati il dirigente della regione Luciano Calvarese;
   allo stesso Calvarese è stato anche contestato il reato di abuso di ufficio in relazione alle procedure per l'installazione e l'esercizio di un impianto eolico da 34 megawatt nell'area MC1 (DGR 336/06) nei comuni di Montecavallino, Pievetorina, Serravalle del Chienti, all'interno della comunità montana di Camerino, sulla base di un accordo di programma tra la regione e la stessa comunità montana con il contributo e l'appoggio della provincia di Macerata;
   un abuso che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato commesso in concorso con l'allora responsabile del progetto;
   secondo gli inquirenti la comunità montana di Camerino avrebbe affidato in concessione la costruzione e la gestione del parco alla Valli Varanensi srl, una società a capitale interamente pubblico composta da 13 comuni;
   la concessione, secondo la procura, sarebbe illegittima in quanto non furono utilizzate procedure di evidenza pubblica, bensì l'affidamento diretto;
   la Valle Varanensi avrebbe poi, a sua volta, affidato lo studio anemometrico e la costruzione dell'impianto ad un'altra società, la En.It;
   alla En.It. sarebbero cointeressate altre due società, una delle quali – la Bluenergy di Osimo – si ipotizza sia riconducibile al maceratese Diego Margione, a sua volta legato allo stesso dirigente regionale Luciano Calvarese «da rapporti personali e societari» attraverso un'altra società: la Geiwatt srl. L'operato messo in atto avrebbe procurato un indebito vantaggio patrimoniale tale da integrare il reato di abuso d'ufficio ex articolo 323 codice penale;
   allo stesso Calvarese, sempre in merito al parco eolico di Camerino, viene anche contestato di aver favorito indebitamente le ditte coinvolte davanti al dissenso espresso dalla sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, sia nel 2008 che nel 2009, in contrasto con il parere paesaggistico favorevole espresso dalla regione;
   secondo gli inquirenti, Calvarese, anziché concludere la procedura o rivolgersi alla Conferenza Stato-regioni per un eventuale composizione del contrasto sorto tra la regione Marche e la sovrintendenza, convocò a metà dicembre del 2011 una conferenza dei servizi decisoria, attestando «falsamente» che vi fosse stata una formale sospensione del procedimento;
   la realizzazione del predetto parco eolico era stata in un primo tempo bloccata per effetto della sentenza del 25 luglio 2013, con la quale il TAR Marche, in accoglimento del ricorso n. 805/2012 di Italia Nostra, aveva disposto l'annullamento della delibera del Consiglio dei ministri del 30 aprile 2012, adottata ai sensi dell'articolo 14-quater della legge n. 241 del 1990 e dell'articolo 5, comma 2, lettera c-bis della legge 23 agosto n. 400 del 1988, che aveva autorizzato la realizzazione del progetto, così superando il dissenso espresso dalla soprintendenza nella conferenza di servizi, secondo le disposizioni e le procedure di cui agli articoli 12, comma 3, del decreto legislativo n. 387 del 2003, 14-ter, comma 4, e 14-quater della legge n. 241 del 1990, nonché ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera c-bis, della legge 23 agosto n. 400 del 1988;
   l'articolo 12, comma 3, del decreto legislativo n. 387 del 2003 dispone che «la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, sono soggetti ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione o dalle province delegate, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico. A tal fine la Conferenza dei servizi è convocata dalla regione entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione»;
   in un'ottica di semplificazione l'autorizzazione unica è sottoposta in via ordinaria alla conferenza di servizi di cui alla legge n. 241 del 1990, alla quale partecipano tutte le amministrazioni interessate;
   l'articolo 14-ter comma 4 della legge n. 241 del 1990 prevede infatti che «fermo restando quanto disposto dal comma 4-bis nei casi in cui sia richiesta la VIA, la conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima ed il termine di cui al comma 3 resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, fino all'acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale. Se la VIA non interviene nel termine previsto per l'adozione del relativo provvedimento, l'amministrazione competente si esprime in sede di conferenza di servizi, la quale si conclude nei trenta giorni successivi al termine predetto. Tuttavia, a richiesta della maggioranza dei soggetti partecipanti alla conferenza di servizi, il termine di trenta giorni di cui al precedente periodo è prorogato di altri trenta giorni nel caso che si appalesi la necessità di approfondimenti istruttori. Per assicurare il rispetto dei tempi, l'amministrazione competente al rilascio dei provvedimenti in materia ambientale può far eseguire anche da altri organi dell'amministrazione pubblica o enti pubblici dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero da istituti universitari tutte le attività tecnico-istruttorie non ancora eseguite. In tal caso gli oneri economici diretti o indiretti sono posti a esclusivo carico del soggetto committente il progetto, secondo le tabelle approvate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze»;
   l'articolo 14-quater della medesima legge n. 241, rubricato «effetti del dissenso espresso nella conferenza di servizi», al comma 1 dispone che «il dissenso di uno o più rappresentanti delle amministrazioni, regolarmente convocate alla conferenza di servizi, a pena di inammissibilità, deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza medesima e deve recare le specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell'assenso» (comma 1), mentre al comma 5 precisa che «nell'ipotesi in cui l'opera sia sottoposta a VIA e in caso di provvedimento negativo trova applicazione l'articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge 23 agosto 1988, n. 400, introdotta dall'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303»; a sua volta il richiamato articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge 23 agosto n. 400 del 1988 disciplina il procedimento per il superamento del dissenso manifestato da una delle amministrazioni interessate nella conferenza di servizi, prevedendo che il Presidente del Consiglio dei ministri «può deferire al Consiglio dei ministri, ai fini di una complessiva valutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti, la decisione di questioni sulle quali siano emerse valutazioni contrastanti tra amministrazioni a diverso titolo competenti in ordine alla definizione di atti e provvedimenti»; il Consiglio dei ministri si esprime sulla questione con delibera che, poi, viene inviata al Ministero competente perché adotti il provvedimento di recepimento;
   in pratica, qualora in sede di conferenza di servizi venga manifestato un dissenso da parte di un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, il dissenso può essere superato tramite rimessione della questione al Consiglio dei ministri che, nel rispetto dei principio di leale collaborazione previsto dall'articolo 120 Cost., adotta il provvedimento finale;
   la citata sentenza del TAR Marche è stata quindi riformata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 2999 del 2014, in accoglimento del ricorso n. 6922/2013 della comunità montana di Camerino;
   i giudici di palazzo Spada hanno cioè ritenuto pienamente legittimo l’iter procedurale seguito ed, in particolare, legittima la delibera del Consiglio dei ministri del 30 aprile 2012 con cui è stata autorizzata la realizzazione del Parco eolico in quanto «il Consiglio dei ministri si è avvalso del potere conferitogli dalla legge quale organo di ultima istanza in chiave semplificatoria svolgendo un apprezzamento che è di alta amministrazione, pur nel rispetto e nella valutazione di quanto espresso dalle amministrazioni interessate, con speciale riguardo alla tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico (...) (...) valutazione di fronte alla quale si arresta il sindacato del giudice amministrativo, il quale non può entrare nel merito delle scelte dall'amministrazione se non per profili di palese illegittimità, contraddittorietà e irragionevolezza» –:
   se risulti agli atti e se possano chiarire sulla base di quali elementi valutativi il Consiglio dei ministri abbia ritenuto superabili le obiezioni della sovrintendenza per i beni architettonici e paesaggistici. (5-03367)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CANCELLERI, COLLETTI, DE ROSA, AGOSTINELLI e VACCA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'Ente parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, l'incarico provvisorio di dirigente del parco è rinnovato da 10 anni. Maranella è il direttore facente funzioni. Giornalista, ex assessore in provincia di Teramo, ebbe un contratto di tre mesi nel 2004 per ragioni di urgenza ma successivamente vi sono state ventotto proroghe;
   così l'incarico dirigenziale temporaneo al dipendente di un ente diventa stabile con una retribuzione lorda annua di 83 mila euro, come scritto sul sito dell'ente parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga;
   ad apporre la firma sull'ultima proroga, qualche settimana fa, è stato un altro collega Arturo Diaconale, presidente del parco. Entrambi sostituiscono nei poteri il Consiglio direttivo dell'ente parco, scaduto nel 2007 e mai rinominato e amministrano un'area protetta che copre tre regioni (Abruzzo, Lazio e Marche), cinque province (L'Aquila, Teramo, Pescara, Rieti ed Ascoli Piceno) e 44 comuni;
   il direttore del parco è nominato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e scelto in una rosa di tre candidati proposti dal consiglio direttivo tra gli iscritti a un albo di idonei a cui si accede mediante concorso per titoli;
   lo stesso Maranella dichiara al Corriere della Sera che l'albo è superato in quanto non aggiornato;
   il presidente Diaconale si è giustificato adducendo sostenendo che «l'albo dei direttori è in disuso da parecchi anni tanto da essere uno dei punti su cui si concentra la richiesta di modifica della legge»;
   il presidente del parco Arturo Diaconale il 23 giugno 2013 ha deliberato (delibera 18/2013 del 27 giugno 2013) l'avvio delle procedure di selezione pubblica per titoli per l'individuazione di una nuova terna di nominativi tra gli aventi diritto iscritti all'albo nazionale, demandando lo stesso direttore facente funzioni Maranella all'espletamento delle procedure concorsuali;
   come risulta nella delibera sopra richiamata, l'ultimo consiglio direttivo rimasto in carica prima del commissariamento del parco e la successiva nomina di Diaconale con delibera n. 1 del 20 gennaio 2006, a seguito dell'avviso pubblico emanato per la nomina del direttore del parco, aveva fatti propri gli atti presentati dalla commissione nominata con delibera del consiglio direttivo n. 32/05 del 18 ottobre 2005 formulando, in esecuzione a quanto previsto nell'articolo 9, comma 11, della Legge 6 dicembre 1991, n. 394 e successive modificazioni e integrazioni, la terna di nomi dei candidati da proporre al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la successiva nomina del direttore del parco;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è risultato inadempiente rispetto a tale proposta non provvedendo per diversi anni a nominare uno dei tre selezionati aventi tutti i titoli di legge, senza peraltro provvedere ad annullare l'intera procedura;
   negli stessi anni venivano concesse proroghe al dottore Maranella in qualità di direttore facente funzioni senza che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sollevasse evidentemente obiezioni nonostante debba esercitare in base alla legge n. 394 del 1991 le funzioni di vigilanza sull'operato degli enti parco, con particolare riferimento all'affidamento di un incarico ad un soggetto privo del requisito dell'iscrizione all'albo;
   la già richiamata delibera del presidente del parco del 27 giugno 2013 ad un anno di distanza non appare essere stata attuata dallo stesso dirigente facente funzione che viene continuamente prorogato –:
   se corrisponda al vero che tale albo al momento delle proroghe era superato come sostiene il direttore facente funzioni e se nelle procedure amministrative esista la categoria delle norme «in disuso», visto che la legge sui titoli dei direttori non è stata ancora modificata;
   se risulti anche sulla base degli atti depositati, con quale atto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, quale ente competente alla nomina del direttore, abbia ufficialmente annullato la procedura di selezione avviata nel 2004;
   se ritenga la delibera del presidente del parco 18/2013 valida, sulla base della competenza ministeriale, ai fini dell'annullamento dell'intera procedura avviata nel 2004;
   ammessa e non concessa la validità amministrativa della deliberazione 18/2013 del presidente Diaconale, quali siano i motivi per i quali tale nuova procedura non sia stata attuata;
   quali siano le motivazioni che hanno portato, nelle more dell'espletamento della nuova procedura di selezione, a nominare nuovamente il dottore Maranella, in qualità di direttore facente funzioni e non un soggetto avente almeno tutti i titoli, ivi compresa l'iscrizione all'albo. (4-05738)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della desecretazione dell'audizione del pentito di camorra Carmine Schiavone del 7 ottobre 1997, sull'interramento e lo smaltimento illegale di rifiuti tossici, anche in Molise, vi è il sospetto che siano stati interessati alcuni vecchi pozzi di idrocarburi perforati a Cercemaggiore a seguito di una concessione della Montedison;
   a far scattare l'allerta sono state le dichiarazioni del pentito, collaboratore di giustizia, rilasciate in un'audizione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, tenutasi il 7 ottobre 1997. Una seduta ricca di spunti i cui atti — finora secretati — sono stati resi pubblici solo lo scorso 31 ottobre 2013;
   all'inizio del mese di aprile 2014 si è appreso da notizie apparse sulla stampa che nei vecchi pozzi petroliferi, e in particolare nelle vasche di accumulo, della Montedison a Cercemaggiore nel Molise i tecnici dell'Arpa Molise hanno misurato una radioattività dieci volte superiore ai valori normali;
   dalle analisi condotte anche mediante esame delle ortofoto storiche l'Arpam ha potuto rilevare che sull'area che si estende per circa 2,5 ettari, e che viene indicata con il nome di «Santa Croce 001», in origine insistevano elementi impiantistici tra cui serbatoi e vasche destinate alla decantazione delle acque di estrazione, per la successiva reiniezione nei pozzi di estrazione;
   analizzando la documentazione in suo possesso l'Arpam ha poi stabilito che in tali vasche venivano trattate non solo le acque provenienti da altri pozzi insistenti sul territorio di Cercemaggiore ma anche quelle provenienti da pozzi extra-regionali con chiaro riferimento alla Basilicata;
   valori elevati sono stati riscontrati anche nei luoghi attraversati dal fosso vernile che costeggia il sito indagato per uno sviluppo lineare di circa 1 chilometro. Le acque del fosso vengono poi sversate nel torrente Freddo con conseguente contaminazione di un'area molto vasta che è tuttora oggetto di attenzione da parte dell'Agenzia;
   il monitoraggio dell'ISPRA ha confermato i dati del precedente monitoraggio curato dall'Agenzia regionale;
   a tal proposito nei giorni scorsi, Quintino Pallante, direttore dell'agenzia regionale per la protezione ambientale riferisce le ultime novità sul caso dopo la visita dei tecnici ministeriali dell'Ispra: «I funzionari inviati dal ministero dell'Ambiente hanno confermato, con lo spettrometro, i valori di radioattività dieci volte superiore al normale già riscontrati da noi dell'Arpa, ma non si tratta di scorie di tipo industriale». In attesa della relazione ufficiale che arriverà tra una decina di giorni, Pallante ha voluto evidenziare come queste verifiche compiute siano solo «il primo passo di una procedura molto complessa» –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati abbiano intenzione di assumere al fine di prevenire la salute dei cittadini che vivono nella zona contaminata;
   quali iniziative, per le rispettive competenze, i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere al fine di ottenere un graduale disinquinamento e risanamento dei siti ove insistevano pozzi petroliferi, anche valutando la sussistenza dei presupposti per predisporre un apposito piano ambientale e di tutela della salute. (4-05739)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   BUSIN, BORGHESI. — Al Ministro dell’economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai fini della determinazione della rendita catastale per gli immobili ad uso produttivo la normativa prevede che la redditività media ordinaria di tali immobili sia individuata mediante stima diretta per ciascuna unità immobiliare (articolo 10 del regio decreto-legge n. 652 del 1939);
   la stessa normativa prevede che la stima possa essere eseguita con il metodo diretto o indiretto: il metodo diretto, che consiste nella comparazione con beni similari di cui si conoscano caratteristiche tecniche ed economiche (canone di locazione), trova difficilmente applicazione; il metodo indiretto, più frequentemente usato, fa di regola riferimento ad una valutazione in base al valore di ricostruzione (circolare 4T/2009);
   tale valutazione prevede l'individuazione delle componenti che concorrono a formare l'investimento di natura immobiliare, ed in particolare la valutazione degli impianti fissi, cioè dei macchinari ed impianti installati all'interno dell'immobile, incorporati nelle opere murarie, fissati al suolo o installati in via transitoria;
   è proprio sulla rilevanza di macchinari ed impianti situati all'interno degli immobili ai fini della determinazione della rendita che si verificano le maggiori difficoltà interpretative ed applicative, tanto da determinare un significativo numero di contenziosi;
   la direzione del catasto, con la circolare n. 3/2935 del 1990 ha avuto modo di stabilire che «le installazioni connesse od incorporate con i fabbricati (ad esempio un altoforno, una caldaia a vapore) concorrono certamente a determinare il valore della consistenza, e parimenti gli impianti stabilmente infissi (ad esempio una gru a ponte, un montacarichi); non si ritiene invece che rientrino tra le installazioni stabilmente infisse quelle che sono semplicemente imbullonate alle strutture murarie o comunque fissate in modo da essere rimovibili senza interventi sulle strutture del fabbricato (ad esempio una macchina utensile): pertanto, nella determinazione del valore da porre a base della rendita catastale, si dovranno comprendere le sole installazioni connesse all'immobile o quelle stabilmente infisse come sopra definite»;
   il più recente intervento di prassi è rappresentato dalla circolare dell'Agenzia del territorio-Direzione centrale catasto, n. 6 del 30 novembre 2012, nella quale si ribadisce che «nella determinazione della rendita catastale deve tenersi conto di tutti gli impianti che caratterizzano la destinazione dell'unità immobiliare, senza i quali la struttura perderebbe le caratteristiche che contribuiscono a definire la specifica destinazione d'uso e che, al tempo stesso, siano caratterizzati da specifici requisiti di immobiliarietà a prescindere dal sistema di unione utilizzato per il collegamento alla struttura»;
   numerosi sono stati i contenziosi avviati negli anni dai contribuenti, proprietari di fabbricati industriali, che non hanno accettato l'inclusione, da parte degli uffici dell'Agenzia delle entrate, del valore di determinati macchinari ed impianti nella stima per l'attribuzione della rendita catastale; la pronuncia della Corte costituzionale del 2008, ha precisato invece che la possibilità di separazione di un impianto dal suolo non esclude che esso possa mantenere la sua natura immobiliare;
   secondo la Corte, ai fini della determinazione della rendita catastale non è rilevante l'amovibilità o meno dell'impianto o del macchinario; il criterio determinante per decidere se l'impianto o il macchinario rileva ai fini della determinazione della rendita catastale del fabbricato industriale in cui si trova è invece se esso costituisce o meno una componente strutturale ed essenziale per la funzione complessiva ed unitaria del fabbricato industriale;
   la recente pronuncia della Corte costituzionale lascia aperte numerose difficoltà interpretative, in relazione alla definizione della natura strutturale ed essenziale del singolo macchinario o impianto;
   da un lato, la definizione offerta sembra rendere indispensabile una verifica tecnica caso per caso, dall'altro lato, il margine di discrezionalità della verifica tecnica e della valutazione da parte degli uffici provinciali dell'Agenzia delle entrate – che operano per lo più sulla base di elencazioni esemplificative ma non esaustive – comporta la mancanza di un quadro chiaro e una conseguente disomogeneità di trattamento sul territorio;
   nel complesso, la mancanza di certezza e di omogeneità nell'attribuzione della rendita dei fabbricati industriali comporta difficoltà interpretative ed applicative per le imprese, creando in materia contenzioso, particolarmente rilevante nel caso di stima di grandi complessi produttivi;
   la situazione di incertezza si è aggravata a seguito dell'iniziativa attribuita ai singoli comuni (oltre che agli uffici provinciali del territorio) per la determinazione della rendita catastale ai sensi della cosiddetta «procedura speciale» ex articolo 1, comma 336, della legge n. 3 del 2004. In base a tale procedura, nel caso di immobili non dichiarati ovvero sottoposti ad interventi di manutenzione straordinaria, i comuni possono notificare direttamente alle imprese la richiesta di aggiornamento delle rendite notificandone copia anche all'Agenzia delle entrate – Ufficio provinciale del territorio –:
   se e in qual modo intenda intervenire su tale problematica, al fine di limitare il quadro di incertezza e di discrezionalità operativa da parte di comuni, agenti della riscossione ed Agenzia delle entrate in merito al valore catastale dei fabbricati industriali e dei beni che vi si trovano. (5-03373)


   MORETTO, CAUSI. — Al Ministro dell’economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 343, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), istituisce un fondo, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, a decorrere dall'anno 2006, per indennizzare i risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, sono rimasti vittime di frodi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito;
   il Fondo è alimentato, previo versamento al bilancio dello Stato, dall'importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come dormienti all'interno del sistema bancario, nonché del comparto assicurativo e finanziario, definiti con regolamento adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze;
   con decreto del Presidente della Repubblica del 22 giugno 2007, n. 116, è stato emanato il regolamento di attuazione, con il quale si stabiliscono i criteri per la definizione dei conti cosiddetti dormienti e le modalità di rilevazione dei predetti conti e rapporti;
   a seguito di ulteriore modifica alla disciplina di riferimento, l'articolo 3 del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166, ha previsto che nel fondo di garanzia per le vittime di frodi finanziarie sopra citato, confluiscano, oltre ai rapporti definiti come dormienti, anche gli importi degli assegni circolari non riscossi entro il termine di prescrizione, gli importi delle polizze assicurative prescritte e gli importi dovuti ai beneficiari di buoni postali fruttiferi, emessi dopo il 14 aprile 2001 e non reclamati entro il termine di prescrizione del relativo diritto;
   una parte di tali rapporti è ancora a disposizione degli aventi diritto, poiché non ancora prescritta, mentre un'altra parte è costituita da rapporti prescritti sin dal momento in cui sono divenuti «dormienti» ed anche da rapporti «dormienti» successivamente prescritti in quanto decorso il termine utile per reclamarli;
   il Fondo destinato al risarcimento delle vittime di frodi finanziarie è stato negli ultimi anni utilizzato per scopi estranei alla originaria finalità quali, ad esempio, il finanziamento della cosiddetta social card, la stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione e il finanziamento del fondo esuberi di Alitalia;
   ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, è istituito presso la Consob il Fondo di garanzia per i risparmiatori e gli investitori, destinato all'indennizzo dei danni patrimoniali causati ai clienti a seguito dei dissesti degli intermediari cui si sono rivolti;
   detto fondo, a distanza di anni dalla sua istituzione, non è ancora operativo a causa della insufficiente dotazione finanziaria, essendo il fondo finanziato esclusivamente con il versamento della metà degli importi delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate per la violazione delle norme che disciplinano le attività degli intermediari;
   per migliorare il coordinamento e la gestione dei due citati fondi sarebbe auspicabile rafforzare il fondo di garanzia istituito presso la Consob, consentendone finalmente l'attivazione, anche prevedendo la possibilità di far confluire nel fondo di garanzia le disponibilità dei «rapporti dormienti» e ampliandone l'operatività al fine di indennizzare anche i risparmiatori vittime di frodi finanziarie –:
   a quanto ammontino complessivamente le risorse provenienti dai conti «dormienti» versate dagli intermediari al Ministero dell'economia e delle finanze e quante risorse del fondo siano attualmente disponibili, nonché quali iniziative, anche normative, intenda adottare per migliorare il coordinamento e la gestione dei due citati fondi, a tal fine prevedendo una adeguata integrazione delle dotazioni finanziarie necessaria al funzionamento, ovvero l'accorpamento dei due fondi, in modo da poter disporre concretamente delle risorse necessarie agli scopi previsti dalla legge. (5-03374)


    PAGLIA. — Al Ministro dell’economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 16 giugno 2014 scadeva il termine per il versamento, in unica soluzione, dell'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell'Irap e di eventuali addizionali sui maggiori valori iscritti in bilancio delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia derivante dalla riclassificazione contabile effettuata ai sensi del comma 6, primo periodo, dell'articolo 6 del decreto-legge n. 133 del 2013 (cosiddetto decreto «IMU-Bankitalia»);
   rispetto a quanto previsto dalla legge di stabilità per il 2014, che all'articolo 1, comma 145, prevedeva la rateazione triennale del suddetto tributo con scadenza entro il termine rispettivamente previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative agli anni 2013, 2014 e 2015, il decreto-legge n. 66 del 2014 (cosiddetto «Bonus Irpef»), al fine di realizzare nuove e più cospicue risorse, all'articolo 4, comma 6, oltre a prevedere il repentino e significativo innalzamento dell'aliquota del tributo, portandola dal 12 per cento al 26 per cento, ha escluso la dilazione e fissato il termine del versamento in unica soluzione, entro il 16 giugno 2014, coincidente con la scadenza del saldo delle imposte sui redditi dovute per il periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2013;
   a seguito dell'emanazione, il 24 febbraio 2014, della circolare n. 4/E dell'Agenzia delle entrate che chiarisce le modalità applicative della rivalutazione delle quote di partecipazione al capitale della Banca d'Italia e in conseguenza del fatto che sono state effettuate dai partecipanti al capitale le rivalutazioni nei bilanci 2013, il Governo è stato in grado di quantificare in modo puntuale le maggiori entrate derivanti dall'applicazione della suddetta imposta sostitutiva come rideterminata, tenendo conto della previsione di versamento in un'unica rata nel 2014; infatti, secondo la Relazione tecnica allegata al suddetto decreto-legge n. 66 del 2014, dalla disposizione di cui all'articolo 4 comma 12, si perverrebbe, grazie al versamento una tantum, ad un recupero di gettito pari a 1.794 milioni di euro per il solo anno 2014; ai fini della stima dei relativi effetti finanziari, la stessa Relazione tecnica prende a riferimento l'importo complessivo sul quale si applica l'imposta sostitutiva stimato in circa 6,9 miliardi di euro, sulla base delle informazioni relative agli importi indicati dai detentori delle quote nei propri bilanci 2013;
   la stima degli effetti finanziari associati alla disposizione era stata operata utilizzando dati effettivi di gettito e di adesione registrati con riguardo alla legge finanziaria per il 2007, che contemplava, all'articolo 1, comma 469, analoghe misure (rivalutazione dei beni d'impresa e versamento in tre rate di un'imposta sostitutiva su beni ammortizzabili); in relazione alla crisi economica ed alla carenza di liquidità, considerate le maggiori aliquote delle imposte sostitutive previste dalla legge di stabilità per 2014, era stata ipotizzata un'adesione inferiore del 15 per cento rispetto a quella registrata con riferimento alla legge Finanziaria per il 2007; la suddetta stima risente del numero di rivalutazioni che sarebbero avvenute su base volontaria in relazione a valutazioni di convenienza effettuate caso per caso, e il venir meno della rateazione triennale potrebbe rappresentare un fattore di minore attrattività; tali condizioni lasciano ragionevolmente ipotizzare un minor numero di adesioni rispetto a quelle stimate nella Relazione tecnica associata alla legge di stabilità per il 2014 –:
   se, alla luce di quanto premesso ed a 45 giorni dalla scadenza del termine del versamento, conosca il dato del relativo gettito e se questo sia in linea o si discosti dalle previsioni. (5-03375)


    BARBANTI, PESCO, RUOCCO, ALBERTI, VILLAROSA, CANCELLERI, PISANO. — Al Ministro dell’economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 24 dicembre 2007, n. 244, all'articolo 1, commi da 209 a 214, come modificata dalla lettera a) del comma 13-duodecies dell'articolo 10 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha introdotto nell'ordinamento giuridico italiano l'obbligo della fatturazione elettronica per le cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate da imprese e professionisti nei confronti delle pubbliche amministrazioni: a tal fine, è stato istituito il Sistema di interscambio (SdI) ovvero un sistema informatico di supporto alla ricezione e controllo delle fatture elettroniche, nonché al successivo inoltro alle amministrazioni destinatarie;
   con il decreto ministeriale del 3 aprile 2013, n. 55, in vigore dal 6 giugno 2013, sono state definite le regole tecniche attuative del regime di fatturazione elettronica, nonché individuate le date di decorrenza dell'obbligo di fatturazione distinguendole per classi di pubbliche amministrazioni; precisamente, l'obbligo di fatturazione elettronica è entrato in vigore lo scorso 6 giugno 2014 per Ministeri, Agenzie fiscali ed enti nazionali di previdenza e di assistenza sociale. Per le restanti amministrazioni centrali e locali, invece, l'obbligo scatterà dal 31 marzo 2015, così come previsto dall'articolo 25, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89; a decorrere dal 6 giugno 2014, dunque, i Ministeri, le Agenzie fiscali e gli enti nazionali di previdenza non possono più accettare fatture emesse o trasmesse in forma cartacea; dai tre mesi successivi a tale data, invece, non potranno nemmeno procedere al pagamento, neppure parziale, di quanto dovuto fino all'invio del documento in formato elettronico; si è previsto, in sostanza, un periodo di transizione di tre mesi, decorso il quale i fornitori non potranno più emettere ed inoltrare fatture in formato cartaceo e l'amministrazione non sarà tenuta al pagamento;
   per la regolare trasmissione della fattura elettronica, l'articolo 3 del decreto ministeriale citato prevede l'obbligo per le pubbliche amministrazioni destinatarie di individuare appositi uffici deputati alla ricezione delle fatture: in pratica, ciascuna pubblica amministrazione è tenuta ad inserire i detti uffici nell'indice delle pubbliche amministrazioni (IPA) ai fini dell'assegnazione di un codice univoco di identificazione; il codice univoco così assegnato, di cui deve essere data adeguata pubblicità, costituisce elemento identificativo della pubblica amministrazione destinataria della fattura elettronica e deve essere obbligatoriamente indicato dal fornitore nella fattura da inviare al Sistema di interscambio;
   ad oggi, nonostante l'obbligo della fatturazione elettronica sia in pieno vigore, il sistema di trasmissione delle fatture e di elaborazione dei processi di pagamento non risulta operativo: in particolare, come risulta anche da alcune segnalazioni avanzate alle amministrazioni competenti (tra cui la richiesta di sospensione della fatturazione elettronica, inoltrata il 10 luglio 2014 dall'Unione nazionale italiana magistrati onorari, pubblicata sul sito internet dell'associazione, il sistema di interscambio predisposto per la trasmissione delle fatture elettroniche alla pubblica amministrazione destinataria (nella specie, il Ministero della giustizia) non sarebbe funzionante per carenza delle corrette procedure informatiche e per mancanza di indicazioni agli uffici periferici; tale circostanza risulta confermata anche dagli uffici preposti alla ricezione delle fatture elettroniche (tra questi, l'Ufficio istituito presso la procura della Repubblica della corte di appello di Bologna, all'uopo contattato): dalle informazioni acquisite, infatti, vi sarebbero difficoltà tecniche per gli uffici periferici nel rilascio all'emittente della ricevuta di consegna della fattura elettronica trasmessa. Allo stato, dunque, il pagamento delle fatture elettroniche risulta bloccato;
   il sistema di interscambio, predisposto per la trasmissione delle fatture elettroniche alle amministrazioni destinatarie e per il rilascio delle ricevute di consegna, è gestito e amministrato direttamente dall'Agenzia delle entrate –:
   se sia a conoscenza delle descritte problematiche in merito alla trasmissione delle fatture elettroniche trasmesse, evidenziandone in particolare le cause, le pubbliche amministrazioni eventualmente interessate, nonché le misure adottate o che si intende adottare, anche al fine di garantire la celere corresponsione del corrispettivo fiscalmente documentato e contrattualmente previsto. (5-03376)

Interrogazione a risposta scritta:


   PETRAROLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Alenia Aermacchi, società controllata da Finmeccanica s.p.a., è la maggiore realtà industriale italiana in campo aeronautico ed è tra i più avanzati complessi mondiali nel suo settore. L'attuale Alenia Aermacchi è nata il 1o gennaio 2012 dalla fusione delle aziende del settore aeronautico di Finmeccanica in una sola società;
   in questi anni Alenia Aermacchi è cresciuta dai 10 operai addetti alla costruzione del primo monoplano Nieuport-Macchi del 1913 agli attuali 11.000 addetti, in gran parte tecnici e ingegneri di alta specializzazione, ed ha dato un portante contributo allo sviluppo sociale, economico e industriale del Paese e dei territori di riferimento dei propri stabilimenti produttivi;
   un altro marchio d'eccellenza è Agusta Westland, fondata dal Conte Giovanni Agusta pioniere dell'aviazione italiana, che riuscì a decollare con un aliante di sua costruzione il 14 febbraio 1910, nella piazza d'armi di Capua, trainato da un'automobile. Trasferitosi nel nord Italia, nel 1919 fondò la ditta Costruzioni Aeronautiche Giovanni Agusta S.A. L'officina in Italia fu inaugurata nel 1923 a Cascina Costa, in adiacenza al campo di volo di Cascina Malpensa. Nel 2000 si è fusa con la Westland Helicopters dando vita all’Agusta Westland. Nel 2013 ha partecipato al bando per la realizzazione del «Marine One», l'elicottero del Presidente statunitense Barack Obama, sebbene in seguito l'amministratore delegato di Agusta Westland Daniele Romiti, deciderà il ritiro dalla gara stessa;
   dal comunicato stampa del 19 giugno 2014 di Finmeccanica s.p.a. si viene a sapere che il consiglio di amministrazione, con il neo manager Mauro Moretti, ha approvato le nuove linee guida per l'attuazione del nuovo «Modello organizzativo ed operativo di gruppo», che si protrarrà per l'intero 2015, che prevede nell'immediato la realizzazione di interventi quali il trasferimento delle sedi legali e degli uffici degli amministratori delegati delle società interessate presso la sede di Finmeccanica e la razionalizzazione delle rappresentanze commerciali internazionali nei mercati chiave comprese le sedi legali di due importanti aziende, Alenia Aermacchi e Agusta Westland, dal varesotto a Roma;
   il nuovo «Modello organizzativo ed operativo di gruppo», in riferimento alla struttura del gruppo, prevede che le società del core business Aerospazio e Difesa possedute al 100 per cento, cioè Selex, Alenia Aermacchi, Agusta Westland, Wass e Oto Melara, diventino divisioni della nuova Finmeccanica, che resta capogruppo trasformandosi inoltre in società operativa con la diretta conseguenza del taglio dei consigli di amministrazione;
   il rischio che Aermacchi, marchio storico dell'aeronautica italiana, perda peso decisionale e personale, in quel di Venegono (sede legale della società) è una possibilità che si sta tentando di scongiurare con proteste da parte del territorio e dei sindaci, come ad esempio Attilio Fontana, Presidente di ANCI (Associazione nazionale comuni italiani) Lombardia e sindaco di Varese che ha dichiarato alla stampa (InInsubria 19 giugno 2014): «Sono sconcertato di fronte alla decisione del Governo di trasferire la sede legale dell'Alenia Aermacchi da Venegono Superiore a Roma, questa è l'ennesima dimostrazione di come questo esecutivo stia attuando una politica centralista a discapito delle autonomie locali»; già qualche giorno prima Emilio Paccioretti dichiarava che: «Il modello proposto da Finmeccanica non ha nulla di innovativo e rischia di depauperare il territorio e la cultura professionale più che centenaria della provincia di Varese, di Samarate e dei comuni attorno a Malpensa, snodo ideale per collocare un'industria aeronautica collegata con il mondo intero» (Varese News 30 giugno 2014);
   il nord Italia e in particolare la provincia di Varese hanno perso e stanno perdendo un numero crescente di aziende mettendo in cassa integrazione e/o licenziando operai, tecnici e dirigenti;
   la situazione è drammatica e non si intravede uno spiraglio di ripresa, il cambiamento di rotta annunciato e tanto atteso non è attualmente visibile –:
   in riferimento a quanto riportato in premessa, in qualità di maggior azionista, quale sia la strategia politico-economica che sta alla base dello spostamento, quali ricadute positive porterà lo spostamento delle direzione, come si intenda rilanciare l'industria aerospaziale nel varesotto.
(4-05728)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   KRONBICHLER. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   un giovane detenuto si è impiccato il 24 luglio 2014 nel carcere di Trento. L'uomo si chiamava Riccardo: soffriva di problemi di tossicodipendenza e pare gli avessero rigettato recentemente la domanda di inserimento in comunità terapeutica;
   da informazioni raccolte dal sottoscritto e dai suoi collaboratori tra i suoi compagni di sezione e dagli operatori emerge che si trattava di una persona in grosse difficoltà/disagio psichico;
   qualche tempo prima aveva avuto un colloquio per un lavoro dentro il carcere, che non era andato bene, perché non sarebbe stato in grado di svolgerlo, in quanto troppo sofferente e bisognoso di un intervento di cura;
   non si trattava del primo tentativo di suicidio: in precedenza Riccardo aveva già tentato di farsi del male, ingoiando delle batterie, ma era stato salvato in tempo ed era stato ricoverato all'ospedale. Stavolta Riccardo si è impiccato nella doccia con il lenzuolo durante l'ora d'aria. Lo hanno ritrovato i compagni al rientro in cella;
   i segnali di quanto poteva accadere c'erano tutti. Per il giovane suicida era stato chiesto l'affidamento terapeutico in comunità, ma il magistrato di sorveglianza lo aveva negato;
   nel carcere di Trento l'attività educativa e di supporto psicologico è carente; ci sono persone che attendono settimane prima di poter parlare con l'educatore e quasi mai ricevono aiuto per un reale percorso educativo e di supporto;
   gli agenti non sono – per la maggior parte – formati e consapevoli della loro responsabilità. Secondo il racconto che l'interrogante ha raccolto, l'agente di turno, dopo essere stato chiamato dalle urla dei compagni, è entrato nella cella, ha visto la scena, ha proferito un'imprecazione ed è uscito terrorizzato. Il giovane sarebbe stato tirato giù dal suo cappio dalla dottoressa che era casualmente nella sezione e da due persone detenute;
   non si vogliono evidentemente attribuire responsabilità dirette agli operatori, ma lo Stato è responsabile della morte di questo giovane, in quanto non destina al sistema carcerario italiano — condannato a livello internazionale perché non rispetta alcuno standard minimo — le risorse per garantire i servizi e la formazione per gli operatori e ambienti adeguati alla vita in detenzione;
   il trattamento di persone tossicodipendenti nelle strutture carcerarie italiane rappresenta un'emergenza nell'emergenza. La loro reclusione in condizioni di scarsa igiene, senza programmi mirati di sostegno e di recupero rappresenta un tradimento delle finalità della pena e una violazione dei principi di solidarietà e di dignità;
   il tribunale di sorveglianza di Trento è considerato (da detenuti, avvocati, operatori dell'UEPE) uno dei più restrittivi d'Italia sia nel concedere misure alternative, sia nel concedere permessi, sia nel concedere i giorni di liberazione anticipata previsti dall'ordinamento. Difficile dire quali ragioni giustifichino questa condotta, che — a parere dello scrivente – è grave in casi come quello del giovane che si è suicidato, ma è altrettanto insensata in altri casi di nostra conoscenza –:
   se per il giovane suicida in carcere a Trento fosse stato attivato un percorso terapeutico idoneo per la sua situazione; se chi si occupava di lui sotto il profilo del controllo abbia messo in atto le precauzioni necessarie perché non compiesse questo atto; se sia noto quali ragioni, data la situazione soggettiva del detenuto, hanno portato la magistratura di sorveglianza a non concedere la misura richiesta. (4-05726)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCOTTO, GIANCARLO GIORDANO e FERRARA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 5 febbraio 2014 è avvenuto il crollo di un muro della villa d'Elboeuf, sita nei pressi del porto del Granatello a Portici, in provincia di Napoli;
   si tratta di un importante villa settecentesca, prima in ordine cronologico delle 122 ville vesuviane del Miglio d'Oro;
   il 26 aprile 2013 la villa, che versava in grave stato d'abbandono e decadenza, era stata venduta ad una cordata di imprenditori, che ne avrebbero dovuto curare il restauro sotto la sorveglianza della soprintendenza;
   le grandi scalinate d'accesso erano già in precedenza state depredate delle balaustre in marmo, e molti degli interni erano in rovina a causa di intemperie e dei numerosi incendi che negli anni hanno colpito la struttura;
   persino il tetto era crollato in diversi punti, mentre diverse pareti interne e molti locali erano stati abbattuti e sventrati in seguito ad atti di sciacallaggio mirati a depredarne il rame dei cavi elettrici;
   a quanto pare gli interventi dei privati non sono stati affatto tempestivi, ed il crollo del muro avvenuto a febbraio ha interessato anche la stazione Portici-Ercolano situata a pochi metri dalla villa, perché i resti sono finiti sui binari provocando l'interruzione della linea ferroviaria che da Napoli porta a Salerno e viceversa e creando dunque enormi problemi all'utenza;
   a distanza di mesi la stazione funziona solo per dare informazioni a turisti e pendolari, e non si sa quando i treni riprenderanno a passare;
   i detriti sono stati rimossi ormai da tempo, ma il problema attualmente sta nel fatto che nessuno può assicurare che le vibrazioni dei treni in corsa non danneggino ulteriormente la villa d'Elboeuf;
   Trenitalia ha strutturato un programma di circolazione alternativo: i treni regionali da e per Napoli e Salerno sono sostituiti con autobus tra Napoli e Torre Annunziata, mentre i treni regionali da e per Battipaglia e Sapri percorrono la cosiddetta Linea Monte del Vesuvio, senza fermate intermedie tra Napoli e Salerno;
   i treni metropolitani della tratta Formia-Napoli, piazza Garibaldi-Salerno e viceversa sono sostituiti con autobus tra Napoli e Torre Annunziata;
   l'orario di partenza e di arrivo degli autobus, per i quali non sono previste fermate a Pietrarsa e Santa Maria La Bruna varia in relazione al traffico stradale, privando gli utenti di ogni certezza;
   ciò costringe ogni giorno centinaia di persone a recarsi al lavoro con la propria automobile, con costi ben superiori e soprattutto aggravando i livelli di smog ed il traffico nel territorio vesuviano, di per sé già al collasso;
   a Torre Annunziata, per esempio, il blocco dei treni sta provocando gravissimi disagi, sia per l'impossibilità di usufruire del servizio per l'utenza che raggiungeva la stazione di Torre Centrale dai paesi limitrofi vesuviani e dalla costiera sorrentina, sia perché il piazzale antistante la stazione è diventato di fatto luogo di sosta per i bus sostitutivi che fanno da navetta con Napoli e Salerno, e che, attraversando tutta la zona urbana, causano un evidente peggioramento dei livelli d'inquinamento cittadino;
   chi non usa l'automobile per ovviare alla situazione è costretto a servirsi della Circumvesuviana, già al collasso per carenza di fondi, mezzi e personale, e che quindi non riesce a garantire un numero di corse (ed una puntualità delle stesse) tale da smaltire in maniera efficiente l'enorme quantità di persone che ogni giorno sceglie di utilizzarla per spostarsi;
   nei mesi sono stati fatti svariati incontri tra comune, regione Campania, soprintendenza ai beni culturali, Rete ferroviaria italiana e società proprietaria di villa d'Elboeuf, ovvero la Inv Est srl;
   Rete ferroviaria italiana avrebbe voluto pagare da sola i lavori e poi chiedere il conto alla Inv Est, ma quest'ultima ha fatto ricorso al Tar, bloccando ogni ipotesi sul nascere;
   secondo i legali della società, infatti, bisognerebbe prima comprendere con esattezza i motivi del crollo, anche perché a loro modo di vedere a colpa sarebbe proprio della società del gruppo Ferrovie dello Stato, che avrebbe impiantato dei tralicci a contatto con le mura della villa, minandone la stabilità;
   i fatti sono riportati, tra gli altri, anche nell'articolo dal titolo «Portici. Binari proibiti per rischio crolli a villa d'Elboeuf, le Ferrovie chiedono i danni» pubblicato dall'edizione online de «Il Mattino» del 28 febbraio 2014 e nell'articolo dal titolo «Portici. Il caso Villa d'Elboeuf. Crollo sui binari, ferrovia off-limits da quattro mesi» pubblicato dal quotidiano di informazione online «Positano News» il 5 giugno 2014 –:
   quali iniziative per quanto di competenza intenda il Ministro prendere per velocizzare i tempi di riapertura e ripristino delle linee ferroviarie coinvolte, anche alla luce dell'aggravio economico sulle casse dello Stato per la necessità di fornire il programma di circolazione alternativo e su studenti e lavoratori pendolari che da oltre cinque mesi sono costretti a trovare modalità alternative e certamente più dispendiose per recarsi sui luoghi di studio e/o di lavoro. (5-03366)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sito web del Messaggero del 28 luglio riporta le dichiarazioni del Ministro, secondo cui è imminente la realizzazione del corridoio autostradale Orte-Mestre, in project financing e con l'intervento dello Stato a livello di defiscalizzazione degli oneri d'impresa;
   si prevede la posa della prima pietra nel primo trimestre del 2015 e il completamento dell'opera nei 6 anni successivi;
   in Europa, e in particolare in Germania esistono autostrade realizzate con tecnologie all'avanguardia che permettono percorrenze veloci che abbattono i tempi di tragitto;
   sarebbe auspicabile la realizzazione anche in Italia di simili infrastrutture ad alta velocità e la nuova autostrada Orte-Mestre potrebbe essere l'occasione per sperimentare un progetto pilota di tale portata –:
   se il Ministro intenda valutare la possibilità di realizzare un progetto pilota con tecnologia all'avanguardia su un tratto della nuova autostrada Orte-Mestre che possa permettere la percorrenza veloce, alla pari di simili infrastrutture europee ed in particolare di quelle tedesche.
   (4-05727)


   CIMBRO, LAFORGIA, GASPARINI e CASATI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di stampa stanno in questi giorni diffondendo la notizia che la direzione aeroportuale Lombardia dell'ENAC intende indire «a breve» una gara pubblica «per la scelta del concessionario per tutti i beni appartenenti al demanio aeronautico disponibili all'interno dell'aeroporto civile «Franco Bordoni Bisleri» di Milano Bresso;
   ciò è quanto la direzione ha comunicato all'Aero Club di Milano, che opera da anni in loco e gestendo sia il campo volo sia la scuola di volo; annullando così la procedura iniziata nel gennaio 2014 per rinnovare la concessione di 450 metri quadrati di hangar, 50 metri quadrati di distributore carburante, 414 di circolo e bar e vari manufatti appendici di hangar usati per depositi, aule e uffici;
   la preoccupazione di associazioni ed enti locali è forte circa il ritorno in auge del progetto che vorrebbe la trasformazione dell'aeroporto in hub elicotteristico e/o vertiplano; nettamente in contrasto con la vocazione attuale del sito (campo volo), tale progetto andrebbe a minacciare inoltre la biodiversità del Parco Nord e le iniziative, volte a valorizzarla, che vanno apprestandosi per EXPO 2015;
   il Protocollo d'intesa firmato a Palazzo Chigi il 31 luglio 2007, e la riunione di monitoraggio del 24 novembre 2010 presso il DISET, non prevedevano il potenziamento dello scalo bressese: le conclusioni dello studio del dipartimento aerospaziale del Politecnico di Milano ha considerato compatibile la permanenza dell'aeroporto con il Parco Nord, alle seguenti condizioni:
    a) divieto del potenziamento dell'attuale attività aeroportuale con riferimento ai ventilati progetti di sviluppo del trasporto a pala rotante;
    b) ridimensionamento del sedime a 55 ettari, spostamento dell'aerostazione dal lato land side ovest a quello opposto comprese le attività in concessione all'Aero Club Milano e quelle della scuola di volo elicotteristica e dell'Elisoccorso;
    c) messa in sicurezza del nuovo sedime aeroportuale con la realizzazione della recinzione e la cessione al Comune di Bresso delle aree di frangia per la riqualificazione dell'asse Grandi-Matteotti-Gramsci;
    d) le restanti aree del lato ovest dello scalo, non più funzionali alle attività aeroportuali, devono essere messe a disposizione del Parco Nord/comune di Bresso –:
   se sia condivisa dal Governo la necessità di mettere a gara la gestione dell'aeroporto, col conseguente annullamento della procedura avviata per rinnovare le concessioni a Aero Club Milano;
   se il Governo intenda garantire che il bando di gara non consentirà la realizzazione di opere aggiuntive, o la collocazione nell'aeroporto di nuovi servizi eliportuali, confermando quindi il protocollo d'intesa sopra citato;
   se esistano progetti di utilizzo dell'attuale campo volo di Bresso in vista di EXPO 2014. (4-05729)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 27 e 28 luglio 2014 i carabinieri della compagnia di Fermo, con il supporto del reparto antimafia dell'arma di Ancona, coordinati dalla procura della Repubblica di Fermo, hanno effettuato un blitz in un casolare nel territorio del Comune di Montegranaro (FM) procedendo al fermo di sette persone legate alla ‘ndrangheta calabrese;
   l'incontro tra gli esponenti dell'organizzazione criminale, interrotto dalle forze dell'ordine, sarebbe stato convocato – a quanto riporta la stampa – per trattare affari riguardanti l'organizzazione su tutto il territorio nazionale;
   gli inquirenti non escludono la possibilità che l'incontro servisse anche per la creazione di una base logistica nelle Marche della stessa organizzazione criminale;
   la prefettura di Fermo, stante il crescente allarme per i continui episodi di cronaca nera e giudiziaria a sfondo mafioso, ha convocato negli ultimi mesi diversi tavoli sulla sicurezza;
   il fenomeno non riguarda esclusivamente il territorio fermano, ma interessa diverse aree della regione, spesso in connessione con attività criminali che si diramano su altre aree del territorio nazionale;
   il procuratore della Repubblica presso la corte di appello di Ancona, dottore Vincenzo Macrì – già vice procuratore nazionale antimafia presso la direzione nazionale antimafia, nonché magistrato per molto tempo in prima linea contro la ‘ndrangheta calabrese – il 16 giugno scorso, in occasione della sottoscrizione di un protocollo di intesa per la legalità nell'economia promosso da Unioncamere e dell'associazione Libera, ha dichiarato che «nelle Marche non ci troviamo di fronte all'occupazione del territorio da parte della criminalità organizzata ma assistiamo a infiltrazioni della camorra e delle mafie pugliesi, calabresi e, in parte siciliane». Ma anche a infiltrazioni di mafie «nuove» come quella «cinese, romena, nigeriana e dell'Europa dell'Est. Organizzazioni che si occupano di droga, riciclaggio, attività turistiche lungo la costa delle Marche, lavori pubblici»;
   pur non essendo allo stadio della «occupazione del territorio», come ha sostenuto il procuratore Macrì, è evidente come il moltiplicarsi degli eventi criminali, la capacità di tali organizzazioni di operare senza difficoltà in diverse aree della regione ed in diversi settori ed attività – lecite ed illecite – desta grande allarme in un territorio storicamente poco permeabile al fenomeno criminale di stampo mafioso;
   nel corso degli ultimi due anni numerosi sono stati gli episodi criminali a sfondo associativo – già oggetto di specifiche interrogazioni della firmataria – che hanno interessato il territorio marchigiano;
   molte delle attività descritte, ad avviso dell'interrogante, sono prodromiche ad una presenza sempre più «stabile» e forte delle organizzazioni criminali nel territorio, come insegnano l'esperienza della Lombardia e dell'Emilia-Romagna, in questo senso;
   la posizione geografica, la scarsa «familiarità» dei cittadini marchigiani con il fenomeno mafioso, la forte presenza di attività imprenditoriali medio-piccole particolarmente esposte alla crisi economica, fanno delle Marche un territorio particolarmente appetibile per le organizzazioni mafiose che si contendono il controllo delle attività di riciclaggio ed investimenti in diversi settori –:
   quali iniziative stia intraprendendo il Ministro interrogato per contrastare la crescita della presenza e del radicamento delle organizzazioni criminali nelle Marche;
   quali azioni il Ministro interrogato intenda intraprendere, anche sul piano della prevenzione, per impedire che le organizzazioni criminali si infiltrino e contaminino il tessuto economico territoriale. (4-05731)


   CAPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-01168 si illustrava la situazione che, oramai da diversi anni, vivono circa un'ottantina di persone nate, nel periodo compreso tra il 1928 al 1939;
   infatti, con regio decreto n. 221 del 5 febbraio 1928 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n. 48 del 27 febbraio 1948 i comuni di Dualchi e Noragugume cessano di esistere e vengono aggregati a quello di Borore situati tutti in provincia di Nuoro;
   nel 2007, le persone di cui sopra sono state destinatarie di una comunicazione che le informava che non erano più nate a Dualchi ma a Borore;
   della singolare vicenda è stata informata la prefettura di Nuoro, come si legge nel testo della risposta pervenuta all'interrogante in data 8 luglio 2014, la quale: «ha dato luogo ad una serie di incontri, accompagnati anche da una serie di interventi ed interlocuzioni del Ministero dell'interno, allo scopo di favorire la soluzione dei disagi derivanti dall'applicazione della normativa nazionale per l'allineamento dei dati anagrafici nel sistema INA-SAIA»;
   si ricorda che questo intoppo burocratico sta creando grossi disagi a livello sanitario, pensionistico, sociale, economico (per le persone nate a Dulchi si legge nel documento di identità rilasciato dall'ufficio anagrafe che sono nate contemporaneamente a Dualchi e Borore). Ci sono persone che hanno due codici fiscali, persone che si sono viste bloccare per mesi la pensione estera perché i dati anagrafici non corrispondevano e che sono riuscite a vederla sbloccata solo ricorrendo al consolato, addirittura c’è chi si è visto spostare l'operazione perché l'operatore sanitario dell'ospedale in cui era stato ricoverato aveva riscontrato dati contraddittori nella cartella clinica;
   nonostante la richiesta della prefettura di Nuoro del 2010 che invitava il comune a rilasciare ai cittadini interessati «una certificazione riguardante l'intervenuto cambiamento della denominazione del luogo di nascita, la data del cambiamento e la denominazione attuale...» la situazione è rimasta praticamente invariata tanto che i cittadini di cui sopra hanno reiterato la richiesta alla prefettura, in data 20 marzo 2014, per il ripristino reale dei dati anagrafici identitari. Tale richiesta è stata peraltro repentinamente trasmessa al Ministero dell'interno;
   in tale vicenda quello che lascia interdetto l'interrogante è la risposta laconica del Governo all'atto di sindacato ispettivo n. 4-01168: «il documento è stato sottoposto dalla Prefettura all'esame del Ministero dell'interno per gli eventuali ulteriori orientamenti e direttive sulla vicenda» –:
   quali iniziative urgenti, vista l'inerzia anche nei confronti delle sollecitazioni da parte della prefettura di Nuoro in merito ad una definizione della vicenda, il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di ridare identità ai nati nel comune di Dualchi. (4-05732)


   ZARATTI e COSTANTINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione Stampa Romana ha espresso la sua riprovazione per il comportamento assunto ieri dall'assessore Veronica Filippone nei confronti di due giornaliste di Pomezia, Giulia Presciutti e Martina Zanchi, che sono state allontanate dal palazzo comunale dove si erano recate per seguire la vicenda degli occupanti abusivi delle case popolari di piazza Aldo Moro;
   le giornaliste, che volevano seguire un incontro tra il sindaco di Pomezia, Fabio Fucci, e una delegazione di occupanti gli alloggi comunali, erano state autorizzate ad entrare in Comune con tanto di passi;
   mentre le croniste attendevano che terminasse la riunione, un agente della polizia locale le ha invitate ad uscire, come da indicazione dell'assessore Filippone a cui le colleghe hanno chiesto invano un incontro per capire i motivi della decisione;
   le giornaliste hanno tentato di far valere il diritto di cronaca e di informazione ai cittadini, ma sono state allontanate;
   dopo le polemiche seguite alla vicenda sollevata dall'Associazione stampa romana, il sindaco di Pomezia Fabio Fucci ha dichiarato il silenzio stampa fino al 31 agosto prossimo annunciando che le comunicazioni dell'Amministrazione saranno veicolate esclusivamente attraverso i canali istituzionali (sito, facebook, twitter) e la stampa potrà servirsi di questi per svolgere il proprio lavoro;
   quello di ieri è solo l'ultimo, grave episodio che ha colpito la libertà di informazione. Il 12 giugno 2014, durante un momento di tensione generato in consiglio comunale per la protesta di alcuni lavoratori, è stato insistentemente chiesto ai giornalisti dal presidente del consiglio comunale, Renzo Mercanti, di spegnere le telecamere, richiesta alla quale tutti i cronisti si sono rifiutati;
   il libero accesso dei giornalisti, nei limiti previsti dalla legge, alle sedute dei consigli comunali e a tutte le iniziative pubbliche di un ente locale, è garantito a tutela del diritto dei cittadini a essere informati e dalla legge sulla trasparenza degli atti amministrativi;
   l'assessore del comune di Pomezia ha di fatto impedito alle giornaliste di esercitare il loro diritto-dovere di croniste, esattamente come avvenne nel settembre del 2008 ai danni di un'altra giornalista, fatta allontanare dalla precedente amministrazione comunale;
   se prassi amministrative di questo genere dovessero divenire la norma si correrebbe il rischio di sottrarre al controllo della stampa l'attività politica oltre a mettere a repentaglio la possibilità di informazione dei cittadini che, per varie ragioni, non possano accedere ai canali istituzionali –:
   se non ritenga di dover intervenire e come per garantire, anche attraverso opportune iniziative normative, che prassi di comunicazione unilaterale attraverso le bacheche esterne o i social network come quella esposta in premessa possano conciliarsi con il diritto di cronaca, nonché con la libertà di informazione e il diritto dei cittadini di conoscere attraverso i mezzi di informazione quanto avviene all'interno delle istituzioni nazionali e locali.
(4-05741)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'Intergruppo Innovazione è una libera associazione di parlamentari, appartenenti a tutti i gruppi politici, che ha come obiettivo quello di promuovere l'innovazione tecnologica in Parlamento e nel Paese;
   l'Intergruppo sta al momento valutando la possibilità di presentare un progetto di innovazione sociale che ha come obiettivo gli studenti delle scuole secondarie che, in questo periodo di crisi, più che mai necessitano di orientamento prima di intraprendere il loro percorso universitario;
   gli interpellanti ritengono di estrema rilevanza la realizzazione della proposta dell'intergruppo tesa alla raccolta e diffusione in modalità open data, ai sensi dell'articolo 68 del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dei dati relativi alle iscrizioni alle diverse facoltà universitarie da pubblicarsi congiuntamente, in modo che possano essere facilmente elaborati e confrontati, ai dati relativi alle richieste di figure professionali provenienti dal mercato del lavoro;
   in questo modo si abiliterà lo sviluppo di piattaforme che consentano agli studenti una valutazione approfondita e basata su dati, relativamente alle probabilità di impiego futuro conseguenti alla scelta di un determinato percorso universitario;
   tale progetto avrebbe un costo nullo per il bilancio dello Stato e l'impatto sul sistema-Paese sarebbe senza dubbio positivo, con una migliore allocazione di risorse/giovani verso le professionalità maggiormente richieste –:
   se non ritenga opportuno promuovere con ogni utile iniziativa progetti di innovazione sociale che abbiano come finalità, sopra ogni cosa, lo sviluppo e la formazione di adeguate figure professionali valutando in modo puntuale quanto proposto in premessa, e individuando le figure professionali in grado di realizzare ciò.
(2-00646) «Quintarelli, Basso, Bergamini, Capua, Carrozza, Catalano, Coppola, D'Alia, Gadda, Galgano».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI e FRACCARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto paritario cattolico Sacro Cuore di Trento, diretto dalla madre superiora Eugenia Libratore, decide di non rinnovare il contratto in scadenza al termine degli esami di una sua docente dopo cinque anni di servizio;
   secondo quanto riportato in data 19 e 20 luglio 2014 da molti organi di stampa e di informazione, tra cui La Repubblica e Il Fatto Quotidiano, a motivare il mancato rinnovo del contratto in scadenza della docente sarebbe stata la mancata smentita circa la sua presunta omosessualità;
   la docente, che ha deciso di mantenere l'anonimato, ha dichiarato al Fatto Quotidiano che la direttrice e i genitori erano sempre stati soddisfatti del suo operato negli anni precedenti e che alla base del mancato rinnovo c’è stata la mancata smentita della sua omosessualità durante il colloquio con la madre superiora Eugenia Libratore: «Quest'anno sapevo che il mio contratto si sarebbe esaurito dopo gli esami di fine anno. Invece mercoledì mi chiama la madre superiora (...) ed esordisce con una domanda strana: vuole sapere se è vero quello che si dice in giro, e cioè che avrei una compagna e che quindi fossi lesbica. Chiaramente mi sono rifiutata di rispondere: mi sono sentita offesa da quella domanda (...) lei però non ha desistito: sembrava che le bastasse una mia smentita in quella sede, ma alla fine ha detto che se non rispondevo era perché evidentemente le voci erano vere e se non dimostravo il desiderio di risolvere quel problema non c'erano possibilità d'intesa (...)»;
   la madre superiora, in un'intervista alla radio locale Nbc, ammette il contenuto del suo colloquio con la docente, e specifica di «aver fatto una domanda: ho avuto questa percezione, lei ci può aiutare a capire ? Visto che in questa scuola si fa educazione e bisogna aver attenzione alle persone. C’è tutto un discorso che gira intorno ai bambini che frequentano la scuola: è un discorso educativo»;
   in un colloquio pubblicato lo scorso 21 luglio 2014 sul quotidiano on-line www.trentinocorrierealpi.gelocal.it, la stessa madre superiora dichiara che «un'insegnante omosessuale potrei utilizzarla con maggiore serenità e tranquillità con i grandi invece che con i piccoli»;
   le associazioni Arcilesbica nazionale, Equality Italia e Famiglie Arcobaleno hanno denunciato l'episodio, manifestando vicinanza alla docente e auspicando un pronto intervento del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca per restituire all'insegnante offesa la sua dignità di persona;
   sono definite «scuole paritarie» le istituzioni scolastiche che, a partire dalla scuola dell'infanzia, sono coerenti con gli ordinamenti generali dell'istruzione e posseggono i requisiti fissati dalla legge 10 marzo 2000, n. 62 (comma 2.1, articolo 1, decreto ministeriale n. 83 del 2008). Nello specifico, l'articolo 1, comma 4, dalla legge in questione statuisce che «La, parità è riconosciuta alle scuole non statali che ne fanno richiesta e che, in possesso dei seguenti requisiti, si impegnano espressamente a dare attuazione a quanto previsto dai commi 2 e 3:
    a) un progetto educativo in armonia con i principi della Costituzione (...);
   la legge n. 62 del 2000, all'articolo 1, comma 2, sancisce che «l'insegnamento delle scuole paritarie deve essere improntato ai principi di libertà stabiliti dalla Costituzione»;
   l'articolo 3 della Costituzione afferma che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere per garantire il rispetto della Carta costituzionale e della legge n. 62 del 2000 nell'istituto paritario Sacro Cuore di Trento, restituendo dignità alla docente;
   se non intenda rivedere i meccanismi di verifica del rispetto dei parametri costituzionali e delle norme della legge n. 62 del 2000 in tutte istituzioni scolastiche paritarie, al fine di concedere o confermare la pianificazione e i relativi finanziamenti solo agli istituti che effettivamente li rispettino. (5-03361)


   COCCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento ai corsi di specializzazione per le attività di sostegno didattico all'inclusione scolastica degli alunni con disabilità;
   detti corsi sono ormai esclusivamente gestiti per legge dalle università per evitare situazioni di scarsa affidabilità culturale verificatesi in passato con enti privati che la precedente normativa autorizzava alla gestione di detti corsi;
   risulta che tra le università autorizzate è presente anche la LUSPIO-UNINT con sede in Roma via delle Sette Chiese n. 139, la quale risulta all'interrogante non avere la facoltà di scienze della formazione;
   inoltre con un avviso pubblicato sull'ufficio scolastico regionale Sicilia, la LUSPIO Università internazionale degli studi UNINT con sede legale ed amministrativa in Roma – ha comunicato che per l'anno accademico 2013/14 le prove di ammissione, nonché lo stesso corso, si svolgeranno anche presso il polo didattico di Caltanissetta. L'avviso recita: «In riferimento al Decreto Ministeriale del MIUR del 9 agosto 2013 che ha assegnato, per l'anno accademico 2013-14, 500 posti – il numero più alto in Italia – alla LUSPIO Università Internazionale di Roma (UNINT), per la frequenza dei corsi di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità così suddivisi: Scuola dell'infanzia: 100 posti Scuola primari: 150 posti Scuola secondaria di primo grado: 150 posti Scuola secondaria di secondo grado: 100 posti si comunica, a tutti i Docenti interessati, che le prove di ammissione, previste dal Bando, che potrà essere scaricato all'indirizzo WEB www.unint.eu, nonché lo stesso Corso, in caso di ammissione, si svolgeranno anche nella sede del Polo Didattico della LUSPIO Università Internazionale degli Studi di Roma – UNINT di Caltanissetta di Via Re d'Italia, 74»;
   la LUSPIO però non precisa che tali posti sono stati assegnati ad essa dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in base al citato decreto, esclusivamente per il Lazio, mentre detta università li svolgerà in Sicilia, reclutando quindi docenti specializzati da fuori regione che, tra l'altro, determineranno problemi alla continuità didattica degli alunni, una volta assunta la sede nel Lazio. È da augurarsi che, mancando l'indicazione della riserva per il Lazio nel bando per la Sicilia, tali 500 posti non siano aggiuntivi ai 500 banditi per il Lazio;
   la LUSPIO sta gestendo i corsi di specializzazione di cui al decreto 30 settembre 2011 – Criteri e modalità per lo svolgimento dei corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno, ai sensi degli articoli 5 e 13 del decreto 10 settembre 2010, n. 249, pur non avendo un solo docente di pedagogia in organico e pur non svolgendo alcun corso di laurea nel settore, requisiti richiesti dalla normativa citata;
   il direttore dei corsi di specializzazione gestiti dal LUSPIO, che figura nel bando come responsabile del procedimento, sarebbe un docente (Giuseppe Refrigeri) a contratto nel settore scientifico-disciplinare L-LIN/02, secondo l'interrogante non compatibile con quanto previsto dal decreto 30 settembre 2011 – Criteri e modalità per lo svolgimento dei corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno, ai sensi degli articoli 5 e 13 del decreto 10 settembre 2010, n. 249, che espressamente all'articolo 3, comma 2, lettera b), così prevede: «la direzione del corso è affidata a un professore universitario di I o II fascia del settore scientifico disciplinare M-PED 03, il quale abbia nel curriculum competenze specifiche sui temi dell'integrazione scolastica degli alunni con disabilità –:
   ove le citate irregolarità trovassero conferma, si avrebbe la gestione di corsi di dubbia legittimità con conseguente sicuro contenzioso da parte degli aspiranti alla specializzazione iscritti in detti corsi a causa delle spese sostenute per il conseguimento di un diploma non spendibile o facilmente contestabile in sede legale, anche se e proprio perché autorizzato dal Ministero;
   quali iniziative intenda assumere per evitare il rilascio e la circolazione di titoli di specializzazione che potrebbero risultare non conformi alla normativa vigente. (5-03364)


   MARZANA, DI VITA, VACCA, D'UVA, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO, BRESCIA, BATTELLI e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità sono corsi universitari di durata annuale, finalizzati al conseguimento, previo superamento di un esame finale, del titolo di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità, nella scuola dell'infanzia, nella scuola primaria e nella scuola secondaria di primo o secondo grado;
   con decreto ministeriale n. 706 del 9 agosto 2013, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha autorizzato le università ad attivare nell'anno accademico 2013/14 tali percorsi formativi ai sensi del decreto ministeriale 10 settembre 2010 n. 249 articoli 5 e 13 e, in particolare, del decreto ministeriale 30 settembre 2011 «Criteri e modalità per lo svolgimento dei corsi di formazione per il conseguimento, della specializzazione per le attività di sostegno, ai sensi degli articoli 5 e 13 del decreto 10 settembre 2010 n. 249»;
   l'accesso ai percorsi è a numero programmato, determinato annualmente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sulla base delle proposte avanzate dall'università in accordo con gli uffici scolastici regionali/provinciali, sulla base della programmazione degli organici e del conseguente fabbisogno specifico di personale specializzato per il sostegno didattico degli alunni con disabilità;
   tra le università autorizzate è presente anche la LUSPIO-UNINT con sede in Roma via delle Sette Chiese n. 139; il decreto rettorale n. 823 del 17 settembre 2013 «Bando di selezione per l'ammissione ai corsi di specializzazione per le attività di sostegno (decreto ministeriale 30 settembre 2011) anno accademico 2013-2014», all'articolo 2 dispone: «Il numero di posti disponibili per ciascun grado di scuola, come definito nella tabella allegata al decreto ministeriale del 9 agosto 2013, n. 706, è il seguente: n. 100 posti per la specializzazione nella scuola dell'infanzia; n. 150 posti per la specializzazione nella scuola primaria; n. 150 posti per la specializzazione nella scuola secondaria di primo grado; n. 100 posti per la specializzazione nella scuola secondaria di secondo grado»;
   la LUSPIO-UNINT non svolge alcun corso di laurea in tale ambito non avendo attivato nessun corso di laurea di scienze della formazione, e tra il suo corpo docenti non annovera un solo docente di pedagogia in organico, requisiti richiesti dall'articolo 9 del decreto n. 270 del 22 ottobre 2004 che recita: «I corsi di studio di cui all'articolo 3 sono istituiti nel rispetto dei criteri e delle procedure di cui all'articolo 11 e delle disposizioni vigenti sulla programmazione del sistema universitario (...) nel rispetto dei requisiti strutturali, organizzativi e di qualificazione dei docenti dei corsi determinati (...)»;
   il direttore dei corsi di specializzazione gestiti dalla LUSPIO, che all'articolo 7 del bando rettorale figura come responsabile del procedimento, è il professor Giuseppe Refrigeri, professore a contratto settore scientifico-disciplinare L-LIN/02, e pertanto, a giudizio degli interroganti, non compatibile secondo quanto previsto dal decreto 30 settembre 2011, che, all'articolo 3, comma 2, lettera b), così dispone: «(...) la direzione del corso è affidata a un professore universitario di I o II fascia del settore scientifico disciplinare M-PED 03, il quale abbia nel curriculum competenze specifiche sui temi dell'integrazione scolastica degli alunni con disabilità»;
   inoltre, da notizie acquisite dagli interroganti, risulterebbe che gli incarichi di insegnamento per il suddetto corso di sostegno sarebbero stati affidati, salvo che nella sede di Reggio Calabria, quasi totalmente a docenti non universitari, ossia a ispettori, dirigenti scolastici, docenti di sostegno, ricercatori e docenti di altro SSD;
   a seguito di tali irregolarità, i corsi risulterebbero, secondo gli interroganti, di dubbia legittimità e quindi non valevoli ai fini del conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni disabili con conseguenti probabili contenziosi da parte degli iscritti;
   con avviso pubblicato sul sito dell'USR Sicilia, in data 3 ottobre 2013, la LUSPIO comunicava a tutti i docenti interessati, che le prove di ammissione, previste dal bando, si sarebbero svolte anche nella sede del polo didattico di Caltanissetta sito in via Re d'Italia 74;
   dal momento che la LUSPIO utilizza i 500 posti ad essa assegnati per la regione Lazio anche nella sua sede in Sicilia, essa, secondo gli interroganti, non fa altro che intaccare i posti disponibili assegnati alle università della Sicilia creandosi in tal modo un possibile ingorgo, dal momento che, mancando l'indicazione della riserva per il Lazio nel bando della Sicilia, tali 500 posti si potrebbero aggiungere ai 500 banditi per il Lazio; tra l'altro si recluterebbero docenti specializzati da fuori regione che determineranno problemi alla continuità didattica degli alunni, una volta assunta la sede nel Lazio –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per evitare il rilascio e la circolazione di titoli di specializzazione che potrebbero essere dichiarati illegittimi perché attribuiti con modalità non coerenti con la normativa citata in premessa;
   se, sulla base della normativa citata in premessa, la LUSPIO possa utilizzare i posti assegnati per la regione Lazio anche nella sede distaccata della regione Sicilia prefigurandosi quella che agli interroganti appare una vera e propria invasione rispetto ai posti disponibili assegnati alle altre università autorizzate e in caso contrario, se intenda revocarne l'autorizzazione;
   con quali iniziative intenda monitorare e vigilare sui corsi formativi attivati da quelle università prive dei requisiti indispensabili richiesti per gli scopi formativi del corso attivato. (5-03365)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PLACIDO, FOLINO, LATRONICO e ANTEZZA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è stato disposto dalla magistratura di Potenza il sequestro, per emissione di fumi nocivi, dell'impianto Siderpotenza – stabilimento siderurgico del gruppo Pittini di Osoppo (Udine);
   a causa di tale sequestro, sono circa trecento i lavoratori che perdono il proprio reddito;
   è già grave ed emergenziale la situazione di crisi occupazionale e sociale che caratterizza la Basilicata in particolare e il Mezzogiorno in generale;
   si rimane fiduciosi nell'opera della magistratura volta ad accertare lo stato delle emissioni e a tutelare la salute dei cittadini tutti, ivi comprese le lavoratrici e i lavoratori dell'impianto interessato a sequestro;
   parti dell'impianto interessate a sequestro risultano essere assolutamente in linea con gli standard emissivi e, quindi, non nocivi per la salute pubblica –:
   quali azioni si intendano assumere per garantire il diritto ad un reddito ai lavoratori della SiderPotenza. (4-05725)


   BERRETTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della trasformazione dell'ente Poste italiane in Poste italiane s.p.a., i lavoratori postelegrafonici in base all'articolo 53 comma 6 della legge n. 449 del 30 dicembre 1997 (legge finanziaria 1998), che stabilisce che «a decorrere dalla data di trasformazione dell'ente poste italiane in società per azioni al personale dipendente dalla società medesima spettano il trattamento di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile, e per il periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente prima della data di cui all'alinea del presente comma», hanno diritto alla corresponsione di tfr e di indennità di buonuscita;
   al personale dipendente della società Poste italiane spetta per il servizio prestato al momento dell'assunzione fino al 28 febbraio 1998 — data di trasformazione dell'ente in società per azioni – l'indennità di buonuscita di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 23 dicembre 1973;
   tale indennità di buonuscita è calcolata, in base all'articolo 3 del decreto 1032 del Presidente della Repubblica, per tutti i dipendenti pubblici avendo a riferimento l'ultima retribuzione percepita dal lavoratore prima della sua collocazione in quiescenza e che tale indennità, avendo a riferimento l'ultima retribuzione percepita, ne garantisce la sua costante rivalutazione per effetto degli aumenti contrattuali e degli avanzamenti di carriera dei lavoratori;
   detta liquidazione, tuttavia, viene effettuata in base all'interpretazione letterale del comma 6 di cui sopra, facendo riferimento alla retribuzione percepita al 28 febbraio 1998, data di trasformazione dell'ente in società per azioni;
   il sopracitato sistema di calcolo, che «congela» la buonuscita al valore maturato al 28 febbraio 1998 indipendentemente da quando il lavoratore andrà in pensione, determina un evidente e grave danno economico ai lavoratori interessati, e cioè a tutti i dipendenti di Poste assunti prima di tale data, che sono la grande maggioranza degli attuali dipendenti;
   tale sistema di calcolo impedisce anche la conseguente rivalutazione della buonuscita stessa;
   i lavoratori postelegrafonici sono passati alle dipendenze della nuova società mantenendo di fatto la continuità lavorativa con il precedente ente;
   in questi anni i lavoratori collocati in quiescenza hanno prodotto un notevole contenzioso giudiziario per la rivalutazione della buonuscita sulla base dell'ultima retribuzione percepita prima della quiescenza stessa;
   il contenzioso giudiziario ha avuto sino ad ora esito favorevole per i lavoratori, ma, nonostante le sentenze avverse, le dinamiche di liquidazione adottate continuano a fondarsi sull'interpretazione restrittiva dell'articolo 53 della suindicata legge;
   ai dipendenti di Poste italiane non viene concessa neanche l'anticipazione del 75 per cento della buonuscita così come avviene per altri lavoratori e alla richiesta, più volte reiterata dagli stessi, di essere messi a conoscenza dell'esatto ammontare del valore della buonuscita maturato al 28 febbraio 1998, non è stato dato alcun tipo di riscontro da parte degli uffici competenti;
   la cifra complessiva destinata alle predette liquidazioni è confluita in un fondo chiuso presso l'Ipost, affidato a una gestione commissariale denominata «gestione commissariale fondo buonuscita per i lavoratori di Poste italiane»;
   in data 6 novembre 2012 la IX Commissione lavoro della XVI legislatura ha approvato una risoluzione in materia di corresponsione dell'indennità di buonuscita ai lavoratori ed ex lavoratori postelegrafonici che impegnava il Governo pro tempore a valutare la possibilità, compatibilmente con gli effetti finanziari, di adottare eventuali iniziative, anche di natura normative, che consentissero ai lavoratori di usufruire dell'aggiornamento del valore dell'indennità nonché di consentire la corresponsione pur in costanza di rapporto di lavoro;
   a tale risoluzione non hanno fatto seguito le opportune e necessarie iniziative di legge –:
   quali iniziative intendano assumere per consentire ai lavoratori di Poste italiane spa di usufruire di un costante aggiornamento del valore dell'indennità di buonuscita, per assicurare il diritto alla corresponsione della buonuscita di detti lavoratori, pur in costanza di rapporto di lavoro e per garantire la trasparenza sull'esatto ammontare della buonuscita alla data del 28 febbraio 1998. (4-05737)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   FERRARA, RICCIATTI, SCOTTO e PALAZZOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il polo petrolchimico di Gela (Caltanissetta) è un complesso industriale destinato alla raffinazione e trasformazione in prodotti finiti del petrolio, inaugurato nel 1965 su iniziativa di Enrico Mattei, il quale progettava di creare un grande polo industriale a Gela allo scopo di sfruttare il petrolio greggio che era stato trovato sia nell'area gelese che nel vicino ragusano nonché le riserve di gas naturale scoperte nel territorio di Gagliano Castelferrato. Così vennero costruiti grandi impianti di raffinazione e un impianto petrolchimico lungo la costa ad est di Gela;
   oggi il sito industriale gelese include solamente una raffineria petrolifera in quanto gli impianti di tipo chimico sono stati tutti dismessi. In particolare gli ultimi impianti, facenti capo alla Syndial Spa (ex Polimeri Europa), sono stati definitivamente fermati nel 2009 e le produzioni trasferite a Ragusa e Priolo;
   a causa della perdurante crisi petrolifera europea, e ad alcune condizioni di disagio infrastrutturale e impiantistico, la raffineria gelese da circa un decennio marcia a regime ridotto, tra il 60 e il 70 per cento della propria capacità produttiva;
   a causa delle copiose perdite di tipo economico, tra 2012 e 2013 l'azienda ha disposto la fermata di due delle tre linee produttive e da aprile 2014 gli impianti hanno subito un nuovo fermo in seguito, tra l'altro, ad un incendio prodotto dalla fuoriuscita di idrocarburi ad alta temperatura da una tubazione;
   il petrolchimico è un enorme complesso diviso in isole, che si affacciano sul mare, sul fiume o sono divise tra di loro da terreni agricoli;
   è uno degli impianti più grandi e importanti presenti in Europa;
   la raffineria riceve ogni anno oltre 5 milioni di tonnellate di materia prima che viene poi trasformato in prodotti finiti da vendere sul mercato. Vengono inoltre prodotti 1530 MWh di energia elettrica derivanti dalla combustione dei prodotti residui dalla raffinazione. Lavora prevalentemente grezzi provenienti dai 7 pozzi EniMed situati a Gela, da Ragusa, dalla piattaforma Vega, dall'Egitto, dall'Iran, dalla Libia, dalla Russia e dalla Siria;
   in Sicilia è concentrato il 40 per cento della raffinazione del greggio in capo al gruppo Eni. Infatti, oltre alla raffineria di Gela che occupa 1.500 lavoratori diretti e altrettanti nell'indotto, il gruppo Eni conta anche il petrolchimico di Priolo (Siracusa);
   nel luglio 2013 la regione Sicilia ha sancito un accordo con i vertici Eni per rilanciare la raffineria di Gela e riconvertirla con la produzione in gasoli di qualità, grazie a un investimento da 700 milioni di euro;
   l'Eni stima in 150 milioni l'anno le perdite accumulate finora a Gela, a fronte del rosso da 250 milioni del sito di Sannazaro (Pavia) e sembrerebbe quindi che l'amministratore delegato Claudio De Scalzi abbia intenzione di accelerare il processo di riduzione della raffinazione e di chiudere i rubinetti in Italia per puntare sempre di più all'estero;
   infatti, a distanza di un anno dall'accordo siglato con la regione Sicilia, a seguito della crisi che ha colpito il mondo della raffinazione, l'amministratore delegato di Eni ha annunciato il mancato riavvio del sito di Gela, l'archiviazione del piano da 700 milioni di investimenti previsti per la riconversione del sito e ha prospettato per il sito un piano di bioraffinazione (modello Porto Marghera) da 200 milioni, da aggiungere a 80 milioni da spendere per le bonifiche;
   a parere degli interroganti l'entità dell'investimento sembra troppo esigua per rilanciare il sito che rischierebbe di veder lavorare poco più di 200 lavoratori a fronte dei 3.000 tra diretti e indotto; in attesa di conoscere il futuro della raffineria di Gela, le imprese che operano per l'indotto cominciano in questi giorni, come riportato dalla stampa e da fonti sindacali, a ufficializzare i primi licenziamenti;
   infatti 15 dei 40 addetti alla coibentazione della ditta Riva e Mariani sono stati già licenziati e si sommano ai 40 metalmeccanici licenziati dalla Tucam, l'impresa che si occupava delle manutenzioni degli impianti della fabbrica del colosso energetico Eni insieme alla Smin impianti che da ormai un anno conta 130 lavoratori in cassa integrazione;
   a questa lunga lista si sommano i 90 dipendenti della Ecorigen, l'azienda chimica francese che effettua lavori di rigenerazione dei catalizzatori, a rischio occupazione a causa del fermo prolungato degli impianti della raffineria che non garantisce più la fornitura delle materie prime per i processi di lavorazione;
   la situazione a Gela è drammatica e dopo i primi licenziamenti al petrolchimico, conseguenza diretta della mancanza di commesse di lavoro, a parere degli interroganti vi è un serio allarme per la tenuta sociale di un'intera comunità e l'auspicio è quello che non si verifichi come a Termini Imerese il crollo dell'occupazione e la fine del sogno industriale;
   il timore degli interroganti è inoltre legato al fatto che quanto sta accadendo nel polo petrolchimico di Gela sia destinato a ripetersi anche negli altri territori interessati dal drastico piano industriale deciso da Eni;
   la Sicilia non può essere esclusa dal business industriale dell'Eni, proprio quando lo stesso gruppo ha appena siglato un accordo da 2,4 miliardi di investimenti per lo sviluppo di giacimenti nel Canale di Sicilia (al largo tra Licata e Pozzallo) e a terra (nel Ragusano), il potenziamento di 5 campi già esistenti e nuove esplorazioni per 5 pozzi. L'Eni non può sfruttare il territorio con i pozzi e chiudere le raffinerie –:
   se il Governo, anche alla luce dell'ultimo tavolo ministeriale, non intenda giungere insieme all'Eni, alle parti sociali e alle organizzazioni sindacali, ad una soluzione positiva della vicenda attraverso piani industriali seri e credibili, anche in attuazione dell'accordo con la regione Siciliana che prevede un investimento di 700 milioni di euro. (5-03368)


   CRIPPA e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   durante la seduta n. 98 della Commissione attività produttive della Camera dei deputati, in data 16 ottobre 2013, il primo firmatario del presente atto ha presentato un'interrogazione a risposta immediata, sottoscritta anche dai deputati Fantinati, Vallascas, Prodani, Petraroli, Mucci, Da Villa e Della Valle, in cui veniva richiesto al Ministro interrogato quali iniziative intendesse adottare affinché venisse colmata la lacuna normativa riguardante i controlli metrologici dei contatori elettrici;
   sempre in data 16 ottobre 2013 è intervenuto per rispondere alla interrogazione il sottosegretario pro tempore Claudio De Vincenti, in rappresentanza del Ministero dello sviluppo economico (MISE);
   nella risposta alla citata interrogazione si può leggere, fra le altre cose, che «[...] per i contatori elettrici, il tavolo deputato ad effettuare la relativa valutazione dell'impatto della regolamentazione, ha già effettuato l'esame della prima stesura del decreto relativo»;
   da conversazioni avute con alcuni soggetti interessati, si è venuti a conoscenza che diversi mesi fa sono stati convocati per partecipare al sopracitato tavolo i maggiori stakeholder del settore e che i lavori siano nel frattempo arrivati alla conclusione;
   in merito si riporta che in data 4 febbraio 2014 l'associazione Codici - Centro per i diritti del cittadino ha ricevuto dal Ministero dello sviluppo economico una prima bozza del decreto attuativo sopracitato, accompagnato da un invito a far pervenire al Ministero le osservazioni del caso sullo stesso;
   risulterebbe agli interroganti che lo schema interministeriale relativo ai controlli metrologici nei contatori sarebbe stato predisposto dalla direzione generale competente e sarebbe attualmente al vaglio dell'ufficio di gabinetto;
   parrebbe inoltre che al momento il già citato schema di decreto interministeriale (frutto dei lavori del tavolo sopracitato) di adozione del regolamento concernente i criteri per l'esecuzione dei controlli metrologici successivi sui contatori di energia elettrica attiva, ai sensi del decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 22, attuativo della direttiva 2004/22/CE (MID) sia al vaglio della Commissione europea –:
   se il Ministro interrogato possa confermare tali indiscrezioni, fornendo alla Camera copia dello schema di decreto inviato alla Commissione europea e chiarendo le tempistiche entro cui tale decreto entrerà in vigore. (5-03369)


   BOMBASSEI e GALGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la reindustrializzazione è una delle strategie dell'Unione europea per la ripresa economica dell'Europa;
   l'obiettivo dell'Unione europea è raggiungere nei 2020 il 20 per cento di quota parte del PIL prodotta dall'industria, partendo dall'attuale 15,1 per cento;
   l'acciaio è un settore indispensabile per l'industria di un paese industriale;
   Ast è uno dei principali produttori al mondo di laminati piani di acciaio inossidabile. Questa produzione è strategica per l'industria europea ed in particolare per quella italiana che, nonostante la crisi, consuma ad oggi 900 mila/ton di acciaio Inox. Inoltre, l'attività dell'Ast è la fonte principale per l'economia del territorio e rappresenta il 20 per cento del PIL Umbro;
   Ast produce acciaio in modo efficiente e per efficienza è la seconda società in Europa e il suo ridimensionamento e/o chiusura comporterebbe la deindustrializzazione dell'area del ternano, il che contrasterebbe in modo surreale con l'obiettivo europeo della rinascita industriale;
   il discutibile Piano industriale presentato da Thyssenkrupp per Ast prevede la chiusura di un forno fusorio su due, la riduzione di 550 dipendenti, investimenti insufficienti essendo la cifra prospettata irrisoria e solo per attività di routine, senza considerare alcuna attività di ricerca e innovazione, né alcuna azione per lo sviluppo commerciale, creando così le premesse per la chiusura dell'azienda nel medio periodo –:
   quali urgenti iniziative intenda Governo adottare per assicurare un futuro ad Ast attraverso un piano industriale che ne garantisca il rilancio e il mantenimento dell'occupazione. (5-03370)


   CARUSO e D'ALIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 luglio 2013 l'Eni confermava la volontà di continuare ad investire nel territorio di Gela firmando un accordo con le parti sociali e istituzionali del territorio nel quale si prevedeva un progetto di ristrutturazione e rilancio del sito produttivo con un investimento di 700 milioni di euro, con l'obiettivo di dare vita ad una raffineria capace di affrontare le sfide di un mercato competitivo ed in continua evoluzione, economicamente solida, ancora più ecocompatibile ed attenta al territorio;
   secondo i dirigenti Eni il «progetto di ristrutturazione e di rilancio mirava a recuperare sostenibilità economica attraverso il superamento delle debolezze strutturali del sito». Sempre la stessa Eni dichiarava che a regime nel 2017, grazie ad un nuovo assetto industriale ed organizzativo, la raffineria di Gela doveva essere capace di generare utili con produzioni più adeguate alle esigenze di mercato (massimizzazione della produzione di diesel e interruzione della produzione di benzine e polietilene) recuperando nel contempo affidabilità, flessibilità ed efficienza operativa;
   lo scorso mese di giugno lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare accoglieva le istanze proposte dal gruppo Eni riguardo al rilascio della certificazione AIA, riconoscendo alla raffineria di Gela il principio della media ponderata sulle emissioni inquinanti in atmosfera che gli consente di vendere l'energia elettrica prodotta dalla centrale termoelettrica;
   nei giorni scorsi l'amministratore delegato di Eni, Descalzi comunicava agli organi di stampa la volontà della società di procedere al fermo degli impianti a tempo indeterminato, non rispettando di fatto quanto previsto dall'accordo del 9 luglio 2014 sottoscritto con le parti sociali e istituzionali; tale volontà veniva confermata nel corso degli incontri con i sindacati tenutosi a Roma in data 8 luglio 2014;
   a dimostrazione di quanto annunciato da Descalzi, la produzione presso la raffineria di Gela si è interrotta dal 15 marzo 2014, facendo precipitare nel panico un'intera comunità che ha ancora nel presidio industriale il cuore pulsante della propria economia;
   come viene riportato nel documento approvato dal consiglio comunale di Gela «Nessun indizio di chiusura era paventato, atteso che la stessa Eni dichiarava che, a differenza delle altre società petrolifere europee che stavano chiudendo le loro raffinerie in Europa (15 dal 2008) per investire in Asia e in Medio Oriente, loro invece avevano deciso di affrontare la difficile congiuntura economica del settore senza delocalizzare, bensì investendo nel riassetto dei siti italiani in crisi»;
   la paventata chiusura della raffineria di Gela, metterebbe in discussione il posto di lavoro di almeno 5.000 lavoratori tra diretto ed indotto, con dirette conseguenze per la tenuta sociale ed economica della città stessa e del suo comprensorio scelta che se confermata rappresenterebbe un tradimento per l'intera comunità siciliana che ha dato molto di più di quanto abbia ricevuto;
   il territorio di Gela e i comuni limitrofi non potrebbero sostenere le ricadute sociali di un eventuale delocalizzazione del sito di raffinazione, che determinerebbe il rischio concreto di un pericoloso ritorno della recrudescenza criminale;
   ai cittadini di Gela, che considerano ancora l'Eni come un'industria di Stato, e che hanno scommesso in questi anni sul riscatto di quella terra, puntando sull'affermazione della legalità come presupposto di un modello di sviluppo, una tale evenienza farebbe passare l'insidioso sospetto che a garantire i presidi della legalità e dello sviluppo in Sicilia, debbano essere soltanto i sacrifici unilaterali a carico dei cittadini –:
   quali iniziative intenda intraprendere per riattivare la produzione e restituire la serenità alle centinaia di famiglie gelesi preoccupate per il loro futuro e se non ritenga di sollecitare l'Eni affinché dia seguito a quanto sottoscritto nell'ultimo accordo del 2013, che prevedeva investimenti di adeguamento tecnologico e ambientale che avrebbero dato sicuramente ristoro e fiducia a quella comunità, vessata dagli effetti di questa crisi perdurante.
(5-03371)


   BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la spa Metalcastello con sede a Castel di Casio in provincia di Bologna ha 300 dipendenti ed è un'azienda leader nel settore della componentistica: produzione di ingranaggi, coppie coniche, alberi da trasmissione; specializzata in tutto ciò che è inerente alla movimentazione delle macchine: mezzi agricoli ed industriali; oltre che per automobili;
   l'80 per cento della produzione va oltre il confine nazionale. Il portafoglio clienti della suddetta Società include i principali OEM (original equipment manufacturer), a livello mondiale nei settori delle macchine movimentazione terra e veicoli agricoli quali: CAT; Jhon Deere; New Holland; JCB; CNH;
   la Metalcastello sta attraversando una grave crisi economica finanziaria dal 2009, dovuta a riduzione di commesse/ordini; il volume di affari è passato da un fatturato di 70 milioni di euro del 2008 a un fatturato di 50 milioni di euro attuali;
   nell'aprile del 2008 la proprietà della Metalcastello è stata ceduta alla Mahindra & Mahindra (colosso indiano di automotive; 50 mila dipendenti con un fatturato di 4 miliardi di euro, un'operazione industriale ritenuta dalla dirigenza Metalcastello indispensabile per sopravvivere in un mercato globale;
   quindi nell'aprile del 2008 la MC entra in «rete» con la Mahindra Sistec Gear (settore componentistico della Mahindra automotive): 12 mila dipendenti, 700 milioni di euro di fatturato, e un volume produttivo di 500 milioni di ingranaggi e decine di aziende nel mondo;
   la MC è la «punta di diamante» della Mahindra Sistec Gear in Europa: produzione di qualità con alta professionalità e tecnologie compiesse richieste; negli stabilimenti indiani invece si realizza produzione di basso profilo con minore valore aggiunto messa in «rete»;
   a giugno del 2013 Mahindra e CIE (colosso spagnolo settore automotive) creano una alleanza strategica, fusione definita di «Alleanza globale» (come mercato di riferimento Brasile e India), denominata Mahindra CIE Automotive Ltd, con siti produttivi in tutto il mondo;
   il prossimo settembre la CIE assumerà il controllo della Mahindra Sistec Gear e quindi controllerà la politica industriale anche della Metalcastello (la CIE controllerà 18 società sparse nel mondo: 12 in India e 6 in Europa — la MC unica società in Italia);
   la CIE condiziona ingenti e vitali finanziamenti (tramite un aumento di capitale sociale) purché la MC avvii una pesante ristrutturazione entro settembre: vale a dire, abbassare il costo di produzione (aumento dell'orario di lavoro e maggiore flessibilità) e ridurre il numero dei dipendenti. Senza ristrutturazione la CIE non farà nessun investimento nella Metalcastello;
   il 14 aprile 2014 la Metalcastello ha aperto una procedura di mobilità (licenziamenti collettivi) per 67 dipendenti; dando il via ad un tavolo di confronto in regione Emilia-Romagna. L'accordo siglato, in data 11 giugno 2014 ha ridotto il numero degli esuberi a 50 dipendenti. Nell'accordo vi è stata una dichiarazione che impegna l'azienda a consegnare entro il 31 ottobre alle organizzazioni sindacali il piano operativo e le linee guida che intende seguire al fine di poter ricercare quel posizionamento competitivo nel mercato atto ad assicurare la continuità produttiva. Ad oggi però non si conoscono nemmeno le linee guida di tale piano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'attuale situazione della spa Metalcastello e del caso quali siano le reali intenzioni di CIE in termini di piano industriale e quali siano le garanzie per il mantenimento di una struttura tecnologica di primaria importanza per l'economia locale. (5-03372)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICHETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 15 luglio 2014 la Coca Cola Hbc Italia ha aperto una procedura di mobilità riguardante 249 unità lavorative dell'area commerciale su tutto il territorio nazionale parte dei quali impiegati nelle province emiliano romagnole;
   la stessa società in data 16 luglio 2014 ha aperto una ulteriore procedura di mobilità concernente tutti i 57 lavoratori che operano nella sede di Campogalliano in provincia di Modena dichiarando la chiusura della sede;
   il 16 luglio 2014 è lo stesso giorno in cui è stato sottoscritto l'accordo integrativo di gruppo, che prevede un premio per i dipendenti di circa seimila euro per il periodo 2014-2016;
   le organizzazioni sindacali hanno espresso la loro netta contrarietà in merito al forte ridimensionamento posto in essere dalla Coca Cola e nel proclamare lo stato di agitazione hanno deciso di programmare 16 ore di sciopero nei prossimi giorni;
   vi è forte incertezza sul futuro dei lavoratori che rischiano di andare incontro ad una difficile ricollocazione occupazionale;
   la società al momento ha rifiutato ogni ipotesi alternativa alla collocazione in mobilità dei dipendenti a partire da quelli della sede dello stabilimento modenese –:
   se e quali iniziative il Governo intenda promuovere per convocare l'azienda e verificare le condizioni per una possibile riconsiderazione dei tagli annunciati, salvaguardando la sede di Campogalliano ed i suoi livelli occupazionali, o, comunque, di valutare altre soluzioni che escludano la messa in mobilità dei dipendenti.
(5-03363)

Interrogazioni a risposta scritta:


   QUARANTA e AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il pastificio Agnesi è stato fondato nel 1824 da Vincenzo Agnesi a Pontedassio (Imperia). È uno dei più antichi in Italia ed è conosciuto per la qualità dei suoi alimenti. Per più di 150 anni è stato condotto dalla famiglia che ha acquisito quote consistenti di mercato. Nel 1987 il gruppo Danone compra le prime quote della società dalla famiglia Agnesi fino ad assumerne il controllo nel 1995. Nel 1997 Danone cede il pastificio alla banca d'affari Paribas che a sua volta la mette in vendita. Nel 1999 è il gruppo alimentare italiano Colussi ad acquistarlo insieme a Banca Commerciale Italiana e Banca Euromobiliare. Angelo Colussi diventa amministratore delegato e presidente del consiglio di amministrazione di Agnesi Spa;
   il gruppo Colussi in Italia impiega 1.300 lavoratori circa di cui 110 nello stabilimento di Imperia (50 nell'indotto);
   a febbraio 2014 Colussi annuncia la cessazione della produzione della pasta (il 18 febbraio si ferma il mulino) e la chiusura dello stabilimento di Imperia entro l'anno in corso. La decisione fa attivare la cassa integrazione per 28 dipendenti. All'orizzonte ci sarebbe la ricollocazione nello stabilimento di Fossano (Cuneo) per alcuni e la cassa integrazione per gli altri, non è inoltre stata indicata alcuna prospettiva per i lavoratori dell'indotto;
   non risultano chiari i motivi della scelta dell'azienda di volere chiudere lo stabilimento di Imperia dal momento che nessun bilancio evidenzia una crisi così profonda, inoltre i lavoratori dicono che ci sarebbero nuove commesse in arrivo. Le pagine genovesi di La Repubblica suggeriscono una possibile chiave di lettura: «è vero che i numeri della Agnesi sono drasticamente rivolti in basso. Ma il timore, tra chi parla e chi accenna, è che sia stato voluto anche il calo produttivo. A fronte di un pensiero molto semplice: l'immensa fabbrica ha 6.000 metri quadrati, ed è a fianco del nuovo porto turistico. Ora sospeso, azzoppato forse: ma chissà, un giorno. Tanto è vero che è sospetto anche il progetto immobiliare della Porta a Mare, proprio nell'area Agnesi» [La Repubblica Genova 18 maggio 2014];
   la chiusura di un'azienda come l'Agnesi per un territorio come quello imperiese sarebbe un durissimo colpo. Nel dossier pubblicato a giugno da Bankitalia Genova che analizza la congiuntura economica e la struttura produttiva della regione si legge che: «la fotografia complessivamente non è buona. L'economia della Liguria soffre come il resto del Paese e, per certi aspetti anche di più» [La Repubblica, 11 giugno 2014];
   secondo i dati della CGIL «la provincia di Imperia appare minata dalla crisi in tutta la sua struttura economica, il trend non è in miglioramento. Insomma nessuna ripresa, Imperia è al collasso: performance di Imperia e della Liguria più critica della media del Paese, crescita delle diseguaglianze sociali, drastica contrazione dell'occupazione (raffronto 2012/2013 –10,2 per cento)» [Il Secolo XIX, 24 luglio 2014];
   i lavoratori del pastificio in questi mesi oltre agli scioperi e alle proteste hanno proposto all'azienda un «contro piano» che prevede un'azienda integrata nella realtà produttiva che possa fare da volano anche per il turismo e l'economia cittadina affiancando alla produzione della semola anche una parte museale dove mettere in mostra le eccellenze del territorio (olio, pasta ecc.) attivando così un turismo gastronomico puntando sulle potenzialità e il marchio del «made in Italy» –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendono proporre alla luce di quanto enunciato per fare sì che un'azienda come Agnesi non abbandoni il territorio su cui si trova da 190 anni, causando la perdita di centinaia di posti di lavoro (tra lavoratori diretti e indotto) e un grave danno per l'identità della città;
   se non ritenga necessario attivare al più presto il tavolo già concordato e chiedere la presentazione del piano industriale che sarà illustrato ai sindacati il 9 settembre. (4-05734)


   CIMBRO, LAFORGIA e ALLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda della Franco Tosi Meccanica spa è stata posta all'attenzione del Governo Letta con interpellanza del 21 novembre 2013 nella quale gli interpellanti hanno sottolineato la necessità di prevedere interventi d'urgenza per garantire i livelli occupazionali e di produzione dell'azienda;
   il Governo, nella figura del sottosegretario De Vincenti, ha prontamente risposto sottolineando l'attenzione del Ministero dello sviluppo economico alla vicenda Franco Tosi e «l'impegno a garantire la cassa integrazione ai dipendenti, quindi mettere in sicurezza i lavoratori e, contemporaneamente, procedere con il commissario alle verifiche necessarie per accelerare al massimo le operazioni di cessione dell'azienda»;
   in data 7 febbraio 2014 è stata presentata un'interrogazione a risposta scritta nella quale gli interroganti hanno sottolineato la loro preoccupazione rispetto alle tempistiche incerte degli interventi disposti dall'amministrazione straordinaria con il rischio di depauperamento del patrimonio industriale, di dispersione del know-how tecnologico e di ipotesi «spezzatino» sempre più certa;
   a tali preoccupazioni, il sottosegretario De Vincenti ha risposto rassicurando gli interroganti circa la condivisione delle «scelte operate dal commissario volte ad assicurare il perseguimento delle finalità della procedura di amministrazione straordinaria attraverso la vendita dell'azienda secondo le procedure previste dalla legge» e «in tale contesto proprio al fine di corrispondere alle esigenze di celerità da più parti rappresentate e comunque connesse all'utile esperimento del tentativo conservativo, il Ministro dello sviluppo economico ha condiviso le valutazioni del commissario ed ha invitato lo stesso a predisporre gli atti necessari al più rapido avvio della procedura di vendita»;
   in seguito, l'amministrazione straordinaria di Franco Tosi Meccanica ha reso noto di voler procedere ad un nuovo bando destinato alla vendita del ramo d'azienda produttivo e fissa la data ultima per l'accettazione delle offerte al giorno 4 luglio 2014;
   a meno di una settimana da tale scadenza, viene pubblicato sul sito dell'azienda la proroga per la presentazione delle offerte per l'acquisto del ramo d'azienda al 30 settembre 2014;
   di nuovo, a pochi giorni di distanza, il giorno 8 luglio, 2014 viene pubblicata una nuova data per la presentazione delle offerte, venerdì 4 settembre 2014; a distanza di non più di dieci giorni, ai possibili investitori interessati alla Franco Tosi vengono comunicate tre differenti scadenze per la presentazione delle loro offerte, e sul sito dell'azienda sembra che le comunicazioni siano state pubblicate solo in lingua italiana e non in lingua inglese;
   la scelta del rinvio al 30 settembre 2014 è stata giustificata con la «modifica del perimetro aziendale» conseguente all'arrivo di un'importante commessa in Iran e ad una trattativa, in fase di definizione, relativa al recupero del marchio perso definitivamente dopo la recente sentenza della Cassazione. Sembra, però, che per tale commessa si prevede per la Tosi una parte di ingegneria, limitata ad alcune lavorazioni meccaniche, con conseguente inutilizzo di due reparti (carpenteria e reparto palette) dove sono impiegati circa 70 operai; non si conosce, inoltre, il valore economico della commessa da realizzare in partnership tra la Bruno Presezzi spa di Burago Molgora e la Franco Tosi mentre pare (così come affermato durante l'incontro sindacale del 23 luglio 2014, alla presenza della stessa Bruno Presezzi spa e del dottor Mascagni) che le garanzie fideiussorie vengano date dalla Bruno Presezzi spa con la facoltà di rivalsa nei confronti di Franco Tosi spa nella misura del 50 per cento in caso di ritardi nella consegna o di problemi relativi alla qualità e al funzionamento delle turbine;
   si sottolinea inoltre la scadenza del 25 luglio 2014 della cassa integrazione richiesta un anno fa per i 380 dipendenti. Sarà probabilmente inoltrata una richiesta per estendere il periodo di cassa integrazione;
   è però doveroso ricordare il disagio delle molte famiglie di Legnano che per sei mesi dell'anno scorso, da luglio 2013 a febbraio 2014, hanno dovuto attendere per incassare il corrispettivo di cassa integrazione che per molte di loro rappresenta un'entrata mensile importante. Ulteriori saranno quindi anche i disagi sociali per le famiglie coinvolte in una situazione aziendale che avrebbe dovuto essere gestita in tempi molto più brevi –:
   quali altre iniziative i Ministri, per quanto di competenza, intendano intraprendere al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali e produttivi della società Franco Tosi Meccanica ed entro quale data tali iniziative verranno intraprese, soprattutto, per quanto concerne la cassa integrazione straordinaria;
   se non ritenga il Ministro dello sviluppo economico di dover mantenere la data del 4 settembre 2014 come termine ultimo e definitivo per evitare ulteriori slittamenti che non si muovono nella direzione di interventi risolutivi per la messa in sicurezza dell'integrità e della continuità dell'azienda. (4-05736)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Arlotti n. 5-03038 del 19 giugno 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Benamati n. 5-03131 del 2 luglio 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Crippa n. 5-03209 del 10 luglio 2014.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Scuvera n. 5-03329 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 271 del 24 luglio 2014. Alla pagina 15517, seconda colonna, dalla riga diciottesima alla riga diciannovesima deve leggersi: «appreso dell'imminente chiusura» e non «appreso dall'azienda, tramite sms e senza alcun preavviso, dell'imminente chiusura» come stampato e alla riga ventunesima deve leggersi: «risoluzione del loro rapporto di lavoro» e non «risoluzione dei loro rapporto di lavoro», come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Rimini ha avviato da tempo una sperimentazione per misurare il vento nel mare Adriatico, in particolare davanti alla coste di Rimini sulla piattaforma metanifera dell'Eni Azalea B;
   gli esiti della campagna di misurazione sono la premessa indispensabile per valutare la fattibilità economica ed ambientale di una wind farm in mare, in un'area che presenta caratteristiche che possono concretamente favorire l'installazione di un parco eolico off-shore;
   dal 2012 la provincia di Rimini partecipa inoltre al progetto europeo 4Power, approvato e finanziato nell'ambito della azioni dell'iniziativa Interreg IV C dell'Unione europea, che riunisce 11 partner di 9 diversi Stati dell'Unione europea, prevede l'analisi delle migliori pratiche relative allo sviluppo dell'eolico off shore e lo scambio di esperienze tra partner che hanno già avviato la produzione di energia da fonte eolica, studiando i modelli legislativi e le norme degli incentivi che finanziano, in diversi modi, la crescita delle rinnovabili;
   in occasione del meeting del progetto europeo 4POWER, dal 6 all'8 novembre scorsi, è stato fatto il punto sullo sviluppo dell'eolico off shore in Europa, dove sono già centinaia le turbine installate che producono quote significative di energia rinnovabile, a costi contenuti e con evidenti vantaggi in materia di ambiente: nei primi 6 mesi si è già installato oltre 1 GW di potenza, circa il doppio rispetto allo stesso periodo del 2012 e quasi quanto si è realizzato nell'intero anno passato;
   l'Italia, però, resta tuttora fuori da questo sviluppo e la situazione è complicata spesso dalle questioni amministrative legate all'iter di approvazione dei progetti: l’iter amministrativo per il rilascio di una valutazione di impatto ambientale arriva a durare tre o quattro anni e poi magari essere rimesso in discussione o fermato da un ricorso al tribunale amministrativo per poi ricominciare di nuovo, senza sapere quando e come verrà definitivamente approvato;
   ad oggi non risulta realizzato ancora un solo parco eolico, ed esiste una sola autorizzazione rilasciata per un parco nelle acque della Sicilia –:
   se il Governo non ritenga opportuno lavorare per ottenere uno schema chiaro del sistema autorizzativo che superi i limiti della legislazione vigente, definisca i tempi delle procedure e approvi specifiche regole per la realizzazione degli impianti eolici offshore, al fine di uscire da una situazione di conflitti e polemiche causata dalla totale assenza di qualsiasi riferimento per la valutazione degli impianti;
   se non sia necessario intervenire sul sistema degli incentivi per le rinnovabili, assumendo iniziative per fissare una durata certa e stabile per un numero significativo di anni (almeno 10) e destinando una quota (10/15 per cento) al territorio su cui gli impianti vengono realizzati, introducendo un vantaggio fiscale e/o economico quale misura equa a vantaggio dello sviluppo delle rinnovabili;
   se non ritenga fondamentale la partecipazione delle comunità locali nei processi di decisione circa i progetti che riguardano l'eolico, con l'approvazione di norme simili a quello che in Francia è il public debat, per cui su un'opera si presenta il progetto, con dati certi e documentati, si discute, si argomenta, si ascoltano i tecnici, chi è favorevole e chi è contrario, si valuta attraverso un organismo autonomo e indipendente e poi si decide tenendo conto dei pareri dei suggerimenti e di quanto è emerso nella fase della discussione. (4-05350)

  Risposta. — Facendo riferimento all'atto in esame, si riscontra quanto segue.
  L'interrogante pone tre specifici quesiti al Governo:
   
a) se non ritenga opportuno lavorare per ottenere uno schema chiaro del sistema autorizzativo che superi i limiti della legislazione vigente, definisca i tempi delle procedure e approvi specifiche regole per la realizzazione degli impianti eolici offshore, al fine di uscire da una situazione di conflitti e polemiche causata dalla totale assenza di qualsiasi riferimento per la valutazione degli impianti;
   
b) se non sia necessario intervenire sul sistema degli incentivi per le rinnovabili, assumendo iniziative per fissare una durata certa e stabile per un numero significativo di anni (almeno 10) e destinando una quota (10/15 per cento) al territorio su cui gli impianti vengono realizzati, introducendo un vantaggio fiscale e/o economico quale misura equa a vantaggio dello sviluppo delle rinnovabili;
   
c) se non ritenga fondamentale la partecipazione delle comunità locali nei processi di decisione circa i progetti che riguardano l'eolico, con l'approvazione di norme simili a quello che in Francia è il debat public, per cui su un'opera si presenta il progetto, con dati certi e documentati, si discute, si argomenta, si ascoltano i tecnici, chi è favorevole e chi è contrario, si valuta attraverso un organismo autonomo e indipendente e poi si decide tenendo conto dei pareri dei suggerimenti e di quanto è emerso nella fase della discussione.

  Quanto ai quesiti a) e c), si osserva che l'articolo 12, decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, come modificato dall'articolo 2, comma 158, legge 24 dicembre 2007 n. 244, prevede che l'autorizzazione unica alla costruzione e all'esercizio degli impianti a fonti rinnovabili offshore, è rilasciata dal Ministero dei trasporti (ora delle infrastrutture e dei trasporti) sentiti il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e previa concessione d'uso del demanio marittimo da parte della competente autorità marittima.
  Con la circolare 5 gennaio 2012 n. 40, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha, peraltro, predisposto le linee-guida operative per favorire una razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative in questione.
  La predetta circolare ha fornito un quadro normativo preciso per favorire una spedita e uniforme applicazione, sotto l'aspetto amministrativo e procedurale, dell’
iter per l'autorizzazione di impianti offshore di produzione energia elettrica da fonti rinnovabili.
  Al fine di offrire le indicazioni operative necessarie agli enti destinatari, la circolare in parola si sofferma, in particolare:
   sull'oggetto, sulla competenza e sul procedimento per il rilascio della concessione demaniale marittima (articolo 36 del codice della navigazione; articoli da 5 a 40, regolamento esecuzione del codice della navigazione) che è un presupposto e valore pregiudiziale rispetto all’
iter di autorizzazione unica;
   sui caratteri essenziali, la struttura e la competenza del procedimento di autorizzazione unica di cui all'articolo 12, decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387;
   sul procedimento di valutazione di impatto ambientale di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (articoli 19 e seguenti decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, e successive modificazioni e integrazioni e della legge 23 luglio 2009 n. 99);
   sull'individuazione degli assensi da conseguire e degli enti da convocare nelle conferenze di servizi inerenti ai procedimenti di rilascio della concessione demaniale marittima e dell'autorizzazione unica;
   e sugli ulteriori aspetti – pratici e operativi – dell’
iter autorizzativo degli impianti offshore.

  Ciononostante, non possono sottacersi le problematiche che riguardano i procedimenti per l'autorizzazione degli impianti eolici offshore.
  Le cause vanno indubbiamente ricercate nelle criticità ambientali e paesaggistiche che spesso sono legate a tali installazioni.
  Per affrontare le problematiche evidenziate dall'interrogante è dunque necessario predispone un coinvolgimento pieno, oltre che del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (poiché amministrazione procedente) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in quanto la mancata autorizzazione dipende spesso da pareri negativi di tale Ministero, fondati, in sintesi, sull'interposizione visiva di tali impianti rispetto alle visuali paesaggistiche, anche promuovendo un confronto istituzionale con le amministrazioni competenti a vario titolo sul piano autorizzativo, al fine di superare definitivamente le criticità emerse nel corso dell'esperienza a oggi maturata.
  In sede di confronto si potrebbe valutare, altresì, la possibilità di introdurre una forma di consultazione allargata sul modello del
debat public francese come suggerito, peraltro, dall'interrogante (anche se il modello della conferenza di servizi, attualmente vigente, consente già una significativa forma di partecipazione anche dei privati) ma soprattutto, un sistema che consenta di individuare ex ante le aree non compatibili (in vigore in Spagna, ma anche in Italia per l'eolico onshore) come, peraltro, proposto dagli operatori del settore.
  Quanto al quesito
c), si osserva che attualmente il decreto ministeriale 6 luglio 2012, che disciplina l'incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diverse dai fotovoltaici, ha previsto l'assegnazione tramite aste di 650 MW di potenza incentivabile da fonte eolica offshore, con un incentivo per la durata di 20 anni che varia, a secondo della potenza dell'impianto, da 176 euro/MWh a 165 euro/MWh. Attualmente è dunque vigente un sistema di incentivazione certo, che garantisce l'equa remunerazione dei costi di investimento.
  Relativamente alla proposta dell'interrogante di introdurre vantaggi fiscali e/o economici quale misura a vantaggio dello sviluppo delle rinnovabili per il territorio su cui gli impianti vengono realizzati, si evidenzia quanto segue.
  La legislazione di settore vigente vieta espressamente la corresponsione di misure compensative a carattere esclusivamente patrimoniale. Sarebbe invece preferibile – sulla base del modello introdotto dalle linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili
on-shore, approvate con decreto del Ministero dello sviluppo economico del 10 settembre 2010 – prevedere la possibilità di individuare misure compensative, a carattere non meramente patrimoniale, da orientare su interventi di miglioramento ambientale, correlati alla mitigazione degli impatti riconducibili al progetto, a favore degli enti interessati.
Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   CAPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con regio decreto n. 221 del 5 febbraio 1928 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n. 48 del 27 febbraio 1948 i comuni di Dualchi e Noragugume vengono aggregati a quello di Borore situati tutti in provincia di Nuoro;
   l'articolo 1 della legge n. 42 del 3 gennaio 1939 riconosce a Dualchi la sua autonomia prevedendo: «I territori già costituenti i cessati comuni di Dualchi e di Noragugume aggregati con regio decreto al comune di Borore sono eretti in unico comune autonomo con capoluogo denominato Dualchi»;
   con decreto luogotenenziale n. 920 del 22 dicembre 1945 il 12 maggio 1946 si ricostituisce anche il comune di Noragugume;
   nella fase di aggregazione che ha interessato i comuni di Dualchi e Noragugume, cioè dal 1928 al 1939 sono stati mantenuti in modo autonomo «i servizi di stato civile, di abigeato...» così come era previsto dal decreto del 16 maggio 1928 del commissario prefettizio della provincia di Nuoro;
   nel 2007 diverse persone nate a Dualchi tra il 1928 e il 1939, dunque durante l'aggregazione dei comuni sopra citati, sono state destinatarie di una variazione nei documenti anagrafici e fiscali, operata dall'ufficio anagrafe del comune di Dualchi, con la quale si comunicava loro che non erano più nate a Dualchi ma a Borore;
   questo si verificava, si legge sempre nella comunicazione, come conseguenza dell'applicazione del decreto ministeriale 13 ottobre 2005 n. 240 «regolamento di gestione dell'indice nazionale delle Anagrafi» che viene emanato in attuazione dell'articolo 1-novies (modifiche all'ordinamento delle anagrafi della popolazione residente) del decreto-legge 31 marzo 2005 n. 44 convertito dalla legge 31 maggio 2005, n. 88;
   con riferimento all'applicazione dell'articolo 1-novies del citato decreto-legge il Ministero dell'interno con la circolare n. 27 del 2006 (comuni soppressi o modificati) scrive testualmente: «A fronte di tale quadro normativo, ed al fine di supportare l'azione dei comuni, si avverte l'esigenza di garantire l'omogeneità e l'univocità dei sistemi informatizzati relativamente ai Comuni che hanno subito mutamenti territoriali e di denominazione, tenendo, comunque, conto del principio in base al quale l'evento nascita rimane inquadrato nelle condizioni di tempo e di luogo in cui si è verificato»;
   dall'interpretazione dunque più che dall'applicazione delle disposizioni sopra richiamate, per le persone nate a Dualchi, nei documenti di identità rilasciati dall'ufficio anagrafe, in un primo tempo, dal 2007, si certificava che erano nate contemporaneamente a Dualchi e Borore (come che una persona possa essere nata contemporaneamente in due luoghi), mentre dal 2010 si certifica che sono nate a Borore;
   nel comune di Borore non esiste nessuna traccia anagrafica della loro esistenza;
   per gli altri comuni, che nel periodo interessato erano aggregati, non si è verificato nulla di tutto ciò e ogni cittadino ha mantenuto la propria identità anagrafica originaria;
   questo intoppo burocratico sta creando grossi disagi a livello sanitario, pensionistico, sociale, economico (ci sono persone che hanno due codici fiscali, persone che si sono viste bloccare per mesi la pensione estera perché i dati anagrafici non corrispondevano e che sono riuscite a vederla sbloccata solo ricorrendo al consolato, addirittura chi si è visto spostare l'intervento chirurgico perché l'operatore sanitario dell'ospedale in cui era stato ricoverato aveva riscontrato dati contraddittori nella cartella clinica) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di disagio che stanno vivendo queste persone e quali iniziative, anche normative, intenda adottare con urgenza al fine di ridare la loro identità ai nati nel comune di Dualchi.
(4-01168)

  Risposta. — Il comune di Dualchi, dal 5 febbraio 1928 al 3 gennaio 1939, ha cessato di esistere come tale, in quanto «aggregato» al comune di Borore con regio-decreto n. 221 del 1928. Esso è stato successivamente ricostituito con legge 3 gennaio 1939, n. 42 «Costituzione del comune di Dualchi in provincia di Nuoro».
  Sin dal 2007, il sindaco e un gruppo di cittadini di Dualchi (nati appunto nel periodo 5 febbraio 1928 – 2 gennaio 1939) hanno sottoposto la vicenda oggetto dell'interrogazione all'attenzione della prefettura di Nuoro, che ha dato luogo ad una serie di incontri, accompagnati anche da una serie di interventi e interlocuzioni del Ministero dell'interno, allo scopo di favorire la soluzione dei disagi derivanti dall'applicazione della normativa nazionale per l'allineamento dei dati anagrafici nel sistema Ina-Saia.
  In data 25 giugno 2010, la prefettura ha comunicato al sindaco del comune di Dualchi che il Ministero dell'interno aveva preso atto del perfezionamento dell'adeguamento degli atti anagrafici e di stato civile per le persone interessate e che le modifiche erano state recepite da tutte le altre pubbliche amministrazioni in sede di rilascio e/o di rinnovo dei documenti personali degli interessati.
  Con la stessa nota la prefettura, allo scopo di evitare i possibili disagi causati dalla divergenza in atti già formati – preservando al contempo il principio che gli atti dello stato civile devono riportare l'indicazione del luogo di nascita quale risultante al momento dell'eventi –, ha invitato il comune a rilasciare ai cittadini interessati «una certificazione riguardante l'intervenuto cambiamento della denominazione del luogo di nascita, la data del cambiamento e la denominazione attuale. Tale certificazione, da allegare ai documenti personali ovvero ai certificati di cui si richiede l'esibizione, attesterebbe in modo permanente ed inequivocabile l'identità della persona rispetto alle variazioni anagrafiche intervenute, peraltro già recepite del Ministero dell'economia e delle finanze, dal casellario giudiziale, dalla Asl e dall'Inps».
  In relazione a tale suggerimento, il comune ha rilasciato ai cittadini interessati la predetta certificazione, che si è rivelata idonea a rimediare ai disguidi burocratici lamentati.
  Tuttavia, in data 20 marzo 2014, 42 cittadini nati a Dualchi hanno reiterato e sottoscritto una petizione per il ripristino dei reali dati anagrafici, in quanto la soluzione a suo tempo adottata non è riuscita a soddisfare appieno le esigenze «identitarie e culturali» degli esponenti.
  Il documento è stato sottoposto dalla Prefettura all'esame del Ministero dell'interno per gli eventuali ulteriori orientamenti e direttive sulla vicenda.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CAPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 1° gennaio 2014 i lavoratori dell'Alcoa di Portovesme saranno messi in cassa integrazione. La notizia è arrivata in questi giorni con la comunicazione ai sindacati dell'avvio delle procedure di licenziamento collettivo da parte dei vertici dell'azienda;
   come hanno affermato i rappresentati dei sindacati ci sono ora 75 giorni di tempo per evitare che i lavoratori escano dal circuito produttivo e finiscano in mobilità. Il primo problema da affrontare è quello degli ammortizzatori sociali perché deve essere ricontrattata la proroga della cassa integrazione;
   a questa notizia drammatica per la situazione che ha coinvolto l'Alcoa in questi ultimi anni va ad aggiungersi la notizia del 17 ottobre inerente la sentenza della Corte di giustizia europea in materia di tariffe energetiche agevolate;
   si legge nella sentenza che: «L'Italia è venuta meno al proprio obbligo di recuperare gli aiuti di Stato concessi all'Alcoa sotto forma di tariffa agevolata per l'elettricità». Così ha sentenziato la Corte riguardo a un ricorso presentato dalla Commissione Europea nei confronti dell'Italia;
   l'Alcoa dal 1996 ha beneficiato di una tariffa agevolata per l'elettricità destinata a due stabilimenti di produzione, uno in Sardegna (Portovesme) e l'altro in Veneto (Fusina), grazie a un contratto con Enel. La tariffa, inizialmente fissata per un periodo di dieci anni, era stata autorizzata dalla Commissione Europea, che aveva ravvisato l'insussistenza di un aiuto di Stato in quanto, all'epoca, si trattava di un'operazione commerciale ordinaria conclusa alle condizioni di mercato;
   la tariffa è stata prorogata a due riprese — prima fino al giugno 2007, poi fino al 2010 — senza essere adattata all'evoluzione del mercato. Nel 2009, la tariffa era sovvenzionata da una tassa imposta ai consumatori di elettricità e non corrispondeva più alle condizioni del mercato. L'importo equivaleva alla differenza tra il prezzo contrattuale pattuito con il fornitore di energia elettrica (Enel) e il prezzo agevolato;
   nel 2009 la Commissione europea ha ritenuto che queste proroghe fossero volte a ridurre i costi operativi dell'Alcoa, procurandole quindi un vantaggio rispetto ai suoi concorrenti. Le proroghe «costituivano pertanto aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune, che l'Italia doveva recuperare, interessi compresi — sottolinea la Corte —. L'Italia doveva inoltre annullare tutti i pagamenti futuri e comunicare l'importo complessivo dell'aiuto da recuperare, le misure già adottate per conformarsi alla decisione nonché i documenti attestanti che era stato imposto al beneficiario di provvedere al rimborso dell'aiuto»;
   secondo l'Italia, l'importo da recuperare ammontava a circa 295 milioni di euro, di cui 38 milioni di interessi. La Commissione europea, ritenendo che l'Italia non avesse rispettato né l'obbligo d'informazione né l'obbligo di recupero, ha presentato ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia. Nella sua sentenza, la Corte ricorda che «lo Stato membro destinatario di una decisione che gli impone di recuperare aiuti illegali è tenuto ad adottare ogni misura idonea ad assicurarne l'esecuzione e deve giungere a un effettivo recupero delle somme dovute. Il recupero va effettuato senza indugio e un recupero successivo ai termini impartiti non può soddisfare i requisiti del Trattato»;
   «poiché la decisione 2010/460 è stata notificata il 20 novembre 2009, il termine scadeva pertanto il 20 marzo 2010 — prosegue la Corte —. A tale data non era stato recuperato l'intero aiuto. Al contrario il procedimento di recupero era ancora aperto dopo la proposizione del suddetto ricorso ossia più di due anni e mezzo dopo la notifica della decisione. Secondo costante giurisprudenza, il solo mezzo di difesa che uno Stato membro può opporre ad un ricorso per inadempimento promosso dalla Commissione è quello dell'impossibilità assoluta di dare correttamente esecuzione alla decisione di cui trattasi — spiega ancora la Corte di Giustizia Europea;
   tanto nei suoi contatti con la Commissione prima della proposizione del suddetto ricorso quanto nell'ambito del procedimento dinanzi alla Corte, l'Italia non ha mai fatto valere un'impossibilità assoluta di esecuzione della decisione. Essa si è limitata a comunicare alla Commissione difficoltà giuridiche o pratiche, nonché la propria intenzione di giungere a una soluzione negoziata con l'Alcoa»;
   a questo punto, accertato l'inadempimento, «lo Stato membro interessato deve conformarsi alla sentenza senza indugio». Se ciò non avverrà, la Commissione e la stessa Corte di giustizia possono infliggere sanzioni pecuniarie;
   la situazione di Alcoa diventa, alla luce dei fatti sopra esposti, difficile ed allarmante ma non solo per i lavoratori di quel settore ma anche per le ripercussioni che una chiusura totale degli stabilimenti può comportare per il nostro Paese;
   le ricadute avranno ripercussioni su tutto il sistema industriale. L'Italia consuma 800 mila tonnellate di alluminio primario e di suoi derivati. È il secondo metallo dopo l'acciaio. Importa l'88 per cento del suo fabbisogno. Senza Alcoa, dovrà importare il 100 per cento. Con una minore specializzazione di leghe e prodotti, non potranno non esservi ripercussioni sulle filiere dell'automotive, dell'ingegneria e delle infrastrutture;
   «il capitolo energia e tariffe è un capitolo a sé» spiegano in una nota i vertici di Alcoa dopo aver appreso della sentenza. Ma è anche vero che la questione occupazionale si innesta in tale contesto perché il costo dell'energia è stato uno dei motivi che hanno spinto la multinazionale americana a decidere di andarsene dalla Sardegna;
   il sito di Portovesme è oggi chiuso, le celle ormai sono state spente molti mesi fa. Delle tre trattative che sono iniziate con possibili acquirenti, nessuna è andata a buon fine. E all'orizzonte non sembrano esserci nuove manifestazioni di interesse;
   martedì 22 ottobre 2013 è previsto un incontro al Ministero dello sviluppo economico tra azienda e Governo. Scade il 31 dicembre la cassa integrazione per i quasi 500 operai di Portovesme. E sono in corso negoziati per rinnovare di un anno gli ammortizzatori –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere al fine di tutelare le legittime aspettative dei lavoratori che rischiano di uscire dal circuito produttivo e salvaguardare da inevitabili ripercussioni negative tutto il tessuto produttivo manifatturiero italiano. (4-02243)

  Risposta. — La crisi della Alcoa di Portovesme rappresenta una delle più difficili del nostro sistema industriale. In particolare perché riguarda un settore, quello dell'alluminio che, causa la discesa dei prezzi, ha vissuto e continua a vivere una fase di grande difficoltà a livello internazionale che nel corso degli ultimi anni ha portato alcuni degli stabilimenti delle multinazionali del settore a trovarsi in una situazione di grande difficoltà. È il caso dello stabilimento Alcoa, per il quale, nel gennaio 2012, la multinazionale aveva deciso la chiusura avviando la procedura di mobilità.
  Proprio da questa drastica decisione è iniziata la vertenza. Attraverso un lungo e difficile negoziato in cui il Governo ha svolto una importante funzione finalizzata allo scioglimento di alcuni dei nodi principali che si presentavano, si è riusciti:
   a convertire la procedura di mobilità in una cassa integrazione per cessazione di attività fino al 31 dicembre 2014;
   a ottenere dall'azienda l'impegno a mantenere in efficienza gli impianti fino al 31 dicembre 2013, poi prolungato fino al 30 giugno 2014;
   a operare per una cessione dello stabilimento a un investitore interessato.

  Si è aperta allora una fase complessa di ricerca di investitori. Quattro sono state le principali manifestazioni di interesse, che via via, però, si sono scontrate con difficoltà oggettive.
  A questo proposito va chiarito un punto importante: le difficoltà oggettive non hanno a che fare con il prezzo dell'energia; il Governo ha immediatamente segnalato alle aziende interessate che per situazioni come quella dello stabilimento di Portovesme la normativa italiana consente sconti che allineano il prezzo dell'energia a quello praticato nei Paesi dove risiedono le principali imprese concorrenti nel settore dell'alluminio.
  Le difficoltà sono legate piuttosto alla situazione complessiva del mercato dell'alluminio, alla necessità di una riorganizzazione generale dell'attività dello stabilimento di Portovesme, nonché agli investimenti ingenti necessari su quel sito.
  Attualmente è in corso l'approfondimento di una manifestazione di interesse ancora in campo, che il Governo sta sollecitando e seguendo con grande attenzione.
  Altre opportunità di investimento nella zona potranno emergere nel contesto del Piano Sulcis che ha appunto l'obiettivo di attirare l'insediamento di nuove attività produttive. In particolare, è in fase di strutturazione del finanziamento, un importante investimento nel settore dei biocarburanti di seconda generazione.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 7 giugno del 2008 fu rapinato l'ufficio postale di Catania succursale n. 24;
   l'evento sarebbe stato agevolato dalla negligenza del direttore, signor Francesco Diolosà;
   l'ammontare della somma trafugata fu di euro 17.700,00;
   dalla relazione della funzione tutela aziendale emergerebbero gravissime responsabilità in capo al detto Diolosà: che avrebbe consentito l'accesso ai locali interni dell'ufficio senza usare precauzioni, ricevendo una persona nella propria stanza dove è allocata la cassaforte in difformità delle disposizioni aziendali dettate sulla sicurezza negli uffici postali;
   qualche giorno dopo la rapina, il signor Diolosà fu assegnato al servizio commerciale della filiale di Catania 1;
   successivamente, lo stesso Diolosà fu assegnato alla struttura regionale di mercato privati/Area territoriale Sud 2, in Palermo –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto esposto in premessa;
   con quali modalità Poste italiane abbia recuperato l'ammontare della somma;
   se risulti quale sia stato l'esito del procedimento disciplinare eventualmente attivato. (4-02515)

  Risposta. — In via preliminare si fa presente che l'argomento trattato esula dalle competenze del Ministero dello sviluppo economico che ha compiti esclusivamente in materia di svolgimento del servizio postale universale, fermo restando l'attività di regolamentazione e di vigilanza svolta dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
  Ciò premesso in merito alla richiesta riguardante la rapina, risalente al mese di giugno 2008, perpetrata ai danni dell'ufficio postale di Catania, succursale 24, si informa sulla base di quanto riferito a riguardo dalla società Poste Italiane.
  Dalla ricostruzione della vicenda emerge quanto già risultò all'epoca dei fatti, ovvero l'esclusione di un nesso causale diretto, tra la condotta del dottor Francesco Diolosà, direttore del citato ufficio postale, e l'evento criminoso realizzatosi.
  In particolare, da quanto viene riferito dalla società Poste, nella relazione ispettiva redatta a seguito della rapina, si dava atto della consolidata prassi aziendale dell'epoca, di consentire, negli uffici postali non dotati di apposita sala consulenza, l'accesso dei clienti ai locali interni degli stessi, allo scopo di assicurare la massima riservatezza a coloro che intendessero concludere qualche investimento.
  L'insussistenza del nesso causale veniva ulteriormente confermato dalla descrizione, contenuta nella suddetta relazione ispettiva, dell'atteggiamento, oltremodo rassicurante tenuto dal cliente – successivamente rivelatosi rapinatore – che aveva chiesto al personale di sportello di poter trattare dei propri affari, in maniera riservata, con il direttore dell'ufficio postale.
  Nella citata relazione ispettiva, si evidenziava inoltre che, a prescindere dalla «identificazione dell'uomo [...], è ragionevole supporre che il disegno criminoso sarebbe stato portato a termine», confermando in tal modo l'insussistenza di un nesso causale, giustificativo dell'attribuzione di responsabilità.
  Stante quanto premesso, sulla scorta di ulteriori complesse analisi e valutazioni che hanno riguardato anche la pregressa condotta lavorativa del dottor Diolosà, il procedimento disciplinare si concluse con l'irrogazione di una ammonizione scritta.
  La valutazione aziendale, sia in termini gestionali che giuridici, in considerazione, dell'assenza di un nesso eziologico tra la condotta e l'evento dannoso, ha portato, da parte dell'azienda, all'esclusione di qualsiasi forma di responsabilità interna e, dunque, di azioni giudiziarie civili nei confronti del direttore dell'ufficio postale o di altri dipendenti.
  Conseguentemente l'azienda ha valutato, a seguito delle più volte citate attente analisi degli aspetti gestionali e giuridici della vicenda, di non procedere nei confronti di detto dipendente, al recupero degli importi.
  Poste Italiane ha reso noto, infine, che il procedimento scaturito dalla denuncia presentata dal dottor Francesco Diolosà, per la rapina all'ufficio postale di cui in premessa, è stato archiviato in data 25 giugno 2009, per essere rimasti ignoti gli autori del reato, come comunicato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 23 settembre 2011 la procura della Repubblica di Termini Imerese ha chiesto l'archiviazione del procedimento penale n. 1293/10 nei confronti del dipendente di Poste Italiane Mario La Russa, attivato per fatti d'ufficio in relazione ad operazioni di cassa che avrebbero comportato un ingiusto profitto;
   nel 2012 l'utente danneggiata, Agostina Sapienza, si è recata presso l'ufficio ispettivo di Palermo per un colloquio con l'ispettore Alessandro Carollo, il quale verificata sollecitamente la fondatezza dei fatti reclamati, ha informato le autorità competenti;
   le attività espletate hanno consentito di fare luce sugli accadimenti e l'apertura del procedimento penale n. 2635/12 che vede quale imputato Mario La Russa, poi estromesso da Poste Italiane;
   il 28 maggio e il 25 giugno 2013, lo studio legale Granozzi, cui la società affida la trattazione dei contenziosi in Sicilia, pur disponendo di un'autonoma struttura di avvocati interni, citava l'ispettore Carollo e Agostina Sapienza a rendere testimonianza davanti al giudizio del lavoro;
   la signora Sapienza, a proprie spese, ha presenziato in entrambe le date;
   il 1° luglio 2013, la signora Sapienza ha inviato una diffida all'amministratore delegato ed al presidente atteso che non aveva ancora ricevuto il mal tolto –:
   di quali iniziative disponga in merito a quanto esposto in premessa e quali urgenti iniziative si intendano intraprendere affinché l'utente Agostina Sapienza venga risarcita ponendo fine alla sconcertante vicenda. (4-04159)

  Risposta. — In via preliminare si fa presente che l'argomento trattato esula dalle competenze del Ministero dello sviluppo economico che ha compiti esclusivamente in materia di svolgimento del servizio postale universale, fermo restando l'attività di regolamentazione e di vigilanza svolta dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
  Ciò premesso in merito alla richiesta di risarcimento avanzata da una cliente, a fronte di un indebito prelievo di denaro dal proprio libretto di risparmio, si risponde esclusivamente sulla base di una nota pervenuta dalla società Poste Italiane che ha rappresentato quanto segue.
  La vicenda della signora Agostina Sapienza, riportata nell'atto parlamentare in esame, ha avuto inizio da un reclamo, presentato al presidio di Poste Italiane di Palermo dalla stessa cliente, nel quale quest'ultima lamentava l'indebito prelievo di euro 2.500,00 da un proprio libretto di risparmio.
  L'operazione sarebbe stata effettuata presso l'ufficio postale di Santa Cristina di Gela, a distanza di alcuni giorni dallo smarrimento del libretto postale da parte della signora, avvenuto presso l'ufficio postale di San Giuseppe Jato, ove la cliente si era recata per svolgere delle operazioni ed era stata improvvisamente colta da un malore.
  Poste Italiane ha, altresì, evidenziato che a seguito di una prima denuncia presentata dalla signora Sapienza, era stato avviato, innanzi alla Procura della Repubblica di Termini Imerese, un procedimento penale a carico di un dipendente di Poste Italiane Spa, Mario La Russa, nei confronti del quale sussistevano gravi sospetti, dal momento che risultava essere presente nell'ufficio postale nel giorno in cui la cliente aveva smarrito il libretto e, a qualche giorno di distanza, era stato l'autore del prelievo di cui in premessa.
  In prima istanza il procedimento penale, del quale Poste Italiane non era venuta a conoscenza non essendoci stata alcuna comunicazione da parte del lavoratore indagato, è stato archiviato. Successivamente, a seguito del menzionato reclamo presentato dalla signora Sapienza alla competente funzione aziendale e grazie ad un'attività di stretta collaborazione e supporto tra l'azienda e la polizia giudiziaria, sono stati raccolti ulteriori elementi utili alle indagini che hanno determinato la riapertura del procedimento penale, con una nuova formulazione di ipotesi di reato a carico del signor La Russa.
  La società ha, infine, rappresentato che il menzionato procedimento è tuttora nella fase dibattimentale, con prossima udienza fissata nel mese di settembre 2014.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la notizia che la compagnia petrolifera Eni spa avrebbe avviato la procedura autorizzativa per iniziare le trivellazioni nel Vallo di Diano, nel cuore dell'Appennino lucano, un territorio ricco di acqua e di risorse paesaggistiche;
   in particolare, il progetto presentato dalla Eni prevede la realizzazione di un pozzo «Pergola 1», situato nel comune di Marsico Nuovo (Potenza) e un oleodotto di circa nove chilometri che interesserebbe un'area in cui sono presenti le più importanti sorgenti perenni che portano acqua in Campania, nonché in prossimità dell'area Sic Monti della Maddalena e sulla faglia sismica «Pergola-Melandro»;
   si tratta dell'ennesima caccia al petrolio che sta fortemente minacciando questo territorio, posto che già due anni fa i sindaci dei comuni coinvolti si erano schierati contro la Shell che aveva presentato una richiesta in regione Campania per effettuare studi e carotaggi nella zona Monte Cavallo e meno di un anno fa, nell'aprile 2013, erano tornati ad occuparsi della vicenda per impedire alla Apennine Energy di ottenere il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma nel territorio del Vallo di Diano e nella vicina regione Basilicata;
   cambia lo scenario ma non le preoccupazioni: l'area interessata dalla procedura, infatti, oltre a far parte del parco nazionale del Cilento e del Vallo di Diano, si caratterizza anche per la diffusa presenza di siti di interesse comunitario e zone di protezione speciale (aree SIC e ZPS), nonché di riconoscimenti UNESCO;
   le politiche comunitarie, nazionali e regionali in detto territorio sono state sempre orientate alla valorizzazione del turismo e delle risorse naturali, culturali, agricole ed artigianali, a sostegno, quindi, del cosiddetto sviluppo eco-compatibile;
   nonostante le scelte fatte da questa terra vadano, pertanto, nella direzione opposta alle estrazioni e allo sfruttamento delle risorse ambientali, l'incubo delle trivellazioni petrolifere, che due anni fa, come nel 2013, sembrava essere stato scongiurato, è tornato purtroppo a incombere nell'area tra Campania e Basilicata, ancora una volta oggetto di interessi privati legati alle attività di estrazione di idrocarburi;
   anche in questa occasione le amministrazioni degli otto comuni coinvolti (Atena Lucana, Montesano Sulla Marcellana, Padula, Polla, Sala Consilina, Sant'Arsenio e Teggiano) si sono schierate con fermezza contro la richiesta di autorizzazione avanzata da Eni;
   particolare preoccupazione desta la vicenda, posto che si tratta di una zona ad alto rischio sismico, idrogeologico e che coinvolge molti comuni al confine con il parco naturale del Cilento;
   ad allarmare i cittadini e le amministrazioni locali sarebbe, in particolar modo, il rischio che la regione, in grave difficoltà economica, possa cedere alla richiesta della compagnia petrolifera e concedere il permesso alle esplorazioni;
   sul punto è intervenuto persino il Wall Street Journal secondo il quale «il governo italiano, anche con l'intento di superare la difficile situazione economica, sta cercando di facilitare in Basilicata la strada alle trivellazioni delle principali compagnie petrolifere. Offrendo alle amministrazioni regionali e locali maggiori guadagni, il governo spera di superare l'opposizione che ha ostacolato le operazioni di trivellazione. L'obiettivo è di duplicare la produzione annuale di petrolio del Paese e tagliare i costi di importazione di energia di circa un quarto entro il 2020»;
   a parere dell'interrogante i rischi ambientali e le conseguenze per la popolazione sarebbero troppo elevati per poter consentire ricerche petrolifere e non ci sarebbe, peraltro, alcun guadagno reale, né immediato, né futuro per l'area che, al contrario, vedrebbe aumentare i volumi di traffico dovuti all'attraversamento di mezzi pesanti e crescere l'inquinamento nel suo complesso, con notevoli ripercussioni sullo sviluppo ecocompatibile avviato;
   appare oltremodo necessario scongiurare questo ennesimo scempio che potrà segnare la definitiva distruzione del territorio interessato e, in particolare, del Vallo di Diano –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se siano già state concesse le autorizzazioni alla Eni per il progetto e, in caso negativo, se non intendano sospendere ogni procedura in essere convocando urgentemente un tavolo tecnico a cui siano invitati tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, tenuto conto altresì della volontà chiaramente e fortemente espressa dai rappresentanti istituzionali del Vallo di Diano contro qualsiasi ipotesi di ricerca petrolifera, a salvaguardia dell'interesse primario e collettivo di tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini. (4-03567)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si premette che l'ubicazione del pozzo «Pergola 1» ricade completamente al di fuori del Vallo di Diano.
  Quest'ultimo infatti è delimitato a nord dalla stazione idrometrica di Molino-Maltempo di Polla, ad est dalle catene montuose della Maddalena e ad ovest da quelle del Cilento; diversamente, l'ubicazione dal richiamato pozzo «Pergola 1» si colloca nell'ambito del comune di Marsico Nuovo (PZ), quindi ad est dei monti della Maddalena, ad una quota di circa 1.030 metri su livello del mare come tale rientrante nell'area nord occidentale della Val D'Agri.
  Quanto alla connotazione del richiamato pozzo, occorre evidenziare che si tratta di un sondaggio di ricerca, pertanto l'esito finale che ne deriva non è necessariamente quello di un allacciamento dello stesso a produzione, bensì quello di individuare la posizione della struttura geologica nella quale, più a valle, nel compatto dei comuni di Calvello e di Viggiano, aree queste geograficamente del tutto distinte dal Vallo di Diano, viene estratto greggio. Come noto, infatti, il massiccio dei Monti della Maddalena delimita il confine tra il Vallo di Diano, ricadente nella regione Campania, e la Val d'Agri, margine occidentale della regione Basilicata.
  Il procedimento autorizzativo per la perforazione del sondaggio «Pergola 1» condotto dall'ufficio territoriale di competenza, – unità nazionale mineraria idrocarburi e georisorse di Napoli – è stato effettuato secondo il dettame della normativa vigente, ivi compresa l'acquisizione dell'intesa da parte della regione Basilicata, comprensiva della valutazione d'impatto ambientale. In data 15 febbraio 2013 detto procedimento si è concluso con l'adozione del relativo atto autorizzativo da parte dell'ufficio territoriale di competenza. Peraltro, le attuali norme di settore non prevedono il coinvolgimento delle amministrazioni e/o enti locali dei comuni e delle regioni confinanti e limitrofi. Il provvedimento richiama altresì la prescrizione destinata alla società titolare di adottare tutte le misure necessarie per evitare ogni forma di inquinamento ambientale e quindi di garantire costantemente la sicurezza delle lavorazioni e salvaguardia della pubblica e privata incolumità.
  Occorre far presente che la valorizzazione del patrimonio minerario di idrocarburi non rientra fra gli interessi ascritti al solo soggetto privato, ma ricade all'interno del più ampio ambito dell'interesse nazionale e dei conseguenti benefici che ne derivano alla bilancia commerciale del Paese e quindi alle connesse ricadute positive in termini economici e di strategia energetica.
  Da ultimo, si sottolinea che le attività di ricerca e di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma e in mare sono svolte sotto il controllo continuo degli uffici centrali e periferici della direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche del Ministero dello sviluppo economico, in conformità alle disposizioni normative di settore vigenti, con particolare riferimento alla normativa di sicurezza e salute dei lavoratori e della popolazione in generale.

Il Ministro dello sviluppo economicoFederica Guidi.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Poste Italiane ha espletato, nel maggio 2004, una gara avente ad oggetto i servizi di manutenzione e di assistenza tecnica degli impianti presenti presso i centri di meccanizzazione postale (CMP), che veniva aggiudicata al Consorzio RTI Elsag Spa – Finmek, stipulando, con detto Consorzio, un contratto di appalto della durata di quattro anni, successivamente prorogato fino al 31 luglio 2012;
   a partire dal 2007, con il coinvolgimento in sub appalto, principalmente delle imprese STAC Italia e Logos, veniva assicurato il servizio;
   sempre per gli stessi servizi, veniva indetta una nuova gara nel novembre 2011, poi annullata per causa della non conformità ai requisiti tecnici richiesti dell'unica offerta, presentata da RTI Selex ES – Stac Italia – Logos;
   a dicembre 2013, Poste Italiane avviava una procedura, con suddivisione in due lotti, per i servizi di manutenzione e di assistenza tecnica degli impianti presenti presso i CMP, alla quale partecipavano RTI Selex ES Spa – PH Facility Srl, risultata poi vincitrice per entrambi i lotti, e RTI Siemens Spa – STAC Italia S.r.l., mentre la società LOGOS non aderiva;
   la società STAC Italia, che concorreva in RTI con Siemens Spa presentava ricorso presso il TAR Lazio. A seguito di tale ricorso in pendenza, la società Poste Italiane non poteva stipulare il nuovo contratto, motivo per cui aveva prorogato fino al 30 settembre 2013 il precedente contratto stipulato con Selex ES Spa relative ditte subappaltatrici STAC e Logos, al fine di garantire la continuità del servizio;
   conclusosi con esito favorevole per Poste Italiane la parte cautelare del contenzioso anzidetto, si procedeva alla stipula del nuovo contratto con il RTI Selex ES Spa – PH Facility;
   il capitolato relativo alla gara vinta dal RTI Selex – PH Facility prevedeva, nell'ambito del meccanismo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, l'assegnazione di uno specifico punteggio tecnico alle imprese partecipanti che si impegnavano ad assumere e/o a mantenere in servizio quota parte del personale già operante;
   dopo il mese di affiancamento all'impresa uscente, contrattualmente previsto, a partire dal 1° novembre 2013 si è avuto l'avvicendamento nel contratto di manutenzione; con questo passaggio, i lavoratori, sino ad allora impiegati con qualifica di metalmeccanico, sono stati estromessi dal loro posto di lavoro per far subentrare personale, tra l'altro non avente qualifica specifica per il ruolo, appartenente alle ditte appaltatrici, in particolare della PH Facility, Società di pulizie e derattizzazioni;
   a detta vicenda è seguito l'avvio di una vertenza sindacale per il mantenimento dei livelli occupazionali del personale delle ditte uscenti (STAC Italia Srl e Logos Spa), caratterizzata da azioni di protesta, che hanno determinato riduzioni e ritardi degli interventi di assistenza programmata e manutenzione negli stabilimenti, nonché abbandono del posto di lavoro da parte del personale tecnico di turno negli impianti dei Centri di meccanizzazione postale;
   a febbraio 2013, è stato firmato un accordo tra il Ministero dello sviluppo economico, Poste Italiane e Selex, nel quale si prevede: l'assunzione immediata di 185 unità presso i centri di meccanizzazione, con la conferma del Ccnl metalmeccanico; l'apertura di una procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria per circa 80 lavoratori (bacino) con l'impegno delle parti a una ricollocazione entro due anni dalla firma anche utilizzando le procedure di mobilità volontaria e l'anticipo dei trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria condiviso con tutte le aziende (Selex, Logos, Stac). L'accordo non è stato invece sottoscritto da PH Facility;
   ad oggi, pare che tutte le parti dello schema di accordo che vedevano impegnati sia il sindacato che i lavoratori sono state rispettate, compresi gli accordi di cassa integrazione guadagni straordinaria. Le parti che riguardavano invece le imprese Poste, Selex, Logos, Stac e PH non sono state né rispettate né accolte;
   a novembre 2013, nel corso della riunione tenutasi presso il Ministero dello sviluppo economico, la società Poste Italiane ha evidenziato che, a seguito dell'intesa riguardante la riorganizzazione del servizio di recapito, sono emersi complessivamente circa 6.000 esuberi, dei quali circa 1400 presso i Centri di meccanizzazione postale e pertanto non trovano giustificazione le richieste di inserimento di personale altro nell'ambito di quelle realtà operative, seppur garantendo la massima attenzione nei confronti del personale in eccedenza, e ribadendo che la citata riorganizzazione non comporterà alcun licenziamento –:
   come si intenda intervenire, per quanto di competenza, in detta complessa vicenda. (4-04468)

  Risposta. — Si risponde all'interrogazione in esame anche sulla base degli elementi forniti dalla società Poste Italiane che al riguardo ha rappresentato quanto segue.
  I servizi di manutenzione ed assistenza tecnica, necessari per il funzionamento di impianti, macchine ed attrezzature presenti nei centri di meccanizzazione postale (CMP), sono attualmente assicurati dal contratto stipulato a seguito di gara comunitaria, indetta in data 28 dicembre 2012, per la definizione di un accordo quadro triennale, ai sensi del decreto legislativo n. 163 dal 2006 e successive modificazioni e integrazioni.
  L'offerta economicamente più vantaggiosa è stata formulata dal raggruppamento temporaneo d'impresa (rti) Selex ES s.p.a. – PH Facility srl che, pertanto, è risultato aggiudicatario della procedura di gara.
  A tal proposito. Poste italiane ha precisato che il relativo capitolato prevedeva, nell'ambito dei meccanismo dell'offerta economicamente più vantaggiosa, l'assegnazione di uno specifico punteggio tecnico per le imprese partecipanti che si impegnavano ad assumere e/o mantenere in servizio una quota del personale già operante.
  La società ha evidenziato, inoltre, che, nell'individuare la specifica assegnazione tra i vari siti dei servizi di manutenzione e assistenza tecnica, è stato necessario tenere conto anche dei vincoli organizzativi e delle modifiche previste dal complessivo piano di riassetto delle rete logistica dei servizi postali, individuate con l'accordo del 28 febbraio 2013, che ha ridimensionato il numero degli stabilimenti, degli impianti di smistamento e, di conseguenza, delle relative attività e dei servizi di manutenzione necessari.
  Per quanto riguarda la situazione contrattuale, Poste italiane ha evidenziato che, precedentemente, i servizi di manutenzione ed assistenza tecnica degli impianti presso i CMP erano assicurati, a seguito della procedura di gara espletata nel 2004, dal consorzio RTI Elsag spa – Finmek che, a partire dal 2007, si è avvalso, in regime di subappalto, principalmente delle imprese Stac Italia e Logos che attraverso una proroga del contratto hanno assicurato il servizio fino al 30 settembre 2013.
  L'avvicendamento nel contratto di manutenzione – avvenuto lo scorso 1o novembre – e l'ingresso del raggruppamento temporaneo d'impresa (rti) Selex ES spa – PH Facility srl aggiudicataria della gara, ha determinato l'avvio di una vertenza sindacale avente ad oggetto il mantenimento dei livelli occupazionali del personale delle ditte uscenti (STAC Italia Srl e Logos Spa).
  Tale vertenza è stata caratterizzata da scioperi e altre forme di protesta quali, ad esempio, la riduzione e il ritardo degli interventi di assistenza programmata e di manutenzione negli stabilimenti e l'abbandono senza preavviso del posto di lavoro da parte del personale tecnico di turno – dipendente delle società sub-fornitrici – negli impianti dei centri di meccanizzazione postale (CMP).
  Dallo scorso mese di settembre, la società PH Facility ha avviato un tavolo di confronto con le parti sociali di riferimento, per poter raggiungere un accordo complessivo, riguardante soprattutto i passaggi di risorse da realizzare al momento del subentro. Purtroppo da questo confronto non è emersa la possibilità di una intesa. Per questa ragione presso il Ministro dello sviluppo economico è attivato un tavolo di concertazione per ricercare le condizioni di una intesa tra tutti i soggetti interessati, con la finalità, altresì, di offrire una opportunità di lavoro a tutti coloro che in precedenza erano occupati nei CMP alle dipendenze di Logos e Stac.
  Nell'incontro, svoltosi in data 19 novembre 2013, presso il Ministero dello sviluppo economico la società Poste italiane ha evidenziato che, a seguito dell'intesa del 28 febbraio 2013 riguardante la riorganizzazione del servizio di recapito, sono emerse complessivamente circa 6.000 eccedenze, delle quali circa 1.400 presso i CMP. A parere della predetta società, non trovano, quindi, giustificazione le richieste di inserimento di nuovo personale proveniente da altre aziende.
  Successivamente nell'incontro del 6 febbraio 2014 tenutosi presso il Ministro dello sviluppo economico e stato proposto alle parti uno «schema di accordo» volto a salvaguardare l'occupazione accettato da Selex, le OOSS e dalle società Stac e Logos. L'intesa è stata respinta da PH Facility subentrante nell'appalto. Nonostante tale atteggiamento poco comprensibile della subentrante, il Ministero dello Sviluppo economico ha continuato il tentativo di ricerca di un'intesa complessiva che è sfociato in un addendum sottoscritto il 16 aprile 2014. Con quest'ultimo documento si è voluto sanare anche il ritardato pagamento delle spettanze arretrate delle rispettive società ai dipendenti di Stac e Logos.
  La società PH Facility si è impegnata a riassorbire fino a 185 dipendenti (sul totale di 265 risultanti alla data dell'accordo) delle due società, mentre per i rimanenti si è fatto ricorso alla cassa integrazione guadagni straordinaria per cessazione attività, che garantisce due anni di integrazione economica. Nel frattempo tutte le aziende coinvolte sono impegnate a ricercare nuove collocazioni lavorative per i lavoratori sospesi dalle attività.
  Infine, per completezza di informazione, la società Poste italiane ha precisato che a differenza di quanto sembrerebbe emergere dal testo dell'interrogazione, la stessa non ha preso alcun impegno o assunto alcun obbligo finalizzato al mantenimento dei livelli occupazionali del personale delle ditte uscenti (STAC Italia srl e Logos spa), non avendo, tra l'altro, siglato l'accordo suddetto.
Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   DI GIOIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le organizzazioni sindacali e i lavoratori dell'Alcoa di Portovesme hanno ripreso, con forza, la mobilitazione, occupando il palazzo della regione Sardegna e «invadendo» la stazione ferroviaria senza arrecare disagi ai viaggiatori;
   la domanda che viene giustamente posta è che si riaprano le trattative per la vendita dello stabilimento o che si esamini un altro piano alternativo a difesa dell'occupazione;
   la situazione dei lavoratori e delle loro famiglie rischia di precipitare visto che gli ammortizzatori sociali scadranno nel prossimo mese di dicembre e che, nel frattempo, non si è riusciti a determinare nessuna ripresa della produzione nello stabilimento;
   l'importanza strategica dello stabilimento Alcoa di Portovesme, che produce 160mila tonnellate di alluminio all'anno, è del tutto evidente ed è altrettanto evidente che questo aspetto non può essere ignorato nell'esame di un'alternativa possibile alla definitiva chiusura del sito produttivo;
   i vari tentativi operati da parte del Governo nella ricerca di un acquirente internazionale non hanno dato esiti positivi con la conseguenza, se non si troveranno con celerità delle risposte, che nell'intera area del Sulcis Iglesiente si determinerà una forte depressione economica con i relativi rischi che si inneschi un forte conflitto sociale –:
   se non si ritenga necessario ed urgente assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia rinviata con forza la trattativa internazionale tesa a trovare un acquirente straniero, prevedendo, nel caso non si giungesse in tempi immediati, in ogni caso prima della definitiva scadenza degli ammortizzatori sociali, a prevedere un'iniziativa urgente al fine di determinare il commissariamento straordinario dell'Alcoa con la relativa ripresa produttiva.
(4-01973)

  Risposta. — La crisi della Alcoa di Portovesme rappresenta una delle più difficili del nostro sistema industriale. In particolare perché riguarda un settore, quello dell'alluminio che, causa la discesa dei prezzi, ha vissuto e continua a vivere una fase di grande difficoltà a livello internazionale che nel corso degli ultimi anni ha portato alcuni degli stabilimenti delle multinazionali del settore a trovarsi in una situazione di grande difficoltà. È il caso dello stabilimento Alcoa, per il quale, nel gennaio 2012, la multinazionale aveva deciso la chiusura e avviandola procedura di mobilità.
  Proprio da questa drastica decisione è iniziata la vertenza. Attraverso un lungo e difficile negoziato in cui il Governo ha svolto una importante funzione finalizzata allo scioglimento di alcuni dei nodi principali che si presentavano, si è riusciti:
   a convertire la procedura di mobilità in una cassa integrazione per cessazione di attività fino al 31 dicembre 2014;
   a ottenere dall'azienda l'impegno a mantenere in efficienza gli impianti fino al 31 dicembre 2013, poi prolungato fino al 30 giugno 2014;
   a operare per una cessione dello stabilimento a un investitore interessato.

  Si è aperta allora una fase complessa di ricerca di investitori. Quattro sono state le principali manifestazioni di interesse, che via via, però, si sono scontrate con difficoltà oggettive.
  A questo proposito va chiarito un punto importante: le difficoltà oggettive non hanno a che fare con il prezzo dell'energia; il Governo ha immediatamente segnalato alle aziende interessate che per situazioni come quella dello stabilimento di Portovesme la normativa italiana consente sconti che allineano il prezzo dell'energia a quello praticato nei Paesi dove risiedono le principali imprese concorrenti nel settore dell'alluminio.
  Le difficoltà sono legate piuttosto alla situazione complessiva del mercato dell'alluminio, alla necessità di una riorganizzazione generale dell'attività dello stabilimento di Portovesme, nonché agli investimenti ingenti necessari su quel sito.
  Attualmente è in corso l'approfondimento di una manifestazione di interesse ancora in campo, che il Governo sta sollecitando e seguendo con grande attenzione.
  Riguardo alla specifica richiesta dell'interrogante di attivazione, per lo stabilimento Alcoa di Portovesme, di una procedura di amministrazione straordinaria si chiarisce che non sussistono le condizioni previste dalla legge.
Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante sono giunte numerose segnalazioni da parte della cittadinanza, suffragate anche da una serie di inchieste di stampa, circa la indecorosa situazione di degrado dei campi nomadi nella città di Napoli e nell’hinterland partenopeo;
   l'aspetto più allarmante sarebbe quello legato alla condizione dei minori. In particolare, i dati sono preoccupanti con riferimento alla mancata frequenza scolastica, alle condizioni di vita ai limiti dell'umano, al degrado ambientale, alla prostituzione minorile, ai roghi tossici, allo smembramento dei rifiuti o altri materiali;
   i campi rom di Napoli sono collocati principalmente nell'area est (Barra, Ponticelli, Poggioreale, San Pietro a Patierno, Gianturco) e nell'area nord. Nei campi sovraffollati si vive in condizioni disumane a livello igienico-sanitario, e, per sopravvivere, è necessario andare alla ricerca di oggetti e materiali nei rifiuti, raccogliendo di tutto. Molto spesso accade che per recuperare materiali, questi vengano bruciati (ciò avviene spesso nel caso del rame), respirando i fumi che poi si propagano anche nelle aree circostanti;
   inoltre, si creano enormi discariche dove tutti, specialmente le organizzazioni criminali, si sentono autorizzati a portare materiali pericolosi o costringendo i rom a disfarsene. I rom a Napoli sono purtroppo l'ultima ruota di una filiera illegale;
   il deputato interrogante ha potuto accertare che sono numerose le organizzazioni (associazioni, cooperative, e altro) che percepiscono finanziamenti per fornire assistenza a queste comunità. Tuttavia, le situazioni di degrado non migliorano e non si comprende la ragione di ciò –:
   quali provvedimenti intenda assumere il Governo al fine di migliorare la condizione dei campi nomadi nel territorio del comune di Napoli e nell’hinterland partenopeo. (4-02933)

  Risposta. — Nel territorio della provincia di Napoli sono presenti diversi insediamenti delle comunità dei Rom, Sinti e Caminanti, in particolare nei comuni di Napoli, Giugliano, Afragola, Casoria, Torre del Greco, Torre Annunziata. In tale contesto, gli insediamenti «spontanei» – caratterizzati da alcune criticità sotto il profilo igienico-sanitario – devono essere distinti dalle strutture attrezzate che si trovano nell'area est e nell'area nord della città.
  Gli accampamenti non autorizzati – che interessano aree di pertinenza autostradale, immobili di proprietà pubblica e privata – versano in condizioni di sovraffollamento e di precarietà. Mentre le condizioni generali di vita sono sensibilmente migliorate nei villaggi d'accoglienza di via Circumvallazione esterna, che ospitano una comunità di Rom provenienti dalla ex Jugoslavia, e nel centro Deledda di Soccavo, destinato ai Rom rumeni, grazie alla presa in carico da parte del comune e al conseguente incremento dell'offerta di servizi.
  In più di un'occasione è emersa l'esigenza di ridistribuire le presenze sul territorio, trasferendo i Rom dai campi sovraffollati di Napoli e Giugliano in altri comuni, ma le resistenze sono state sempre molto forti, sia da parte delle amministrazioni che delle comunità locali. La prefettura di Napoli ha assunto molteplici iniziative al riguardo, verificando, tra l'altro, la possibilità di utilizzare beni confiscati alla criminalità organizzata, ma senza esito positivo; anche perché il forte radicamento nella realtà territoriale in cui vivono fa sì che i Rom accettino difficilmente di allontanarsi.
  Con il venire meno dello stato di emergenza e, quindi, della figura del commissario delegato, gli interventi relativi alla presenza delle comunità Rom sono stati demandati ai comuni, che incontrano alcune difficoltà nell'adozione di iniziative risolutive, sia per la carenza di risorse finanziarie, sia per la mancanza di disponibilità di aree idonee.
  A tale riguardo, la prefettura di Napoli ha provveduto, già nel luglio 2013, a riversare le somme dei finanziamenti relativi agli interventi programmati dalla gestione commissariale nei luoghi in cui è stata prevista la realizzazione di centri di accoglienza: via Argine e via Sambuco, a Napoli, e via Molini a Vapore, a Torre Annunziata. Il 21 marzo 2014, a seguito della riassegnazione dei fondi per la realizzazione di tali centri, il Ministero dell'interno ha provveduto a impegnare sul competente capitolo di spesa la somma prevista, che sarà messa a disposizione nel corso del corrente esercizio finanziario dal Ministero dell'economia e delle finanze. I predetti comuni, quindi, potranno riprendere le attività necessarie all'attuazione degli interventi in questione, in regime ordinario, previa stipula di un'apposita convenzione con la prefettura, per la regolamentazione degli aspetti finanziari e contabili, e subordinatamente all'effettiva fruibilità delle risorse.
  Per quanto riguarda la specifica condizione dei minori, nell'anno 2013, con gara a evidenza pubblica, il comune di Napoli ha affidato i progetti di inclusione sociale e di contrasto all'emarginazione dei minori in età scolare ad alcune associazioni del terzo settore. In particolare, per favorire l'inclusione scolastica dei minori Rom, l'Amministrazione comunale ha affidato il servizio di trasporto pubblico con scuolabus alla società municipalizzata Napoli Sociale spa, per un importo di 141.363,84 euro.
  La gestione delle attività per i minori Rom rumeni della zona orientale è stata affidata all'Opera Nomadi Napoli onlus e alla NEA onlus (Napoli Europa Africa) per un corrispettivo di 84.387,64 euro; mentre la gestione delle attività per gli alunni Rom jugoslavi di Scampia e Secondigliano è stata assegnata all'associazione il Pioppo onlus, per un importo di 144.748,64 euro. Queste organizzazioni sono chiamate a svolgere le seguenti attività: l'intercettazione e il primo contatto con i nuclei familiari; l'iscrizione scolastica dei bambini; la mediazione socio culturale fra i nuclei familiari e le istituzioni scolastiche e sanitarie; il supporto formativo agli alunni, sia in orario curricolare che presso le rispettive dimore; gli interventi di mediazione sanitaria relativi ai percorsi vaccinali dei neonati, alla medicina scolastica degli alunni e ai singoli percorsi di cura.
  Inoltre, l'associazione il Pioppo gestisce anche le attività di vigilanza sociale presso i villaggi di via Circumvallazione Esterna (per un importo di 50.000 euro), mentre l'associazione Centro Lima provvede all'accoglienza dei nuclei rumeni presso il centro Deledda di Soccavo (per la somma di 69.499,40 euro). Queste ultime due organizzazioni si occupano dell'aggiornamento costante delle notizie censorie del presenti (nascite, decessi, arrivi e partenze); della mediazione fra le comunità ed i servizi comunali; della segnalazione di guasti e disfunzioni delle strutture per interventi di manutenzione; dell'organizzazione di assemblee di comunità per la promozione della convivenza; dell'uso corretto dei beni assegnati e della gestione degli spazi comuni.
  Per quanto riguarda, più in generale, i provvedimenti assunti dal Governo in relazione all'inclusione e all'integrazione sociale di Rom, Sinti e Caminanti, il 24 febbraio 2012 è stato approvato e trasmesso alla Commissione europea un piano contenente un'apposita Strategia nazionale, che prevede gli interventi da svolgere fino al 2020 nel campo dell'istruzione, della salute, dell'alloggio e del lavoro. In virtù del principio di integrazione e sussidiarietà che la ispira, tale strategia prevede anche l'istituzione di Tavoli regionali, con compiti di monitoraggio nei settori di competenza delle autonomie locali, oltre che per svolgere un'azione di informazione e sensibilizzazione. Con provvedimento del 13 maggio 2014, la regione Campania ha istituito il tavolo regionale per l'inclusione delle comunità Rom.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   FANTINATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'imprenditoria cinese presente in Italia continua a crescere nonostante la crisi. I settori maggiormente interessati dalla presenza degli imprenditori cinesi sono il commercio con quasi 23.500 attività; il manifatturiero con poco più di 17.650 imprese (quasi tutte riconducibili al tessile-abbigliamento e calzature); la ristorazione-alberghi e bar con oltre 12.500 attività;
   la Lombardia, con 13.000 attività, è la regione più popolata da aziende guidate da imprenditori cinesi: seguono la Toscana, con 11.350 imprese; il Veneto, con quasi 7.500 e l'Emilia Romagna con 6.460;
   è il caso del megastore Hao Mai, aperto a Brescia nel 2004, un gruppo in continuo e costante sviluppo che oggi è il mercatone cinese più importante del nord Italia;
   nel novembre del 2009 è stato registrato il nuovo logo Aumai Market;
   a dicembre 2010, la società è diventata una società per azioni, con un capitale sociale di un milione di euro;
   Aumai conta ormai 31 punti vendita tra Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, aperti sette giorni su sette, catena di supermercati dedicati ai casalinghi, abbigliamento, profumeria ed elettronica, tutto a prezzi più bassi che altrove, made in Italy incluso;
   la politica commerciale del supermercato cinese è degna di un colosso della grande distribuzione: 30 mila gli articoli commercializzati con decine di prodotti «civetta» e offerte mozzafiato, 70 mila i metri quadrati di superficie e 200 dipendenti –:
   quali interventi il Governo intenda attuare al fine di tutelare efficacemente le moltissime attività italiane presenti sul territorio interessato che non possono reggere una concorrenza così aggressiva, in modo da mantenere intatta la filiera di competenze artigianali su cui si basa il made in Italy di antica tradizione.
(4-02268)

  Risposta. — Il fenomeno descritto nell'interrogazione in esame delinea una situazione già nota ed esistente, ormai, da diversi anni. L'apertura di attività nel settore commerciale, della ristorazione, dei servizi alla persona e in altri settori di produzione di beni e servizi da parte di imprenditori cinesi sul territorio italiano è, infatti, in continua crescita e rappresenta una realtà concorrenziale forte rispetto alle imprese italiane che, tuttavia, si contraddistingue spesso per comportamenti irregolari dal punto di vista del rispetto delle norme fiscali e contributive, dei contratti di lavoro, delle norme igienico sanitarie e di sicurezza del lavoro, di tutela della proprietà intellettuale, di garanzia della sicurezza dei prodotti, ecc. che determinano un vantaggio concorrenziale sleale rispetto alle imprese regolari.
  Al riguardo, si ritiene che il contrasto a tali forme di concorrenza sleale deve essere affidato non tanto a specifici controlli riferiti esclusivamente agli imprenditori di origine cinese, che potrebbero risultare discriminatori e controproducenti, quanto piuttosto ad un generale rafforzamento dei controlli di legalità per tutte le imprese e in tutte le aree potenzialmente a rischio, da parte delle diverse Autorità competenti nazionali e locali.
  Tale incremento dei controlli è certamente di interesse di tutte le imprese che operano correttamente, ed anche delle imprese di origine cinese ove operino correttamente con vantaggi economici per i consumatori e senza danni ingiustificati alle imprese concorrenti.
  A tal proposito, fatte salve le considerazioni che per gli aspetti di competenza possono essere espresse relativamente ai controlli fiscali, contributivi, sanitari, ecc., dalle altre amministrazioni competenti, si ritiene opportuno segnalare che le attività di vigilanza sulla sicurezza dei prodotti, messe in atto dal Ministero dello sviluppo economico, contribuiscono in modo rilevante a contrastare la presenza sul territorio nazionale di pratiche illegali e di concorrenza sleale da parte anche di imprese dei Paesi extra europei o che importano prodotti di provenienza extraeuropea.
  Sul fronte delle importazioni dai paesi terzi il Ministro dello sviluppo economico impegnato congiuntamente all'Agenzia delle dogane, ai sensi regolamento 765/2008, nei controlli sulla sicurezza dei prodotti destinati al consumatore finale presentati all'importazione. Questo tipo di attività, benché non rivolta direttamente alla lotta al fenomeno della concorrenza sleale, svolge sicuramente un ruolo positivo anche in tal senso e favorisce la circolazione di prodotti sicuri sul territorio a tutela anche della produzione nazionale.
  L'attività di vigilanza sulla conformità dei prodotti si esplica, altresì, sui prodotti già immessi sul mercato. I controlli vengono svolti a seguito di segnalazioni da parte di altre autorità pubbliche o di privati e associazioni, nonché sulla base di una pianificazione articolata a livello territoriale ed in collaborazione con altri soggetti istituzionali, nel quadro dell'articolo 18, comma 5, del regolamento comunitario n. 765/2008. Nello svolgimento delle verifiche gli uffici competenti del Ministro dello sviluppo economico si avvalgono delle collaborazione del sistema camerale in virtù della legge 29 dicembre 1993, n. 580, sul riordino delle camere di commercio, come modificata dal decreto legislativo 25 febbraio 2010, n. 23, che, in particolare, all'articolo 2, comma 2, lettera l), cita le funzioni di vigilanza e controllo in materia di sicurezza dei prodotti. Analoga collaborazione viene fornita dalla Guardia di Finanza alla quale, con il decreto legislativo 19 marzo 2001 n. 68, sono state estese le competenze anche in materia di tutela della fede pubblica.
  Si segnala, inoltre, che in data 26 giugno 2009 è stato sottoscritto un protocollo d'intesa con l'Unione italiana delle camere di commercio (Unioncamere) con l'obiettivo di incrementare l'attività di vigilanza e controllo del mercato su varie tipologie di prodotti, tra cui i giocattoli e prodotti elettrici. Tale protocollo, che ha avuto durata di trenta mesi ed ha riguardato in totale un numero di circa 8.000 prodotti sottoposti a verifica, è stato rinnovato nel 2012 con durata di 27 mesi.
  Si fa presente, infine, che i fenomeni di concorrenza sleale ad opera delle comunità cinesi sono da tempo all'attenzione del Ministero dello sviluppo economico, è stata, infatti, creata una banca dati nazionale di lotta alla contraffazione Iperico (Intellectual Property – Elaborated Report of the Investigation on COunterfeiting), alimentata dai dati sui sequestri compiuti da Agenzia delle dogane, Guardia di finanza, polizia di Stato, Arma dei carabinieri e polizie locali. Tale strumento consente, per la prima volta in Italia, di disporre di dati univoci, certificati e condivisi in merito alla attività repressiva svolta da tutte le autorità competenti sulle varie violazioni in materia di diritti di proprietà intellettuale, con focus specifici sulla contraffazione vera e propria. La banca dati consente inoltre, attraverso apposite elaborazioni, di ricostruire un quadro completo e fedele dell'entità e delle caratteristiche del fenomeno contraffattivo sul territorio nazionale, fornendo alle autorità competenti una fonte informativa indispensabile all'elaborazione di conseguenti politiche pubbliche.
  Si ricorda, altresì, che il Ministro dello sviluppo economico ha sottoscritto un protocollo d'intesa con il presidente di Anci (Associazione nazionale dei comuni d'Italia) nel dicembre 2010, che ha ad oggetto la realizzazione di un «Programma nazionale di azioni territoriali anticontraffazione» per la promozione, la diffusione e la condivisione di strumenti, pratiche innovative, informazione e formazione rivolti agli operatori, interventi ed eventi pubblici da realizzare nei comuni italiani per il contrasto del fenomeno della contraffazione e delle attività illegali ad essa collegate.
  In particolare, nel giugno 2012 è stato emanato un bando che ha messo a disposizione 1,5 milioni di euro per il cofinanziamento di progetti anticontraffazione realizzati dai comuni. Al termine di una attenta fase di valutazione da parte di una commissione mista Anci Ministero dello sviluppo economico, nell'ottobre 2013 sono stati ammessi al finanziamento 27 progetti, attualmente in corso, che riguardano sia progetti di investigazione e contrasto sia iniziative di comunicazione.
Il Ministro dello sviluppo economicoFederica Guidi.


   FEDRIGA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è in continua crescita il numero delle persone che nel nostro Paese si registrano al sito di aste on line MadBid.com, anche grazie alla pubblicità sui mezzi di stampa e radiofonici;
   l'asta comincia con un prezzo iniziale molto basso e ogni utente che effettua un rilancio può alzare il prezzo solo di un centesimo, pagando preventivamente alcuni crediti. Per aggiudicarsi l'oggetto in asta, non devono esserci nuovi rilanci per 2 minuti consecutivi;
   in realtà, il prezzo di un credito oscilla fra i 10 e i 12 centesimi l'uno e per un rilancio sono necessari da 4 a 6 crediti, con un prezzo di ogni rilancio quindi che costa tra i 40 e 72 centesimi;
   per gli oggetti in asta, aggiudicati nella quasi totalità dei casi a prezzi molto più bassi di quelli di mercato, il totale dei partecipanti spende cifre esorbitanti. Per esempio, a fronte di un'asta che cresce di 50 euro, i giocatori spenderanno 3.000 euro;
   quindi, colui che partecipa all'asta invogliato dai prezzi finali di aggiudicazione degli oggetti in asta sul sito, in realtà riceve ad avviso dell'interrogante informazioni incomplete in quanto il prezzo realmente pagato dai partecipanti è molto più alto;
   nel regolamento che deve essere sottoscritto al momento dell'iscrizione al sito, si leggono, ai punti 3.11 e 3.12, delle clausole che, ad avviso dell'interrogante, potrebbero alterare il corretto svolgimento delle aste: «L'azienda ha il diritto di recedere dal presente accordo in qualsiasi momento»; «L'azienda ha il diritto di modificare il tempo di esecuzione di un'Asta in qualsiasi momento. La Società può aumentare i tempi dell'Asta, in modo che venga eseguita per un periodo più lungo, o diminuire, in modo che venga eseguita per un periodo più breve. L'Azienda può cambiare il tempo d'Asta, può interromperle e può programmarle senza il bisogno di comunicarlo all'Utente Registrato» garantendo così di fatto un guadagno sicuro al sito gestore –:
   se non si reputi necessario mettere in atto le opportune iniziative, anche di carattere normativo, al fine di regolare il corretto svolgimento delle aste on line col sistema sopra descritto;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per accertare se vi siano i presupposti per considerare tali aste come un vero e proprio gioco d'azzardo e, di conseguenza, ipotizzare la chiusura del sito. (4-01964)

  Risposta. — Nell'atto in esame si sottolinea la crescente tendenza, nel nostro Paese, all'utilizzo del sito di aste on line MadBid.com. lamentando che le regole di informazione relative all'effettivo prezzo dei beni venduti e di gestione delle modalità e dei tempi delle aste, necessiterebbero di un intervento normativo finalizzato alla regolazione del corretto svolgimento delle stesse.
  Nella fattispecie, le modalità di rilancio e la possibilità, prevista dal regolamento che deve essere sottoscritto dai partecipanti, di modificare i tempi di esecuzione dell'asta senza comunicazione agli utenti registrati, configurerebbero tali aste, ad avviso dell'interrogante, come veri e propri giochi di azzardo, che implicherebbero, dunque, la chiusura del sito.
  Ciò premesso al riguardo, per quanto di competenza, si fa presente quanto segue.
  Il decreto legislativo 114 del 1998, all'articolo 18, comma 5, prevede che «Le operazioni di vendita all'asta realizzate per mezzo della televisione o di altri sistemi di comunicazione sono vietate».
  Con circolare ministeriale n. 3547/C del 17 giugno 2002, il Ministero delle attività produttive, in «attesa della definizione di un quadro normativo specifico che sia in grado di disciplinare in modo uniforme tale fenomeno economico – soprattutto alla luce delle indicazioni contenute nella direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'8 giugno 2000 sul commercio elettronico – ha fornito una serie di indicazioni e chiarimenti, specificando, in primo luogo, che tale divieto si applica unicamente agli operatori dettaglianti che svolgono l'attività di acquisto per la rivendita ai consumatori finali, e che pertanto non si applica a tutti i soggetti che non rientrano nella definizione di commercio al dettaglio, come indicata all'articolo 4, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 114 del 1998.
  Pertanto, il citato articolo 18 del decreto legislativo n. 114 del 1998 non si applica ai grossisti ed in genere a tutti gli operatori che non vendono ai consumatori finali. Sono quindi stabilite, all'interno di suddetta circolare, le diverse modalità di aste on line, i requisiti per il loro svolgimento, le informazioni che devono essere messe a disposizione sia di venditori che di acquirenti, in relazione alla modalità dell'asta, tra le quali compare, alla lettera c), «il limite temporale dell'offerta nonché il suo esito».
  Quanto sopra premesso, è evidente che l'esistenza in rete di siti che effettuano aste on line, gestiti da società di altri Paesi, assoggettate a diversa legislazione, permette l'utilizzo di tale strumento a tutti i fruitori della rete.
  Quanto alla carenza di informazioni ai partecipanti circa gli effettivi costi della partecipazione, che determinerebbe il pagamento più o meno inconsapevole di prezzi di partecipazione molto più alti di quello di aggiudicazione, si evidenzia che tali circostanze, se confermate, potrebbero concretizzare vere e proprie pratiche commerciali scorrette e potrebbero, già a legislazione vigente, essere oggetto di interventi sanzionatori della competente Autorità garante della concorrenza e del mercato. A tale proposto, gli uffici dell'Autorità, contattati per le vie brevi, hanno informato che in relazione a tale problematica, a seguito di alcune istanze ricevute, è stato aperto un fascicolo (PS9030) con l'obiettivo di verificare la natura della pratica da contestare.
  La verifica della rispondenza delle modalità di funzionamento di tali siti alla normativa italiana e dell'opportunità, da parte delle istituzioni italiane, di oscurarli in caso di eventuale configurazione di gioco d'azzardo non autorizzato, non rientrando nelle competenze del Ministero dello sviluppo economico, è rimandata all'attività di altre amministrazioni da cui possono essere acquisiti gli opportuni approfondimenti.
Il Ministro dello sviluppo economicoFederica Guidi.


   FUCCI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il comparto agroalimentare dell’export italiano rappresenta una quota rilevante anche nella composizione dell'interscambio commerciale tra l'Italia e Taiwan;
   a Taiwan vi sono prospettive di ulteriore sviluppo a motivo della domanda di alta qualità alimentare che sempre di più esprime il mercato di quel Paese, composto da 23 milioni di abitanti e caratterizzato da un PIL pro capite che è terzo in Asia dopo quelli del Giappone e di Singapore;
   tra i prodotti agroalimentari italiani che hanno registrato significativi aumenti nelle quote di esportazione vi è l'olio extra-vergine di oliva, una produzione nella quale si distingue l'olio pugliese per l'eccellenza della qualità e della genuinità e per la squisitezza del gusto;
   tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014 per l'esportazione a Taiwan dell'olio italiano (e spagnolo) risultano insorti seri problemi causati da una controversia sui differenti metodi analitici usati a Taiwan, rispetto a quelli in vigore nella Unione europea, nella effettuazione delle analisi sulla composizione dei prodotti e quindi sulle interpretazioni delle stesse analisi;
   tale controversia ha determinato da parte delle autorità taiwanesi il blocco della importazione e distribuzione dell'olio italiano (e spagnolo);
   sulla materia è prontamente intervenuta l'ASSITOL — Associazione italiana dell'industria olearia aderente alla Confindustria — a tutela della indiscutibile qualità e genuinità dell'olio italiano e con la finalità di chiarire che le diverse modalità nelle analisi non hanno alcuna implicazione di carattere sanitario;
   dal 2011 al 2013 si è regolarmente riunito, a Roma e a Taipei, il «Foro italo-taiwanese di cooperazione economica, industriale e finanziaria» creato nel 2010, dal MISE e dal Ministero dell'economia taiwanese, proprio per costituire un tavolo permanente di confronto, di discussione e di soluzione dei problemi economici e commerciali bilaterali;
   l'importante problema dell'olio italiano a Taiwan dovrà essere certamente messo all'ordine del giorno della prossima sessione del predetto «Foro» economico bilaterale –:
   quali passi il Ministero abbia compiuto fino ad oggi per sbloccare e risolvere il problema evidenziato dall'interrogante;
   quando si riunirà l'attesa riunione annuale, non ancora convocata per il corrente anno, del «Foro italo-taiwanese di cooperazione, economica industriale e finanziaria». (4-04301)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta quanto segue per quanto di competenza.
  Sentita al riguardo l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese – ICE, la stessa ha comunicato che è stato rinvenuto da Taiwan un sospetto contenuto di clorofilla cuprica nell'olio importato, prevalentemente di sansa e di vinacciolo, e tale episodio ha cominciato ad avere ripercussioni anche su quello di oliva.
  L'ufficio locale della medesima agenzia, l'European economic and trade office e il Ministero degli affari esteri, hanno seguito sul posto la vicenda.
  Il 27 gennaio 2014 i rispettivi direttori delle associazioni di categoria Assitol e Federolio si sono incontrati con i rappresentanti della Taiwan Food and Drug Organization (TEDA) al fine di chiarire la situazione.
  Non essendo prevedibile a breve il ritorno alla normalità delle citate importazioni, in data 17 febbraio 2014, il Ministero dello sviluppo economico, ha avuto un incontro con Federolio dal quale è emerso che la clorofilla risulta anche naturalmente sia nell'olio di sansa che in quello di vinacciolo. Per i nostri produttori aggiungere clorofilla risulta essere antieconomico. Anche centro sperimentale di Milano e il laboratorio di Monopoli (BA) sono stati incaricati di verificare se il limite di tollerabilità imposto da Taiwan (50 microgrammi/kg) e che peraltro prima non esisteva, sia accettabile.
  Il Ministro dello sviluppo economico ha richiesto, inoltre, a Federolio una documentazione tecnica sui risultati delle analisi facendosi carico di sottoporla all'attenzione della Commissione europea presso i comitati competenti.
  Il Foro di cooperazione economica, industriale e finanziaria tra Italia e Taiwan si riunirà a Roma il 28 luglio 2014, nel corso di tale riunione si solleciterà l'invio di ispettori da parte taiwanese in modo che possano essere compiuti tutti i controlli utili perché il commercio dei summenzionati prodotti possa poi tornare alla normalità.
Il Viceministro dello sviluppo economicoCarlo Calenda.


   GRECO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in tema di zone franche urbane è stato recentemente adottato il decreto ministero dello sviluppo economico del 10 aprile 2013 pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 11 luglio 2013;
   la legge della regione siciliana n. 11 del 12 maggio 2012, pubblicata nel supplemento ordinario n. 1 alla Gazzetta Ufficiale della regione siciliana n. 23 del 14 maggio 2010, in particolare, l'articolo 67, consente l'istituzione di ulteriori zone franche urbane rispetto a quelle selezionate con delibera CIPE n. 14/2009, individuate secondo i criteri definiti dalla delibera CIPE n. 5/2008 e dalla circolare del Ministero dello sviluppo economico, dipartimento per le politiche di sviluppo e coesione n. 14180 del 26 giugno 2008;
   quindi il Ministero ha di fatto, riconosciuto e equiparato le zone franche urbane individuate con delibera del CIPE n. 14/2009 e quelle individuate dalla regione siciliana ai sensi della legge regionale del 12 maggio 2010;
   la giunta della regione siciliana ha inteso utilizzare come criterio di finanziamento la densità abitativa di ciascuna zona franca, escludendo la determinazione di una graduatoria tra le diverse zone franche urbane e ripartendo quindi le somme individuate in base all'unico criterio individuato;
   per le zone franche urbane ricadenti nella regione Sicilia, oltre alle risorse finanziarie individuate con delibera della giunta regionale siciliana n. 478/12 e provenienti dai fondi PO FERS 2007-2013, sono individuate altre risorse finanziarie pari a circa 41 milioni di euro;
   tale criterio della densità abitativa all'interno della zona franca urbana per determinare la ripartizione del contributo spettante ad ogni singola zona, trova già applicazione nel decreto ed è già accettato dalle amministrazioni in cui ricadono le zone franche urbane, l'individuazione di ulteriori criteri rischia di esporre il provvedimento a ricorsi da parte dei comuni;
   va considerata la non comparabilità dei punteggi di valutazione assegnati alle diverse zone franche urbane ricadenti nella regione Sicilia in quanto determinati in due momenti diversi con due diverse commissioni di valutazione;
   va preso atto del carattere di urgenza con cui il Governo sta procedendo al fine di certificare la spesa nei tempi previsti –:
   quale sia lo stato di attuazione del decreto 10 aprile 2013;
   se si possano fornire rassicurazioni in merito al fatto che anche i 41 milioni di euro non provenienti dalla delibera n. 478/12 siano ripartiti in base al criterio della densità abitativa evitando situazioni paradossali che esporrebbero il procedimento a ricorsi da parte dei comuni.
   (4-01620)

  Risposta. — Sull'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue. L'articolo 37 del decreto-legge n. 179 del 2012, ha stabilito che la riprogrammazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007-2013, oggetto del piano di azione coesione, nonché la destinazione di risorse proprie regionali possono concorrere al finanziamento delle tipologie di agevolazioni (esenzioni fiscali e contributive) di cui alle lettere da a) a d) dell'articolo 1, comma 341, della legge n. 296 del 2006, in favore delle imprese di micro e piccola dimensione localizzate o che si localizzano nelle Zone urbane individuale dalla delibera Cipe n. 14 del 2009, nonché in quelle valutate ammissibili nella relazione istruttoria a essa allegata e nelle ulteriori, rivenienti da altra procedura di cui all'articolo 1, comma 342, della medesima legge n. 296 del 2006, da definire entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ricadenti nelle regioni ammissibili all'obiettivo Convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia).
  Il «Piano di azione coesione 3o aggiornamento», tra le azioni anticicliche ha previsto una specifica misura agevolativa in favore delle micro e piccole imprese ubicate nelle zone franche urbane (zfu) delle regioni dell'obiettivo convergenza, assegnando alla misura una dotazione finanziaria complessiva di 377 milioni di euro.
  In data 10 aprile 2013, è stato firmato il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, attuativo dell'articolo 37. Con tale decreto, ai sensi di quanto previsto al comma 4 dello stesso articolo, sono fissati le condizioni, i limiti, le modalità e i termini di decorrenza delle agevolazioni.
  A seguito della registrazione del provvedimento presso la Corte dei conti, avvenuta in data 17 giugno 2013, il Ministero dello sviluppo economico, ai sensi di quanto stabilito all'articolo 8 del medesimo decreto 10 aprile 2013, ha dato avvio all’
iter procedurale propedeutico alla emanazione dei bandi per la concessione delle agevolazioni nelle zfu ammesse.
  Il primo passo della procedura è rappresentato dall'invio alle regioni interessate del prospetto di riparto delle risorse finanziarie per singola zona franca, effettuato dal Ministero dello sviluppo economico sulla base dei medesimi criteri di ripartizione già utilizzati dal Cipe nell'ambito della citata delibera n. 14 del 2009.
  Le comunicazioni alle regioni sono state inviate in data 24 luglio 2013. Da tale data, alle regioni è assegnato un termine massimo di 90 giorni per comunicare al Ministero:
   la destinazione di ulteriori risorse regionali per il finanziamento delle agevolazioni nelle zfu, al fine di aumentare l'intensità agevolativa e l'efficacia dell'intervento;
   l'individuazione, nell'ambito delle risorse disponibili per l'intervento in ciascuna zfu, di eventuali riserve finanziarie di scopo (scegliendo tra un set di possibili opinioni che riguardano nuove imprese, imprese femminili, imprese sociali, imprese ubicate in sub-porzioni del territorio della zfu, imprese operanti in determinati settori di attività economica), al fine di calibrare l'intervento, gestito a livello centrale dal Ministero, rispetto alle peculiari esigenze e necessità dei territori interessati.
  Tale previsione ha permesso di ampliare il dispositivo in Sicilia, includendo cinque nuove zfu previste ai sensi dell'articolo 67 della legge della regione siciliana n. 11 del 12 maggio 2010, e individuate in una data compatibile con la scadenza prevista del dettato del citato decreto-legge n. 179 del 2012.
  Successivamente Il Ministero dello sviluppo economico, con decreto direttoriale della direzione generale per gli incentivi alle imprese 23 gennaio 2014, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 24 del 30 gennaio 2014, ha adottato il bando per l'attuazione dell'intervento in favore delle micro e piccole imprese localizzate nelle zone franche urbane (zfu) della regione siciliana di cui al decreto interministeriale del 10 aprile 2013.
  Con decreto direttoriale del 4 marzo 2014 il bando è stato rettificato relativamente alla zona franca urbana di Sciacca. Lo sportello per la presentazione delle istanze è stato aperto il 5 marzo 2014 e chiuso il 23 maggio 2014.
  L'intervento, per il quale sono stati resi disponibili circa 182 milioni di euro, prevede la concessione di agevolazioni sotto forma di esenzioni fiscali e contributive in favore di imprese di micro e piccola dimensione localizzate nelle zone franche urbane di: Aci Catena, Acireale, Bagheria, Barcellona Pozzo di Gotto, Castelvetrano, Catania, Enna, Erice, Gela, Giarre, Lampedusa e Linosa, Messina, Palermo (Brancaccio), Palermo (porto), Sciacca, Termini Imerese (inclusa area industriale), Trapani e Vittoria.

Il Ministro dello sviluppo economicoFederica Guidi.


   GRIMOLDI e INVERNIZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il settore del gioco d'azzardo legale è la terza impresa italiana per giro d'affari, con quasi 100 miliardi di euro di fatturato, in continua crescita;
   dopo Giappone e Regno Unito, l'Italia è il terzo Paese al mondo per volume di gioco;
   i giocatori in Italia sono 15 milioni: 3 milioni sono a rischio dipendenza ed 800 mila sono i malati;
   la tassazione sulle slot machines è bassissima: nel 2005 era pari, in media, al 29 per cento; oggi è, in media, dell'8 per cento;
   da un lato lo Stato guadagna 8 miliardi dal gioco d'azzardo, dall'altro però ne spende 5-6 per curare i giocatori affetti da dipendenza, ignorando in sostanza gli effetti devastanti sulla società;
   i problemi connessi all'apertura di sale slot sono molteplici: degrado e problemi di ordine pubblico, schiamazzi notturni, gravissimi problemi e costi sociali, costi affettivi, con famiglie rovinate dal gioco ma soprattutto aumento e diffusione della criminalità organizzata;
   la criminalità organizzata guadagna con il gioco d'azzardo più che con gli altri traffici illeciti, in quanto il gioco d'azzardo è meno rischioso e più redditizio;
   la criminalità organizzata agisce attraverso prestanome, pressioni sui gestori, la pratica dell'usura, il riciclaggio di denaro di dubbia provenienza, e l'adescamento di nuovi affiliati insospettabili, ovvero i giocatori malati;
   in molte città, tra cui Bergamo, il problema è molto sentito: le sale slot sono in continua crescita;
   alcune di queste sale sono a pochi metri da scuole, oratori e da contesti particolarmente delicati per l'ordine pubblico;
   i residenti, i commercianti, gli insegnanti delle scuole ed i parroci, fortemente preoccupati, sono intervenuti, supportati dai quotidiani locali, con diverse iniziative volte a scongiurare l'apertura di queste sale (raccolte firme, riunioni, assemblee pubbliche) ed è in programma una manifestazione davanti alla Prefettura di Bergamo;
   il comune di Bergamo, così come molti altri comuni, ha approvato alla fine del 2012 il regolamento «Disposizioni per la valorizzazione del commercio negli ambiti del tessuto urbano consolidato» che vieta, tra l'altro, l'apertura di sale slot nei borghi storici e a 400 metri dai luoghi di culto, ospedali, case di cura, cimiteri, caserme, scuole di qualsiasi ordine e grado ed insediamenti destinati all'educazione ed allo svago di bambini e ragazzi;
   l'autorizzazione per l'apertura di nuove sale slot è però concessa, a norma di legge, direttamente dal questore, in quanto licenza di pubblica sicurezza;
   difatti, una recente circolare del Ministero dell'interno afferma che il rilascio delle licenza di pubblica sicurezza alle sale può avvenire «eventualmente anche in contrasto con regolamenti comunali che, se adottati, non possono interferire con la competenza dell'autorità di pubblica sicurezza»;
   le questure autorizzano l'apertura di nuove sale esclusivamente sulla base di tre requisiti previsti dalla legge nazionale: il titolare della sala non deve avere precedenti penali, la sala deve avere accessi controllabili e deve essere presente un sistema di videosorveglianza;
   se i comuni limitano in qualche modo, con regolamenti od ordinanze, queste attività, nel 90 per cento dei casi i Tar hanno annullato questi provvedimenti (ad esempio Vicenza, Milano, Verbania);
   ciò ha comportato, nei fatti, una proliferazione delle sale senza che i comuni possano intervenire, ad eccezione dei controlli;
   la tutela dell'ordine pubblico e della salute pubblica è da intendere anche come prevenzione delle condizioni che potenzialmente le minacciano;
   la scelta operata alcuni anni fa dal legislatore nazionale di rimettere al mercato la regolazione del numero di sale dedicate ad ospitare slot e VLT si scontra con le esigenze dei comuni, ai quali non si può impedire ogni possibilità di intervento;
   oltre 160 sindaci hanno aderito al «Manifesto dei Sindaci per la legalità» per chiedere maggiori poteri;
   numerosissimi comuni stanno affrontando questa problematica e hanno recentemente organizzato a Pavia la prima manifestazione nazionale no-slot –:
   se il Ministro non ritenga opportuno ed urgente assumere iniziative dirette a modificare la normativa relativa al rilascio delle licenze per sale slot VLT in modo tale da permettere ai sindaci di esprimere parere preventivo e vincolante per l'apertura di nuove sale e di regolamentarle in particolar modo per quanto attiene la vicinanza a luoghi sensibili e gli orari di apertura. (4-00820)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante relativa al rilascio delle autorizzazioni per gli esercizi commerciali dedicati al gioco con apparecchi denominati «videolottery-VLT» di cui all'articolo 9 del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 22 gennaio 2010, è seguita con attenzione da questa Amministrazione per l'evidente impatto sociale che tali attività ludiche hanno su diversi strati della popolazione.
  Al riguardo, si precisa che gli esercizi dedicati al gioco con apparecchi denominati «Videolottery» non sono considerate sale pubbliche da gioco, ma sono riconducibili per la disciplina autorizzatoria, agli articoli 86 e 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza secondo quanto stabilito dalla legge n. 73 del 2010, e, pertanto, il provvedimento rientra nelle specifiche attribuzioni del questore.
  Ciò premesso, pur in assenza di alcuna potestà autorizzatoria in capo al sindaco sulla specifica materia, alcune amministrazioni comunali hanno introdotto nei propri regolamenti limiti all'apertura degli esercizi pubblici in parola, ritenendo che l'introduzione di prescrizioni di carattere tecnico finalizzate al contrasto della ludopatia dovesse essere d'impedimento al rilascio del titolo autorizzatorio di polizia previsto dal Testo unico.
  Nello specifico, il comune di Bergamo ha inserito nel proprio regolamento del 2012 il divieto che sale di questo tipo potessero essere aperte ad una distanza non inferiore a 400 metri da luoghi di culto, ospedali, case di cura, cimiteri, caserme, scuole di qualsiasi ordine e grado e, comunque, lontane da qualsiasi insediamento in cui fosse prevista la presenza di bambini e ragazzi.
  Della delicata materia si è interessata anche la Corte costituzionale che con la sentenza n. 300 del 9 novembre 2011 ha precisato gli ambiti applicativi: agli enti locali è riconosciuta una competenza regolamentare riguardo alle conseguenze sociali dell'offerta di giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli; le disposizioni comunali, inoltre, non incidono direttamente sulla individuazione ed installazione dei giochi leciti, ma su fattori quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità.
  In altri termini, secondo la Consulta, deve ritenersi esclusa qualsiasi sovrapposizione tra le attribuzioni conferite dalla legge al questore circa il rilascio della licenza di pubblica sicurezza e l'ente locale cui la Corte riconosce una diversa autonoma competenza, che si esaurisce nella disciplina e nell'organizzazione dello svolgimento delle funzioni amministrative.
  Ai comuni, pertanto, rimane comunque riservata la più ampia facoltà di adottare autonomamente ogni misura volta a regolamentare le conseguenze sociali dell'offerta dei giochi leciti.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PALAZZOTTO, FRATOIANNI e PILOZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il CARA (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Mineo è stato inaugurato il 18 marzo 2011 a seguito della proclamazione dello stato di emergenza nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini stranieri provenienti dalle regioni del Nord Africa con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 aprile 2011;
   lo stato di emergenza cessava – a norma dello stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 aprile 2011 – in data 31 dicembre 2012; tale termine è stato posticipato al 31 dicembre 2012 con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 ottobre 2011 e, successivamente, con circolari del Ministero dell'interno, al 28 febbraio 2013 e poi al 31 marzo 2013;
   il CARA è ospitato presso il «Villaggio della Solidarietà» di Mineo (unica struttura del genere per dimensioni e destinazione d'uso), ovvero nelle 403 villette di quello che era il residence «Villaggio degli aranci», dismesso nel 2011 dai militari statunitensi allo scadere del contratto con la Pizzarotti spa di Parma, proprietaria della struttura; il residence è diventato il «Villaggio della Solidarietà», non in virtù di un contratto d'affitto, ma di un decreto di requisizione (esattamente il n. 16455 del 2 marzo 2011);
   il costo stimato di indennizzo che è stato pagato dallo Stato alla Pizzarotti spa è pari a circa 6 milioni di euro all'anno;
   la struttura è affidata al Consorzio siciliano di cooperative sociali Sisifo (LegaCoop), capofila di un raggruppamento composto da Sol.Calatino Caltagirone (aderente al Consorzio Sol.Co. Catania, rete di imprese sociali siciliane operante a Mineo dal 28 dicembre 2009), la coop-azienda di ristorazione Cascina di Roma, la Senis Hospes e la Domus Caritatis;
   il soggetto attuatore del CARA è la provincia di Catania, e precisamente nella figura del suo presidente, ed oggi sottosegretario onorevole Giuseppe Castiglione;
   i comuni di Mineo, San Michele di Ganzaria e Ramacca si sono costituiti in consorzio con la precisa intenzione di subentrare alla provincia di Catania quale soggetto attuatore della gestione del CARA;
   a pochi chilometri da Mineo si trova una struttura simile di proprietà pubblica, ovvero gli alloggi della ormai dismessa base militare di Comiso, già utilizzati in passato per ospitare i rifugiati durante «l'emergenza Kosovo» del 1999;
   l'accordo raggiunto con l'ente gestore prevedeva un costo di 46 euro per ogni rifugiato ospitato dal centro;
   la struttura di Mineo attualmente ospita circa 3400 migranti, a fronte di una capienza stimata di 2000 unità; a tal proposito, si rileva come l'incremento degli ospiti nella struttura sia riferibile al periodo in cui terminava lo stato d'emergenza e contestualmente il pagamento diretto dello stato dell'indennizzo alla Pizzarotti spa; l'ubicazione della struttura, lontana oltre 11 chilometri dal più vicino centro abitato, risulta essere un ostacolo per i richiedenti asilo nell'esercizio dei diritti propri del loro status. L'isolamento del Cara non permette ai migranti di circolare liberamente, anche al fine di integrarsi nel tessuto sociale. Gli spostamenti, a piedi o in bici, dei migranti espongono gli stessi a gravi pericoli e numerosi sono stati gli incidenti. L'unico pullman messo a disposizione per raggiungere Mineo è del tutto insufficiente;
   i tempi di evasione delle richieste di asilo sono estremamente lunghi e, nel corso di una visita, l'interrogante ha potuto constatare che nella struttura sono presenti richiedenti asilo che aspettano risposta alla loro richiesta da oltre 24 mesi, e ciò in contrasto con le disposizioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 2004 e al decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, che fissano in 20 e 35 giorni il limite massimo di permanenza;
   fino a fine luglio 2011 le commissioni di valutazione delle richieste erano due: una a Siracusa e una sub-commissione a Catania; l'unica commissione attiva oggi è quella di Siracusa che, a detta degli operatori del centro, valuta una media di 8/10 richieste d'asilo al giorno;
   sono, quindi, costantemente disattesi i termini legali che richiedono la valutazione delle richieste entro quarantacinque giorni;
   il sovraffollamento, l'isolamento, i lunghi tempi di attesa unitamente alle pessime condizioni igienico sanitario generano emarginazione e, spesso, episodi di violenza, anche autolesionistica, all'interno della struttura, come dimostrato dai recenti accadimenti del 15 giugno 2013 e del 2 agosto 2013;
   i medici stabilmente presenti nella struttura sono solo due e gli ospiti lamentano gravi carenze nell'assistenza sanitaria –:
   quali siano i motivi per i quali sia stato deciso di ubicare il CARA di Mineo presso una struttura privata e situata in località del tutto inidonea allo scopo, anziché utilizzare eventualmente strutture pubbliche, quale la base dismessa di Comiso, come riferito in premessa;
   se non si ritenga di dover attivare al più presto strutture che possano garantire ai richiedenti asilo il pieno esercizio dei diritti connessi al loro status ed una maggiore integrazione nella società italiana, di minori dimensioni, più vicine e meglio collegate a centri abitati, evitando nel contempo l'ulteriore sperpero di risorse pubbliche in affitti infruttiferi, nonché il protrarsi dell'attività del CARA di Mineo, che si è rivelata fallimentare;
   quali siano, ad oggi, i costi di affitto della struttura, i termini, le scadenze contrattuali e le relative spese di gestione;
   se vi sia una rendicontazione delle spese sostenute dal consorzio che ha gestito la struttura dal marzo 2011 a fronte dei servizi offerti;
   se, alla luce delle evidenti inadempienze da parte del consorzio in termini di servizi offerti, il Ministro interrogato non ritenga di dover valutare azioni di rivalsa nei confronti dello stesso consorzio, in forza delle ingenti risorse di cui è stato destinatario dal marzo 2011, data dell'apertura del centro;
   non ritengano – come spesso affermato dai predecessori – di dover aumentare il numero delle commissioni di valutazione delle richieste d'asilo. (4-01665)

  Risposta. — Le presenze all'interno del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo sono costantemente aumentate, dal momento della sua apertura, in relazione al crescente afflusso di migranti sul territorio nazionale, che è strettamente connesso alla grave instabilità politica dei Paesi africani del Mediterraneo e dell'area sub-sahariana nonché della Siria, Questa situazione di affollamento ha determinato alcuni degli episodi citati nel documento parlamentare. Il 14 giugno 2013, in seguito all'arresto di un cittadino proveniente dal Mali, un centinaio di migranti di etnia francofona hanno provocato violenti scontri con le forze dell'ordine, lanciando sassi e incendiando diversi cassonetti dei rifiuti; le forze di polizia hanno immediatamente disperso i responsabili e, grazie a un'intensa attività di mediazione, hanno ristabilito l'ordine all'interno del centro. L'episodio verificatosi la mattina del 1o agosto, riconducibile a un'aggressione che ha coinvolto cittadini nazionalità nigeriana e ghanese, si è concluso con l'arresto di due migranti, ritenuti responsabili degli scontri.
  Sulla base di una convenzione stipulata l'8 marzo 2013, dal prefetto di Catania, la gestione della struttura è stata affidata, fino al 31 dicembre 2013, al consorzio «Terra di accoglienza», costituito da alcuni comuni del comprensorio Calatino. Un successivo accordo, siglato il 20 dicembre 2013, ha attribuito la gestione del centro allo stesso consorzio per tre anni, a partire dal 1o gennaio 2014. Il Ministero dell'interno, tramite la locale prefettura, corrisponde al consorzio la somma di trentacinque euro al giorno per ogni migrante presente nella struttura; tale importo è comprensivo degli oneri per la locazione del complesso immobiliare e per il suo mantenimento, nonché per la gestione dei servizi socio-assistenziali a favore degli ospiti.
  La necessità di abbreviare i tempi di permanenza all'interno dei cara presuppone l'accelerazione dell'esame delle stanze di protezione internazionale. Tale esigenza appare ineludibile a causa dell'aumento delle istanze: nel corso dell'intero 2013 le domande di asilo presentate sono state circa 27 mila, mentre nel primo trimestre di quest'anno ne sono già state avanzate più di 13 mila, con un incremento di circa il 140 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Nel 2013, le commissioni hanno deciso l'esito di oltre 24 mila richieste e, nei primi mesi del 2014, quello di circa 9 mila ulteriori istanze. La bassa percentuale dei dinieghi – inferiore a un terzo – dimostra che si tratta prevalentemente di migranti non economici.
  Di conseguenza, le commissioni territoriali sono state progressivamente incrementate: attualmente ne sono attive venti, ma l'obiettivo del Governo è di aumentarne ulteriormente il numero, rendendo il sistema allo stesso tempo più ampio, sul piano dell'operatività territoriale, e più flessibile, cioè capace di adattarsi meglio alle necessità contingenti.
  Inoltre, il Governo sta lavorando per migliorare il funzionamento del sistema di accoglienza, integrando la rete dei centri governativi e il circuito dell'assistenza diffusa gestito dagli enti locali. In questa prospettiva, è stato programmato l'ampliamento del sistema Sprar, che da 9.440 posti è già salito a 12 mila e verrà progressivamente incrementato fino ad assicurare l'assistenza di 19 mila persone.
  In attesa che venga raggiunta la piena capacità ricettiva, a fronte della necessità di dover garantire, nel pieno dell'emergenza, la sistemazione dei migranti arrivati in Italia con gli ultimi sbarchi, il Ministero dell'interno ha chiesto ai prefetti di promuovere tutte le iniziative necessarie per un'espansione straordinaria dei Piano nazionale di distribuzione, dando in tal modo sistemazione a circa 8 mila persone.
  L'accoglienza diffusa richiede una
governance pienamente condivisa con le regioni e gli enti territoriali: a questo scopo, presso il Viminale opera il tavolo di coordinamento nazionale che ha definito linee-guida secondo le quali i prefetti dovranno attivare, nella stessa logica di concertazione, analoghe cabine di regia sul territorio.
  Ripensare il sistema di accoglienza in una chiave non emergenziale richiede anche il ricorso a forme organizzative più razionali e meno dispersive. Di conseguenza, il Governo è attento anche alla qualità della spesa erogata per il funzionamento dei centri governativi. In quest'ottica, si sta sperimentando un'inedita tipologia di struttura – una sorta di
hub – concepita come base logistica ampia, di primo ingresso, nella quale effettuare, tra le altre attività, l'identificazione, il fotosegnalamento, il triage sanitario e l'informazione legale del migrante. Queste nuove strutture potranno progressivamente sostituire i cara, favorendo, sin dal momento della prima accoglienza, l'individuazione del profilo migratorio del cittadino straniero al fine della sua successiva collocazione nelle strutture dello Sprar, a vantaggio della qualità del sistema di accoglienza.
  Sempre nella direzione di un miglioramento dei servizi, è in corso di ridefinizione il capitolato generale d'appalto relativo alle prestazioni da erogare, nell'ottica di una costante attenzione alle condizioni di vulnerabilità del migrante. In questo senso verranno messe a punto ulteriori iniziative per migliorare le condizioni di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati e il loro accesso alle procedure di asilo.
  Inoltre, proseguirà l'attività di monitoraggio sul rispetto degli standard di accoglienza in tutti i centri per immigrati, ivi compresi quelli che si è reso necessario istituire in via temporanea, grazie al rinnovo per l'anno in corso della convenzione con le organizzazioni umanitarie aderenti al «Progetto Praesidium», Unhcr, Oim, Croce rossa italiana e Save the children.
  Infine, poiché l'Italia è uno dei Paesi europei maggiormente esposti alla pressione migratoria, il Governo ha chiesto all'Europa di dimostrare maggiore attenzione su questo tema, anche tramite una revisione della Convenzione di Dublino: infatti, è necessario modificare il principio sul quale l'Europa regola la competenza ad accogliere chi richiede e ottiene protezione, permettendo al richiedente asilo o al rifugiato di spostarsi all'interno dell'Europa secondo la propria volontà e in adesione al proprio progetto di vita.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   SPADONI, COZZOLINO, DA VILLA e TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   tra i punti del piano d'azione straordinario contro la violenza sulle donne, ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 (legge n. 119 del 2013 del 15 ottobre 2013, Gazzetta Ufficiale n. 242 del 15 ottobre 2013), si prevede una raccolta strutturata e periodicamente aggiornata, con cadenza almeno annuale, dei dati del fenomeno, ivi compreso il censimento dei centri antiviolenza, anche attraverso il coordinamento delle banche di dati già esistenti;
   per eliminare concretamente ogni forma di violenza nei confronti delle donne bisogna iniziare dal monitoraggio del fenomeno;
   così come dichiarato dal Sottosegretario pro tempore con delega alle pari opportunità Cecilia Guerra, il piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking non è stato oggetto di monitoraggio negli anni della sua vigenza;
   da quanto risulta agli interroganti, l'ultima indagine Istat sulla violenza risale al 2007, né gli uffici del dipartimento per le pari opportunità sono stati in grado di comunicare aggiornamenti sui bandi 2014, sull’iter di accesso per i centri anti-violenza e sull'ammontare totale delle risorse del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità;
   dal sito www.pariopportunita.gov.it/ non risultano bandi nell'anno corrente;
   oltre quello sopracitato, gli altri obiettivi del piano d'azione straordinario contro la violenza sulle donne, sono:
     a) prevenire il fenomeno della violenza contro le donne attraverso l'informazione e la sensibilizzazione della collettività, rafforzando la consapevolezza degli uomini e dei ragazzi nel processo di eliminazione della violenza contro le donne e nella soluzione dei conflitti nei rapporti interpersonali;
     b) sensibilizzare gli operatori dei settori dei media per la realizzazione di una comunicazione e informazione, anche commerciale, rispettosa della rappresentazione di genere e, in particolare, della figura femminile anche attraverso l'adozione di codici di autoregolamentazione da parte degli operatori medesimi;
    c) promuovere un'adeguata formazione del personale della scuola alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere e promuovere, nell'ambito delle indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, delle indicazioni nazionali per i licei e delle linee guida per gli istituti tecnici e professionali, nella programmazione didattica curricolare ed extracurricolare delle scuole di ogni ordine e grado, la sensibilizzazione, l'informazione e la formazione degli studenti al fine di prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un'adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo;
    d) potenziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza;
    e) garantire la formazione di tutte le professionalità che entrano in contatto con fatti di violenza di genere o di stalking;
    f) accrescere la protezione delle vittime attraverso il rafforzamento della collaborazione tra tutte le istituzioni coinvolte;
    g) promuovere lo sviluppo e l'attivazione, in tutto il territorio nazionale, di azioni, basate su metodologie consolidate e coerenti con linee guida appositamente predisposte, di recupero e di accompagnamento dei soggetti responsabili di atti di violenza nelle relazioni affettive, al fine di favorirne il recupero e di limitare i casi di recidiva;
    h) prevedere specifiche azioni positive che tengano anche conto delle competenze delle amministrazioni impegnate nella prevenzione, nel contrasto e nel sostegno delle vittime di violenza di genere e di stalking e delle esperienze delle associazioni che svolgono assistenza nel settore;
    i) definire un sistema strutturato di governance tra tutti i livelli di governo, che si basi anche sulle diverse esperienze e sulle buone pratiche già realizzate nelle reti locali e sul territorio –:
   quali siano i fondi attualmente esistenti per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità e contro la violenza nei confronti delle donne e come ritenga di intervenire impiegando le risorse stanziate;
   quali siano le misure messe in atto e quali quelle in programma al fine di realizzare i punti enunciati nel piano d'azione straordinario contro la violenza sulle donne, e, in modo particolare, se sia stato avviato il processo di realizzazione della banca dati. (4-04050)

  Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame con il quale l'interrogante chiede di sapere quali siano i «fondi attualmente esistenti per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità e contro la violenza nei confronti delle donne» e «quali siano le misure messe in atto e quali quelle programmate al fine di realizzare i punti enunciati nel piano d'azione straordinario contro la violenza sulle donne e, in modo particolare, se sia stato avviato il processo di realizzazione della banca dati», per quanto di competenza, si forniscono i seguenti elementi informativi.
  In primo luogo, si fa presente che il dipartimento per le pari opportunità ha partecipato attivamente ai lavori che hanno condotto all'elaborazione e alla successiva emanazione – da parte del Governo – del decreto-legge n. 93 del 2013, convertito in legge il 15 ottobre 2013, n. 119, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province».
  Il citato decreto-legge n. 93 del 2013, prevede all'articolo 5 l'adozione da parte del Ministro delegato alle pari opportunità, previa intesa in sede di Conferenza Unificata, di un «Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere», che deve essere elaborato con il contributo delle Amministrazioni interessate, delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza e dei centri antiviolenza – in sinergia con la nuova programmazione dell'Unione europea per il periodo 2014-2020.
  Come sottolineato dall'interrogante il piano nazionale persegue le finalità di prevenzione del fenomeno della violenza contro le donne mediante una pluralità di azioni in diversi ambiti: campagne di pubblica informazione e sensibilizzazione; promozione in ambito scolastico delle corrette relazioni tra i sessi nonché di tematiche antiviolenza e antidiscriminazione negli stessi libri di testo; potenziamento dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza e protezione delle vittime di violenza di genere e di
stalking; formazione specializzata degli operatori, collaborazione tra istituzioni, raccolta ed elaborazione dei dati, previsione di specifiche azioni positive, configurazione di un sistema di governance del fenomeno tra i diversi livelli di governo sul territorio.
  Tenuto conto della complessità degli interventi da porre in essere per l'adozione del suddetto Piano il compito di elaborarlo e stato affidato ad una
task force interistituzionale (costituita il 22 luglio 2013) che riunisce tutti i Ministeri interessati (pari opportunità, giustizia, interno, salute, istruzione, esteri, difesa, economia e finanze, lavoro, sviluppo economico) e i rappresentanti della autonomie territoriali e del mondo dell'associazionismo, coordinata dal dipartimento per le pari opportunità.
  Al fine di giungere in tempi rapidi all'elaborazione del Piano, i lavori della suddetta
task force sono stati organizzati costituendo sette sottogruppi tematici di lavoro, ai quali partecipano i rappresentanti delle amministrazioni statali, delle associazioni, delle regioni e degli enti locali, denominati «codice Rosa»; «comunicazione»; «valutazione del rischio» «formazione»; «educazione»; «reinserimento vittime» e «raccolta dati».
  Ciascun sottogruppo, affidato all'amministrazione statale competente per materia, partecipante alla suddetta
task force, sta ultimando l'elaborazione delle diverse proposte di intervento finalizzate:
   al sostegno delle vittime di violenza mediante il loro reinserimento sociale e lavorativo e al recupero dei soggetti responsabili di atti di violenza nelle relazioni affettive (articolo 5 comma 2 lettera
g), del decreto-legge n. 93 del 2013);
   alla formazione dei diversi soggetti coinvolti nella presa in carico delle vittime (esempio operatori socio-sanitari, forze dell'ordine, volontari del soccorso, operatori dei centri antiviolenza etc.) (articolo 5, comma 2, lettera
e), del sopra citato decreto-legge);
   alla valutazione dei fattori di rischio cui sono esposte le vittime di violenza (articolo 5, comma 2, lettera
g), del sopra citato decreto-legge);
   alla corretta rappresentazione dei generi nel sistema dei media e della comunicazione (articolo 5, comma 2, lettera
b), del sopra citato decreto-legge);
   alla realizzazione di specifici percorsi formativi per i docenti contro la violenza di genere e per il rispetto della diversità (articolo 5, comma 2, lettera
c), del sopra citato decreto-legge);
   alla definizione di un sistema integrato di informazioni statistiche adeguato a misurare il fenomeno della violenza contro le donne (articolo 5, comma 2, lettera
h), del sopra citato decreto-legge);
   all'elaborazione di procedure di intervento omogenee all'interno delle strutture di pronto soccorso per la tutela e l'assistenza delle vittime di violenza domestica e sessuale (articolo 5, comma 2, lettera
d), del sopra citato decreto-legge).

  All'ultimazione dei lavori dei sottogruppi tematici di lavoro, coordinati dal dipartimento per le pari opportunità, sarà compito dello stesso dipartimento investire la task force per la condivisione del piano.
  Attesa la complessità delle azioni che si intendono perseguire con il piano, il Governo conta di poter adottare lo stesso entro il prossimo mese di ottobre.
  In particolare, in merito a quanto richiesto dall'interrogante sul processo di realizzazione di una banca dati del fenomeno di cui trattasi, si fa presente che l'attività del sottogruppo «raccolta dati» si è focalizzata proprio sulla necessità di disegnare un sistema integrato di informazioni che raccolga tutti i dati che riguardano a diverso titolo la violenza contro le donne, analizzando approfonditamente le carenze informative che possono essere di natura parziale e totale. Sono state definite le carenze fondamentali esistenti da un punto di vista informativo. Le carenze di natura parziale si riferiscono all'assenza di una informazione ritenuta strategica dal punto di vista del fenomeno (ad esempio la relazione autore-vittima) nell'ambito degli archivi amministrativi esistenti o di altre basi di dati. Le carenze di natura totale sono quelle che evidenziano la totale assenza di informazioni preziose ai fini del monitoraggio del fenomeno. L'obiettivo è quello di misurare sia il sommerso che l'emerso dai differenti punti, attraverso i quali è possibile identificare l'emerso, quali le denunce, il ricorso a servizi sociali o sanitari, il ricorso a centri antiviolenza, i dati del numero verde di pubblica utilità «antiviolenza Donna» 1522 ecc.
  Consapevole della necessità di disporre di dati aggiornati in ordine alle diverse forme di violenza perpetrata nei confronti delle donne, il dipartimento per le pari opportunità, già nel 2012, attraverso la stipula di un'apposita convenzione, ha commissionato all'Istat lo svolgimento di un'indagine nazionale sulla «Sicurezza delle donne», il cui obiettivo è quello di fornire stime aggiornate sulla violenza fisica e sessuale, sulle dinamiche della violenza, sulle conseguenze e sui fattori di rischio, con particolare riguardo alla violenza da
partner nell'ambito della quale sarà rilevata anche la violenza psicologica, economica, fisica e sessuale, nonché l'evoluzione della dinamica della violenza.
  In ordine alle risorse finanziarie stanziate per l'attuazione del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, il Governo ha incrementato – per l'anno 2013 – il «Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità» di 10 milioni di euro (articolo 5, comma 4, decreto-legge n. 93 del 2013), stanziando, successivamente con l'articolo 1, comma 217, della legge 27 dicembre 2013 n. 147, (Legge di stabilità 2014) risorse finanziarie aggiuntive pari a 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016.
  Tali risorse saranno allocate sulle diverse aree d'intervento una volta completato il Piano in questione.
  Inoltre, al fine di dare attuazione a quanto previsto dal sopra richiamato articolo 5, comma 2, lettera
d), del decreto-legge n. 93 del 2013: «potenziare le forme di assistenza e di sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso modalità omogenee di rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza», sono stati stanziati ed assegnati, dall'articolo 5-bis, comma 1, dello stesso decreto-legge n. 93 del 2013, sul «Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità», 10 milioni di euro per l'anno 2013 e 7 milioni di euro per l'anno 2014, nonché 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2015.
  Tali risorse, secondo quanto previsto dall'articolo 5-
bis, comma 2, del sopracitato decreto-legge, devono essere annualmente ripartite tra le regioni dal Ministro delegato per le pari opportunità «previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Province autonome di Trento e Bolzano tenendo conto dei criteri» stabiliti nella disposizione stessa.
  Sul decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ripartisce, in un'unica soluzione le risorse stanziate per gli esercizi finanziati 2013 e 2014, e stata sancita l'intesa in conferenza Stato-regioni pertanto attesi i tempi tecnici le risorse saranno erogate non appena si concluderà il previsto
iter per i controlli di competenza.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGraziano Delrio.