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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 308 di lunedì 13 ottobre 2014

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO

  La seduta comincia alle 11,05.

  CLAUDIA MANNINO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 10 ottobre 2014.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alli, Amici, Baldelli, Bellanova, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Bratti, Bressa, Brunetta, Bruno, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Costa, Dambruoso, De Girolamo, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Di Salvo, Gianni Farina, Fedriga, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Frusone, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Librandi, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Merlo, Mogherini, Morassut, Nicchi, Nizzi, Orlando, Pes, Piras, Pisicchio, Pistelli, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Scalfarotto, Sisto, Tabacci, Taglialatela, Valentini, Velo, Vignali, Vito e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente settantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni (ore 11,07).

  PRESIDENTE. Invito il deputato segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

  CLAUDIA MANNINO, Segretario, legge:
   MARINA ELENA CHIRU, da Pavia, chiede: nuove norme in materia di diritto agli studi universitari e di riduzione delle tasse universitarie in relazione alle condizioni economiche e sociali degli studenti (743) – alla VII Commissione (Cultura);
   CHRISTIAN OSELLA, da Torino, chiede: che, nell'ambito della riforma costituzionale in corso di esame, la Repubblica italiana assuma un ordinamento di tipo federale (744)alla I Commissione (Affari costituzionali);
   GABRIELLA CUCCHIARA, da Roma, chiede:
    nuove norme sulle modalità di elezione e sui requisiti del presidente del Consiglio nazionale forense e per la modifica della sede del medesimo Consiglio (745) – alla II Commissione (Giustizia);
    che i condomini possano autonomamente provvedere a proprie spese a interventi di manutenzione degli spazi comuni (746) – alla II Commissione (Giustizia); Pag. 2
   ANTONIO MORONE, da Roma, chiede:
    nuove norme sui livelli di qualità delle informazioni fornite su richiesta degli utenti, in via telematica, dai soggetti che erogano servizi pubblici (747) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
    nuove norme in materia di limiti massimi e divieto di cumulo dei trattamenti pensionistici (748) – alla XI Commissione (Lavoro);
   MASSIMILIANO VALDANNINI, da Roma, chiede:
    misure per garantire il rispetto delle prescrizioni relative all'utilizzo di uniformi, distintivi e autoveicoli da parte del personale degli istituti di vigilanza privata (749) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
    nuove norme per contrastare l'utilizzo di apparecchi cellulari durante la guida in violazione del codice della strada (750) – alla IX Commissione (Trasporti);
   MAURIZIO TACCOLA, da Pontedera (Pisa), chiede: l'immissione in servizio del personale ausiliario delle Forze armate risultato idoneo alla ferma quadriennale, ma non prescelto (751) – alla IV Commissione (Difesa);
   DANIELE BELLU, da Albignasego (Padova), chiede: una revisione organica della Costituzione, volta all'istituzione dello Stato cooperativo federale italiano (752) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
   ROSANNA OCCHIODORO, da Ancona, chiede: nuove norme in materia di dichiarazione giudiziale della paternità, per eliminare ogni discriminazione tra figli (753) – alla II Commissione (Giustizia);
   STEFANIA CROGI, da Roma, e numerosissimi altri cittadini chiedono: iniziative urgenti per garantire la completa applicazione delle norme in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro anche nel settore della pesca (754) – alle Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali);
   MICHELE VECCHIONE, da Alatri (Frosinone), chiede: nuove norme in materia di targhe degli autoveicoli dei cittadini delle città metropolitane (755) – alla IX Commissione (Trasporti);
   MATTEO LA CARA, da Vercelli, chiede:
    la soppressione dei vitalizi dei parlamentari e dei consiglieri condannati per particolari reati (756) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
    nuove norme in materia di modalità di esame delle petizioni presentate alla Camera dei deputati (757) – alla Giunta per il Regolamento;
   SALVATORE ACANFORA, da Roma, chiede:
    norme più restrittive in materia di apertura di «fast food» nel centro storico di Roma (758) - alla X Commissione (Attività produttive);
    nuove norme in materia di incandidabilità dei magistrati (759)alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia);
    disposizioni in materia di incompatibilità tra gli incarichi di vertice dei partiti politici e l'assunzione di cariche di Governo (760)alla I Commissione (Affari costituzionali);
    l'abolizione del voto segreto e della possibilità di astenersi nelle votazioni presso la Camera dei deputati (761)alla Giunta per il Regolamento;
    iniziative per autorizzare l'impiego sperimentale in ospedale del cosiddetto «metodo Stamina» (762) – alla XII Commissione (Affari sociali);
    misure contro la prostituzione minorile (763) – alla II Commissione (Giustizia);
    iniziative affinché le emittenti televisive riducano gli spazi di approfondimento Pag. 3politico a favore di programmi di carattere culturale e di varietà (764) – alla VII Commissione (Cultura);
   SPYRIDION MAZARAKIS, da Roma, e altri cittadini chiedono: iniziative per garantire la tempestiva copertura delle posizioni di vertice della Lega navale italiana (765) – alla IV Commissione (Difesa);
   IVAN VADORI, da San Vito al Tagliamento (Udine), e numerosi altri cittadini espongono: la necessità di conoscere le ragioni che hanno portato al trasferimento del capitano Gregorio De Falco (766) – alla IX Commissione (Trasporti).

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.

  PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, il senatore Francesco Bruni, in sostituzione del senatore Donato Bruno, dimissionario.

Discussione delle mozioni Scotto ed altri n. 1-00537 e Pisicchio n. 1-00609 concernenti iniziative per il rilancio economico e occupazionale del Mezzogiorno, con particolare attenzione alla situazione della Campania (ore 11,12).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Scotto ed altri n. 1-00537 e Pisicchio n. 1-00609 concernenti iniziative per il rilancio economico e occupazionale del Mezzogiorno, con particolare attenzione alla situazione della Campania (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che è stata presentata la mozione Covello ed altri n. 1-00612 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Arturo Scotto, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00537. Ne ha facoltà.

  ARTURO SCOTTO. Presidente, noi abbiamo immaginato, utilizzando lo strumento della mozione, di potere aprire un dibattito, una riflessione pubblica rispetto a un dato che non sarà sfuggito ai più e che, però, talvolta è dimenticato, seppellito nella memoria pubblica. Un'Italia spaccata in due, come ci dice la Svimez, il divorzio tra il resto del Paese e il Mezzogiorno d'Italia, una lenta ma, come dire, inesorabile fuoriuscita dall'agenda politica degli ultimi tre Governi della questione meridionale. Questa non è semplicemente una dimenticanza. Talvolta, si rivela una vera e propria forma di impotenza, un'ammissione, da parte delle classi dirigenti di questo Paese, che c’è un'area che è destinata progressivamente a un impoverimento produttivo e sostanzialmente anche al cambiamento di abitudini sociali.
  Basta guardare i dati. Il divario del prodotto interno lordo, tornato a dieci anni fa, negli anni della crisi. I consumi sono crollati del 13 per cento, gli investimenti nell'industria e nel manifatturiero crollati addirittura, nel quinquennio terribile della crisi, di oltre il 53 per cento. In cinque anni le famiglie povere della Campania e del Mezzogiorno d'Italia sono aumentate due volte e mezzo e il settore manifatturiero ha ridotto di un quarto il proprio prodotto e i propri addetti. Basti pensare, poi, a un fenomeno che assume addirittura dimensioni direi bibliche e, per certi aspetti, addirittura superiore, dal Pag. 4punto di vista qualitativo e quantitativo, all'indomani del secondo dopoguerra della migrazione sud-nord.
  Dal 2001 al 2013 un milione e mezzo di giovani hanno lasciato il Sud, il Mezzogiorno. Si moltiplicano le chiusure e i fallimenti di negozi. Non è un caso che l'assenza di una politica per il Mezzogiorno, come dimostrano i dati, abbia aumentato il livello di marginalità sociale, abbia prodotto dati di emigrazione fortissimi, fuga di risorse, capitali e investimenti, e una criminalità che rialza la testa e riprende a sparare.
  Bankitalia ci dice che settori come l'edilizia e tutti i settori non metalliferi, in una regione come la Campania, ma in tante altre regioni del Mezzogiorno d'Italia, faticano a uscire dalla crisi, perdono indotto e perdono posti di lavoro. Nulli sono i segnali della ripresa nel settore cantieristico e dell’automotive, nonostante le magnifiche sorti e progressive annunciate da Marchionne dopo la vicenda di Pomigliano. Assenza della regione Campania nel rapporto con Finmeccanica: basti pensare alla vicenda Ansaldo, alla vicenda Alenia, alla vicenda Irisbus.
  E vediamo, in una regione come la Campania, addirittura una riduzione drastica dell'utilizzo degli strumenti normali della mobilità urbana, con il taglio al trasporto pubblico locale, che non ci auguriamo venga ulteriormente incrementato nella prossima legge di stabilità. Parliamo di bacini importanti, come Fincantieri, che attende ancora il bacino di carenaggio.
  Parliamo del porto di Napoli, dove uno scontro all'interno della maggioranza, nel corso dell'ultimo anno e mezzo, ha rinviato sine die la nomina del presidente dell'autorità portuale, perché, come sappiamo, il presidente Caldoro aveva interesse a mettere un uomo suo dentro la più grande, probabilmente, istituzione produttiva di Napoli, e abbiamo perso 150 milioni di fondi europei.
  Ci troviamo di fronte a un dato, che emerge in maniera fortissima, di incapacità di spesa dei fondi strutturali, legata ad una cattiva programmazione e, talvolta, ad un uso discrezionale dei fondi strutturali, che ha portato la Campania ad essere fanalino di coda.
  La Svimez parla, in prospettiva, nei prossimi anni, di mutamenti sociali strutturali. Parliamo di un paesaggio produttivo e urbano che verrà modificato in maniera drastica, e i processi di industrializzazione non si portano solo appresso posti di lavoro, ma si portano appresso sicurezza, si portano appresso coesione sociale, si portano appresso istanze di cittadinanza, che scompaiono.
  Noi abbiamo la necessità di mettere mano. Per questo, abbiamo prodotto questo lavoro, costruito insieme al concorso delle forze sociali, dei sindacati, delle imprese, chiedendo non soltanto un impegno, non provando soltanto a lanciare un allarme, ma chiedendo una svolta al Governo Renzi sulle politiche per il Mezzogiorno.
  E questo significa che nella programmazione 2014-2020 non potremo fare il bis degli anni precedenti. Dobbiamo realizzare un documento di programmazione e finanza, un DPEF, per il Mezzogiorno. Dobbiamo inserire dentro quelle linee guida una salvaguardia fondamentale dell'apparato produttivo e delle politiche industriali. Dobbiamo dare autonomia all'Agenzia per la coesione territoriale, e anche poteri sostitutivi, laddove le regioni non siano in grado di spendere i fondi. Occorre un monitoraggio severo anche per la programmazione attuale, 2007-2013.
  Sono state realmente sfruttate le risorse ? Sono state finalizzate allo sviluppo e all'occupazione ? Quali sono i risultati che sono stati trovati ? Occorrono strumenti di programmazione nuovi per il Mezzogiorno, che vadano nella direzione di un rilancio del turismo sostenibile, dei beni culturali, che sono un patrimonio assoluto, di un'innovazione tecnologica che stenta a decollare, di un ammodernamento delle politiche di welfare, a partire dall'introduzione della sperimentazione del reddito di cittadinanza.
  E occorre, penso alla Campania, nella programmazione dei fondi residui, una politica molto più seria rispetto ai rischi Pag. 5vulcanici che sono una vera e propria mannaia che rischia di essere scagliata sul Mezzogiorno, e sull'intero Paese, e che sembra completamente fuori dalla prospettiva del Governo, tant’è che nello «sblocca Italia», che, come lei ben sa, Presidente, stiamo discutendo in queste ore, addirittura si autorizzano le trivellazioni al largo di Capri e Ischia, come se non si sapesse che quella è un'area vulcanica.
  Allora, il tema, per quello che ci riguarda, è quello di una svolta. Lo chiediamo in questa mozione, non si può più immaginare di civettare, e questo il Governo Renzi non dovrà più farlo, con le politiche recessive e ragionieristiche del governatore Caldoro. Non possiamo immaginare che il Presidente Renzi produca mezza campagna elettorale per Stefano Caldoro, ad esempio autorizzando il commissariamento di Bagnoli e dando più potere alla regione e destituendo il comune dei propri poteri in materia urbanistica.
  Non è immaginabile che ci sia tanta indulgenza rispetto a quella che nel corso degli ultimi anni è stata una forma di disprezzo nei confronti della cosa pubblica e anche, aggiungerei io, di una classe dirigente profondamente compromessa nelle relazioni tra impresa parassitaria, apparato pubblico clientelare e talvolta anche forme di connessione e di collusione con la criminalità organizzata, vedi il caso Cosentino e tanti altri.
  Abbiamo un consiglio regionale profondamente compromesso; questa regione, questa compagine, non è in grado di guidare la svolta della Campania. Occorre subito mettere in campo un'iniziativa che eviti che, nel corso dei prossimi anni, questa regione torni di nuovo nel baratro sul piano politico, sul piano sociale, sul piano produttivo e sul piano ambientale (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Famiglietti, che illustrerà la mozione Covello ed altri n. 1-00612, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  LUIGI FAMIGLIETTI. Signor Presidente, la scorsa settimana il sottosegretario Delrio nella sua informativa, tenuta proprio in quest'Aula, sull'utilizzo dei fondi comunitari ci ha illustrato un quadro assai complesso, non ha lesinato critiche, ha richiamato tutti alla responsabilità e a prospettato, tuttavia, una grande opportunità.
  Sulla base dei dati aggiornati al 16 settembre, infatti, il residuo di spesa fino al 31 dicembre 2015 è complessivamente pari a 20,2 miliardi di euro, di cui 15,3 miliardi nelle sole regioni convergenza. Quindici miliardi nelle cinque regioni di convergenza possono tradursi, come ha detto lo stesso sottosegretario, nella possibilità di spendere un miliardo al mese solo dei fondi finanziati dall'Unione europea. È una disponibilità che va declinata con la massima operatività e la massima urgenza. È anche un'opportunità per riscattare un colpevole ritardo, per dimostrare che ce la possiamo fare con un grande sforzo collettivo a superare anche i limiti di chi considera ineluttabile che queste risorse vadano perse.
  Sappiamo che la Commissione europea ha invitato l'Italia, sulla base dei risultati fin qui avuti, a ridurre al minimo il cofinanziamento, di contenerlo, per evitare che queste risorse nazionali vadano perdute.
  E sappiamo anche che questo è il motivo per il quale, non senza preoccupazioni da parte dei territori, il Governo italiano ha presentato, insieme alle regioni, tassi minimi pari al 25 per cento per tutti i POR e per tutti i PON, ad eccezione dei PON istruzione e occupazione. È una scelta che punta a sottrarre alle scadenze annuali della regola del disimpegno automatico risorse che devono, comunque, rimanere in quella che il Governo ha chiamato programmazione parallela. Ed è su questo rafforzamento che l'atto di indirizzo del Partito Democratico intende intervenire e lo intende fare sottraendo la discussione dei fondi comunitari a forme di speculazione politica di breve respiro, tant’è che tra gli obblighi che intendiamo far assumere al Governo, vi è quello di Pag. 6proporre al CIPE, entro 30 giorni dall'approvazione della presente mozione, un'apposita delibera per la formalizzazione delle questioni legate al cofinanziamento, assicurando che tutte le risorse del cofinanziamento sottratte al 50 per cento rimangano, comunque, a disposizione delle regioni a cui erano originariamente destinate.
  Quindi, non deve esserci alcuna sottrazione di risorse per le regioni del sud. È un punto sul quale vogliamo chiarezza per evitare ogni equivoco di fondo, e cioè che si getti la spugna perché non si è in grado di spendere.
  Inoltre, si chiede al Governo di impegnarsi a relazionare al Parlamento, ogni sei mesi, circa l'impiego delle citate risorse.
  Svimez ci dice che con il volume delle risorse disponibili l'impatto macroeconomico sarebbe molto significativo; tali investimenti potrebbero attivare nel Mezzogiorno un incremento occupazionale pari a 34 mila unità, in questo scorcio di 2014, e ad oltre 82 mila unità nel 2015, con una crescita del PIL di 1,3 punti. Sono cifre non da poco, se consideriamo che, per il numero di occupati, il sud è tornato a livelli di quarant'anni fa. Per questi numeri non possiamo sbagliare per tutte queste attese che si registrano.
  Le criticità riscontrate fino ad ora anche dalla Commissione europea le conosciamo tutti. La dispersione delle risorse in un numero eccessivo di progetti, la mancanza di garanzie ex ante di efficacia e di efficienza, i limiti della capacità amministrativa e l'assenza di piani specifici settoriali hanno fin qui caratterizzato la gestione dei fondi europei nel nostro Paese, in particolare nelle regioni meridionali.
  Oggi, sempre secondo Svimez, circa il 65 per cento dei comuni meridionali ha almeno un progetto finanziato dai fondi strutturali, tutto ciò grazie alla frammentazione delle risorse tra molti soggetti. Però non dobbiamo dimenticare che ciò è avvenuto perché i fondi strutturali sono andati sempre più sostituendosi a quelli ordinari, spesso bloccati dal Patto di stabilità interno o da altre esigenze di finanza pubblica, e quindi hanno perso la loro caratteristica di risorse aggiuntive in grado di imprimere una spinta al processo di sviluppo.
  Nei prossimi sette anni, come ha avuto modo di esplicitare sempre Delrio, la programmazione poggerà su tre pilastri: Fondo di sviluppo e coesione, Piano di azione per la coesione e Fondi strutturali veri e propri. In questo quadro, secondo il Partito Democratico, diventa fondamentale avere una cabina di regia politica nazionale, che affianchi le regioni obiettivo 1 e abbia anche poteri sostitutivi, qualora fosse necessario.
  Come ricordato dalla stessa Commissione europea, anche per superare i precedenti limiti programmatori, appare fondamentale rafforzare una struttura centrale di coordinamento in tema di audit e controllo, con personale tecnicamente adeguato nelle autorità di gestione e negli organismi intermedi, e che, più in generale, costituisca un presidio forte, capace di rimuovere tutte le inefficienze mostrate dalla pubblica amministrazione. Per questo bisogna dare immediata operatività all'Agenzia per la coesione territoriale, che deve essere chiamata a svolgere la sua funzione di semplificazione e deve avere anche un ruolo di coordinamento e di pungolo all'impiego di tutte le risorse a disposizione.
  Vogliamo assicurazioni che questo strumento sia effettivamente operativo, perché vi sono grandi attese e costituisce dal punto di vista amministrativo la chiave di volta per velocizzare ulteriormente i processi di programmazione.
  Occorre un rilancio delle politiche industriali nel Mezzogiorno, partendo dal monitoraggio delle risorse già stanziate e non ancora impiegate. Per esempio, sono ferme tantissime risorse legate ancora ai contratti d'area, ai patti territoriali e ai contratti di localizzazione.
  È indispensabile un rilancio delle politiche di infrastrutturazione e per questo prevediamo nella nostra mozione la costituzione di un apposito osservatorio sulle infrastrutture del Mezzogiorno, partendo dalle importanti opere già inserite nell'ambito Pag. 7dello sblocca-Italia e non trascurando le potenzialità della macroregione adriatico-ionica ed in generale le potenzialità dei corridoi transeuropei che attraversano il sud: il Corridoio 8, da Napoli a Bari, e il Corridoio 1, che arriva da Berlino fino a Palermo.
  Ci sono interi comprensori in agonia, perché manca una prospettiva di sviluppo. Ci sono interi settori economici, come quello edilizio, che necessitano di investimenti pubblici per rilanciare l'intera economia. Io credo che sia inaccettabile che il 50 per cento dei disoccupati risieda nell'area in cui vive un terzo della popolazione di questo Paese e che il 30 per cento di essa viva al di sotto della soglia di povertà. Dal 2008 ad oggi, in sette anni, 800 mila persone hanno perso il lavoro al sud.
  Queste risorse devono consentire anche di ridisegnare complessivamente un welfare che fa acqua da tutte le parti, in particolare al sud. L'obiettivo tematico n. 9, esplicitato da Delrio, è una delle priorità e intendiamo vincolare il Governo su questo.
  È giunto ormai anche il tempo di rivedere il tema della spesa storica, anche in vista della modifica del Titolo V della Costituzione, ed individuare meccanismi correttivi e perequativi. In estate, in occasione del riparto del Fondo per i servizi all'infanzia, si è palesato l'ennesimo paradosso, che è costato al sud 700 milioni di euro. In un territorio con una popolazione infantile più numerosa si è visto un rapporto di investimenti nettamente inferiore, proprio per il criterio della spesa storica. Non è perché non ci sono asili nido che devono essere date meno risorse ! Perché compito degli amministratori del sud deve essere quello di recuperare il gap, ma se questo gap lo si assume a criterio, allora è chiaro che scatta un cortocircuito che penalizza esclusivamente le fasce deboli del Mezzogiorno.
  Questo lo dico premettendo la doverosa autocritica di chi ammette anche le proprie responsabilità per i ritardi accumulati. Abbiamo avviato una discussione con il Governo e credo ci siano i presupposti per superare quest'atavica questione della spesa storica.
  Priorità va data alla messa in sicurezza e al contrasto ai fenomeni di dissesto idrogeologico, alla valorizzazione dei beni ambientali e culturali e alle attività di bonifica di aree SIN e di siti caratterizzati da particolari lavorazioni. Questi sono gli impegni che chiediamo al Governo e queste sono le proposte che avanziamo come gruppo del PD, per cogliere quest'ultima opportunità che ci viene data dai residui della precedente programmazione e dalle risorse del periodo 2014-2020.
  Avverto, da meridionale, un'ansia legata alla drammatica condizione in cui vive un'ampia fascia di popolazione. Scriveva Manlio Rossi-Doria nel 1944 al suo amico avvocato irpino Guido Dorso: «In questo momento a me una sola cosa importa: capir dentro a questo oscuro processo che vedo in atto (...). Per questo sono preso da una vera frenesia di girare, di vedere, di prendere contatto con la terra. E non vedo l'ora di tornare giù nel Mezzogiorno, di girare paese per paese».
  Dobbiamo riprendere contatto con il sud, bisogna favorire, come diceva Guido Dorso, il ricambio delle classi dirigenti. Dobbiamo individuare i 100 uomini d'acciaio, con il cervello lucido e l'abnegazione indispensabile per lottare per una grande idea, per lo sviluppo del sud. Dobbiamo fare in modo che non un solo euro venga perso e che i progetti consentano al sud e all'Italia di superare l'attuale fase storica.
  L'Italia riparte se cresce il sud, non se il nord corre più forte, come molti hanno detto in passato e purtroppo come molti pensano ancora oggi. Ed è per questo che ci auguriamo che il Governo voglia accogliere la nostra mozione e lavorare per consentire davvero quel cambio di passo ormai divenuto indispensabile. Non ci sono ricette miracolose, ma, di questi tempi, l'ordinario è già qualcosa di straordinario.

  PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Palese n. 1-00614, che, vertendo su materia analoga a quella Pag. 8trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  È iscritto a parlare il deputato Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00614. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, non c’è dubbio che la situazione del Paese, di una grande area del Paese, che è il Mezzogiorno, che vive uno stato di emergenza, ha un alto livello di preoccupazione. E non sto qui a riprendere tutti i dati allarmanti di Svimez, della Banca d'Italia, di tutti i vari organismi e di tutti i vari studi inoppugnabili, in cui l'emergenza purtroppo viene alla luce in maniera inequivocabile.
  Così come non può sfuggire che la nostra Costituzione, sia nel testo precedente sia nel testo novellato con la modifica del Titolo V, sancisce in maniera inequivocabile che il Paese, il Governo del Paese, il Parlamento, lo Stato devono in ogni modo cercare di attuare politiche per la riduzione degli squilibri, per la riduzione di tutte le difformità riguardo la capacità di sviluppo e le grandi differenze, il divario che c’è tra il nord e il sud. Divario – ahimè ! – che negli ultimi anni è aumentato ed è aumentato vistosamente.
  E non c’è dubbio, Presidente, che ci sono anche ragioni ataviche, certamente le più importanti, legate ai motivi della finanza pubblica, al contenimento della spesa, per un motivo molto semplice: perché la Costituzione prevede che, per queste regioni in difficoltà di sviluppo, per ridurre gli squilibri lo Stato dovrebbe stanziare annualmente, sulla base di una programmazione seria, fondi aggiuntivi, straordinari, che si aggiungono a quelli ordinari. Io penso che sono più di quindici anni che i fondi ordinari di trasferimenti finalizzati alla riduzione del divario nord-sud sono completamente scomparsi e sono stati interamente, integralmente sostituiti dai fondi strutturali, dai fondi comunitari, che sono le uniche e sole risorse destinate a una ipotetica riduzione del divario nord-sud.
  Io penso che questa sia la base di partenza, senza immaginare minimamente che si voglia ritornare a sistemi tipo Cassa del Mezzogiorno o, peggio ancora, a interventi straordinari per il Mezzogiorno, che negli anni Ottanta finanziarono con 120 mila miliardi di vecchie lire infrastrutture e quant'altro dovevano occorrere per ridurre il divario.
  Ma partiamo dall'oggi. Oggi noi riteniamo che per stimolare crescita ed occupazione necessarie per tutto il Paese, per ridurre soprattutto la disoccupazione, occorre utilizzare al meglio le risorse comunitarie, sia quelle che residuano, ancora non spese, fino al 31 dicembre 2015, da parte delle regioni e da parte anche di molti Ministeri, che ammontano a circa 30 miliardi di euro, sia anche le risorse del programma 2014-2020 che, tra il programma ordinario di sviluppo europeo e le risorse destinate al piano di sviluppo rurale, cioè all'agricoltura e alla pesca, ammontano a 150 miliardi di euro. Sono risorse importanti. A mio avviso, peraltro, per i motivi di finanza pubblica, sono le uniche risorse disponibili nel bilancio dello Stato per questi anni e anche per i prossimi, fino al 2020, che sono presenti come competenza e cassa senza la necessità di avere queste risorse attraverso aumenti di tasse o, peggio ancora, tagli di spesa. Sono le uniche risorse certe, quindi, che noi abbiamo.
  In questo contesto, io penso che il Governo farebbe bene a mettere al centro della sua politica, al centro delle sue decisioni, come priorità assoluta, visto che il problema della crescita e dell'aumento dell'occupazione è il problema prioritario per il Paese, la migliore attuazione possibile di questi fondi comunitari, il che coincide con la possibilità di cercare di avere uno sviluppo abbastanza sostenuto nei tempi e anche nell'attuazione delle regioni più in difficoltà, che sono le regioni del sud. Un'autocritica bisogna pure farla. Se le risorse stanziate con i programmi comunitari, più quelle degli interventi di Pag. 9Cassa del Mezzogiorno, straordinari, eccetera, per il sud, fossero state utilizzate al meglio e nei tempi giusti e con interventi qualificati, il sud sarebbe stato asfaltato d'oro. Non solo: come a suo tempo, nel giro di dieci anni, le differenze tra Germania Est e Ovest sono state ridotte, facendo i programmi straordinari, avremmo potuto ottenere gli stessi risultati. Purtroppo, questo non è accaduto. Però sappiamo anche grossomodo i motivi principali. Quindi, raccomandiamo al Governo di cercare di intervenire, in maniera molto forte e in maniera immediata sulla situazione del sud (e mi riferisco anche alle regioni ricomprese, tutte insieme, nell'obiettivo 1, cioè Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, sono queste le regioni con maggiori difficoltà), attraverso un migliore utilizzo dei fondi comunitari; intanto, cercando di perdere quanto meno possibile i fondi che ancora devono essere spesi al 31 dicembre 2015, che sono circa 30 miliardi di euro. È bene che il Governo intervenga con l'Unione europea per poterli riprogrammare d'intesa con le regioni. Faccio degli esempi: spesso e ben volentieri è stato utilizzato il Fondo sociale europeo per la cassa integrazione. Noi dal bilancio ordinario dello Stato abbiamo necessità di stanziare risorse apposite per questo problema. E allora tanto vale, d'intesa con le regioni, addirittura accreditando poi e trasferendo queste risorse sempre alle stesse regioni, come è stato fatto nel passato, stipulare un accordo con cui si cerca di evitare poi il definanziamento.
  Per il 2014-2020, invece, bisogna innanzitutto concentrare gli interventi. Poco fa ho affermato un dato storico, ossia che, se le risorse fossero state utilizzate, quelle stanziate dai fondi comunitari, per bene e nei tempi giusti, il sud l'avremmo asfaltato d'oro. Bene, uno dei motivi è stata la frammentazione degli interventi. Allora, se questo elemento è riconosciuto da tutti, senza distinzione alcuna, il Governo è autorizzato ad intervenire immediatamente su una concentrazione degli interventi, soprattutto per le infrastrutture. Sappiamo che le regioni non spendono e anche i soggetti attuatori dei programmi comunitari, comuni e quant'altro, hanno necessità di essere accompagnati, di essere aiutati nella governance. In questo l'Agenzia, che è ancora, però, nello stato embrionale – è stato nominato sì e no il direttore dopo un anno e passa –, potrebbe essere un pacemaker, un avviatore di questa nuova azione politico-amministrativa e anche di controllo.
  Infatti, risulta che sui fondi comunitari precedenti siamo al primo posto come frodi e corruzione. Anche questo è un problema da tener presente.
  Poi, c’è il problema del Patto di stabilità. Sia chiaro che la battaglia vitale per l'utilizzo per bene di questi fondi comunitari, che sono essenziali per il sud ma anche per la crescita e l'occupazione del Paese, sia quella di ottenere dalla comunità europea la nettizzazione dei fondi del Patto di stabilità, facendo la proposta più logica: se il nostro Paese versa annualmente, per il bilancio dell'Europa, 16 miliardi di euro e ne ritornano 12, almeno ci nettizzassero, dal punto di vista quantitativo, le risorse che noi versiamo come Paese – risorse derivanti dalle tasche dei cittadini italiani –, cioè 16 miliardi di euro all'Europa, che sarebbero – guarda caso – proprio quelli sufficienti, i 4 miliardi all'anno, di quota di cofinanziamento da nettizzare rispetto al Patto di stabilità interno.
  Dico questo, perché non si può pretendere che le regioni, di giorno, siano invitate a rispettare il Patto di stabilità dall'Europa e, di notte, dicano, invece, che devono spendere per forza i fondi europei perché, altrimenti, vengono definanziati. Le due cose vanno insieme. Abbiamo visto un accenno da parte della Merkel a questa possibilità, anche se era riferita solo al problema dell'occupazione e della «garanzia giovani»: noi, invece, riteniamo che ciò debba essere, per forza di cose, affrontato.
  Quindi, caro Presidente, io concludo questo mio intervento, raccomandando anche al rappresentante del Governo che la situazione del sud è di un'emergenza senza precedenti, con una disoccupazione galoppante, soprattutto quella giovanile, dove si perdono risorse importanti dal Pag. 10punto di vista della qualità: i giovani vanno tutti via all'estero, quelli che possono avere questa possibilità. C’è un'emergenza sociale, aumento della povertà, aumento dei casi di usura, aumento dei fallimenti. E, poi, c’è anche un fenomeno che non dovrebbe essere estraneo completamente alle attenzioni da parte del Governo.
  Da qualche anno, c’è il fenomeno cosiddetto dell'evasione di necessità o di sopravvivenza, soprattutto sulle tasse locali. Al sud, la povertà e la capacità fiscale sono enormi, a differenza delle regioni del nord, e c’è tanta, tanta gente che è costretta o a pagare l'IMU o a non comprare il pane per i propri figli, oppure pagare le bollette dell'energia elettrica. E si sta innestando il fenomeno, che è sempre più vasto, non di un'evasione di natura delittuosa o criminale, bensì di un'evasione di necessità o di sopravvivenza.
  Per questo motivo, noi riteniamo che il Governo debba avere attenzione alle mozioni che sono state presentate da più parti, da più gruppi, portando al centro dell'azione della politica del Governo il Mezzogiorno, perché riteniamo che tutti i problemi debbano essere affrontati nell'interezza dell'interesse del Paese, perché il Paese cresce solo se si è insieme.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Currò. Ne ha facoltà.

  TOMMASO CURRÒ. Signor Presidente, oggi abbiamo un'occasione importante per discutere del tema del Mezzogiorno d'Italia, di cercare nel nostro piccolo di riportare al centro della discussione un tema che è stato abbandonato dalla politica nazionale: la questione meridionale.
  Il tema del ritardo di sviluppo del Mezzogiorno accompagna la storia del nostro Paese dall'inizio dell'unità d'Italia: la famosa questione meridionale, appunto, ha perso negli ultimi decenni quella centralità che aveva un tempo. Certamente, l'avvento delle rivendicazioni secessioniste e autonomiste della Lega hanno contribuito non solo ad affievolire il dibattito su come colmare il divario tra nord e sud, ma ha, anzi, determinato il diffondersi di una chiave di lettura del problema antisolidaristica e pregiudiziale, che ha impedito lo sviluppo di un ragionamento teso alla coesione nazionale e all'individuazione di possibili soluzioni. D'altra parte, la classe politica del sud non ha, in questi anni, saputo ridare centralità al problema.
  Dalle pubblicazioni sui conti economici regionali dell'ISTAT emerge un'Italia ancora oggi spaccata tra centro-nord e centro-sud; un Paese nel quale il PIL pro capite passa da 31 mila euro nel nord-ovest ai 30 mila del nord-est ai 27 mila euro del centro, un livello ben lontano da quello al quale si colloca il prodotto interno lordo pro capite del Mezzogiorno, con un valore di 17 mila euro, che risulta essere inferiore di ben 42 punti percentuali rispetto a quello delle regioni del centro-nord. Un breve raffronto tra l'economia del nord Italia rispetto a quella del Mezzogiorno nel periodo di crisi 2008-2013 mostra che l'economia meridionale è calata di circa il doppio rispetto al resto del Paese: -13 per cento rispetto al -7 del centro-nord. Il Mezzogiorno appare imbrigliato in un equilibrio statico di minore produttività, minore occupazione e quindi inevitabilmente minore benessere. Le regioni meridionali fanno fatica a mantenersi agganciate all'economia del centro-nord, che nel dopoguerra sono state tra le più sviluppate e di maggiore crescita in Europa. Nel corso del 2013, secondo le valutazioni di preconsuntivo della Svimez, il PIL è sceso del 2,1 per cento nel nord-est mentre la flessione è stata relativamente minore nel nord-ovest e al centro, con un -1,2 e -0,8 rispettivamente. Nel Mezzogiorno, invece, la caduta del prodotto nel 2013 si è accentuata, giungendo al 3,5 per cento, affrontando così il sesto anno di crisi interrotta, e diversamente dal centro-nord non si intravedono per il sud segnali di inversione di tendenza per il prossimo biennio. Secondo le stime effettuate con il modello di previsione regionale Svimez/Irpet, il PIL del Mezzogiorno dovrebbe, infatti, risultare ancora in calo, sia pur più moderato, sia nel 2014 che nel 2015, a fronte di una crescita nel centro-Pag. 11nord dell'1,1 e dell'1,7 per cento nel 2015. Cerchiamo adesso di fare un focus sui fattori di crisi che attanagliano il sud-Italia. Mentre il nord d'Italia conta su una domanda interna in costante aumento e su domanda estera che dipende da fattori internazionali e geopolitici, il sud-Italia, al contrario, non solo è geograficamente e strutturalmente lontano dai mercati esteri, risentendo così solo debolmente di questo tipo di domanda, ma a causa dell'emigrazione ha una domanda interna in continuo calo. I migliori giovani lasciano il sud offrendo il proprio intelletto al nord-Italia e all'Europa, aggravando ulteriormente la crisi sociale ed economica. Il Mezzogiorno ha subito tra il 2008 ed il 2013 una caduta dell'occupazione del 9 per cento, quattro volte superiore a quella del centro-nord; dei circa 985 mila posti di lavoro persi in Italia nello scorso sessennio, ben 583 mila, il 59 per cento, sono nel sud. L'impatto sulla caduta dell'occupazione è stato così forte da provocare un crollo nei consumi delle famiglie meridionali di quasi 13 punti percentuali, di oltre due volte maggiore di quello registrato nel resto del Paese. Il sud d'Italia ha perso investimenti privati con un aggravio del 33 per cento, quasi 9 punti percentuali in più rispetto al centro-nord. Gli investimenti fissi lordi hanno segnato anche nel 2013 una caduta maggiore al sud che al centro-nord. La caduta degli investimenti ha interessato tutti i settori dell'economia, assumendo in particolare dimensione epocale nell'industria in senso stretto, crollata al sud, nel sessennio di crisi 2008-2013, addirittura del 53 per cento, una riduzione più che doppia rispetto a quella, pur di per sé assai grave, del centro-nord. Un così massiccio fenomeno di disinvestimento ha ulteriormente aggravato la già scarsa competitività dell'area e ha comportato un forte ridimensionamento dell'estensione delle dimensioni dell'apparato produttivo, favorendo nella sostanza un processo di downsizing e al tempo stesso di diversificazione dei territori meridionali. Sappiamo, infatti, che uno dei temi centrali di debolezza del nostro sistema produttivo e in particolar modo quello del sud è proprio la dimensione, l'aspetto dimensionale delle aziende. Noi dovremmo adottare delle politiche economiche che favoriscono, invece, l'accrescimento dimensionale delle aziende, per renderle più competitive nello scenario internazionale, soprattutto per quanto riguarda il sud ed il Mezzogiorno d'Italia. A tale proposito, si palesa la necessità, dunque, di predisporre iniziative volte a modificare strutturalmente il sistema bancario, creando ad hoc un sistema bancario regionale che sia in grado di finanziare maggiormente l'economia reale. L'attuale sistema è troppo orientato a produrre profitti nei mercati finanziari e, visto che l'Italia è caratterizzata prevalentemente da PMI, l'enorme liquidità di cui dispongono le banche viene per lo più investita a favore delle imprese quotate in Borsa, imprese quindi che non risultano essere italiane. Fattore potenziale di crescita è l'ampia disponibilità del risparmio finanziario generato nell'area del Mezzogiorno, per il quale occorre creare i presupposti per un assorbimento interno e attuare politiche settoriali mirate che consentirebbero di attirare risparmio verso attività produttive locali. Noi oggi presenteremo una mozione in tal senso, che cerca appunto di affrontare il problema e di proporre una soluzione incentivante per il regionalismo bancario, proprio per cercare di guardare al sud Italia e al Mezzogiorno e per dare il nostro contributo affinché questo divario venga colmato definitivamente. A ciò si lega, come fattore di concausa, la riduzione della spesa pubblica.
  Il fattore spesa pubblica è legato ai territori in quanto agevola la ripresa economica, grazie all'attrazione di investimenti privati e di indotto.
  Prosegue in particolar modo la compressione delle spese in conto capitale, maggiormente accentuata per il Mezzogiorno: la distribuzione territoriale della spesa pubblica complessiva in conto capitale delle amministrazioni pubbliche mostra una quota del Mezzogiorno pari al 35 per cento nel 2012. Si tratta di valori Pag. 12ormai stabilmente al di sotto del peso del Mezzogiorno in termini di valore medio tra popolazione e superficie.
  Ad aggravare la situazione concorrono poi le imprese pubbliche nazionali e locali, la cui attività di investimento presenta una concentrazione ancora maggiore nel centro-nord. Si tratta di enti e società partecipate dallo Stato, da enti locali a cavallo tra il pubblico e il privato, che hanno una presenza rilevante nel panorama economico locale e nazionale. La loro importanza può riassumersi in alcune cifre: a livello nazionale gli investimenti delle imprese pubbliche nazionali e locali sono stati pari nel 2012 in valori correnti a 25 miliardi di euro, a fronte di un ammontare di spese in conto capitale della pubblica amministrazione pari a 49 miliardi, quindi il 51 per cento. Il loro contributo risulta ancora più elevato nel centro-nord, con 19 versus 31,5 miliardi, quindi il 63 per cento. Nel Mezzogiorno invece la spesa è stata rispettivamente pari a 5,6 miliardi per le imprese pubbliche e a 17, 7 miliardi per le spese in conto capitale: quindi il 31 per cento.
  L'Italia è storicamente divisa in due economie, dunque: il nord da sempre orientato per il sistema produttivo, ed il sud orientato verso un'economia prevalentemente agricola e turistica. La crisi del sud è stata aggravata da diversi fattori esogeni, spesso legati al nord Italia purtroppo: infatti la produzione agricola, ed in particolar modo le eccellenze meridionali come ad esempio la mozzarella di bufala, hanno subito forti contrazioni a causa dell'inquinamento ambientale, dovuto allo smaltimento illegale dei rifiuti tossici delle imprese anche nel nord Italia. Il turismo d'arte e balneare risente dell'assenza di un sistema infrastrutturale e dell'assenza di investimenti pubblici e privati, in grado di valorizzare le città d'arte e le zone costiere più belle. Si reputa necessaria una riforma che consenta una efficace tracciabilità e corretto smaltimento dei rifiuti tossici, ed interventi mirati dello Stato che consentano di potenziare l'apparato strutturale, ferrovie ed autostrade del sud Italia; ma in particolar modo interventi volti a potenziare l'economia turistica, amplificando questo settore produttivo anche al fine di evitare l'emigrazione: e solo in questo modo è possibile porre rimedio ai problemi di domanda interna, che così possono risollevarsi grazie alla domanda turistica e al blocco dell'immigrazione.
  Ed a tale proposito, a maggior ragione con il perdurare della crisi si è sviluppata la dinamica forse più allarmante: una spirale di depauperamento del capitale umano, determinata da immigrazione, lunga persistenza in uno stato di inoccupazione e scoraggiamento ad investire nella formazione più avanzata. La debolezza della domanda di lavoro qualificato accentuatasi durante la crisi, oltre alle specifiche difficoltà nella transizione tra scuola e lavoro, alle crescenti difficoltà economiche delle famiglie a sostenere i costi dell'istruzione e ai limiti interni del sistema formativo, contribuisce a ridurre gli incentivi ad investire in formazione e conoscenza. E sappiamo bene ad esempio cosa succede anche in Sicilia con il tema della formazione: di recente cronaca è il caso ad esempio dell'onorevole Genovese, il quale si è reso responsabile di un utilizzo dei fondi destinati alla formazione, oserei dire sconsiderato ed illegale.
  È evidente che il sud si trova in una condizione di marginalità geografica che rispetto all'Europa rende più difficile il cammino dello sviluppo: difficilmente a mio avviso i contributi dei fondi strutturali riusciranno a provocare una ripresa che abbia natura endogena. Fintanto che i mercati saranno localizzati nelle aree geografiche del nord Europa, il sud si troverà perennemente in una condizione di fallimento del mercato, ed avrà bisogno del sostegno e dell'intervento pubblico.
  Il primo gap da colmare è senz'altro quello infrastrutturale: Ferrovie dello Stato non ha interesse ad investire nel sud, molte stazioni ferroviarie di località turistiche sono all'abbandono. Come possiamo immaginare di portare turisti e visitatori nei centri di eccellenza paesaggistica e culturale del Mezzogiorno ? Le trazzere vengono dismesse in Sicilia. Ricerca ed Pag. 13innovazione sono forse le uniche due strade in grado di aiutare il sud nel processo di internazionalizzazione dell'economia del Mezzogiorno. Esistono alcuni distretti di eccellenza, cari colleghi: ed esempio quello della valle dell'Etna, la Silicon Valley italiana. In questi distretti si ha la possibilità di un'opportunità di sviluppo straordinaria, attraverso una interazione ed una sinergia che dovrebbe coinvolgere le amministrazioni pubbliche, le università e le società private. Di recente un giovane ricercatore, Giuseppe Calignano, ha effettuato uno studio proprio su questo tema, cercando di mettere in evidenza come la mancanza di raccordi informativi, in assenza di reti di informazione tra diversi attori di uno scenario distrettuale, siano la causa principale del sottosviluppo e del fallimento dei distretti all'interno del Mezzogiorno d'Italia.
  Altra questione: cosa dire di Termini Imerese ? In quello scenario industriale, che si è avviato ormai verso il tramonto, Invitalia aveva iniziato una operazione di riqualificazione.
  Cosa ne è stato di quella vicenda ? Passiamo adesso al tema dell'impiego dei fondi europei. La velocità attuativa è fra le peggiori d'Europa, i primi cicli di programmazione sono stati caratterizzati da performance molto negative. Il ciclo 2000-2006 ha segnato un netto miglioramento fino al 2008, ma purtroppo poi dal 2008 i risultati sono nuovamente peggiorati.
  La velocità di spesa è minore nelle regioni del Mezzogiorno rispetto a quelle del centro-nord anche se con uno scarto inferiore rispetto a quello normalmente presentato e con differenze da caso a caso. Nel periodo 2007-2013 i fondi strutturali hanno finanziato oltre 739 mila interventi per un ammontare pari a 51 miliardi di euro di cui oltre il 70 per cento, appunto, destinato al Mezzogiorno. Si tratta di fondi destinati a colmare il deficit di sviluppo presente in molte aree del Paese e sulla cui efficacia, soprattutto in questa fase di avvio della nuova programmazione 2014-2020, si è aperto un acceso dibattito: in presenza di incertezza in merito alla loro efficacia c’è chi suggerisce di utilizzarne parte per ridurre la pressione fiscale.
  Alcuni osservatori puntano l'indice contro la lentezza delle procedure di spesa, e concludo Presidente, altri sulla dimensione finanziaria degli interventi giudicati insufficienti da attivare stabili processi di sviluppo.
  Io ritengo signori che trasparenza e partecipazione possono rappresentare due sfide per ricondurre l'operato delle amministrazioni su binari di legalità ed efficienza. Soltanto in questo modo sarà possibile sfruttare al meglio i finanziamenti europei al fine di potenziare la crescita economica del Mezzogiorno d'Italia. Il tempo stringe e il rischio è quello di perdere l'ennesimo treno per lo sviluppo del territorio. Mi auguro che...

  PRESIDENTE. Dovrebbe concludere.

  TOMMASO CURRÒ. Concludo subito. Mi auguro veramente si possa uscire da una stereotipata immagine di un sud che non vuole crescere per una indole innata all'emarginazione e al lassismo. Giova, e concludo davvero, far notare che una componente forte della domanda di beni dal nord è sostenuta dal sud Italia e che per ogni 100 euro di risparmio raccolto nelle regioni del sud il 60 per cento è convogliato verso l'economia del nord trasformandosi in impegni produttivi ed investimenti. Speriamo questa sia l'occasione finalmente per ritrovare un senso di unità che si è definitivamente perso, purtroppo.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rostellato. Ne ha facoltà.

  GESSICA ROSTELLATO. Signor Presidente, siamo ancora qui dopo tanti anni a parlare della questione del sud. Sono stati spesi i fondi ma non si sono raggiunti i risultati sperati, forse perché non si voleva veramente ottenerli. Il problema del sud ha origini lontane e possiamo pure dire che tutto ha avuto origine dall'unità d'Italia. Il sud è stato conquistato, perché di conquista si è trattata, è stato spogliato Pag. 14delle sue ricchezze per rimpinguare le casse dell'allora regno sabaudo e poi è stato abbandonato. Per poi stupirsi dell'infiltrazione delle mafie, ma le mafie riescono ad annidarsi e a crescere dove lo Stato è assente e nel Mezzogiorno lo Stato è stato assente per troppo tempo.
  Probabilmente a qualcuno avrà fatto comodo che ci fosse questo sud, perché milioni di persone che hanno bisogno di lavoro e servizi, sono più deboli e ricattabili e quindi in balia dei politici che hanno vita facile a racimolare così i voti magari in cambio di qualche promessa di un posto di lavoro.
  Oggi con questa mozione che stiamo andando a presentare si vuole chiedere un progetto serio per lo sviluppo del sud a questo Governo. Io credo che sia arrivato veramente il momento di impegnarci, senza se e senza ma, nell'unico progetto con cui forse possiamo risollevare il nostro Paese. Sì, perché se riusciamo a sollevare il sud da questa situazione, tutto il nostro Paese ne avrà enorme beneficio, tutto, compreso il nord. Se questo progetto fosse stato portato avanti da quelle forze politiche che negli ultimi vent'anni hanno voluto creare la questione nord contro sud, magari il risultato che queste forze si proponevano sarebbe stato raggiunto e non servirebbero ora indipendenze e referendum vari.
  Al di là delle polemiche questo Governo deve rendersi conto che finché il sud non verrà messo al pari del nord, molte delle politiche che vengono messe in atto saranno inutili. In questo anno e mezzo in Commissione lavoro ci siamo resi conto di quanto sia difficile scrivere una legge che vada bene per tutto il Paese, perché ogni cosa che si propone in ambito di lavoro privilegia e penalizza allo stesso tempo le due parti del Paese. Non si può fare un'unica legge per un Paese che va a due velocità e che ha necessità estremamente diverse tra nord e sud.
  Mettere in piedi un progetto serio di sviluppo del sud significa che il Ministero dello sviluppo economico deve studiare il territorio, capire quali sono i punti forti di esso – e ce ne sono tanti – e quali i punti deboli, ed elaborare un grande progetto che abbia già un tempo preordinato, che siano anche dieci o vent'anni, ma che dopo questo periodo l'obiettivo venga raggiunto. Ciò significa che il progetto non deve guardare al bene della politica, ma al bene esclusivo del Paese. Significa che il progetto deve essere portato avanti anche dei Governi che si susseguiranno e non che i Governi successivi cancellino ciò che quelli precedenti hanno fatto, come avviene normalmente nel nostro Paese. Il Mezzogiorno è una terra piena di risorse ambientali, culturali e climatiche. Quante volte ci diciamo che potrebbe vivere di solo turismo ? Eppure ci sono zone del sud, chilometri di spiagge non valorizzate, monumenti abbandonati, riserve naturali che vengono distrutte per i più disparati motivi. E poi mancano le infrastrutture, abbiamo regioni in cui il sistema ferroviario è a livelli pietosi, per percorrere le stesse distanze da Roma verso sud ci si impiega il doppio del tempo che verso nord, perché l'alta velocità è un miraggio. Mancano strade e autostrade, ci sono centinaia di opere incompiute. Ci sono strutture sportive, come velodromi e autodromi, non valorizzate, che potrebbero diventare punto di riferimento a livello nazionale per alcune discipline, potrebbero attrarre sportivi e tifosi da tutto il Paese e dall'estero, ma tutto ciò va ricompreso nel progetto di valorizzazione del Paese sulla base di una visione complessiva del territorio. Per creare lavoro è necessario creare attività produttive che spazino in tutti i settori, anche se l'agricoltura e il turismo dovrebbero essere quelli privilegiati e che dovrebbero essere maggiormente incentivati, nel rispetto però dell'ambiente esistente. Creare impresa però non è una cosa semplice e va insegnato, tanto più in una zona in cui fare impresa non è l'ordinarietà. Per questo si dovrebbe iniziare fin dalle scuole ad insegnare ai giovani come si può creare impresa, come scegliere l'attività giusta, come fare un business plan, quali possono essere le difficoltà e come superarle. Creare progetti d'impresa magari sulla base di attività già avviate. Sulla stessa scia Pag. 15dovrebbe essere impostata anche la garanzia giovani, che soprattutto al sud dovrebbe puntare sull'autoimprenditorialità, sul creare la propria impresa, prevedendo anche stage e periodi di esperienza in regioni del centro-nord per conoscere da vicino attività che funzionano e idee imprenditoriali che possono essere esportate. Spesso il problema fondamentale per i giovani è proprio la mancanza di esperienza, che in questo modo potrebbe essere colmata. Oggi i giovani del sud vanno a lavorare al nord o all'estero e lì fanno esperienza, ma non riescono poi a ritornare nella loro terra perché le condizioni politiche, economiche e sociali non sono ad oggi terreno fertile per impiantare un'attività. Il progetto garanzia giovani potrebbe essere un ottimo punto di partenza per riportare i giovani al sud, per far vivere l'esperienza al nord come un periodo di approfondimento e di crescita personale, ma con l'intento poi di riportare quello che si è imparato nella propria terra. Tutto ciò non può prescindere da aiuti dello Stato in mille forme, che non devono essere solo ed esclusivamente economiche, ma ad esempio sul fatto di sapere di poter contare sullo Stato per quanto riguarda la sicurezza e la lotta contro le mafie. Chi crea impresa deve avere fiducia nello Stato e nelle forze dell'ordine e questa fiducia deve essere ricambiata per non ricadere nel circolo vizioso in cui si è finiti finora. La lotta alle mafie deve essere dura, le forze dell'ordine o i politici o i funzionari che in qualche modo favoriscono le mafie devono essere puniti duramente. Non vi deve essere più nessuna pietà per chi non rispetta le regole. In questo, lo Stato dovrà essere integerrimo e questa è condizione necessaria perché il progetto vada a buon fine. Oltre a ciò lo Stato dovrà fare tutto quello che è in suo potere per garantire i cittadini del sud degli stessi standard di servizi che vengono forniti al nord. Pensiamo ad esempio alla sanità: non è possibile che un cittadino del sud debba rivolgersi alle strutture del nord per essere curato perché nella sua regione non vengono forniti servizi adeguati. Idem per la scuola, ancora troppi giovani scelgono di andare a studiare al nord per la migliore qualità di insegnamento. Perché invece non puntare nel creare centri di studio di eccellenza del sud, che potrebbero diventare anche poli di attrazione per i giovani che vivono sull'altra sponda del Mediterraneo ? Potremmo colmare il bisogno di cultura dei Paesi del Maghreb offrendo ai loro giovani un'istruzione moderna, questo porterebbe un beneficio al nostro Paese, sia in termini di movimentazione di persone che in prospettiva per ridurre la crescita di masse fondamentaliste. L'istruzione è la leva per costruire nuovi ponti fra l'Italia e Mare Nostrum, creare un circolo virtuoso di studenti stranieri come viene fatto ad esempio negli Stati Uniti, Inghilterra, Germania e Francia, può aprirci le porte a serie opportunità di fare impresa nei Paesi del nord Africa.
  Tornando al turismo non dobbiamo dimenticare che in questa fase, in cui molti dei nostri settori produttivi sono messi in grave difficoltà dalla globalizzazione e dalla concorrenza dei Paesi emergenti, l'unica cosa su cui possiamo puntare e che nessuno potrà toglierci è il nostro territorio, il nostro clima e la nostra cultura che tutto il mondo ci invidia.
  Quando si parla di Italia all'estero, agli stranieri brillano gli occhi dall'emozione, eppure i dati relativi al turismo nel Meridione sono paradossali: su cento stranieri che visitano l'Italia, meno di uno va in Calabria, ancora meno in Molise, in Basilicata e in Abruzzo. Sommando le otto regioni meridionali, includendo Sicilia e Sardegna si arriva al 13,2 per cento dei turisti.
  Fa di più il solo Trentino Alto Adige con il 14 per cento. Ciò significa che le politiche del turismo per il Mezzogiorno sono fallimentari e vanno riviste totalmente. Va incentivato l'arrivo di stranieri anche attraverso lo sviluppo di aeroporti e infrastrutture e il miglioramento dei servizi di trasporto. Spiagge attrezzate, alberghi, villaggi turistici e negozi potrebbero portare milioni di posti di lavoro al Sud. Io credo che non possiamo più accettare che tanti cittadini del Sud siano costretti Pag. 16ad abbandonare la loro terra perché questa, pur avendo mille risorse, non offre loro la possibilità di vivere e lavorarci. Non è più accettabile il fatto che tante persone soffrano perché devono vivere lontano dalla loro famiglia e dalla loro terra.
  Nella mozione che stiamo andando a presentare diamo molti elementi di spunto al Governo, tutti tesi allo sviluppo del Mezzogiorno. Lo sviluppo del Sud è un progetto arduo, ma necessario, un progetto che deve essere intrapreso al più presto per il bene del nostro Paese e dei nostri cittadini.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Sesa Amici.

  SESA AMICI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, intervengo perché sarebbe davvero grave, dopo una discussione che mi pare abbia rimesso al centro una grande questione, non esprimere parole di grande soddisfazione per un dibattito, che, proprio per la natura della stessa mozione, poteva dare adito ad una contrapposizione, quasi rivendicativa, rispetto alla questione meridionale, in particolare del Mezzogiorno d'Italia.
  Ho ascoltato – per il Governo questo è già un elemento di grande soddisfazione – un dibattito che ha avuto, dal punto di vista dei profili culturali e anche politici, la grande consapevolezza che, in una situazione come quella italiana, pensare alla crisi e alla fuoriuscita dalla crisi è possibile solo in via unitaria, avendo una visione unitaria dei problemi e anche riconoscendo al Mezzogiorno d'Italia non sono le potenzialità, ma anche la consapevolezza che proprio da quelle regioni può venire un contributo decisivo nella storia di questo Paese.
  Del resto, lo ricordava da ultimo il collega Currò, la questione meridionale ha rappresentato nel corso della storia di questo Paese grandi momenti, a volte negativi, ma anche di straordinaria importanza: basterebbe pensare semplicemente alla straordinaria capacità delle classi dirigenti, che intorno al professor Saraceno, riuscirono a fare del Mezzogiorno una grande questione nazionale, proprio dentro quella visione unitaria.
  Il tempo è passato, ma gran parte dei problemi del Sud oggi assumono questa dimensione nei toni e anche negli impegni che si chiedono al Governo, con qualche concretezza in più.
  Io credo – e lo posso affermare proprio a nome del Governo – che questo avviene con grande attenzione, grazie anche alla cornice istituzionale che qui è stata rappresentata dalla comunicazione del sottosegretario Delrio, quando ha spiegato l'utilizzo dei fondi comunitari, con una collocazione dei tre pilastri, quasi ad indicare, proprio dentro quella gestione, una nuova missione che da parte del Governo si deve avere perché quei fondi non si disperdano in mille rivoli; si chiede alla classe amministrativa, sopratutto regionale ma anche a quella degli enti locali, un salto di qualità e di responsabilità non solo per le proprie regioni, ma per l'intero Paese, e che quei fondi e la parte anche di cofinanziamento da parte del Governo non vengano dispersi, ed ancora che lo strumento che è stato messo in essere, proprio per una gestione più mirata dell'Agenzia, trovi uno sviluppo molto più concreto.
  Proprio alla luce di queste brevissime comunicazioni, che sentivo di darvi in relazione a questo dibattito, credo che, per quanto riguarda il Governo, l'esame sarà molto attento e forse al momento delle votazioni delle mozioni potremo avere anche – come dire – la consapevolezza di stare scrivendo una nuova pagina per il Mezzogiorno d'Italia e per l'Italia intera.

Pag. 17

  PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Tinagli, Carfagna, Giuliani, Dorina Bianchi, Binetti, Di Salvo ed altri n. 1-00272 e Mucci ed altri n. 1-00611 concernenti iniziative a sostegno delle politiche di genere (ore 12,10).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Tinagli, Carfagna, Giuliani, Dorina Bianchi, Binetti, Di Salvo ed altri n. 1-00272 (Nuova formulazione) e Mucci ed altri n. 1-00611 concernenti iniziative a sostegno delle politiche di genere (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
  Avverto che sono state, altresì, presentate le mozioni Nicchi ed altri n. 1-00613 e Speranza ed altri n. 1-00615 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritta a parlare la deputata Irene Tinagli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00272 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

  IRENE TINAGLI. Presidente, Governo, questo Parlamento quest'anno si è occupato, in alcune occasioni anche importanti, delle tematiche legate alla situazione femminile in Italia, soprattutto per quanto riguarda la violenza di genere. Quindi, ricordo, anche con piacere e con orgoglio, la ratifica della Convenzione di Istanbul, che, da quel punto di vista, mette il nostro Paese tra i Paesi avanzati anche se adesso restano aperti molti punti sull'attuazione e sull'implementazione, ma certamente è stato un passo importante.
  Tuttavia, io credo che non possiamo pensare di fermarci lì; non possiamo pensare che le tematiche legate all'inclusione, all'integrazione, all'emancipazione delle donne nella società si possano fermare al pur importantissimo argomento della violenza di genere. Dobbiamo lavorare per superare molte altre barriere, che relegano spesso le donne ai margini della società, della vita economica e della partecipazione al mondo del lavoro. Queste sono tematiche fondamentali, perché è proprio l'inclusione nel tessuto economico, sociale e nella vita lavorativa che aiuta a superare i divari, che aiuta a rendere le donne più forti, più autonome, più indipendenti, più capaci di reagire alle situazioni di dipendenza, di violenza, di pressione psicologica e fisica che spesso subiscono dagli uomini o dagli altri soggetti che approfittano della loro debolezza e della loro fragilità, che spesso ha natura economica. Quindi, su queste basi noi volevamo chiedere al Governo un impegno e ragionare insieme sulle possibili azioni per potere superare questi divari.
  Il Global gender gap del World Economic Forum dell'anno scorso, che esamina ogni anno il problema delle pari opportunità in molti ambiti, quindi dalla sanità al lavoro, come dicevo prima, evidenzia come l'Italia sia davvero molto indietro, all'ultimo posto tra i Paesi europei. Tra tutti i 136 Paesi analizzati siamo al settantunesimo posto ed è veramente una posizione difficile su tantissimi fronti, anche se, diciamo, i dati dell'ISTAT del 2013 ci mostrano un leggero aumento dell'occupazione femminile, in realtà per larga parte ascrivibile anche all'aumento delle occupate straniere nel nostro Paese, e all'aumento, magari, dell'occupazione femminile in lavori di bassa mansione e altri aspetti non particolarmente incoraggianti. Ma, nonostante questo leggero miglioramento che si registra dalle statistiche, ancora la quota delle donne occupate in Italia rimane di gran lunga la più bassa di Pag. 18tutta l'Unione europea. Siamo al 47 per cento, contro il 58,6 per cento della media europea. Poi, chiaramente ci sono Paesi in Europa che hanno dati molto superiori, anche vicini al 70 per cento.
  Le donne, inoltre, sappiamo che continuano anche ad essere pagate meno rispetto agli uomini, con un differenziale di genere italiano nelle retribuzioni che è misurato dall'Unione europea intorno a quasi il 6 per cento e con dei divari che si rivelano ancora più elevati e più evidenti quando si confrontano le occupazioni anche a parità di livello d'istruzione.
  Quindi, gli uomini laureati guadagnano il 20 per cento in più degli uomini diplomati; per le donne la laurea ha un valore inferiore, questo maggiore premio all'istruzione non si rivela così marcato. Quindi, ci sono tutta una serie di sintomi che ci fanno vedere come ancora le donne soffrano una situazione di svantaggio, e questo si riflette in un problema non solo per questioni di parità fra donna e uomo, di diritti, ma in delle opportunità economiche per il Paese.
  Nel 2010 la Banca d'Italia aveva stimato che, se l'Italia si fosse adeguata agli standard del Trattato di Lisbona, che auspicava un livello di occupazione femminile del 60 per cento, questo avrebbe implicato, comportato, un aumento del PIL fino al 7 per cento; addirittura, se in Italia il tasso di occupazione femminile fosse lo stesso di quello maschile, si stimava un incremento del PIL di 12 punti percentuali. Quindi, vediamo come questa assenza, questa difficoltà delle donne ad essere integrate nella vita economica del Paese, abbia riflessi enormi proprio sul potenziale di crescita del nostro Paese.
  Ci tengo anche a sottolineare alcuni fattori che frenano la partecipazione delle donne, che non sono una scarsa propensione delle donne a lavorare e ad impegnarsi, perché, in realtà, ci sono indagini e ricerche che ci mostrano – come, per esempio, dati recenti dell'OCSE – come una donna italiana lavori in media 58 ore e mezzo alla settimana contro le 47,7 di un uomo. Qual è il problema ? Che, di queste 58,6 ore, i due terzi, 36 ore, sono di lavoro non retribuito, quindi sono legate alla cura dei bambini, degli anziani, alla cucina, alle pulizie domestiche, e solo 22 ore, in media, sono quelle retribuite.
  Una situazione che è diametralmente opposta a quella che si verifica tra gli uomini, e questo è uno dei dati peggiori di tutta l'Unione europea. Questo ci fa capire come uno dei problemi, uno dei freni alla partecipazione femminile al mondo del lavoro sia legato anche alle politiche di welfare che noi abbiamo nel nostro Paese, e quindi al fatto che vi siano delle carenze enormi, soprattutto in alcune aree del Paese, sul fronte del supporto alla famiglia, e anche alla donna, che, purtroppo, come vediamo, in Italia resta il perno delle attività di cura familiari.
  Vediamo, quindi, inefficienze su vari fronti: per esempio, i dati dell'ISTAT evidenziano come l'offerta pubblica sul territorio di asili nido sia non solo mediamente insufficiente e più bassa rispetto a quella di altri Paesi europei, ma, soprattutto, estremamente sperequata sul territorio. Nel 2012 i dati ci fanno vedere come si vada dall'80 per cento di copertura in regioni come l'Emilia-Romagna o il Friuli Venezia Giulia al 13 per cento della Calabria, che ha il livello più basso. E, guarda caso, sono proprio le regioni del Sud quelle dove le donne soffrono maggiormente dell'esclusione dal mondo del lavoro, di difficoltà di inserimento e di emancipazione economica.
  Ci sono stati in Italia, nel tempo, anche se con grandi ritardi, tentativi di intervenire con misure per colmare questi divari, ma sono sempre misure molto frammentate, magari ridotte nell'ambizione, e poi, più che altro, sono spesso misure che si arenano nella fase attuativa e implementativa, e, soprattutto, su cui mancano anche attività serie e costanti di monitoraggio e di valutazione, che possano consentire, anche a noi stessi, che dobbiamo legiferare su questi temi, di capire quali siano le misure a maggiore impatto, quali siano le misure che riescono a superare di più questi ostacoli, ad aiutare di più le donne ad essere inserite nel mondo del lavoro.Pag. 19
  Faccio alcuni esempi: la legge di stabilità per il 2013 ha introdotto la possibilità di frazionare ad ore la fruizione del congedo parentale. Questa è una misura molto importante, che può aiutare molte donne a conciliare vita e lavoro, che, come dicevamo prima, è un elemento di grande freno. In merito alle modalità di fruizione del congedo su base oraria, ai criteri di calcolo e all'equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa, è stato demandato il tutto alla contrattazione collettiva di settore.
  E lì si è arenata, di fatto, per cui, ancora, manca una determinazione pratica che possa consentire un'effettiva fruizione da parte delle donne in molti settori.
  Ci sono altri esempi che vorrei citare: l'articolo 4, lettera b), della legge n. 92 del 2012, che aveva previsto per il triennio 2013-2015 la possibilità per le madri lavoratrici di richiedere al termine del congedo maternità, in alternativa al congedo parentale, un contributo di 300 euro mensili per l'acquisto di voucher e per i servizi di babysitting e asili nido pubblici o privati.
  Questa era una misura importante che andava incontro alle esigenze delle donne che stavano uscendo dalla maternità e, tra parentesi, ricordo che questo è uno dei momenti più critici per le donne che sono nel mercato del lavoro, in particolare in Italia, perché noi abbiamo il 22 per cento delle donne che, due anni dopo la maternità, non rientrano nel mondo del lavoro, ed è un dato che è andato peggiorando negli anni, non migliorando. Questa era una misura che poteva aiutare ad alleviare questo problema.
  La legge istitutiva della misura aveva garantito 20 milioni di euro a copertura di questa operazione che, all'epoca, francamente, io stessa ed altre parti ritenevamo estremamente ridotta, assolutamente insufficiente, e tuttavia all'avvio di questa misura, il contributo ha riscosso pochissimo successo, come testimoniano le scarse richieste pervenute: a fronte di potenziali 11.111 beneficiari, solo 3.762 lavoratrici, secondo i dati INPS, sarebbero state ammesse al beneficio, e altrettanto poche sono le strutture che sono state accreditate per il servizio, meno di un terzo degli asili pubblici o privati nazionali si sono convenzionati con lo Stato.
  Questo ci deve far capire quanto sia importante fare delle azioni serie, concrete, di follow-up, seguire queste misure, non basta scriverle sulla carta, non basta un decreto, e nemmeno un fondo stanziato, ci vuole un'azione concertata, costante, che quotidianamente si relazioni alle associazioni datoriali, con le scuole, con gli asili, con tutti i soggetti che possono contribuire attivamente a rendere operative le misure che vengono prese a Roma, portarle nei territori, diffonderle, comunicare con le famiglie, con le madri, con i soggetti che spesso sono anche quelli più esclusi, che meno hanno accesso alle informazioni.
  Dobbiamo avere un surplus di attenzione verso queste persone per far sì che vengano a conoscenza delle opportunità che hanno per potersi emancipare. Lo stesso, per esempio, per i 40 milioni che erano stati stanziati nel 2009 con decreto ministeriale, per la realizzazione di un sistema di interventi a favore della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Una misura certamente meritoria, interessante. Le regioni hanno poi sottoscritto dei protocolli, hanno dato vita a delle attività, a delle azioni, e, con il coordinamento del Dipartimento per le pari opportunità, sono state messe in piedi numerose iniziative.
  Però, ad oggi, non esiste un monitoraggio sul livello nazionale chiaro, completo, che ci consenta di vedere quali sono su tutto il territorio nazionale le iniziative messe in piedi, come sono stati spesi questi soldi e, soprattutto, in relazione ai risultati.
  Può darsi che ci sia una carenza di aggiornamento sul sistema di Internet, ma quello che ho potuto verificare sul sito del Dipartimento delle pari opportunità, è che il gruppo di lavoro che avrebbe dovuto monitorare su questi interventi e produrre un report, ha fatto l'ultima riunione il 20 gennaio del 2012: c’è una paginetta di verbale in cui vengono semplicemente riportate le cifre spese e liquidate dalle Pag. 20regioni, ma nessuna informazione sui risultati, sul tipo di programmi, sull'impatto che hanno avuto sull'occupabilità e l'occupazione delle donne. Forse, è anche per questo motivo che noi, nel 2014, ancora facciamo i conti con una emarginazione così forte delle donne dal mercato del lavoro.
  Quindi, in conclusione, noi chiediamo che vi sia una rinnovata attenzione a queste tematiche, soprattutto sul fronte dell'inclusione sociale, dell'inclusione economica, dei servizi per la famiglia, per aiutare le donne ed anche gli uomini, perché molto spesso la cura della famiglia, per fortuna, oggi in alcuni casi è condivisa e ci auguriamo che lo sia sempre di più.
  Ma le famiglie da sole non possono farcela e alla fine questa fragilità, quest'assenza dei servizi, si riversa spesso sulle donne, allontanandole dal mondo del lavoro e minandone l'autonomia, l'indipendenza e facendone permanere la fragilità.

  PRESIDENTE. Deputata Tinagli, ha esaurito il tempo.

  IRENE TINAGLI. Bisogna intervenire razionalizzando gli interventi, potenziando il monitoraggio, accertandosi che le misure attuate vengano poi implementate nella direzione e con i risultati auspicati.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Nicchi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00613. Ne ha facoltà.

  MARISA NICCHI. Signor Presidente, comincio subito da un'affermazione: a noi interessa molto discutere dei temi che oggi affrontiamo, abbiamo presentato una nostra mozione e abbiamo letto e anche ascoltato proposte sicuramente interessanti. Però mettiamo subito le mani avanti. Noi non possiamo fermarci, di fronte a questi temi, a richieste generiche, ad una giaculatoria stanca di cosiddette politiche di parità di genere, importanti, ma che talvolta rimangono semplicemente dei gusci vuoti.
  Credo che sia importante questa discussione e noi vogliamo lavorare per questo, se si riesce a individuare quelle che sono delle priorità concrete per realizzare gli impegni e le volontà che sono genuine e che hanno motivato tale discussione.
  Dico subito, per esempio, che ho una difficoltà a riconoscere positivo il fatto di parlare di parità. Non solo perché la parità implica comunque l'idea che uomini e donne siano sullo stesso piano e annullino nella loro neutralità le diverse soggettività – che noi, invece, vogliamo valorizzare – ma perché la parità in questo nostro Paese, invocata come «parità», ha portato ad una delle misure più penalizzanti per le donne.
  La apro come discussione, perché bisogna chiarirsi su questo. Penso a tutta la scelta che è stata fatta di parificare, per esempio, l'età pensionabile delle donne, sia delle dipendenti pubbliche che private. Credo che quello sia un esempio di parità punitiva e, quindi, in questo senso, noi come gruppo prendiamo le distanze, perché discutiamo, però a noi interessa innanzitutto l'interesse e la condizione delle donne.
  «Punitiva»: mi ci voglio soffermare, visto anche il contesto del job act e della discussione in atto nel Paese e che è aperta al Senato. «Punitiva», perché da una parte si predica, durante l'arco della vita, la massima flessibilità, per cui, per chi ha lavoro, c’è mano libera, mano libera ed una cosiddetta flessibilità selvaggia: modi di lavorare omologanti, con carichi di lavoro pesanti, orari lunghi, competitività esasperata, sottomissione. Da una parte, quindi, c’è questa flessibilità selvaggia, dall'altra, invece, quando si arriva nel finale della vita, c’è il modello unico di uscita dal lavoro per accedere alla pensione: tutti sempre più in alto, tutti nello stesso modo, come se tutte le vite e tutte le condizioni fossero le stesse.
  Ho richiamato questo tema dello sfruttamento, perché in questo Paese è vero che manca drammaticamente il lavoro, ma molto spesso, chi ce l'ha, viene sottoposto a forme di sfruttamento molto forte e all'interno di questo noi troviamo tante donne lavoratrici, tante donne operaie.Pag. 21
  Questo tipo di parità, che annulla, come è successo con l'innalzamento dell'età pensionabile, il riconoscimento del lavoro femminile, della soggettività femminile, a noi non interessa, perché è un'idea paritaria punitiva, che cancella le diverse soggettività e cancella la qualità diversa del lavoro che esiste tra uomini e donne. Noi proponiamo alcune misure concrete, le proponiamo avendo letto e ascoltato molte proposte che provengono dalle studiose, molte proposte del movimento delle donne, dei sindacati, con cui serve una interlocuzione per capire, mirare meglio i nostri obiettivi.
  La prima è la tutela della maternità, in modo che tutte le donne possano ricevere un'indennità a prescindere dal lavoro che fanno. L'altra è il riequilibrio della pensione a chi, nel corso della vita, ha dedicato energia e cura all'accudimento di persone, figli o anziani. Terzo, il tema della possibilità di scelta da parte dei genitori di accedere a una pluralità di soluzioni (servizi sociali, in primis gli asili nido, interventi diretti), in modo tale che tutta questa dimensione della cura, dell'accudimento non sia in contrapposizione o in alternativa al lavoro, non costringa cioè i soggetti, uomini e donne, ad abbandonare il lavoro.
  L'altro tema che proponiamo è l'affrontare la questione del superamento dell'ostilità delle aziende – quelle piccole in particolare – alla maternità e al lavoro femminile e del sostegno e dello stimolo ai giovani padri a usare i congedi parentali in modo, quindi, da valorizzare la maternità, sostenere una nuova paternità, in un ripensamento del rapporto tra vita e lavoro, che è una grande sfida di innovazione, che implica risorse pubbliche, risorse di ideazione sociale, capacità di mobilitazione, di protagonismi e di autogestione da parte dei soggetti.
  Queste su cui noi abbiamo presentato la nostra mozione sono misure che, infatti, prefigurano un welfare universale, per donne e uomini che lavorano e curano, che, proprio per questo, tende a favorire – ripeto – la presenza dei padri nel lavoro di cura, e prefigurano un welfare che metta in grado tutti i soggetti di dare il contributo alla vita e all'economia secondo le proprie capacità, un welfare che, quindi, offre libertà di scelta secondo strategie personali e familiari diverse.
  Ecco, ripeto, tra i nostri obiettivi vi è un'indennità universale per tutte le madri. Partiamo dai dati: la maggioranza delle donne italiane sotto i 30 anni o il 40 per cento delle donne sopra i 40 anni non ha coperture di tutele. Apro qui una parentesi. Quest'Aula ha approvato un'importante legge che preveniva una piaga sociale, quella delle dimissioni in bianco. L'abbiamo approvata, questa legge è stata inabissata nel job act del Senato, ha perso di forza e non si sa che fine farà. E allora noi non è che possiamo riproporre mozioni, impegni nuovi sul tema, per esempio, delle politiche di genere e non fare i conti coerentemente con gli impegni presi rispetto a un tema che tutti insieme abbiamo considerato importante e rispetto al quale tutti insieme abbiamo presentato una proposta di legge ed una soluzione, che al Senato è stata inabissata. Infatti, questa maggioranza non regge quel tipo di impostazione al Senato, visti le maggioranze e gli incroci politici diversi che certamente restringono i diritti quando si passa al Senato.
  L'altro grande tema riguarda – ne ha parlato l'onorevole Tinagli – i congedi parentali. Mettiamoci al livello dell'Europa, è l'occasione: siamo nel semestre europeo. Mettiamo gli sforzi e la riflessione sui congedi parentali sulla scia delle esperienze europee. Oggi, è vero, noi dovremmo chiedere, giustamente, un monitoraggio di quello che è stato fatto finora, al di là degli impegni delle regioni. Credo che noi dovremmo utilizzare anche questo dibattito per dare un impulso su questo.
  Io credo che dall'esperienza che è stata fatta, dagli studi che sono venuti fuori, il problema è che questi congedi sono stati usati troppo poco dai padri, perché troppo poveri e troppo poco flessibili, anche se la misura della spalmatura oraria ha aiutato certamente una maggiore flessibilità. Io Pag. 22credo che questo sia un tema su cui si può uscire da questa discussione con precisi impegni.
  Altro tema: noi non possiamo non affrontare il grande tema delle pensioni e del fatto che si debba considerare il tempo che tante donne soprattutto, ma anche uomini, quindi che donne e uomini – sempre più uomini – dedicano alla cura e non possiamo non affrontare l'idea che questo tipo di lavoro di cura, fatto dalle donne, ma anche dagli uomini, debba avere un riconoscimento ai fini pensionistici e non debba rappresentare un credito proprio per i fini pensionistici, anche perché noi sappiamo che oggi accade questo.
  E, quindi, è necessario che vengano riconosciuti come lavorativi quei periodi che donne e uomini dedicano all'accudimento dei figli o ad un anziano non autosufficiente, e che si ripensi il sistema pensionistico secondo un criterio di maggiore flessibilità e di riconoscimento di libertà di scelta in modo tale da permettere, quindi, un'azione di autoregolamentazione.
  Pensiamo, poi, al grande tema degli sgravi fiscali per le piccole e micro imprese perché noi sappiamo che, per esempio, la maternità è un costo per tante piccole imprese e questo costo è alla radice di molte forme di discriminazione e anche di tanti alibi di mobbing che vengono operati sulle donne, quelle che ritornano a lavorare dopo il primo figlio, tant’è che i dati dimostrano che molto spesso dopo la nascita del primo figlio c’è un abbandono del lavoro da parte delle donne. Pensiamo, per esempio, a forme di incentivo per una riorganizzazione dell'orario di lavoro, anche di riduzione, per la rottura di un modello unico di orario, giostrato, standardizzato sull'idea, ormai che non ha più presa con la realtà, che esiste un orario di lavoro rappresentato sul lavoratore maschio che va a lavorare e sta a lungo. Perché, invece, non pensare a forme di flessibilizzazione, di nuova organizzazione contro la competizione, l'idea che la produttività significa stare tanto in un luogo di lavoro e puoi avere invece altri tipi di valutazione.
  E poi il grande tema del rilancio del welfare, del rilancio dei servizi educativi, sociali, sanitari, in particolare dei nidi. Io credo che noi vogliamo qui – e con questo mi permetta le ultime considerazioni generali – rappresentare...

  PRESIDENTE. Sì, ma si avvii a conclusione, per favore.

  MARISA NICCHI. ... la ricchezza che le donne producono con il lavoro, pagato e non pagato, obbligato, gratuito, cosiddetto di cura. Un lavoro di cura da bilanciare con gli uomini che, come sappiamo, parlando di quelli italiani, sono particolarmente fannulloni sul lavoro di cura, e da sostenere con un welfare più ricco, che è anche fonte di buon lavoro.
  È anche da riconoscere come una dimensione umana che non sarà mai eliminata del tutto dalla vita delle donne, ma una dimensione umana che oggi non è in contraddizione, ma che vive con una regola che è la base al momento dell'innovazione sociale, ossia che la donna a casa, la cosiddetta donna casalinga, di cui ogni tanto qualcuno evoca l'immagine, non esiste più, non è la regola che presiede il mondo. Al contrario, ci sono donne sempre più istruite che esprimono aspettative di autonomia e di realizzazione e che vogliono lavorare.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Rostellato, che illustrerà anche la mozione Mucci ed altri n. 1-00611, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  GESSICA ROSTELLATO. Signor Presidente, siamo qui oggi per chiedere al Governo un impegno chiaro sulle politiche di genere perché siamo ancora un Paese dove di fatto un terzo delle mamme dopo il parto non torna più sul luogo di lavoro, dove le donne sono soltanto il 6,5 per cento degli ambasciatori, il 31,3 per cento dei prefetti, il 14 per cento dei primari, il 20 per cento dei professori. Sempre in Italia, più di cinque donne su dieci sono senza reddito da lavoro e, per quelle che il reddito lo hanno, la retribuzione media Pag. 23si ferma sotto i 25 mila euro all'anno, mentre quella di un uomo sfonda il tetto dei 31 mila. Chiediamo quindi un impegno in questo senso, che si concretizzi in effettive politiche di conciliazione tra vita familiare e lavoro.
  Ma partiamo dall'antefatto. Il 1o agosto scorso è entrata in vigore la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica, approvata nel 2011 a Istanbul, firmata da trentadue Paesi e ratificata da tredici. Tale accordo costituisce un importante strumento internazionale giuridicamente vincolante per gli Stati. La recente legge 15 ottobre 2013, n. 119, arricchisce il codice di nuove aggravanti e amplia le misure a tutela delle vittime di maltrattamenti e violenza domestica. Ma la protezione non serve, serve dare opportunità di indipendenza. Gli Stati che hanno ratificato la Convenzione di Istanbul devono mettere in campo adeguate risorse finanziarie ed umane tali da realizzare i programmi e le politiche volte a combattere il fenomeno della violenza sulle donne, essendo altresì tenuti a istituire un organismo che coordini e monitori tutte le misure destinate allo scopo in quanto previste della Convenzione medesima. E questo lavoro di monitoraggio e di competenza esecutiva non può restare in capo alla Presidenza del Consiglio. Servono responsabilità e sinergia tra tutti gli attori che ruotano attorno al tema. Non è neppure sufficiente nominare una consigliera della Presidenza. Per un lavoro organico e strutturato serve un Ministro con un Ministero, uno staff di esperti e un programma puntuale con risorse e obiettivi.
  In questa mozione che vado oggi a illustrare chiediamo quindi come primo impegno al Governo quello di istituire con urgenza il Ministero delle pari opportunità perché crediamo che, nonostante tutto, ad oggi nel nostro Paese non siano assolutamente garantite le pari opportunità in tutti gli ambiti in cui è necessario lottare perchè tutti abbiano gli stessi diritti. Solo la presenza di un Ministro e, quindi, di una volontà politica può aiutarci nel portare avanti tutte le battaglie che ancora si devono fare.
  Abbiamo focalizzato la nostra mozione in particolare sulle politiche per il lavoro in quanto le pari opportunità nel mondo del lavoro costituiscono, tra le altre cose, l’humus necessario a contrastare ogni forma di violenza a danno della donna, in quanto trattasi di violenza psicologica finalizzata alla subordinazione e alla prevaricazione che nella maggior parte dei casi costituisce l'incubatore della violenza fisica vera e propria. Si tenga conto che la violenza psicologica a danno della donna attecchisce in primis nell'ambito familiare, con comportamenti del partner, solitamente l'uomo, caratterizzati da una sottile, ripetuta e perversa forma di violenza, appunto psicologica, che protratta nel tempo tende ad annullare la personalità della vittima sino al suo annientamento. Si tratta di una fattispecie poco esplorata, sia dalla sociologia, che dalla giurisprudenza, a cui non si è prestata sufficiente attenzione, ma che riveste, sotto il profilo dell'incidenza sociale, significativo rilievo e che deve essere urgentemente affrontata con tutti i mezzi a disposizione. Tale tipologia di violenza si interseca con quella perpetrata sui luoghi di lavoro dove la figura della donna appare ancora in molti casi posta in una posizione di fragilità e subordinazione rispetto all'uomo. Sarebbe opportuno determinare delle fattispecie normative ad hoc, tanto in relazione alla violenza psicologica endofamiliare, quanto rispetto a quella che si perpetra nei luoghi di lavoro.
  Come detto, nel nostro Paese le donne arrivano ancora con difficoltà a posizioni di rilievo in ambito lavorativo. Generalmente, a parità di mansioni, la donna percepisce retribuzioni inferiori all'uomo e le vengono applicati maggiormente contratti atipici o a tempo determinato; e vi è ancora un gap occupazionale notevole fra i due sessi che va ampliandosi più aumenta il numero di figli. In questo quadro, già di per sé tutt'altro che confortante, si inseriscono discriminazioni nelle discriminazioni che colpiscono le Pag. 24donne residenti nel sud d'Italia, basti pensare che quasi la metà dei residenti nel Mezzogiorno è a rischio di povertà. Da varie indagini si evince che la situazione lavorativa del sud Italia è molto più difficile rispetto a quella del centro e del nord Italia sia dal punto di vista occupazionale sia da quello retributivo. In particolare, si registra un elevato differenziale tra la disoccupazione del sud e del nord e un aumento del flusso migratorio dalle regioni del sud verso il nord ed una significativa disparità retributiva, tenuto conto che, per chi lavora al nord, la retribuzione risulta superiore dell'8,2 per cento rispetto a chi lavora nel Meridione. Tali discriminazioni tra uomini e donne in ambito lavorativo, maggiormente evidenti al sud, si spiegano con varie cause, che l'Isfol brevemente riassume in questo modo: le cause della disoccupazione femminile risiedono, oltre che in una diseguale divisione tra i partner dei carichi di lavoro familiari, nell'inadeguatezza dell'attuale modello di welfare, connotato dalla carenza di servizi pubblici per l'infanzia oltreché di reti informali di supporto, e con un'organizzazione del lavoro poco conciliante e caratterizzata dalla rigidità dei tempi e degli orari, specie in relazione al periodo successivo al parto.
  Le politiche governative in ambito di welfare sono state quasi assenti e, quando applicate, pressoché fallimentari, basti pensare agli incentivi alle assunzioni o alla Garanzia Giovani, che non tiene conto delle peculiarità dell'inserimento e del mantenimento del posto di lavoro per le giovani donne, o al voucher per i servizi all'infanzia, poco pubblicizzato, limitato nel tempo e nelle risorse e comunque rivolto a una fascia troppo ristretta di famiglie. Quest'assenza di serie e concrete politiche per la conciliazione, la mancanza di servizi o aiuti da parte dello Stato continuerà a richiedere aiuto alle famiglie di origine e imporrà ancora più carico di lavoro alle donne anziane, che, con l'incremento dell'età pensionabile prevista dalla cosiddetta legge Fornero, dovranno conciliare lavoro e famiglia per un numero maggiore di anni: un vero e proprio circuito che deve essere arrestato.
  Il Jobs Act, quindi, può diventare in questo momento uno strumento importante per trovare veramente una soluzione seria ai problemi delle famiglie e introdurre in via definitiva concrete misure di promozione dell'occupazione femminile, anche attraverso nuovi strumenti di conciliazione tra attività di cura e lavoro. Tra le misure flessibili in funzione conciliativa delle esigenze delle lavoratrici, non potranno non considerarsi le opportunità che riserva il telelavoro, il quale, grazie all'uso della tecnologia, permette un elevato grado di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi e nei tempi. L'invocata flessibilità, finalizzata alla conciliazione dei bisogni familiari con i tempi di lavoro, deve riguardare anche l'attuale disciplina dei congedi di maternità, che dovranno essere più liberamente gestiti dalla donna come meglio crede, affinché si possa giungere ad un bilanciamento tra l'esigenza della lavoratrice di conservare il proprio patrimonio professionale, evitando periodi troppo lunghi di assenza dal lavoro, e la volontà di dedicarsi ai figli per una certa parte della giornata o della settimana. Bisogna altresì provvedere ad una rivisitazione dell'istituto degli assegni per il nucleo familiare, perché venga concesso anche alle lavoratrici autonome, così come risulta opportuno introdurre ogni misura utile ad incentivare il lavoro a tempo parziale ed il lavoro autonomo. A ciò deve affiancarsi il rafforzamento di adeguati incentivi fiscali e sgravi contributivi sia per i genitori che assumono direttamente personale specializzato per la cura dei bambini e delle persone adulte non autosufficienti sia per i datori che assumono personale in sostituzione dei lavoratori in congedo. Politiche ad hoc e risorse devono, inoltre, prevedersi per i datori di lavoro che investono nella realizzazione di asili o baby parking aziendali ovvero che stipulano convenzioni con ludoteche o asili privati. Ci aspettiamo veramente da questo Pag. 25Governo un impegno serio e strutturale in questo ambito, è urgente agire subito, non c’è più tempo da aspettare.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Gregori, che illustrerà anche la mozione Speranza ed altri n. 1-00615, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  MONICA GREGORI. Signor Presidente, oggi discutiamo di un tema di particolare attualità: non tanto per le numerose iniziative internazionali ed europee che sono state messe in campo in tema di parità di genere e diritti delle donne in questo periodo, certamente necessarie e pregevoli, e complementari alle azioni che Governo e Parlamento programmeranno in questa materia; quanto, per l'appunto, per la necessità di imporre un tratto deciso all'azione politica, che sappia invertire la rotta regressiva adottata negli ultimi anni, che rischia di invalidare gli importanti progressi che il nostro Paese è riuscito a compiere in tema di parità di genere.
  Le mozioni danno tutte bene il senso di questa situazione, facendo riferimento sia alle cifre e i rapporti degli organismi internazionali, sia alle statistiche dell'ISTAT che per l'appunto, dipingono un quadro tutt'altro che favorevole.
  In questo senso, mi preme sottolineare come l'impalcatura dei diritti, delle tutele e delle opportunità delle donne sia ora messa a repentaglio sotto un duplice aspetto. Da un lato, la più grave crisi economica, sociale, industriale e finanziaria dei nostri tempi ha consentito un generale arretramento del grado di attenzione sulla tutela della parità di genere e dei diritti delle donne. Le donne sono l'anello più debole nelle politiche di austerità e rigore: lo sono state le madri, costrette ad abbandonare il proprio posto di lavoro, lo sono state le figlie, strette nella morsa di una disoccupazione, che ha tagliato loro ogni prospettiva di futuro.
  Del resto, la sollecitazione a riconsiderare con forte attenzione il rischio di una perdita di quota della donna nella vita sociale e lavorativa, è venuta con forza di recente anche dal mondo cattolico, dai suoi più alti vertici: un richiamo alle classi politiche e dirigenti volto a ripensare, insieme ai modelli di famiglia, il ruolo che le donne sono chiamate a svolgere nella società sempre più attenta e sensibile alle problematiche riguardanti i diritti fondamentali della donna in tutte le dimensioni del suo impegno, in controtendenza all'immagine femminile impressa dai precedenti Governi, un'immagine che ha fatto vedere la donna solamente come merce.
  Ecco dunque che è responsabilità del Partito Democratico, come forza principale del Paese, tenere dritta la barra del riformismo, stimolando comportamenti, politiche e linee d'indirizzo che sappiano dare effettivo peso sociale alla parità di genere e ai diritti delle donne. Occupandomi di lavoro e società, credo dalla mia modesta esperienza di poter affermare che, nell'esperienza italiana ed europea dei sistemi del mercato del lavoro, introdurre meccanismi di penalizzazione dei diritti del lavoro significa rischiare di andare a colpire per prime proprio le donne; e non ce lo possiamo permettere !
  Ecco perché ribadisco con forza anche in questa occasione la necessità che il Parlamento e le Commissioni competenti avviino al più presto un'indagine conoscitiva sugli effetti che la legislazione attualmente in vigore ha avuto in termini di parità di genere e diritti delle donne. Il mondo del lavoro è elemento qualificante per il progresso di questo Paese, perché supportato da dati e contenuti che ci consentono di leggere la realtà.
  Solo mettendo il lavoro al primo posto come promozione della persona riusciremo a restituire veramente dignità ad un impegno politico e legislativo sulla parità di genere. Questo Governo ha già assunto impegni e provvedimenti a tutela e promozione dell'occupazione femminile, intervenendo su elementi cruciali quali retribuzioni, pensioni, accesso al mercato del lavoro, conciliazione vita-lavoro. La riforma del lavoro al vaglio delle Camere è la finestra giusta per introdurre una serie di meccanismi di incentivazione al lavoro femminile per le imprese: sgravi fiscali per chi assume manodopera femminile, abbassamento Pag. 26del cuneo fiscale per le lavoratrici, in particolare quelle a partita IVA o libere professioniste, cambiamento del paradigma delle politiche attive del lavoro e del sistema nazionale di collocamento, visto che nel quadro della domanda e dell'offerta di lavoro, l'offerta femminile rappresenta caratteristiche di flessibilità e peculiarità che devono necessariamente essere tenute in considerazione. Tutti temi che stanno a cuore al Partito Democratico, e che ha avuto modo di ribadire anche in occasione della presentazione di questa mozione.
  Da prima firmataria di una proposta di legge in materia di congedi per la formazione so bene quanto sia necessario adeguare la nostra legislazione al tema della conciliazione tra vita e lavoro e all'essere madri, alla propria educazione e così via.
  Su questo tema anche il Governo e il Parlamento possono fare la loro parte nell'avviare una nuova fase di dialogo tra imprese, associazioni datoriali e parti sociali per ridisegnare un modello industriale che sia più vicino alle esigenze delle donne, partendo dal tema del congedo, che potrebbe essere rimodulato, ulteriormente frazionato nel tempo, per consentire alle donne di avere una maggiore elasticità e non doversi sentire minacciate dalla perdita del lavoro.
  Come non parlare poi del Fondo nazionale per l'imprenditoria, giustamente citato dalle mie colleghe presentatrici e firmatarie delle mozioni che è stato per molto tempo una bandiera della parità di genere ma che, a mio avviso, non ha mai ottenuto la piena attenzione da parte pubblica. Il semestre europeo a guida italiana potrebbe essere in questo senso una buona occasione per orientare il finanziamento comunitario a rilanciare il fondo per l'imprenditoria, io ad esempio, ho suggerito al Premier Renzi di utilizzare il tema del rifinanziamento della Garanzia giovani, che va rifinanziata in maniera più robusta, per avviare schemi di project bond destinati esclusivamente all'occupazione femminile giovanile e alle start up femminili.
  Se non partiamo da questi punti e da altri altrettanto cruciali presenti nelle mozioni – penso al tema del coordinamento tra i vari ministeri che si occupano di pari opportunità, alla diffusione di contenuti culturali a favore della parità di genere, anche attraverso l'utilizzo della televisione pubblica – il tema della parità di genere sarà sempre di più relegato ad un mero esercizio di politica da talk show e da salotto e sempre meno invece ad interventi solidi, efficaci e concreti capaci di incidere veramente sulla vita delle donne.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, è stato interessante ascoltare le mozioni presentate dalle colleghe di altri gruppi perché è totalmente singolare vedere una convergenza assoluta di diagnosi dei problemi, di possibilità di interventi, di criteri di priorità. Evidentemente sul tema delle donne c’è una trasversalità forte che merita di essere segnalata, peccato che fossimo solo donne e solo noi ad essere presenti qua dentro e che l'esponente del Governo, la cui sensibilità è nota a tutti su questo fronte, conosca già perfettamente questi problemi.
  La cosa singolare di queste mozioni non è l'elemento di innovazione, oserei dire che non ci sono dati nuovi che abbiamo portato c’è la conferma dei dati ma questo paradossalmente invece di essere rassicurante è drammaticamente inquietante perché ti dà l'idea di una sorta di tragedia annunciata, la famosa profezia che si autoavvera, al termine delle quali noi troveremo ancora una volta la solitudine delle donne nel mondo del lavoro, la solitudine delle donne in questo luogo straordinario – a volte mi sembra che sia il non luogo per eccellenza – quello che le donne occupano spostandosi dalla famiglia al luogo del lavoro, in questa sensazione sempre radicale di non riuscire a raggiungere molte volte con pienezza gli obiettivi né in un ambito né in un altro. È la vera sofferenza delle donne questa, la concezione forte di quello che è il senso della loro mission specifica nel campo del lavoro e nel campo della famiglia e la Pag. 27sensazione profondamente realista di non riuscire a far fronte all'una o all'altro con la qualità con cui desidererebbe per la semplice ragione che gli strumenti normativi di cui dispone sono strumenti normativi spezzati, sono strumenti normativi che, per esempio, debbono fare i conti con una mancata conoscenza degli stessi da parte del datore di lavoro. Una mancata conoscenza reale, una mancata conoscenza che forse non è poi così in buona fede come vorrebbe apparire.
  Eppure questo è il 2014, è l'anno che l'Europa ha definito e in qualche modo ha dedicato alla conciliazione dei tempi di famiglia e lavoro. Sono molto interessanti i documenti dell'Europa relativi a questo punto, tra l'altro sono documenti che inglobano in questa problematica della conciliazione dei tempi famiglia-lavoro anche gli uomini perché anche lì si vuole cercare quella sorta di maggiore bilanciamento dell'impegno personale, dell'impegno professionale, proprio a vantaggio di una effettiva positiva, concreta collaborazione con la figura materna, con la moglie, con la padrona di casa, con quella persona che da sempre è preposta al lavoro di cura. Quindi, il 2014 l'anno della conciliazione dei tempi di lavoro-famiglia, ma anche l'anno del più grande silenzio sotto questo punto.
  Noi stessi non abbiamo avuto la capacità di intervenire in maniera creativa e propositiva, abbiamo fatto un lavoro enorme in questo Parlamento dal momento stesso in cui si è insediato contro la violenza sulla donna. Abbiamo letto il Trattato di Istanbul quasi prioritariamente in questa dimensione di lotta e non abbiamo dedicato pari attenzione, pari impegno a tutto quello che doveva essere in fondo la valorizzazione del lavoro femminile, sotto il profilo dell'accesso alla formazione, e di questo mi sia concesso essere contenta, dichiarare la mia felicità del premio Nobel concesso a Malala, una ragazzina, il più giovane premio Nobel per la pace che sia stato concesso, a una donna e a una donna che chiede cultura e istruzione per tutte le donne. Non è un caso che l'altra parte del premio Nobel sia stata concessa a un uomo che in qualche modo da sempre si batte per i diritti dei bambini. Ecco, noi siamo dalla parte davvero di una promozione del femminile. Se avessi dovuto dare un titolo a questa mozione io avrei detto «dalla discriminazione alla valorizzazione della donna», non ci basta più rimuovere gli ostacoli, abbiamo bisogno di porre degli interventi positivi, non ci basta affermare una cosa che è ovvia, che le donne contribuiscono in maniera significativa e forte alla crescita del prodotto interno lordo. Non ci basta sapere che nei luoghi in cui le donne sono presenti in numero significativo il clima che si respira in quei luoghi è un clima meno competitivo, meno conflittivo ed è invece un clima più cooperativo e più collaborativo, non ci basta sapere che il lavoro della donna è un lavoro che veramente si declina in modo multitasking, perché lo declini in tutti i contesti professionali più svariati che ci sono, ma anche lo declini sempre in quel contesto che è la casa, che è l'attenzione agli anziani, che è l'attenzione ai bambini, che è l'attenzione ai disabili. Sappiamo perfettamente come molte volte è la donna in una famiglia che si fa carico dei propri genitori a un certo punto della vita che quasi sempre coincide con l'età dell'adolescenza più calda, più bollente dei figli, contemporaneamente c’è anche la necessità dell'attenzione ai propri genitori, ma anche ai propri suoceri. Gravano sulla donna, molte volte a fronte di una maternità discreta, contenuta – un figlio, due figli, un figlio e mezzo, come dicono le statistiche – gravano anche invece i quattro anziani di cui lei si prende cura e se ne prende cura fortunatamente in tempi diversi, in modo diverso, ma a volte questo crea una situazione di stress che non è indifferente. Ora io credo che a fronte di un accordo così profondo come quello che è possibile, anche se siamo così pochi, mi auguro che tutti poi prendano in mano questo fascicolo in cui sono contenute tutte le mozioni e possano coglierne...

  PRESIDENTE. Onorevole Binetti, la invito a concludere.

Pag. 28

  PAOLA BINETTI. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Mi sembra che la convergenza del femminile dovrebbe essere la nostra forza e io mi auguro che sia una forza che si traduca riflettendo sul Job Act quando arriverà qui, che sia una forza riflettendo sul documento di programmazione economico-finanziaria, sulla legge di stabilità, perché noi possiamo avere il Ministro delle pari opportunità, ma non è quello il punto. Il punto è che ogni Commissione, ogni Ministero assuma come punto di osservazione privilegiato l'impatto che le leggi, gli stili, gli orari hanno attraverso il femminile su quella che è la famiglia, altrimenti, signori – è l'ultima cosa che voglio dire – non ci potremo lamentare se la famiglia va in crisi, non ci potremo lamentare se ci troviamo davanti a indici di separazioni, ma indici proprio semplicemente di quello che viene considerato un po’ la fine della famiglia da alcuni. Questo perché quello che è l'asse, la pietra angolare su cui si regge la famiglia è molte volte soggetta ad un'azione di tensione e di frizione rispetto alle quali lo stesso dissesto idrogeologico rappresenta una metafora molto significativa di quello che accade. Quindi io credo e spero con tutto il cuore che il Governo assuma un'iniziativa, non solo apprezzando il lavoro che si è fatto, non solo spingendo i mezzi di comunicazione a cominciare dalla stessa RAI, visto che, come diceva la collega – che è abbastanza buffo – degli 11.111 voucher previsti a disposizione delle donne, ne siano state utilizzati solo tremila.
  Ma chi le ha informate ? Ma chi è intervenuto dalle parte delle donne anche da questo punto di vista ? Quindi, noi puntiamo anche su una presa di posizione positiva da parte dei mezzi di comunicazione e ci auguriamo che da questo possa derivarne solo un grande bene per tutto il Paese.
  Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Palese. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, chiedo, a nome del gruppo di Forza Italia, che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Sesa Amici.

  SESA AMICI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, è difficile – lo ricordava poc'anzi la collega Binetti – per chi vi parla in questo momento provare a distinguere la propria esperienza culturale e politica con cui è arrivata in quest'Aula del Parlamento e rispondere invece a mozioni che pongono, non tanto un tema generale, quanto l'articolazione e la capacità da parte del Governo di verificare, con concretezza ed efficacia, gli strumenti normativi che ha messo in essere.
  Non c’è dubbio – proprio alla luce di questo, se me lo si può permettere – che noi ci troviamo più che di fronte a mozioni, quasi alla richiesta di un bilancio, di un bilancio all'inizio di questa legislatura, contrassegnata da una notevole presenza di donne e con alcuni atti che segnano uno spartiacque; uno spartiacque che è, prima ancora che politico, culturale, del riconoscimento, verso le donne italiane, di tanta strada fatta, molta ancora da fare, nonché degli intoppi e degli intralci dentro quella strada che si trovano ancora nell'esprimere fino in fondo non solo un processo liberazione e di valorizzazione, ma anche di soggettività femminile.Pag. 29
  All'inizio di questa legislatura, il tema della violenza ha fatto sicuramente da cornice, lo ha fatto dentro una dinamica, che era quella dell'affermazione dell'elemento dei diritti umani e sapendo che, dietro la questione dei diritti, è davvero singolare non ipotizzare il diritto alla libertà e il diritto a non subire violenza insieme all'affermazione di un diritto sociale (le due cose vanno insieme). Operare – come spesso accade anche nel dibattito pubblico – una sorta di separazione, io la ritengo, e la ritiene così il Governo per l'azione che ha messo in essere, una situazione sbagliata.
  I diritti sociali, i diritti economici e i diritti di libertà rappresentano la cornice dentro la quale noi ci dobbiamo muovere; ha ragione la collega Tinagli: troppe norme vengono semplicemente citate, ma mai era stato fatto un monitoraggio circa la loro attuazione, circa la loro efficacia e l'impatto che hanno nel migliorare le condizioni di vita.
  È del tutto evidente che queste mozioni hanno un nucleo centrale, al quale io credo il Governo debba rispondere e credo che lo debba fare alla luce di una determinazione molto chiara anche delle responsabilità perché gran parte dei quesiti posti, sia rispetto alle questioni del lavoro, che rispetto questioni poste dalle colleghe che sono intervenute, corrispondono esattamente ad una delega che questo Governo ha dato, ad un'autorevolezza politica, che è quella data presso il Ministero del lavoro al sottosegretario Bellanova a cui spetta proprio l'implementazione di una serie di politiche conciliative sul tema del lavoro e della conciliazione, nonché la questione degli incentivi all'occupazione.
  Dentro questo, ci sono anche degli atti – lo dico soprattutto alla collega Tinagli, che con la sua mozione questo aspetto lo ha colto nel senso più pregnante – che dimostrano come, ad esempio, con riguardo alle convenzioni relative all'imprenditoria femminile, nel momento peggiore della crisi della storia italiana, le imprese dirette da donne abbiano retto meglio, quand'anche a conduzione piccola e piccolissima, ed abbiano dimostrato, proprio nella capacità della relazione soggettiva delle donne dentro quel contesto lavorativo, come l'essere donna non sia semplicemente un'affermazione generica, ma un modo concreto di affrontare i nodi della crisi.
  La convenzione, che è stata fatta tra il Ministero dello sviluppo economico e il Dipartimento delle pari opportunità, ha messo a disposizione delle risorse e, se si va su quel sito, si vede come è possibile fare le domande e come si accompagna in questa operazione di start-up.
  Credo che noi allora avremo bisogno non solo del bilancio, ma di far sì che dentro i nuovi strumenti, che discuteremo nei prossimi giorni, ci sia la possibilità concreta di vedere qualche passo in avanti in più.
  Perché c’è la forza delle donne, la loro capacità di tessere la rete dei piccoli passi dentro i quali emerge con nettezza un'idea, una visione, un progetto, che è il progetto del proprio benessere, che è diventato il benessere di tutti, perché questo le donne italiane lo hanno insegnato allorquando si sono fatte carico – e lo fanno ancora in una dimensione molto negativa – solo ed esclusivamente loro del lavoro di cura, non pensando, invece, alle relazioni umane, che valgono e diventano anche migliorative quando stanno insieme fra i due sessi.
  Il lavoro di cura, abbinato alle donne, ha corrisposto spesso in questo Paese, negli anni precedenti, in maniera assai più grave, a una fuoriuscita dello Stato dalla sua responsabilità. La funzione pubblica di alcuni servizi di welfare ha prodotto, di fatto, un elemento di regressione anche di questo processo di grande responsabilità delle donne nei confronti, come dire, della capacità di immettersi nel lavoro e di fare di quel lavoro non semplicemente un elemento di sostentamento e di salario ma di miglioramento complessivo delle relazioni fra i due sessi.
  Il tema, come voi ben capite, sarebbe molto lungo. Io credo che, proprio per le questioni molto precise di bilancio – sono stati chiesti finanziamenti, fondi –, vi sia la possibilità da parte del Governo italiano Pag. 30di avere un ruolo preminente in questo semestre, dove il tema del lavoro si è imposto anche come tema di risposta a politiche di austerità, chiedendo quindi all'Europa una diversa responsabilità. Credo che dentro quel dato del lavoro noi dovremo – ed è l'intenzione del Governo – avere una specificità. Il lavoro, anche questo, non è mai neutro; forse, un punto di vista dell'Europa sul lavoro femminile e la loro capacità di implementare con elementi innovativi può essere una straordinaria occasione per cui queste mozioni da bilancio possono diventare, invece, lo stimolo ad un progetto nuovo e più avanzato per le donne italiane.

  PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 13,12).

  ANDREA CECCONI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

  ANDREA CECCONI. Presidente, il nostro Paese da tre giorni si trova davanti a una nuova emergenza, un'emergenza che ormai è diventata la prassi in questo Paese. La natura si ribella alla violenza e all'incuria dell'uomo, perché qui si tratta di vera e proprio violenza, anche se ci hanno abituati a pensare che la natura sia violenta contro l'uomo.
  Le persone muoiono e le nostre città e i nostri cittadini si trovano, per l'ennesima volta, in ginocchio e senza una speranza. Quello che avviene nel nostro territorio è il risultato di una politica che non ha avuto la volontà di stanziare i fondi sufficienti e produrre le leggi necessarie affinché certe tragedie non si verificassero più. Il Parlamento è colpevole, i partiti sono colpevoli e il MoVimento 5 Stelle, in quanto gruppo in Parlamento, si assume la sua parte di responsabilità recandosi a Genova, mettendo le proprie braccia e il proprio cuore a disposizione dei cittadini.
  Per voi è finito il tempo delle passerelle. Non è più tempo di parole e di promesse che troppe volte sono state disattese: è tempo di agire ! Il MoVimento 5 Stelle chiede che la città di Genova ritorni il prima possibile alla normalità. Il fango va spalato nei fatti e non con le parole. Chiediamo formalmente la convocazione di una Conferenza dei presidenti di gruppo per modificare il calendario dei lavori, che sospenda i lavori d'Aula e ci permetta di recarci a Genova a fianco dei cittadini.

  PRESIDENTE. La sua richiesta sarà inoltrata alla Presidente e ovviamente avrà le risposte direttamente dalla Presidenza.
  Prendo atto che il deputato Rosato, che aveva chiesto di parlare, rinuncia all'intervento.
  A questo punto sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 16 con la discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare sull'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza (CDA), nei centri di accoglienza per i richiedenti asilo (CARA) e nei centri di identificazione ed espulsione (CIE).

  La seduta, sospesa alle 13,15, è ripresa alle 16,15.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Causin e Scotto sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
  I deputati in missione sono complessivamente settantotto, come risulta dall'elenco Pag. 31depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare: Fratoianni ed altri; Marazziti ed altri; Fiano: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza (CDA), nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) e nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) (Doc. XXII, nn. 18-19-21-A) (ore 16,16).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare Doc. XXII, nn. 18-19-21-A, di iniziativa dei deputati Fratoianni ed altri; Marazziti ed altri; Fiano: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza (CDA), nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) e nei centri di identificazione ed espulsione (CIE).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta dell'8 ottobre 2014.

(Discussione sulle linee generali – Doc. XXII, nn. 18-19-21-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Gennaro Migliore.

  GENNARO MIGLIORE, Relatore. Signora Presidente, colleghe e colleghi, i tragici eventi e i naufragi avvenuti a largo di Lampedusa nell'ottobre scorso, nell'ottobre del 2013, hanno imposto all'attenzione del mondo la drammatica emergenza dell'immigrazione che è avvenuta attraverso gli sbarchi di migranti provenienti dalla sponda sud del Mediterraneo. Non erano le prime e, ahimè, non sono state le ultime tragedie, ma quella fu una tragedia che cambiò nel senso comune di tanti uomini e di tante donne anche l'attenzione e il senso di marcia di tante opinioni che si sono consolidate nel tempo e che faticosamente cercheremo di cambiare. Nel 2014 l'afflusso di immigrati si è mantenuto sostenuto e, ahimè, altri gravi episodi sono accaduti, come nel caso del naufragio del 12 maggio del 2014 e quello recentissimo al largo delle coste libiche. A questo proposito, intendo innanzitutto rivolgere un pubblico ringraziamento a tutte le forze impegnate nell'operazione di salvataggio di Mare Nostrum, alla loro dedizione, che ho avuto la fortuna di poter verificare di persona in una recente visita alla nave San Giusto con l'intergruppo migranti coordinato dal collega Khalid Chaouki, come ringrazio non formalmente la Presidente Boldrini per il suo immancabile sostegno e sprone alle attività legislative e politiche tese a far cambiare il clima politico e l'opinione pubblica verso il tema delle migrazioni. Le istituzioni dopo un periodo di enfasi e stigmatizzazione del fenomeno delle migrazioni si stanno avvicinando ad un obiettivo diverso, ancora insufficiente intendiamoci, che è quello di rendere il nostro Paese – ed è questo il nostro intendimento – un luogo di accoglienza, di rispetto e di tutela delle persone. Salvare la vita ad un naufrago, rendere la libertà a chi cerca di scampare al rischio della propria stessa vita da una situazione di persecuzione o di rischio imminente – vite minacciate in Siria, in Eritrea, in Iraq, in Libia, in Sudan e ovunque si moltiplicano come macchie indelebili i conflitti e le guerre nel nostro pianeta – deve diventare una priorità del nostro Paese e dell'Europa intera. Nel Pag. 32corso dell'anno sono giunti in Italia via mare quasi 126 mila stranieri e le richieste di protezione internazionale sono state circa 38 mila, segno che ci si trova di fronte ad un'immigrazione motivata, come dicevo poc'anzi, in larga parte dalla grave situazione politica e di violazione sistematica dei diritti fondamentali nei Paesi di provenienza. Proprio in questo momento si sta svolgendo un'importante sessione di una riunione connessa al semestre di Presidenza italiana relativa ai diritti fondamentali e credo che questa nostra discussione accada in un momento utile all'intero Paese. Così è stato per l'operazione Mare Nostrum, che è stata introdotta il 18 ottobre 2013 all'indomani di quei naufragi, e in questo caso bisogna riconoscere che quell'attività è riuscita nel compito encomiabile e necessario di salvare direttamente oltre 91 mila persone da un naufragio sicuro e alle quali vanno aggiunte quelle salvate dai mezzi marini civili che vengono comunque coordinati dall'operazione Mare Nostrum stessa.
  Purtroppo, come dicevo, non ci sono ancora incoraggianti elementi che tendano a confortarci per il fatto che non ci saranno più questo tipo di tragedie. Per quanto riguarda le attività che si sono svolte in questa Camera – ovviamente, faccio una brevissima premessa, in questo senso, rispetto all'oggetto specifico della nostra discussione – è di particolare rilievo, in relazione, in particolare, alla nostra attività, il fatto che vi sia stata l'abrogazione del reato di ingresso e soggiorno illegale, trasformato in illecito amministrativo, prevista dalla legge n. 67 del 2014, con una votazione che, il 2 aprile 2014, ha cancellato quella che era una norma, per molti versi, non degna di un Paese come il nostro.
  Essa, però, è ancora incompleta, perché reca una delega che non è stata ancora realizzata, così come tante altre deleghe in capo al Governo, e io considero, come credo quasi tutti coloro che sono qui dentro, indispensabile che si possa attuare rapidamente, questa come altre, ma questa più di altre, perché è una delega che ha a che vedere con la condizione della dignità delle persone che vengono, in questo senso, ancora, come accadde proprio ai superstiti e ai sopravvissuti del naufragio del 3 ottobre, incriminati per immigrazione clandestina.
  Nel corso di questa nostra attività parlamentare, ci sono state varie iniziative positive, come quella dell'istituzione della Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'immigrazione, proprio il 3 ottobre, oltre ad una serie di attività, come quelle che vengono previste per la modifica della normativa vigente sui minori stranieri non accompagnati e tutte le proposte che invocano una legge organica per l'attuazione dell'articolo 10 della Costituzione in materia di diritto di asilo.
  In questo senso, noi abbiamo una poderosa attività che necessita, più che altro, di un'accelerazione dei tempi, ed è per questo che – veniamo all'argomento di cui oggi sono relatore – è assolutamente fondamentale predisporre tutti gli strumenti che vadano nella direzione di un riaggiornamento, per quanto mi riguarda – e qui esprimo una posizione puramente personale – di una riscrittura complessiva, delle leggi che regolano la materia delle persone migranti.
  In questo senso, a me sembra che la maggiore novità in corso in questo momento, in relazione ai centri di identificazione ed espulsione, sia la norma che è stata introdotta alla Camera, al disegno di legge europea 2013-bis, Atto Camera 1864-B, che ha ridotto a 180 giorni, poi diminuiti, ulteriormente, a 90 giorni nella discussione del Senato, il periodo massimo di permanenza degli stranieri nei CIE.
  In questo senso, il nostro lavoro, quello che proficuamente – mi permetto di dire, molto proficuamente – è stato realizzato in Commissione, ha visto la Commissione affari costituzionali terminare il proprio lavoro il 1o ottobre, esaminando le proposte istitutive di una Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta che sono state inizialmente presentate da Nicola Fratoianni, da Mario Marazziti e da Emanuele Fiano, relativamente ai Doc. XXII, nn. 18, 19 e 21, che ringrazio molto per il contributo fondamentale che hanno Pag. 33dato per l'avvio di questa discussione; un contributo che è stato poi recepito attivamente da un comitato ristretto, che ha elaborato una proposta di testo unificato che ha avuto, sostanzialmente, il compito di integrare queste tre proposte, che, quindi, non ha di molto aggiunto, ma ha razionalizzato quelli che erano gli indirizzi già previsti all'interno di queste proposte, largamente concorrenti, e che ha avuto la capacità di mettere in positivo il contributo anche di quei gruppi parlamentari che non sono stati coinvolti direttamente nella presentazione di proposte legislative: il MoVimento 5 Stelle, il Nuovo Centrodestra, anche, ovviamente, Forza Italia, la Lega stessa e tutte le altre formazioni che, nel corso della discussione del comitato ristretto, hanno dato un contributo fattivo e unanime alla definizione di questo testo.
  Sul testo elaborato dalla Commissione sono state espressi pareri di competenza delle Commissioni bilancio e giustizia, pareri che hanno perfezionato anche la congruità della proposta legislativa, in particolare per quanto riguarda la Commissione bilancio un parere relativo al corretto esercizio finanziario per il finanziamento della Commissione e uno di mero coordinamento, ma necessario, formale da parte della Commissione giustizia per indicare che questa Commissione di inchiesta, in ogni suo articolo, si dovesse occupare sia dei CIE, sia dei CARA, che dei centri di accoglienza. Il testo che, quindi, presentiamo all'esame dell'Assemblea prevede, dunque, l'istituzione di una Commissione monocamerale di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri destinati all'accoglienza e al trattenimento di immigrati, che in Italia sono – come dicevo prima – riconducibili a tre tipi di strutture: i centri di identificazione ed espulsione, i centri di accoglienza e i centri di accoglienza per richiedenti asilo. I centri di identificazione ed espulsione i cosiddetti CIE, che sono gli ex CPTA, sono luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione, disciplinati dall'articolo 14 del Testo unico in materia di immigrazione. Il trattenimento disposto con provvedimento del questore per un periodo massimo di 30 giorni prorogabile – e qui la discussione che è in corso – oggi fino a 18 mesi, nell'approvazione del testo che in questo momento è al Senato al massimo 90 giorni. I motivi di possibile trattenimento che deve essere convalidato dall'autorità giudiziaria sono i seguenti (li richiamo, perché spesso vengono ignorati dall'opinione pubblica): procedere al soccorso dello straniero, fare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità ovvero all'acquisizione di documenti per il viaggio, oppure per l'indisponibilità di un vettore o di un altro mezzo idoneo. In tali strutture lo straniero deve essere trattenuto con modalità da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità. Questo è, e dovrebbe essere, per il legislatore, e per chi applica la norma, l'unica guida. Io personalmente non sono d'accordo, ovviamente, con questa legislazione, ma ritengo, ed è per questo che c’è stata una seria convergenza di tutte le forze politiche nel realizzare questa Commissione d'inchiesta, che si debba rispettare sempre la legge, anche nel momento in cui questa prevede elementi che possono garantire, comunque, il trattamento degno delle persone. In questo momento, secondo i dati più recenti di ottobre del Ministero dell'interno, sono aperti cinque CIE dei dieci che erano aperti fino a qualche mese fa. Alcuni di questi sono stati chiusi, o riconvertiti in centri di accoglienza per richiedenti asilo, il che dà conto anche di quello che sta, concretamente, accadendo nel nostro Paese. Nel corso del 2013 sono state 5.431 le persone recluse nei centri di identificazione, tra queste 585 erano donne. In questo caso bisogna affrontare il tema delle strutture, facendo un'osservazione che è quella che ritengo sarà oggetto di un'ulteriore verifica da parte della Commissione di inchiesta e cioè che dopo anni di questo sistema che adotta i centri di identificazione ed espulsione, oggi, all'interno di queste strutture, sono detenuti, Pag. 34scusate sono trattenuti, è un lapsus freudiano, meno persone di quelle che la capienza prevede effettivamente.
  Mentre, per esempio, nei CARA la situazione è esattamente opposta, cioè molte situazioni nei CARA vedono un sovraffollamento, così come in alcuni Centri di accoglienza.
  In questo senso dobbiamo necessariamente adeguare – e questo è l'intento anche che ci portiamo in capo a questa Commissione – le effettive capacità di intervento che lo Stato può produrre attraverso questi strumenti, che sempre di più dovranno diventare strumenti a tutela dei migranti che soggiornano nel nostro Paese, pur in una condizione in cui venga accertata la necessità della loro espulsione.
  Esistono, inoltre, altre due tipologie, appunto, i CARA e i CDA, che sono rispettivamente utilizzate. I CARA, istituiti nel 2008, ospitano per un periodo limitato lo straniero richiedente asilo e privo di documenti di riconoscimento e che si è sottratto al controllo di frontiera, per consentire l'identificazione. I CDA sono centri di prima accoglienza.
  In questo senso l'elenco dei centri di identificazione e dei centri di accoglienza è periodicamente e correttamente, ovviamente, aggiornato dal Ministero dell'interno, nell'ambito anche del programma SPRAR, che più generalmente si occupa del servizio di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati.
  L'oggetto dell'inchiesta, ferme restando le competenze e le attività del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen e di vigilanza sull'attività di Europol di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, è quindi così definito dal testo: accertare eventuali condotte illegali e atti lesivi dei diritti fondamentali della dignità umana all'interno dei centri, con particolare riguardo a trattamenti disumani o degradanti; ricostruire puntualmente le circostanze in cui si siano, nel caso, verificati tali atti; indagare sui tempi e sulle modalità di accoglienza dei CDA e dei CARA e sulle modalità di trattenimento nei CIE; riguardo ai CIE verificare, altresì, l'effettiva applicazione delle disposizioni della direttiva 2008/115/CE, con particolare riguardo alle garanzie previste e alle eventuali responsabilità (detta norma impone norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri per i soggiornanti irregolari e l'articolo 1 di questa direttiva stabilisce il rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali); rispettare il principio, inoltre, fondamentale di non respingimento per i richiedenti asilo, che possano essere garantiti del diritto a vedere esaminata la loro domanda; verificare l'adeguata tenuta dei registri di presenza delle persone trattenute all'interno dei CIE, con informazioni complete nonché la trasparenza delle stesse; valutare l'efficacia del funzionamento dei CIE ai fini dell'identificazione delle persone trattenute, in relazione sia alla durata massima del periodo di trattenimento all'interno dei centri sia alla sua proporzionalità; verificare le procedure adottate per l'affidamento della gestione dei centri ai rispettivi enti; esaminare – questo è un dato molto importante – le convenzioni stipulate con gli enti gestori al fine di accertare eventuali responsabilità nella carenza dei servizi, che devono garantire standard adeguati di qualità e rispetto dei diritti; verificare l'effettivo rispetto dei criteri di gestione all'interno delle strutture riguardo ai servizi di orientamento nonché di tutela legale e sociale erogati, con specifica attenzione alle prestazioni sanitarie, al rispetto della disciplina sul diritto di asilo e alla tutela dei soggetti più vulnerabili; valutare l'operato delle autorità preposte al controllo dei centri e delle convenzioni stipulate; valutare la sostenibilità del sistema sotto il profilo economico anche riguardo a possibili nuove soluzione normative per la gestione della questione immigrazione anche e soprattutto, ovviamente, a parità di risorse impiegate.
  La durata dei lavori della Commissione è pari ad un anno e qui vorrei fare un inciso: abbiamo scelto deliberatamente che fosse di un anno e non si protraesse oltre, perché riteniamo che in un anno un'attività Pag. 35serrata di una Commissione siffatta possa acquisire i dati che consentono di agire.
  Questo è molto importante per poter, nel corso di questa legislatura, acquisire tutti gli strumenti che questa Camera potrà riconoscere attraverso questa Commissione. Infatti, viene presentata una relazione finale, come previsto dall'articolo 2.
  Questa Commissione è composta da 21 deputati e deputate, nominati dalla Presidente della Camera in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, assicurando, però, la presenza di un rappresentante comunque per ciascun gruppo. Con i medesimi criteri e procedure si provvede alle eventuali sostituzioni, a seguito di dimissioni, cessazione dalla carica o altre cause di impedimento. Nella prima seduta, convocata dalla Presidente della Camera entro 10 giorni, si procede alla nomina dei componenti.
  È importante che vengano esaminate le limitazioni ai poteri della Commissione di inchiesta e anche ciò che prevede il potere di questa Commissione di inchiesta, richiamando quanto già previsto dall'articolo 82 della Costituzione in merito a procedere con gli stessi poteri e limiti dell'autorità giudiziaria. Ci rifacciamo ovviamente a tutta la normativa vigente relativamente a questioni come il segreto di Stato e alla possibilità di rendere pubbliche le attività della Commissione.
  Riteniamo che, con questa Commissione, si possa avvantaggiare l'elemento di conoscenza approfondita di quelle che sono anche le procedure che vengono realizzate per il mantenimento di questi centri. Inoltre, la Commissione si doterà di un regolamento interno – richiesta che è stata fortemente voluta all'interno della discussione della Commissione – per organizzarne al meglio l'attività, secondo un principio di economicità e di risparmio delle risorse della Camera assoluto, per cui lo stanziamento, pur prevedendo una spesa massima pari a 50 mila euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 nell'esercizio delle sue attività, voglio ricordarlo, è di molto inferiore a quelli previsti anche per altre analoghe Commissioni d'inchiesta.
  Infine, vorrei ringraziare gli uffici, in primo luogo quelli della I Commissione della Camera, che come al solito sono stati indispensabili per la redazione e per la realizzazione di questo progetto, e tutti i gruppi parlamentari. Auspicando che la celerità nell'approvazione di questa norma tenga conto non tanto di un'esigenza politica, ma di un'esigenza delle persone che verranno in qualche modo favorite e garantite dalla presenza di una Commissione del genere, noi ci aspettiamo che, su questo terreno, quest'Aula, con la stessa autorevolezza che in altre occasioni è riuscita a dimostrare, possa realizzare un piccolo passo, ma necessario per la realizzazione di diritti fondamentali (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Sinistra Ecologia Libertà e Misto-Libertà e Diritti – Socialisti europei – LED).

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  È iscritta a parlare la deputata Micaela Campana. Ne ha facoltà.

  MICAELA CAMPANA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, a pochi giorni dal 3 ottobre, giornata che ancora tiene vivi i ricordi della tragedia immane verificatasi l'anno scorso, al largo di Lampedusa, dove persero la vita 366 migranti, siamo chiamati ancor di più a prendere consapevolezza dell'importanza del fenomeno migratorio, attraverso iniziative legislative come questa.
  L'immigrazione verso il continente europeo non può essere un tema italiano, come spesso si è fatto credere, e la geopolitica ci dimostra che è un fenomeno che i tecnici definiscono strutturale. Negli ultimi anni, l'immigrazione nel nostro Paese ha assunto una veste ben precisa ed impone a noi legislatori di adeguare la normativa vigente ai cambiamenti che si sono registrati nel movimento dei flussi migratori.
  Abbiamo bisogno di una politica organica, di interventi chiari e precisi, di un Pag. 36più attento coordinamento a livello interministeriale e certamente di prestare maggiore attenzione alle condizioni in cui vivono e si integrano gli immigrati sul nostro territorio.
  L'istituzione di una Commissione monocamerale di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri destinati all'accoglienza ed al trattenimento di immigrati, oltre a costituire un segno di grande civiltà, ci fa capire che non possiamo più sorvolare su tematiche quali l'applicazione dell'articolo 5 della Dichiarazione universale sui diritti dell'uomo («Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizioni crudeli, inumani o degradanti»).
  Abbiamo degli obblighi dai quali non possiamo tirarci indietro. Il tema del funzionamento e soprattutto delle condizioni di permanenza all'interno dei centri di identificazione ed espulsione e in quelli di prima accoglienza per gli stranieri giunti illegalmente nel nostro Paese non è certamente la prima volta ad essere oggetto di discussione in questa Assemblea.
  Primi accenni ci furono già in seguito alla diffusione, lo scorso anno, delle immagini che riprendevano le modalità in cui gli immigrati del centro di Lampedusa venivano sottoposti ai trattamenti antiscabbia ed anche in seguito alla suturazione della bocca messa in atto da alcuni migranti presso il centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, struttura in cui mi sono recata personalmente insieme ad altri colleghi.
  Nonostante ciò, però, non vi è alcun dubbio sul fatto che l'attuale sistema di gestione e controllo non sia del tutto in linea con i requisiti richiesti dall'Unione europea e dalle norme di diritto internazionale e che bisogna intervenire, al fine di migliorare ulteriormente, sotto vari aspetti, dal sovraffollamento alle condizioni igieniche, all'assistenza medica.
  In relazione all'efficacia delle procedure di identificazione ed espulsione, bisogna considerare che attualmente un soggetto può restare all'interno di un centro di identificazione ed espulsione fino a 18 mesi, senza a volte giungere definitivamente alla sua identificazione. La stessa situazione si registra nei centri di accoglienza e nei centri di accoglienza per richiedenti asilo. Anche in relazione a questi centri, è obbligatoria un'attenta riflessione ed analisi sullo stato in cui vivono all'interno i migliaia di migranti.
  La proposta di cui stiamo discutendo ha l'obiettivo di far luce su quanto accade quotidianamente in questi centri.
  Il mancato rispetto delle garanzie minime di assistenza degli stranieri, nonché quelle per l'identificazione, fa sì che sia diventato di interesse pubblico ed è per questo che si giustifica l'istituzione della Commissione oggetto della discussione di oggi.
  Per questi motivi, il Partito Democratico ha voluto con forza e salutato con grande soddisfazione la riunione, all'interno di un unico testo, della proposta di istituzione della Commissione monocamerale di inchiesta non solo sui centri di identificazione ed espulsione, come presentato originariamente attraverso il documento XXII dell'onorevole Fiano, bensì anche sui centri di accoglienza e di accoglienza per richiedenti asilo come proposto dall'onorevole Fratoianni e dall'onorevole Marazziti.
  Nonostante tra alcuni esponenti di questa Assemblea alberghi la convinzione che la condizione in cui vivono le migliaia di esseri umani che giungono sul nostro territorio non debba coinvolgere la discussione di questa Camera, il Partito Democratico non intende più sorvolare e disattendere le norme basilari riguardanti la garanzia minima di tutela dei diritti umani e la verifica della trasparenza degli enti che gestiscono questi centri.
  Gli ultimi dati forniti dal Ministero dell'interno, circa due settimane fa, ci dicono che i rifugiati presenti sul territorio nazionale sono 61.000, di cui 10.000 presenti nei centri di accoglienza.
  Tra le regioni ospitanti spiccano, al primo posto, la regione Sicilia, con il 24 per cento, al secondo posto la regione Pag. 37Lazio, con il 13 per cento, ed al terzo posto la regione Puglia, con il 10 per cento.
  I dati ci forniscono la rappresentazione di un fenomeno che necessita di interventi su più fronti, da Mare Nostrum a Triton, alla rivisitazione necessaria di Dublino 2003, alla costituzione di corridoi umanitari.
  La Commissione, di durata di un anno, come sottolineava il mio collega, ha come oggetto dell'inchiesta accertare eventuali condotte illegali ed atti lesivi dei diritti fondamentali della dignità umana; indagare sui tempi e sulle modalità di accoglienza; verificare le procedure di rimpatrio, come stabilito dall'articolo 1 della direttiva (devono essere eseguite nel rispetto dei diritti fondamentali); verificare l'adeguata tenuta dei registri di presenza delle persone trattenute all'interno dei CIE con informazioni complete; valutare l'efficacia del funzionamento dei CIE ai fini dell'identificazione delle persone trattenute; esaminare le convenzioni stipulate con gli enti gestori, al fine di accertare eventuali responsabilità della cadenza dei servizi; verificare l'effettivo rispetto dei criteri di gestione all'interno delle strutture; valutare l'operato delle autorità preposte al controllo dei centri e valutare la sostenibilità del sistema sotto il profilo economico.
  Il Partito Democratico, mediante la proposta di istituzione della Commissione oggetto della nostra discussione, pone le problematiche relative al processo di immigrazione al centro della propria agenda politica. Ci sono pagine bellissime della nostra tradizione che parlano del Mediterraneo: Mediterraneo come mare di pace, come mare di opportunità. Ecco, al centro delle politiche comunitarie dobbiamo riportare non soltanto i Paesi del centro Europa, ma è tempo che l'Europa guardi più a sud: il Mediterraneo dovrà essere di nuovo un mare di pace e di opportunità sia per i migranti sia per il nostro Paese.
  Gli interventi nazionali – ed è questo quello per cui il Partito Democratico ha voluto fortemente, in tempi rapidi, l'istituzione di questa Commissione – devono garantire il rispetto dei diritti umani e la trasparenza nella gestione dei centri. Aldo Moro scriveva che: «Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa ed essere nel Mediterraneo, perché l'intera Europa è nel Mediterraneo».
  La Presidente Boldrini, a cui va il ringraziamento di tutto il Partito Democratico per la sensibilità sui temi dei diritti, ha detto una frase che a me personalmente ha commosso e che dovrebbe essere la nostra linea di discussione politica e di azione politica. Agli immigrati che arrivano nel nostro Paese bisognerebbe dire: «benvenuti in un posto sicuro». Ecco, un posto sicuro in cui non solo si è lontani dalla guerra: un posto sicuro significa un posto in cui, finalmente, ci si può sentire pienamente esseri umani, pienamente esseri umani dotati dei diritti fondamentali (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Sinistra Ecologia Libertà e Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED)).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cozzolino. Ne ha facoltà.

  EMANUELE COZZOLINO. Signor Presidente, le migrazioni, i grandi spostamenti di masse di uomini e donne che, da una certa zona del mondo, tentano di raggiungerne un'altra, costituiscono una dinamica sociale che è nata, potremmo dire, con la comparsa dell'essere umano su questa terra.
  Se vogliamo fare un esempio emblematico in questo senso possiamo citare la potenza militare, economica e politica, attualmente più forte del mondo, gli Stati Uniti d'America, che si è costituita a seguito di un ingente flusso di migranti europei sulle coste occidentali del nord America, un flusso che, ad ondate progressive, prima dalla sola Inghilterra, poi da diversi Stati europei, ha portato, nel corso degli anni, alla colonizzazione totale di quelle terre fino alla costa pacifica.
  I motivi di quella migrazione furono la libertà religiosa, alla quale ambivano i 102 padri pellegrini della Mayflower, ai quali Pag. 38seguirono speranza di miglioramento delle condizioni economiche e fuga da guerre devastanti per chi decise successivamente di solcare le acque dell'Atlantico.
  Libertà religiosa e libertà politica, povertà e speranza di condizioni di vita migliore, incolumità della vita messa a rischio da guerre civili e sempre più da genocidi etnici sono stati, e costituiscono ancora oggi, i motivi principali dello spostamento di masse di uomini e donne da un continente ad un altro.
  Un fenomeno e una dinamica più antropologica che sociale, che si è trasformata ormai in un'istanza politica o, se vogliamo essere più brutali ma concreti, in un problema politico, che gli Stati che costituiscono il punto di arrivo, o anche solo di transito di queste migrazioni, sono chiamati ad affrontare e risolvere.
  In questo senso, colleghi, l'Italia per la sua posizione geografica, quasi di ponte tra l'Europa e le coste nordafricane, si trova, e non solo da oggi, in prima linea sul fronte immigrazione. La politica di gestione dell'immigrazione, dunque, da un punto di vista geopolitico, dovrebbe costituire un asset strategico per il Governo italiano, qualsiasi governo e di qualunque colore politico, proprio al fine di ridurre l'impatto delle emergenze che si verificano quando, ciclicamente, in Africa, scoppiano guerre tra Stati o tra etnie di uno stesso Stato, quando carestie e crisi economica rendono ancora più povera l'economia di quelle terre.
  Ovviamente, questo scenario che ho illustrato in maniera molto sintetica e senza alcuna pretesa di esaustività, non implica un giudizio di valore o l'imposizione di una scelta tra una politica di gestione dei flussi migratori rispetto alle altre, tra una politica che, genericamente e anche impropriamente, potremmo definire esclusivamente umanitaria, dunque una politica orientata al sostegno e all'ampia accoglienza dei migranti che giungono sulle nostre coste, piuttosto che una politica che, in questo caso, genericamente e impropriamente, potremmo definire restrittiva e volta a limitare il più possibile l'arrivo e la permanenza sul nostro territorio.
  In questo senso, ogni forza politica ha un proprio orientamento, un proprio programma, degli impegni assunti davanti al corpo elettorale al momento delle elezioni e, dunque, ogni forza politica è libera di porre in essere le misure che più ritiene utili, consapevole che, poi, saranno sottoposte ad un giudizio democratico come quello del voto.
  Ho voluto fare questo accenno alle politiche, ed anche alla propaganda che ogni forza politica pone in essere su questo tema perché, personalmente, ritengo che, se partissimo proprio dalle posizioni, ci tengo a ribadire legittime, che ognuno di noi ha sull'immigrazione in quest'Aula per valutare quello che oggi stiamo esaminando, commetteremmo un grave errore.
  Oggi non siamo chiamati, infatti, a dare un giudizio sulla politica posta in campo dal Governo nei confronti dell'emergenza immigrazione, oppure a pronunciarci se la politica di amicizia con la Libia posta in essere dal Governo Berlusconi, al fine di controllo dei flussi migratori, fosse da apprezzare, come ha sostenuto qualche settimana fa il Presidente Casini, oppure fosse eticamente inaccettabile, come hanno sostenuto altri. Noi oggi siamo chiamati ad esprimere una valutazione e, successivamente un voto, su un tema molto diverso e ben preciso, quello di istituire una Commissione di inchiesta – tra l'altro solo di questa Camera – che svolga un'indagine a trecentosessanta gradi sul sistema dei CIE, dei CARA e dei centri di accoglienza, sul loro funzionamento e sulla loro validità, per capire se queste strutture vanno bene così come sono, se debbono essere modificate in parte o addirittura superate. Il giudizio di merito sul testo che è arrivato in Aula lo esprimerò a breve, ma ci tengo a sottolineare una cosa: una delle tre proposte di istituzione di Commissione di inchiesta dalle quali è scaturito questo articolato di sintesi (credo la proposta del collega Fiano) diceva esplicitamente che questa inchiesta doveva servire Pag. 39a valutare anche eventuali interventi legislativi volti a riformare l'attuale sistema.
  Ho fatto cenno a questo passaggio, senza nulla togliere agli altri due testi che personalmente ho trovato altrettanto apprezzabili in diverse parti, perché questa è l'impostazione, sempre a mio modesto avviso, che deve avere un'inchiesta parlamentare. E lo dico anche alla luce del fatto che, nell'esame per l'istituzione della Commissione Moro, della quale oggi sono componente, ho sostenuto in prima persona, prima all'interno del mio gruppo, e poi in Commissione e Aula, una posizione contraria a quella Commissione. Rispetto all'inchiesta sui CIE, invece, la mia posizione e quella del gruppo al quale appartengo è stata fin da subito, se non favorevole, certamente non contraria. Questo perché un'inchiesta parlamentare come quella sulla quale saremo chiamati a pronunciarci sembra incarnare la natura e la finalità più vera di questo importantissimo istituto riconosciuto alle Assemblee parlamentari di tutto il mondo. Se andiamo a vedere le prime inchieste parlamentari varate dal Parlamento repubblicano (non mi vergogno a dire che io l'ho fatto per documentarmi su una cosa che non conoscevo), vediamo come, nella I legislatura, il Parlamento avviò inchieste sulla disoccupazione e sulla miseria, nella II sulle condizioni dei lavoratori. Temi fondamentali, temi che in quegli anni la popolazione di uno Stato che era stato in parte letteralmente distrutto dalla guerra viveva quotidianamente sulla propria pelle. Temi dunque drammaticamente attuali che i nostri colleghi di allora, consentitemi di dirlo, con grande senso di umiltà, vista la caratura di molti di loro, hanno ritenuto di approfondire e di dover toccare con mano. Oggi, con un'inchiesta parlamentare su un tema come i centri di accoglienza, ci si può ricollegare a quello spirito, perché, con queste strutture e con una primissima gestione dei migranti, noi dobbiamo comunque fare i conti e valutare quali siano le soluzioni migliori a disposizione, sia che abbiamo una visione fortemente restrittiva, sia che abbiamo una visione ampiamente tollerante dell'immigrazione, perché, né in un caso né in un altro, si può pensare di lasciare a piede libero sul nostro territorio uomini e donne non identificati e di cui non conosciamo le mete finali o gli obiettivi di vita. I centri di identificazioni ed espulsione sono stati introdotti nel nostro ordinamento ormai dal 2008, con uno dei decreti sicurezza dell'allora Ministro Maroni. L'articolo 9 di quel decreto, relativo ai CIE, non ha fatto altro che sostituire queste strutture ai centri di permanenza temporanea introdotti addirittura dalla legge n. 286 del 1992.
  Poiché, dunque, sono funzionanti ormai da molti anni strutture finalizzate al primo concentramento di migranti che debbono essere identificati e poiché sovente in queste strutture si sono verificati episodi che hanno attirato l'attenzione delle cronache a seguito di maltrattamenti (fughe o rivolte, a seconda dei casi), l'ipotesi di fare il punto, di procedere ad una sorta di tagliando per capire se, ad anni di distanza, tali strumenti abbiano prodotto l'effetto per il quale sono stati istituiti, misurarne l'efficienza e valutare sulla base dei fatti l'ipotesi di soluzioni alternative è una tesi certamente valida e che merita di essere valutata con attenzione. Anche perché, al di là della propaganda, è nostro dovere toccare con mano e capire se, in realtà, c’è, a nostra insaputa, una sorta di «arcipelago gulag» – ovviamente di bassa intensità –, se c’è in piedi invece un sistema che magari non lede i diritti umani ma funziona male e soprattutto sperpera risorse, o se invece il sistema regge.
  Colleghi, io francamente non lo so, ho delle opinioni o meglio delle sensazioni che nascono dalla lettura di qualche articolo, ma se la Camera dei deputati riesce a definire un quadro ben preciso e documentato di queste realtà, credo sia vantaggioso non solo per tutti noi, ma in primo luogo per i cittadini, che, se lo vorranno, potranno documentarsi nel merito. D'altronde, che il tema dei CIE sia al centro dell'attenzione del Parlamento lo dicono le statistiche degli atti prodotti Pag. 40nella scorsa legislatura e in quella attuale. Nella XVI legislatura i soli atti di indirizzo e controllo su questo tema sono stati 167 alla Camera dei deputati e 102 al Senato. Nella legislatura in corso attualmente erano, all'inizio dell'iter in Commissione, 43 alla Camera e 41 al Senato. Avviandomi a concludere, perché, al di là dei tempi concessi dal calendario, sono stato già abbastanza lungo, si è capito dalle mie argomentazioni che la posizione del gruppo MoVimento 5 Stelle è favorevole a questa proposta di istituire una Commissione d'inchiesta.
  Siamo favorevoli perché riteniamo che in Commissione, ed in particolare in sede di Comitato ristretto, si sia svolto un buon lavoro da parte di tutti i gruppi interessati ad offrire un contributo costruttivo.
  Pur non avendo una nostra proposta depositata sul tema, siamo stati noi a proporre la costituzione di un Comitato ristretto e, in quella sede, ad offrire un contributo attivo per arrivare ad un testo di sintesi esaustivo. In questo senso debbo riconoscere e dare atto agli altri gruppi che molte delle istanze che avevamo posto sono state accolte.
  Proprio alla luce dei risultati ottenuti, voglio dare atto al relatore, onorevole Migliore, di aver svolto un lavoro eccellente, per non aver svolto il suo ruolo sulla base di un indirizzo già determinato a priori, ma con apertura al confronto nel merito alle proposte di metodo e di merito giunte dalle diverse parti. Lo voglio sottolineare questo, purtroppo, che la gestione del ruolo di relatore in I Commissione è stata spesso, se non quasi sempre, volta in maniera troppo orientata politicamente, anche su temi sui quali si poteva arrivare, almeno per quanto attiene alla redazione di un testo unificato, ad una maggiore collaborazione e soprattutto da parte nostra (si veda la legge elettorale e il conflitto di interessi).
  Concludendo, signor Presidente, la valutazione del gruppo MoVimento 5 Stelle è favorevole rispetto all'istituzione di una Commissione di inchiesta su CIE, CARA e centri di accoglienza, ed è per questo che posso annunciare fin da ora che presenteremo un numero molto limitato di emendamenti sul solo articolo 5, per porre un principio e sollecitare una riflessione che riteniamo di sottoporre all'Aula nel suo plenum, principio sul quale avrò modo di tornare e illustrare quando arriveremo alla fase emendativi (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei).

  PRESIDENTE. Saluto gli studenti del Secondo ciclo didattico Giovanni XXIII di Triggiano, Bari, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  È iscritto a parlare il deputato Rocco Palese. Ne ha facoltà.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, onorevoli colleghi e rappresentanti del Governo, il gruppo di Forza Italia condivide la proposta che è stata presentata per l'istituzione di una Commissione di inchiesta sui centri di identificazione ed espulsione e sui centri di accoglienza per richiedenti asilo.
  Senza ripetere tutte le motivazioni che hanno determinato i colleghi che hanno presentato questa proposta di legge di istituzione di questa Commissione, ritenendo di sposare le motivazioni che stanno a monte di questa iniziativa, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nicola Fratoianni. Ne ha facoltà.

  NICOLA FRATOIANNI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, colleghe, la legislazione italiana in materia di immigrazione è fondata su due assunti entrambi incapaci di rispondere ad una vicenda complessa come quella di cui oggi discutiamo. Da un lato, una legislazione nata nel segno dell'esclusione della cultura del respingimento, della chiusura dei rubinetti nel segno di una idea: quella per la quale sia possibile – se non, per alcuni, addirittura auspicabile – impedire i flussi Pag. 41migratori, cioè lo spostamento di grandi masse da un Paese all'altro in cerca di condizioni migliori talvolta, spesso sempre di più, in fuga da condizioni invivibili come quelle che si producono nelle zone di conflitto o in quelle zone in cui la persecuzione, per cause religiose o razziali è fenomeno perfino endemico. Pensando che appunto sia possibile, se non auspicabile, impedire che questo fenomeno si produca, è del tutto impensabile immaginare che un fenomeno strutturale destinato non solo a durare, ma ad essere norma nel mondo globalizzato, possa essere impedito a partire da qualsivoglia legislazione.
  Dall'altro, le nostre politiche sono improntate a certe esigenze, anche quando producono risultati importanti. Lo voglio dire con chiarezza qui al Governo e alla maggioranza, penso a Mare Nostrum, uno sforzo positivo che ha avuto il merito indubbio e importantissimo di salvare migliaia di vite umane dal ripetersi – pericolo peraltro non scongiurato, come ha ricordato anche il relatore all'inizio di questa discussione – di tragedie come quella che dette il «la» all'operazione «Mare Nostrum», quella del 3 ottobre di un anno fa, la più grande tragedia del Mar Mediterraneo, almeno di quelle conosciute e recensite. Ma anche una scelta come quella di Mare Nostrum vive nell'ambito di quello che è il secondo pilastro della nostra politica in materia di dichiarazione: quello dell'emergenza.
  Anche qui, vede, signor sottosegretario, la cultura dell'emergenza non risponde in nessun modo alle caratteristiche del fenomeno che abbiamo di fronte, avremo per questo bisogno di riscrivere completamente la nostra normativa sull'immigrazione, a cominciare dagli aspetti che ne definiscono le politiche di accoglienza, dal diritto d'asilo, di cui peraltro discuteremo al termine di questo dibattito a proposito di alcune mozioni presentate su questo. In particolare, la vicenda delle strutture di accoglienza e, se posso dirlo, dei CIE, rappresenta il punto di caduta di questo doppio errore. I CIE sono luoghi di sospensione della democrazia, delle libertà fondamentali, della dignità della persona.
  Vede, io sono molto contento che oggi si avvii in quest'Aula la discussione su questa proposta di legge e per questo voglio ringraziare tutti coloro e tutte coloro che vi hanno partecipato, a cominciare dal relatore e da tutti i deputati e le deputate della I Commissione, dalla Presidenza della Camera, che ne ha favorito la calendarizzazione, non solo perché sono uno di coloro che ha avanzato per primo una proposta di legge in merito, ma perché penso che forse i risultati ottenuti da una Commissione d'inchiesta di questo Parlamento avranno una voce più autorevole di quella di chi, come me e come molti altri in queste Aule, da quando è stato eletto e molto prima, quando non era deputato, ha provato a raccontare quello che nei CIE succede.
  Vedete, i compiti di questa Commissione, definiti da un ottimo lavoro di sintesi delle tre proposte di legge, che ha preso il meglio dei tre testi che erano stati presentati, sono per la verità compiti i cui esiti sono già conosciuti da parte di chi ha avuto anche la possibilità, se non la voglia e il coraggio, di andarci in qualche CIE qualche volta a vedere quello che succede. Si dice nel testo di questa legge che questa Commissione dovrà verificare se nei CIE ci siano comportamenti o atti illegali che ledono la dignità delle persone lì trattenute. Il relatore, l'onorevole Migliore, ha definito un lapsus la parola «detenuti», ma in realtà non è un lapsus, è la verità: chi si trova in un CIE non è lì trattenuto, è un detenuto in condizioni perfino peggiori di quelle che vive chi si trova detenuto in un carcere, dove almeno esiste un diritto carcerario che stabilisce in modo preciso quali sono i diritti e i doveri di chi vive la condizione dell'espiazione di una pena. Ecco, chi sta in un CIE non sa nemmeno questo, nei CIE non è regolato nemmeno questo.
  Allora, chi farà parte di questa Commissione farà molto presto a verificare nei cinque rimasti – lo voglio dire non perché ci sia stato qualche illuminato intervento, sono rimasti in cinque perché gli altri Pag. 42cinque sono stati chiusi dalla dignità e dalla resistenza di chi lì era detenuto e trattenuto, dalle loro rivolte, che hanno più volte provocato feriti e qualche volta anche qualche decesso – scoprirà presto che lì di atti illegali ce ne sono tutti i giorni, sono gli atti illegali che innanzitutto violano la norma, perfino la norma che era stata scritta per far funzionare quelle strutture. Sono atti illegali che hanno a che fare con la condizione che non ha niente a che vedere con la parola dignità di chi vi è rinchiuso, in condizioni igieniche spesso molto precarie, in condizioni nelle quali la possibilità di accedere ai servizi minimi, da quelli che hanno a che fare con la tutela della salute, in particolare quella mentale, che hanno a che fare con la possibilità di avere relazioni continue e qualificate con i propri legali, cioè con chi dovrebbe verificare la possibilità di ciascuno di difendersi e di testimoniare della propria condizione, ma sarà facile verificare come la dignità sia lesa dal fatto che chi si trova lì si trova spesso lì non perché ha compiuto un reato, ma perché si è trovato nella condizione, spesso non dipendente anzi, quasi mai dipendente dalla propria volontà, di non avere un documento di riconoscimento, cioè non nella condizione di chi commette una colpa, ma di chi è vittima di una condizione non voluta e non scelta. Ecco, chi farà parte di questa Commissione farà presto a verificare come questi centri non solo non siano una risposta, ma siano la peggiore soluzione anche dal punto di vista economico, perfino dal punto di vista della bilancia commerciale.
  Questo è un Paese – bisognerebbe ricordarlo anche a coloro che non hanno particolare sensibilità per questo tema – che continua ogni anno a guadagnare dalla presenza dei migranti che pagano le tasse, che lavorano qui, che spesso e volentieri mandano parte del proprio stipendio nei propri Paesi e che quasi mai usufruiscono, anche quando hanno la fortuna di ottenere dei contratti regolari, dei benefici pensionistici che si ottengono a un certo punto della vita, quando spesso e volentieri quei migranti sono tornati nel loro Paese o hanno magari cercato un altro posto dove vivere.
  Ecco, io spero – come dicevo all'inizio e concludo subito – la voce di una Commissione d'inchiesta possa ottenere l'ascolto che le centinaia di atti di sindacato ispettivo, che prima venivano ricordate dal collega del MoVimento 5 Stelle non hanno mai ottenuto, che possano ottenere l'ascolto le infinite notizie di cronaca sui casi di autolesionismo. Vi ricordate, solo qualche mese fa, al CIE di ponte Galeria, gli immigrati che si cuciono letteralmente la bocca, non in senso metaforico, per testimoniare una situazione insopportabile da ogni punto di vista ? Ebbene, nessuna di queste vicende ha ottenuto l'ascolto necessario, quello che avrebbe dovuto far fare una cosa semplice a un Governo capace di intervenire in modo radicale su una questione come questa e cioè chiudere quelle strutture e dare il via ad una riorganizzazione radicale del sistema di accoglienza, rivedere persino in strutture come i CARA, completamente diverse, e da non confondere, i meccanismi che hanno determinato un gigantismo, che anche in questo caso determina un peggioramento delle condizioni di vita, persino un peggioramento delle condizioni di chi lì opera, che siano agenti di pubblica sicurezza o personale delle cooperative che spesso li gestiscono.
  Spero che questa Commissione possa finalmente far luce sul sistema di appalti e di convenzioni, che è quasi sempre poco trasparente. Persino quando ho avuto la fortuna, da qualche mese da deputato, di poter svolgere le ispezioni che svolgevo prima in altra funzione, o che cercavo di svolgere in altra funzione, ho avuto difficoltà ad accedere al dettaglio delle convenzioni che regolano i rapporti tra lo Stato e gli enti gestori di questi centri.
  Ecco, io spero che alla fine di questo lavoro – un anno anche a me sembra un tempo sufficiente, a patto che il lavoro sia serrato e sereno, con il piglio e la determinazione necessaria – una volta raccolto un risultato che – ripeto – purtroppo, non lo dico per sicumera, io, come molti altri Pag. 43conosciamo già – e dico purtroppo perché conoscerlo già significa che da troppo tempo si denuncia una situazione a cui non si dà risposta – quando quel risultato sarà finalmente, e sulla base del lavoro della Commissione di inchiesta, patrimonio del Parlamento, spero che allora finalmente si possa mettere in campo anche qualche soluzione che cancelli questa vergogna, che faccia di questo un Paese un po’ più civile.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Invernizzi. Ne ha facoltà.

  CRISTIAN INVERNIZZI. Signora Presidente, il lavoro di una Commissione di inchiesta sui centri di accoglienza, centri di accoglienza per richiedenti asilo e centri di identificazione ed espulsione sarà sicuramente complesso perché dovrà tenere conto delle diverse funzioni dei centri sopra indicati, in pratica dei diversi scopi per cui viene disposto il trattenimento, quali siano le cause ostative, e rimuoverle se gli stessi non raggiungono gli obiettivi prefissati dalle leggi, e bisogna considerare anche la loro capienza e operatività.
  C’è un denominatore comune però, come dispongono anche le fonti normative europee, sia che si tratti di richiedenti asilo, sia che si tratti di clandestini in attesa di espulsione, e cioè che le persone ospitate hanno diritti, ma anche obblighi.
  L'articolo 16 della direttiva Rimpatri (2008/115/CE) per i CIE dispone il trattenimento «di norma in appositi centri di permanenza temporanea» o se lo Stato non possa anche «in un istituto penitenziario» separatamente dai detenuti ordinari, al comma 5 parla espressamente di «diritti» ma anche di «obblighi» di cui i trattenuti debbano essere informati.
  L'articolo 20, comma 5, della nuova direttiva Accoglienza (2013/33/UE) per i richiedenti asilo: dispone che «gli Stati membri possono prevedere sanzioni applicabili alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza».
  Questo è importante ribadirlo, affinché il lavoro della Commissione non sia falsato nelle conclusioni a cui arriverà.
  Con riguardo alla capienza, operatività ed anche sulle condizioni di trattenimento, occorrerà tenere presente, inoltre, il comportamento dei trattenuti, se hanno danneggiato le strutture o le hanno rese non agibili o incapaci di dare adeguata accoglienza, se si sono fatti autori di atti di violenza nei confronti delle forze dell'ordine e hanno dimostrato la totale mancanza di integrazione e volontà di rispettare le regole del Paese ospitante. Occorrerà tenere presente anche la necessità di adeguare le politiche in materia di immigrazione alla capacità recettiva e ai costi e non viceversa.
  Se non possiamo accogliere in maniera adeguata oltre un certo numero di richiedenti asilo, se non riusciamo a espellere i clandestini, allora occorrerà vigilare più attentamente sulle frontiere e chiudere gli ingressi. Caso emblematico è quello dei CIE. La necessità della presenza dei CIE, ossia, appunto, centri di identificazione ed accoglienza, è disposta dalle stesse norme dell'Unione europea che, in base alla direttiva n. 2008/115/CE, cosiddetta appunto «rimpatri», impone agli Stati aderenti, tra cui l'Italia, il trattenimento nei CIE dei soggetti clandestini e irregolari. La direttiva, infatti, così dispone: «fatto salvo l'arresto iniziale da parte dell'autorità incaricata dell'applicazione della legge, il trattenimento dovrebbe avvenire presso appositi centri di permanenza temporanea».
  Di più, la direttiva 2008/115/CE pone come obbligo agli Stati quello di procedere al rimpatrio «di qualunque cittadino di un Paese terzo, il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare» – punto 1, articolo 6 – «al fine di agevolare la procedura di rimpatrio si sottolinea la necessità di accordi comunitari e bilaterali di riammissione con i Paesi terzi» (punto 7).
  La Commissione straordinaria per la tutela e promozione dei diritti umani ha svolto, nel corso del 2013 e nei primi mesi del 2014, uno studio sistematico sulla situazione dei centri di identificazione ed espulsione. Nel 1998 i centri, allora denominati CPT, erano addirittura 23. Attualmente, dagli 11 centri di identificazione ed Pag. 44espulsione presenti in Italia – Bari, Bologna, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Gorizia, Milano, Roma, Torino, Trapani e Trapani Milo – solo 5 sono funzionanti; 21 sono temporaneamente chiusi per lavori o perché in attesa della definizione delle procedure di aggiudicazione della gestione; il CIE di Trapani è in via di riconversione in centro di accoglienza per richiedenti asilo; i centri di Bologna e di Milano, dal mese di agosto 2014, sono utilizzati come centri di prima accoglienza. È dunque assolutamente necessario che venga ripristinata la funzionalità del CIE e che vengano rimosse tutte le cause ostative ad una loro piena operatività.
  Dai dati del Ministero dell'interno, al 4 febbraio 2014, su una capienza complessiva di 1.791 posti, risulta che la capienza effettiva, cioè i posti disponibili, è di soli 842 posti. Al 13 febbraio 2014 le presenze erano 460, al 4 marzo 469. A luglio 2014 il Ministro dell'interno, Angelino Alfano, ha dichiarato che i posti disponibili a quella data erano 500.
  La maggior parte dei centri che erano operativi in quella data funzionava a scartamento ridotto per ragioni di sicurezza o perché molti settori erano inagibili oppure danneggiati. Tutti i centri visitati dalla Commissione ospitavano un numero di immigrati ben inferiore alla loro effettiva capienza. Il CIE di via Corelli a Milano è stato chiuso per lavori di ristrutturazione alla fine di dicembre 2013 e poi è stato tramutato in CARA. I CIE di Trapani e quello di Brindisi sono stati chiusi nel giugno 2012; il centro di Lamezia Terme è stato chiuso nel novembre 2012. I CIE dell'Emilia Romagna sono stati chiusi a febbraio (Bologna) e agosto 2013 (Modena) per lavori di ristrutturazione, dopo che le prefetture, di fronte a esiti critici relativi alle condizioni di vita dei trattenuti e alla gestione complessiva, avevano revocato gli appalti all'ente che se li era aggiudicati con gare al ribasso. I centri di Bologna e di Milano, dal mese di agosto 2014, sono utilizzati come centri di prima accoglienza temporanei per i profughi sbarcati sulle coste siciliane.
  Secondo i dati del Ministero dell'interno, gli stranieri trattenuti nei CIE, nel corso del 2013, sono stati 6.016 (5.431 uomini e 585 donne), dei quali 2.749 sono stati effettivamente rimpatriati. Nel 2014, al 9 luglio, i trattenuti risultano essere 2.124, di cui 1.036 rimpatriati.
  Nel 2012 sono stati 7.944 i trattenuti in tutti i CIE e di questi solo la metà, 4.015, sono stati rimpatriati. Il tasso di efficacia, quindi il rapporto tra rimpatriati e trattenuti, nel 2013 è risultato inferiore del 5 per cento rispetto all'anno precedente, vale a dire 45,7 per cento nel 2013 rispetto al 50,5 per cento nel 2012.
  Nella prima metà del 2014, periodo quindi che va da gennaio a giugno, i tempi medi di permanenza nei vari CIE sono stati i seguenti: 55 giorni nel CIE di Bari; 24 giorni in quello di Caltanissetta; 32 giorni nei CIE di Roma e di Torino; 50 giorni nel CIE di Trapani.
  Confrontando i dati sui rimpatri effettivi con quelli sui tempi di permanenza, è chiaro che le proposte, da ultimo, di ridurre i tempi di permanenza nei CIE a novanta giorni, mentre – ricordo – è la stessa «direttiva rimpatri» a stabilirne il termine in diciotto mesi al fine di giungere all'effettivo allontanamento dal territorio dello Stato, non fanno che inficiare il compito e il ruolo di tali centri.
  Occorre invece riportare tali centri al loro originario e legittimo ruolo, valutando eventualmente anche la possibilità di adottarne uno per ogni regione e valutando quali strumenti più idonei siano necessari per dare attuazione o rinnovare gli accordi con i Paesi di origine.
  Mancando un'azione comune a livello comunitario, occorre, infatti, da parte dei Governi, una rigorosa legislazione di contrasto all'immigrazione clandestina, continua cooperazione internazionale con i Paesi di origine per la stipula o il rinnovo di accordi sia con riguardo alle operazioni di controllo dei confini, soprattutto di quelli costieri, sia per velocizzare e agevolare le operazioni di rimpatrio dei clandestini; anche in questo caso, sono i numeri a dimostrare la validità di tale sistema: ad esempio, dal maggio 2009, a Pag. 45seguito dell'accordo stipulato dal Ministro dell'interno pro tempore Maroni tra l'Italia e la Libia, prima della guerra, il flusso di sbarchi di immigrati era quasi cessato, passando da 39 mila persone nel 2008 a 450 nel 2009.
  Infine e con riguardo agli altri centri di accoglienza, occorre riflettere su chi stiamo accogliendo e perché: secondo gli ultimi dati pubblicati sul sito del Ministero dell'interno in merito alle richieste di asilo, tra le principali nazionalità dei richiedenti asilo, sia per il 2013 che per il 2014, non compare né la Siria né l'Eritrea, mentre da agosto 2013 a settembre 2014 le variazioni percentuali più consistenti, ossia l'aumento delle richieste di asilo, sono state registrate da Bangladesh (più 615 per cento), Senegal (più 556 per cento), Gambia (più 508 per cento), mentre la Siria ha avuto un calo delle domande del 17 per cento e l'Eritrea del 76 per cento. Con riguardo agli esiti delle domande, a luglio 2014 su 4.135 domande esaminate a 376 è stato riconosciuto lo status di rifugiato, cioè a meno del 10 per cento.
  Quindi, in conclusione, signora Presidente, anche noi siamo più che contenti che vi sia l'istituzione di una Commissione per analizzare approfonditamente un sistema di accoglienza nel nostro Paese. Sentendo però gli interventi che mi hanno preceduto, siamo convinti che magari alle spalle di questa decisione vi è la volontà di andare ad analizzare il sistema dei CIE non tanto per valutarli insieme in modo da far sì che diventino più funzionali ed efficaci, quanto magari per ravvisarne tutti quegli elementi necessari alla giustificazione di una loro definitiva chiusura. Noi pertanto, come Lega Nord, collaboreremo sicuramente e in modo leale a tutta l'operazione. Annuncio fin da ora che, a differenza di altri gruppi politici e non per mero istinto di ostruzionismo, presenteremo tanti emendamenti appunto per far sì che questa importante – ripeto – operazione che coinvolge tutta l'Aula abbia la finalità non tanto di chiudere semplicemente i CIE e gli altri centri ad essi in qualche modo paragonabili, ma per far sì che un sistema di identificazione e di espulsione all'interno del nostro Paese sia sempre più razionale ed efficace.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo – Doc. XXII, nn. 18-19-21-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Migliore.

  GENNARO MIGLIORE, Relatore. Signora Presidente, la mia sarà una replica molto breve. Ringrazio coloro i quali sono intervenuti e anche chi ha depositato l'intervento.
  È evidente che l'appello che mi sento di rivolgere è quello ad accelerare i tempi per la definitiva approvazione di questa Commissione; ovviamente, valuteremo con serenità tutti i contributi emendativi che verranno portati avanti. È chiaro che, nella condizione nella quale ci troviamo, indipendentemente dalle posizioni di partenza, poter avere in campo, già in tempi brevi, una Commissione di inchiesta che, insisto nel dire, ha un mandato molto limitato, quello di un anno, è utile soprattutto per accertare la verità.
  Conoscere per agire è sempre un principio al quale dovremmo ispirarci, e, in questo senso, auspico che i presidenti dei gruppi, la Conferenza dei presidenti di gruppo possa definire già nei prossimi giorni il calendario per la discussione e l'approvazione. Grazie a tutti e rinnovo i ringraziamenti agli uffici e a coloro i quali hanno fattivamente collaborato – ovviamente, in primo luogo, i colleghi di tutti i gruppi parlamentari – alla realizzazione di questo primo passaggio.

  PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica.
  Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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Discussione delle mozioni Nicoletti ed altri n. 1-00603, Santerini ed altri n. 1-00604 e Manlio Di Stefano ed altri n. 1-00605 concernenti iniziative in materia di diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, con particolare riferimento alla revisione del regolamento dell'Unione europea noto come «Dublino III» (ore 17,20).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Nicoletti ed altri n. 1-00603, Santerini ed altri n. 1-00604 e Manlio Di Stefano ed altri n. 1-00605, concernenti iniziative in materia di diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, con particolare riferimento alla revisione del regolamento dell'Unione europea noto come «Dublino III» (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta dell'8 ottobre 2014.
  Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Palazzotto ed altri n. 1-00616, Dorina Bianchi e Misuraca n. 1-00617 e Matteo Bragantini ed altri n. 1-00618, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare il deputato Michele Nicoletti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00603. Ne ha facoltà.

  MICHELE NICOLETTI. Signor Presidente, colleghe e colleghi, la mozione che abbiamo presentato e oggi discutiamo, nasce da un'iniziativa analoga che con la delegazione italiana all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa abbiamo messo in atto e che aspira a mettere in atto iniziative simili all'interno di altri Parlamenti, per richiamare, ancora una volta, l'attenzione dei nostri Governi sul dramma dei richiedenti asilo e dei rifugiati e sulla necessità di una risposta unitaria e coordinata da parte dell'Unione europea.
  Si tratta ormai di centinaia di migliaia di persone – è stato ricordato più volte anche nel dibattito precedente – che le tragedie della guerra e delle persecuzioni mettono in condizione di fuggire e di chiedere rifugio e asilo nel nostro e in molti altri Paesi europei, e si tratta anche delle difficoltà dei nostri Paesi di rispondere in modo adeguato a questo dramma.
  Il primo scopo di questa mozione è proprio richiamare l'attenzione su questa sofferenza. Anche a questo servono le istituzioni parlamentari, a dare voce, nel cuore della sovranità popolare, alle sofferenze delle persone. Per questo, mi permetto di dire che noi non siamo tra coloro che pensano che, se il Parlamento chiudesse per sei mesi, nessuno se ne accorgerebbe.
  Noi la pensiamo come Cavour, che era anch'egli di Torino, che usava dire che la peggiore delle Camere è sempre da preferirsi alla migliore delle anticamere e che non era mai così inquieto come quando la Camera era chiusa.
  Se la nostra Camera, con tutti i suoi difetti, le sue debolezze, non chiude mai è perché rimane fedele a quell'idea che i cittadini devono poter avere sempre un luogo aperto, dove poter far sentire la loro voce, attraverso coloro che hanno eletto. E per questo è sembrato a noi urgente, necessario, tornare a richiamare l'attenzione su questo tema, e ringraziamo la Presidenza della Camera per la sensibilità che ha dimostrato, accogliendo la nostra richiesta anche in tempi molto brevi, nonché per le indicazioni concrete sul tema che, a più riprese, ci ha offerto.
  Questa mozione si propone di impegnare il Governo ad un'incisiva azione di revisione della disciplina europea del diritto d'asilo prevista dalla cosiddetto Regolamento di Dublino III. L'urgenza è data dal desiderio di rafforzare l'azione del Pag. 47Governo italiano in sede europea durante il semestre di Presidenza, per chiedere con forza una politica comune all'altezza del rispetto dei diritti. A dire il vero, Presidente, maggiore forza avrebbe il nostro Paese nel chiedere, se avesse provveduto a darsi una legge organica sul diritto d'asilo che, come sappiamo, è ben scritto dentro la nostra Costituzione, ma non può poggiare ancora su una legislazione efficace e coerente. Questa mozione vorrebbe richiamare anche il Parlamento al suo dovere di legiferare in materia. Da più parti la nostra Assemblea legislativa, e spesso a ragione, è fatta oggetto di critiche per il suo immobilismo in materia di diritti, noi vorremmo uscirne. Noi crediamo che spetti al Parlamento, in primo luogo, legiferare in materia di diritti fondamentali e che tale compito vada svolto con riguardo esclusivo alla preoccupazione di meglio tutelare le persone; non è questa, in primo luogo, materia di Governo. È nella sede del Parlamento che può trovare spazio quella discussione plurale e quella ricerca di mediazioni legislative che non è frutto di scambio, ma di bilanciamento tra i diversi diritti, come insegnato dalla nostra Costituzione. Non abbia, dunque, paura il Governo a fare ciò che in altri tempi, altri Governi, hanno fatto materia di diritti, lasciando al Parlamento tutta la sua responsabilità in materia.
  L'obiettivo della mozione è, dunque, quello di definire un più adeguato sistema di asilo europeo, superando l'attuale disciplina. È un obiettivo che in sede di Assemblea del Consiglio d'Europa ha trovato un accordo trasversale di diverse forze politiche sia nazionali che europee, e per questo ci auguriamo che, attraverso la discussione di questa mozione e delle altre mozioni, anche nel nostro Parlamento si possa giungere a forti convergenze.
  Dobbiamo dire, innanzitutto, che questa iniziativa si basa sulla riaffermazione del valore fondamentale del riconoscimento e della tutela del diritto di asilo. Nella discussione su questi temi, l'abbiamo sentito in Aula anche la settimana scorsa, emergono ogni tanto posizioni che paiono mettere in discussione il diritto di asilo, in quanto tale, che vorrebbero farci ritornare al sistema dell'indifferenza, al chiudere gli occhi, oltre che le frontiere, a quanti altrove sono perseguitati. Dovrebbe essere superfluo ricordare che su questo punto, le tradizioni laiche e religiose, che sono alla base della nostra civiltà, convergono unanimemente. Di fronte alla tragedia della guerra che colpisce gli inermi, crea vittime e fuggiaschi, di fronte alla tragedia dei regimi oppressivi che violentano le persone e impediscono loro di essere stesse se, ciò che noi chiamiamo umanità, ciò che noi chiamiamo civiltà, ha elaborato nei secoli solo una risposta, quella del prendersi cura. I principi del diritto internazionale cosmopolitico l'hanno sancito con chiarezza, da più di duecento anni, individuando proprio in questo punto, quello della non indifferenza nei confronti della violazione del diritto in qualsiasi parte del globo, e dell'obbligo di riconoscere ad ogni individuo il suo status di cittadino del mondo e, dunque, il suo diritto di cercare altrove un rifugio all'eventuale oppressione, il necessario complemento al diritto interno degli Stati al tradizionale diritto delle genti. Il diritto globale nasce anche, e proprio, sulla risposta alla sofferenza di coloro che sono privi della protezione del loro Stato di appartenenza. Il più recente diritto internazionale continua a muoversi sulla scia di questo obbligo, quello della responsabilità di proteggere.
  Se il diritto di asilo si trova scritto nelle dichiarazioni e nelle carte dei diritti a livello internazionale europeo, se si trova codificato nella nostra e in altre Costituzioni, è il frutto di una reazione al sistema della persecuzione e al sistema dell'indifferenza che ha prevalso nelle pagine nere dei regimi totalitari della Seconda guerra mondiale. Persone e popoli, spogliati dei loro elementari diritti di cittadinanza allora, si sono trovati spogliati della loro umanità e, di fronte a questo, i nostri ordinamenti hanno tentato di reagire.
  Chi, dunque, pensa di tornare ai respingimenti sbaglia, non solo perché si pone al di fuori di queste tradizioni etiche, giuridiche, che sono alla base della nostra Pag. 48vita collettiva, ma anche perché ignora che negli anni recenti la pratica dei respingimenti ci ha valso condanne della Corte europea dei diritti umani ed è costantemente rigettata da tutte le direttive dell'Unione europea in materia.
  Mare Nostrum non è, come qualcuno ha detto, «male nostrum», ma è un'operazione che, oltre ad avere salvato migliaia di vite umane, ha riabilitato l'immagine del nostro Paese, che ha testimoniato, di fronte a tutta l'Europa, la sua volontà di rimanere fedele a se stesso, Paese dell'umanesimo e non della disumanità.
  Ciò che noi, però, oggi chiediamo con forza, è un sistema di asilo europeo. La dimensione del fenomeno lo richiede, per rispetto a chi chiede asilo ed anche ai Paesi che devono farsi carico dell'accoglienza. Non è una stravaganza. Così come il Trattato europeo sta definendo progressivamente lo status di cittadino europeo, così oggi si tratta di arrivare allo status europeo di rifugiato. Lo prevede il Trattato stesso, che considera questa materia come materia comune, e lo prevede con chiarezza il Programma di Stoccolma, che nel suo Piano di azione, deliberato nel 2010 dalla Commissione europea, afferma con chiarezza: nei prossimi anni occorrerà concentrarsi sul consolidamento di un'autentica politica comune di immigrazione e di asilo. L'attuale crisi economica non può intralciare le ambizioni e la determinazione dell'Unione europea in questo campo. Occorre osservare gli obblighi che impongono il rispetto del diritto fondamentale all'asilo, compreso il principio del non respingimento. L'istituzione del sistema europeo comune di asilo e dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo devono garantire uno status uniforme, norme di protezione comuni nell'Unione europea di livello elevato ed una procedura comune di asilo, tenendo presente l'obiettivo a lungo termine del riconoscimento reciproco. La solidarietà tra Stati membri e con quanti subiscono persecuzioni nel mondo sarà al centro della politica di asilo e di ricollocazione. Come si vede in questo deliberato del 2010 della Commissione europea, è la stessa Commissione che afferma con chiarezza il principio del riconoscimento reciproco, che il Governo italiano ha posto con forza in sede di Consiglio europeo e che noi vogliamo riaffermare nella mozione.
  Non chiediamo all'Unione europea nulla di nuovo, se non l'attuazione di quanto da lei stessa deliberato. In questo senso dobbiamo riconoscere che la revisione del regolamento di Dublino nel 2013 è stata un'occasione perduta: si sono introdotti elementi di elasticità ma del tutto insufficienti rispetto alle dimensioni del problema. La rigidità del principio del Paese di prima accoglienza, come Paese competente a valutare la domanda di asilo e a garantire protezione in via esclusiva, ha posto i problemi che tutti conosciamo in ordine all'identificazione ed al controllo dei richiedenti asilo.
  I nostri partner ci richiamano oggi giustamente ai doveri di identificazione dei richiedenti asilo. Senza questo è difficile assistere le persone e sottrarle ai traffici clandestini e al tempo stesso costruire un sistema basato sulla mutua fiducia tra gli Stati. Ma, per potere fare questo senza misure lesive dell'integrità fisica delle persone, occorre costruire un sistema più accogliente.
  Sulla necessità di costruire un sistema integrato si è soffermato il Consiglio europeo del 26 e 27 giugno scorso e anche il Consiglio Giustizia e Affari interni del 9 e 10 ottobre scorso, in cui di nuovo la Presidenza italiana si è impegnata per avviare un dibattito di medio-lungo periodo sul mutuo riconoscimento delle decisioni di asilo, punto di arrivo nella costruzione del sistema di asilo comune europeo.
  Per questo la nostra mozione impegna il Governo a rivedere il regolamento «Dublino III», ponendo al centro il rispetto e la protezione dei diritti umani dei rifugiati, compatibilmente con le possibilità dei Paesi ospitanti, provvedendo efficacemente alla loro identificazione.
  Si chiede un omogeneo sistema europeo, che preveda la possibilità, anche al di fuori del territorio dei Paesi membri, in collaborazione con l'Alto Commissariato Pag. 49per i rifugiati delle Nazioni Unite, di collaborare a questo sistema comune. Si propone di passare a un sistema per quote, definite sulla base degli indici demografici ed economici, in modo da rispondere secondo un criterio di efficacia e di solidarietà.
  Si chiede un sistema di mutuo riconoscimento, in modo da garantire una libertà di stabilimento del beneficiario compatibilmente con le possibilità dei diversi Paesi. E, infine, si chiede l'istituzione di un'Agenzia europea per l'asilo e l'immigrazione anche al di fuori del territorio dell'Unione europea, favorendo l'utilizzazione delle sedi diplomatiche già esistenti in alcuni Paesi africani.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO (ore 17,37)

  MICHELE NICOLETTI. Su questi impegni e su altri, che saranno arricchiti dalle mozioni a questa collegate, noi ci auguriamo che si possa sviluppare un'ampia discussione e che il Governo possa rispondere positivamente a queste aspettative.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Santerini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00604. Ne ha facoltà.

  MILENA SANTERINI. Signor Presidente, colleghi, in questi giorni il mondo è scosso dagli eventi che si stanno verificando in Iraq, in Siria, complessivamente nel medio e vicino Oriente. E le immagini della città siriana di Kobane, al confine con la Turchia, sul punto di cadere per mano dell'esercito islamico, senza che il mondo si muova, e le immagini di Aleppo assediata, città simbolo di una secolare convivenza multiculturale, ci raggiungono e ci interrogano.
  Alla commozione, però, non segue spesso un'azione concreta, rapida e incisiva; anzi, avviene una curiosa amnesia: si piange per la guerra là, ma spesso non si dà sostegno concreto qui a chi scappa dalla stessa guerra. Parlo dei profughi e sfollati dalla Siria, dall'Iraq, ma anche dall'Eritrea. Ma parlerei anche dei Paesi africani, del Mali, di altri Paesi instabili e insicuri. Aggiungo che spesso gli sfollati di nazionalità pakistana o bengalese, che arrivano sulle nostre coste, sono fuggiti dalla Libia, ormai in profonda crisi, perché lavoravano in quel Paese.
  Le decine di migliaia di persone che sono sbarcate sulle coste italiane, quindi, e di cui parliamo in questa mozione, non sono altro che le vittime di questo disordine globale, ma anche dell'insicurezza davanti a cui i Paesi europei non possono chiudere gli occhi, anche perché spesso ne sono, magari indirettamente, corresponsabili.
  L'Europa è ormai sottoposta a pressioni migratorie strutturali e questa crisi mostra la necessità di rivedere le procedure, le norme che ci siamo consensualmente dati, anche fosse quel regolamento «Dublino III», apparentemente intoccabile, da poco varato, perché la storia cambia e non ci aspetta. È stato poc'anzi ben detto che lo stesso diritto d'asilo necessita di una revisione normativa organica. Abbiamo ancora pochi mesi di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea. Sono mesi in cui lavorare per il rafforzamento della tutela di diritti fondamentali, attraverso un'efficace promozione della migrazione sicura, individuando strumenti operativi.
  Secondo i dati dell'Ufficio europeo di sostegno all'asilo dei giorni scorsi, si è registrato nei primi otto mesi un aumento di quasi il 30 per cento delle domande di asilo presentate all'Unione europea, rispetto allo stesso periodo del 2013.
  Secondo i dati del Ministero dell'interno, il numero dei richiedenti asilo si attestava a quasi 50 mila, con un aumento del 150 per cento. E nell'ultimo anno l'Italia ha accolto, tra questi, 32 mila siriani richiedenti asilo ed altrettanti eritrei.
  Il tragico naufragio di oltre 300 migranti, lo scorso 3 ottobre (e devo dire che davvero la Presidenza di questa Camera, la Presidente Boldrini, va ringraziata per il suo impegno per una memoria di una Pag. 50strage che è diventata impegno politico): da lì è nata l'operazione militare umanitaria italiana Mare Nostrum, che ha costituito un esempio efficace per gestire in modo consapevole lo stato di emergenza nello stretto di Sicilia.
  L'operazione Mare Nostrum ha contribuito a salvare vite umane in pericolo in mare ed anche a contrastare il traffico illegale di migranti.
  Secondo i dati dell'Agenzia rifugiati dell'ONU, le navi di Mare Nostrum hanno salvato circa il 70 per cento dei migranti e richiedenti protezione internazionale sbarcati da gennaio ad oggi in Italia.
  Anche io ero sulla nave San Giusto con alcuni colleghi la settimana scorsa, e ho potuto verificare davvero direttamente la competenza professionale ed umana della nostra Marina militare in quell'operazione, anzi direi che navi costruite per la difesa trovano un utilizzo non incoerente nel salvataggio, perché in tempo di pace il loro compito è proprio difendere la vita di tutti e costruire la convivenza.
  A partire dal prossimo mese di novembre avrà inizio la futura operazione Frontex Plus, con obiettivi diversi, legati ad una maggiore vigilanza della frontiera meridionale dell'Unione e sarà operativa solo nell'area marittima rientrante nella giurisdizione italiana, senza realizzare interventi di salvataggio in acque internazionali o nelle acque di altri Paesi, che non riescono a gestire la propria zona di ricerca.
  Siamo preoccupati di questo, che è un allargamento, ma speriamo che non sia un depotenziamento. Dobbiamo riuscire a rendere complementari le due operazioni, senza che Frontex sostituisca Mare Nostrum, perché Mare Nostrum non è altro che un tassello di una strategia complessiva, che si deve comporre attraverso diverse azioni.
  Quindi l'obiettivo, lo sappiamo, è quello di promuovere la partecipazione dei singoli Paesi europei, perché l'Italia è stata troppo sola. Ma allo stesso tempo Mare Nostrum svolge un compito di salvataggio d'urgenza rapido, che è irrinunciabile e che ci dobbiamo impegnare a continuare.
  Negli ultimi anni si sono accentuate le differenze sostanziali tra i sistemi di protezione dei diversi Paesi, sia per quanto riguarda le misure di accoglienza, sia relativamente alle percentuali di riconoscimento, dell'asilo, alle procedure di esame della domanda.
  Dobbiamo convergere nella promozione dell'integrazione europea delle politiche migratorie.
  Con il Regolamento «Dublino III» si è voluto realizzare un sistema di asilo europeo basato su criteri omogenei di riconoscimento del diritto d'asilo dei richiedenti, per evitare disparità nel trattamento delle persone e nell'esame delle loro domande, ma non era previsto lo tsunami, potremmo dire, intanto delle crisi internazionali, della crisi in Medio Oriente, della crisi in nord Africa. Non possiamo fermarci su norme ed irrigidirle.
  Quindi l'applicazione del regolamento ha evidenziato varie criticità.
  Per questo noi abbiamo chiesto e chiediamo al Governo intanto di agire sull'emergenza e garantire una forma di protezione temporanea ad alcuni richiedenti asilo, o meglio, chiediamo al Governo di farsi parte attiva nella trattativa con i Paesi europei, con i partner europei, per quanto riguarda alcuni specifici gruppi. E quali ? Quelli Provenienti dalla Siria anzitutto, o dall'Eritrea, o – perché no ? – dall'Iraq, attraverso la concessione di un permesso per motivi umanitari, un permesso temporaneo, in applicazione della direttiva n. 55 del 2011, che noi abbiamo recepito nel 2013, ed è relativa alla concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e la promozione di equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono gli sfollati e subiscono le conseguenze dell'accoglienza degli stessi.
  Quindi una ridistribuzione degli sforzi nei vari Paesi, in tutti i Paesi, perché non stiamo neanche facendo appello soltanto ai soliti Paesi, che si sono distinti nell'accoglienza – come la Germania, la Danimarca, la Svezia – ma anche a tutti gli altri Paesi europei.Pag. 51
  Vorrei sottolineare che la protezione temporanea non pregiudica il riconoscimento dello status di rifugiato, ai sensi della Convenzione di Ginevra, e la durata della protezione temporanea è pari ad anno: quindi, stiamo parlando di alcuni specifici Paesi per un periodo di tempo limitato. Quindi, dovremmo approvarla solo per alcuni, come procedura eccezionale.
  Ma possiamo prevedere anche altre misure di riconoscimento, come – era stato citato dal collega Nicoletti – il mutuo riconoscimento europeo delle decisioni di rilascio dello status di protezione internazionale, in modo che chi arriva e lo ottiene in un Paese possa circolare anche negli altri.
  Ma noi vorremmo anche chiedere al Governo di promuovere, in sede europea e in collaborazione con l'Agenzia ONU per i rifugiati, la creazione di centri di accoglienza nei Paesi di transito. Pensiamo alla Tunisia, all'Egitto, al Marocco, all'Etiopia, alla Giordania: certo, Paesi fragili, che accolgono già un enorme numero di rifugiati, ma che possono essere coinvolti nel diventare sedi di domande di protezione internazionale.

  PRESIDENTE. La invito a concludere.

  MILENA SANTERINI. Infine – ed è questo il punto su cui convergiamo anche in appoggio alle misure del Consiglio d'Europa –, chiediamo di sostenere presso le competenti sedi europee la necessità di una revisione del regolamento «Dublino III».
  Le misure che noi portiamo all'attenzione del Governo richiedono un forte impegno, lo sappiamo, una condivisione. Il gruppo Per l'Italia è pronto a far convergere le diverse istanze contenute nella propria mozione in quelle di altri gruppi, purché si raggiunga lo scopo di creare una vera Europa dell'asilo, degna dei principi e dei diritti su cui è nata.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Manlio Di Stefano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00605. Ne ha facoltà.

  MANLIO DI STEFANO. Signor Presidente, arriviamo a questa mozione con un lavoro, come diceva il collega Nicoletti, partito, in realtà, in sede di Consiglio d'Europa: una dimostrazione del fatto che quando c’è un intento comune si riesce anche a lavorare bene. Abbiamo presentato, poi, come gruppi, ovviamente, tante mozioni differenti, perché su alcuni dettagli anche dell'impianto non avevamo sicuramente le stesse vedute, ma sicuramente c’è una gran parte dell'impianto di tutte le mozioni che abbiamo presentato assolutamente comune.
  Io credo che tutti i gruppi parlamentari, inclusi quelli che, a volte, sulle tematiche legate ai flussi migratori sono più estremisti, siano d'accordo su un principio: il principio che garantire la vita, l'incolumità dei migranti sia un diritto e un dovere del Paese che li riceve. Su questo non ci piove. Il punto è che – ed è un po’ l'ottica della nostra mozione – dobbiamo anche iniziare a chiederci se quello che garantiamo ai migranti non crei difficoltà al Paese che li riceve. Mi spiego meglio, perché così può sembrare che non ci si voglia prendere la responsabilità dei flussi migratori. L'Europa, per come è concepita – lo abbiamo sempre detto più volte e credo anche su questo siamo d'accordo –, dovrebbe mostrarsi come una comunità anche nella gestione dei flussi migratori. E noi quello che abbiamo visto – perché ora siamo a «Dublino III», ma siamo passati attraverso «Dublino I» e «Dublino II» –, quello che abbiamo potuto percepire è che, in realtà, non c’è una reale attenzione comunitaria alla gestione dei flussi. Perché ? Perché, evidentemente, l'Inghilterra subisce meno il dramma dei flussi migratori che subisce l'Italia in quanto porto dell'Europa.
  Quello che hanno fatto i Governi fino ad oggi, probabilmente, è non fare attenzione a questo piccolo dettaglio, perché quello che sicuramente c’è da dire relativamente a «Dublino» è che si basa su un concetto – tra i tanti positivi, per carità – che non può essere accettato dall'Italia, per la sua posizione geografica, così a cuor Pag. 52leggero: ovvero, il principio che chi prima riceve gestisce l'iter, anche burocratico, del migrante.
  Sentivo il collega Nicoletti poc'anzi dire che l'Europa ci chiede di identificare i migranti anche per una questione di maggiore facilità, poi, nel gestirli; ma, paradossalmente, è qui che si blocca il sistema, perché il migrante che viene identificato in Italia, in realtà, spesso e volentieri, in Italia non vuole rimanere. Di conseguenza, avere questo vincolo di «chi identifica, gestisce» fa sì che il migrante arrivi a gesti estremi come quelli che abbiamo già visto: di gente che si passa la carta vetrata sulle mani per togliere le impronte digitali, azioni molto forti; migranti che si sono dati fuoco alle mani, delle cose veramente inumane.
  Questo perché ? Perché i migranti spesso – non spesso, potrei dire sempre – partono con un obiettivo ben preciso, che è quello o del ricongiungimento familiare o di andare a trovare una vita migliore – quindi, anche in Africa, purtroppo, è arrivata la notizia che in Italia non ce la passiamo più tanto bene e quindi vogliono andare in Germania, Svezia, appunto nei Paesi dove la situazione sociale è migliore – o per un ricongiungimento linguistico, perché difficilmente un migrante africano parla italiano, quindi preferiscono andare in posti dove si parla francese o inglese, o ricongiungimento religioso, perché alcune comunità musulmane in altri Paesi sono molto più ampie delle nostre. Quindi, un sistema con un impianto fatto come «Dublino III», che non è cambiato per nulla rispetto a «Dublino II» relativamente a questa parte che vi ho appena illustrato, fa sì che il migrante diventi paradossalmente un problema per il nostro Paese. C’è un'altra questione ancora. Vi invito a vedere anche il mio background in tal senso, sono la persona più distante possibile da ogni concetto relativo alla parola stessa di «razzismo», ma con chiunque si parli in Italia la gente dice – e diciamocela a cuor leggero questa cosa, perché è vera –: «non sono razzista, ma sono troppi». Cosa significa questo ? Significa che sono percepiti anche come troppi. Perché ? Perché li gestiamo male: non siamo in grado di integrarli, non siamo in grado di fornire ai migranti una condizione sociale che li faccia sentire davvero integrati nella nostra società. Poi, un dato che abbiamo riportato nella nostra mozione è che i migranti per lo più richiedono asilo in cinque Paesi: Germania, Francia, Inghilterra, Italia e Spagna. Che significa questo ? Che è facile per gli altri Paesi della Comunità europea parlare di «Dublino» e firmarla e meno facile per questi cinque Paesi. È per questo motivo, ad esempio, che abbiamo inserito nella nostra mozione la richiesta che si inizi a parlare di quote. Paesi considerati universalmente come democratici quali gli Stati Uniti d'America hanno delle quote per i migranti; significa che più di un tot non possono entrare, e le quote sono divise addirittura per cittadinanza di origine: noi italiani stessi non potremmo andare tutti in America domani, se lo decidessimo; ci sono delle quote oltre le quali ci respingerebbero. Dobbiamo sicuramente, allora, ragionare in questi termini: ragionare in cosa renderebbe «Dublino» adatta al nostro Paese, perché il Paese Italia è totalmente differente dagli altri Paesi nella gestione dei migranti, per quello che vi ho detto finora. Per le cose più importanti, infatti, chiederò in sede di votazione di questa e di tutte le altre mozioni, la votazione per parti separate, perché credo che per tanti punti possiamo essere assolutamente d'accordo – e questo porterebbe a quello che era il nostro auspicio quando abbiamo pensato a questa mozione in sede di Consiglio d'Europa, quindi avere dei punti in comune sui quali il Parlamento si esprime all'unisono, perché darebbe più forza anche in vista del Consiglio europeo dove si parlerà anche della Convenzione di Dublino – ma, magari, su altri punti che nelle vostre mozioni non sono stati citati, possiamo giungere ad un voto comunque unitario da parte del Parlamento perché crediamo siano assolutamente razionali. C’è un problema di base al punto che dobbiamo fare in modo – è anche un auspicio che poi si traduce non solo in azioni legislative ma anche in quello che il Governo dichiara e Pag. 53quello che il Governo fa su tutte le leggi che promuove relativamente alla gestione di migranti – che il migrante sia visto come un dovere per il Paese che l'accoglie ma anche come qualcosa di gestibile e di integrabile, altrimenti i cittadini non l'accetteranno mai. E stiamo arrivando a una situazione in cui i fenomeni di razzismo avvengono in contesti nei quali prima non avvenivano, per il semplice fatto che il Governo, lo Stato, viene percepito come non in grado di gestire i migranti. E probabilmente è anche un po’ vero, oggi come oggi, perché nel solo 2014 la missione Mare Nostrum, che ha salvato tantissime vite e di questo ovviamente siamo grati, ha fatto sì anche che i flussi in realtà aumentassero e non diminuissero, perché non sono ovviamente missioni di respingimento ma missioni di accoglienza. Però, poi, questi flussi sono assolutamente non gestiti in terra. A questo si lega la questione delle malattie, di cui in questi giorni si discute sempre di più. Oggi – poi fortunatamente è stato smentito, era un falso allarme – si è parlato di un primo caso di ebola a Roma: io mi metto nell'ottica in cui questo caso non fosse stato smentito, e si fosse trattato di un caso vero di ebola. Tra l'altro, il Ministro Lorenzin, che abbiamo audito in Commissione affari esteri, su questo ci ha lasciato a dir poco basiti, perché ha annunciato che non c'erano voli diretti tra Paesi colpiti da ebola e l'Italia, ma abbiamo fatto una semplice ricerca sul sito dell'Alitalia e abbiamo trovato un volo Roma-Lagos, e in Nigeria ci sono casi di ebola. Quindi, in termini di protezione non siamo assolutamente coperti, addirittura risulta che il fenomeno in Italia non si è ancora diffuso per il semplice fatto che i migranti provenienti da Paesi dove ci sono focolai di ebola tendono ad andare in altri Paesi, come in Inghilterra, e non in Italia. Quindi, sostanzialmente siamo al sicuro «per fortuna» e basta, non per prevenzione.
  Allora, questo potrebbe scatenare una condizione reale di diffusione di fenomeni di razzismo legati ad una semplice incapacità di gestire la cosa. Proviamo pertanto a presentare una mozione e poi si spera che il Governo realizzi quello che gli diciamo di fare, perché ricordo che, nel Parlamento italiano, di tutte le mozioni presentate (che sono oltre 150), neanche l'8 per cento è stato poi convertito in qualcosa di concreto, in atti legislativi da parte del Governo. Quindi, sarebbe anche il caso, oltre a spingere, come maggioranza PD e altri partiti alleati, per calendarizzare questa mozione, che spingeste anche per farla realizzare al Governo e mi riferisco a quella che uscirà poi dal voto in Aula perché, altrimenti, saranno sempre parole al vento, come tante che abbiamo speso quest'anno.
  Allora, gli aspetti che distinguono la mozione del MoVimento 5 Stelle dalle altre ve li ho già detti, quindi la logica delle quote, il superamento del concetto di chi prima riceve prima si prende l'onere di gestire, e poi sentivo la collega Santerini dire una cosa giustissima: ossia legare i flussi migratori alle guerre. Però dico anche, e lo dico veramente nella speranza che possa cambiare in futuro questa logica, che, quando ci mettiamo in questa ottica, dobbiamo avere la stessa ottica anche quando votiamo per gli interventi militari perché questa Aula ha comunque votato e ho notato un grande fervore nel dibattito sulle varie missioni internazionali che il nostro Paese ha portato avanti in questo anno e mezzo. Quindi, mettiamoci anche nell'ottica di rispettare ciò che affermiamo e non slegare i due provvedimenti come fossero a sé stanti.
  Quando si è votato per gli interventi in Siria, il MoVimento 5 stelle, non dico sia stato l'unico, perché non me lo ricordo, ma sicuramente i partiti della maggioranza erano tutti d'accordo. E poi i siriani sono i primi migranti richiedenti asilo in Italia. Allora, facciamoci un attimo due domande e diamoci anche una risposta perché la colpa spesso è nostra.
  Quindi, chiediamo il superamento di Dublino III e questa è una cosa che è alla base di tutte le nostre mozioni; le quote ve le ho già annunciate. Dopo di che, una cosa fondamentale, secondo noi, è la creazione di basi europee (le abbiamo chiamate Pag. 54con un nome, dato così), ossia delle zone finanziate, gestite dalla comunità europea sul territorio e ciò andrebbe poi, tramite un'agenzia, stabilito in termini chiari; basi in cui il richiedente asilo può chiedere asilo direttamente senza doversi imbarcare in viaggi della morte. Perché ovviamente, se non li mettiamo nella condizione di chiedere asilo in partenza, si metteranno in condizioni di rischio e sarà un rischio anche poi per le loro vite.
  Quindi, questa potrebbe essere una buona idea probabilmente nei Paesi nord africani o comunque l'agenzia avrebbe il compito di identificare le zone migliori e potrebbero essere anche le ambasciate e i consolati già esistenti sul territorio. Ovviamente tutto questo, ribadisco, finanziato dalla Comunità europea.
  Poi una cosa fondamentale è rivedere, all'interno del Ministero dell'interno, i finanziamenti dei bandi interministeriale destinati alla prima accoglienza e alla gestione dei servizi connessi, con particolare riguardo ai criteri di spesa. Perché noi abbiamo fatto una piccola analisi e c’è una gran confusione tra tutti i bandi interministeriali che hanno a che fare con la gestione dei flussi migratori, con le società di terze parti che si occupano dei flussi e quindi tutto quel mondo lì. Quindi abbiamo inserito un punto anche in questa mozione per spingere il Governo a far questo.
  In ultimo – è una provocazione, ma non tanto, perché siamo in un Paese in cui una famiglia su sei è sotto la soglia di povertà – si chiede di verificare la possibilità di promuovere interventi per assicurare beni e servizi per le famiglie italiane meno abbienti con il fine di evitare tensioni tra italiani e richiedenti asilo all'interno della comunità. Non è una provocazione perché, oggi, uno dei tanti motivi per cui, e basta confrontarvi con i cittadini per strada, il migrante viene visto male è perché ti dicono la frase (poi ovviamente andrebbe analizzato ciò che vi è dietro in termini normativi): «non è possibile che un migrante che arriva oggi abbia pari, se non più, diritti di me che sono sotto la soglia di povertà». Una famiglia su sei, ripeto, lo è già.
  Quindi, questo è l'impianto della nostra mozione; io vi annuncio già, come detto, che chiederò la votazione per parti separate e vi chiedo quindi di prestare davvero attenzione ai punti che abbiamo inserito nell'impegno perché potrebbe essere una buona occasione per votarla in modo congiunto e sicuramente noi prenderemo in considerazione i vostri perché non abbiamo mai avuto preclusioni in tal senso.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Invernizzi, che illustrerà anche la mozione Matteo Bragantini ed altri n. 1-00618, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  CRISTIAN INVERNIZZI. Signor Presidente, ci troviamo nella seconda occasione in poco più di una settimana in quest'Aula in cui si discute di politiche per l'immigrazione; l'ultima volta lo abbiamo fatto con un atto formale, mi riferisco ovviamente al decreto contro la violenza negli stadi che, nella seconda parte comunque del suo testo, si occupava anche di politiche di immigrazione, il che fa, in qualche modo, capire, in modo più che chiaro, come questo Governo, questa attuale maggioranza stia affrontando il problema dell'immigrazione. Noi ci aspetteremmo che su quello che viene definito giustamente come qualcosa di epocale, questa incredibile massa di persone che si sta muovendo in particolar modo dall'Africa ma anche da Oriente verso le coste occidentali, in particolar modo quelle italiane – appunto è qualcosa di epocale – venga affrontato quindi da quest'Aula, da questa maggioranza, da questo Parlamento con una risposta conforme, cioè qualcosa di importante. Dovrebbe essere qualcosa che viene posta all'attenzione di tutte le parti che compongono questo Parlamento, il Governo in primo luogo, soprattutto perché, vorrei ricordarlo a tutti, il Premier Renzi, in questo momento, è anche presidente dell'Unione europea e, fra pochi mesi, comunque questo mandato scade; Pag. 55abbiamo già superato ormai la metà del tempo rispetto a quando, verso la fine di giugno, si parlava della presidenza italiana dell'Unione europea e ci si aspettava chissà cosa o meglio; la stessa maggioranza, lo stesso Primo ministro dichiarava ai quattro venti che avrebbe utilizzato questo semestre per risolvere tutte le questioni che in Europa non vanno e mi riferisco per inciso al Patto di stabilità, al Fiscal compact e alla questione dell'immigrazione. Siamo ormai quasi a metà ottobre, fra poco arriviamo a dicembre, scadrà il termine della presidenza italiana in Europa e, oltre che sul Fiscal compact e sul Patto di stabilità, anche sull'immigrazione passi avanti non ne verranno fatti, e questo dispiace sicuramente. Comunque, dicevo, si è affrontato il tema dell'immigrazione con 4 o 5 articoli all'interno di un decreto che nulla c'entra con l'immigrazione, vale a dire il decreto sulla violenza negli stadi, e poi con una mozione che, come ha ricordato giustamente il collega che ha preceduto il mio intervento, sappiamo tutti che valore ha. Sicuramente ha un'importanza politica di un certo rilievo, ma assai difficilmente poi si tradurrà in un'azione concreta e ciò mi fa pensare che, probabilmente, l'immigrazione, sotto questo Governo, sotto questa maggioranza, continuerà ad essere solo ed esclusivamente fonte di problemi e non verrà quindi realizzata, all'interno di un quadro chiaro, organico, forte ed importante, una sistemazione, come, ripeto, un movimento epocale, come viene continuamente definito, invece necessiterebbe. Molte volte, quando si parla di immigrazione, anzi, quasi sempre quando si parla di immigrazione, ci si scontra – così come è giusto che sia – tra posizioni differenti e pare, con ogni evidenza, che questa maggioranza, malgrado al suo interno vi sia qualcuno che si autodefinisce componente di un'area ideologica chiara, il centrodestra, mi riferisco ovviamente al partito che esprime il Ministro dell'interno, nei confronti dell'immigrazione si ponga con una chiara, palese ed evidente attenzione, soprattutto da parte della sinistra dell'arco parlamentare; quindi come anche nella vostra mozione, vi sono quelle in cui vi sono delle manifestazioni di intenti, manifestazioni che sottolineano il fatto che vi sia una parte buonista che vede nell'immigrazione soltanto aspetti positivi, quindi attenzione all'accoglienza, all'integrazione, il riconoscimento che tutti coloro che sbarcano sulle nostre coste comunque vengano qui animati da buonissimi sentimenti e cerchino di scappare solo ed esclusivamente da una vita infelice e abbiano come volontà quella di realizzare in modo pacifico e sereno le proprie più alte e nobili ambizioni all'interno della nostra comunità.
  Ci si scontra, purtroppo, con situazioni di fatto che – se anche a qualcuno dà fastidio sentirselo ripetere – avvengono e l'immigrazione comporta purtroppo anche dei problemi sociali che paradossalmente vengono poi vissuti sulla propria pelle, non dagli strati più ricchi della nostra popolazione, ma proprio da quelli che, se vogliamo, anche in questo momento, soffrono maggiormente gli strali o meglio gli effetti di una crisi economica senza precedenti e che già hanno problemi sia economici che sociali, i quali, nel loro confronto quotidiano con l'immigrazione, vengono esacerbati.
  Recenti casi, qui a Roma – che è inutile stare a ripetere – lo dimostrano: ci sono i casi delle periferie e delle grandi città del nord Italia, nei quali l'immigrazione viene vissuta, la maggior parte delle volte, non come qualcosa che porterà ricchezza alla comunità, ma come qualcosa che, nell'immediato, comporta anzi un aumento dei reati, soprattutto predatori e una situazione di degrado della zona nella quale si vive e dalla quale difficilmente si riesce ad uscire.
  Ecco, perché io penso che la mozione, per carità, presenta alcuni aspetti condivisibili e noi la condivideremo e auspichiamo che, in qualche modo, venga accolta dal Governo come sprone per far sì che, in Europa, ci sia effettivamente un'assunzione di responsabilità globale. Non ci crediamo perché ormai siamo stanchi di sentirci ripetere che il fenomeno dell'immigrazione non riguarda solo l'Italia.Pag. 56
  Noi come Governo facciamo presente all'Europa che gli sbarchi avvengono, ma questa è una questione europea e picchieremo i pugni e andremo a Bruxelles e a Strasburgo e ribaltiamo i tavoli e poi alla fine ci troviamo con l'operazione Mare Nostrum che non ha risolto assolutamente il problema, che è costata parecchio alle casse dello Stato, di uno Stato in cui – vorrei ricordarlo a tutti – vivono attualmente cittadini che soffrono in modo devastante le conseguenze della crisi economica. Quindi, probabilmente noi, come Stato, dovremmo occuparci principalmente di quelle famiglie che, fino a poco tempo fa, avevano un reddito e oggi un reddito non lo hanno più, che si trovano in una situazione disperata e che, difficilmente, riescono a capire come sia possibile che, in una situazione in cui lo Stato non riesce a dare risposte minime ai propri cittadini, però si faccia quasi bello nei confronti della comunità internazionale, dicendo che noi, comunque, accoglieremo centinaia di migliaia di cittadini extracomunitari, che portiamo qui da noi e gli daremo tutto quello di cui hanno bisogno. Queste sono le realtà con le quali dobbiamo confrontarci, a fronte di una situazione nella quale l'Europa ce lo ha fatto capire in tutti i modi possibili e immaginabili, al di là delle dichiarazioni di principio e al di là dei commissari, che provengono da realtà nelle quali l'immigrazione non arriva neanche perché, vorrei ricordare che, su 28 Paesi dell'Unione europea, soltanto dieci accolgono gli immigrati, mentre invece gli altri diciotto dicono che sono problemi di chi ce li ha. Poi arrivano questi commissari, magari dal Nord Europa, e dicono: «complimenti per l'operazione Mare Nostrum, che dà sicuramente lustro alla vostra organizzazione e al vostro Stato; poi però si girano dall'altra parte e se ne fregano altamente di ciò che avviene.
  Noi, siccome non crediamo che questa Europa si occuperà dell'immigrazione e continuerà a restare sulle nostre spalle, siccome riteniamo che, al di là delle dichiarazioni del Premier Renzi, il semestre europeo si concluderà così come è iniziato, ossia con un nulla di fatto, chiediamo che, quanto meno, si prenda atto che l'Italia, in questa battaglia epocale, è sola e siamo assolutamente soli; si prenda atto di questa realtà e si faccia tutto il possibile per far sì che si affronti la situazione, che già di per sé è grave. Ripeto: ci sono situazioni nelle grandi periferie, ma anche nei piccoli paesi che ormai sfuggono al controllo anche delle forze istituzionali; qualche volta, capiamo che i prefetti si trovano in una situazione anche difficile: quella di funzionari dello Stato che devono correre come disperati in giro per la provincia a cercare qualche sindaco che si assuma la responsabilità di ricevere trenta, quaranta, cinquanta, sessanta immigrati e non sanno come uscirne. Ecco, la situazione nella quale ci troviamo è questa.
  Visto che l'Europa, pertanto, se ne disinteressa in modo ormai conclamato, riteniamo che sia fondamentale innanzitutto che lo Stato si occupi dei propri cittadini, si occupi anche degli immigrati che già sono qui e ai quali già non si riesce a dare risposte perché mi sembra – e lo dichiarate anche voi della maggioranza – che si pensi continuamente a come portarne sempre di più e a come, quindi, barattare il senso di sicurezza, anche economica, dei propri cittadini per non so quale alto riconoscimento internazionale per cui magari l'Organizzazione delle Nazioni unite ci fa il plauso, l'Europa ci stringe la mano e ci dà una pacca sulla spalla.
  Ebbene, se voi siete contenti di questo continuate così, portate qui più gente possibile. Io vi dico che secondo la Lega Nord invece la situazione è ormai al colmo, non soltanto nei confronti dei nostri cittadini ma, come dite voi, anche nei confronti degli immigrati che già sono qui. Ci sono immigrati che, come dite, fanno atti di autolesionismo, si trovano in condizioni quasi, anzi di assoluta povertà, diventano manovalanza a costo bassissimo per la criminalità organizzata, sono fonte continua di lavoro nero, situazione questa a cui non si riesce a porre un freno.
  Di fronte a tutto questo noi chiediamo: che l'operazione Mare Nostrum venga definitivamente Pag. 57chiusa; che si guardi bene a quello che vuole fare l'Europa, a cui non crediamo e non crederemo, con Frontex plus, Triton (e a cui non so quale altro nome vorranno dare); che un sistema che comunque funzionava, anche se certo aveva delle pecche, come tutto – e mi riferisco a quello dei CIE –, possa essere rimesso in forma, possa essere ricomposto e possa fare quello per cui è nato, cioè identificare gli immigrati extracomunitari e permettere, quindi, che si proceda con l'espulsione di coloro che non hanno titolo per fermarsi in Italia, cioè di coloro che non hanno il diritto di asilo.
  Questo è quello che noi chiediamo con la nostra mozione e chiediamo, visto che è presente anche il sottosegretario e sono presenti esponenti del Partito Democratico, quindi del partito di maggioranza relativa all'interno di questo Governo, che magari per una volta, anziché fare una mozione sull'immigrazione o poi magari quattro, cinque, sei, sette, otto ordini del giorno o tre, quattro articoli, buttati all'interno di un decreto-legge, ci sia magari la capacità e la voglia di confrontarsi serenamente su un testo che sia chiaro, su un testo che poi possa servire anche a coloro che in questo momento ci governano, per andare in Europa con proposte chiare e concrete, perché altrimenti con il «decreto stadi» e con le mozioni il problema dell'immigrazione continueremo ad averlo e, soprattutto, continuerà ad essere pagato pesantemente dai nostri cittadini, soprattutto da quelli delle fasce di reddito basse.

  PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Brunetta ed altri n. 1-00619. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  È iscritto a parlare il deputato Chaouki. Ne ha facoltà.

  KHALID CHAOUKI. Presidente, mi sembrava giusto testimoniare innanzitutto il nostro ringraziamento al collega Nicoletti e alla Presidenza per avere introdotto finalmente questo tema anche nell'ordine del giorno, in vista degli impegni europei del nostro Governo e cercando di sfruttare al massimo questa opportunità, che è la Presidenza del semestre europeo, per portare avanti quella che è l'evoluzione di una discussione riguardante il tema dell'asilo dei rifugiati in un contesto, che è bene ricordarlo anche qui, ci vede davanti a una tragedia umanitaria che riguarda milioni di persone a pochi passi da noi.
  Noi oggi dobbiamo parlare di «Dublino III» richiamando l'Europa anche al rispetto delle proprie responsabilità, cioè a quello che sta avvenendo appunto – ed è stato ricordato qui dalla collega Santerini – nella città di Kobane, quello che sta avvenendo appunto in Iraq, con la persecuzione e la pulizia etnica nei confronti di cristiani, yazidi, sciiti e di tantissime donne e uomini che vengono oggi uccisi, che vengono oggi schiavizzati in nome di una loro fede, in nome di una loro etnia. Questo oggi noi non possiamo più vederlo semplicemente come una parentesi a cui guardare con indifferenza.
  Io credo, e crediamo, che sia una nostra responsabilità oggi quella di fare attenzione a non ripetere quello che è successo nella storia, anche relativamente recente, del nostro continente. Non stiamo parlando di immigrazione, non stiamo parlando di persone che vengono qui per cercare un lavoro, ma stiamo parlando di centinaia di persone che sono in fuga da una morte certa.
  E se forse rispetto alle tragedie dell'Africa subsahariana, rispetto a quello che avveniva e avviene in Somalia, in Eritrea, in Sudan, lo riteniamo un po’ distante – forse la comunicazione non è stata in grado di illustrarcelo bene – quello che sta avvenendo invece in Siria e in Iraq è una realtà purtroppo talmente tragica, di fronte alla quale noi non possiamo per niente essere complici di chi oggi in modo irresponsabile invoca di girarci dall'altra parte, invoca l'indifferenza, invoca il respingimento.
  Questo penso non possa essere oggi accettabile, non dico da parte di una forza politica, ma dico dalla civiltà, grazie alla quale l'Europa è quella che è, nonostante Pag. 58tutti i suoi limiti, e di fronte a quelle responsabilità noi vogliamo oggi richiamarla. Qualche giorno fa abbiamo ricevuto qui delegazioni di donne curde provenienti proprio da Kobane, abbiamo ricevuto un'altra delegazione di cristiani da Ninive e tutti quanti oggi ci chiedono accoglienza, ci chiedono un'accoglienza temporanea – voglio dire – perché sperano ovviamente di poter rientrare nelle loro case appena possibile.
  E allora, di fronte a questo, davvero il mio invito e l'auspicio è quello di fare un fronte unico per una volta, una volta per tutte, per cercare di rispondere a quello che è appunto un dovere morale e direi anche un dovere della nostra Costituzione.
  Non c’è più il collega Di Stefano, ma ai cittadini che ovviamente faticano molte volte a comprendere il perché di questo flusso enorme noi dovremmo avere anche la responsabilità e il ruolo semmai di spiegare che l'Europa è quello che è perché è anche frutto di un'evoluzione di una civiltà, di un'umanità, di un credo per chi è credente, e queste non sono semplicemente solidarietà e carità, sono anche valori del diritto.
  E proprio il nostro Parlamento oggi ospita quello che è un vertice importantissimo dal punto di vista del responsabile dei diritti fondamentali all'interno delle istituzioni europee. E allora, noi dobbiamo avere la responsabilità oggi di guidare l'opinione pubblica europea e nazionale verso quella che è una consapevolezza che ci pone di fronte a delle sfide sicuramente epocali, che fanno i conti con una crisi economica, con quelle che sono le difficoltà della nostra società, ma guai a noi se fossimo solo per un millesimo complici nell'alimentare queste paure, queste diffidenze e questa guerra tra poveri. Il nostro compito semmai è alimentare una cultura dei diritti sempre più ampi per tutti, quello di alimentare una cultura della solidarietà che però appunto tragga sostanza dalle nostre norme, da quello che scrissero anche i padri fondatori della nostra Costituzione e della Carta europea dei diritti umani, così come della Carta delle Nazioni Unite.
  Noi dobbiamo oggi tener presente che abbiamo una grande possibilità che è quella di guidare l'Europa ad essere finalmente una vera Europa dei popoli che riesca finalmente a farsi corresponsabile e compartecipe anche di fronte alla sfida della accoglienza. Non sono chiacchiere le nostre e devo dare atto al lavoro del collega Nicoletti, alla delegazione italiana al Consiglio d'Europa, di cui mi onoro di far parte, e a quello che è il lavoro del Governo italiano che ha introdotto nel vocabolario anche dei documenti e delle conclusioni degli ultimi vertici dei Ministri europei le parole: salvare le vite umane, che sono rientrate come elemento di priorità. Non è un elemento scontato nella purtroppo grave ipocrisia che oggi ci vede, anche nelle discussioni, negoziare con imbarazzo con i colleghi europei rispetto a quello che è un dovere di tutti di salvare le vite umane, oltre a quello, ovviamente, di rafforzare i controlli nei confronti di chi alimenta oggi la criminalità organizzata e il traffico di esseri umani, oltre che cercare di negoziare con questi nuovi Governi nel Mediterraneo la possibilità di gestire insieme la lotta al traffico di esseri umani e a costituire in quei luoghi, come si chiede anche nelle mozioni, in tutte le mozioni direi, centri di accoglienza nei Paesi di transito. Dico che non sono chiacchiere come è stato invece qui detto; sono finalmente parole nuove che entrano in un vocabolario ribadito anche – e ci fa piacere – dal neocommissario delegato all'immigrazione, l'ex Ministro greco, così come appunto nei documenti ufficiali europei, così come attraverso l'operazione Triton che include comunque un supporto importante all'operazione Mare Nostrum, che auspichiamo possa conseguire una cornice europea, introducendo gli elementi che noi chiediamo oggi, cioè una divisione in quote a livello di Paesi europei dei profughi che comunque inevitabilmente arriveranno e che almeno noi non vogliamo assumerci la responsabilità di lasciare morire in mare, perché di questo si tratta.
  Chi oggi dice «chiudiamo Mare Nostrum» deve dirci qual è l'alternativa. È Pag. 59quella di lasciarli morire in mare ? Dico: abbiate la responsabilità di poterlo affermare. Credo che, ovviamente, chiunque condivida la civiltà degli esseri umani e la dignità delle persone non possa affermare, ovviamente, una tale cattiveria, e quindi troviamo insieme delle soluzioni, ma evitiamo di buttarla in propaganda, perché Mare Nostrum, oggi, è tutt'altro che uccidere delle persone, come è stato detto in passato.
  Noi dobbiamo, semmai, ringraziare gli operatori del mare, i pescatori, la Marina militare, le capitanerie di porto per il grande lavoro, il sacrificio e la forza che hanno tutti i giorni nel salvare vite umane. Solo chi ha visto quegli sguardi e ha ascoltato quelle storie può oggi capire la funzione di Mare Nostrum, con tutte le sue difficoltà – nessuno dice che sia un'impresa facile, né banale, né scontata, e nemmeno gratuita, perché, purtroppo, comporta anche un sacrificio – e nessuno, oggi, può negare che quella operazione sicuramente porti una grande medaglia sul petto a tutti quanti, a tutta l'Italia e a tutti gli italiani, indipendentemente dal colore politico e dall'orientamento ideologico.
  È una medaglia, finalmente, sul petto di tutti gli italiani, perché, per la prima volta nella storia del Mediterraneo, vi è un'operazione portata avanti dalla Marina militare che ha salvato più di 140 mila persone. Questo penso debba essere riconosciuto per onestà da tutti. Non basta, e tutti quanti lo diciamo. Per questo, riteniamo sia fondamentale e prioritario negoziare con forza per rivedere il protocollo di Dublino, un protocollo che, da quando è stato attuato in tutte le sue modifiche... Vi sono stati Governi di destra, quindi non voglio adesso scendere in polemica, però dobbiamo anche interrogarci sul perché, in tutte le varie sedi, evidentemente, chi avrebbe dovuto anche chiedere, pretendere, un aggiustamento, vista anche la nostra esposizione nel Mediterraneo, in quei momenti, in quelle sedi, non abbia avuto la forza di farlo, come oggi, finalmente, invece, viene posto all'ordine del giorno, in modo anche trasversale, con colleghi di tutti i partiti, affinché vi sia una revisione, e questa revisione pensiamo che ci sarà nei prossimi mesi e sarà un risultato di tutti, e non solo del Partito Democratico o delle forze che sono state tradizionalmente a favore di una modifica in tal senso.
  Concludo dicendo che noi, nei confronti di quello che sta succedendo oggi in Medio Oriente, in Siria e in Iraq, dobbiamo chiedere che la Turchia, immediatamente, possa aprire un corridoio umanitario per i profughi e gli esuli; però, nello stesso momento, l'Europa non può fare orecchie da mercante, perché sappiamo anche che il 90 per cento degli esuli dalla Siria...

  PRESIDENTE. Deputato Chaouki, concluda.

  KHALID CHAOUKI. ... in questi ultimi quattro anni – concludo – pesano sui Paesi confinanti. Quindi, la Turchia, come altri Paesi, già hanno sui loro territori più del 90 per cento dei profughi che sono in fuga e che sono stati in fuga in questi quattro anni dalla guerra sanguinosa in Siria.
  Quindi, non possiamo sicuramente limitarci a chiedere alla Turchia di aprire un corridoio umanitario, ma ci rivolgiamo con urgenza al Governo affinché si faccia rappresentante di una richiesta di una modalità nei confronti di tutti i Paesi europei, affinché vi sia una possibilità, anche temporanea, di apertura per almeno le minoranze religiose, e le minoranze cristiane in particolare, perché, altrimenti, rischiamo di trovarci di fronte ad una crisi senza precedenti, che, purtroppo, potremmo ritrovarci sulla coscienza tutti quanti.

  PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
  Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Pag. 60

Proposta di trasferimento a Commissioni in sede legislativa di proposte di legge.

  PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani l'assegnazione, in sede legislativa, delle seguenti proposte di legge, delle quali le sottoindicate Commissioni, cui erano state assegnate in sede referente, hanno chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento alla sede legislativa, che proporrò alla Camera a norma del comma 6 dell'articolo 92 del Regolamento:

  alla XII Commissione (Affari sociali):
   S. 1176. – Senatori CIAMPI ed altri: «Istituzione del “Giorno del dono”» (Approvata dal Senato) (2422) (La Commissione ha elaborato un nuovo testo);

  alla XIII Commissione (Agricoltura):
   CIRIELLI e TOTARO: «Disposizioni in materia di interventi di ripristino, recupero, manutenzione e salvaguardia degli agrumeti caratteristici del territorio insulare e delle fasce costiere di particolare pregio paesaggistico e a rischio dí dissesto idrogeologico» (55);
   CATANOSO GENOESE: «Disposizioni per il recupero, il ripristino, la manutenzione e la salvaguardia dei limoneti di Acireale» (341);
   MONGIELLO ed altri: «Disposizioni per il ripristino, il recupero, la manutenzione e la salvaguardia degli agrumeti caratteristici del territorio insulare e delle fasce costiere» (440);
   OLIVERIO e IACONO: «Disposizioni per la salvaguardia degli agrumeti caratteristici» (741);
   RUSSO e FAENZI: «Disposizioni per la salvaguardia degli agrumeti caratteristici dei territori soggetti al rischio di dissesto idrogeologico e di particolare pregio paesaggistico, storico e ambientale» (761);
   CAON ed altri: «Disposizioni in materia di interventi di ripristino, recupero, manutenzione e salvaguardia dei limoneti del lago di Garda» (1125);
   CATANOSO GENOESE: «Misure per il recupero e la salvaguardia dei limoneti caratteristici» (1399) (La Commissione ha elaborato un testo unificato).

  Vi erano delle richieste d'intervento di fine seduta. Constato l'assenza della deputata Locatelli e del deputato Fraccaro, si intende che vi abbiano rinunziato.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Ricordo che domani, martedì 14 ottobre, è convocato alle ore 11, il Parlamento in seduta comune per l'elezione di due giudici della Corte costituzionale e per l'elezione di un componente del Consiglio superiore della magistratura. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 14 ottobre 2014, alle 16:

  1. – Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge n. 2422.

  2. – Assegnazione a Commissione in sede legislativa delle proposte di legge nn. 55, 341, 440, 741, 761, 1125 e 1399.

  3. – Esame della nota di aggiornamento del documento di economia e finanza 2014 (Doc. LVII, n. 2-bis).

  4. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   CAUSI ed altri: Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero nonché per il potenziamento della lotta all'evasione fiscale. Disposizioni Pag. 61in materia di autoriciclaggio (C. 2247-A).
   e dell'abbinata proposta di legge: CAPEZZONE (C. 2248).
  — Relatori: Sanga, per la maggioranza; Busin, di minoranza.

  5. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   CAPEZZONE: Riforma della disciplina delle tasse automobilistiche e altre disposizioni concernenti l'imposizione tributaria sui veicoli (C. 2397-A).
  — Relatore: Fregolent.

  6. – Discussione del testo unificato delle proposte di legge:
   BRESSA; FRACCARO ed altri; CIVATI ed altri; TINAGLI ed altri; DADONE ed altri; SCOTTO ed altri: Disposizioni in materia di conflitti di interessi dei titolari delle cariche di Governo. Delega al Governo per l'adeguamento della disciplina relativa ai titolari delle cariche di Governo locali (C. 275-1059-1832-1969-2339-2652-A).
  — Relatore: Sisto.

  7. – Discussione del disegno di legge:
   Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2013-bis (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (C. 1864-B).
  — Relatori: Michele Bordo, per la maggioranza; Borghesi, di minoranza.

  8. – Seguito della discussione dei disegni di legge:
   S. 1242 – Ratifica ed esecuzione del Protocollo aggiuntivo (n. 2) all'Accordo sulla sede tra il Governo della Repubblica italiana e l'Istituto universitario europeo, con Allegato, fatto a Roma il 22 giugno 2011 (Approvato dal Senato) (C. 2420).
  — Relatore: Cassano.

   Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico, fatta alla Valletta il 16 gennaio 1992 (C. 2127-A).
  — Relatore: Chaouki.

   S. 1219 – Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione fra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Estonia sulla lotta contro la criminalità organizzata, il terrorismo ed il traffico illecito di droga, fatto a Tallinn l'8 settembre 2009 (Approvato dal Senato) (C. 2421).
  — Relatore: Cimbro.

   S. 1336 – Ratifica ed esecuzione del Protocollo di modifica della Convenzione relativa ai trasporti internazionali ferroviari (COTIF) del 9 maggio 1980, fatto a Vilnius il 3 giugno 1999 (Approvato dal Senato) (C. 2621).
  — Relatore: Cimbro.

   S. 1300 – Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione in materia di navigazione satellitare tra l'Unione europea e i suoi Stati membri e il Regno di Norvegia, fatto a Bruxelles il 22 settembre 2010 (Approvato dal Senato) (C. 2277).
  — Relatore: Cassano.

  9. – Seguito della discussione delle mozioni Scotto ed altri n. 1-00537, Pisicchio n. 1-00609, Covello ed altri n. 1-00612, Palese n. 1-00614 e Baldassarre ed altri n. 1-00621 concernenti iniziative per il rilancio economico e occupazionale del Mezzogiorno, con particolare attenzione alla situazione della Campania.

  10. – Seguito della discussione delle mozioni Tinagli, Carfagna, Giuliani, Dorina Bianchi, Binetti, Di Salvo ed altri n. 1-00272, Mucci ed altri n. 1-00611, Nicchi ed altri n. 1-00613, Speranza ed altri n. 1-00615 e Rondini ed altri n. 1-00620 concernenti iniziative a sostegno delle politiche di genere.

Pag. 62

  11. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare:
   FRATOIANNI ed altri; MARAZZITI ed altri; FIANO: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza (CDA), nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (CARA) e nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) (Doc. XXII, nn. 18-19-21-A).
  — Relatore: Migliore.

  12. – Seguito della discussione delle mozioni Nicoletti ed altri n. 1-00603, Santerini ed altri n. 1-00604, Manlio Di Stefano ed altri n. 1-00605, Palazzotto ed altri n. 1-00616, Dorina Bianchi e Misuraca n. 1-00617, Matteo Bragantini ed altri n. 1-00618 e Brunetta ed altri n. 1-00619 concernenti iniziative in materia di diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, con particolare riferimento alla revisione del regolamento dell'Unione europea noto come «Dublino III».

PROPOSTE DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONE IN SEDE LEGISLATIVA

  alla XII Commissione (Affari sociali):
   S. 1176 – Senatori CIAMPI ed altri: «Istituzione del “Giorno del dono”» (Approvata dal Senato) (2422).

  (La Commissione ha elaborato un nuovo testo);

  alla XIII Commissione (Agricoltura):
   CIRIELLI e TOTARO: «Disposizioni in materia di interventi di ripristino, recupero, manutenzione e salvaguardia degli agrumeti caratteristici del territorio insulare e delle fasce costiere di particolare pregio paesaggistico e a rischio di dissesto idrogeologico» (55);
   CATANOSO GENOESE: «Disposizioni per il recupero, il ripristino, la manutenzione e la salvaguardia dei limoneti di Acireale» (341);
   MONGIELLO ed altri: «Disposizioni per il ripristino, il recupero, la manutenzione e la salvaguardia degli agrumeti caratteristici del territorio insulare e delle fasce costiere» (440);
   OLIVERIO e IACONO: «Disposizioni per la salvaguardia degli agrumeti caratteristici» (741);
   RUSSO e FAENZI: «Disposizioni per la salvaguardia degli agrumeti caratteristici dei territori soggetti al rischio di dissesto idrogeologico e di particolare pregio paesaggistico, storico e ambientale» (761);
   CAON ed altri: «Disposizioni in materia di interventi di ripristino, recupero, manutenzione e salvaguardia dei limoneti del lago di Garda» (1125);
   CATANOSO GENOESE: «Misure per il recupero e la salvaguardia dei limoneti caratteristici» (1399).

  (La Commissione ha elaborato un testo unificato).

  La seduta termina alle 18,30.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI PAOLA BINETTI E ROCCO PALESE IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A SOSTEGNO DELLE POLITICHE DI GENERE

  PAOLA BINETTI. Disparità di genere (o discriminazione ?) versus Valorizzazione della donna.
  Premessa: l'articolo 8 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea ha come obiettivo l'eliminazione di tutte le discriminazioni nei confronti delle donne e la promozione della parità tra uomini e donne. Gli articoli 21 e 23 della Carta dei Pag. 63diritti fondamentali dell'Unione europea considerano la parità a pieno titolo fra uomini e donne come il principio fondamentale del diritto comunitario, principio da applicarsi ovviamente anche in materia di occupazione e di impiego.
  Tra i programmi comunitari per il periodo 2014-2020 l'Unione europea ha stanziato 439 milioni di euro per progetti legati alla lotta contro la discriminazione e la parità fra donne e uomini. Le priorità identificate sono quattro: pari indipendenza economica, pari retribuzione, parità nel processo decisionale, contrasto alla violenza di genere.
  Valorizzare le donne non ha solo una dimensione etica – ha ricordato più volte il Presidente Napolitano – ma è importante anche sul piano economico, come dimostra la capacità delle donne di dare il proprio contributo in tutti i campi, quando vengono superati vincoli e pregiudizi sociali.
  Secondo il Trattato di Istanbul, ratificato dal nostro Parlamento nel giugno 2013, la violenza contro le donne, in quanto violazione di diritti umani, rappresenta il principale ostacolo al raggiungimento di una uguaglianza tra i sessi de jure e de facto e per questo sono necessarie azioni forti e concrete di contrasto alla violenza di genere.
  I dati: secondo il Global Gender Gap Report 2013 del World Economic Forum che ha esaminato il problema delle pari opportunità in diversi ambiti, dalla sanità alle possibilità di sopravvivenza, all'accesso all'istruzione, alla partecipazione alla vita lavorativa, sociale e politica l'Italia è all'ultimo posto tra i Paesi europei ed è 71o sui 136 Paesi analizzati.
  Il rapporto ISTAT 2013 evidenzia un aumento del tutto particolare dell'occupazione femminile, che attribuisce in parte all'aumento delle donne straniere nelle mansioni a bassa specializzazione e in parte alla concentrazione del lavoro femminile nel part time involontario. Risultano particolarmente interessanti quattro dati:
   le donne occupate in Italia sono molto meno di quelle dell'Unione europea (47,1 per cento contro 58,6 per cento);
   le donne continuano a essere pagate meno rispetto agli uomini (tra 15 e 25 per cento in meno);
   esiste un demansionamento delle donne, impegnate spesso in ruoli di livello inferiore rispetto ai loro curricula, alle loro competenze effettive e alla qualità del lavoro svolto;
   l'Italia è al primo posto tra i 34 Paesi Ocse per differenza uomo-donna nella distribuzione del lavoro non retribuito (circa 24 ore non retribuite in più per le donne); nettamente davanti a Francia (12,6 ore non retribuite in più per le donne), Gran Bretagna (12,2 ore in più), Usa (9,5 ore) e Germania (6,6 ore). Si tratta soprattutto di lavoro di cura familiare.

  Pur essendo l'imprenditorialità femminile l'architrave della tenuta delle piccole e piccolissime imprese, secondo dati Unioncamere le imprese al femminile evidenziano una maggiore fragilità finanziaria: il 72 per cento opera con un capitale sociale di meno di 10 mila euro.
  I dati ISTAT evidenziano come l'offerta pubblica di asili nido ha enormi disparità geografiche, andando dall'80 per cento di comuni coperti dal servizio in regioni come l'Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia Giulia e la Valle d'Aosta fino al 13 per cento della Calabria, che presenta il livello regionale più basso di copertura. La carenza di servizi per l'infanzia e per gli anziani, per i disabili e i malati cronici è un forte ostacolo all'occupazione femminile.
  In Italia le politiche per le pari opportunità sono state avviate con forte ritardo rispetto ad altri Paesi europei. Solo negli anni settanta i legislatori hanno iniziato, dapprima molto timidamente, a riconoscere il principio della parità nelle diverse sfere della vita sociale:
   la legge n. 125 del 1991 dispone di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità;Pag. 64
   il decreto legislativo n. 61 del 2000 fissa le norme sul lavoro a tempo parziale;
   la legge n. 53 del 2000 tratta del tema della conciliazione tra i tempi famiglia-lavoro;
   la legge n. 120 del 2011 fissa le quote rosa nei consigli di amministrazione delle società per azioni quotate.

  Outcam positivi della professionalità femminile. Uno studio condotto dalla Banca d'Italia nel 2010 afferma che l'aumento del tasso di occupazione femminile influenzerebbe positivamente il PIL. Il conseguimento dell'obiettivo del Trattato di Lisbona di un tasso di occupazione femminile al 60 per cento comporterebbe un aumento del Pil fino al 7 per cento, che raggiungerebbe i 12 punti se l'occupazione femminile fosse uguale a quella maschile in ogni regione.
  Un'indagine McKinsey nei Paesi dell'Unione europea ha rilevato come le performance economiche delle imprese dove ci sono molte donne in azienda è migliore rispetto alle altre: il ritorno sul capitale investito è superiore del 10 per cento rispetto alla media e l'utile quasi raddoppia.
  I programmi di flessibilità favoriscono l'accesso delle donne ai vertici aziendali e la flessibilità ha stimolato nuovi modelli organizzativi e maggiore creatività. Nei Paesi europei più avanzati il 36 per cento può accedere a strumenti di flessibilità, in Italia solo il 10 per cento ha questa possibilità.
  Il giudizio dell'Europa sull'Italia: nel 2012 la Commissione europea fece all'Italia la seguente raccomandazione: «Adottare provvedimenti per incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, in particolare fornendo servizi per l'infanzia e l'assistenza agli anziani nella [...] ».
  Nella raccomandazione del 2013 la Commissione europea afferma che: «La partecipazione delle donne al mercato del lavoro resta modesta e l'Italia presenta uno dei maggiori divari di genere nell'occupazione a livello di UE».
  Nelle previsioni di stanziamento per il 2014-2020 per l'erogazione dei fondi QSC, la Commissione europea ha proposto un nuovo approccio per l'utilizzo dei fondi, in linea con le priorità politiche dell'Agenda Europa 2020, suggerendo in particolare all'Italia di porre tra gli obiettivi di priorità di finanziamento la parità tra uomini e donne e la conciliazione tra vita professionale e vita privata/familiare.
  Il Governo italiano – Ministero Pari opportunità. Con decreto del Ministro per le pari opportunità del 12 maggio 2009, furono erogati 40 milioni di euro, da distribuire alle regioni, per la realizzazione di «un sistema di interventi per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro». Le regioni hanno avuto l'opportunità di realizzare un sistema di interventi per favorire la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro e per consolidare, estendere e rafforzare iniziative volte a promuovere la partecipazione delle donne all'interno del mercato del lavoro, favorendo pari opportunità e contribuendo ad accrescere la produttività delle imprese.
  L'articolo 4, comma 24, lettera b), della legge n. 92 del 2012 ha previsto, per il triennio 2013-2015, la possibilità per le madri lavoratrici di richiedere, al termine del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, un contributo di 300 euro mensili per l'acquisto di voucher e per i servizi di babysitting e asili nido pubblici o privati. La legge ha garantito 20 milioni di euro a copertura dell'operazione per il triennio sopra indicato. Tuttavia il contributo ha riscosso pochissimo successo, come testimoniano le poche richieste pervenute. Tra le principali cause si annovera la scarsa pubblicizzazione dell'iniziativa lasciata soltanto a comunicati stampa, senza un'adeguata promozione sui luoghi di lavoro e senza coinvolgimento di sindacati e associazioni.
  L'Ufficio nazionale della consigliera di parità del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha stanziato e usato il piccolo fondo a disposizione per organizzare e realizzare vari incontri territoriali per donne disoccupate e inoccupate su varie città in tutta Italia e per sensibilizzare Pag. 65le studentesse nelle scuole medie superiori, anche attraverso la distribuzione di guide per studenti per imparare ad affrontare il mercato del lavoro.
  La legge di stabilità 2013 (articolo 1, comma 339, legge 24 dicembre 2012, n. 228) dà attuazione alla direttiva dell'Unione europea n. 2010/18/UE, con la possibilità di frazionare ad ore il congedo parentale, demandando tutto alla contrattazione collettiva di settore.
  La mozione impegna il Governo:
   a sostenere, nel semestre europeo, le politiche di genere quale priorità per la crescita sostenibile e l'occupazione supportando gli investimenti in capitale umano e strumentale;
   ad applicare una prospettiva di genere nella programmazione, nelle politiche di bilancio e nella allocazione di risorse per attività varie;
   ad una razionalizzazione e valorizzazione degli organismi di parità italiani come indicato dalle direttive europee;
   a sostenere lo sviluppo dell'imprenditoria femminile attraverso il sostegno all'accesso al credito delle imprese femminili e una valutazione attenta delle politiche economiche di genere;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le parti sociali procedano a una rapida definizione delle modalità di fruizione del congedo parentale su base oraria;
   a mettere in campo tutti gli strumenti necessari per incentivare le politiche di conciliazione attraverso il potenziamento delle politiche attive per l'occupazione femminile e dei servizi per il welfare, con particolare attenzione alla realizzazione di un numero adeguato di asili nido su tutto il territorio nazionale, al telelavoro, al part-time e alla promozione degli orari di lavoro flessibili;
   a sensibilizzare il servizio pubblico radiotelevisivo ad una maggiore attenzione verso la qualità della immagine della donna quale emerge anche dalla pubblicità, a promuovere l'occupazione femminile, in collaborazione con gli organismi di pari opportunità, sottolineandone il contributo positivo anche in termini di politiche familiari, a valorizzazione l'imprenditorialità e la creatività femminile. In altri termini se per il raggiungimento di questi obiettivi urgono politiche economiche adeguate, sono indispensabili anche interventi innovativi sul piano comunicativo.

  ROCCO PALESE. Signor Presidente, signor rappresentate del Governo, onorevoli colleghi !
  «Il vostro è uno dei Paesi della zona euro che incoraggiano meno la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Un cambiamento di rotta, a parte ogni considerazione di progresso sociale, potrebbe avere effetti benefici sulla produzione di reddito aggiuntivo e, quindi, sull'uscita da un periodo di stagnazione».
  Sono state queste le parole pronunciate nei confronti dell'Italia da Christine Lagarde, direttrice del Fondo monetario internazionale, in un'intervista dello scorso aprile al Corriere della Sera.
  Sono parole dure, che pesano come un macigno nel nostro Paese. Purtroppo, sono solo l'espressione della realtà.
  Dai vari dati citati nella mozione oggi all'esame dell'Aula, vorrei quindi partire dal tema «lavoro», e dai numeri che mettono in evidenza una situazione drammatica sul fronte occupazione, in particolare per le donne.
  Basta esaminare gli ultimi dati Istat diffusi a luglio, per avere conferma della pesante differenza di genere che si evidenzia nel nostro Paese sul fronte lavoro.
  L'Italia ha infatti aperto il semestre di presidenza dell'Unione europea con l'ennesimo dato negativo.
  A soffrire, oltre i giovani, sono le donne con un tasso che tocca il 13,8% a maggio scorso, ai massimi rispetto all'anno 2004, momento di inizio delle rilevazioni. Il tasso di disoccupazione maschile, invece, è circa del 12,5%.
  E il tasso di inattività è un altro parametro che la dice lunga su quanto le Pag. 66donne non lavorino perché disincentivate dalle condizioni del mercato, schiacciate spesso in una condizione familiare che impedisce loro di trovare convenienza in un lavoro diverso da quello domestico. Se infatti il tasso di inattività tra i 15 e i 64 anni è del 26,7% tra i maschi, quasi raddoppia, arrivando al 46,1%, tra le donne. Significa brutalmente che a fronte di 5 milioni di inattivi maschi, in Italia ci sono quasi 10 milioni di donne che non sono impegnate in alcuna attività, e che hanno smesso pure di cercarla.
  Qualcosa cambia, ma molto lentamente: l'inattività nell'ultimo anno è cresciuta tra gli uomini (+1,2%) e diminuita tra le donne (-0,7%). Ma si tratta di piccoli passi.
  Le cause sono, come sempre, molteplici, ma ci sono problemi oggettivi di infrastrutture e servizi che mancano.
  I divari nella partecipazione femminile al mercato del lavoro potrebbero infatti essere ridotti considerevolmente attraverso politiche mirate di welfare, con efficaci servizi all'infanzia e alla famiglia, come dimostrano esperienze di altri Paesi europei.
  In Italia infatti solo il 18% dei bambini trova posto negli asili nido pubblici, rendendo difficile coniugare impiego e famiglia. L'offerta pubblica sul territorio di asili nido non solo è mediamente insufficiente, ma purtroppo si caratterizza anche per enormi disparità geografiche, andando dall'80 per cento di comuni coperti dal servizio in regioni come l'Emilia-Romagna, il Friuli Venezia Giulia e la Valle d'Aosta al 13 per cento della Calabria, che presenta il livello regionale più basso di copertura.
  La crescita costante delle famiglie che usufruiscono degli asili – più 35,2% – è dovuta infatti, quasi esclusivamente, all'aumento del ricorso al privato (con i relativi costi che comporta), cresciuto vertiginosamente in questi anni. Al contrario, il nido pubblico resta un miraggio, anche perché manca una legge che obblighi i comuni ad assicurare una copertura minima.
  La statistica Eurostat non lascia spazio a dubbi: dopo il primo figlio, in Italia la metà delle donne non lavora più.
  Per le giovani donne italiane, entrate quasi sempre nel mercato del lavoro con un contratto non standard, la situazione lavorativa è infatti peggiorata con gli anni, visto che a partire dal 2012 persino il lavoro atipico, in particolare le collaborazioni a progetto, è ripreso a calare, e oggi non sono poche le mamme che lavorano a partita IVA.
  Troppo spesso infatti la vita quotidiana delle madri è destinata a diventare un equilibrio faticoso, reso possibile solo attraverso il part time (che spesso però si traduce in un dimezzamento del reddito e in una marginalizzazione lavorativa delle donne), oppure, quando c’è, al ricorso al welfare familiare: il famoso aiuto dei nonni, demograficamente però sempre più anziani.
  Ad aggravare questo quadro a tinte drammatiche, destinato a peggiorare mano mano che le giovani madri lavoratrici di oggi si troveranno ad avere genitori da assistere, ci sono anche stereotipi culturali che faticano a cambiare: come quello secondo il quale, appunto, la conciliazione tra lavoro e cura di bambini e anziani resta un problema delle donne e non, anche, degli uomini. Se è vero infatti che i padri di oggi aiutano più che in passato, una vera simmetria è lontana.
  Ma quel che è più inquietante è l'ennesima conferma di un trend purtroppo noto che vede il nostro Paese diviso. Con le regioni del nord dove, secondo 1'Istat, risulta occupato il 56,5% delle donne. Quelle del centro, dove risulta occupato il 53,2% delle donne contro il 68% degli uomini. Mentre nel Mezzogiorno appena il 30% delle donne a fronte di un 53,4% di maschi ha un'occupazione.
  Non solo. Il nostro continua ad essere comunque un Paese fortemente discriminante per le donne in carriera. È donna solo il 6,5% degli ambasciatori, il 31,3% dei prefetti, il 14,6% dei primari, il 20,3% dei professori ordinari e, nei ministeri, il 33,8% dei dirigenti di prima fascia. Unica Pag. 67eccezione, il mondo della scuola, con i dirigenti scolastici con il 58,6% di donne.
  Davanti a questi dati scoraggianti, ci aspettiamo risposte e, soprattutto, politiche attive da parte del Governo. I provvedimenti dell'Esecutivo non sembrano però rispondere a questa primaria esigenza. Un esempio su tutti: basta leggere tra le norme del decreto «Sblocca Italia», che, per reperire le risorse utili al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, utilizza fondi destinati proprio a colmare il drammatico gap occupazionale che vede il nostro Paese protagonista in negativo.
  Ciò che risulta infatti dalla relazione tecnica del testo del DL Sblocca Italia è che il Governo prevede di usare 231 milioni di euro, destinati all'occupazione giovanile, femminile e nel Mezzogiorno, per rifinanziare politiche occupazionali passive (articolo 40 co. 2, lett. a, b, c). In poche parole, un cane che si morde la coda: vengono depauperati fondi per il sostegno alle politiche occupazionali, e non per mettere in campo politiche attive e mirate per creare occupazione, ma per finanziare ammortizzatori sociali.
  Ciò che è certo è che non si possono chiedere altri sacrifici a chi negli ultimi 3 anni ha pagato già caro il prezzo della crisi. La difficile situazione finanziaria ed economica sia nazionale che internazionale non può essere una scusante per non applicare anche nel nostro Paese una reale parità di genere e un possibile modello di convivenza globale.
  I giovani dovrebbero essere il trampolino da cui riparte l'economia, non l'ammortizzatore che subisce l'urto di politiche occupazionali inadatte a dare una risposta energica alla crisi; e una maggiore occupazione femminile, in particolare, e torno ad utilizzare le parole della Direttrice Lagarde, offrirebbe nuovo slancio al mercato del lavoro, finalizzato alla produzione di reddito aggiuntivo.
  La maggiore presenza delle donne nella vita economica, sociale e politica non può che offrire straordinari contributi alla crescita del Paese: ed è compito del Governo e delle Istituzioni tutte promuovere una maggiore partecipazione delle donne attraverso politiche attive.
  Il testo della mozione in discussione oggi, sottoscritto da deputate e deputati appartenenti a diverse forze politiche presenti in Parlamento, è un appello accorato al Governo per dire ancora una volta «basta», e ancora una volta «impegno».
  Basta alle minacce, purtroppo ancora presenti nel nostro Paese, all'uguaglianza di genere, alla parità di trattamento in campo lavorativo, alla riduzione della povertà, al raggiungimento dell'istruzione e al miglioramento della salute delle donne.
  Impegno, che parta dal Governo e da ognuno di noi, per dare priorità alla crescita sostenibile e all'occupazione supportando gli investimenti in capitale umano e strumentale in un'ottica di genere.
  Impegno, per applicare una prospettiva di genere nella programmazione e nelle politiche di bilancio, a partire dai futuri esercizi di bilancio e comunque dai prossimi provvedimenti utili di allocazione di risorse e di programmazione di attività; impegno, per mettere in campo tutti gli strumenti necessari per il potenziamento delle politiche attive per l'occupabilità femminile e dei servizi per il welfare, con particolare attenzione alla realizzazione di un numero adeguato di asili nido su tutto il territorio nazionale, al telelavoro, al part-time e alla promozione degli orari di lavoro flessibili.
  Impegno, per favorire lo sviluppo dell'imprenditoria femminile attraverso il sostegno all'accesso al credito delle imprese femminili e una valutazione attenta delle politiche economiche di genere.
  In un Paese in cui ci sono sempre meno nascite, e sono troppe le donne e gli uomini che devono, forzatamente, rinunciare a un desiderio di maternità o paternità, reso impraticabile da una società che sembra aver dimenticato che la questione della nascita e della crescita dei bambini, così come della loro qualità della vita, è una questione politica e sociale fondamentale, abbiamo il dovere di mettere in campo ogni possibile iniziativa che Pag. 68contribuisca ad eliminare le barriere che oggi purtroppo si trova davanti chi ha deciso di seguire un desiderio tanto semplice quando fondamentale: mettere al mondo un figlio. La prima barriera, oggi più di ieri, è soprattutto quella del lavoro, ed è per questo che chiediamo al Governo di partire dall'implementazione delle opportunità di crescita professionale e di conciliazione tra vita e lavoro delle donne, che non può che favorire la tenuta economica e sociale del nostro Paese.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO ROCCO PALESE IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DOC. XXII, nn. 18-19-21-A

  ROCCO PALESE. Onorevoli colleghi ! Il documento all'esame di quest'Aula ha lo scopo di istituire una Commissione d'inchiesta sui centri di identificazione ed espulsione e sui centri di accoglienza per richiedenti asilo. Con riguardo a tale materia l'Italia, a partire dal 1998, ha introdotto nel proprio ordinamento la possibilità di limitare i movimenti di stranieri irregolari allo scopo di identificarli e di consentirne l'espulsione, e ha contestualmente eretto un sistema di strutture specializzate per il loro trattenimento.
  Nella terminologia delle direttive europee questa politica è denominata administrative detention, detenzione amministrativa, perché non costituisce l'esito di una sanzione conseguente alla commissione di un reato. Dunque non è disposta al termine di un processo e non richiede una sentenza del giudice, ma è di competenza della giurisdizione amministrativa ed è disposta dal questore.
  L'urgenza di affrontare il tema del funzionamento, dell'efficacia e soprattutto delle condizioni di detenzione amministrativa all'interno dei centri di identificazione ed espulsione e in quelli di prima accoglienza per gli stranieri giunti illegalmente nel territorio nazionale, è stata riproposta per l'ennesima volta dai fatti avvenuti alla fine dello scorso anno presso il centro di prima accoglienza di Lampedusa, ove la somministrazione delle terapie antiscabbia sarebbe avvenuta in condizioni degradanti le cui immagini, riprese occultamente da uno degli immigrati ivi ospitati, hanno avuto larga diffusione nei mezzi d'informazione nazionali e internazionali, sia presso il centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, alle porte di Roma, dove nove immigrati ivi trattenuti hanno posto in atto una clamorosa protesta suturandosi la bocca.
  L'interesse manifestato da più parti della classe politica, la costante vigilanza degli organismi internazionali e la spiccata sensibilità dell'opinione pubblica verso i temi dell'immigrazione irregolare hanno determinato, soprattutto negli ultimi tempi, una sovraesposizione del problema, accrescendo l'attenzione e il controllo sociale dell'attività svolta in materia dall'Amministrazione pubblica. In realtà, l'ondata di manifestazioni e rivoluzioni, che ha avuto inizio in Tunisia nel dicembre 2010, e che poi si è allargata a tutta la sponda nord-africana del Mediterraneo, meglio conosciuta come «Primavera Araba», ha comportato un notevole incremento della presenza di immigrati irregolari o non identificati in Italia, creando difficoltà e nuovi interrogativi sulla gestione dei Centri di identificazione ed espulsione e sulle politiche migratorie adottate al riguardo. Tuttavia, l'organizzazione di queste strutture, che deve essere basata su standard di qualità che siano elevati, omogenei e verificabili, è improntata a criteri di economicità ed efficienza, se risulta migliorabile, si rivela ancora, allo stato, come un sistema del quale la nostra amministrazione, posta di fronte alla sfida del crescente numero di immigrati irregolari che continua ad affluire in Italia, non può fare a meno.
  Attesa l'esigenza di affrontare taluni problemi organizzativi e gestionali emersi dal costante monitoraggio cui sono sottoposti i C.I.E., e allo scopo di migliorare le condizioni delle persone in essi ospitate, già il Ministro Cancellieri, nel 2012, istituì una task force interna al Ministero, con il compito di analizzare la situazione in cui Pag. 69versavano i CIE italiani, relativamente agli aspetti di ordine normativo, organizzativo e gestionale, allo scopo di elaborare un quadro d'insieme e di formulare proposte idonee a migliorarne l'operatività e ad assicurare l'uniformità complessiva del sistema di accoglienza nei Centri medesimi. La finalità del trattenimento degli stranieri irregolari è di rimuovere gli ostacoli che, transitoriamente, impediscono di eseguire il rimpatrio, laddove ricorrano una o più delle seguenti condizioni: il rischio che la persona da allontanare si renda irreperibile; l'esigenza di accertare la sua identità, poiché priva di passaporto; la necessità di acquisire un mezzo di trasporto idoneo al rimpatrio.
  L'attuale sistema non è assolutamente in linea con i requisiti minimi di rispetto dei diritti umani fondamentali, stabiliti dall'Unione europea e dalle norme di diritto internazionale, e presenta innumerevoli criticità sotto diversi punti di vista, non ultimo quello della sua efficacia sotto il profilo delle procedure di identificazione ed espulsione: basti pensare che, attualmente, un soggetto sottoposto a detenzione amministrativa, può restare all'interno di un centro di identificazione ed espulsione fino a diciotto mesi, senza che si giunga utilmente alla sua identificazione e, ricorrendone i presupposti, all'espulsione, e senza che siano riconosciuti neppure i diritti minimi previsti dall'ordinamento penitenziario in favore dei detenuti !
  È bene dunque chiarire che l'intento sotteso alla presente proposta di istituzione di una Commissione parlamentare monocamerale di inchiesta è, non soltanto quello di disporre di dati aggiornati sulle condizioni di permanenza all'interno dei centri di identificazione ed espulsione, ma soprattutto quello di giungere, attraverso questi dati, ad elaborare nuove e adeguate soluzioni normative. Infatti le drammatiche notizie sulle pessime condizioni dei soggetti trattenuti all'interno dei centri, che spesso rappresenterebbero veri e propri trattamenti disumani o degradanti per persone sottoposte ad una mera detenzione amministrativa, non sono certo una novità e sono ormai all'ordine del giorno dei fatti di cronaca. Quelle che ancora mancano sono invece le risposte adeguate, in termini di vivibilità ed efficienza, alle diverse criticità denunciate. Si genera una spirale caratterizzata dalla produzione continua di provvedimenti espulsivi che risultano ben difficilmente eseguibili sia in ragione del loro numero eccessivo, sia in ragione del generarsi di un circolo vizioso di contrapposizione tra la Pubblica Amministrazione e lo straniero il quale, non vedendo la convenienza di un comportamento di trasparenza e di collaborazione con le Autorità, mette in atto diverse strategie di resistenza, prime tra tutte, l'occultamento dell'identità. L'espulsione dovrebbe essere un provvedimento necessario da applicarsi come ultima ratio !
  Onorevoli colleghi ! La Commissione d'inchiesta che si intende istituire dovrebbe perseguire determinate finalità tra le quali quelle più rilevanti sono: accertare se nei CDA, nei CARA e nei CIE si siano verificati condotte illegali e atti lesivi dei diritti fondamentali e della dignità umana e se, in particolare, siano stati perpetrati trattamenti disumani o degradanti nei confronti dei migranti ivi accolti o trattenuti; ricostruire in maniera puntuale le circostanze in cui si siano eventualmente verificati gli atti lesivi della dignità umana; indagare sui tempi e sulle modalità di accoglienza nei CDA e nei CARA e sulle modalità di trattenimento nei CIE e verificare l'adeguata tenuta di registri di presenza delle persone trattenute all'interno di ciascun centro di identificazione ed espulsione, che contengano altresì informazioni precise e dettagliate sul tempo di permanenza dei soggetti trattenuti, sulle loro condizioni di salute o sulla dipendenza da sostanze psicotrope, sulla loro eventuale precedente permanenza in carcere o in altri centri di identificazione ed espulsione, nonché la trasparenza di tali informazioni e la loro adeguata messa a disposizione, in particolare nei riguardi delle autorità amministrative, di polizia e giudiziarie interessate al fenomeno dell'immigrazione regolare o irregolari; verificare l'effettivo rispetto dei criteri di gestione previsti dalle vigenti disposizioni Pag. 70normative e regolamentari per ciò che attiene ai servizi di orientamento, nonché di tutela legale e sociale erogati nei CDA, nei CARA e nei CIE, con particolare attenzione alle prestazioni sanitarie, al rispetto della disciplina relativa al diritto d'asilo e alla tutela dei soggetti più vulnerabili.
  Ci si aspetta tuttavia che la Commissione di inchiesta sui centri di identificazione ed espulsione e sui centri di accoglienza per richiedenti asilo, che sarebbe preposta a compiti analoghi a quelli già rientranti nelle competenze del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione, collabori con il Comitato in cui sono oltretutto rappresentati tutti i gruppi parlamentari. In tal modo i due organismi si potrebbero integrare in un'attività di controllo sicuramente più efficiente ed incisiva.