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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 27 gennaio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    con la deliberazione del consiglio regionale n. 66 del 10 luglio 2007 la regione Toscana ha approvato il piano regionale dello sviluppo economico (PRSE 2007-2010) che prevede, tra l'altro, nell'ambito della linea di intervento 3.1 – «Ingegneria finanziaria», interventi di garanzia con caratteristiche tali da rispettare i requisiti richiesti dall'accordo di Basilea;
    in data 16 ottobre 2008 il consiglio di amministrazione di Fidi Toscana Spa ha deliberato lo stanziamento di 1.500.000 euro destinato a potenziare i fondi regionali di garanzia a favore delle piccole e medie imprese;
    il 15 dicembre 2008, con la deliberazione n. 1086 della giunta regionale della Toscana, sono state approvate le modalità di attuazione degli «Interventi di garanzia per la liquidità delle imprese», stabilendo che tali interventi siano attuati mediante apporto di risorse a Fidi Toscana Spa a titolo di finanziamento, nel rispetto delle previsioni recate nelle «Istruzioni di Vigilanza per gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale di cui alla Circolare n. 216 del 5 agosto 1996, settimo aggiornamento del 9 luglio 2007, ed al relativo allegato “A”»;
    con deliberazione n. 1027 del 9 dicembre 2008 la stessa giunta regionale ha approvato il protocollo di intesa «Emergenza Economia» tra regioni e sistema bancario operante in Toscana;
    con il decreto n. 266 del 15 gennaio 2009 avente per oggetto «PRSE 2007-2010 Linea di intervento 3.1 Ingegneria finanziaria “Interventi di garanzia per la liquidità delle imprese”. Approvazione dell'accordo di finanziamento e del regolamento», è stato approvato «l'accordo per un finanziamento a Fidi Toscana per un importo massimo di euro 14.375.436,00 per l'attuazione degli «Interventi di garanzia per la liquidità delle imprese» di cui all'allegato A, parte integrante e sostanziale del presente atto, nonché è stato decretato di approvare il regolamento relativo agli «Interventi di garanzia per la liquidità delle imprese», di cui all'allegato B, e si è deciso di «rinviare l'assunzione degli impegni al momento in cui saranno rese disponibili le risorse a seguito delle necessarie variazioni di bilancio»;
    tra le domande presentate ne risulta una avanzata dalla società Chil s.r.l. il 16 marzo 2009 per un finanziamento di 437.000 euro a ottantaquattro mesi tramite la BCC Pontassieve, filiale di Pontassieve;
    la società Chil S.r.l. era ed è stata a tutti gli effetti una società della famiglia Renzi e in quella data l'unico dirigente, in aspettativa, della stessa, risulta essere proprio l'ex socio Matteo Renzi;
    alla stessa data, inoltre, Fidi Toscana risulta essere partecipata anche dalla provincia di Firenze per 1.413.412,00 euro (il primo socio pubblico per partecipazione dopo la regione Toscana) e che Matteo Renzi era presidente della provincia;
    la garanzia di Fidi Toscana è stata deliberata il 15 giugno 2009 tra il primo e il secondo turno delle elezioni comunali di Firenze in cui Matteo Renzi stava diventato sindaco di Firenze, e il finanziamento è stato erogato dalla banca il 13 agosto 2009, quando Matteo Renzi era sindaco;
   anche il comune di Firenze è socio di Fidi Toscana spa;
    l'intervento è stato effettuato a prima richiesta nella misura dell'ottanta per cento, a valere sulle risorse della misura liquidità PRSE 2007-2010 in quanto piccola e media impresa femminile;
    in data 29 luglio 2009 Laura Bovoli, Renzi Benedetta e Renzi Matilde hanno ceduto le proprie quote societarie a Renzi Tiziano, determinando di conseguenza la perdita in capo all'azienda della caratteristica di piccola e media impresa femminile;
   l'allegato B, parte integrante del decreto n. 266 del 15 gennaio 2009, recante il regolamento, all'articolo 19 stabilisce che: «1. I soggetti finanziatori, per ogni operazione ammessa, devono comunicare a Fidi Toscana le informazioni in loro possesso relative: a. all'assetto proprietario delle PMI; b. alle garanzie prestate a favore del soggetto finanziatore; c. alla titolarità del credito a seguito di cessioni effettuate ai sensi dell'articolo 1260 del codice civile, ovvero della legge 30 aprile 1999, n. 130. 2. I soggetti finanziatori devono informare Fidi Toscana a mezzo raccomandata A/R al fine di essere da essa autorizzati a stipulare con la PMI accordi dilatori, remissori o transattivi sia per i crediti in bonis che per quelli segnalati come problematici. 3. Le PMI beneficiarie della garanzia devono comunicare a Fidi Toscana ogni fatto ritenuto rilevante inerente all'operazione garantita, ivi comprese le informazioni di cui al presente articolo. 4. Alle richieste di variazione si applicano, per quanto compatibili, le modalità previste per le richieste di ammissione»;
    in data 8 ottobre 2010, con protocollo n. FI-2010-63542, Chil Post s.r.l. ha ceduto un ramo aziendale a EVENTI 6 s.r.l., società riconducibile sempre alla famiglia Renzi;
    in data 14 ottobre 200, come verificabile da verbale di assemblea straordinaria e ordinaria, alle ore quattordici e trenta minuti Renzi Tiziano in qualità di amministratore unico della società e presidente dell'assemblea ha proposto lo spostamento della sede legale da Firenze a Genova, poi deliberato nella stessa seduta, e nella stessa data le quote della società Chil Post s.r.l. sono state trasferite interamente da Renzi Tiziano ad altro socio, per un corrispettivo di duemila euro;
    successivamente, la banca è entrata in sofferenza a causa dell'insoddisfacente andamento del rapporto e al perdurare dell'insolvenza relativa all'estinzione di fatture Italia anticipate e scadute;
    in data 12 agosto 2011 si è verificato il primo mancato pagamento di una rata del finanziamento da parte di Chil POST S.r.l., e in data 20 ottobre 2011 è stata effettuata la messa in mora da parte della banca, nel rispetto dei termini della convenzione regolante i rapporti tra le banche e Fidi Toscana;
    a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo l'esposizione complessiva al momento della richiesta di attivazione della garanzia era di 322.316,34 euro;
    in data 15 febbraio 2012 la banca ha richiesto a Fidi Toscana l'attivazione della garanzia rilasciata a valere sulla misura in questione;
    il 7 febbraio 2013 il giudice del tribunale fallimentare di Genova ha dichiarato il fallimento di CHIL Post s.r.l., e su questa vicenda la procura di Genova sta indagando per bancarotta fraudolenta e tra gli indagati secondo quanto riportato da organi di stampa risultano esserci anche Tiziano Renzi e Laura Bovoli, genitori di Matteo Renzi;
    Laura Bovoli risulta essere anche presidente del consiglio di amministrazione di «Eventi 6 s.r.l.»;
    in data 1o agosto 2013 è stata liquidata da Fidi Toscana alla BCC Pontassieve la somma di 263.114,70 euro, a copertura della perdita subita dalla banca (la somma è pari all'80 per cento dell'esposizione complessiva al momento della richiesta di attivazione a garanzia + interessi ed oneri);
    il 22 febbraio 2014 Matteo Renzi è diventato presidente del Consigli dei ministri;
    in data 30 ottobre 2014, Fidi Toscana ha ricevuto dal Fondo centrale di garanzia la somma di 236.803,23 euro a seguito dell'attivazione della controgaranzia;
    a Fidi Toscana non risulterebbero comunicati né l'esposizione politica della società Chil s.r.l. al momento della richiesta del finanziamento, né la successiva cessione di ramo aziendale;
    in data 13 gennaio 2015, nel corso della risposta in Aula all'IO 1289, l'assessore regionale alle attività produttive, credito e lavoro Simoncini ha confermato che «Fidi Toscana avrebbe dovuto essere informata della cessione del ramo di azienda. Infatti il regolamento del fondo di garanzia prevede che la banca finanziatrice ha l'obbligo di comunicare a Fidi Toscana le informazioni in suo possesso, tra cui quello sull'assetto proprietari delle imprese finanziate. Così come le imprese devono comunicare a Fidi Toscana ogni fatto ritenuto rilevante inerente l'operazione garantita comprese le informazioni relative all'assetto societario. Nel caso di specie, come comunicatoci da Fidi Toscana, tali affermazioni non sono state comunicate», e che «Nel caso in cui da verifiche... risultino non rispettate le finalità previste dal regolamento, l'agevolazione è revocata e l'impresa è tenuta a corrispondere un importo pari a due volte l'agevolazione ricevuta (ovvero il risparmio in termini di costo della garanzia considerato che la stessa è concessa a titolo gratuito). Inoltre se Fidi Toscana fosse stata informata sulla variazione dell'assetto proprietario avrebbe dovuto, ai sensi del regolamento procedere a istruire la variazione secondo le modalità previste per le richieste di ammissione»;
    il fondo centrale di garanzia è afferente al Ministero dello sviluppo economico – direzione generale dello sviluppo alle imprese, e, quindi, al Governo presieduto da Matteo Renzi;
    pertanto, la perdita sofferta sull'operazione da Fidi Toscana, a valere sulla misura liquidità, è stata di 26.311,47 euro e dal fondo di garanzia di 236.803,23 euro;
    i debiti creati dall'azienda di famiglia di Matteo Renzi, a giudizio dei firmatari del presente atto, sono stati di fatto pagati con fondi pubblici sia tramite la finanziaria regionale sia tramite il fondo di garanzia dello Stato quando Matteo Renzi ricopriva ruoli apicali nelle istituzioni di riferimento,

impegna il Governo

a vigilare sull'operato del Fondo di garanzia, verificando eventuali irregolarità ed eventualmente promuovendo, per quanto di competenza, le opportune iniziative finalizzate alla contestazione del danno erariale e al recupero delle somme erogate.
(1-00722) «Giorgia Meloni, Rampelli».


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 119 e 125-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, prevedono obblighi di comunicazione per gli istituti e intermediari bancari in merito allo svolgimento del rapporto con il cliente;
    come previsto dal testo unico bancario, le dette disposizioni si applicano a tutte le operazioni e ai servizi di natura bancaria e finanziaria, incluso il credito ai consumatori e i servizi Bancoposta, offerti dalle banche (italiane e comunitarie) e dagli intermediari finanziari, anche al di fuori degli sportelli («fuori sede») o mediante «tecniche di comunicazione a distanza» (ad esempio Internet);
    tra gli obblighi di comunicazione rientrano non solo tutte le comunicazioni aventi ad oggetto variazioni in itinere delle condizioni contrattuali; ma anche tutte quelle strettamente attinenti allo svolgimento del rapporto tra cui rientrano senz'altro le eventuali inadempienze contrattuali da parte del cliente (come i ritardi nei pagamenti);
    al riguardo, il «Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti», approvato dall'Autorità garante della privacy e sottoscritto il 12 novembre 2004 da tutte le associazioni rappresentative del settore bancario, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 300, del 23 dicembre 2004, prevede all'articolo 4, comma 7, che al verificarsi di ritardi nei pagamenti, l'istituto bancario o intermediario finanziario deve provvedere all'invio all’«interessato» di solleciti o altre comunicazioni, avvertendolo dell'imminente registrazione dei dati in uno o più sistemi di informazioni creditizie (cosiddetta segnalazione alla «Centrale dei Rischi»). In assenza di tale preavviso, dunque, l'iscrizione alla centrale rischi è illegittima e deve essere cancellata (ARBITRO BANCARIO FINANZIARIO, collegio di Milano, decisione n. 2083/2013);
    l'ampia formulazione della disposizione, che si riferisce al soggetto «interessato», dovrebbe consentire l'estensione del prescritto obbligo di comunicazione a tutti i soggetti potenzialmente interessati al rapporto contrattuale. Dunque, non solo al debitore principale moroso nel pagamento (cliente) ma anche a coloro che sono obbligati, a diverso titolo, all'adempimento della medesima obbligazione di pagamento assunta dal primo (si pensi ai garanti dell'obbligazione principale e a coloro che hanno prestato garanzia fedeiussoria). Sennonché, la prassi interpretativa e applicativa della detta disposizione evidenzia come gli istituti e intermediari bancari si limitano ad inoltrare il preavviso di segnalazione esclusivamente al debitore principale. In pratica, le banche e gli intermediari procedono alla segnalazione alla «Centrale dei Rischi» anche dei soggetti terzi, garanti o fideiussori, che di fatto potrebbero essere completamente ignari dello stato di insolvenza del debitore principale;
    sulla questione non v’è un orientamento interpretativo univoco da parte dei collegi arbitrali né della giurisprudenza (sul diritto del fideiussore a ottenere una comunicazione periodica sull'esposizione debitoria si è espresso l'ABF, collegio di Milano, nn. 575/2013, 3014/2012 e collegio di Napoli, n. 4344/2013; in senso non conforme – riprendendo il pronunciamento della corte di legittimità del 9 novembre 2007, n. 23391 – si è espresso l'ABF, Collegio di Napoli, n. 2517/2012);
    il preavviso di segnalazione è espressione del «principio di correttezza e lealtà» (Garante della Privacy, delibera del 31 luglio 2012) nel trattamento dei dati personali e risponde all'esigenza di offrire al debitore e ai terzi interessati la possibilità di poter intervenire prima della segnalazione della morosità alla centrale rischi privata;
    la compiuta attuazione di tali princìpi non può non estendersi indistintamente a tutti i soggetti interessati, a diverso titolo, al rapporto contrattuale, soprattutto se si tratta di soggetti obbligati a rispondere dell'obbligazione di pagamento;
    le disposizioni vigenti pongono concreti problemi interpretativi che di fatto limitano la tutela nei confronti dei soggetti interessati al rapporto contrattuale, diversi dal debitore principale;
    i contrasti applicativi contenuti nelle decisioni dell'ABF, non supportate da un orientamento uniforme in seno alla giurisprudenza di merito e di legittimità, confermano i dubbi interpretativi sulle disposizioni in esame e necessitano di un chiaro intervento normativo,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa, anche a carattere normativo, al fine di estendere gli obblighi di comunicazione in merito allo svolgimento del rapporto contrattuale previsti dal testo unico bancario (articoli 119 e 125-bis), ed in particolare le informazioni sull'andamento dell'esposizione debitoria del cliente, anche ai soggetti terzi interessati al rapporto contrattuale ed obbligati in qualità di garanti o fideiussori;
   ad assumere iniziative per prevedere, come conseguenza dell'inosservanza dei detti obblighi di comunicazione da parte degli istituti bancari e intermediari finanziari, l'estinzione di diritto del negozio di garanzia;
   ad assumere ogni iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di prevedere l'illegittimità della registrazione dei dati in uno o più sistemi di informazioni creditizie (cosiddetta segnalazione alla «Centrale dei Rischi») nell'ipotesi di mancata comunicazione delle informazioni previste dal testo unico bancario ai soggetti terzi interessati al rapporto contrattuale ed obbligati in qualità di garanti o fideiussori.
(1-00723) «Petraroli, Pesco, Barbanti, Frusone, Nesci, Sibilia, Manlio Di Stefano, D'Ambrosio, De Rosa, Zolezzi, Businarolo, Sorial».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    al fine di rendere più coerente il sistema di tassazione e più semplice l'applicazione delle norme e la determinazione delle basi imponibili, riducendo i costi di adempimento per le oltre 900 mila partite Iva esercenti le loro attività sul territorio nazionale, anticipando in tal modo anche il riordino del regime dei minimi, previsto nella legge n. 23 del 2014 (cosiddetta delega fiscale), la legge di stabilità 2015 ha introdotto un regime forfetario di determinazione del reddito in funzione dei soli ricavi o compensi percepiti nel periodo d'imposta sul quale è applicato un coefficiente di redditività ATECO 2007, da assoggettare ad un'unica imposta sostitutiva pari al 15 per cento prevedendo, al contempo, un regime contributivo opzionale attraverso la soppressione del versamento dei contributi sul minimale di reddito;
    il suddetto nuovo regime, che ha alcuni punti in comune con il precedente regime dei minimi, è riservato ai contribuenti persone fisiche, senza limiti di età, esercenti attività d'impresa o arti e professioni, che nell'anno precedente hanno conseguito ricavi/compensi, ragguagliati all'anno, superiori a soglie massime che tengono conto della diversa redditività dei settori economici, e che possono variare dai 15.000 euro per le attività professionali ai 40.000 euro per il commercio, parametro a cui si affianca il tetto annuo di spese per lavoro dipendente pari a 5 mila euro lordi, e per beni strumentali (anche a titolo di locazione, noleggio leasing) pari a 20.000 mila euro. Lo stesso regime è applicabile anche a chi percepisce redditi di natura mista, purché i redditi conseguiti come professionista o con l'attività di impresa siano prevalenti su quelli dipendenti e assimilati;
    tale nuovo assetto, che di fatto ha determinato la soppressione di tutti i previgenti regimi di favore (regime fiscale di vantaggio, disciplina delle nuove iniziative produttive, regime contabile agevolato), prevede, inoltre, l'esclusione dell'applicazione degli studi di settore e, al ricorrere di requisiti molto simili a quelli dell'abrogato «Regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria e i lavoratori in mobilità» (la nuova attività non deve costituire la mera prosecuzione di altra attività svolta nei precedenti tre anni sotto forma di lavoro dipendente o autonomo), per il primo triennio d'attività, di una riduzione del reddito, soggetto all'imposta sostitutiva del 15 per cento, pari a un terzo;
    in determinate situazioni il suddetto regime è capace di generare un incremento della pressione fiscale rispetto al regime ordinario, annullandone, in molti casi, la convenienza. Ed infatti da un raffronto con il precedente regime, per le nuove attività l'imposta sostitutiva dell'Irpef, ad esempio, triplicherà passando dal 5 al 15 per cento; così come l'applicazione della stessa aliquota era comunque garantita per cinque anni a patto di essere minori di 35 anni. Per di più, se sotto il precedente regime molti potevano garantirsi l'accesso al regime agevolato con un fatturato fino a 30.000, con il nuovo regime dovranno avere ricavi non superiori a 15.000 euro, tetto, di contro, elevato, per i commercianti da 30.000 a 40.000 euro annui. Inoltre il regime risulta meno conveniente di quello ordinario in virtù delle detrazioni da lavoratore autonomo non contemplate in un regime di tipo forfettario;
    è paradossale che in una fase in cui il mondo professionale registra un drammatico calo dei ricavi, soprattutto a carico dei professionisti più giovani e meglio formati, si riducano alcune agevolazioni fiscali proprio per chi è in difficoltà, adottando una politica miope che si dimostra incapace di guardare al mercato del lavoro nella sua interezza;
    la soglia stabilita a 15.000 euro è bassa ed ingiustificata, poiché impedisce ab origine l'accesso al regime agevolato, aumentando il rischio di evasione, specie in considerazione delle conseguenze gravose di uscita dal regime. Inoltre, i diversi coefficienti di redditività finiscono con l'equiparare situazioni che non sono indice della medesima capacità contributiva, anche a parità di attività lavorativa: un professionista che durante il periodo di imposta sostiene spese importanti, determinerà l'imposta sulla base dello stesso reddito imponibile di chi invece spese non ne ha sostenuto. Applicare sulla base di presunzioni, l'accesso differenziato ad un regime fiscale agevolato in funzione, dell'attività svolta non è in linea con i principi costituzionalmente di eguaglianza (articolo 3 Costituzione) e di capacità contributiva (articolo 53 Costituzione);
    con la decisione 2013/678/Ue del Consiglio dell'Unione europea, in deroga all'articolo 285 della direttiva 2006/112/CE, l'Italia era già autorizzata ad esentare dall'Iva i soggetti passivi il cui volume d'affari non superi i 65.000 euro annui, e la precedente decisione n. 2010/688/UE del 15 ottobre 2010 del Consiglio dell'Unione europea autorizzava l'Italia ad applicare il regime dei minimi, mantenendo quale soglia massima, per l'applicazione del regime, i precedenti 30.000 euro di fatturato annuale;
    analogamente a quanto contenuto nella precedente decisione (n. 2008/737/Ce del 15 settembre 2008), lo stesso Consiglio autorizzava l'Italia a conservare la citata soglia di 30.000 euro al fine di mantenere il valore dell'esenzione in termini reali;
    molte piccole e medie imprese per requisiti reddituali o di spesa per beni strumentali, si posizionano per poco al di sopra del limite minimo reddituale imposto dalla legislazione ai fini dell'esonero dell'applicazione alle stesse degli studi di settore, nonostante il persistere degli attuali ed avversi fattori economici di contesto (crisi del mercato produttivo, creditcrunch, calo delle commesse, etc.) che rendono sempre più difficile la sopravvivenza sul mercato. Pertanto le stesse, nonostante rappresentino, con una diffusione territoriale che garantisce uno sviluppo geografico equilibrato, la spina dorsale del tessuto produttivo italiano, vengono penalizzate da una politica di accertamento fiscale che le sottomette a parametri di congruenza superati o poco rappresentativi della loro realtà imprenditoriale;
    di contro, l'articolo 1, comma 744, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), ha modificato le aliquote contributive per la gestione separata già previste per il 2014 sulla scorta del combinato disposto dell'articolo 2, comma 57, della legge Fornero, legge n. 92 del 2012 e dell'articolo 46-bis, comma 1, lettera g) del decreto-legge n. 83 del 2012, prevedendo, per i lavoratori autonomi, titolari di posizione fiscale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, ed iscritti in via esclusiva alla gestione separata, la sospensione dell'aumento contributivo previsto per lo stesso anno dall'articolo 1, comma 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, dal 27 per cento al 28 per cento;
    non avendo la stessa legge di stabilità per il 2015 disposto nulla in merito, a partire dal 1o gennaio 2015 l'aliquota contributiva ha ripreso la normale progressione prevista dalla suddetta «riforma Fornero», pari al 27 per cento per l'anno 2012 e per l'anno 2013, al 28 per cento per l'anno 2014, al 30 per cento per l'anno 2015, al 31 per cento per l'anno 2016, al 32 per cento per l'anno 2017 ed al 33 per cento a decorrere dall'anno 2018;
    il momentaneo congelamento della progressione era giustificato da una parte dalla volontà di voler far preferire alle aziende, quantomeno per il minor costo dei contributi, rapporti di lavoro con contratti flessibili, e dall'altra dalla considerazione che quella dei titolari di partita IVA individuale è la categoria più penalizzata dal progressivo aumento contributivo. Non si deve infatti dimenticare che, mentre per i parasubordinati, i contributi previdenziali risultano essere a carico per i due terzi del committente e solo per un terzo a carico del collaboratore, nel caso dei titolari individuali di partita IVA tutti i contributi sono a carico degli stessi, ed in un periodo di crisi economica come quello attuale, un aumento di tale portata inciderebbe in misura forte sui redditi netti percepiti dagli stessi mettendo seriamente a rischio la loro attività lavorativa;
    le condizioni economiche di questo segmento di lavoratori non sono affatto solide, il reddito medio annuo dei titolari di partita IVA individuale è pari a 15.837 euro, importo che scende a 13.972 euro per coloro che hanno meno di 39 anni. Qualora l'aliquota contributiva rimanesse congelata tali contribuenti continuerebbero, comunque, a versare presso la gestione separata dell'INPS circa 4276 euro di contributi. Dal 1o gennaio 2015, a legislazione invariata, l'aliquota contributiva si è pertanto elevata di 3 punti percentuali facendo lievitare, a parità di reddito annuo, il suddetto importo, di ben 475 euro, ai quali aggiungere la quota IRPEF;
    a fronte di tali versamenti l'ente gestore INPS eroga prestazioni molto esigue, senza garantire dignitose forme di tutela, come la maternità o l'indennità di malattia, o di sostegno al reddito in caso di assenza provata di commesse, come del resto avviene per tutte le casse ordinistiche;
    la perdurante crisi economica che condiziona tutte le attività di mercato, non consentono a questi lavoratori, al fine di ammortizzare l'ulteriore spesa per la contribuzione, di innalzare i loro compensi che spesso non riescono a definire autonomamente dovendo accettare senza margine di trattativa la proposta del committente,

impegna il Governo:

   ad assumere le opportune iniziative normative al fine di innalzare, coerentemente a quanto già autorizzato dal Consiglio dell'Unione europea, a 30.000 euro di fatturato annuale il limite di reddito per l'accesso al regime dei minimi, al fine di mantenere il valore dell'esenzione in termini reali e più aderenti alla realtà economica;
   ad assumere iniziative per ampliare la fascia di esclusione dagli studi di settore nei primi 3 anni di attività rispetto a quella attualmente prevista dal regime dei minimi, intervenendo in particolar, modo sui parametri relativi ad investimenti e spese per il personale e ad introdurre per le PMI forme di tassazione diversificata delle loro attività e di componenti rappresentative delle varie fasi del ciclo produttivo;
   ad assumere iniziative per prorogare a tutto il 2015 la sospensione del progressivo aumento dell'aliquota contributiva per titolari di partita IVA individuale che versano alla gestione separata INPS, già previsto dall'articolo 1, comma 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, mantenendo la stessa al 27 per cento;
   ad assumere iniziative per emanare un'organica normativa di sostegno sociale e fiscale in favore di una categoria di lavoratori, quella dei titolari di partita Iva individuale, altamente professionalizzata e che contribuisce in maniera significativa a mantenere in equilibrio il bilancio dell'INPS.
(7-00581) «Paglia».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 8 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, prevede che il presidente di un'autorità portuale sia nominato «nell'ambito di una terna di esperti di massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale», designati rispettivamente da provincia, comuni e camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura territorialmente competenti;
    la nomina avviene con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, come previsto dal suddetto articolo della legge n. 84 del 1994;
    almeno in un'occasione si è proceduto a nominare una personalità che si è rivelata priva dei requisiti professionali necessari per ricoprire il ruolo di presidente di un porto italiano;
    in particolare, il medico cagliaritano Piergiorgio Massidda, nominato nel 2011 presidente dell'autorità portuale di Cagliari, ha dovuto abbandonare l'incarico in seguito alla sentenza del Consiglio di Stato del 26 settembre 2013 n. 4768. Tale sentenza, in disaccordo con la precedente decisione del Tar n. 520 del 2012 che invece aveva lasciato l'ex parlamentare a capo dell'Autorità, ha stabilito che il dottor Massidda non poteva ricoprire il ruolo a lui affidato all'autorità portuale cagliaritana in quanto non in possesso delle competenze professionali nei settori dell'economia dei trasporti e portuale richieste per legge;
    secondo il Consiglio di Stato, infatti, il dottor Massidda «per la sua storia personale, non poteva avere certo conseguito la massima e comprovata qualificazione professionale nei settori dell'economia dei trasporti e portuale ed era carente in radice del requisito prescritto dalla legge, per cui doveva probabilmente la sua nomina alle sue capacità politico-relazionali (di deputato, senatore e consigliere provinciale, e altro). In sostanza il soggetto prescelto non solo possedeva titoli di studio del tutto estranei alla materia, ma nella sua pur pluriennale esperienza parlamentare si era sempre interessato delle materie direttamente o indirettamente affini alle sue capacità professionali e alle sue specifiche competenze mediche»;
    con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nel novembre 2013, Massidda è stato nominato commissario straordinario della stessa autorità;
    il Ministro Maurizio Lupi, nel gennaio 2014, ha revocato il mandato di commissario al medico cagliaritano dopo che il Consiglio di Stato ha respinto la richiesta, avanzata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di sospensione della sentenza di annullamento della nomina di Massidda a presidente dell'ente;
    il 23 dicembre 2014, infine, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27341, ha rigettato il ricorso dell'ex parlamentare sardo contro il pronunciamento del Consiglio di Stato;
    il commissario straordinario esercita di fatto i poteri e le attribuzioni del presidente dell'autorità portuale, seppur per un periodo transitorio, per cui appare evidente che, in caso di nomina, debba possedere le stesse competenze professionali del presidente;
    risulta pertanto necessario, in vista delle future nomine dei presidenti e degli eventuali commissari dei porti italiani, procedere ad una revisione dei criteri di nomina anche al fine di individuare persone che possano inequivocabilmente dimostrare di possedere le competenze necessarie per ricoprire correttamente l'incarico a loro affidato,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per rivedere la disciplina riguardante le procedure di nomina dei presidenti delle autorità portuali nonché dei commissari di cui all'articolo 7, comma 4 della legge 28 gennaio 1994, n. 84 attraverso:
    a) l'introduzione di clausole di incompatibilità, esclusione e decadenza nel caso di implicazioni in procedimenti giudiziari, anche ove i soggetti interessati risultino solo iscritti nel registro delle notizie di reato;
    b) la verifica di una comprovata capacità di management pubblico, la conoscenza dei sistemi di controllo, nonché dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, nonché il possesso di un adeguato titolo accademico o professionale se corredato da corsi di specializzazione e di formazione specifica in materie congruenti l'incarico.
(7-00583) «Nicola Bianchi, De Lorenzis, Lorefice, Spessotto, Petraroli».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    in Sardegna a febbraio andranno all'asta 332 aziende e case, a marzo 383. Più di settecento immobili nel giro di due mesi;
    si tratta di una situazione insostenibile che rischia di mettere per strada migliaia di persone senza case, aziende e futuro;
    è una situazione che va affrontata senza perdere ulteriore tempo sia con interventi legislativi che amministrativi;
    la grave situazione economico-finanziaria delle aziende agricole sarde conseguenza dei provvedimenti legislativi della regione Sardegna dichiarati incompatibili dalla Commissione europea rischia di compromettere definitivamente il sistema agricolo sardo;
    con la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 23 febbraio 2006, a seguito di un lungo contenzioso avviato dalla Commissione europea già nel 1997, con la decisione 97/612/CE del 16 aprile 1997, sono stati dichiarati incompatibili con il mercato comune gli aiuti concessi dalla regione Sardegna a diversi settori agricoli, sotto forma di concorso negli interessi, in applicazione della legge regionale n. 44 del 1988 e di quattro delibere della giunta regionale adottate dal 1988 al 1992;
    in conseguenza di tale decisione, sono state applicate da parte degli istituti bancari misure di recupero dei finanziamenti che si sono rivelate insostenibili per le aziende interessate, determinando una situazione di vera e propria emergenza socio-economica, con la messa all'asta di numerose aziende e il rischio della scomparsa di un fondamentale settore produttivo della regione Sardegna;
    di fronte a questa situazione, nella scorsa legislatura sono state assunte, con il più ampio consenso di tutti i gruppi parlamentari, numerose iniziative, tra le quali quali si ricordano in particolare la risoluzione a firma Pili e del presidente della Commissione Agricoltura Russo approvata il 26 novembre 2008 e l'avvio, da parte della stessa Commissione, di un'indagine conoscitiva sulla crisi finanziaria del comparto agricolo, con particolare riferimento alla situazione della regione Sardegna;
    tali iniziative sono culminate con l'approvazione di provvedimenti di sospensione dei giudizi pendenti e con apposite norme nell'ambito delle leggi finanziarie;
    la sospensione delle procedure di recupero e delle esecuzioni forzate in danno delle aziende interessate aveva consentito di evitare conseguenze irreversibili per l'agricoltura sarda;
    l'assenza di una norma di proroga o di ripristino di quella sospensione anche attraverso una nuova norma in tal senso rischia di generare un disastro economico e sociale senza precedenti;
    la reiterazione della norma di sospensione è indispensabile perché sino ad oggi non sono state individuate soluzioni efficaci per la ristrutturazione dei predetti debiti e di quelli che ne sono conseguiti, in quanto il lavoro svolto come si evince dai numeri riportati in premessa non è stato in grado di risolvere positivamente la questione;
    per scongiurare il riaprirsi della crisi, con la ripresa delle procedure esecutive, e per consentire la messa a punto degli interventi diretti alla definitiva soluzione della vicenda, si rende pertanto necessario reiterare ed eventualmente prorogare il termine per la formulazione di proposte operative da parte di un'apposita commissione Stato Regione e, al tempo stesso, reiterare e prorogare la sospensione dei giudizi pendenti, delle procedure di riscossione e recupero e delle esecuzioni forzose relative ai suddetti mutui;
    per evitare che le imprese suddette vengano escluse dalla partecipazione dei bandi ad evidenza pubblica per l'utilizzo dei fondi comunitari e il conseguente utilizzo delle stesse risorse finanziarie,

impegna il Governo:

   a procedere, con l'urgenza che le circostanze impongono, alla nomina di una nuova commissione di esperti, analoga a quella così prevista dall'articolo 2, comma 126, della legge n. 244 del 2007 al fine di valutare nuove soluzioni prevedendo una partecipazione paritetica Stato-regione;
   ad assumere iniziative per la proroga della sospensione dei giudizi pendenti, delle procedure di riscossione e recupero e delle esecuzioni forzate relative ai suddetti mutui sino al 31 dicembre 2015;
   a valutare, contestualmente con l'avvio dei lavori della commissione di cui sopra, le possibili e opportune iniziative, da concordare con la regione Sardegna, che possano consentire alle suddette aziende agricole l'utilizzo delle risorse finanziarie attivabili attraverso i programmi comunitari e l'attivazione di meccanismi di compartecipazione pubblica alla ristrutturazione del debito e al riassetto produttivo ed economico delle stesse aziende.
(7-00582) «Schullian, Pili».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 gennaio 2015, su proposta del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e dei Ministri dell'economia e delle finanze Pietro Carlo Padoan e dello sviluppo economico Federica Guidi, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge contenente disposizioni urgenti per il sistema bancario e gli investimenti;
   in particolare, il Consiglio dei ministri ha approvato un intervento di riforma delle banche popolari che impone alle banche popolari con attivo superiore a 8 miliardi di euro la trasformazione in società per azioni. Questo intervento ha quindi riguardato non la generalità delle banche popolari, ma solo alcune di esse;
   al momento ne risultano sconosciuti i dettagli, e, in particolare, per quello che attiene il presente atto, le motivazioni per le quali è stata decisa quella specifica soglia per la trasformazione delle banche popolari in società per azioni, e non una soglia superiore o inferiore;
   sta di fatto che, in virtù della soglia fissata ad essere interessate dall'intervento sono in particolare dieci banche: Banco Popolare, Ubi, Bper, Bpm, Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Banca Popolare di Sondrio, Credito Valtellinese, Banca Popolare Etruria e Lazio, Banca Popolare di Bari. Le ultime due sono le ultime, per requisiti, a rientrare nell'ambito delle banche interessate dal provvedimento;
   l'approvazione del decreto in questione ha avuto notevoli ricadute sulla valutazione dei titoli delle banche popolari coinvolte, con risultati particolarmente positivi per Banco Popolare (+9,83 per cento); seguita a distanza da Bpm, Ubi e Bper, le quali hanno tutte registrato un incremento del valore del proprio titolo intorno al +3 per cento. Rispetto a tali risultati, decisamente enorme per le sue dimensioni anche da quanto risulta da questo confronto è stato quello della Banca Etruria, che nella sola giornata del 21 gennaio 2015 ha registrato un incremento del proprio titolo nella misura del +27,28 per cento;
   tra i componenti del Consiglio di amministrazione della Banca Etruria figura, in qualità di vicepresidente, il dottor Pier Luigi Boschi, che risulta essere parente entro il secondo grado dell'onorevole Maria Elena Boschi, membro del Consiglio dei ministri in qualità di Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento;
   ai sensi della vigente normativa in materia di conflitto di interessi, la legge 20 luglio 2004, n. 215, giudicata peraltro estremamente blanda e inefficace dalla maggioranza degli esperti e degli osservatori e pertanto considerata tra i prioritari oggetti di riforma nei programmi elettorali del partito di maggioranza relativa che sostiene il Governo, è stabilito dall'articolo 3 che: «sussiste situazione di conflitto di interessi ai sensi della presente legge quando il titolare di cariche di governo partecipa all'adozione di un atto, anche formulando la proposta, [...], ovvero quando l'atto o l'omissione ha un'incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio del titolare, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate [...]»;
   la partecipazione dell'onorevole Ministro Boschi al succitato Consiglio dei ministri dovrebbe risultare dal processo verbale dello stesso, che tuttavia ai sensi dell'articolo 13 del Regolamento interno del Consiglio dei ministri, «è atto riservato», e dunque non conoscibile dall'esterno (tale regione a parere dell'interrogante, comporta una incomprensibile mancanza di trasparenza) –:
   se siano stati valutati i presupposti per il verificarsi di una situazione di conflitto di interessi in capo alla Ministra Maria Elena Boschi nonché l'opportunità della presenza della stessa nel Consiglio dei ministri, anche al di là delle blande previsioni normative in materia. (5-04604)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano «Corriere della sera», in un articolo pubblicato il 24 gennaio 2015, rivela che l'intervento di riforma delle banche popolari, contenuto all'interno del decreto-legge recante «disposizioni urgenti per il sistema bancario e gli investimenti», sia stato preceduto da una serie di attività anomale e di operazioni di compravendita di titoli azionari, di numerose banche popolari, i cui movimenti, pongono il quesito su un possibile sospetto caso di insider trading, che nel nostro Paese, costituisce un reato amministrativo disciplinato dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58;
   subito dopo il varo del decreto-legge la borsa di Piazza Affari, ha infatti iniziato a prendere posizione, immaginando possibili aggregazioni tra le banche popolari, i cui acquisti si sono concentrati sulle banche di modesta dimensione, considerate come possibile conquista, come ad esempio, il Banco Popolare che ha registrato un guadagno del 21 per cento, la Banca popolare dell'Emilia + 24 per cento o la Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, che ha guadagnato addirittura il 65 per cento in una settimana;
   a tal fine il suesposto articolo evidenzia come a capo delle medesimo istituto vi sia il padre dell'onorevole Maria Elena Boschi, ministro senza portafoglio per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento del Governo Renzi, evidenziando inoltre che la Consob, ha avviato una serie di accertamenti preliminari sull'operatività dei titoli delle popolari, sia a monte che a valle delle notizie sugli interventi di riforma contenuti proprio all'interno del decreto-legge approvato lo scorso 20 gennaio dal Consiglio dei ministri;
   ulteriori notizie riportate dal «Corriere della sera», che a giudizio dell'interrogante, destano sospetti e alimentano serie perplessità per la decisione del Governo di prevedere le norme riguardanti la riforma delle banche popolari, attraverso il ricorso alla decretazione d'urgenza, anziché come originariamente previsto, all'interno di un disegno di legge, destinato a seguire il normale iter parlamentare, si rilevano dai titoli che alcuni quotidiani riportavano prima del 20 gennaio, giorno in cui il provvedimento denominato: «Investment compact» è stato licenziato dal Consiglio dei ministri;
   nelle giornate del 15 e 16 gennaio 2015 infatti, alcuni quotidiani e agenzie di stampa, riportavano i seguenti titoli: «Brillano le Popolari»: «Salgono i bancari a cominciare dalle Popolari»; successivamente poco prima delle ore 18 della stessa giornata del 16 gennaio, a chiusura della Borsa valori di Milano, le agenzie di stampa riportavano la notizia: «In arrivo norme per riforma Popolari»;
   a tal fine l'articolo del quotidiano «Corriere della sera» prosegue, ponendo una serie di articolate osservazioni e quesiti su quanto avvenuto precedentemente all'approvazione del decreto-legge di riforma delle banche popolari, le cui decisioni del Presidente del Consiglio Renzi, di estrapolare un articolo di un disegno di legge in fase di predisposizione del Ministero dello sviluppo economico, sull'abolizione del voto capitario, per trasferirlo all'interno nel decreto Investment compact, (il cui testo ha preso forma di un lungo articolato), hanno destato sorpresa essendo inizialmente non programmate;
   ulteriori rilievi ambigui, che a parere dell'interrogante, richiedono adeguati chiarimenti ed una serie di necessarie indicazioni finalizzate a rendere maggiore trasparenza sulle manovre che hanno anticipato l'approvazione del suesposto decreto di riforma, sono rivolti ai segnali e alle indiscrezioni, secondo le quali si sarebbe concentrata in una delle «piazze finanziarie» più importanti in Europa e nel mondo: il London Stock Exchange, un'intensa attività di compravendita di titoli di alcune banche popolari italiane quotate in Borsa;
   sulla base di convergenti fonti di mercato infatti, alcuni soggetti con base a Londra, avrebbero creato posizioni anche rilevanti in azioni delle banche popolari nei giorni precedenti le prime circostanziate indiscrezioni, sul decreto di riforma che abolisce il voto capitario delle popolari, ossia il principio di «una testa un voto» per cui tutti i soci sono uguali a prescindere dalle azioni possedute;
   a tal fine, considerando gli effetti dirompenti che la notizia ha avuto sui mercati finanziari, a partire che lunedì 19 gennaio 2015, con rialzi a due cifre di tutte le banche coinvolte, come in precedenza riportato, risulta evidente a parere dell'interrogante, quanto siano stati abili gli «accumulatori» di pacchetti di titoli azionari nell'agire attraverso possibili informazioni privilegiate, in apparente contrasto con la normativa prevista dal suindicato decreto legislativo, che attraverso l'articolo 187-bis, ne dispone il divieto, attraverso una sanzione amministrativa;
   l'interrogante in definitiva evidenzia, come le considerazioni in precedenza richiamate, riguardanti il contenuto dell'articolo del quotidiano milanese, pongono una serie di quesiti nell'ambito di quanto avvenuto precedentemente alla giornata del 20 gennaio scorso, in cui è stato approvato il decreto-legge di riforma, il cui impatto così immediato e violento su una parte del listino di borsa, raramente è stato riscontrato su un provvedimento legislativo, come rilevato dal suesposto articolo e, ad avviso dell'interrogante, lascia spazio a dubbi circa l'indebita circolazione di informazioni privilegiate –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, in considerazione di quanto in precedenza riportato, non intendano chiarire, per le parti di propria competenza, le fasi tecniche che hanno anticipato l'approvazione del decreto-legge di riforma delle banche popolari, i cui rilievi particolarmente dettagliati pubblicati dal «Corriere della sera», pongono seri e fondati dubbi sull'effettiva decisione di intervenire attraverso lo strumento decreto-legge, di riforma delle banche popolari, che a parere dell'interrogante, non presentano a tal fine, i requisiti costituzionalmente previsti della necessità ed urgenza;
   se siano a conoscenza di altri soggetti, oltre a quelli istituzionalmente previsti, nell'ambito degli uffici legislativi del Ministero dell'economia e delle finanze della Presidenza del Consiglio dei ministri, competenti nella stesura degli atti legislativi, che fossero informati in modo particolare del contenuto delle norme contenute nel decreto-legge altamente price sensitive (ovvero, informazioni riguardanti una società oppure un titolo suscettibili di influenzarne il prezzo), la cui importanza rappresenta una svolta nell'ambito del quadro regolatore delle banche popolari, considerando che le modifiche apportate sopprimono il voto capitario, con l'obbligo di trasformazione in società per azioni;
   se il Ministro interrogato sia inoltre a conoscenza dell'indagine avviata dalla Consob, volta ad accertare una serie di indiscrezioni, attività finanziarie anomale e movimenti sospetti, connessi al decreto di riforma delle banche popolari, che potrebbero perfino far sospettare un caso di insider trading, il cui regime sanzionatorio è disciplinato dal decreto legislativo n. 58 del 1998 e infine, in caso fossero accertate operazioni lesive nei riguardi dei risparmiatori, quali azioni di competenza intenda intraprendere al fine di tutelare i medesimi, nei confronti di una vicenda che come riportato nella premessa, evidenzia rilevanti aspetti controversi e oscuri, di rado verificatisi prima dell'approvazione di un provvedimento normativo. (4-07687)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sul portale del quotidiano economico Il Sole 24 Ore sono riportate, in un articolo, alcune dichiarazioni del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in relazione al recentissimo decreto-legge suggestivamente denominato Investment compact;
   per quanto ricostruito dalla predetta testata, il Presidente del Consiglio ha precisato che il Governo interviene «attraverso l'articolo 1 sulle banche popolari, non su tutte ma su quelle con attivi sopra gli 8 miliardi»;
   sono «10 — ha aggiunto il Presidente del Consiglio — le popolari in Italia che in 18 mesi dovranno superare il voto capitano e diventare spa», inquadrando la riferita decisione del Governo all'interno di «un momento storico» e precisando che «le altre popolari, se lo vorranno, potranno rimanere così»;
   le dichiarazioni qui richiamate sono state rilasciate al termine del Consiglio dei ministri del 20 gennaio, dopo il quale il Presidente Renzi ha altresì precisato che «non si tratta di danneggiare la storia dei piccoli istituti, ma di fare in modo che le banche italiane siano all'altezza delle sfide», annunciando che «il 20 febbraio» il Governo presenterà «non solo il decreto fiscale ma anche i provvedimenti sul lavoro che mancano»;
   per quanto riassunto nello stesso articolo, secondo il Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, «la scelta quantitativa» con l'applicazione del decreto a dieci grandi banche popolari «concilia la necessità di dare una scossa forte preservando però in alcuni casi una forma di governance che ha servito bene il Paese»;
   inoltre, il Ministro Padoan ha dichiarato che «come sempre quando il Ministero si occupa di questioni bancarie, ascolta i consigli della Banca d'Italia»;
   secondo un articolo giornalistico presente sul portale del quotidiano La Repubblica, «incrociando i dati contenuti nell'ultimo rapporto di Mediobanca sulle principali società italiane con le comunicazioni societarie», gli istituti coinvolti dalla succitata norma dovrebbero essere «Banco Popolare, Ubi, Bper, Bpm, Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Popolare di Sondrio, Creval, Popolare dell'Etruria e Popolare di Bari»;
   inoltre, riferisce La Repubblica nello stessa pagina web, «sollecitato dai giornalisti, il Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha giustificato la scelta di porre il limite a 8 miliardi di attivi come giusta soglia per “dare una scossa” al sistema del credito, “preservando però un sistema di governance che ha dato tanto” all'Italia»;
   in un'articolo giornalistico presente sul portale del quotidiano torinese La Stampa e datato 16 maggio 2014 si fa riferimento a un'operazione immobiliare che «inguaia Franco Polotti, ex presidente del Banco di Brescia (gruppo Ubi) e attuale presidente del consiglio di gestione della stessa Ubi Banca», con la precisazione che la relativa inchiesta «è il terzo filone d'indagine sul caso Ubi, quello che intreccia e tiene insieme il presunto patto occulto per predeterminare i vertici dell'istituto che ha portato all'iscrizione nel registro degli indagati di sei persone tra le quali lo stesso Polotti per ostacolo alla vigilanza»;
   presidente del consiglio di sorveglianza della Bpm è Piero Giarda, già Ministro per i rapporti con il Parlamento, nel Governo presieduto da Mario Monti, membro del gruppo Bilderberg;
   in un articolo presente sul portale del quotidiano Il Corriere della Sera e datato 21 gennaio 2015, sono riprese dichiarazioni di Gianni Zonin, presidente della Banca Popolare di Vicenza, rese in una recente audizione in Commissione finanze del Senato, secondo il quale le popolari rappresentano il 25 per cento del credito e «per i nostri statuti 150 anni di storia sono tanti per non toccarli», per cui «serve l'apertura a un modo nuovo di fare banca, cui sta pensando il governo»;
   in un articolo giornalistico, datato 11 giugno 2014 e presente sul portale della testata La Nuova di Venezia, vi è un lungo elenco di indagati nell'ambito di una vasta inchiesta della procura di Trani relativa a presunte pratiche diffuse di usura bancaria;
   la predetta ricostruzione giornalistica riporta i nomi dell'ex capo della vigilanza di Bankitalia, Anna Maria Tarantola (ora presidente della Rai), dell'ex Ministro dell'economia e delle finanze Fabrizio Saccomanni (ex dg della Banca d'Italia);
   tra gli altri risultano indagati, stando alla summenzionata testata, anche l'attuale presidente del Consiglio di amministrazione e amministratore delegato della Banca popolare di Bari, Marco Jacobini;
   le banche popolari si sono caratterizzate per una governance cooperativa, unitamente all'impegno sociale e a una particolare attenzione ai soci e al territorio;
   le banche popolari hanno finora adottato un modello di business incentrato sulla costruzione di rapporti stretti e duraturi con piccole e medie imprese e famiglie, che ha favorito il continuo allargamento della propria base sociale, l'espansione delle attività e, conseguentemente, il rafforzamento costante dell'immagine della categoria;
   i mutamenti del sistema bancario dell'ultimo decennio hanno interessato anche alcune banche popolari, che hanno acquisito il controllo di analoghe e di banche locali esterne, dando luogo a gruppi bancari di rilievo nazionale;
   tale processo non ha destrutturato il modello tradizionale di banca popolare cooperativa, ma il decreto-legge «Investment compact» può sicuramente modificare in profondità la natura delle banche interessate, intanto ontologicamente, poiché alla loro trasformazione in spa dovrebbe conseguire il mero perseguimento di utili;
   nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-07566, presentata dalla prima firmataria del presente atto nella seduta della Camera del 16 gennaio 2015, n. 364, sono riportate affermazioni di Gioele Magaldi, autore del libro Massoni, società a responsabilità limitata – edito da Chiarelettere – ed alto esponente della massoneria, sull'appartenenza a potenti logge massoniche di burocrati, politici e imprenditori italiani, tra cui l'attuale Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan;
   nelle interrogazioni n. 4-07023 del 25 novembre 2014 e n. 4-01099 del 2 luglio 2013, nonché con l'interpellanza urgente n. 2-00282, svolta alla Camera l'8 novembre 2013, la prima firmataria del presente atto ha sottolineato l'inefficacia del sistema dei controlli bancari, la mancanza di autonomia oggettiva in capo alla Banca d'Italia in ragione della proprietà privata delle quote, la diffusione dell'usura e di altri gravi reati bancari, la derivante distorsione del sistema del credito e la necessità di istituire una commissione parlamentare d'inchiesta a tutela del risparmio privato, riconosciuto dalla Corte di cassazione come interesse pubblico da tutelare (Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza n. 2058 del 23 febbraio 2000);
   nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-07566, la prima firmataria del presente atto ha elencato una serie di trasformazioni giuridiche che hanno portato alla crisi di oggi aumentando il debito pubblico e il prestito di cartamoneta dalla Bce, unitamente a provvedimenti devastanti per la tenuta del tessuto sociale e dell'economia, rappresentando la necessità, per una reale ripresa dell'economia e del sistema monetario e bancario, che le quote della Banca d'Italia siano pubbliche, come prevedeva un ddl risalente alla XIII Legislatura;
   il Testo unico bancario (TUB) — decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 —, entrato in vigore il 1o gennaio 1994, ha previsto all'articolo 29, comma 1, che «le banche popolari sono costituite in forma di società cooperativa per azioni a responsabilità limitata», al comma 2 che «il valore nominale delle azioni non può essere inferiore a due euro e al comma 3 che «la nomina dei membri degli organi di amministrazione e controllo spetta esclusivamente ai competenti organi sociali»; al comma 4 si è precisato che «alle banche popolari non si applicano le disposizioni del decreto legislativo 14 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni»;
   lo stesso TUB ha stabilito al comma 1 dell'articolo 30 che «ogni socio ha un voto, qualunque sia il numero delle azioni possedute» e, al comma 2, che «nessuno, direttamente o indirettamente, può detenere azioni in misura eccedente l'1 per cento del capitale sociale, salva la facoltà statutaria di prevedere limiti più contenuti, comunque non inferiori allo 0,5 per cento»;
   sempre lo stesso TUB, al comma 1 dell'articolo 31 ha prescritto che «la Banca d'Italia, nell'interesse dei creditori ovvero per esigenze di rafforzamento patrimoniale ovvero a fini di razionalizzazione del sistema, autorizza le trasformazioni di banche popolari in società per azioni ovvero le fusioni alle quali prendono parte banche popolari e da cui risultino società per azioni» — sulla base di quali criteri e valutazioni è stata disposta la possibilità di trasformazione in società per azioni delle banche popolari con attivi superiori agli 8 miliardi di euro;
    anche alla luce delle rilevate specificità di gestione e relazione delle banche popolari, dell'ubicazione territoriale di quelle interessate dal suddetto decreto-legge e dalla situazione delle imprese ivi operanti, toccate dalla difficoltà di ottenere prestiti e dall'attuale costo del denaro, ad avviso degli interroganti sarebbe stato assai preferibile adottare un disegno di legge, in luogo di un decreto-legge, su una materia tanto delicata, anche al fine di favorire il più ampio dibattito tra le forze politiche –:
   quali siano le garanzie per la tutela del risparmio privato;
   se, il Ministro dell'economia e delle finanze — che, riguardo all'articolo 1 del decreto-legge denominato «Investment compact» ha dichiarato che «come sempre quando il Ministero si occupa di questioni bancarie, ascolta i consigli della Banca d'Italia» — non ritenga opportuno, ascoltare ex ante, sul merito di provvedimenti di questo tenore, anche le associazioni di tutela dei risparmiatori. (4-07708)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   ZAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   con una delibera 2199 del 27 novembre 2014, pubblicata nel BUR del 23 dicembre 2014, la giunta regionale del Veneto ha accantonato 5.370.000 euro dei fondi Fas per il triennio 2014-2016, destinandoli al complesso monumentale della Rocca di Monselice, in provincia di Padova, per «interventi necessari e urgenti alla piena funzionalità del complesso e completamento delle opere intraprese»;
   un capitolo da 1.900.000 euro sarebbe destinato al progetto «completamento dell'impianto di risalita per l'accesso turistico al Colle della Rocca», che prevede la perforazione del colle e l'installazione di un ascensore al suo interno;
   il cantiere per tale progetto fu bloccato nel maggio del 2008 dopo il sequestro da parte della magistratura: concluso lo scavo orizzontale, risulta a oggi mancante quello verticale; ripartirebbe quindi il progetto al centro di una vicenda giudiziaria durata sei anni e conclusasi nel febbraio 2014 tra assoluzioni e prescrizioni;
   secondo il portavoce del comitato popolare «Lasciateci Respirare» Francesco Miazzi, la contrarietà al progetto da parte delle associazioni ambientaliste del
territorio si fonda su vari elementi, che vanno dall'estrema fragilità del colle allo stravolgimento nella fruizione del patrimonio architettonico presente, passando per l'insostenibilità economica di gestione per un impianto di risalita di tali dimensioni;
   a tal proposito va rilevato come in effetti manchi a tutt'oggi un qualsiasi elaborato che affronti i termini relativi all'importante problema della gestione dell'impianto una volta in esercizio;
   cedimenti e crolli interni avevano costretto a sospendere i lavori ben prima del sequestro, avendo i costanti movimenti franosi messo a rischio i residenti;
   a seguito di tali eventi franosi non risultano all'interrogante pareri competenti e obiettivi sulle reali condizioni geologiche e strutturali del colle che potrebbero essere ulteriormente compromesse dall'escavazione del tunnel verticale;
   vi è infatti il concreto rischio che la ripresa delle perforazioni all'interno del colle della Rocca riattivi le frane verificatesi appena due anni fa a pochi metri dalla prima cinta muraria attorno al Mastio;
   viene da chiedersi perché non si punti verso alternative meno costose, meno impattanti e più funzionali, come proposto dagli stessi comitati, quali un semplice impianto di risalita, posizionato nel parcheggio laterale di Villa Duodo, che potrebbe permettere a piccoli mezzi elettrici di superare il dislivello e le barriere per riprendere il sentiero presente; per disabili o persone in difficoltà il colle diverrebbe così completamente fruibile;
   sulla Rocca sono concentrate numerose bellezze architettoniche, oltre ai resti di antiche fortificazioni tra cui l'imponente roccaforte del Mastio federiciano. Il colle risulta peraltro sottoposto a tutela paesaggistica;
   secondo quanto ha dichiarato al quotidiano il Mattino di Padova in data 18 gennaio 2015 l'assessore regionale veneto alla cultura Marino Zorzato, la proposta di spesa relativa al progetto necessita dell'accordo di programma con il Governo, attraverso il tavolo di parternariato a livello nazionale. «La prudenza è d'obbligo finché non abbiamo la certezza che in sede nazionale la proposta sarà accolta, anche se sono convinto che sarà così. Una volta ottenuto il via libera nazionale,» ha proseguito Zorzato, «si potrà passare alla progettazione. Questo tipo di finanziamento è condizionato dall'inizio dei lavori entro la fine di quest'anno. Dovremmo avere il progetto definitivo per giugno-luglio, poi gara d'appalto e appalto entro fine anno»;
   Ferdinando Businaro, presidente della società Rocca, ha affermato, secondo quanto riportato nell'articolo di cui al punto precedente, che «L'ascensore è rimasto in una situazione di stallo» e che «ci sarà da risolvere inoltre la questione del contenzioso con Eurocostruzioni perché possa ripartire il cantiere dell'ascensore»;
   la cosa maggiormente sconcertante è che, con riferimento al progetto di cui sopra, nemmeno un euro sembra essere stato destinato dalla regione Veneto per fermare il movimento franoso in atto ovunque, in particolare sul fronte nord del colle;
   il comune di Monselice avrebbe definito un progetto preliminare per la messa in sicurezza del vicolo Scaloncino, una delle principali vie di accesso dal colle della Rocca, per un costo di circa 380 mila euro, che tuttavia l'amministrazione comunale ha ammesso essere una somma difficile da reperire;
   nonostante già nel 2013 sia crollato un pezzo di parete sul lato nord e molte famiglie siano state costrette a lasciare le proprie abitazioni, gli interventi da parte della regione Veneto, oltreché tardivi, sono risultati del tutto insufficienti a risolvere l'emergenza e a tutelare questo patrimonio –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati in merito a quanto sopra esposto;
   se e quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere, anche sulla base dell'accordo di programma tra Governo e regione Veneto, per garantire la sicurezza dei cittadini di Monselice, nonché la piena salvaguardia del patrimonio ambientale, storico e artistico del colle della Rocca e così la sua stessa stabilità geologica. (3-01261)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOLEZZI, TERZONI, MANNINO, MICILLO, DE ROSA, DAGA e BUSTO. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   amianto è una sostanza cancerogena e fibrosante, che sta procurando ancora circa cinquemila decessi all'anno in Italia (dati Osservatorio nazionale amianto) nonostante sia stato messa al bando con la legge n. 257 del 1992;
   esistono in Italia oltre 30 milioni di tonnellate di materiale contenente amianto (MCA) da mettere in sicurezza. La gestione di questo materiale è complessa, per la facile dispersione delle fibre cancerogene e per natura strutturale;
   ad oggi in molte regioni italiane non esistono discariche adeguate e l'amianto viene troppo spesso trasportato all'estero o smaltito in maniera illecita e pericolosa per l'ambiente e le persone;
   sono stati proposti oltre cento brevetti per trattare l'amianto con metodi di inertizzazione. Ad oggi nessun metodo ha raggiunto adeguati livelli di sicurezza nelle varie fasi del trattamento e tantomeno è stato raggiunto un accettabile rapporto fra costi e benefici. La gestione dell'amianto in fase friabile potrebbe beneficiare di tali trattamenti ma i dati sperimentali dei vari metodi al momento non rispondono ai criteri minimi di sicurezza. Risulta condivisibile e prioritario procedere con la ricerca nel settore;
   dal punto di visita normativo si registra l'attuale carenza della legislazione nazionale; infatti, in relazione all'efficacia dei «trattamenti che modificano completamente la struttura cristallo-chimica dell'amianto» e che quindi ne annullano la pericolosità, di cui al decreto ministeriale 29 luglio 2004, n. 248, devono ancora essere emanati i relativi decreti applicativi e non esistono al momento sul territorio nazionale impianti del genere operativi;
   la società Chemical Center srl ha depositato un brevetto, EP2428254B1, in cui viene descritto un processo biotecnologico di distruzione dei manufatti in cemento amianto (lastre eternit) utilizzando il siero esausto di latte;
   dalle note stampa aziendali si apprende che con questo processo si ottiene prima la rimozione della componente cementizia mediante l'acidità dei metaboliti del lactobacillus casei presente nel siero di latte e la completa liberazione delle fibre di asbesto, che vengono poi distrutte completamente con un processo idrotermale a 180o C sempre in siero di latte. I due stadi del processo, consistenti nella solubilizzazione della componente cementizia e nella denaturazione completa delle fibre di amianto, avvengono con processi chimici completamente in immersione nel siero di latte, senza alcuna possibilità di immissione di fibre di amianto in aria;
   il processo brevettato utilizza due rifiuti pericolosi, cemento-amianto e siero esausto di latte, per ottenere prodotti commercialmente validi come idropittura, idrossido di calcio, carbonato di calcio, concimi e soprattutto metalli (Mg, Ni, Mn, Fe, ecc.), che vengono depositati elettrochimicamente, ed avere come unico scarto acqua scaricabile in fogna;
   la Chemical Center Srl, (azienda certificata TUV, accreditata alla Rete Innovazione dell'Emilia Romagna e premiata dalla Camera di commercio di Bologna per il «Premio Ricerca e Innovazione 2011» per il predetto processo), ha recentemente ceduto in licenza il proprio brevetto per la costruzione dei primi prototipi dell'impianto industriale. La Società Friulana Costruzioni a responsabilità limitata ha acquistato la licenza del brevetto per le regioni dell'Italia del nord, con l'esclusione dell'Emilia Romagna. Project Resource Asbestos Srl (PRA Srl) ha invece acquistato la licenza per le regioni Puglia, Molise e Campania, mentre altre aziende operanti nel settore dei rifiuti stanno contrattando l'acquisizione della licenza del brevetto per le rimanenti regioni italiane e alcuni Paesi europei. Questi impianti pilota saranno dimensionati in modo da smaltire al massimo 10 tonnellate di eternit al giorno e si differenzieranno utilizzando rifiuti alimentari acidi diversi e tipici della regione in cui sorge l'impianto; così, a fianco del siero di latte esausto, potranno essere utilizzati i rifiuti acidi della viticoltura, della spremitura delle olive, della lavorazione dei pomodori e della produzione di birra. Il LEBSC, recentemente costituito in srl da alcuni ricercatori del Chemical Center autori del brevetto, affiancherà le aziende impegnate nella costruzione dei prototipi sviluppando con esse modifiche del processo brevettato per adeguarlo all'utilizzo dei diversi rifiuti alimentari acidi abbondanti e facilmente reperibili sul territorio. Si segnala in particolare l'impianto che dovrebbe sorgere nel comune di Melpignano, apparentemente in fase avanzata di progettazione. L'area scelta per l'impianto sorge a pochi passi dal centro abitato di Scorrano, e di quelli di Maglie, Corigliano d'Otranto e Cutrofiano;
   nelle presentazioni aziendali balza all'occhio il business plan che prevede guadagni di circa 10 milioni di euro all'anno ad impianto, dati dalla produzione di svariati materiali fra cui ammendanti agricoli. In effetti il brevetto prevede lo smaltimento di numerosi rifiuti, non solo l'amianto ma anche il siero di latte stesso o in alternativa reflui oleari e altri materiali;
   nella descrizione del processo si fa riferimento ai punti più criticati nei vari brevetti di inertizzazione, in particolare: la necessità di frantumazione dei materiali che determina la dispersione delle fibre (nulla si crea e nulla si distrugge) che andranno nei filtri (che dovranno essere smaltiti in discarica adeguata) e nell'ambiente circostante (risulta che i filtri verranno aerati e svuotati dalla fibre); le reazioni chimiche e termiche che presentano caratteri di reversibilità per la struttura chimica dell'amianto con tendenza alla riformazione del crisotilo dopo l'eventuale frammentazione (in pratica l'amianto aggredito strutturalmente da agenti chimici e fisici tende a ricostituire la sua struttura). Si evidenzia come l'aggressione chimica interessi solo la superficie dei MCA e che sia necessaria una successiva aggressione idrotermica, a una temperatura considerata insufficiente a determinare una stabile variazione strutturale in altri brevetti. Nella nota commerciale, completa di tariffe previste per la vendita, sono elencati i sottoprodotti del processo idropittura 2400 litri (600,00 euro), fertilizzanti a base di fosfati 50 chilogrammi (12,50 euro), Magnesio 30 chilogrammi (90,00 euro), CO2 350 chilogrammi (700,00 euro);
   la presenza di sottoprodotti/rifiuti impone un'ulteriore attenzione per questo brevetto. In particolare i fertilizzanti andrebbero a portare sul terreno (con possibili rischi per gli operatori e per i residenti) i sottoprodotti/rifiuti e lo stesso vale per le idropitture e per gli altri prodotti citati con possibili rischi per gli utilizzatori/residenti in caso di reazioni incomplete o imperfette di inertizzazione. Dalla descrizione dei processi si configura l'esistenza di una centrale che sarà raccordata con un impianto a biogas, tutto a partire dall'amianto, in apparenza con produzione finale di un rifiuto contenente amianto ancora più difficile da smaltire;
   nel brevetto si legge che nei diversi esperimenti eseguiti l'amianto in realtà non è scomparso al termine dei complessi trattamenti, bensì si è solo ridotto, anche se in maniera considerevole (esempio 1: dalla concentrazione del 12 per cento a quella del 2 per cento); tuttavia, non si comprende come venga trattato l'amianto residuo e se possa entrare nella composizione dei sottoprodotti/rifiuti speciali. È necessario ricordare come non esista una dose soglia di cancerogenicità dell'amianto per cui anche una sola fibra dispersa nell'ambiente potrebbe causare problemi. Non si comprende il bilancio emissivo (emissioni complessive in atmosfera in particolare modo per quanto concerne i precursori delle polveri sottili) e come verrà evitata la liberazione di fibre di amianto nell'ambiente, data la sua facile volatilizzazione, durante la movimentazione, il trasporto, il momentaneo inevitabile stoccaggio, il pretrattamento e durante il trattamento, né il bilancio di massa. Tantomeno si comprende la sostenibilità economica del progetto, visto che la quantità di siero di latte o altro agente acido dovrebbe essere davvero importante per trattare i quantitativi di amianto previsti (da 5 a 100 volte il peso dell'amianto trattato, quindi da 50 a 1000 tonnellate al giorno di siero di latte per l'impianto base da 10 t di amianto trattate al giorno). Né si comprende la riproducibilità della reazione chimica descritta nel brevetto (siero di latte) con l'utilizzo di altro agente acido (reflui oleari o vegetali vari) nelle realtà (come quella di Melpignano in Puglia) dove il siero di latte non è presente in quantità adeguata. In particolare quindi non si comprende se il bilancio fra rischi e benefici di un impianto del genere sia accettabile;
   si segnala il forte allarme sociale nei comuni di Melpignano e limitrofi, dove recentemente il progetto di costruzione di una centrale a biomasse è stato bocciato per le caratteristiche ambientali del territorio –:
   se i Ministri interrogati siano informati dell'attuazione del nuovo processo di denaturazione delle fibre di amianto mediante l'uso di siero esausto di latte e rifiuti alimentari acidi;
   se, per le parti di loro competenza, abbiano svolto o intendano svolgere un'approfondita valutazione sulla sostenibilità del processo di cui al brevetto e dell'impatto sulla salute pubblica e sull'ambiente;
   se il Governo non intenda valutare l'opportunità di predisporre delle linee guida relative all'utilizzo di questo nuovo processo di denaturazione delle fibre di amianto a garanzia della salute dei cittadini e a tutela dell'ambiente. (5-04595)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PALMIERI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 24 gennaio 2015 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha lanciato il portale www.verybello.it, con lo scopo di valorizzare, soprattutto all'estero, il patrimonio artistico e culturale italiano, in occasione di Expo 2015;
   sono emerse sin da subito molteplici criticità a livello di progettazione: assenza della versione inglese, «rimandata» assieme a quelle nelle altre principali lingue; assenza della privacy policy circa la gestione dei dati degli utenti; il sito non è accessibile, nonostante gli obblighi di legge; il dominio non è intestato al Ministero, bensì a chi ha fatto il sito; assenza di una app, fondamentale per l'accesso alle informazioni in mobilità, da smartphone o tablet; Verybello «è ottimizzato per browser di ultima generazione», tagliando fuori chi usa browser non aggiornati;
   non sono chiare all'interrogante le modalità con la quale l'agenzia Lolaetlabora sia stata incaricata di realizzare il portale, né gli effettivi costi del progetto –:
   quanto sia stata effettivamente pagata la realizzazione del portale e quali costi ulteriori siano previsti per la gestione del medesimo;
   di quale natura contrattuale siano i rapporti con la società realizzatrice del sito;
   a cosa servano i 5 milioni di euro messi a disposizione dal Ministero, considerato che non è chiaro se servano unicamente per la realizzazione del sito o per la promozione del patrimonio culturale italiano nel periodo dell'Expo;
   in che tempi si intenda procedere per risolvere i gravi errori di progettazione del sito;
   chi abbia proposto il nome del portale. (5-04594)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BATTELLI, PETRAROLI e LUIGI GALLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da un articolo apparso sul sito www.ilfattoquotidiano.it, a firma avvocato Guido Scorza, le «Istruzioni operative propedeutiche all'attivazione del processo di recupero crediti autorali» della Siae imporrebbero agli ispettori sul territorio, in sede di accertamento di irregolarità in materia di utilizzo di opere coperte da diritto d'autore di riscuotere compenso in maniera a giudizio degli interroganti non equa e corretta; 
   difatti, sempre a quanto si apprende dall'articolo, tali istruzioni impongono che una volta accertata l'irregolarità, l'ispettore debba richiedere il pagamento di un corrispettivo per l'intero anno e non solo per il tempo presunto di violazione della legge sul diritto d'autore: in pratica, una violazione accertata a metà gennaio sarebbe sanzionata non con il pagamento del corrispettivo solo per la giornata, ma per l'intero anno, andando quindi a far pagare qualcosa che non si è ancora fatto. A questa somma vanno anche aggiunte le penali;
   il listino prezzi della Siae sancisce che per la giornata bisognerebbe pagare soltanto il 2 per cento del compenso annuale, mentre gli ispettori, in sede di accertamento, di un'irregolarità, possono chiedere il 100 per cento del compenso, permettendo alla Siae di incassare il 98 per cento in più di quanto gli spetterebbe;
   sempre sullo stesso sito, a firma dello stesso autore, è apparso un pezzo in cui alcuni mandatari e ispettori Siae farebbero «terrorismo psicologico» sugli esercenti in possesso di stereo e/o chiavette USB, minacciandoli di denuncia all'autorità giudiziaria ai sensi dell'articolo 171 della legge sul diritto d'autore;
   a quest'ultima notizia ha risposto direttamente, sullo stesso sito, il direttore generale Blandini che ha dichiarato di avviare accertamenti per chiarire la situazione; mentre a quanto esposto più sopra, lo stesso direttore generale Blandini, sempre rispondendo sullo stesso sito, ha stavolta glissato, evitando di fatto di fornire chiarimenti ai lettori e ai cittadini –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se il Ministro non ritenga una sanzione eccessivamente spropositata quella di far pagare l'intero corrispettivo annuo a chi viola il diritto d'autore;
   quale sia l'orientamento del Ministro in merito a queste vicende che riguardano la Siae. (4-07696)


   BATTELLI e PETRAROLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge 633 del 1941 e successive modificazioni disciplina il funzionamento della Siae, assegnandone il monopolio legale di raccolta e intermediazione nell'ambito del diritto d'autore;
   la libera circolazione dei servizi è uno dei pilastri del mercato unico europeo e uno dei punti imprescindibili del Trattato sul funzionamento dell'unione europea (Trattato di Lisbona), la cui direttiva d'attuazione è stata l'ormai nota direttiva Bolkestein (direttiva 2006/123/CE), recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 59 del 2010;
   sebbene non specificasse che le collecting society ricadessero nell'ambito di applicazione della direttiva, a giudizio degli interroganti il monopolio Siae sarebbe già superato di fatto con l'adesione al mercato unico europeo, che stabilisce la libertà di stabilimento e servizio;
   nonostante ciò, la legislazione italiana sul diritto d'autore non è mai stata adattata alle norme comunitarie ed a quelle degli Stati membri, che già da molti anni hanno liberalizzato il mercato del diritto d'autore;
   con la direttiva 2014/26/UE, il Parlamento ed il Consiglio hanno formalmente esteso l'ambito di applicazione della liberalizzazione del servizio anche al diritto d'autore, anche se ormai gli unici Paesi europei con un monopolio legale sono rimasti Italia e Austria;
   nonostante l'inerzia italiana nel superare il monopolio Siae (che dura dai tempi del fascismo), oltre alla direttiva Barnier e anche la magistratura, che, come spesso accade recentemente, con le sue sentenze di fatto innova l'ordinamento italiano e supera le resistenze della politica ad intervenire su ambiti che nel resto d'Europa sono ormai scontati;
   nel settembre, 2011 infatti una piccola start up formata da giovani ragazzi italiani, ma stabilita in Inghilterra – Paese che a giudizio dell'interrogante permette di fare impresa e sostiene lo sviluppo di nuove realtà imprenditoriali, al contrario dell'Italia – si inserisce nel mercato delle collecting society;
   tale società, Soundreef, in poco tempo si è affermata nel mercato mondiale della raccolta ed intermediazione del diritto d'autore, raggiungendo 145 milioni di clienti in tutto il mondo e distribuendo royalty per 170.000 canzoni;
   il tribunale di Milano ha rigettato il ricorso di una cantautrice e di una radio che chiedevano di sospendere l'attività di Soundreef, ma il giudice ha respinto, poiché, si legge nelle motivazioni: «Non vi sono allo stato elementi sufficienti per ritenere che la diffusione di musica da parte di Soundreef nel territorio italiano sia illecita in forza della riserva concessa alla Siae dall'articolo 180 L. aut. Né sembra potersi affermare che la musica (..) gestita da Soundreef e da questa diffusa in Italia in centri commerciali GDO e simili, debba obbligatoriamente essere affidata all'intermediazione di Siae. Una simile pretesa entrerebbe in conflitto con i principi di libero mercato in ambito comunitario e con i fondamentali principi di libera concorrenza»;
   in pratica i giudici hanno riconosciuto, nonostante l'ordinamento italiano non sia ancora stato adattato ai principi europei in merito, la supremazia delle norme comunitarie (come ovvio che sia) in ordine ai servizi nell'ambito del diritto d'autore;
   anche la Corte di giustizia europea, non ultimo sul noto caso OSA, ha più volte affermato che il monopolio è una condizione patologica del mercato che, nell'ottica degli obiettivi comunitari, può essere preservata solo se garantisce efficienza, cosa che allo stato dell'arte la Siae non garantisce;
   nel frattempo è nata anche una nuova startup, Patamù, che si propone di fornire un'alternativa alla Siae sulla tutela dal plagio, lasciando all'artista la possibilità di scegliere con quale licenza diffondere il proprio prodotto (mentre la Siae all'iscrizione chiede il deposito di tutte le opere) –:
   se il Ministro alla luce delle norme comunitarie non ritenga necessario assumere iniziative per liberalizzare al più presto il mercato del diritto d'autore, sottraendo allo Stato il monopolio legale esercitato tramite Siae, ormai superato non solo dalle già citate norme comunitarie, ma anche dona giurisprudenza.
(4-07697)


   CAPARINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   verybello.it è secondo l'interrogante un caso di specie di tutto ciò che non si deve fare nella progettazione e realizzazione di un portale, in particolare — sotto l'aspetto giuridico — non sono presenti o rispettate: le policy della privacy, le norme sul l'accesso ai disabili, i termini di servizio;
   la policy privacy sono previste obbligatoriamente dalla normativa nazionale e comunitaria, anche in riferimento alla tracciabilità dei visitatori attraverso l'utilizzo di cookies e in relazione agli obblighi dell'informativa;
   non è stata assicurata l'ottemperanza alle norme sull'accessibilità di cui alla legge 9 gennaio 2004, n. 4 «Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici» nonché alle norme del decreto del Presidente della Repubblica, 1 marzo 2005, n. 75, Regolamento di attuazione della legge 9 gennaio 2004, n. 4 per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici e decreto ministeriale 8 luglio 2005, requisiti tecnici e i diversi livelli per l'accessibilità agli strumenti informatici;
   i (termini di servizio) TOS non sono presenti ancorché siano essenziali al fine di comprendere diritti e obblighi del visitatore nella consultazione del sito;
   il portale, che dovrebbe rivolgersi ad un pubblico straniero, manca di una o più lingue straniere, presenta alcuni bug, ed è scarsamente indicizzato –:
   quando, a quali importi e con quali modalità sia stato assegnato l'incarico all'agenzia di comunicazione LOLAETLABORA srl, i cui due sono soci Andrea Steinfl e Antonella Marra, che si è intestata il dominio verybello.it 24 novembre 2014;
   considerate le infinite critiche scoppiate in rete sabato mattina quali siano i motivi che hanno impedito di realizzare un immediato restyling. (4-07698)


   BATTELLI, DE LORENZIS, LOREFICE, PETRAROLI e LUIGI GALLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Siae, nata nel 1882, possiede il monopolio legale sulla protezione e sull'esercizio dell'intermediazione sui diritti d'autore;
   la legge n. 633 del 1941, quindi in piena epoca fascista, influenzata dunque dal corporativismo che allora regnava, è tuttora la legge che disciplina il diritto d'autore e che regola quindi il funzionamento principale della Siae;
   l'Italia è ad oggi l'unico Paese dell'Unione europea, assieme all'Austria, a possedere un monopolio legale sulla gestione dei diritti d'autore. In tutti i Paesi europei il mercato è concorrenziale, in piena attuazione dei trattati comunitari che prevedono la libera circolazione di persone, merci e servizi;
   il monopolio sarebbe accettabile solo in caso di efficienza e equità di offerta di un servizio. Nel caso italiano non esiste né efficienza, né equità, in quanto la Siae possiede una gestione farraginosa, obsoleta ed anacronistica, non al passo né con la società né tanto meno con le moderne tecnologie, entrambe in continua evoluzione. La Siae dimostra quindi ad avviso degli interroganti l'incapacità di evolvere e di adattarsi al nuovo, essendo legata ad un concetto di diritto d'autore e di tutela del copyright di ben 73 anni fa. In quanto all'equità, oltre ai costi elevatissimi di iscrizione (280 euro il primo anno, 150 euro a decorrere dal secondo anno), circa il 65 per cento degli artisti registrati alla SIAE alla fine dell'anno percepisce in ripartizione dei diritti meno di quanto versa all'ente per la quota di iscrizione;
   come si evince dal bilancio del Siae del 2013, circa metà dei costi sono imputabili alla struttura, in quanto i 1268 dipendenti costano circa 90 milioni di euro ed i costi di produzione superano di poco i 180 milioni di euro;
   l'interrogante ha depositato la mozione n. 1-00316, abbinata alle mozioni n. 1-00168, n. 1-00315, n. 1-00317 e n. 1-00318, illustrata alla Camera durante la seduta del 20 gennaio 2014, il cui esame è stato rinviato ad altra seduta –:
   se il Ministro non ritenga prioritario intervenire sulla Siae, superando il monopolio legale, anche presentando una apposita iniziativa organica volta a rendere più elastico e coerente con l'innovazione tecnologica e sociale il quadro normativo di riferimento dei diritti d'autore, anche con riguardo alle norme comunitarie.
(4-07699)


   DI BATTISTA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Roma, a seguito dei numerosi incontri svolti tra i rappresentanti dell'Università «La Sapienza» e degli enti territoriali, nel corso dei quali sono stati individuati i princìpi generali di collaborazione per la ristrutturazione del sistema universitario metropolitano e regionale, ha ritenuto opportuno e necessario promuovere la redazione di un piano di assetto generale quale strumento di inquadramento urbanistico degli ambiti interessati dal «Progetto di riqualificazione e sviluppo delle strutture dell'Università degli Studi di Roma “La Sapienza”»;
   sulla base del Protocollo di intesa sottoscritto in data 6 aprile 2000 anche dalla regione Lazio e dalla provincia di Roma, il comune di Roma e l'università degli studi di Roma «La Sapienza» hanno concordato nell'assumere come riferimento per l'elaborazione del piano di assetto generale un documento linee di sviluppo e riassetto territoriale dell'ateneo di Roma «la Sapienza»;
   nell'aprile 2003, con deliberazione n. 76, il comune di Roma approvava «l'adeguamento alle nuove esigenze di decongestionamento delle strutture universitarie e la riqualificazione dei quartieri limitrofi» in particolare prevedendo uno sviluppo territoriale nel senso della creazione di un polo centrale, facente capo principalmente agli insediamenti della città universitaria, del Policlinico Umberto I e del Castro Laurenziano;
   nel 2006, il consiglio di amministrazione dell'università «La Sapienza» deliberava la costruzione di un parcheggio interrato nell'area fra via Cesare De Lollis e via dei Dalmati e del basamento di una piscina comunale; la fase esecutiva veniva affidata nel 2007 al provveditorato interregionale alle opere pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna;
   il 10 ottobre 2008, con nota prot. n. 37661, il provveditorato interregionale alle opere pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna, facendo seguito a precedente istanza inoltrata il 20 maggio 2008, chiedeva l'attivazione della procedura ex decreto del Presidente della Repubblica n. 383 del 1994 per «l'intervento complessivo di riqualificazione» dell'area fra via Cesare De Lollis e via dei Dalmati;
   l'intervento veniva disarticolato in due stralci:
    a) lavori di realizzazione di un parcheggio multipiano interrato nell'area fra via Cesare De Lollis e via dei Dalmati;
    b) interventi per la realizzazione di strutture sportive e la riqualificazione dell'area di superficie tra via Cesare De Lollis e via dei Dalmati;
   l'11 dicembre 2008, con nota n. 35567, il Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza speciale per i beni archeologici, ribadiva «la già dichiarata necessità di ulteriori indagini che consentano alla Scrivente di acquisire tutte le informazioni indispensabili all'elaborazione di un parere sul progetto che, per quanto fino ad ora noto, interferisce con le stratigrafie archeologiche identificate, questo Ufficio richiede l'esecuzione di una indagine con Tomografia elettrica tridimensionale ad alta definizione, secondo una maglia di acquisizione quadrata di m. 1,5 che assicuri un elevato dettaglio fino ad almeno m 12 di profondità e l'elaborazione in 3D dei dati ottenuti dalla sezioni adiacenti, per evidenziare con apprezzabile dettaglio la presenza di anomalie riconducibili a strutture archeologiche e, in particolare, a cavità e galleria», precisando che «successivamente si procederà all'esecuzione di indagini di scavo sull'area, con particolare riferimento alle anomalie evidenziate dai risultati in Tomografia»;
   nel giugno 2009, l'Agenzia del demanio-Filiale Lazio, il comune di Roma, Laziodisu, il municipio II del comune di Roma e l'Università «La Sapienza» firmavano un protocollo d'intesa che prevedeva la realizzazione di un parcheggio multipiano da 252 posti auto, che «sarà a disposizione della comunità universitaria e nella fascia oraria pomeridiana e serale potrà essere utilizzato da tutta la cittadinanza»;
   il 18 febbraio 2010 con nota n. 5560, il Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza speciale per i beni archeologici, esprimeva parere favorevole con le seguenti prescrizioni: «Questo ufficio recepisce positivamente l'opportunità prospettata dalla riqualificazione dell'area a condizione che il progetto esecutivo si integri con la realtà archeologica valorizzandola. Si forniscono dunque le seguenti condizioni vincolanti:
    1. Si eseguiranno gli scavi archeologici e tutte le indagini che questo Ufficio reputi necessarie;
    2. La progettazione dovrà recepire le prescrizioni che la Soprintendenza esprimerà successivamente alla valutazione dei risultati delle indagini;
    3. L'attuale progetto, a discrezione dello Scrivente Ufficio, potrà subire varianti anche sostanziali compresa la totale irrealizzabilità dei piani interferenti con preesistenze archeologiche;
    4. L'intervento dovrà prevedere documentazione completa e valorizzazione della realtà archeologica»;
   il 4 maggio 2010, con nota prot. n. 113670, la regione Lazio – direzione territorio e urbanistica, esprimeva il seguente parere: «come specificato dal comma 3 del suddetto articolo 3, detti Ambiti di Valorizzazione della Città Storica sono ad intervento indiretto e si attuano mediante Programma integrato, Progetto urbano, Piano di recupero o altro strumento urbanistico esecutivo, estesi nell'intero ambito. Pertanto, l'approvazione del progetto complessivo si pone in difformità dal PRG in quanto interessa solo una parte dell'Ambito. Tuttavia, per quanto riguarda l'intervento a) – lavori di realizzazione di un parcheggio multipiano interrato – è possibile ritenere il medesimo autorizzabile in conformità in considerazione del fatto che la Legge 122/89 consente la realizzazione di parcheggi pertinenziali anche in deroga ai vigenti strumenti urbanistici. Detta possibilità viene consentita ai proprietari degli immobili al fine del reperimento di parcheggi necessari al soddisfacimento del fabbisogno di edifici esistenti. A tale proposito però risulta necessario che venga chiarito con esattezza l'assetto proprietario dell'area di intervento. Il progetto dovrà inoltre avere recepito le eventuali prescrizioni derivanti dal parere della competente Soprintendenza Archeologica. Relativamente all'intervento b) – realizzazione di strutture sportive e riqualificazione dell'area di superficie – ricordato che la relativa approvazione si pone in difformità al PRG vigente per le ragioni sopra esposte, al fine di consentirne la valutazione urbanistica, occorre acquisire una dettagliata analisi urbanistica dell'intervento complessivo con riferimento alle previsioni urbanistico edilizie del PRG vigente ad esso applicabili e che approfondisca il tema del soddisfacimento degli standard minimi richiesti dalla normativa vigente per la realizzazione delle opere previste ... Alla luce di quanto sopra si ritiene autorizzabile in conformità la realizzazione dell'intervento a) “Lavori di realizzazione di un parcheggio multipiano interrato nell'area fra via Cesare De Lollis e via dei Dalmati” con le precisazioni sopra indicate. Si resta in attesa delle integrazioni richieste per l'intervento b) “Interventi per la realizzazione di strutture sportive e la riqualificazione dell'area di superficie tra via Cesare De Lollis e via dei Dalmati”, la cui approvazione si pone invece in difformità dal vigente PRG»;
   il 15 giugno 2010, con nota prot. n. 25877, il provveditorato interregionale alle opere pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna, dichiarava autorizzato il progetto definitivo a) lavori di realizzazione di un parcheggio multipiano interrato nell'area fra via C. De Lollis e via dei Dalmati;
   nel 2011, l'università «La Sapienza», acquistava il terreno, cedendo a Roma Capitale il diritto di superficie sull'intera area per consentire l'edificazione della piscina; il bando di gara del provveditorato del 4 gennaio 2011 stabiliva per la progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori relativi al progetto definitivo generale l'importo di euro 7.624.657,24; le opere da realizzarsi sono un parcheggio multipiano interrato, la riqualificazione di superficie tra via C. De Lollis e via dei Dalmati e un impianto natatorio;
   il 9 aprile 2013, alla luce del «Progetto Urbano San Lorenzo», veniva approvata dal consiglio del municipio Roma III, la risoluzione di moratoria con oggetto «Permessi a costruire a San Lorenzo», con cui si chiedeva il blocco dei lavori di tutti i cantieri in corso e dei permessi rilasciati dal Dipartimento IX, nonché l'interruzione dell’iter amministrativo per il rilascio di nuovi permessi;
   il 23 aprile 2013, l'ex presidente del municipio Marcucci invia la moratoria al sindaco Alemanno e agli assessori competenti, malgrado il consiglio comunale fosse decaduto il 20 aprile 2013;
   nel corso del secondo semestre del 2013, le indagini archeologiche preliminari confermavano l'esistenza dei resti di una grande villa romana, con pavimentazioni marmoree e a mosaico; un tratto considerevole di una strada basolata fornita di crepidini e marciapiedi laterali (verosimilmente l'antico tracciato della via Tiburtina); un articolato sistema fognario che assicurava lo smaltimento e il deflusso delle acque piovane; l'entità dei ritrovamenti consentiva di ritenere che quanto identificato costituiva solo una parte di ciò che scavi estensivi avrebbero potuto rilevare;
   il 15 luglio 2014, con nota prot. n. 25372, il Ministero per i beni e le attività culturali – soprintendenza speciale per i beni archeologici, rilevava espressamente che «il lotto interessato dalla realizzazione del parcheggio e delle strutture sportive conserva strutture antiche – solo parzialmente indagate – che coprono un arco cronologico dall'alta media età repubblicana fino al medioevo»; «oltre ad un percorso viario e a depositi di materiale antico, sono da segnalare i resti di una domus (si sono evidenziati l'impianto termale ed ambienti relativi alla pars rustica), strutture idrauliche ed un vasto sistema di cavatura ipogea del tufo»; a motivo dell'importanza del ritrovamento, «tutela e conservazione del sito archeologico nel suo complesso dovranno essere integrali»;
   malgrado ciò, la stessa sovrintendenza chiedeva l'elaborazione di un progetto di variante del parcheggio interrato cosicché l'intradosso del solaio del piano garage si ponesse a +2,70 metri rispetto al piano di calpestio della quota archeologica, «al fine di rendere visitabile e fruibile al pubblico il complesso archeologico»;
   il 29 ottobre 2014, l'assessore ai lavori pubblici Santoriello del municipio II e l'architetto Geusa del dipartimento programmazione e attuazione urbanistica del comune di Roma annunciavano che la zona in questione sarebbe divenuta un'area archeologica permanente, ma veniva, comunque, presentato il nuovo progetto con una versione sopraterra dei parcheggi, per 200 posti auto oltre la realizzazione di una piscina; il costo dell'opera era indicato in 7 milioni di euro;
   l'8 novembre 2014, nella riunione del comitato «Vestini-Dalmati-Marrucini», gli architetti del comune presentavano un progetto variato rispetto all'ultima assemblea, che prevedeva l'edificazione di un parcheggio fuori terra, costituito da un enorme parallelepipedo contenente parcheggi per 250 auto con annessa piscina, sopraelevato su pali alti 2,70 metri e per consentire il passaggio degli archeologi che lavoreranno sugli scavi;
   il 3 dicembre 2014, il consiglio d'istituto dell'istituto comprensivo statale «Via Tiburtina Antica, 25», Roma – considerato, tra l'altro, «che il quartiere San Lorenzo, in cui si trova il nostro Istituto, è già eccessivamente vittima di speculazioni edilizie e non, che non tengono affatto conto delle reali esigenze dei cittadini che lo abitano; che il quartiere San Lorenzo è carente di spazi destinati a verde pubblico; che la realizzazione di un parco archeologico attrezzato potrebbe costituire una risorsa per i bambini ed i ragazzi della nostra scuola che potrebbero usufruirne facilmente data la vicinanza con i due plessi scolastici Saffi Borsi» – chiedeva «che le autorità competenti in materia (Ministero beni culturali ed ambientali, Laziodisu, regione, comune e municipio) mettano in atto tutte le iniziative di propria competenza affinché il parcheggio universitario venga realizzato altrove, in un'area di minore impatto ambientale, e che si realizzino nell'area via de Lollis-via dei Dalmati un parco Archeologico attrezzato e la piscina comunale»;
   il 22 dicembre 2014, il Comitato «Vestini-Dalmati-Marrucini» e il coordinamento «Quadrante Dalmati» (Anpi, Legambiente, Libera Repubblica di San Lorenzo, altre associazioni e singoli cittadini) – con lettera avente ad oggetto «Richiesta di incontro prima della riunione del 7 gennaio 2015 tra l'Università e gli Uffici competenti per vagliare il nuovo progetto «parcheggio De Lollis» – chiedeva al rettore dell'università «La Sapienza» di respingere il nuovo progetto avanzato dal Provveditorato, per tutte le motivazioni indicate nella lettera medesima, avvertendo che, in caso contrario, un componente del Comitato e membro dell'associazione ecopacifista PeaceLink – recentemente accreditata presso la Commissione europea e il Parlamento europeo per le questioni ambientali – intendeva sollecitare un parere della Commissione al riguardo; e sarebbero state comunque assunte ulteriori iniziative per ottenere il diniego invocato;
   è indubbio il valore archeologico e storico-artistico dei ritrovamenti effettuati nel cantiere aperto per la realizzazione del parcheggio interrato, come riconosciuto espressamente dal Ministero per i beni e le attività culturali – soprintendenza speciale per i beni archeologici;
   e appare inoltre evidente che gli obiettivi posti dalla medesima amministrazione di tutelare e conservare in modo integrale il sito archeologico nel suo complesso e di rendere visitabile e fruibile al pubblico il complesso archeologico non possono essere raggiunti mediante la realizzazione del proposto parcheggio sopraelevato, costituito da un grosso cubo di cemento di tre piani e sorretto su pilastri;
   tale edificio, difatti, contrasterebbe ogni possibilità di valorizzazione, non solo in quanto i pali di fondamento sarebbero posizionati all'interno del sito, ma anche perché l'incombenza dell'edificio ad appena 2,70 metri rispetto al piano di calpestio renderebbero di fatto il sito stesso inaccessibile al pubblico; l'unica modalità per tutelare e valorizzare i ritrovamenti è la costituzione di un parco archeologico attrezzato, con sentieri per le visite agli scavi con costi complessivi e tempistiche di realizzazione di gran lunga inferiori al progetto in questione;
   l'edificazione di un ecomostro in cemento di tre piani fuori terra, oltre a danneggiare irrimediabilmente il sito archeologico, avrebbe comunque un impatto negativo nell'ambito dell'edilizia del quartiere e rappresenterebbe un ennesimo capitolo della speculazione edilizia che lo ha interessato (il «sacco» di San Lorenzo), unitamente alla già avvenuta distruzione delle ex Fonderie Bastianelli, alla ricostruzione dei fabbricati nell'area di via dei Dalmati, alla proposta trasformazione dell'ex dogana in un mega centro commerciale, alla realizzazione del complesso «Città del Sole» che ha sacrificato il sito archeologico di estrema rilevanza, rinvenuto durante i lavori (il più importante giacimento del Pleistocene del territorio romano, fossili animali databili 650 mila anni fa, strutture che testimoniano un insediamento dal V secolo avanti Cristo all'età repubblicana e imperiale fino al Medioevo e Rinascimento);
   come rilevato nella risoluzione di moratoria del 9 aprile 2013, il quartiere San Lorenzo ha subito per decenni trasformazioni urbanistiche incontrollate, prive di qualsivoglia organicità che hanno stravolto il suo equilibrio architettonico; al fine di evitare ulteriori danni, si è imposta la necessità di elaborare un piano particolareggiato e unitario degli interventi da effettuare, rappresentato dal Progetto Urbano San Lorenzo, all'interno del quale individuare in modo partecipato e complessivo gli spazi per la collocazione dei servizi pubblici, del verde, dei luoghi per il tempo libero e la cultura, gli spazi per gli interventi di recupero edilizio e quelli per la realizzazione di nuovi fabbricati; il percorso, iniziato nel 2002, ha trovato una sintesi nel 2010, con l'elaborazione di un documento da parte dei cittadini di San Lorenzo, votato dal Consiglio municipale, nel quale sono contenute le linee di indirizzo degli assetti futuri del quartiere; il progetto in variante del parcheggio in questione risulta evidentemente del tutto in contrasto con le dette linee di indirizzo;
   la costruzione dei nuovi parcheggi aumenterebbe il congestionamento e l'inquinamento, già molto consistente sul quadrante de Lollis-Marruccini, aggravando, inoltre, una situazione già insostenibile per il quartiere, poiché la cementificazione dell'area comporterebbe la perdita di uno spazio verde in un territorio che ne è già drammaticamente privo;
   la costruzione del parcheggio non risponde ad alcun interesse pubblico, poiché avrebbe unicamente l'effetto di consentire a duecento dipendenti dell'Università «La Sapienza», di poter arrivare al lavoro semplicemente attraversando la strada, anziché camminare 12 minuti dal parcheggio universitario già esistente di largo Passamonti, ad oggi ingiustificatamente non utilizzato, che potrebbe essere anche eventualmente ampliato, con un bassissimo impatto ambientale e con un considerevole contenimento dei costi rispetto al mega-progetto attuale;
   la costruzione del parcheggio inoltre disattende gli indirizzi comunali sulla mobilità, tesi a scoraggiare l'uso del mezzo privato per coloro che lavorano nel centro, attraverso un nuovo piano strategico finalizzato al miglioramento dell'offerta dei sistemi di trasporto collettivi, della mobilità ciclabile al servizio dei cittadini e dei pedoni;
   è infine ragionevole prevedere che il costo dell'opera, già molto elevato, potrebbe lievitare in ragione delle prevedibili iniziative giudiziarie o dalle altre possibili contestazioni dei residenti della zona –:
   se non si ritenga che l'edificazione del parcheggio, consistente in una costruzione in cemento di tre piani fuori terra, possa irrimediabilmente danneggiare il sito archeologico rinvenuto nell'area oggetto del presente atto di sindacato ispettivo;
   quali ragioni abbiano determinato il Ministero per i beni e le attività culturali – soprintendenza speciale per i beni archeologici, ad esprimere parere favorevole all'elaborazione di un progetto di parcheggio sopraelevato di 2,70 metri rispetto al piano di calpestio della quota archeologica, nonostante il riconoscimento della rilevanza dei rinvenimenti archeologici e la manifestata necessità di tutelare e conservare il sito archeologico nella sua interezza;
   quali opportune ed urgenti iniziative di propria competenza il Ministro interrogato intenda porre in essere al fine di impedire la realizzazione del progetto di parcheggio multipiano interrato e/o fuori terra di cui in premessa;
   quali iniziative di propria competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per valorizzare il rinvenuto sito archeologico e se sia stata valutata la possibilità di creare un progetto di musealizzazione dei reperti o di realizzare un parco archeologico al fine di tutelare la godibilità e fruibilità pubblica di tutta l'area de qua. (4-07701)


   VARGIU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la spiaggia del Poetto di Cagliari è stata più volte definita «la più bella spiaggia urbana d'Italia» e, per questo motivo, è stata recentemente scelta dal gruppo UVET come «spiaggia italiana ufficiale» della manifestazione Milano EXPO 2015;
   la spiaggia del Poetto di Cagliari, nello spazio prospiciente l'idrovora delle Saline, è occupata da uno stabile, iniziato a costruire alla fine degli anni trenta, su progetto dell'architetto Ubaldo Badas e dapprima pensato come colonia elioterapica (Colonia estiva Marina DUX) e, successivamente, completato nel 1947 come struttura ospedaliera, nota come «Ospedale Marino»;
   tale cubatura nel contesto della spiaggia del Poetto è stata successivamente affiancata da un altro manufatto, di assai minori dimensioni, funzionale alla complessiva attività del polo ospedaliero e adibito ad astanteria e pronto soccorso;
   alla fine degli anni settanta, l'amministrazione sanitaria decideva di rilevare la struttura dell'albergo di proprietà ESIT, che si trovava anch'esso nel contesto della sede del Poetto, tra la spiaggia e lo stagno di Molentargius, in posizione più arretrata rispetto allo stabile dell'Ospedale Marino;
   tale complesso alberghiero ex ESIT veniva ristrutturato ad uso ospedaliero, al fine di trasferire nella nuova sede tutte le attività sanitarie di pertinenza del vecchio Ospedale Marino;
   tale trasferimento, veniva definitivamente completato nel 1982 e veniva seguito dal rilascio della pertinenza di fabbricato accessoria;
   dal momento dell'abbandono del complesso dell'ex Ospedale Marino, si è posta con forza la necessità di ridisegnare e ridefinire il ruolo di tale importantissima cubatura, che impegna il sito turistico più sensibile della città, strategico per qualsiasi progetto di sviluppo economico futuro di Cagliari e, conseguentemente, dell'Isola;
   ai fini del riutilizzo del bene, la regione autonoma della Sardegna, con delibera 12/10 del 28 marzo 2006, ha individuato le direttive per la valorizzazione del bene, che resta di pertinenza demaniale per effetto del disposto dell'articolo 29 del codice della navigazione ed è destinato a «finalità turistico-ricreative», come si evince dal comunicato ufficiale sul sito www.regione.sardegna.it del 28 marzo 2006;
   in ottemperanza a tale delibera, in data 21 luglio 2006, il servizio centrale demanio e patrimonio della regione autonoma della Sardegna bandiva una gara (n. 1206/D) per l'affidamento in concessione d'uso, per 50 anni, del compendio del cosiddetto «ex Ospedale Marino»;
   in esito a tale gara, che scadeva il 6 novembre 2006 e veniva poi prorogata al 20 marzo 2007, venivano presentate due offerte che, con determinazione n. 1364 del 30 maggio 2007 venivano giudicate entrambe coerenti rispetto al bando e pertanto classificate in ordine di graduatoria secondo il punteggio loro attribuito dalla commissione giudicante;
   conseguentemente, in data 30 maggio 2007, con determinazione n. 1364 dell'assessorato regionale EE.LL., veniva dichiarata vincitrice e aggiudicataria provvisoria del bando l'ATI San Maurizio, costituita dal Policlinico Città di Quartu e dalla Sa & GO srl;
   all'atto dell'affidamento, l'assessore regionale all'urbanistica, Gianvalerio Sanna, con dichiarazione virgolettata riportata nel sito ufficiale della Regione in data 22 maggio 2007 ribadiva che «le scelte di valorizzazione dell'ex Ospedale Marino devono essere orientate verso destinazioni turistiche non residenziali, finalizzate alla creazione di centri servizi per le persone, capaci di incrementare l'offerta e l'attività turistica e la qualità dei servizi ai cittadini dell'area cagliaritana, durante l'intero corso dell'anno»;
   in data 19 settembre 2007, con decreto n. 85 del Ministero dei beni e delle attività culturali-direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna, l'immobile veniva dichiarato di interesse culturale, storico ed artistico, ai sensi dell'articolo 10, comma 1 del decreto-legge 22 gennaio 2004, n. 142;
   con sentenza 4711/2008, il TAR Sardegna aveva successivamente giudicato non coerente al bando l'offerta arrivata seconda (ATI del Gruppo Prosperius);
   a seguito detta rinuncia del primo classificato in graduatoria (ATI San Maurizio), in data 21 gennaio 2009, il direttore del servizio centrale demanio e patrimonio dichiarava pertanto conclusa infruttuosamente la procedura di gara avviata il 21 luglio 2006;
   in data 19 febbraio 2010, con sentenza 2188/2010, il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale accoglieva invece parzialmente il ricorso dell'ATI Prosperius, che veniva pertanto riammessa nell'originaria posizione di graduatoria e dichiarata aggiudicataria provvisoria della gara;
   iniziava così una lunghissima attività di concertazione tra R.A.S., ATI Prosperius e tutti gli altri soggetti aventi titolo di legge per la partecipazione alla conferenza dei servizi destinata definire la piena operatività del progetto, in modo coerente alla normativa vigente fino a quando, il 20 dicembre 2011 il comune di Cagliari, con delibera n. 73, approvava una variante del PUC finalizzata a consentire la realizzazione del progetto Prosperius (ovvero un centro di riabilitazione con sezione di eccellenza per ricovero riabilitativo);
   l'intera evoluzione dell'ex Ospedale Marino in effetti nasce proprio dalla circostanza che il primo aggiudicatario della gara (la ATI San Maurizio) avrebbe voluto creare una struttura turistico-ricreativa, anche in considerazione del fatto che, fintanto che la stessa gara era in corso, l'aggiudicazione non prevedeva il vincolo della Soprintendenza per i beni archeologici per la provincia di Cagliari. Il vincolo arrivava infatti in un momento successivo alla aggiudicazione della gara ed il nuovo soggetto che interveniva, la ATI Prosperius, si conformava a quanto stabilito dalla predetta soprintendenza e, proprio a seguito delle restrizioni introdotte da quest'ultima che rendevano impossibile la realizzazione dell'opera, valutava la ristrutturazione dell'ex ospedale Marino e la sua trasformazione in albergo economicamente poco convenienti, oltre che di fatto impossibili;
   quest'ultimo passaggio fa comprendere che l'evoluzione dell'ex ospedale Marino da struttura turistica a struttura sanitaria sia sostanzialmente dovuta alle prescrizioni troppo restrittive della soprintendenza che hanno reso impossibile qualsiasi potere di azione;
   inoltre, la realizzazione di tale destinazione sanitaria residenziale, nei progetti redatti dall'ATI Prosperius, sarebbe stata addirittura subordinata alla complessiva sostenibilità economica del progetto, vincolata all'accreditamento dei posti letto della nuova casa di cura da parte del sistema sanitario regionale;
   tale accreditamento di nuovi posti letto apparirebbe assolutamente surreale nell'attuale contesto della sanità sarda, che ha appena ottenuto una deroga di legge per poter assorbire il surplus di posti letto accreditati discendente dall'accordo per l'attivazione del nuovo ospedale ex San Raffaele di Olbia;
   al di là dell'assenza di opportunità di accreditamento dei nuovi posti letto, la soluzione progettuale proposta dalla Prosperius Sardegna è sempre apparsa assolutamente confliggente con gli interessi generali dello sviluppo turistico ed economico cagliaritano, proponendo un complesso sanitario residenziale in riva al mare, assolutamente schizofrenico rispetto alle esigenze della città e dell'Isola;
   nella conferenza stampa di fine anno 2014, il sindaco di Cagliari Massimo Zedda ha ribadito la volontà di concordare con la R.A.S la nuova destinazione dello stabile dell'ex Ospedale Marino, privilegiando destinazioni di tipo recettivo alberghiero;
   nonostante quanto dichiarato dall'assessore regionale agli EE. LL. e dal sindaco di Cagliari, dal 18 dicembre 2014, data dell'annuncio dell'annullamento del bando di gara dell'ex Marino, sino ad oggi non vi è alcuna traccia di atti ufficiali di revoca da parte della regione autonoma della Sardegna. Pertanto ad oggi, nonostante impazzi la polemica sulla «nuova» futura destinazione dell'ex Ospedale Marino, l'atto ufficiale che ancora resta in piedi è l'aggiudicazione definitiva della gara alla Prosperius Sardegna, deliberata in data 2 aprile 2014;
   appare davvero offensivo nei confronti della città di Cagliari e dell'intera Sardegna che le vicende inerenti il futuro della spiaggia del Poetto e del manufatto dell'ex Ospedale Marino si svolgano nell'attuale clima di grossolana improvvisazione, con l'amministrazione regionale che annuncia ai giornali l'annullamento di una procedura di gara durata otto anni, senza assumere, né adeguatamente motivare alcun atto ufficiale. Altrettanto incredibile appare che il sindaco di Cagliari, net corso di una conferenza stampa pubblica, confermi l'esistenza di un confronto in essere con l'amministrazione regionale mentre ancora persiste l'efficacia dell'atto normativo che assegna al progetto Prosperius il compendio dell'ex Ospedale Marino;
   il rudere dell'ex Ospedale Marino non è l'unico sfregio persistente alla spiaggia del Poetto: il relitto dello stabilimento della «Bussola», anch'esso sotto la giurisdizione del demanio regionale, deturpa da tantissimi anni il tratto quartese del litorale, costituisce un rischio costante per la stessa incolumità fisica dei bagnanti e rischia di sporcare irrimediabilmente il biglietto da visita della «spiaggia ufficiale di EXPO 2015»;
   l'attuale situazione di confusione assoluta e di assenza di scelte appare insostenibile per tutti i cagliaritani e per tutti i sardi, che dopo 8 anni di un'interminabile procedura burocratica, sono costretti a prendere atto che è nuovamente al palo di partenza qualsiasi attività di riqualificazione dello stabile dell'ex Ospedale Marino, che rappresenta ancora una lacerante e dolorosa ferita aperta nella spiaggia, totalmente inutilizzato come risorsa per lo sviluppo economico di Cagliari e della Sardegna;
   qualunque sia il motivo sostanziale, appare davvero surreale che la R.A.S. si appresti a revocare l'aggiudicazione dopo otto anni di procedura burocratica, senza provvedere contestualmente ad indicare la soluzione alternativa ed i tempi della sua attuazione, garantendo ai sardi il pieno utilizzo del bene, in tempi rapidi e per obiettivi coerenti ai fini di sviluppo turistico ed economico –:
   quali iniziative intenda intraprendere con la soprintendenza di Cagliari per dirimere l'attuale difficile situazione derivante anche dalle iniziative assunte in sede regionale e per liberare la struttura dai vincoli descritti, vincoli che rendono di fatto impossibile qualsiasi tipo di destinazione d'uso della stessa e che impediscono di superare la situazione di totale incertezza sul destino dell'ex ospedale Marino di Cagliari, funzionale allo sviluppo turistico ed economico della città di Cagliari e dell'intera Sardegna. (4-07702)


   BATTELLI, DE LORENZIS, PETRAROLI e LUIGI GALLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la relazione sul bilancio Siae del 2013 evidenzia come la società abbia raccolto ben 522,7 milioni di euro dal diritto d'autore e 67,1 milioni di euro di proventi derivanti dalla cosiddetta copia privata;
   il risultato d'esercizio 2013 del conto economico evidenzia un utile pari ad 1,58 milioni di euro, a picco rispetto ai 18,66 milioni di euro dell'esercizio precedente. Contando il solo valore della produzione, il risultato è negativo per 27,3 milioni di euro: a portare il risultato in positivo contribuiscono i proventi e gli oneri finanziari, in positivo per 35,8 milioni di euro;
   salta invece all'occhio come al 31 dicembre 2013, la Siae abbia accumulato la bellezza di 1,09 miliardi di euro di debito. Ben 980,28 milioni sono debiti che non hanno nulla a che fare con istituti di credito, istituti previdenziali, fornitori e tributi: sono debiti verso associati, esercenti e dipendenti;
   753,39 milioni di euro sono dovuti agli associati per la riscossione del diritto d'autore. In sostanza la Siae deve ancora riconoscere il compenso agli associati per una quota di denaro così alta che basterebbe da sola a risollevare l'industria culturale;
   151,27 milioni di euro sono invece i debiti della quota dell'equo compenso, ancora in attesa di essere versati agli aventi diritto;
   sempre dalla relazione, si evince come l'attività musicale sia fondante negli introiti per i servizi di intermediazione sui diritti d'autore: nel debito Siae incide per 596,4 milioni di euro;
   a fronte di una raccolta totale nel 2013 pari a 610,18 milioni di euro, la Società ha liquidato 533,12 milioni di euro;
   durante la gestione commissariale, gli artisti si sono visti privati della loro pensione, alimentata dai contributi di solidarietà; un fondo da 87 milioni usato per ripianare i buchi della società, come da interrogazione del sottoscritto n. 4/01507;
   si evince dunque un profondo stato di crisi aziendale, che evidenzia a giudizio degli interroganti l'incapacità della Siae di mantenere l'obsoleta e parassitaria struttura, nonché l'intempestività della Siae medesima nel liquidare con cadenza puntuale e certa i compensi spettanti agli autori, incidendo enormemente e sul settore della produzione d'ingegno –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato affinché la società rispetti i diritti dei propri associati, pagando con puntualità e trasparenza gli autori che sono i reali beneficiari dei pagamenti dei diritti, per cui la Siae fa solo da intermediario. (4-07703)


   BATTELLI, PETRAROLI e LUIGI GALLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in seguito al G8 tenutosi a L'Aquila ed alla cosiddetta «cricca degli appalti» (così ribattezzata dalle inchieste giornalistiche), scaturiscono una serie di indagini e filoni d'inchiesta differenti, che portano, nel maggio 2012, ad aprire un fascicolo nel quale figura come indagato l'attuale direttore generale della Siae Gaetano Blandini;
   l'iscrizione nel registro degli indagati di Blandini, si legge nel provvedimento, è dovuta al fatto che «in qualità di dirigente del ministero dei Beni culturali» ha «concesso o fatto concedere, in virtù della carica ricoperta, ripetuti finanziamenti pubblici per 1,8 milioni di euro in favore di società di produzione cinematografica per la realizzazione di film interpretati da Lorenzo Balducci, figlio di Angelo». Il tutto in cambio di alcuni lavori di ristrutturazione, svolti su richiesta di Balducci da imprese di fiducia di Diego Anemone presso la sua abitazione, e della cessione a prezzo di favore di un'autovettura alla propria consorte. In particolare, Blandini ha finanziato i film Gas (2005), Last Minute Marocco (2007), Ce n’è per tutti (2009), Aspettando Godard (2009) e Io, Don Giovanni (2009), tutti interpretati da Lorenzo Balducci. In cambio, prosegue il Gip, Blandini «otteneva» da Balducci, «per il tramite di Anemone, quale titolare dell'omonimo gruppo imprenditoriale e già avvinto da vincolo corruttivo con Balducci, ripetute utilità»;
   nel maggio 2013, Blandini (insieme a Balducci e Anemone) viene rinviato a giudizio per corruzione;
   i fatti contestati sono avvenuti mentre Blandini era dirigente generale al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo –:
   se «Blandini sia ancora sotto contratto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   in caso affermativo, per quale motivo Blandini non sia ancora stato sospeso dalla carica in via cautelare, ai sensi della normativa e del CCNL vigente;
   se il Ministro non intenda sospendere l'incarico in Siae a Blandini, sempre in via cautelare, fino alle risultanze del procedimento penale in corso. (4-07704)


   BATTELLI, PETRAROLI e LUIGI GALLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'equo compenso per copia privata, ossia un «balzello» sulla vendita di supporti/apparecchi vergini in cambio della possibilità per il consumatore-persona fisica di registrare e riprodurre per uso esclusivamente personale opere protette dal diritto d'autore, è stato introdotto per la prima volta dalla legge n. 93 del 1992, poi modificato dagli articoli 9 e 41 del decreto legislativo n. 68 del 2003;
   il decreto ministeriale del 30 dicembre 2009 ha determinato per la prima volta il valore economico di tali compensi, soggetti ad una revisione triennale, che dovrebbero tenere conto della diffusione di tale fenomeno «alla luce dell'innovazione tecnologica intervenuta nel periodo»;
   il decreto del Ministro interrogato del 20 giugno 2014 ha recentemente rideterminato il compenso per la «riproduzione privata di fonogrammi» aggiornando le tariffe in maniera vertiginosa, a detta di molti esperti del settore ed a giudizio degli interroganti;
   il provvedimento consente di fatto alla Siae di mantenere i conti in ordine, sfruttando il fatto che la società liquida con enorme ritardo i compensi;
   benché sia vero che all'estero l'equo compenso è più alto che in Italia, è altrettanto vero che l'IVA su tali prodotti all'estero è invece più bassa e ciò comporta che i prezzi, soprattutto per smartphone e tablet di ultima generazione e di alta gamma, siano più alti. E logicamente le aziende produttrici hanno adeguato il loro prezzo di vendita all'incremento dell'equo compenso;
   il Ministro interrogato ha attaccato pubblicamente la Apple, a giudizio degli interroganti, comportando quindi un danno di immagine dell'Italia all'estero, visto che si sta parlando dell'azienda con la più grande capitalizzazione azionaria del mercato borsistico dopo Exxon;
   non solo, fuori dai confini nazionali e da chi si occupa di hi-tech, l'attacco è stato visto come un ostacolo messo dalla politica italiana contro l'innovazione tecnologica, cosa di cui c’è disperato bisogno nel nostro Paese, bloccato dalla burocrazia e dall'incapacità di allocare risorse pubbliche nell'innovazione e nella ricerca, volte ad uno sviluppo tecnologico che possa ridare la giusta spinta propulsiva alle aziende e renderle competitive;
   la Siae nel 2013 è ancora indebitata verso gli associati per una quota pari a circa 151 milioni di euro derivanti dalla riscossione dell'equo compenso. Gli introiti di tale compenso, sempre nel 2013, sono stati di poco inferiori ai 70 milioni di euro, mentre l'incremento dell'equo compenso è circa del 100 per cento e porterà quindi fino a 150 milioni di euro di introiti che transiteranno in Siae (e visti i precedenti probabilmente resteranno anche più del previsto nelle casse della società). Nonostante l'Italia avesse, prima dell'ultimo decreto, i canoni da equo compenso più bassi, era comunque il Paese che incassava di più (dietro alla sola Francia);
   a luglio 2014 la Siae si è resa protagonista di una bizzarra e discussa iniziativa, quando sono stati acquistati ben 22 iPhone da Nizza, spediti in Italia e poi distribuiti ad una serie di associazioni. Non si è capito lo scopo di tali iniziativa, visto che tra l'altro, l'acquisto di circa 15.000 euro di beni, confluirà nelle casse del Governo francese e per Siae e Governo italiano non ci sarà nessun beneficio economico di ritorno, sia perché l'IVA per la transazione sarà pagata alla Francia, sia perché l'equo compenso verrà sempre riscosso in quel Paese –:
   in virtù di quanto esposto e di quelle che agli interroganti appaiono inefficienze della Siae, quanto la società potrà incassare dal ritardo dei pagamenti ai titolari dei diritti;
   quanto incasserà la Siae a titolo di compenso proprio per la intermediazione e la raccolta dell'equo compenso;
   se il Ministro, nel caso fosse nelle sue intenzioni riformare il settore del diritto d'autore, non intenda comunque rivedere tali tariffe, anche grazie ad un monitoraggio costante degli effetti sul mercato di questo incremento che, a giudizio degli interroganti, rappresentano una «tassa occulta» a danno del consumatore. (4-07705)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARCON e DURANTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il giorno domenica 25 gennaio 2015 è stato pubblicato un articolo di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera in cui si afferma che: «basta dare un'occhiata al sito internet del Ministero della Difesa, che espone un monumentale organigramma degli uffici di diretta collaborazione del ministro Pinotti»;
   l'articolo prosegue precisando che questo monumentale organigramma «allude alla presenza di centinaia di collaboratori, dove il capo di gabinetto ha ben quattro vice»;
   secondo tale ricostruzione poi, per ovviare alla «riduzione del 20 per cento degli sterminati organici del gabinetto della difesa» prevista dalla legge di stabilità 2015 «la medesima legge ha stabilito l'ampliamento dei margini di manovra di una società per azioni controllata dal ministero proprio nel momento in cui dovrebbe partire la grande operazione di cessione di immobili e alloggi militari»;
   la Ministra Pinotti dopo aver definito nella scorsa legislatura la suddetta società per azioni – Difesa Servizi s.p.a. – un'iniziativa «grave e inaccettabile», un «blitz per costruire una società privata», ha poi modificato radicalmente opinione;
   la stessa ministra Pinotti ha in seguito nominato «amministratore delegato della società un ex deputato del Pd, già capo della sua segreteria, Pier Fausto Recchia» –:
   se quanto riportato dall'articolo del Corriere della Sera corrisponda al vero;
   nel caso, se sia compatibili con le esigenze di finanza pubblica esistenza di organici nel Ministero della difesa di suddetta dimensione;
   quali siano le ragioni che hanno portato la Ministra Pinotti a cambiare radicalmente opinione sulla società «Difesa servizi»;
   quali siano le procedure che hanno portato l'onorevole Recchia ad essere nominato a capo di suddetta società, se abbia mai gestito una spa e quali siano le sue competenze in materia di gestione di una Spa e se queste siano in linea con quanto previsto dall'articolo 15 dello statuto di Difesa servizi spa. (4-07691)


   CATANOSO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   dopo aver visto il manifesto pubblicitario con il quale la Marina Militare italiana sta «pubblicizzando», appunto, il prossimo Corso per l'Accademia navale l'interrogante ha rilevato come l'utilizzo di espressioni in inglese come «Navy» e «cool» e una linea «leggera» lascino intendere come non solo la comunicazione, il marketing, la televisione, la cultura ma anche la Marina Militare, si siano adeguati agli aspetti secondo l'interrogante più deteriori del mondo globale;
   l'uso sfrenato dell'idioma inglese e la motivazione estremamente «leggera» per spingere a intraprendere una delle carriere più belle e impegnative e piene di responsabilità che ci siano, non mi sembra affatto adeguato;
   l'interrogante ben comprende che, rivolgendosi a un pubblico giovane e sensibile ai valori d'oltreoceano, si sia pensato di usare codici freschi e internazionali: peccato, però, che la Marina Militare rimanga uno dei simboli dell'italianità sana. Gode da sempre di grande rispetto da parte delle marinerie straniere ed è in sé uno strumento di esportazione del «Made in Italy»;
   provoca rabbia, fastidio, disgusto e tristezza vedere la marina militare firmarsi «Navy» per rendersi più affascinante nei confronti delle giovani reclute;
   la Marina militare italiana deve ricercare la freschezza non nel linguaggio e nell'approccio con i giovani italiani ma nelle armi in sua dotazione, nelle modalità di addestramento e nell'approccio alle nuove forme dei conflitti. Per il resto, deve rimanere profondamente antica, quell'antichità bella che non si trasforma in vecchiaia ma in fascino. Il fascino delle tradizioni, della «Vespucci», della «Premuda», dei mezzi d'assalto;
   il fascino dato dall'esperienza di navigare, vedere e fare cose esotiche e meravigliose che altri uomini e donne non fanno e non vedono. Questo rende orgogliosi gli italiani della propria Marina militare, non l'essere «cool», termine legato all'individualità superficiale, alla moda, all'essere vestiti «giusti»;
   in Marina si fa molto più che sentirsi «alla moda»: si rischia la vita nelle missioni operative, si conducono navi, sommergibili, aeroplani ed elicotteri. Vi sono sommozzatori, palombari velisti e marò per l'appunto;
   tale campagna pubblicitaria peraltro non tiene conto della situazione dei due marò italiani ancora sotto processo in India e che sicuramente non si potrebbero considerare rappresentati da tale campagna;
   quali iniziative intenda assumere il ministro interrogato affinché sia ritirata questa campagna pubblicitaria e, se lo riterrà opportuno, vengano rimossi dal loro incarico, i responsabili di tale scelta. (4-07707)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   PETRINI e CAUSI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, attraverso una novella all'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, ha aumentato, a decorrere dall'anno 2014, da 516.000 euro a 700.000 euro il tetto per l'utilizzo in compensazione dei crediti d'imposta nel modello F24;
   l'utilizzo in compensazione di un credito esistente in misura superiore al limite di euro 700.000 può essere regolarizzato con il versamento di una somma pari all'eccedenza utilizzata, maggiorata degli interessi e delle sanzioni in misura ridotta: il credito così ripristinato può essere utilizzato in future compensazioni, nei limiti previsti, con eventuali debiti tributari e contributivi;
   a giudizio degli interroganti, la normativa appare iniqua per gli operatori economici, attualmente tenuti, nel caso di superamento del predetto limite di compensazione, a versare una somma pari all'eccedenza, maggiorata di interessi e sanzioni;
   in risposta all'interrogazione n. 5-03943 presentata nel mese di novembre 2014, in cui si chiedeva al Governo la possibilità di utilizzare il credito vantato dalle imprese per compensare le imposte da pagare entro l'anno, il Sottosegretario delegato ha manifestato l'intenzione del Governo di occuparsi compiutamente della questione posta, evidenziando come tale esigenza risulti ancor più pressante anche alla luce delle previsioni che ampliano la sfera di applicazione del meccanismo dell'inversione contabile (cosiddetto reverse charge) in ambito IVA introdotte dalla legge di stabilità 2015, legge 23 dicembre 2014, n. 190 –:
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di prevedere il superamento dell'attuale limite di 700.000 euro previsto per l'utilizzo in compensazione dei crediti d'imposta nel modello F24, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e quale sia l'onere per il bilancio dello Stato derivante dal possibile raddoppio dell'attuale limite. (5-04600)


   BARBANTI e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si apprende che il Governo ha approvato una riforma in materia bancaria che riguarderebbe la trasformazione delle banche popolari con attivi superiori ad 8 miliardi di euro in società per azioni; tale riforma determinerà — per le dieci banche con attivi superiori ad 8 miliardi di euro — la soppressione del principio «del voto capitario», elemento che contraddistingue le banche cooperative, distinte in banche popolari e banche di credito cooperativo, ed affermerà un sistema di voto, tipico delle società per azioni, caratterizzato dalla percentuale di partecipazione al capitale sociale;
   le banche popolari rappresentano una quota di mercato del 30 per cento, quindi trattasi di un punto di riferimento, sia del sistema bancario nel suo complesso sia del sistema produttivo, in quanto particolarmente predisposte ad investimenti a favore dell'economia reale sotto forma di crediti a imprese e famiglie;
   in seguito alle indiscrezioni sulla riforma in atto lasciate trapelare dal Governo nei giorni scorsi e riprese dai mass media i titoli delle banche popolari quotate nei mercati finanziari hanno registrato rialzi consistenti e non in coerenza con il contesto di crisi economica che affligge sia il sistema bancario sia quello produttivo;
   l'inopportuno annuncio dell'imminente approvazione della riforma da parte del Governo potrebbe aver giovato ai grandi fondi di investimento e creato un danno ai piccoli risparmiatori: infatti la riforma consente ai grandi investitori istituzionali di assumere il controllo delle banche popolari, attualmente circostanza non possibile proprio grazie ai limiti di partecipazione al capitale sociale ed al principio del voto capitario, avendo — gli stessi — provveduto all'acquisto delle relative azioni ad un prezzo basso; altresì, gli investitori istituzionali potrebbero aver speculato sul valore dei titoli delle banche popolari attraverso le cosiddette «vendite allo scoperto» sia nelle ipotesi di risultati in profitto sia nel caso di risultati in perdita: tale speculazione potrebbe aver arrecato e potrebbe continuare ad arrecare pregiudizi ai piccoli risparmiatori che hanno investito risparmi e capitali nelle banche popolari;
   più grave e moralmente ancor meno opportuna appare, a giudizio degli interroganti, la condotta del Ministro Maria Elena Boschi, per aver partecipato alla riunione del Consiglio dei ministri in materia nonostante fosse consapevole del fatto che la suddetta riforma riguardasse inevitabilmente anche la Banca dell'Etruria, nella quale il dottor Pier Luigi Boschi, padre del citato Ministro, riveste il ruolo di vice presidente; altresì in seguito alle indiscrezioni relative alla riforma, delle banche popolari, ma soprattutto in seguito alla deliberazione definitiva del Consiglio dei ministri, il valore delle azioni della banche popolari oggetto della riforma ha «registrato» incrementi pari a diverse decine di punti percentuali e la Banca dell'Etruria ha segnato la migliore performance, con un incremento del 65 per cento: viste le circostanze gli interroganti ritengono che sarebbe stato più corretto, da parte di un Ministro della Repubblica, non presenziare alle riunioni del Consiglio dei ministri per evitare il configurarsi di un eventuale conflitto di interessi;
   la Consob dovrebbe verificare, nell'ambito della sua competenza, la sussistenza di rischi di alterazione dei valori di mercato e assumere tutte le azioni normative per porvi rimedio;
   le banche popolari potrebbero essere state acquisite da investitori istituzionali esteri ad un prezzo ribassato e l'Italia potrebbe averne perso il controllo a causa di una condotta non del tutto appropriata e pregiudizievole per la stabilità del sistema bancario e produttivo italiano –:
   se il Governo abbia acquisito elementi in merito a tutte le azioni prescritte normativamente che la Consob abbia posto in essere nel caso di specie, in particolar modo per evitare rischi di alterazioni dei valori di mercato, e se reputi opportuno assumere iniziative normative volte a bloccare e sanzionare ogni forma di «vendita alla scoperto» sulle banche popolari quotate. (5-04601)


   BUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in tema di accatastamenti, è noto come ovunque nel nostro Paese si riscontrino molte difformità tra il livello di pregio dell'abitazione e la classe catastale in cui questa è iscritta, facendo in modo che abitazioni ed immobili di lusso abbiano la stessa rendita catastale di un appartamento di medie dimensioni o, addirittura, di un fabbricato rurale, perché appartenenti, per i più svariati artifici burocratico-amministrativi, alla stessa categoria;
   molti comuni italiani hanno quindi proceduto a una impegnativa attività di studio, al fine di risanare tali incongruità e ripristinare le adeguate categorie catastali, non soltanto per scopi di fiscalità locale, ma anche di equità fiscale;
   non si ritiene infatti attinente al principio di progressività dell'imposta stabilita dall'articolo 53 della Costituzione e che dovrebbe informare l'ordinamento tributario, la situazione catastale di numerosi immobili, che si vedono attribuita, solo sulla carta, una rendita catastale del tutto sperequata rispetto alle reali, e spesso evidenti, caratteristiche immobiliari;
   né si ritiene opportuno, in termini di finanza locale, decurtare ulteriormente le entrate comunali, specie dei piccoli centri, già pesantemente ridimensionate dai recenti tagli da parte del Governo, non da ultimo con la legge di stabilità 2015, con evidente ricaduta in termini di erogazione dei servizi pubblici essenziali;
   in particolare, nel Polo Catastale Altovicentino, i comuni di Carrè, Cogollo del Cengio, San Vito di Leguzzano, Villaverla, Isola Vicentina e Zanè hanno avviato un'attenta revisione delle cassi catastali attribuite agli immobili presenti nel loro territorio, in stretta collaborazione con l'ufficio provinciale del territorio di Vicenza, al fine di accertare l'esistenza di unità difformi dalle categorie e classi ricomprese nel quadro tariffario vigente;
   nel caso specifico, si è resa necessaria, nel territorio del comune di Zanè, l'integrazione delle tariffe di estimo delle unità immobiliari con la categoria A/8, e il comune di Thiene, in qualità di capogruppo del polo catastale altovicentino, non avendo ricevuto risposta della nota inviata in data 12 novembre 2014 all'Amministrazione centrale, ha proceduto, in data 19 novembre 2014, a un sollecito riguardante la definizione dell’iter attinente all'istituzione delle categorie catastali A/1 e A/8 in suddetti comuni, cui ancora oggi non ha ricevuto riscontro;
   a tal proposito, al fine di evidenziare come una simile inottemperanza degli uffici finanziari centrali rechi grave pregiudizio ai bilanci comunali in termini di adeguata corresponsione e bilanciamento dei contributi dovuti dai cittadini e calcolati in base alle rendite catastali, oltreché in termini di equa distribuzione del carico fiscale tra gli stessi contribuenti, si può far cenno, a mero titolo esemplificativo, al comune di Zanè, dove, una delle unità immobiliari che dovrebbero rientrare nella categoria A/8 è stata recentemente oggetto di denuncia di variazione, a seguito di lavori di ampliamento, con l'attribuzione della categoria A/7, pur con una consistenza di ben 27 vani ed una superficie catastale di 1.114 metriquadri;
   sebbene con la legge dell'11 marzo 2014, n. 23, sia stata conferita una delega al Governo, all'articolo 2, per la riforma del catasto degli immobili con il fine di correggere le sperequazioni delle attuali rendite, ad oggi è stato emanato soltanto il primo decreto, ovvero il decreto legislativo 17 dicembre 2014, n. 198, recante composizione, attribuzioni e funzionamento delle commissioni censuarie;
   presumibilmente, se il Governo non adotterà entro marzo 2015, data di scadenza della delega, tutti i necessari decreti attuativi per la revisione del sistema fiscale, si renderà opportuna una proroga della delega –:
   se, nell'ambito delle proprie competenze, non ritenga opportuno sollecitare le amministrazioni finanziarie centrali e provinciali affinché procedano, nei più brevi tempi possibili, al necessario adeguamento delle categorie catastali richieste dai comuni, al fine di rendere adeguato, equo ed oggettivo, nel tempo ancora intercorrente al completamento della riforma catastale, la corresponsione dei tributi calcolati in base alle rendite catastali, tenendo conto dell'indifferibilità di tale aggiustamento, sia per ragioni di fiscalità comunale, sia per ragioni di equità fiscale, come specificato in premessa. (5-04602)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la particolarità di quei redditi per i quali si applica il regime di tassazione separata di cui all'articolo 17 del TUIR – testo unico imposte sul reddito, attiene al fatto che gli stessi, pur assumendo rilevanza fiscale nel momento in cui sono percepiti, si formano nel corso di uno o più periodi d'imposta precedenti (cosiddetti redditi di formazione pluriennale), e la eventuale loro imputazione, ai fini della tassazione, in un solo periodo d'imposta potrebbe comportare per il contribuente, a causa della progressività delle aliquote IRPEF, un carico fiscale molto elevato;
   il regime di tassazione separata è stato, pertanto, previsto dal legislatore non per appesantire il carico fiscale del percettore di reddito, ma, al contrario, per renderlo più equo;
   i redditi soggetti a tassazione separata sono fattispecie tassativamente indicate dal legislatore, non costituendo una categoria reddituale autonoma, tra le quali rientrano anche, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera c-bis), del TUIR, l'indennità di mobilità, di cui all'articolo 7, comma 5, della legge 23 luglio 1991, n. 223, e il trattamento d'integrazione salariale di cui all'articolo 1-bis del decreto-legge 19 giugno 1994, n. 357, corrisposti anticipatamente;
   il successivo comma 3 del sopracitato articolo 17 del TUIR, specifica al secondo periodo: «Per i redditi indicati alle lettere a), b), c) e c-bis) del comma 1, gli uffici provvedono ad iscrivere a ruolo le maggiori imposte dovute con le modalità stabilite negli articoli 17 e 18 ovvero facendo concorrere i redditi stessi alla formazione del reddito complessivo dell'anno in cui sono percepiti, se ciò risulta più favorevole per il contribuente»;
   a volte la tassazione separata, prevedendo l'applicazione automatica di un'aliquota pari al 23 per cento, può risultare meno vantaggiosa o addirittura non dovuta, soprattutto in quei casi in cui il contribuente ha percepito redditi di gran lunga inferiori a quelli per i quali è prevista la tassazione ordinaria, come nel caso dei redditi ricadenti nella cosiddetta «no tax area»;
   e invero, ad esempio, con riferimento agli «emolumenti arretrati», l'amministrazione finanziaria, con la circolare n. 23 del 5 febbraio 1997, ha inteso chiarire che: «... resta confermato che l'applicazione del regime di tassazione separata deve escludersi ogni qualvolta la corresponsione degli emolumenti in un periodo d'imposta successivo deve considerarsi fisiologica rispetto ai tempi tecnici occorrenti per l'erogazione degli emolumenti stessi»: stante tale precisazione, sembrerebbe applicabile alla fattispecie in esame (cioè gli arretrati), anche il regime di tassazione ordinaria, ovviamente se più conveniente, atteso che il ritardo nella corresponsione delle somme, peraltro limitato ad un brevissimo periodo, potrebbe considerarsi «fisiologico» in relazione ai tempi normalmente occorrenti al sostituto d'imposta per l'erogazione degli stessi;
   dal dettato normativo del successivo articolo 51 del TUIR, si evince che, per le somme ed i valori percepiti dai lavoratori dipendenti, vige il principio di cassa, in forza del quale gli stessi devono essere assoggettati a imposizione nello stesso anno in cui sono corrisposti; l'unica deroga all'applicazione del principio di cassa è costituita dalla previsione della così detta «cassa allargata», che permette l'imputazione al periodo d'imposta precedente del reddito percepito entro il giorno 12 gennaio dell'anno successivo;
   inoltre il comma 4 dell'articolo 21 del medesimo TUIR dispone testualmente che: «Per gli emolumenti arretrati di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 17 l'imposta determinata ai sensi dei precedenti commi è ridotta di un importo pari a quello delle detrazioni previste nell'articolo 12 (detrazioni per carichi di famiglia) e nei commi 1 e 2 dell'articolo 13 (detrazioni per lavoro dipendente) se e nella misura in cui non siano state fruite per ciascuno degli anni cui gli arretrati si riferiscono. Gli aventi diritto agli arretrati devono dichiarare al soggetto che li corrisponde l'ammontare delle detrazioni fruite per ciascuno degli anni cui si riferiscono»;
   al fine di mitigare gli effetti negativi che sarebbero derivati da una rigida applicazione di questo criterio, il legislatore, all'articolo 17 del TUIR, ha stabilito che, nell'ipotesi di emolumenti arretrati, l'imposta si deve applicare separatamente dagli altri redditi posseduti nello stesso periodo di imposta: ciò al fine di evitare che, nei casi di redditi percepiti con ritardo rispetto alla loro maturazione, avvenuta in periodi d'imposta precedenti quello in corso, il sistema della progressività delle aliquote possa determinare un pregiudizio per il contribuente, con una lesione del principio di capacità contributiva; infatti al comma 1, lettera b), lo stesso articolo 17 indica, in modo tassativo, le condizioni in presenza delle quali i redditi di lavoro dipendente, tardivamente corrisposti, possono fruire del particolare regime della tassazione separata; ai sensi di tale norma, sono, infatti, soggetti a tassazione separata gli: «emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni 4 precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti...»;
   risulta all'interrogante che ad un contribuente percettore di indennità di mobilità in deroga sia stato applicato automaticamente dall'INPS, in qualità di sostituto d'imposta, il regime di tassazione separata (essendo le stesse indennità assimilabili al lavoro dipendente), con relativa aliquota al 23 per cento, su somme erogategli nel mese di gennaio 2014 a titolo di saldo dell'anno 2013, e, analogamente, su somme erogategli nel mese di gennaio 2015 quali competenze dei mesi di gennaio e febbraio 2014;
   a parere dell'interrogante, anche nel suddetto caso il ritardo nella corresponsione dell'indennità di mobilità assume quel carattere fisiologico che, come espressamente sancito nella suddetta circolare del 5 febbraio 1997, n. 23, costituisce circostanza che esclude l'applicazione del regime della tassazione separata, e pertanto, sempre a parere dell'interrogante, l'applicazione della tassazione separata da parte dell'INPS, per ben due volte, costituisce un atto arbitrario;
   secondo quanto fin qui premesso, non si ravviserebbe alcun fondato motivo che giustifichi l'applicazione da parte dell'INPS del regime di tassazione separata, dovendo piuttosto considerarsi più coerente l'applicazione del principio secondo il quale l'indennità di mobilità sia attratta dal reddito annuale e calcolata come se fosse realmente percepita entro l'anno di competenza –:
   se non ritenga di dover intervenire dettando all'INPS precise istruzioni relative al regime di tassazione di emolumenti, di qualsiasi entità, corrisposti in anno d'imposta differente a quello a cui si riferiscono, diffidando lo stesso istituto dall'applicare arbitrariamente regimi che finiscono col danneggiare il contribuente, ed a vigilare affinché le stesse istruzioni vengano puntualmente osservate.
(5-04603)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOCCADUTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 128 del Trattato sul funzionamento dell'unione europea attribuisce alla Banca centrale europea il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote in euro all'interno dell'Unione; assegna agli Stati membri a possibilità di coniare monete metalliche in euro con l'approvazione della Banca centrale europea per quanto riguarda il volume del conio, tenendo conto di alcune specifiche tecniche stabilite dal regolamento UE 651 del 2012;
   la Commissione europea, con comunicazione al Parlamento europeo n. 52013DC0281, — ha affermato che la produzione delle monete da 1 e 2 centesimi è chiaramente un'attività in netta perdita per la zona euro;
   la Camera dei deputati ha approvato una mozione che impegna il Governo «ad assumere iniziative a livello nazionale ed europeo perché vengano attuate politiche di contenimento della spesa, esaminando l'opportunità di introdurre misure finalizzate a ridurre in maniera significativa la domanda di monete da 1 e 2 centesimi, analogamente a quanto avvenuto in altri Stati membri dell'Unione europea, previa valutazione dell'impatto delle misure medesime sull'inflazione» –:
   a quanto ammonti per l'anno 2014, il costo del conio delle monete di 1 e 2 centesimi;
   quali iniziative abbia intrapreso il Governo al fine di dare attuazione alla suddetta mozione. (5-04596)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la revisione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) sfavorisce soprattutto le persone disabili, difatti, a riguardo, si apprende dalla stampa la protesta dei famigliari delle persone affette da disabilità;
   le nuove modifiche sono state approvate dal Governo a fine anno 2013, ma sono entrate in vigore solo all'inizio del 2015, dopo che a novembre il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha predisposto con decreto i nuovi modelli per la dichiarazione sostitutiva unica (Dsu) a fine Isee;
   ad essere coinvolti dalle modifiche sono milioni di persone, visto che la dichiarazione Isee è indispensabile per l'accesso a prestazioni sociali agevolate e aiuti per le situazioni di bisogno;
   in particolare, l'Isee come modificato sfavorisce i disabili più gravi. Difatti, alcune associazioni hanno presentato ben tre ricorsi al Tar per eccepire l'illegittimità del nuovo Isee;
   tra gli aspetti più contestati c’è il conteggio nel reddito dei contributi ricevuti a fine assistenziale. Il modello approvato comprende le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento. Si ritiene assurdo, anche dal punto di vista giuridico, che tali entrate vengano equiparate al reddito da lavoro, posto che, disabilità e lavoro non sono di certo comparabili;
   altro aspetto criticato è il disposto tetto da cinquemila euro per le spese che si possono detrarre nel calcolo dell'Isee, come quelle mediche o per l'acquisto di cani guida, considerando che una persona disabile di solito è costretta dalle sue condizioni a cure particolarmente costose;
   contro il nuovo Isee vi è, quindi, una battaglia giudiziaria per l'innalzamento delle soglie di accesso alle prestazioni sociali agevolate poiché si corre il rischio di escludere dai servizi essenziali persone con disabilità gravi e non autosufficienti e con un reddito molto basso;
   in sostanza, nella maggior parte dei casi, con la recente revisione dell'Isee, ferme restando le soglie di accesso ai servizi, in certi casi vi sono dei miglioramenti. Di contro, per chi ha disabilità più gravi e ha quindi diritto a indennità plurime, il nuovo sistema rischia di essere svantaggioso;
   considerando che le persone disabili sono proprio quelle che necessitano di maggiori tutele, si ritiene necessario adottare provvedimenti ad hoc per escludere dal calcolo dell'Isee, le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento, nonché innalzare delle soglie di accesso alle prestazioni sociali agevolate –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa;
   se sia intenzione del Ministro adottare immediati provvedimenti per escludere dal calcolo dell'Isee le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento, nonché innalzare le soglie di accesso alle prestazioni sociali agevolate, considerando che l'attuale sistema penalizza le persone disabili. (4-07683)


   FAENZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riporta un articolo del quotidiano Il Sole 24 ore pubblicato sabato 24 gennaio 2015, la nuova revisione dei parametri applicativi classificati dall'ISTAT, per il pagamento dell'IMU sui terreni considerati montani, dovrebbe determinare un gettito di 270 milioni di euro per l'Erario, invece dei 350 milioni di euro, preventivati con il precedente parametro che distingueva esenti e paganti in base alla «altitudine di centro» del comune;
   l'introduzione dei nuovi criteri, rilevati dal medesimo quotidiano, sono contenuti all'interno del decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 4 recante «Misure urgenti in materia di esenzione IMU», approvato dal Consiglio dei ministri convocato in forma straordinaria venerdì scorso che, sebbene preveda le esenzioni per il 2014, non indica, a tal fine, come intenda coprire la differenza già iscritta a bilancio;
   il medesimo provvedimento inoltre, prevede che il pagamento sia ulteriormente rinviato al prossimo 10 febbraio 2015 e che parte delle risorse indicate per la copertura finanziaria siano sottratte al «pacchetto agricolo», il cui comparto risulta già gravato da una serie di imposte e difficoltà burocratiche ed amministrative connesse alla confusione determinatasi a seguito dell'introduzione di tale imposta sui terreni;
   l'interrogante a tal fine, evidenzia, ulteriori profili di criticità derivanti sia dai termini per la scadenza del pagamento per i terreni che non rientrano nei parametri dell'esenzione (fissati come suesposto al 10 febbraio 2015) estremamente ravvicinati, che i rilievi riguardanti il minor gettito derivante dai nuovi parametri, che risultano non definiti;
   le suddette osservazioni alimentano conseguentemente, i dubbi e le incertezze per i migliaia di contribuenti interessati dal pagamento dell'imposta, nonché per l'intero comparto agricolo vessato da una vicenda quale quella legata al tributo dell'IMU agricola, di estrema confusione, i cui effetti altamente negativi, contribuiranno ulteriormente a deprimere un settore fondamentale per l'economia del Paese e trainante per la crescita –:
   quali valutazioni intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, in considerazione di quanto esposto in premessa e se, a tal fine, intendano confermare il contenuto dell'articolo del quotidiano in precedenza richiamato, con riferimento alle norme di coperta finanziaria del decreto-legge n. 4 del 2015 il cui nuovo gettito previsto è stimato in 270 milioni di euro, anziché i 350 milioni di euro preventivati sulla base del parametro antecedente;
   in caso affermativo, in quale maniera intendano integrare la differenza derivante dal nuovo gettito inferiore, considerato che l'esenzione dell'imposta sui terreni agricoli per il 2014 dovrebbe portare circa 80 milioni di euro di minori incassi per l'Erario. (4-07692)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   REALACCI, BORGHI, BRAGA, CARRA, COMINELLI, ZARDINI e LACQUANITI. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la ferrovia ad alta velocità Milano-Venezia è una linea ferroviaria italiana, costruita solo parzialmente. Al momento del suo completamento collegherà Milano, passando per Brescia, con le città venete di Verona, Vicenza, Padova e Venezia e sarà dotata per la maggior parte del suo percorso degli standard ferroviari dell'alta velocità (AV) e dell'alta capacità (AC). Il tracciato farà parte della futura dorsale ferroviaria del Nord Italia Torino-Milano-Trieste;
   del progetto, della sua importanza e della sua integrazione con la piattaforma di trasporto intermodale locale si dibatte in Veneto e in Lombardia dal 1992. Da marzo 2007 sono entrati in esercizio soli 25 chilometri di binari tra Padova e Mestre/Venezia affiancati alla linea storica. Secondo quanto previsto a suo tempo dal progetto preliminare, approvato dal CIPE nel marzo 2006, la linea AV/AC Verona-Venezia si svilupperà complessivamente per circa 100 chilometri. Attualmente i treni più veloci che collegano Milano Centrale, sede di Expo 2015, a Padova (241 chilometri via Verona-Vicenza), impiegano 127 minuti, 110 minuti a Vicenza (211 chilometri) contro una media di circa 60 minuti, di tratte AV/AC già in servizio come la Roma-Napoli (226 chilometri) o la Torino-Milano (142 chilometri), aventi distanze paragonabili (sulle nuove tratte AV non si effettuano fermate intermedie a differenza delle linee tradizionali prese a riferimento); lungo i circa 75 chilometri della sezione da Verona a Padova il tracciato attraverserà le province di Verona, Vicenza e Padova;
   la delibera CIPE n. 94 del 2006 ha a suo tempo approvato il segmento iniziale della tratta Verona-Padova fino al territorio di Montebello, e quello finale da Grisignano a Padova. Per il tratto centrale si attende ormai da più di otto anni che Rete ferroviaria italiana elabori una proposta progettuale di concerto con le amministrazioni comunali interessate e il Governo e che consideri nel complesso anche esigenze di mobilità regionali unitamente alla mitigazione dell'impatto dell'opera sul territorio attraversato, affinché l'infrastruttura possa così giovare alla riduzione degli inquinanti con il passaggio dal trasporto merci su gomma a quello su rotaia;
   il territorio a sud del Lago di Garda, interessato dai vari progetti in discussione per la nuova linea AV/AC tra Brescia e Verona, presenta poi aspetti naturalistici unici e molto particolari, dovuti in parte alla sua vicinanza con gli ambienti umidi del lago, in parte agli eventi geologici che l'hanno originato. Questo territorio sul confine tra Mantova, Brescia e Verona si è, nel corso del tempo adattato allo sviluppo economico e antropico, fino all'attuale caratterizzazione agricola di alta qualità, specializzata nella produzione vitivinicola delle «terre» della «Lugana». Il progetto di nuova linea attualmente più accreditato (e contestato) sottrarrà, secondo uno studio elaborato dal professor Renato Pugno del Politecnico di Milano, circa 245 ettari di terreni alla produzione vinicola, con un rapporto costi-benefici negativo verso la nuova tratta ferroviaria: l'area gardesana del Lugana infatti, con una produzione annua di 11,5 milioni di bottiglie di vino, ha un prodotto interno lordo di 50 milioni di euro l'anno. I 9 chilometri della tratta Tav Brescia-Verona che dovrebbero attraversarla avrebbero benefici in termini di prodotto interno lordo generato di 2,94 milioni di euro l'anno;
   da recenti e numerosi articoli di stampa locale e nazionale si apprende inoltre che sul predetto, e attualmente più accreditato tracciato «direttissimo» e non affiancato alla «linea storica», anche esponenti della giunta regionale della Lombardia, in occasione di un recente incontro con le rappresentanze bresciane di Coldiretti, Confagricoltura e Consorzio tutela del Lugana, hanno espresso alcune riserve circa la tutela paesaggistica del territorio bresciano e la salvaguardia delle sue produzioni agroalimentari di qualità e paiono ventilare la proposta di valutazione di un tracciato meno invasivo «legato alle necessità del territorio»;
   la commissione VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 23 dicembre 2014 ha inviato al consorzio di imprese CEPAV 2 ed al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti numerose e dettagliate richieste di approfondimento progettuale e integrazioni, tra cui: valutazioni sull'impatto al sistema agricolo, con esplicito riferimento alla terra del «Lugana», misure di compensazione e mitigazione dell'opera, valutazione degli effetti cumulativi su altre opere e soprattutto l'assenza fondamentale di una comparazione con un'ipotesi di tracciato alternativo;
   a distanza di otto anni, e di 22 anni se ci si riferisce al progetto complessivo, appare poi forse utile riflettere, come richiesto anche dalla «Conferenza permanente dei sindaci interessati al progetto AV/AC Verona-Padova», su una revisione dei parametri progettuali che rendono difficoltoso il finanziamento del progetto in toto e la sua celere realizzazione anche alla luce della necessità di una maggiore tutela ambientale e una attenzione maggiore al consumo di suolo, in tratti così densamente popolati, e di notevole valore paesaggistico, anche per le grandi opere come detta nuova tratta. Occorrerebbe poi valutare l'opportunità dell'affiancamento alla linea storica della nuova tratta come già avvenuto per i tratti Milano-Treviglio e Padova-Venezia Mestre che permetterebbe un percorso più breve di ben 32 chilometri recuperando poi il bacino d'utenza del territorio bresciano e l'importantissimo bacino d'utenza turistico del lago di Garda, che conta ogni anno più di venti milioni di presenze –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda mettere in atto per assicurare che la realizzazione dell'infrastruttura ferroviaria AV/AC Verona-Padova avvenga in conformità con quanto richiesto negli approfondimenti VIA forniti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e in relazione agli obiettivi comunitari sulla riduzione delle emissioni del trasporto da conseguire entro il 2030, fornendo tutte le indicazioni sulle modalità e i tempi di realizzazione dell'opera stessa. (5-04597)


   MATARRESE, D'AGOSTINO, VECCHIO, ANTIMO CESARO, GALGANO, VITELLI e VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
    il piano di investimenti — cosiddetto «piano Juncker» – presentato al Parlamento europeo dal Presidente dell'esecutivo comunitario Jean-Claude Juncker e avallato dal Consiglio europeo il 18 dicembre 2014, prevede di mobilitare 315 miliardi di euro nel triennio 2015-2017 per finanziare settori strategici e rilanciare crescita e occupazione;
   il piano si basa su una serie di effetti leva che attiveranno il fondo di investimenti strategici europei (FEIS), che dovrà servire a finanziare progetti il cui profilo di rischio è superiore a quelli che sostiene tradizionalmente la Banca europea degli investimenti;
   tale fondo avrà una dotazione di 21 miliardi di euro provenienti per 5 miliardi di euro dalla BEI e 16 miliardi di euro dal bilancio europeo sotto forma di garanzia, con l'obiettivo di coprire il rischio associato agli investimenti strategici di rilevanza europea a lungo termine nelle infrastrutture, in particolare nei settori dei trasporti, energia, ambiente, sanità, ricerca e sviluppo;
   il Consiglio europeo del 18-19 dicembre 2014 ha chiesto ai legislatori dell'Unione europea di approvare la proposta di regolamento relativa al suddetto fondo entro giugno, in modo che si possano attivare i nuovi investimenti fin dalla metà del 2015;
   i progetti da finanziare saranno scelti all'interno di una lista predisposta dagli Stati membri dell'Unione europea e selezionati da una task-force per gli investimenti messa a punto tra Commissione europea e BEI in funzione del loro valore aggiunto europeo, del loro valore economico e della possibilità di avvio degli stessi entro il 2017;
   da notizie di stampa sembrerebbe che la task-force abbia predisposto una lista a carattere meramente illustrativo delle tipologie di progetti potenzialmente finanziabili, tra i quali figurerebbero anche progetti italiani –:
   se e quale coinvolgimento abbia avuto il Ministro interrogato nella definizione dell'indicazione dei progetti presentati dal Governo italiano alla task-force per gli investimenti, e, in particolare, se nell'ambito di tali progetti, vi siano interventi per prevenire il dissesto idrogeologico. (5-04598)


   DE ROSA, MICILLO, MANNINO, ZOLEZZI, DAGA, TERZONI, BUSTO, PESCO, CASO, CARINELLI, TRIPIEDI, MANLIO DI STEFANO e COMINARDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'asse viario Rho-Monza era stato presentato come una delle principali strade di accesso a Expo dalla Brianza e dalla Svizzera. Invece appare superflua e, ad Esposizione universale iniziata, risulterà un'opera sostanzialmente provvisoria, tra polemiche, ritardi e popolazione in rivolta;
   il progetto di riqualificazione con caratteristiche autostradali della strada provinciale 46 Rho-Monza si inserisce in un contesto di elevata urbanizzazione eliminando un importante corridoio ecologico, parte del parco urbano del Seveso e peggiorando sensibilmente la qualità dell'aria in una zona in cui il limite di concentrazione del PM10 è già attestato al doppio del consentito, superando quindi i valori limite previsti dalla direttiva 2008/50/CE;
   nel 2014, quando è apparso chiaro che l'opera, collegata a giudizio degli interroganti per sua mera legittimazione all'evento Expo2015, non sarebbe stata ultimata nei tempi previsti, è stato presentato il progetto sostitutivo «piano b», cioè un «progetto ponte», essenzialmente diverso per realizzazione ed impatto ambientale da quello iniziale;
   la Rho-Monza, era comunque prevista, nella migliore delle ipotesi realizzative, come strada ibrida (metà autostrada col nome di tangenziale nord tra Monza e Paderno Dugnano, metà superstrada da Paderno Dugnano alla fiera di Rho, nella parte di Bollate, avrà sì quattro corsie, ma con il limite di 60 all'ora). Inoltre, passato il grande evento, si prevede la demolizione di quanto appena fatto per renderla una «vera» autostrada, con ennesimo, inutile, spreco delle risorse pubbliche e con buona pace degli abitanti;
   il comune ed i cittadini di Bollate hanno protestato in maniera decisa contro la Serravalle (la società pubblica che si occupa della realizzazione della strada) la quale sembra non realizzerà, contrariamente a quanto precedentemente stabilito, le opere accessorie alla strada, prospettando così la paralisi del traffico;
   nel «piano B» inoltre si ampliano cavalcavia che invece sarebbero dovuti sparire e non si prevedono sottopassi, il traffico scorrerà tutto in superficie; sono scomparsi infatti i previsti tratti in trincea e sono saltate perfino le barriere antirumore; si prospetta quindi un enorme danno per i cittadini considerando che, con molta probabilità, concluso l'Expo, non ci saranno le risorse economiche per completare l'opera e renderla funzionalmente utile;
   il progetto provvisorio risulta dunque essere, secondo quanto precedentemente detto, un essenziale stravolgimento del progetto originario e, in quanto progetto sostanzialmente diverso, ad avviso degli interroganti richiede un'attenta valutazione dei fattori di rischio per l'ambiente e la salute dei cittadini, attraverso il rinnovo del procedimento di valutazione d'impatto ambientale –:
   se il Governo abbia messo in atto iniziative utili a sottoporre il nuovo «piano b» dell'asse viario Rho-Monza a verifica di assoggettabilità a valutazione d'impatto ambientale, se del caso, sospendendo i lavori per la realizzazione di tale progetto in attesa di opportuni controlli in merito al rispetto di tutte le prescrizioni. (5-04599)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 24 gennaio 2015 a Cremona si è tenuta la Manifestazione nazionale antifascista promossa con l'intenzione di esprimere solidarietà ad Emilio Visigalli, militante del CSA Dordoni, ferito gravemente domenica 18 gennaio 2015 durante una aggressione di decine di militanti del movimento neofascista Casapound;
   la manifestazione, iniziata pacificamente verso le 16,30 da via Mantova, aperta dalla moglie del ferito Visigalli, Adelmo Cervi ed altre personalità dell'antifascismo non violento, alle 17,15 è stata vittima di una azione squadrista da parte di un gruppo di circa 150-200 persone che approfittando di una cortina fumogena si sono attrezzate con impermeabili neri, caschi e manici di piccone cacciando con minacce le persone pacifiche alla testa del corteo;
   così attrezzati si sono lanciati in un assalto frontale contro le forze dell'ordine, ed hanno dato vita ad una guerriglia urbana che è dilagata in tutta la zona, con devastazioni a banche, sedi di esercizi commerciali e al comando della polizia municipale di Cremona;
   gli scontri tra i violenti e le forze di polizia sono proseguiti fino alle 20,30 con diversi uomini dei reparti di pubblica sicurezza feriti e contusi;
   l'azione di questo gruppo di violenti ha causato la fuga di tutti gli altri partecipanti e dei cittadini cremonesi che si erano aggregati pacificamente al corteo;
   per le modalità con cui si sono svolti questi episodi di violenza urbana, è per l'interrogante chiaro ed evidente che si è trattato di una azione premeditata ed organizzata con cura che ha colto di sorpresa i numerosi partecipanti che con spirito democratico e non violento hanno immediatamente preso le distanze da questi soggetti –:
   quali azioni di competenza il Ministro intenda mettere in campo affinché vengano identificati gli autori e i favoreggiatori di queste azioni violente. (4-07682)


   RICCIATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la crisi economica, che ha colpito famiglie e piccole e medie imprese, unita a fenomeni quali l'aumento dei prezzi e della pressione fiscale ha contribuito sensibilmente in questi ultimi anni ad alimentare il fenomeno dell'usura;
   nel 2014 l'Ufficio studi della CGIA di Mestre ha rilevato come tra la fine del 2011 e lo stesso periodo del 2013, la diminuzione degli impieghi bancari alle famiglie e alle imprese è stata di 97,2 miliardi di euro;
   la regione Marche è stata interessate da questo fenomeno criminale negli anni passati in modo marginale o comunque non particolarmente allarmante;
   nel rapporto «L'usura: quando il “credito” è nero» del 2010, ad esempio, l'Eurispes, nel tracciare una mappa del fenomeno usura in Italia attraverso l'Iru (Indice di rischio usura), segnalava le Marche come una regione a rischio «Medio»;
   ancora nel 2012, secondo i dati forniti durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2013, l'usura aveva un andamento in controtendenza (-42 per cento);
   circostanza che purtroppo sembra essere repentinamente cambiata negli ultimi due anni, sopratutto con l'aumento di fenomeni criminali di stampo organizzativo più volte segnalati dall'interrogante al Ministro in indirizzo;
   l'agenzia Ansa il 22 gennaio 2015 ha divulgato una anticipazione dei dati allegati alla relazione del presidente della corte d'appello di Ancona Carmelo Marino dai quali emergerebbe nel 2014 un aumento dei casi di usura pari al 115 per cento –:
   quali misure stia assumendo o intenda assumere il Ministro interrogato per arginare il fenomeno dell'usura nelle Marche;
   se l'aumento di casi riscontrati sia in qualche modo da attribuire all'intensificarsi della presenza di clan legati al malavita organizzata nelle Marche, principalmente di stampo camorrista e ‘ndranghetista. (4-07685)


   CAON, MOLTENI, PRATAVIERA, MARCOLIN, MATTEO BRAGANTINI e BUSIN. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie di stampa pare che giovedì 22 gennaio 2015 all'interno del carcere Due Palazzi di Padova sia scoppiata una vera e propria rivolta, nel corso della quale sono rimasti gravemente feriti sei agenti di polizia penitenziaria, di cui due ancora ricoverati in ospedale;
   sembra che i disordini siano cominciati già nel pomeriggio a seguito dalla protesta di un detenuto romeno, un trentenne condannato per omicidio con fine pena nel 2029, subito sostenuto da altri reclusi, che successivamente si è barricato in una cella con in mano una lametta;
   la rivolta pare sia scoppiata nella sezione B al quarto piano dell'istituto Due Palazzi, una di quelle sezioni sottoposte al regime di «vigilanza dinamica», ossia in cui i detenuti sono liberi di spostarsi nei corridoi durante il giorno, per questo presentano livelli minimi di sicurezza;
   secondo quanto riportato dai quotidiani e denunciato dai diversi sindacati di polizia penitenziaria, pare che molti dei detenuti che hanno partecipato alla rivolta fossero di origine araba e che durante i disordini inneggiassero «ad Allah e all'Isis», tanto da far pensare ad un evento organizzato poiché in tale occasione sono stati altresì rinvenuti all'interno della sezione bastoni e coltelli artigianali;
   successivamente riportano alcuni quotidiani che «gli inquirenti, giunti oggi al Due Palazzi per un'ispezione assieme agli agenti della squadra mobile, hanno smorzato: nessun riscontro al fatto che i magrebini partecipanti ai disordini abbiano inneggiato all'Isis – l'invocazione ad Allah, invece, rientra nella consuetudine per ogni musulmano – e allo stesso tempo è esclusa una matrice terroristica dietro la rivolta»;
   quanto accaduto nel carcere Due Palazzi è un fatto gravissimo in relazione ai rischi a cui sono stati esposti gli agenti di polizia penitenziaria nonché per il rischio di infiltrazioni terroristiche, a cui può essere esposto il Paese, per di più negli istituti penitenziari, che non può essere sottovalutato anche alla luce degli ultimi tragici eventi di Parigi e di quanto emerso dal dossier antiterrorismo dei servizi segreti israeliani, riportato dai quotidiani, che parla di «potenziale seria minaccia» per l'Italia;
   successivamente il 26 gennaio 2015 una agenzia ANSA riporta invece che «Nessun riferimento all'Isis o ad Allah durante i disordini attuati nei giorni scorsi da alcuni detenuti all'interno del carcere di Padova: il dato è emerso da un incontro con il direttore del «Due Palazzi» di Salvatore Pirruccio e il provveditore dell'Amministrazione carceraria Enrico Sbriglia. «Nessuno ha parlato in arabo» ha detto il direttore Pirruccio, ricordando che i quattro denunciati protagonisti della «rivolta» sono tre romeni e un italiano»;
   contemporaneamente sempre secondo altra agenzia ANSA «Giovanni Vona, rappresentante Veneto del Sappe, ha replicato alla direzione del carcere Due Palazzi di Padova sulla ricostruzione fatta oggi degli incidenti avvenuti la scorsa settimana»... e «ha confermato il coinvolgimento di 30-45 persone nei tafferugli avvenuti al quarto piano dell'istituto di pena, spiegando che i detenuti «avevano addirittura cercato di sfondare un cordone di agenti per aprire un cancello e coinvolgere nella protesta anche i detenuti degli altri blocchi» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto avvenuto esattamente nel carcere di Padova nel corso della rivolta e se, per quanto di competenza, intendano adottare urgenti provvedimenti a tutela, in particolare, dei poliziotti penitenziari che lavorano nella casa di reclusione di Padova e, in generale, nelle sezioni a «vigilanza dinamica» nelle carceri italiane;
   quali azioni si intendano intraprendere per garantire adeguati livelli di sicurezza per gli agenti di polizia penitenziaria nelle strutture detentive e quali iniziative si intendano assumere al fine di trasferire immediatamente e far scontare la pena detentiva, nei Paesi di origine, ai detenuti protagonisti della rivolta nel carcere Due Palazzi. (4-07700)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'istruzione in Francia ha recentemente pubblicato un documento dal titolo: «Consignes de sécurité applicables dans les établissements relevant du ministère – Ministère de l’Éducation nationale, de l'Enseignement supérieur et de la Recherche»;
   i recenti fatti avvenuti in Francia, a Parigi, ma anche in centri più piccoli e periferici ha drammaticamente rivelato come il riacutizzarsi di fenomeni di terrorismo costituisca un elemento di rischio ovunque ci si trovi, soprattutto per quei luoghi simbolo come sono ad esempio le scuole;
   la violenza e la imprevedibilità di certe azioni esige un livello di guardia che non può essere abbassata, soprattutto quando si è responsabili delle nuove generazioni;
   in Francia stanno cercando di mettere in atto due tipi di iniziative: da un lato controllare molto più criticamente le mete verso le quali si dirigono le classi nei loro viaggi d'istruzione e dall'altro insegnare agli allievi come reagire nella ipotesi, tutt'altro che remota, di un eventuale attacco che possa colpirli nella quiete serena della loro scuola;
   d'altra parte anche la recente vicenda delle due ragazze giovani che si sono recate in Siria con l'idea di svolgere una attività di volontariato, mostra – pur nella loro generosità – una capacità di prevedere rischi e pericoli inadeguata rispetto alle sfide con cui si sono dovute misurare;
   sembrerebbe utile fornire alle nuove generazioni una serie di istruzioni seriamente fondate su come reagire davanti a potenziali aggressioni, ma anche istruzioni chiare e concrete su come comportarsi quando si recano all'Estero;
   l'educazione alla sicurezza personale e di gruppo in Francia è diventata elemento necessario è irrinunciabile nell'intero processo formativo dei giovani e il Ministero sta dettando linee guida chiare e puntuali sul dove andare o non andare e sul come comportarsi dovunque ci si trovi –:
   se non ritenga utile dettare delle indicazioni chiare sulle mete possibili nei viaggi di istruzione che abitualmente in Italia si svolgono in primavera, a cavallo tra il primo e il secondo semestre, nonché programmare la realizzazione di attività che dettino criteri chiari sul come reagire in casi di allarmi terroristici sia che si verifichino a scuola che in caso di soggiorni in contesti i che, nonostante le misure dissuasive, potrebbero comunque avere un profilo di rischio. (3-01260)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CHIMIENTI, LUIGI GALLO, D'UVA, VACCA, MARZANA, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO e BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la riforma dell'istruzione secondaria di secondo grado, entrata in vigore il 1o settembre 2010 predisposta dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Mariastella Gelmini, ha rimodulato il monte orario di molti corsi di studio con le note conseguenze dei tagli alle risorse economiche scolastiche e di una notevole riduzione di cattedre che hanno dato luogo ad innumerevoli esuberi;
   la riforma è stata fortemente penalizzante per i docenti abilitati all'insegnamento delle cosiddette «materie d'indirizzo» degli Istituti tecnici professionali, con particolare riferimento alle discipline economico aziendali (cdc A017) e discipline giuridiche ed economiche (cdc A019) le quali hanno subito una cospicua diminuzione delle cattedre;
   con sentenza n. 3527 dell'8 aprile 2013 il TAR del Lazio si è espresso favorevolmente al ripristino del quadro orario negli istituti tecnici e professionali, accogliendo il ricorso di SNALS-Confsal e annullando la validità dei provvedimenti emanati in seno alla riforma Gelmini sulla riduzione oraria nel triennio degli Istituti tecnici e professionali;
   il taglio del monte orario ha avuto come diretta conseguenza l'aumento esponenziale del numero di docenti in esubero collocati nella dotazione organica provinciale (DOP);
   come stabilito dal CCNI sulla mobilità ai docenti collocati nella dotazione organica provinciale viene riconosciuta la precedenza al rientro nella scuola di ex titolarità fino agli 8 anni successivi alla perdita del posto. Tale rientro di titolarità risulta quasi impossibile in quanto annualmente nuovi docenti vengono collocati nella DOP, sottraendo la possibilità di rientro ai colleghi, con il conseguente azzeramento del punteggio di continuità ottenuto allo scadere degli 8 anni di cui sopra;
   ad una piccola quota di questi docenti soprannumerari è stata concessa la possibilità, mediante il decreto direttoriale del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 7 del 16 aprile 2012, di partecipare a dei corsi di sostegno di riconversione su sostegno;
   tutti gli altri docenti in esubero sono costretti a coprire i cosiddetti «spezzoni di cattedra», spesso percorrendo parecchi chilometri dalla provincia di residenza –:
   se intenda fornire dati numerici certi relativi alla consistenza dell'esubero calcolato sull'organico di fatto nella sola scuola secondaria;
   se si intenda prendere in considerazione l'ipotesi di ripristinare il monte orario, come da sentenza in premessa, in modo tale da riassorbire il personale suddetto;
   se il Ministro interrogato non intenda valutare altre possibilità per dare soluzione al problema dei docenti in soprannumero che di fatto non sono direttamente interessati all'applicazione del decreto ministeriale n. 7 del 16 aprile 2012 di cui in premessa;
   se il Ministro interrogato non intenda abolire o quantomeno allungare oltre agli attuali 8 anni, come specificato in premessa, la precedenza al rientro nella scuola di ex titolarità. (5-04591)


   CHIMIENTI, MARZANA, LUIGI GALLO, D'UVA, BRESCIA, DI BENEDETTO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto previsto dalle linee guida del dossier «La Buona Scuola», presentato il 3 settembre 2014 dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, si dovrebbe assistere nel 2015 a un piano di assunzioni che consentirebbe la stabilizzazione di circa 150 mila precari della scuola italiana;
   uno degli obblighi a cui i candidati inseriti nelle graduatorie ad esaurimento e nelle graduatorie del ricorso 2012 dovranno sottostare è quello della mobilità geografica, cioè la possibilità di essere assunti in una provincia della stessa regione o anche di una regione differente da quella di residenza;
   durante il mese di dicembre 2014 avrebbe dovuto essere avviato da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca censimento dei docenti presenti nelle graduatorie ad esaurimento, i quali dovevano essere chiamati ad esprimere la propria disponibilità all'assunzione con contratto a tempo indeterminato sulla base appena specificata;
   allo stato attuale, i docenti in attesa dell'immissione in ruolo hanno già aggiornato le graduatorie scegliendo, per avere maggiori possibilità di occupazione, una provincia spesso anche molto lontana da quella di residenza;
   coloro che sono stati immessi in ruolo recentemente, da graduatorie ad esaurimento o da graduatoria di merito dell'ultimo concorso, sono soggetti ad un blocco triennale, conseguentemente per tre anni non potranno cambiare provincia a meno che non rientrino nella casistica specifica delle utilizzazioni ed assegnazioni provvisorie, come esplicitato nel CCNL sulla mobilità 2014/2015;
   a seguito del piano straordinario di assunzioni su tutti i posti vacanti e disponibili delineato nel dossier «La Buona Scuola» dal Governo Renzi, si assisterà ad una saturazione di tutte le cattedre esistenti con la conseguenza che, per lungo tempo, verranno meno i posti disponibili da destinare ai trasferimenti, ad eccezion fatta per quelli che si libereranno per effetto dei pensionamenti, che saranno comunque soggetti ad una riduzione percentuale, essendo in parte destinati a nuove assunzioni in ruolo da nuovi concorsi;
   se a seguito delle nuove immissioni in ruolo i posti in organico di fatto e di diritto dovessero saturarsi, così come prevedibile, verranno meno non solo la possibilità di chiedere il trasferimento ma anche quella di chiedere l'assegnazione provvisoria;
   l'effetto possibile a cui si andrà incontro sarà quindi quello del blocco territoriale dei neoassunti nella medesima provincia per lungo tempo, senza la possibilità di avvicinarsi a quella di residenza. Ne deriva quindi una tangibile necessità di adottare un piano di mobilità straordinaria che riguardi anche i docenti da poco assunti in ruolo o quelli che, pur avendo già presentato domanda di trasferimento, non lo hanno ancora ottenuto;
   anche la Convenzione europea per la «salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali» sancisce, all'articolo 8, il diritto al rispetto della vita familiare tutelando il ricongiungimento familiare: «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. Non può esservi ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.» –:
   se il Ministro interrogato intenda consentire ai futuri docenti una scelta più oculata della provincia in cui essere immessi in ruolo;
   se il Ministro interrogato abbia valutato la possibilità di riaprire le graduatorie e, conseguentemente, di adottare un piano straordinario sulla mobilità, per consentire ai docenti di effettuare un aggiornamento delle scelte delle province, come spiegato in premessa, in modo da consentire un avvicinamento alla provincia di residenza e ridurre, così, i sacrifici e i costi a carico dei docenti stessi. (5-04593)

Interrogazione a risposta scritta:


   RONDINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio scolastico regionale per il Lazio – Ufficio XII – (A.P.T.) ambito territoriale provinciale di Latina, in data 8 agosto 2014, pubblicava la graduatoria provinciale dei docenti D.O.S. (dotazione organica di sostegno) provvisoria, senza pertanto apportare modifiche sostanziali a quella dell'anno precedente;
   successivamente, in data 21 agosto 2014, l'A.P.T. pubblicava, a mezzo internet, un'ulteriore graduatoria, a proprio dire definitiva, ma nella quale a quanto risulta all'interrogante sarebbero stati decurtati o viceversa implementati i punteggi di alcuni docenti a danno di altri;
   questa quantomeno discutibile prassi è stata posta in essere a giudizio dell'interrogante in apparente contrasto con le normative vigenti, con la bozza del C.C.N.L. del 26 marzo 2014 sottoscritto da tutte le organizzazioni sindacali firmatarie del C.C.N.L. del 29 novembre 2007 comparto scuola, ed ancora a danno degli alunni diversamente abili che dovrebbero essere tutelati maggiormente così come sancito anche dalla legge n. 104 del 1992 –:
   perché in quest'ultimo modello J11 siano state omesse le esigenze di famiglia;
   quali siano le motivazioni per cui tutta questa confusione sia avvenuta solo a Latina;
   se i Ministri interrogati intendano intraprendere iniziative per verificare e controllare gli uffici dell'ambito territoriale provinciale di Latina, allo scopo di porre fine una volta e per sempre a variazioni dei punteggi a danno di quei docenti che, nel rispetto delle leggi e della deontologia professionale, non sono avvezzi a quello che l'interrogante giudica pratiche discutibili, da cui conseguono spostamenti di docenti che si ripercuotono inevitabilmente sugli studenti diversamente abili con grave pregiudizio sotto l'aspetto didattico ed educativo degli stessi. (4-07686)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI e GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la crisi economica ed occupazionale sta colpendo ormai da anni ogni settore produttivo del nostro Paese;
   tale situazione si sta ripercuotendo non solo sui grandi gruppi industriali ma su ogni tipologia di aziende: nel 2013 in Italia sono state costrette a cessare l'attività in media 54 imprese ogni giorno. Secondo quanto è emerso da indagini settoriali infatti «lo scorso anno su tutto il territorio nazionale si sono registrati 14.269 fallimenti, in crescita del 14 per cento rispetto al 2012 e del 54 per cento rispetto al 2009. Di fatto in cinque anni sono sparite in Italia 59.570 imprese, in un trend di costante aumento dall'inizio della crisi a oggi, con il suo picco nell'ultimo trimestre 2013: un nuovo record di 4.257 fallimenti (+ 14 per cento rispetto al quarto trimestre 2012, + 39 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009), il dato più alto degli ultimi venti trimestri»;
   nello specifico, secondo quanto reso noto dalle associazioni di categoria, «sono sempre più numerose le imprese del terziario di mercato che cessano l'attività rispetto alle nuove iscrizioni. Nei primi dieci mesi del 2014, infatti, il saldo tra aperture e chiusure è negativo di quasi 78 mila unità e in leggero aumento rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso (- 76.489). Saldi negativi e in peggioramento si rilevano anche nei singoli comparti: “commercio al dettaglio alimentare e non alimentare” (- 25.600), “alloggio e ristorazione” (- 13.759), “altre attività di servizi” (- 26.272); con l'unica eccezione del commercio ambulante che rispetto al 2013 registra una crescita del numero di imprese presentando un saldo positivo tra iscrizioni e cessazioni pari ad oltre 1.600 unità. Alla base di queste dinamiche negative vi è il protrarsi della recessione e la crisi dei consumi delle famiglie i cui effetti si sono esplicati indistintamente sull'intero territorio nazionale con saldi negativi in tutte le regioni e una riduzione particolarmente consistente al sud»;
   se per le imprese del comparto «industria» sono ad oggi previste per legge differenti tipologie di ammortizzatori sociali (cassa integrazione guadagni ordinaria — Cigo; cassa integrazione guadagni straordinaria — Cigs; contratti di solidarietà; cassa integrazione in deroga – Cig in deroga), il settore delle aziende di «servizi e commercio» (che presenta anche realtà produttive con centinaia di addetti) appare al contrario fortemente penalizzato;
   con la legge n. 92 del 2012 è stata prevista la ristrutturazione del sistema degli ammortizzatori sociali in particolare per introdurre meccanismi di salvaguardia anche per i lavoratori dell'aziende (dei settori non «industria») escluse dalla cassa integrazione guadagni ordinaria e dalla cassa integrazione guadagni straordinaria. Sono stati infatti istituiti «fondi di solidarietà bilaterali» con la finalità di assicurare ai lavoratori tutele nei casi di riduzione o sospensione dell'attività per le stesse cause previste dalla normativa in materia di cassa integrazione guadagni ordinaria e cassa integrazione guadagni straordinaria;
   a quanto risulta agli interroganti nella maggior parte dei casi tali «fondi di solidarietà bilaterali» (finanziati dai dipendenti e dai datori di lavoro) non sono ancora operativi e dovrebbero iniziare ad erogare i primi finanziamenti a partire dall'anno 2016;
   in tale situazione la cassa integrazione in deroga, sia per le aziende del terziario che per le altre imprese, è stata ridotta da strumento annuale (in vigore dal 2008 al 2013) a strumento «parziale» con un limite di utilizzo di 5 mensilità per anno solare;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha inoltre recentemente comunicato la soppressione del contributo di solidarietà (di tipo B) previsto dalla legge n. 236 del 1993 nel settore terziario e per tutte le imprese non soggette alla cassa integrazione guadagni straordinaria;
   il «Jobs Act» approvato dal Parlamento con la legge n. 78 del 2014 ha disposto una delega al Governo per «realizzare un riordino della disciplina degli ammortizzatori sociali», al fine di «assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori»;
   tale delega ad oggi non è stata ancora esercitata dall'Esecutivo;
   appare palese quindi, in tutta la sua evidenza, l'attuale disparità di trattamento a cui sono sottoposte alcune categorie di lavoratori dipendenti del settore privato nel nostro Paese. Qualora non subentrassero modifiche ed i decreti legislativi previsti dalla legge n. 78 del 2014 subissero ulteriori ritardi, i lavoratori delle aziende in crisi, avranno diritto, nel corso del 2015, soltanto a 5 mensilità di cassa integrazione in deroga. Dopo i quali non rimarrebbe che procedere con i licenziamenti collettivi –:
   se e con quale tempistica ed in quale misura i «fondi di solidarietà bilaterali» citati in premessa potranno rappresentare un ammortizzatore sociale efficace per i lavoratori del settore terziario delle aziende in crisi;
   in quali tempi verranno approvati i decreti legislativi previsti dalla legge n. 78 del 2014 per «realizzare un riordino della disciplina degli ammortizzatori sociali» e quali misure conterranno per sostenere i lavoratori del settore terziario delle aziende in crisi;
   se non ritenga comunque necessario, alla luce di quanto esposto in premessa, prevedere interventi urgenti, anche di carattere temporaneo, al fine di salvaguardare anche i lavoratori del settore terziario delle aziende in crisi almeno per l'anno 2015. (5-04592)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 gennaio 2015 la Società Ansaldo caldaie ha effettuato una comunicazione preventiva ai sensi del combinato disposto dagli articoli 24 e 4, comma secondo, della legge 233/91 con la quale comunica formalmente l'avvio delle procedure di licenziamento collettivo di n. 197 dipendenti per cessazione dell'attività produttiva sita in Gioia del Colle (BA);
   i motivi che hanno determinato la situazione di eccedenza, secondo l'azienda, sono da determinarsi in un calo del fatturato e degli ordini a causa della competizione con paesi a basso costo di produzione che hanno salari orari medi pari ad un quarto di quelli registrati nell'impianto italiano;
   tale cessazione dell'attività coinvolge non solo i 197 dipendenti dell'azienda, ma anche più di cento lavoratori impiegati nell'indotto, che considerando un numero medio di componenti del nucleo familiare pari a tre, mette quindi in difficoltà un totale di circa novecento famiglie, con pesanti ricadute sull'intero territorio gioiese che conta ventottomila abitanti di cui circa diciottomila in età lavorativa;
   la chiusura dello stabilimento di Gaggiano lascia aperte molte domande, soprattutto se si considera che in questi mesi non sembra essere stata presentata alcuna proposta concreta per permettere una ripresa delle attività in un mercato altamente competitivo quale quello delle caldaie industriali;
   l'azienda ha già manifestato la propria indisponibilità a garantire trattamenti economici aggiuntivi oltre a quelli previsti per legge –:
   se siano a conoscenza della situazione esposta in premessa, e quali iniziative intendano assumere al fine di scongiurare la chiusura dello stabilimento e di garantire i trattamenti salariali per i lavoratori;
   quali iniziative intendano promuovere per evitare che la chiusura dell'impianto dell'Ansaldo Caldaie spa abbia ricadute negative sull'intero territorio gioiese, in considerazione dell'elevato numero di persone e famiglie coinvolte.
(4-07689)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32 della Costituzione italiana recita «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
   tale diritto è garantito però in modo diverso rispetto alle aree geografiche del nostro Paese;
   l'Ordine dei medici di Reggio Calabria ha diffuso infatti una nota in cui si denuncia il fatto che molti medici di medicina generale della provincia sarebbero «impossibilitati a svolgere l'attività prescrittiva tanto farmacologica quanto diagnostica perché mancano i ricettari»;
   nella stessa nota, ripresa da diversi quotidiani locali, tra cui, per esempio la testata online Il Dispaccio, che l'ha ripresa nell'articolo «La denuncia dell'Ordine dei Medici di Reggio Calabria: assurda carenza ricettari» del 18 gennaio 2015, i medici reggini rammenta che, senza la possibilità di effettuare prescrizioni, «siano impedite le cure a coloro che non sono economicamente in grado di sostenere le spese per l'acquisto di qualunque tipo di farmaco o di esame diagnostico e strumentale»;
   il problema non sarebbe recente, ma protratto da almeno un mese, come risulta peraltro da un esposto presentato alla questura di Reggio Calabria da due medici;
   va rammentato inoltre il fatto che in Calabria non è ancora attualmente in vigore la cosiddetta «ricetta elettronica» di cui all'articolo 11, comma 16, ultimo periodo del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122;
   a quanto risulta da un articolo apparso su Repubblica.it il 6 settembre 2014, sarebbero solo cinque regioni infatti (Sicilia, Valle d'Aosta, Trentino, Basilicata e Veneto) ad essere a regime «e stanno raggiungendo l'obiettivo di emettere l'80 per cento delle ricette mediche dematerializzate entro il 2014, come previsto dall'agenda digitale del Governo Monti»;
   altre regioni, continua l'articolo, «sono invece in fase di sperimentazione» e tra queste vi sarebbero: Molise, Campania, Liguria, Piemonte, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Emilia Romagna, Puglia, Marche;
   nell'elenco non compare la Calabria;
   il Ministro interrogato ha dichiarato, nella sua visita in dell'ottobre 2014 che «dopo tanti sacrifici i calabresi hanno diritto a una buona sanità», ma i fatti sembrano essere diversi;
   è opportuno ricordare infine che, sebbene la fornitura dei ricettari sia di competenza dell'azienda sanitaria provinciale di Reggio, la mancanza dei ricettari rende impossibile ai cittadini calabresi di godere di quei «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» citati nell'articolo 117 della Costituzione –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda promuovere per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi, per garantire ai medici della provincia di Reggio Calabria di poter ottenere nuovamente i ricettari per effettuare l'attività prescrittiva, tanto farmacologica quanto diagnostica, e garantire il diritto alla salute dei cittadini;
   se sia a conoscenza di quali siano i tempi e le modalità previste per attivare su tutto il territorio nazionale ed anche in Calabria la cosiddetta «ricetta dematerializzata» di cui all'articolo 11, comma 16, ultimo periodo del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
(4-07695)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SALVATORE PICCOLO, GIORGIO PICCOLO, PALMA, IMPEGNO, FAMIGLIETTI, ROSTAN e BOSSA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il FORMEZ – Centro di formazione e studi per il Mezzogiorno (oggi FormezPA) è stato — ed è tuttora — un rilevante strumento di sostegno tecnico alle politiche di sviluppo delle amministrazioni pubbliche centrali, regionali e locali;
   la sua costante attenzione all'analisi ed alla valutazione del fabbisogno e delle problematiche delle amministrazioni pubbliche e degli enti locali ha consentito all'istituto di svolgere un ruolo importante e di riferimento nei settori della ricerca e dell'editoria specialistica; della formazione e della riqualificazione del personale; dell'assistenza tecnica alla progettazione, sperimentazione e implementazione di modelli organizzativi/gestionali innovativi; del reclutamento delle risorse umane;
   tale virtuosa, specifica e strategica missione andrebbe oggi rilanciata e rafforzata su tutto il territorio nazionale in sintonia con i percorsi di riforma che il Governo sta portando avanti con il positivo e condivisibile intendimento realizzare un processo di snellimento, di recupero di efficienza e di maggiore produttività della pubblica amministrazione;
   appare quantomeno singolare e sicuramente discutibile la prospettata soppressione delle cosiddette «sedi periferiche» del Formez e, in particolare, di quella di Napoli: un'ipotesi che appare in evidente controtendenza con quanto riferiscono i rapporti Censis e Svimez sui fenomeni politici economici e sociali che caratterizzano la terza area metropolitana (Napoli) e la seconda regione d'Italia (Campania) e sui crescenti interessi che esse rivestono nel panorama delle regioni «obiettivo convergenza» e dell'intero bacino del Mediterraneo;
   né si può trascurare, con riferimento all'istituzione delle città metropolitane, quanto emerge dalla rappresentazione del sistema urbano europeo recentemente proposta dall'OCSE (OECD, 2012) che ritiene la città metropolitana di Napoli la quinta «città di fatto» più grande d'Europa, assegnandole, in pratica, un'importanza strategica nel sistema italiano, a ulteriore conferma dei dati elaborati dall'ISTAT;
   privare il territorio metropolitano di Napoli di una istituzione come il Formez significherebbe dichiarare — dal punto di vista culturale e produttivo — l'abbandono di una leva strategica per il rilancio di un'area quale il Mezzogiorno d'Italia, motore potenziale di un'incisiva politica economica di sviluppo dell'intero Paese;
   va aggiunto che la sede campana di FormezPA (già laboratorio di tutte le esperienze ricordate in apertura, essendo stata individuata come sola sede di ricerca e formazione delle regioni del Mezzogiorno, a partire dalla sua costituzione nei primi anni ’60) ha consolidato nel tempo una rilevante ed apprezzata capacità di intervento che ha fatto perno sulle qualificate risorse tecnico-professionali interne; ciò ha consentito un riconosciuto, efficace e costante affiancamento alle amministrazioni pubbliche locali, nonché la gestione diretta, in questi anni, di molte tra le loro più rilevanti attività –:
   se il Ministro, alla luce delle considerazioni innanzi esposte, non ritenga necessario approfondire e riesaminare la questione, assumendo un'iniziativa urgente per scongiurare la paventata soppressione della sede di Napoli che penalizzerebbe la città e ne comprimerebbe ulteriormente le prospettive di crescita. (4-07688)


   VARGIU. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la trasparenza, l'imparzialità e la meritocrazia rappresentano i criteri ai quali la pubblica amministrazione e la sanità pubblica dovrebbero ispirare il proprio servizio alla collettività per garantire livelli di prestazioni appropriate e di qualità, nonché condizioni di lavoro motivanti e gratificanti per il personale;
   ciononostante, le dinamiche che talora ispirano le attribuzioni di incarichi di responsabilità nella pubblica amministrazione, ivi comprese le aziende sanitarie e le strutture ospedaliere, sono ancora riconducibili a vecchi schemi del passato, ove prevalgono anacronistiche e antieconomiche modalità di conferimento di incarichi del tutto discrezionali che non premiano principalmente il merito;
   appare dunque sempre più evidente la necessità di una profonda rivoluzione culturale che dia piena centralità all'impegno e alle capacita individuali, premiando innanzitutto il merito nelle progressioni di carriera con particolare riguardo ai professionisti sanitari e a tutte le attribuzioni di incarichi di responsabilità nelle aziende sanitarie e nelle strutture ospedaliere;
   in tale senso, sembrerebbe emblematico il caso della dottoressa E.S., già dirigente medico di struttura semplice dal 2012 al 2014 presso l'ospedale di San Marcello Pistoiese (Azienda Usl 3 Pistoia) e attualmente senza la titolarità di nessun incarico professionale, alla quale – risulta all'interrogante – sarebbe stata, per due volte consecutive, preferita la candidatura di altri dirigenti medici più giovani e di minor esperienza professionale, relativamente all'attribuzione dell'incarico di sostituzione di responsabile facente funzione di struttura complessa U.O. Direzione Sanitaria Ospedaliera di Pistoia, ai sensi dell'articolo 18 del CCNL 8 giugno 2000, area dirigenza Medico-Veterinaria –:
   quali iniziative normative il Governo – per quanto di propria competenza e fermo restando le attribuzioni esclusive delle regioni in materia sanitaria esercitate tramite le asl – valuti necessarie affinché i criteri di trasparenza, imparzialità e meritocrazia costituiscano l'unico parametro di riferimento nella gestione della sanità pubblica e della P.A., anche rispetto alle progressioni in carriera dei professionisti sanitari nelle aziende sanitarie e nelle strutture ospedaliere e affinché ciò possa contribuire a garantire livelli di prestazioni sanitarie sostenibili, appropriate e di qualità, nonché condizioni di lavoro motivanti e gratificanti per il personale.
(4-07693)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dai dati diffusi dall'Istat relativi al mese di novembre 2014 emerge come il fatturato su base mensile segni un – 0,6 per cento rispetto alla rilevazione di ottobre;
   risultano in forte flessione, anche gli ordinativi su base annua che segnano un – 4,1 per cento e su base mensile (si scende dell'1,1 per cento a novembre rispetto ad ottobre);
   per entrambi gli indici la flessione, secondo Istat, è dovuta ad una ennesima contrazione del mercato nazionale che nel confronto annuo perde il 9,2 per cento, peggior dato da marzo 2013;
   tali dati mostrano purtroppo come – a differenza dell’export che continua a fornire segnali incoraggianti – non vi sia alcun segnale di ripresa per il mercato interno;
   situazione che era già stata, peraltro, preconizzata dall'Agenzia di rating Standard & Poor's nel luglio del 2013, dove, dopo aver illustrato i dati che hanno portato al taglio del rating per 18 banche italiane, ribadiva che non vi erano segnali per aspettarsi una significativa inversione di tendenza per il 2014;
   d'altra parte anche i dati sui consumi di settembre 2014, diffusi da Confcommercio, segnalano il trend negativo anche delle spese delle famiglie, che a settembre segnano una ulteriore contrazione dello 0,6 per cento su base annua;
   il presidente del Codacons Carlo Rienzi, il 6 novembre 2014 ha affermato sul punto che «la ripresa dei consumi non è nemmeno all'orizzonte, e i numeri del Codacons e di Confcommercio lo confermano. Il calo del potere d'acquisto delle famiglie pari al – 12 per cento negli ultimi 7 anni, impedisce un'inversione di tendenza, e le misure adottate dal Governo, in primis il bonus da 80 euro in busta paga, rappresentano palliativi insufficienti a risollevare le sorti dell'economia nazionale» –:
   considerato che le misure sino ad oggi adottate paiono non aver sortito gli effetti annunciati, quali misure intenda adottare il Governo per agevolare la ripresa economica generale. (4-07684)


   BRAGA, TINO IANNUZZI, MANFREDI, COMINELLI, MARIANI, BRATTI, DALLAI, MAZZOLI e CARRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da numerose agenzie stampa, quotidiani nazionali e comunicati ufficiali del Governo Italiano il 21 gennaio 2015 il Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, ha incontrato il Ministro del Commercio canadese, Ed Fast, al fine di rafforzare la cooperazione economica tra Italia e Canada: in particolare nell'ambito della sicurezza energetica e della diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Il nostro Paese punterebbe ad importare gas liquefatto e petrolio;
   il petrolio canadese, oggetto dell'accordo per l'Italia, è quello definito «non convenzionale» ovvero prodotto da sabbie bituminose o «tar sands»;
   dette sabbie bituminose sono una combinazione di argilla, sabbia, acqua e bitume;
   la loro estrazione ha un impatto molto pesante sull'ecosistema, sulle acque, sulle foreste e sulla salute delle popolazioni nelle aree interessate alle estrazioni;
   le «tar sands», i cui principali giacimenti si trovano in Canada, Venezuela e residuamente in Russia, hanno peraltro un notevole potenziale geostrategico e possono rappresentare i due terzi delle riserve mondiali con almeno 1,7 terabarili in Canada e 235 gigabarili in Venezuela;
   l'Italia è oggi come altri Paesi europei colpita dalla crisi climatica: le temperature medie annuali negli ultimi decenni sono aumentate più della media mondiale, il Mar Mediterraneo si scalda di 0,6 gradi centigradi per decade. Dal 1850 a oggi i ghiacciai alpini sono diminuiti del 55 per cento e molti ghiacciai minori sono destinati a ridursi notevolmente nei prossimi decenni;
   il nostro Paese ha altresì fatto molti progressi in termini di Co2, riducendo le proprie emissioni di gas serra del 25 per cento in meno di un decennio e ha inoltre adottato, nel dicembre 2014, la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici: un insieme di strumenti nazionali per affrontare le calamità naturali e ridurre i rischi per la popolazione e i danni economici riferibili all'aumento delle emissioni in atmosfera anche in vista dei nuovi e più stringenti impegni sul clima che saranno presi alla COP21 di Parigi a fine anno;
   se i Ministri interrogati vogliano chiarire i termini dell'accordo italo-canadese sull'importazione di derivati di petrolio da sabbie bituminose e se essi ritengano gli impegni già presi internazionali sulla riduzione delle emissioni compatibili con il predetto investimento di cooperazione in campo energetico legato a una delle fonti a maggiore impatto climalterante e, se, così fosse, quali iniziative intendano mettere in campo affinché questo sia compensato in termini di emissioni in atmosfera. (4-07690)


   REALACCI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la geotermia è una fonte di energia a basse emissioni con importanti margini di crescita nell'ambito delle fonti rinnovabili. L'Italia è tra i Paesi più avanzati nel settore per ricerca tecnologica: innovazione in continua evoluzione per favorire lo sfruttamento delle risorse geotermiche e una maggiore tutela dell'ambiente, in particolare di suoli, delle falde acquifere e della fragilità sismotettonica delle aree interessate. Sviluppo tecnologico che oggi riguarda sempre maggiormente anche le pompe di calore geotermiche a bassa entalpia, anche grazie a piccoli impianti ad uso domestico o non strettamente industriale;
   in Italia la geotermia ha infatti una lunga storia. La nostra penisola ha un elevato gradiente geotermico che ha permesso lo sfruttamento del calore naturale terrestre in diversi luoghi del Paese. La presenza di sorgenti naturali ad acqua calda è stata ed è ancora oggi sfruttata dall'uomo in diverse province ed altre aree sono potenzialmente sfruttabili in maggior misura rispetto al loro attuale utilizzo;
   la Toscana, con l'area di Larderello (Pisa), è la regione dove è avvenuta la più antica utilizzazione al mondo dell'energia geotermica che ha sfruttato le sorgenti naturali almeno dal tempo degli Etruschi. Sempre nella medesima area è avvenuta la prima trasformazione di energia geotermica in energia elettrica, trasformazione che avviene tuttora, per quanto la sua produzione copre una frazione della richiesta energetica nazionale. L'energia geotermica, un tempo sfruttata da sorgenti naturali di acqua calda e vapore (110-150o C), i cosiddetti «lagoni», ora è sfruttata tramite il vapore captato con pozzi perforati fino alle rocce calcaree triassiche sottostanti e ignee del sottosuolo Altre aree geotermali si trovano nei Colli Euganei, in Veneto, vicino Padova, nell'area di Grado in Friuli dove sono stati perforati pozzi per riscaldamento di edifici, a Casaglia nel ferrarese dove nel sottosuolo si sviluppa un sistema di falde chiamato dorsale ferrarese, nei campi Flegrei e nell'isola d'Ischia nell'area napoletana, ad Alcamo e Sciacca nella Sicilia occidentale, nelle isole Eolie e nell'isola di Pantelleria;
   nell'ultimo quinquennio vi poi è stato grande incremento del numero di impianti geotermici a bassa entalpia, ovvero di pompe di calore geotermiche, che sfruttano lo scambio termico con il sottosuolo superficiale per mezzo di una pompa di calore. Il suolo rappresenta per la pompa di calore una «sorgente» (quando essa lavora in riscaldamento) o un «pozzo» (in modalità rinfrescamento) di calore. Rispetto all'aria atmosferica, che è la sorgente adoperata ad esempio dalle pompe di calore aerotermiche, la temperatura del suolo ad una certa profondità subisce variazioni annuali molto più contenute: a profondità di 5-10 metri la temperatura del suolo è pressoché costante tutto l'anno ed è equivalente all'incirca alla temperatura media annuale dell'aria, ovvero circa 10-16o C. Ciò significa che il suolo, rispetto all'aria, è più caldo d'inverno e più fresco d'estate, a vantaggio del rendimento della pompa di calore;
   in Europa è stata la Svezia che ha maggiormente utilizzato le pompe di calore geotermiche con 3,8 GW th installati (con l'utilizzo di 36.000 Tga di energia geotermica), seguita dall'Islanda con 1,8 GW th (24.500 TJ/a) e alla Turchia con 1,4 GW th (24.000 TJ/a). Nel 2012 è stata la Germania ad aver installato 264.800 pompe di calore geotermiche seguita dalla Svezia con 243.058 e dall'Australia con 113.633, che hanno consentito risparmi di ktpe (chilotonnellate di petrolio equivalente) pari a 442, 344 e 114 e rispettivamente. L'Italia, Paese a vocazione geotermica, ne ha installato soltanto 10.300 con un risparmio complessivo di 61 ktpe;
   l'articolo 7, comma 4, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 stabiliva poi che: «con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabilite le prescrizioni per la posa in opera degli impianti di produzione di calore da risorsa geotermica, ovvero sonde geotermiche, destinati al riscaldamento e alla climatizzazione di edifici, e sono individuati i casi in cui si applica la procedura abilitativa semplificata di cui all'articolo 6»;
   il suddetto provvedimento legislativo ad oggi non è stato ancora emanato e favorirebbe l'efficienza ed il risparmio energetico, oltreché lo sviluppo e il riordino normativo degli impianti geotermici a bassa entalpia, ovvero di impianti di climatizzazione degli edifici che sfruttano lo scambio termico con il sottosuolo superficiale per mezzo di una pompa di calore –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del notevole ritardo nell'emanazione del sopracitato decreto e se non intendano attivarsi quanto prima affinché la predetta disciplina venga emanata con i più alti standard tecnologici esistenti per favorire l'efficienza energetica e al tempo stesso la salvaguardia dell'ambiente.
(4-07694)


   CURRÒ. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si apprende che il Ministro dello sviluppo economico abbia provveduto alla nomina di tre commissari per affrontare il delicato caso ILVA, al centro di una complicata vicenda processuale, industriale ed ambientale. I tre commissari individuati dal Ministro – la cui nomina è stata formalizzata dopo il decreto ministeriale di ammissione dell'ILVA ad amministrazione straordinaria – risulterebbero essere Piero Gnudi, Corrado Carruba ed Enrico Laghi;
   la decisione di porre l'ILVA ad una procedura di amministrazione straordinaria è conseguenza – a parere dello scrivente – di una poco attenta gestione del «caso» da parte dei Riva, soci storici del gruppo industriale. Come si apprende dalle audizioni presso la Commissione industria del Senato della Repubblica i Riva, in due anni e mezzo, non hanno mai provveduto a depositare un piano industriale finalizzato alla ripresa economica del gruppo, alla risoluzione delle problematiche ambientali che hanno interessato la medesima azienda negli ultimi anni, ma soprattutto finalizzato a salvaguardare i numerosi posti di lavoro, in considerazione del periodo di crisi economica nel quale viviamo che renderebbe al quanto difficile ogni forma di ricollocazione;
   per il risanamento economico e la risoluzione delle problematiche ambientali del gruppo sembrerebbero necessari circa 500 milioni di euro;
   il gruppo ILVA dispone di circa 20 mila dipendenti, di cui 13 mila solo nella sede di Taranto, ai quali bisogna aggiungere ulteriori 3 mila posti di lavoro se si vuole prendere in considerazione anche l'indotto;
   sia per le delicate problematiche ambientali sia per l'esigenza di tutelare il rilevante numero lavoratori è preferibile che il commissariamento sia gestito nel modo più efficiente possibile;
   non risulta che il Ministro abbia reso pubblici i criteri di selezione dei commissari e in particolar modo, a parere dello scrivente, la nomina del commissario Enrico Laghi – visionando il relativo curriculum – sembra del tutto discutibile. Il richiamato commissario attualmente è il presidente dei collegi sindacali di Acea, Acea Produzione, Prelios (gruppo immobiliare) HuffingtonPost Italia, è sindaco di Pirelli e del gruppo bancario Unicredit. Altresì ricopre diversi incarichi gestionali, è presidente della Belli Stabili, amministratore unico della Radiology 2002, consigliere di Key Service, consigliere del fondo di private equity B4 Investimenti. La figura del commissario Enrico Laghi è stata più volte associata – secondo fonti stampa – a quella di Antonio Mastrapasqua proprio a causa del gran numero di incarichi ricoperti, più di 80 – secondo le stesse fonti stampa – che hanno interessato anche società del gruppo Rai ed il gruppo Alitalia;
   a parere dell'interrogante il gran numero di incarichi ricoperti dal commissario Enrico Laghi potrebbe pregiudicare una corretta e meticolosa gestione del commissariamento del gruppo ILVA, utile non solo a risolvere le problematiche ambientali che interessano il medesimo gruppo e la città di Taranto ma soprattutto utile alla tutela del gran numero di posti di lavoro in considerazione del contesto di crisi economica nel quale verte il nostro Paese che renderebbe difficile il ricollocamento di un numero così folto di lavoratori;
   sarebbe stata preferibile la nomina di un commissario che non rivesta numerose cariche di controllo o gestione, che si dedichi a tempo pieno alla gestione del commissariamento dell'ILVA, ma soprattutto che sia maggiormente esperto di gestione di commissariamenti e liquidazioni e che abbia raggiunto indiscutibili risultati positivi nell'interesse delle aziende oggetto di commissariamento –:
   quali siano i criteri di selezione che hanno preferito e favorito la nomina del commissario Enrico Laghi, quali siano state le motivazioni che hanno escluso la nomina di un commissario maggiormente esperto di gestione di commissariamenti e se reputi opportuno provvedere alla revoca della nomina del commissario Enrico Laghi. (4-07706)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Gadda n. 5-04039, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

  L'interrogazione a risposta scritta Scagliusi e altri n. 4-07528, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Del Grosso, Grande, Manlio Di Stefano, Baroni, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Brescia, De Lorenzis, Villarosa, L'Abbate, D'Ambrosio.

  L'interrogazione a risposta scritta Scagliusi e altri n. 4-07656, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Del Grosso, Grande, Manlio Di Stefano, Baroni, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Lorefie, Brescia, De Lorenzis, Villarosa, L'Abbate, D'Ambrosio.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Ricciatti e altri n. 5-04586, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 gennaio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Manfredi.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-02124, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 94 del 10 ottobre 2013.

   NESCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 15 luglio 2013, il signor Giovanni Foglia, già dipendente Enel, presentò una denuncia alla procura della Repubblica di Cosenza nella quale, con riferimento alla gestione di un contratto triennale per il taglio di piante lungo le linee di media tensione della provincia di Cosenza, contratto n. 8400003490 del 9 luglio 2007, esponeva il pagamento – da parte di Enel – di circa 120 mila euro per lavori mai fatti e inesistenti;
   in data 22 agosto 2013, per e-mail lo stesso ex dipendente Enel segnalò il grave fatto sopra riassunto anche al dottor Francesco Parlato, capo della direzione VII del dipartimento del tesoro, e al comando generale della Guardia di finanza;
   esposti analoghi il signor Foglia indirizzava per conoscenza, nel 2012, alla stazione dei carabinieri di San Giovanni in Fiore (Cosenza);
   in una lettera del 2 gennaio 2015, indirizzata ai responsabili per il codice etico dell'Enel e anche ai carabinieri della locale stazione di San Giovanni in Fiore (Cosenza), lo stesso signor Foglia lamentava che, a fronte delle proprie segnalazioni in ordine al presunto illecito sulle indicate linee di media tensione, il medesimo segnalatore diventava destinatario di azioni legali dell'azienda, mentre i dirigenti interessati non fornivano affatto risposte, ai sensi del codice etico adottato da Enel, in relazione ai gravi fatti già rappresentati alle autorità di competenza –:
   se siano state avviate indagini in relazione a quanto esposto in premessa e quali risposte il Governo intenda dare, per quanto di competenza, alla segnalazione inviata al Dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia e delle finanze.
(4-02124)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Boccadutri n. 4-07590 del 21 gennaio 2015.

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in Commissione Spadoni e altri n. 7-00577 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 369 del 23 gennaio 2015. Alla pagina 20835, prima colonna, dalla riga terza alla riga quindicesima, deve leggersi:
  «La III e la IV Commissione,
   premesso che:
    nel luglio 2014 è stata annunciata la trasmissione da parte del Governo della Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, riferita all'anno 2013 (doc. LXVII, n. 2);
    tale documento è stato trasmesso alle competenti Commissioni permanenti, Affari Esteri, Difesa e Attività produttive;» e non come stampato.