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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 23 marzo 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    la sicurezza stradale costituisce un obiettivo prioritario per l'Europa, che da anni promuove presso gli Stati una forte presa di coscienza per mettere in campo azioni volte a ridurre gli incidenti sulla strada e conseguentemente ad azzerare il numero delle vittime;
    l'Unione europea ha in questi anni ribadito più volte i suoi obiettivi per la sicurezza stradale, sfruttando il progresso tecnico, incoraggiando gli Stati al miglioramento delle infrastrutture stradali e sensibilizzando gli utenti ad un comportamento più corretto;
    nonostante i progressi realizzati, tuttavia, si pone la necessità di ulteriori sforzi volti a garantire una riduzione del numero di incidenti e vittime sulle strade;
    tra le azioni che il nostro Paese deve mettere in campo per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi posti in sede europea assume un'importanza decisiva il miglioramento della rete viaria, dal momento che gran parte degli incidenti che si registrano su tale rete sono causati dalla attiva manutenzione delle strade;
    i dati diffusi da Siteb — Associazione dei costruttori e manutentori delle strade — evidenziano come i consumi di conglomerato bituminoso (più noto come asfalto), per la manutenzione ordinaria e straordinaria della rete stradale italiana, si sono dimezzati rispetto al periodo precedente alla crisi economica in atto, passando dai 44 milioni di tonnellate del 2006 a 22,3 nel 2014. Un dato che ha riportato il nostro Paese ai consumi del 1985, quando la rete stradale del Paese era meno sviluppata e le vetture in circolazione molto meno numerose rispetto ad oggi;
    lo stesso studio dimostra come, per la manutenzione ordinaria della rete stradale del nostro Paese, occorrerebbe che venissero impiegate 40 milioni di tonnellate di asfalto annue, circa 18 in più rispetto quelle utilizzate lo scorso anno;
    tale riduzione si ripercuote direttamente sulla mobilità e la sicurezza dei cittadini e delle merci, poiché strade prive della manutenzione ordinaria, sono strade più lente e pericolose e spesso costituiscono un elemento determinante nella dinamica degli incidenti stradali;
    non investire sulla manutenzione ordinaria e straordinaria delle nostre reti stradali rischia di peggiorare ulteriormente il primato italiano in materia di incidenti stradali: basti pensare che solo nel 2013 si sono registrati 181 mila episodi con ben 3.385 morti e con costi sociali per il nostro Paese stimabili in circa 26.000 milioni di euro. Gran parte di queste occorrenze potrebbero essere evitate se si procedesse ad una manutenzione costante ed efficace delle strade e al mantenimento in essere di una segnaletica più accurata;
    la sentenza 48216/2012 della Corte di Cassazione ha sancito che gli enti di gestione delle strade sono tenuti a evitare insidie e rischi occulti per gli automobilisti e a rispondere dei danni per sinistri dovuti a loro negligenze;
    le arterie nelle quali si registra una minore manutenzione, sono quelle comunali — urbane ed extraurbane — a causa delle sempre più scarse risorse a disposizione dei comuni e quelle provinciali, che risentono anche delle incertezze a livello di competenza dovute dalla ristrutturazione amministrativa delle ex province ancora in atto;
   non procedere alla manutenzione delle strade costituisce un falso risparmio, dal momento che i problemi di messa in sicurezza che non si affrontano oggi saranno ancora più costosi e complicati da risolvere in futuro. In moltissimi casi infatti, il degrado del manto stradale è dovuto al collasso degli strati di base e sottostanti e alla pratica diffusa pur se scorretta di ripristinare il manto stradale ricoprendolo con un nuovo strato di conglomerato bituminoso, con il risultato che, non essendo risanato il fondo, la lesione risale dal basso verso l'alto danneggiando anche lo strato appena posato;
    la messa in sicurezza della rete stradale è la vera «grande opera» che il nostro Paese dovrebbe affrontare. Un'operazione che oltre a rendere un servizio evidente e tangibile ai cittadini, rilancerebbe settori fondamentali per l'economia italiana molto colpiti dalla crisi, senza peraltro consumare ulteriore suolo;
    l'Italia detiene inoltre un primato negativo quanto a riciclo del fresato d'asfalto utilizzato nelle pavimentazioni stradali, collocandosi al terz'ultimo posto in Europa con una media di recupero pari al 20 per cento, seguita solo Repubblica Ceca e Turchia, dal momento che la normativa vigente classifica il fresato d'asfalto come rifiuto non riciclabile, con gravi costi economici e paesaggistici per il nostro Paese,

impegna il Governo:

   ad attribuire carattere prioritario alla ricerca e allo stanziamento di risorse per la manutenzione ordinaria e straordinaria della rete stradale italiana in modo da aumentare la sicurezza nei trasporti e rilanciare un settore fondamentale per l'economia italiana;
   ad assumere iniziative per risolvere l'incertezza relativa alle competenze sulla manutenzione delle strade provinciali che si è creata in seguito alla recente riforma delle province.
(7-00635) «Minnucci, Bargero, Bergonzi, Berlinghieri, Berretta, Boccuzzi, Paola Boldrini, Capozzolo, Carella, Carloni, Carrescia, Chaouki, Coccia, Culotta, D'Arienzo, D'Ottavio, Fabbri, Folino, Ginoble, Giuliani, Gregori, Gribaudo, La Marca, Maestri, Marchetti, Marchi, Mazzoli, Melilli, Misiani, Moscatt, Paris, Porta, Ribaudo, Romanini, Rossomando, Giovanna Sanna, Scuvera, Simoni, Taranto, Taricco, Tidei, Valeria Valente, Ventricelli, Preziosi».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    secondo il rapporto Istat 2013, tra recessione e austerity, i lavoratori autonomi sono la forza che, proporzionalmente, ha pagato il prezzo più alto nel quinquennio di crisi: dal 2008 sono stati persi oltre 400mila posti di lavoro e bruciati quasi 68 miliardi di reddito imponibile;
    anche dal punto di vista della tutela previdenziale e assistenziale i lavoratori autonomi sono i più penalizzati: con l'istituzione della gestione separata cosiddetto «Inps 2» di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, la contribuzione è pagata per 1/3 dai collaboratori coordinati e continuativi e/o a progetto (e 2/3 a carico del committente), mentre per i liberi professionisti titolari di partita Iva l'onere contributivo è a carico interamente degli stessi;
    l'articolo 2, comma 57, della legge 28 giugno 2012, n. 92, ha disposto che, per i soggetti iscritti in via esclusiva alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, l'aliquota contributiva e di computo è elevata al 30 per cento subendo un aumento di 3 punti percentuali (nel 2014 era pari al 27 per cento);
    con circolare n. 27 del 5 febbraio 2015, l'Inps ha, dunque, comunicato l'aliquota contributiva 2015 per i soggetti non assicurati presso altre forme pensionistiche obbligatorie in 30,72 per cento, confermando in 0,72 per cento l'ulteriore aliquota contributiva, istituita dall'articolo 59, comma 16, della legge n. 449 del 1997, per il finanziamento dell'onere relativo alla maternità, agli assegni per il nucleo familiare, alla degenza ospedaliera, alla malattia ed al congedo parentale e indicando, altresì, per il medesimo anno 2015, in euro 15.548,00 il minimale di reddito previsto dall'articolo 1, comma 3, della legge n. 233 del 1990 ed in euro 100.324,00 il massimale di reddito previsto dall'articolo 2, comma 18, della legge n. 335 del 1995;
    tale aliquota è destinata ad aumentare di 1 punto percentuale nel prossimo triennio per raggiungere quota 33,72 per cento nel 2018, ma solo per i collaboratori coordinati e continuativi e/o lavoratori a progetto o occasionali;
    per effetto dell'articolo 10-bis del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 142 – cosiddetto milleproroghe –, infatti, l'aliquota contributiva per i lavoratori autonomi titolari di partitari Iva ed iscritti in via esclusiva alla gestione separata Inps è stata modificata in riduzione, rimanendo per il 2015 nella stessa percentuale già prevista per il 2014! (cioè pari al 27 per cento) e salendo al 28 per cento per l'anno 2016 e al 29 per cento per l'anno 2017;
    tali nuove aliquote sono state già comunicate dall'Inps con circolare n. 58 dell'11 marzo 2015, a modifica e sostituzione di quanto illustrato con la precedente circolare n. 27 del 2015 succitata;
    nonostante l'intervento contenitivo operato dal predetto articolo 10-bis del decreto-legge «Milleproroghe», le aliquote contributive dei lavoratori autonomi e liberi professionisti iscritti all'Inps 2 restano di gran lunga elevate rispetto a quelle previste per la generalità degli autonomi ed è indubbio che il forte aumento subito nel corso degli anni non è stato compensato da alcuna miglioria in termini di tutela previdenziale e/o assistenziale;
    è altrettanto assodato che sinora il legislatore, nel tentativo di riportare in automatico verso il lavoro dipendente il «falso autonomo», ha provveduto ad elevare solo i contributi e i valori soglia, aggravando di fatto chi è realmente autonomo;
    ogni intervento normativo si è rivelato a scapito dei lavoratori autonomi, già fortemente penalizzati dalla vigente legislazione contributiva, previdenziale, assistenziale e fiscale;
    anche l'ultimo intervento normativo – peraltro ancora in itinere – rischia di avere un effetto boomerang sul collaboratore. Trattasi del decreto legislativo di riforma delle tipologie contrattuali, in attuazione di una delle deleghe contenute nella cosiddetta riforma del lavoro jobs act, che prevede la cancellazione tout court a decorrere dal 1o gennaio 2016 dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa e a progetto in favore del contratto a tempo indeterminato cosiddetto «a tutele crescenti»;
   la predetta modifica contrattuale comporta, secondo la vigente normativa, il passaggio dei lavoratori iscritti alla gestione separata «Inps 2» nella gestione dei lavoratori dipendenti «Inps 1»,

impegna il Governo:

   a garantire i contributi versati dai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, a progetto e/o occasionali il cui rapporto di lavoro è trasformato in contratto a tutele crescenti, adottando le opportune iniziative normative atte a consentire la ricongiunzione a titolo non oneroso, anche verso altra cassa o fondo di previdenza, ovvero la totalizzazione di tutti i periodi contributivi versati nella gestione Inps 2, anche se inferiori a tre anni;
   ad adottare le iniziative di competenza per l'equiparazione e l'armonizzazione della tutela assistenziale dei lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata «Inps 2» a quella riconosciuta alle altre categorie di lavoratori autonomi;
   ad assumere iniziative per prevedere, in particolare, in caso di malattia del lavoratore iscritto all'Inps 2, ovvero alla gestione artigiani e commercianti, meccanismi di tutela che contemplino: a) la sospensione degli obblighi contributivi e fiscali e l'esclusione dagli studi di settore nei casi di patologia grave la cui condizione impedisce la continuazione dell'attività, e conseguente rateizzazione delle somme dovute alla ripresa dell'attività; b) l'erogazione dell'indennità di malattia ai lavoratori autonomi titolari di partita Iva anche fuori dai casi di ricovero ospedaliero; c) l'equiparazione dell'indennità di malattia e dell'indennità per degenza ospedaliera nei casi di malattie oncologiche e l'accredito contributivo figurativo di tali periodi;
   ad intraprendere le iniziative di competenza per un intervento strutturale che riconduca le aliquote contributive dei lavoratori iscritti all'Inps 2 a quelle previste per la generalità dei lavoratori autonomi;
   ad assumere le opportune iniziative normative volte ad omogeneizzare la disciplina relativa alla tutela della maternità per le libere professioniste iscritte alla gestione separata a quanto previsto per le altre lavoratrici autonome;
   ad assumere iniziative per risolvere in maniera definitiva, con riguardo alla categoria degli artigiani e commercianti, la problematica relativa alla doppia contribuzione previdenziale obbligatoria (all'Inps e all'Enasarco).
(7-00634) «Prataviera, Fedriga».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo apparso su Il Fatto Quotidiano dell'11 dicembre 2014 e da un altro precedentemente apparso su Il Messaggero dell'Umbria rispettivamente a firma di Emiliano Liuzzi e di Italo Carmignani Fabrizi, in riferimento al Ministro Stefania Giannini per una vicenda legata all'acquisto di un edificio da parte dell'università per stranieri di Perugia di cui l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca era rettore, si apprende che: «Come quello dell'acquisto di un edificio a due milioni e mezzo di euro, che l'università di Perugia decise di prendere dalla provincia e che, ancora oggi, è un santuario nel deserto, una struttura abbandonata. Non serviva a niente allora e tantomeno serve oggi, visto che non è ben chiaro a cosa volessero destinarlo, lei e il cda che guidava, al momento dell'acquisto;
   l'articolo fa riferimento a fatti accaduti quando l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca rivestiva l'incarico di rettore dell'università per stranieri di Perugia: in particolare l'università per stranieri acquistò dalla provincia di Perugia (il cui presidente era Guasticchi) una palazzina (l'ex senologia sita al parco Santa Margherita di Perugia) per oltre due milioni di euro «ma ora giace serena e inutilizzata perché le sue mura sono spesse ottanta centimetri. Quindi l'intervento per ricavarne delle aule è titanico» (così Italo Carmignani sul Messaggero dell'Umbria);
   sulla vicenda dell'acquisto della suddetta palazzina e della sua destinazione da parte dell'università per stranieri, di cui attuale Ministro era rettore, occorre che il Governo fornisca dei chiarimenti –:
   se corrisponda al vero quanto esposto e se non si intendano fornire i chiarimenti e le delucidazioni necessarie in merito ai fatti descritti in premessa;
   se il Ministro possa chiarire in base a quale valutazione l'università per stranieri di Perugia, di cui l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca era rettore, adottò la decisione di acquistare la suddetta palazzina;
   se e quali iniziative intenda intraprendere al riguardo il Governo, nell'ambito delle proprie competenze, a tutela dell'interesse pubblico. (5-05108)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'assemblea legislativa dell'Umbria in data 4 aprile 2014 ha approvato la legge n. 4 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale di previsione 2014 e del bilancio pluriennale 2014-2016» e la legge n. 6 recante norme del «Bilancio di previsione annuale per l'esercizio finanziario 2014 e bilancio pluriennale 2014-2016»;
   è noto che le regioni, secondo la normativa vigente, devono assicurare il pareggio di bilancio anche in coerenza con l'evoluzione della governance economica europea; lo Stato italiano, oltre ad aver ridisegnato la propria disciplina contabile ordinaria – attraverso la legge n. 196 del 2009 – ha provveduto con legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, ad introdurre nella Carta Costituzionale i principi del pareggio di bilancio e della sostenibilità del debito, cui è seguita la legge di attuazione n. 243 del 24 dicembre 2012;
   l'articolo 97 della Costituzione, pertanto, ha previsto che «Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico» così estendendo tale obbligo anche alle regioni;
   infine, l'articolo 119, comma 6, della Costituzione ha stabilito che le regioni e gli altri enti territoriali «possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese per investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio. È esclusa ogni garanzia dello stato sui prestiti dagli stessi contratti»;
   con l'esercizio finanziario 2014 anche la regione dell'Umbria è tenuta al rispetto delle regole che prevedono il «pareggio di bilancio», rispettando il divieto di ricorrere all'indebitamento stipulando mutui per far fronte ad eventuali disavanzo di gestione;
   tuttavia, la regione Umbria, all'articolo 2 della legge n. 4 del 2014 ha previsto che: «Per l'anno 2014 il livello massimo del ricorso al mercato finanziario, determinato dalla mancata contrazione dei mutui e prestiti degli anni precedenti, è fissato fin all'importo di euro 296.673.622,38»; all'articolo 10, comma 1 e 3, della legge n. 6 del 2014 si è stabilito che: «1. Per far fronte al presunto disavanzo finanziario alla chiusura dell'esercizio 2013, determinato dalla mancata stipulazione dei mutui autorizzati con l'articolo 11, comma 1, della legge regionale 9 aprile 2013, n. 9 (Bilancio di previsione annuale per l'esercizio finanziario 2013 e bilancio pluriennale 2013-2015), come modificati dall'articolo 2, della legge regionale 25 settembre 2013, n. 18 (Assestamento del bilancio di previsione per l'esercizio finanziario 2013, ai sensi degli articoli 45 e 82 della legge regionale di contabilità 28 febbraio 2000, n. 13 (Disciplina generale della programmazione, del bilancio, dell'ordinamento contabile e dei controlli interni della Regione dell'Umbria), è rinnovata l'autorizzazione alla Giunta regionale ad assumere, a norma dell'articolo 63 della legge regionale 13 del 2000 uno o più mutui ovvero ad effettuare altre operazioni di indebitamento fino all'importo complessivo di euro 296.673.622,38 per una durata massima di trenta anni a decorrere dal 2014 ed entro il limite di spesa di euro 9.619.000,00 per l'anno 2014 e di euro 20.528.000,00 per gli anni successivi» e che «3. Per gli effetti di cui all'articolo 10, comma 1 della legge 16 maggio 1970, n. 281 (Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario), i mutui e le altre forme di indebitamento di cui al comma 1 sono diretti al finanziamento delle spese indicate nella Tabella H) allegata alla presente legge», la quale prevede la destinazione del suddetto mutuo di euro 296.673.622,38 al ripiano dei bilanci 2006-2007-2008-2009-2010-2011 a copertura di vari interventi e spese e di diverso importo a partire dall'anno 2006;
   dunque, con la suddetta disposizione (articolo 10 legge regionale n. 6 del 2014) verrebbe rinnovata l'autorizzazione alla giunta regionale ad assumere uno o più mutui ovvero ad effettuare altre operazioni di indebitamento fino all'importo complessivo di euro 296.673.622,38 «per far fronte al presunto disavanzo finanziario alla chiusura dell'esercizio 2013, determinato dalla mancata stipulazione dei mutui autorizzati con l'articolo 11, comma 1, della legge regionale 9 aprile 2013, n. 9»;
   l'articolo 119, comma 6, della Costituzione consente il ricorso all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio;
   l'articolo 3, commi 16-21, della legge n. 350 del 2003 – che costituiscono norme di principio di coordinamento della finanza pubblica a cui le regioni devono attenersi – stabilisce i limiti e le modalità entro i quali è possibile il ricorso all'indebitamento da parte dell'ente;
   invece, con la legge regionale n. 6 del 2014 la regione Umbria autorizza il nuovo ricorso al mercato finanziario per coprire la mancata stipulazione di mutui e prestiti autorizzati negli anni precedenti ma non stipulati entro il termine di esercizio con l'effetto di autorizzare la stipula di mutui autorizzati a suo tempo ma già scaduti;
   secondo gli interroganti la disposizione presenterebbe profili di contrasto con i principi sanciti dall'articolo 81 e 119 della Costituzione nonché dalle altre norma in materia legittimanti le condizioni per il ricorso all'indebitamento poiché le autorizzazioni date a suo tempo sono da ritenersi scadute e non prorogabili –:
   alla luce di quanto riportato in premessa, quali siano i motivi per i quali il Governo non abbia ritenuto di sollevare la questione di legittimità costituzionale in relazione alle leggi regionali sopra richiamate. (5-05109)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso per:
   come sta denunciando in maniera egregia da alcuni mesi il segretario generale della Fialp-Cisal, a cui si sono aggiunti le altre sigle sindacali, il Governo, allo scopo di razionalizzare l'attività ispettiva oggi demandata a soggetti diversi (Inps, Inail e Ispettorati provinciali del lavoro) avrebbe previsto l'istituzione dell'Agenzia unica per le ispezioni del lavoro che dovrebbe unificare, appunto, le competenze, le strutture, il personale e le attività dei tre soggetti di cui sopra;
   i funzionari ispettivi dei tre enti unificati andrebbero tutti nella istituenda Agenzia ed il personale amministrativo attualmente a supporto degli ispettori ed in esubero sarebbe ricollocato presso l'Inps, l'Inail e le prefetture;
   in base al progetto governativo, l'Agenzia unica avrà una direzione generale a Roma, ovviamente, e 18 sedi territoriali la cui dislocazione è rimessa a futuri decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri, così come l'individuazione degli immobili offerti allo scopo a titolo gratuito dagli enti pubblici coinvolti come dagli altri presenti nei territori di riferimento;
   sull'Agenzia ricadrebbero solamente, a detta del Governo, i costi concernenti l'adattamento dei locali e le utenze ordinarie;
   a giudizio dell'interrogante e della Fialp-Cisal, non sono poche le incongruenze di tale proposta, condivisibile nel merito ma che presenta numerose anomalie ed inefficienze;
   innanzitutto, se il fine dichiarato è migliorare l'attività ispettiva, non si comprende perché si interferisce con i processi già efficaci ed efficienti affidati all'Inps e all'Inail: efficacia ed efficienza certificata ogni anno dallo stesso Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   da quanto si può facilmente ricavare dal «Rapporto annuale dell'attività di vigilanza in materia di lavoro e di legislazione sociale» presentato lo scorso mese di febbraio dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la lettura «verticale» della tabella appalesa le differenze sostanziali di performance fra gli autori delle ispezioni: l'Inps, con 1.350 ispettori, ha recuperato 1.316.766.000 euro. L'Inail, con 360 ispettori, ha recuperato 91.296.473 euro. Il Ministero del lavoro, con 3.030 ispettori, ha recuperato 100.541.783 euro;
   fatti i dovuti riscontri, non addebitabili certamente ai funzionari ministeriali privi dei mezzi necessari a svolgere il loro compito, l'ambito «governativo» non copre nemmeno i costi dell'attività ispettiva;
   a giudizio dell'interrogante e della Fialp-Cisal, v’è il timore che siffatto progetto, oltre che a mortificare le professionalità di Inps ed Inail, finirà per dare il via allo smantellamento di tutto il comparto degli enti pubblici non economici;
   i risvolti di natura economici della nuova Agenzia unica ispettiva, poi, sarebbero del tutto irrisori con effetti disastrosi sull'intero sistema dei controlli e della vigilanza, fino al rischio concreto di vedere proliferare aziende che, agendo in una zona franca e in assenza di riferimenti normativi in grado di razionalizzare l'intero settore, danneggerebbero in un colpo solo aziende oneste, cittadini e lavoratori;
   anche la pretesa eliminazione della presunta duplicazione delle ispezioni sembra una motivazione inconsistente in quanto, già oggi, ogni ente interviene in coordinamento con gli altri enti ed al solo scopo della lotta all'evasione fiscale e contributiva e al rispetto delle norme per la sicurezza dei luoghi di lavoro;
   a giudizio dell'interrogante e della Fialp-Cisal, un ulteriore miglioramento dell'efficacia dei controlli di cui sopra, inclusa l'eventuale maggiore razionalizzazione degli interventi, dovrebbe scaturire dalla valorizzazione dell'esistente e già funzionante, nonché dal rafforzamento di più razionali forme di coordinamento tra soggetti diversi;
   i due enti previdenziali coinvolti, Inps ed Inail, anche in virtù del loro elevato livello tecnologico, sono i più idonei ad offrire le maggiori garanzie di successo in ordine alla titolarità del coordinamento;
   questa soluzione eviterebbe qualsiasi rischio di rallentamento, se non di interruzione, di un'attività ispettiva già collaudata, mentre non si pregiudicherebbe il graduale trasferimento dalle direzioni territoriali del lavoro verso gli istituti previdenziali di personale, incentivandolo con un valido supporto formativo e con un adeguato trattamento economico accessorio;
   inoltre, dando immediato compimento alle disposizioni del decreto legislativo n. 124 del 2004, si porterebbe all'irrisorio 0,1 per cento la percentuale di possibili duplicazioni degli interventi ispettivi –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-08516)


   SORIAL, D'INCÀ, CASO, BRUGNEROTTO, CARIELLO, CASTELLI e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il comma 611 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, legge di stabilità 2015, stabilisce che «al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon andamento dell'azione amministrativa e la tutela della concorrenza e del mercato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti locali, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le università e gli istituti di istruzione universitaria pubblici e le autorità portuali, a decorrere dal 1o gennaio 2015, avviano un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015, anche tenendo conto dei seguenti criteri:
   a) eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione;
   b) soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;
   c) eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internalizzazione delle funzioni;
   d) aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica;
   e) contenimento dei costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle relative remunerazioni;
   a tal fine, il successivo comma 612 prevede che «i presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, i presidenti delle province, i sindaci e gli altri organi di vertice delle amministrazioni di cui al comma 611, in relazione ai rispettivi ambiti di competenza, definiscono e approvano, entro il 31 marzo 2015, un piano operativo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, le modalità e i tempi di attuazione, nonché l'esposizione in dettaglio dei risparmi da conseguire. Tale piano, corredato di un'apposita relazione tecnica, è trasmesso alla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti e pubblicato nel sito internet istituzionale dell'amministrazione interessata»;
   il piano operativo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie di cui in premessa, non sembrerebbe dare nessun risultato concreto, pur rimanendo di estrema urgenza il ridimensionamento delle società prevista la sempre più critica situazione economica del nostro Paese; più in generale, l'intero processo di revisione della spesa pubblica non appare, allo stato, soddisfacente e comunque tale da portare rapidamente a risultati concreti –:
   come si intenda proseguire nel processo di spending review e di razionalizzazione e semplificazione della pubblica amministrazione. (4-08518)


   DAGA, BUSTO, TERZONI, MANNINO, VIGNAROLI, ZOLEZZI, DE ROSA e MICILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 22 marzo 2015 ricorre la giornata mondiale dell'acqua istituita dall'Onu nel 1992;
   sul sito ufficiale delle nazioni unite e in particolare dell'agenzia onu che si occupa del tema delle risorse idriche campeggia lo slogan water is health, l'acqua è salute;
   il diritto all'accesso all'acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici rappresentano un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani. Il diritto umano all'acqua è fondamentale e irrinunciabile;
   l'acqua è un bene essenziale ed insostituibile per la vita e, pertanto, la disponibilità e l'accesso all'acqua potabile e all'acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto inviolabile dell'uomo, un diritto universale, indivisibile, che si può annoverare fra quelli di cui all'articolo 2 della Costituzione;
   il Parlamento europeo, con la risoluzione del 15 marzo 2006 sul IV Forum mondiale dell'acqua, ha dichiarato che «l'acqua è un bene comune dell'umanità» e ha chiesto che siano esplicati tutti gli sforzi necessari a garantire l'accesso all'acqua alle popolazioni più povere entro il 2015, insistendo affinché «La gestione delle risorse idriche si basi su un'impostazione partecipativa e integrata, che coinvolga gli utenti ed i responsabili decisionali nella definizione delle politiche in materia di acqua a livello locale e in modo democratico»;
   l'ONU, con la risoluzione dell'Assemblea generale del 28 luglio 2010 (GA/10967), ha dichiarato il diritto all'acqua un diritto umano universale e fondamentale; la risoluzione sottolinea ripetutamente che l'acqua potabile e per uso igienico, oltre ad essere un diritto di ogni uomo, concerne la dignità della persona, è essenziale al pieno godimento della vita, ed è fondamentale per tutti gli altri diritti umani; la medesima risoluzione raccomanda gli Stati ad attuare iniziative per garantire a tutti un'acqua potabile di qualità, accessibile, a prezzi economici; l'importante atto è stato approvato dall'Assemblea generale con 122 voti favorevoli – compresa l'Italia – 41 astensioni e nessun contrario;
   al di là delle dichiarazioni di facciata è uno dei molti diritti sotto attacco, poiché un diritto può essere tale solo se non viene messo sul mercato, perché le conseguenze di una gestione volta al profitto sono qualità del servizio sempre più al ribasso, tariffe in aumento e pratiche odiose come quelle dei distacchi idrici sempre più diffuse e aggressive;
   è notizia di questi giorni infatti quanto emerso dal Rapporto della Public services International;
   sono alcuni anni che i gestori del servizio idrico integrato hanno intrapreso la esecrabile pratica dei distacchi delle utenze come segnalato in molti articoli apparsi sulla stampa;
   l'inchiesta sulle condizione igieniche e sanitarie dei comuni del Regno voluta dal Parlamento italiano e pubblicata nel 1886 mise in rilievo che degli 8258 comuni che componevano allora il nostro Paese ben 6404 (pari al 77 per cento del totale) non disponevano di fognature, dei restanti 1854 comuni solo 97 (pari all'1 per cento) erano forniti di un sistema che serviva tutto l'abitato, mentre altri 444 erano dotati di una canalizzazione parziale e i restanti 1313 possedevano solo fognature destinate alle acque bianche. D'altra parte per tutto l'800 la stessa acqua potabile rimase anche in molte grandi città un miraggio. Sino alla prima metà del 1900 gran parte della popolazione italiana beveva perciò acqua di pozzo o di cisterna che sovente risultava inquinata. Le patologie che derivavano dall'utilizzo di queste acque infette assumevano perciò spesso carattere endemico colpendo principalmente le classi infantili;
   il servizio igiene e sanità pubblica, in acronimo SISP, è la struttura organizzativa del dipartimento di prevenzione struttura tecnico funzionale, definita dal decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni, preposta alla promozione della tutela della salute individuale e collettiva, dell'ASL, struttura operativa territoriale del servizi sanitari nazionali, che si occupa della tutela della salute dei cittadini, della salubrità degli ambienti di vita e della promozione di corretti stili di viti;
   il servizio di igiene e sanità pubblica svolge attività di prevenzione garantendo ai cittadini specifiche prestazioni sanitarie previste nei livelli uniformi di assistenza stabiliti dai piani sanitari regionali;
   la programmazione sanitaria stabilita dal Piano sanitario nazionale e dal Ministero della salute, i pronunciamenti e le indicazioni impartite dall'Istituto superiore di sanità; ed i principi di programmazione ed organizzazione regionale sono di fondamentale importanza nello svolgimento delle funzioni del servizio di igiene e sanità pubblica –:
   se il Governo non ritenga urgente a promuovere l'approvazione di una normativa tesa:
    a) a considerare l'acqua un diritto inviolabile alla stregua di quanto stabilito dall'articolo 2 della Costituzione, riconoscendole la peculiarità di «bene comune» e di diritto umano universale non assoggettabile a meccanismi di mercato;
    b) ad affermare la proprietà e la gestione pubblica del servizio idrico, il cui esercizio dovrà essere ispirato a criteri di equità, solidarietà e rispetto degli equilibri ecologici;
    c) a promuovere tutti gli interventi necessari per l'immediata e duratura soluzione della grave contaminazione delle acque potabili di molti comuni italiani, in particolare a causa della concentrazione di arsenico, floruri e vanadio;
    d) ad assicurare che venga garantito il quantitativo minimo vitale ovvero 50 litri al giorno per persona;
    e) a fornire linee guida ministeriali affinché i gestori del servizio idrico integrato, dovendo tenere in considerazione le basilari norme di tutela dell'igiene e della salute pubblica, non procedano col distacco nei casi in cui siano presenti negli immobili anziani, bambini, disabili, persone con certificate condizioni di salute precarie. (4-08519)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con decreto legislativo 13 marzo 2013 n. 30, l'Italia ha emanato la norma di attuazione della direttiva 2009/29/CE, che modifica la direttiva 2003/87/CE, al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra;
   ai sensi dell'articolo 19 del citato decreto legislativo la messa all'asta della quantità di quote determinata con decisione della Commissione europea, ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/87/CE, è disciplinata dal regolamento sulle aste. A tale fine il gestore del servizio elettrico svolge il ruolo di responsabile per il collocamento di cui al regolamento aste e pone in essere a questo scopo tutte le attività necessarie, propedeutiche, connesse e conseguenti, ivi incluse quelle finalizzate a consentire alla piattaforma d'asta di trattenere le risorse necessarie per il pagamento del sorvegliante d'asta, in conformità al citato regolamento e agli eventuali indirizzi e norme dei Ministeri competenti;
   i proventi delle aste sono versati al gestore del servizio elettrico in un apposito conto corrente dedicato «Trans-European Automated Real-time GrossSettlement Express Transfer System» («TARGET2»). Il gestore del servizio elettrico trasferisce i proventi delle aste ed i relativi interessi maturati su un apposito conto acceso presso la tesoreria dello Stato, intestato al dipartimento del tesoro, dandone contestuale comunicazione ai ministeri interessati e gli stessi sono successivamente versati all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati ad appositi capitoli per spese di investimento, con vincolo di destinazione in quanto derivante da obblighi comunitari;
   alla ripartizione delle risorse si provvede con decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM), di concerto con i Ministri dello sviluppo economico (MSE) e dell'economia e delle finanze (MEF) da emanarsi entro il 31 maggio dell'anno successivo a quello di effettuazione delle aste, nella misura del 70 per cento a favore del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del 30 per cento a favore del Ministero dell'economia e delle finanze;
   il 50 per cento dei proventi delle aste è destinato alle attività per ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra, sviluppare le energie rinnovabili, rafforzare la tutela degli ecosistemi terrestri e marini ed altre attività in campo ambientale;
   il 9 maggio 2014, ai sensi del comma 4 del su citato articolo 19 è stata firmata la Convenzione tra il Ministero dell'economia e delle finanze e Gestore del servizio elettrico che disciplina le modalità nelle quali il Gestore del servizio elettrico adempie al proprio ruolo di responsabile del collocamento delle quote italiane, nel rispetto di quanto già previsto dalla regolazione europea di settore e in particolare dal regolamento aste;
   secondo quanto reso noto dal Gestore del servizio elettrico tramite il rapporto annuale sulle aste di quote europee di emissione 2014 al 31 dicembre 2014, in coerenza con quanto previsto dalla Convenzione, sono stati trasferiti alla Tesoreria dello Stato proventi per oltre 464 milioni di euro relativi alle aste e agli interessi maturati nel corso degli anni 2012 e 2013;
   i ricavi complessivamente generati dalle aste nell'anno 2014, circa 365 milioni di euro resteranno sotto la temporanea custodia del Gestore del servizio elettrico fino al loro trasferimento alla tesoreria dello Stato che, in conformità con le indicazioni della Convenzione del Ministero dell'economia e delle finanze — Gestore del servizio elettrico del 9 maggio 2014, avverrà entro e non oltre il 20 maggio 2015 al netto dei costi di gestione –:
   quale sia l'attuale utilizzo dei proventi, per oltre 464 milioni di euro, relativi alle aste e agli interessi maturati nel corso degli anni 2012 e 2013 già trasferiti alla tesoreria dello Stato;
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia provveduto, ai sensi del comma 3 dell'articolo 19 del decreto legislativo 30 del 2013, ad emanare gli appositi decreti per la ripartizione delle risorse;
   quali enti e/o istituti siano coinvolti per la realizzazione delle attività e in particolare quanto sia destinato all'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) date le competenze e le responsabilità ad essa assegnate nello stesso citato decreto legislativo 30 del 2013 dagli articoli 42 comma 2 e 4 e dall'articolo 28 comma 1 e per quanto disposto al punto a) del comma 6 del su citato articolo 19; «(...) favorire l'adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici e finanziare attività di ricerca e di sviluppo e progetti dimostrativi volti all'abbattimento delle emissioni e all'adattamento ai cambiamenti climatici (...)» e al punto 4 dell'articolo 6 del medesimo decreto legislativo n. 30 del 2013 dove si individua la destinazione per le «iniziative contro i cambiamenti climatici nella Unione europea e nei Paesi terzi, e «(...) per finanziare la ricerca e lo sviluppo ai fini della mitigazione e dell'adattamento (...)» ambiti di eccellenza per ISPRA;
   se non si intenda prevedere, qualora l'Ispra non risulti beneficiario di quota parte delle suddette risorse, che quota delle risorse ripartite con decreto interministeriale venga assegnata anche all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale per lo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, in quanto funzionali agli obiettivi di cui al suddetto decreto legislativo 30 del 2013. (5-05112)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI LELLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il programma per l'accelerazione della spesa dei fondi europei ha consentito di finanziare un progetto di centro polifunzionale «Casa del Pellegrino» presentato dal comune di Eboli, da realizzarsi nell'area adiacente al santuario dei Santi Cosma e Damiano del valore di circa 6 milioni di euro assegnati dalla Regione Campania;
   l'area prescelta per la costruzione di tale centro polifunzionale è di proprietà del comune ed è già destinata a funzioni di servizio per il centro storico di Eboli ma le cui attrezzare sono interamente da riqualificare data l'assenza di manutenzione. Tale area è situata inoltre nelle vicinanze del Castello Colonna e del complesso monumentale di San Pietro alli Marmi;
   Castello Colonna fu edificato sopra un preesistente fortilizio longobardo e ricostruito nella seconda metà dell'XI secolo, probabilmente all'epoca del dominio feudale del primo signore di Eboli, Guglielmo d'Altavilla, fratello di Roberto il Guiscardo, Principe di Salerno. Il castello ospita da qualche anno un istituto di custodia attenuata di proprietà del Ministero della giustizia, i cui poteri gestori sono in capo al dipartimento amministrazione penitenziaria;
   appresa la notizia del finanziamento alcuni cittadini hanno costituito un comitato allo scopo di denunciare ritrovamenti archeologici proprio nella zona dei lavori e il pericolo di crolli per il Castello Colonna, privo da anni della dovuta manutenzione, data la sua vicinanza con il cantiere;
   in data 8 marzo 2015, dopo giorni di pioggia battente, parte della cinta muraria e del torrino del Castello Colonna cedono, crollando su un lampione e su alcune auto parcheggiate. Secondo alcuni esperti tecnici tra le cause del crollo, oltre alla pioggia e al taglio di alcuni alberi nella zona circostante, ci sarebbero le sollecitazioni meccaniche provocate dall'uso di martelli pneumatici e vibrazioni per i vicini lavori al centro polifunzionale –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere al fine sia della messa in sicurezza della cinta muraria del Castello Colonna per evitare ulteriori crolli in caso di maltempo o sollecitazioni meccaniche, sia alla ricostruzione del Castello Colonna nelle sue parti crollate e, infine, alla manutenzione ordinaria di tutta la struttura;
   se il Governo intenda valutare se sussistano i presupposti per assumere iniziative finalizzate a una sospensione dei lavori del vicino centro polifunzionale fintanto che non sarà garantita la messa in sicurezza dell'intera zona e per accertare, per quanto di competenza, se siano state adottate tutte le cautele previste dalla legge. (4-08515)


   BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 27 maggio 2008 il Sultano dell'Oman donava 3 milioni di euro al «conservatorio» Piccinni di Bari per offrire borse di studio agli allievi meritevoli;
   nel maggio 2010 nasceva la Fondazione «Giovanni Paolo II» con la finalità di gestire tale fondo in favore degli studenti del conservatorio di Bari e di portare avanti ben cinque progetti, secondo un piano di lavoro che era stato presentato anche al Ministero: una borsa di studio destinata a un giovane ricercatore italiano di etnomusicologia; 60 borse di studio per la formazione di professori d'orchestra; 5 borse di studio per la realizzazione di un'indagine socio-musicale sui bambini dagli 8 ai 13 anni per creare poi il primo coro di voci bianche; 5 dottorati di ricerca in collaborazione con l'Università di Napoli; infine iniziative per la celebrazione del trentennale di Nino Rota. Tale Fondazione nasceva all'insaputa del consiglio accademico del conservatorio Piccinni, del collegio dei docenti e dei rappresentanti degli allievi;
   nel verbale del consiglio accademico del 14 dicembre 2010 si legge: «In relazione al XIII punto all'ordine del giorno, il Direttore, Mo Francesco Monopoli, informa il consiglio accademico di aver preso atto, dopo la sua nomina a direttore, della nascita di una fondazione, sorta nel conservatorio Piccinni di Bari, su iniziativa del consiglio di amministrazione, che ha inteso creare un organismo di gestione del Fondo donato al conservatorio dal Sultano dell'Oman. Il direttore informa i membri del consiglio accademico relativamente alla composizione del consiglio di amministrazione della Fondazione intitolata «Giovanni Paolo II»: presidente è stato nominato il professor Aldo Loiodice. Del consiglio di amministrazione fanno parte anche l'avvocato Raffaele Guido Rodio e il Direttore Generale del Comparto AFAM dottor Giorgio Bruno Civello. Inoltre, fanno parte di diritto della medesima Fondazione, il Presidente pro-tempore del conservatorio, dottor Stefano Carulli, il Direttore pro-tempore del conservatorio di Bari, Mo Francesco Monopoli, insieme con un Rappresentante dei Docenti, nella persona della Professoressa Giovanna Valente e un Rappresentante degli Studenti del conservatorio, nella persona della studentessa Angela Trentadue. Presidente Onorario della Fondazione è stato nominato il prefetto di Bari, dottor Carlo Maria Schilardi. Tale organismo è sorto per finanziare iniziative a favore degli studenti del conservatorio. Il Direttore, Mo Francesco Monopoli comunica altresì che la sua adesione a tale Organismo è comunque subordinata al fatto che gli indirizzi programmatici di azione della stessa siano indicati al CdA della Fondazione dal Consiglio Accademico del Conservatorio»;
   a quanto consta all'interrogante non è stata mai presentata alcuna relazione sull'attività svolta dalla Fondazione negli oltre quattro anni trascorsi dalla nascita ad oggi;
   in data 29 settembre 2012 il consiglio accademico del conservatorio di Bari, dopo aver ampiamente discusso, era giunto alle seguenti determinazioni: preso atto delle mancate risposte della fondazione alle diverse richieste e proposte inoltrate dal direttore, dal consiglio accademico e dagli studenti dell'istituzione, valutata la perdurante inattività della suddetta fondazione, ritenendo inutile il persistere di tale organismo, chiede lo scioglimento immediato della fondazione e la restituzione dei fondi al conservatorio per utilizzarli immediatamente ed esclusivamente per iniziative destinate agli studenti, nonché la rendicontazione dettagliata, gli atti relativi all'utilizzo del fondo e i relativi interessi maturati dalla donazione ad oggi;
   ad oggi, di quei fondi, risulta siano stati spesi meno di 200.000 euro con bandi saltuari, privi di una progettualità e di qualsiasi collegamento con i progetti strutturati per il Ministero; l'ultimo bando risale all'11 marzo 2013;
   se già negli anni precedenti si era fatto pochissimo per distribuire agli alunni tale donazione con iniziative degne di nota bisogna sottolineare che da marzo 2013 ad oggi, quindi da quasi due anni, la fondazione Giovanni Paolo II per il tramite del conservatorio non elargisce alcuna somma di denaro agli allievi del conservatorio Piccinni;
   il già direttore generale dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica (Afam) presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca fino ad ottobre 2014, dottor Giorgio Bruno Civello, che doveva esercitare il potere disciplinare nei confronti dei docenti di conservatorio, ai sensi dell'articolo 55-bis, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo n. 165 del 2001, introdotto dal decreto legislativo n. 150 del 2009, risultava almeno fino al 2013 essere componente del consiglio di amministrazione della fondazione Giovanni Paolo II; e questo, a parere dell'interrogante, configura una situazione di conflitto di interessi in potenziale contrasto con i principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione;
   il 19 dicembre 2013 alcuni membri del consiglio accademico chiedevano lo scioglimento della fondazione mentre altri obiettavano che solo il consiglio di amministrazione della stessa fondazione poteva deciderne lo scioglimento. Le parole del direttore riportate nel verbale sono: «il direttore suggerisce di ribadire in un documento unitario principalmente le prerogative già esistenti negli organi istituzionali del conservatorio, non rilevando la necessità di duplicazione in analoga struttura come risulta essere la fondazione». Per la seconda volta quindi il consiglio di amministrazione del Piccini chiede lo scioglimento della fondazione;
   da gennaio 2014 non e più possibile visualizzare online i verbali del consiglio di amministrazione del conservatorio Piccinni se non con apposite credenziali distribuite ai docenti;
   il nuovo direttore del Piccinni, il Mo Schiavo a gennaio 2014 si impegnava pubblicamente a fare chiarezza sulla gestione della fondazione Giovanni Paolo II;
   non è ad oggi più visibile nel nuovo sito internet del conservatorio Piccinni la finestra dedicata alla fondazione Giovanni Paolo II; tale fondazione risulta quindi irreperibile online con la conseguente impossibilità di conoscerne le deliberazioni dell'ultimo anno;
   per assolvere ai suoi scopi, il conservatorio (socio fondatore) pare avesse attribuito alla fondazione un contributo iniziale al fondo di gestione di 175.000 euro fino al 31 dicembre 2010; poi si impegnava ad elargire 350.000 euro all'anno fino al raggiungimento dei 2.450.000 euro per un totale di 7 anni. La cosa certa è che i 350.000 euro annui da utilizzare per gli alunni del Piccinni non sembrerebbero mai stati resi disponibili se non in modesta misura;
   l'articolo 25 del codice civile «Controllo sull'amministrazione delle fondazioni» recita così: «L'autorità governativa esercita il controllo e la vigilanza sull'amministrazione delle fondazioni; provvede alla nomina e alla sostituzione degli amministratori o dei rappresentanti, quando le disposizioni contenute nell'atto di fondazione non possono attuarsi; annulla, sentiti gli amministratori, con provvedimento definitivo, le deliberazioni contrarie a norme imperative, all'atto di fondazione, all'ordine pubblico o al buon costume; può sciogliere l'amministrazione e nominare un commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto o dello scopo della fondazione o della legge –:
   quali iniziative si intendano adottare per consentire l'utilizzazione immediata degli importi donati nel 2008 al «Conservatorio» Piccinni di Bari per gli scopi noti di supporto economico agli studenti del conservatorio;
   quali sono le precise responsabilità del consiglio di amministrazione della fondazione Giovanni Paolo II e quali quelle del consiglio di amministrazione del conservatorio Piccinni per la mancata distribuzione di 3 milioni di euro donati per uno specifico scopo e sottratti, invece, in maniera non trasparente ad una istituzione di alta formazione pubblica;
   quali siano le responsabilità dell’ex direttore AFAM Civello, facente parte del consiglio di amministrazione della fondazione e fino a pochi mesi fa in netto conflitto di interessi;
   premesso che lo statuto della fondazione Giovanni Paolo II all'articolo 1 dice che «La Fondazione risponde ai principi ed allo schema giuridico della Fondazione di Partecipazione, nell'ambito del più vasto genere di Fondazioni disciplinato dagli articoli 14 e seguenti del Codice Civile», quali azioni il Governo intenda intraprendere secondo l'articolo 25 del codice civile «Controllo sull'amministrazione delle fondazioni». (4-08521)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il tema dei titoli derivati stipulati dal Tesoro italiano per ridurre l'incertezza sul servizio del debito pubblico è un argomento caratterizzato da straordinaria opacità e mancanza di informazioni; si tratta, infatti, di un tema carsico di cui si discute da tempo (sono numerose le interrogazioni ed interpellanze parlamentari e le indagini conoscitive che si sono susseguite negli anni), ma sul quale la verità è ancora lontana dall'essere svelata;
   ciò di cui oggi si è, a fatica, al corrente è soltanto che il totale di titoli derivati sottoscritti dallo Stato italiano ammonta a circa 160 miliardi di euro (di cui il 72 per cento sono «interest rate swap»; il 12 per cento sono «swaption»; 14 per cento sono «cross currency swap»; il 2 per cento altri titoli derivati legati ad operazioni specifiche), pari a un decimo del prodotto interno lordo del nostro Paese; che le controparti sono le stesse banche che acquistano sul mercato primario i titoli di Stato italiani; che nel 2012 il Governo Monti ha «chiuso» un contratto in essere con Morgan Stanley realizzando perdite per 2,6 miliardi di euro e che, sull'intero ammontare, si rischiano perdite superiori a 40 miliardi di euro;
   troppa opacità sull'argomento, quale quella che emerge non solo dalle due audizioni presso la commissione finanze della Camera (10 e 26 febbraio 2015) della responsabile della gestione del debito pubblico italiano, dottoressa Maria Cannata, ma anche dal processo sulle agenzie di rating in corso a Trani, con particolare – riferimento al «caso Morgan Stanley», risulta del tutto ingiustificata e ingiustificabile. Così come ingiustificati e ingiustificabili sono i ripetuti appelli del Tesoro alla «riservatezza» delle informazioni per evitare la reazione dei mercati;
   un articolo pubblicato su Il Corriere della Sera del 23 dicembre 2014 da Milena Gabanelli, si chiedeva l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta, con gli stessi poteri dell'autorità giudiziaria, per chiarire la posizione finanziaria dell'Italia in relazione a questi pericolosi, e costosi, titoli in portafoglio. Quella stessa commissione d'inchiesta che Forza Italia chiede da tempo per chiarire le vicende, le cause e le responsabilità, anche internazionali, che nell'estate-autunno del 2011 portarono alla speculazione finanziaria sul debito sovrano del nostro Paese e alle successive dimissioni del Governo Berlusconi, l'ultimo legittimamente eletto dai cittadini;
   il tema dei derivati, infatti, è strettamente collegato a quanto avvenuto in quei mesi del 2011; il downgrade anomalo del debito pubblico dell'Italia da parte delle agenzie di rating innescò la corsa al rialzo dello spread tra i rendimenti dei titoli decennali del debito pubblico italiano e i corrispondenti titoli del debito pubblico tedesco. E la corsa a rialzo dello spread aumentò il potere contrattuale delle banche con cui lo Stato aveva in essere contratti derivati, ai fini della loro rinegoziazione, o, come è avvenuto nel 2012, proprio con il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Monti, per «chiuderli», alla cifra di 2,6 miliardi di euro;
   downgrade e spread sono stati, infatti, utilizzati, da un lato, a livello politico, per portare alle dimissioni del Governo Berlusconi e, dall'altro, a livello finanziario, dai mercati, per speculare sui titoli del debito pubblico italiano e dalle banche, per aumentare il proprio guadagno nel rinegoziare i titoli derivati stipulati con lo Stato italiano;
   i soggetti che sono dietro tutte e tre queste operazioni sono gli stessi o sono fortissimamente collegati tra loro: nel panorama di quell'autunno del 2011 gli investitori-speculatori, che con le loro azioni concordate e concertate potevano far scendere a loro piacimento i prezzi dei titoli del debito sovrano dei Paesi e aumentare i rendimenti, erano anche gli stessi soggetti (banche, fondi di investimento e altro) che controllavano le agenzie di rating, che giudicavano la credibilità e il merito di credito degli emittenti dei titoli che loro stessi scambiavano sui mercati;
   e sono sempre gli stessi soggetti investitori (banche, fondi e altro) che sono passati all'incasso quando gli Stati, gli enti pubblici o le imprese con cui avevano sottoscritto contratti derivati, stremati dall'aumento degli spread, e quindi dei rendimenti dei titoli con il collasso dei relativi valori e il downgrade del loro rating, rischiavano di non essere solvibili;
   sono circa 20 grandi banche o fondi di investimento che giocano sui mercati finanziari internazionali, orientandone l'andamento a loro piacimento e speculando, al solo fine di ottenere ingenti guadagni. Il tutto sulla pelle degli ignari cittadini, su cui queste operazioni si ripercuotono come anello finale della catena;
   nel corso dell'audizione in Commissione finanze, la dottoressa Cannata ha altresì affermato che oggi non esistono più all'interno dei contratti derivati clausole unilaterali, ma «ciò non vuol dire che, su singole posizioni, non ci sia qualche clausola di chiusura anticipata, ma si tratta sempre di clausole mutual ovvero esercitabili da entrambe le parti». Dal 2011 ad oggi, il numero di operazioni con clausole di questo tipo sarebbe stato ridotto (da 35 a 13) e solo in due casi è avvenuto l'esercizio da parte della controparte, nel giugno e nel dicembre 2014; la dottoressa Cannata non ha però specificato chi ha chiuso i due derivati e quanto è costato; né si conoscono i contenuti dei contratti di derivati dello Stato italiano ancora in essere; chi siano le controparti e per quali importi; quando siano stati stipulati e da chi; con quali clausole. Inoltre, non si ha evidenza pubblica della relazione semestrale che il Ministero dell'economia e delle finanze dovrebbe inviare alla Corte dei conti sulla gestione del debito, prevista dal decreto del Ministero del tesoro del 10 novembre 1995, che fornisca un resoconto dettagliato dell'operatività in derivati, esplicativo delle strategie e degli obiettivi perseguiti, nonché di come vi si siano inquadrate le singole operazioni realizzate;
   nell'attesa che il Governo garantisca sul tema la piena attuazione del principio di total disclosure, pubblicando in versione integrale tutti i contratti derivati in essere dello Stato italiano, al fine di rendere note a tutti tutte le informazioni in merito agli stessi, sono molte le domande che si intendono rivolgere al Ministro interpellato) –:
   posto che l'ISDA sottoscritto dalla Repubblica deroga alla legge regolatrice inglese a favore di quella Italiana, quali siano i motivi per cui invece non solo alcuni grandi comuni e province ma anche grandi regioni italiane che hanno adottato questo standard non lo hanno fatto, e se il Ministero dell'economia e delle finanze avrebbe potuto suggerire questa importante deroga, visti i problemi che sono evidentemente emersi (e del tutto prevedibili);
   a quanto ammontassero i maggiori oneri connessi all'operatività con i veicoli che poi sono stati abbandonati post Lehman e se il Ministero possa fornire un dato in «basis point» medi ad operazione;
   se intenda confermare che, trattandosi sempre di operazioni di copertura del rischio di tasso/cambio, ogni nuova operazione era (ed è) riferita sempre ad un preciso sottostante definito a priori (caso classico: emissione di un titolo), se possano essere state fatte operazioni senza definire il sottostante o attribuendolo solo successivamente, e se sia possibile che qualche operazione sfruttando la variabilità dei tassi sia stata effettuata allo scopo di ottenere benefici di cassa nel breve periodo;
   in merito alle swaption vendute, se conferma la ragione sottostante a tali operazioni ovvero, in sostanza, il sensibile peggioramento dell'esposizione creditizia delle banche verso la Repubblica;
   se le banche abbiano «suggerito» o «invitato» il Tesoro affinché riducesse le proprie esposizioni utilizzando proprio le «swaption», e se siano state valutate soluzioni alternative;
   come le swaption modificassero il profilo di rischio rispetto al mantenere i vecchi IRS, se il Ministero abbia documenti di analisi a supporto delle decisioni prese e delle possibili alternative, e se, nel caso, intenda fornirli;
   se la scelta di attribuire la copertura alla componente variabile dei CCT eur sia stata piuttosto una scelta «ex post» per cercare in qualche modo di giustificare la correlazione di copertura a questo punto evidentemente saltata (posto che non c'era alcuna modifica del sottostante);
   quanto siano costate queste ristrutturazioni e quale sia il procedimento autorizzativo;
   quale sia l'attuale rischio che queste swaption vengano effettivamente esercitate dalle controparti;
   quali siano le risorse accantonate a fondo rischi per farvi fronte;
   se esista un database di monitoraggio quantitativo delle clausole di «early termination», e se il Ministero dell'economia e delle finanze sia in possesso di una contabilizzazione dei rischi prospettici legati a queste clausole;
   qualora questi rischi siano correttamente monitorati, quando ed in che termini vengono quantificati e trasmessi alla ragioneria dello Stato per la loro contabilizzazione;
   se vengano istituiti o siano stati istituiti opportuni fondi rischi a fronte dei potenziali obblighi/rischi connessi alle clausole ma anche ai contratti in genere;
   se sia ipotizzabile che invece tali rischi o parte di essi non trovino alcuna «disclosure» al di fuori degli uffici del tesoro e quindi non siano neppure contabilizzati nel bilancio dello Stato (nota integrativa e budget economico);
   a quanto ammontasse il corrispondente Fondo rischi per Morgan Stanley, posto che il «termination event» era già attivabile da parte della banca da anni e per valori di decine di volte superiori alla soglia, e, quindi, se ci sia stato uno sbilancio rispetto a quanto accantonato;
   qualora non ci fosse alcun fondo rischi (magari perché non previsto dalla legge), se esista un sistema di monitoraggio quantitativo ed una informativa non solo qualitativa, ma anche quantitativa per il Bilancio dello Stato ed alla Corte dei Conti;
   quale sia il rischio statistico di perdita massima attesa su queste clausole, se sia stato calcolato, e a quanto ammonterebbe oggi qualora fosse calcolato al 95 percentile (come fanno anche medie aziende);
   posto che è stata in più occasioni sostenuta la necessità di collateralizzazione delle operazioni (articolo 33 legge di stabilità 2015) per «indubbi benefici» e per avvicinarsi alle prassi internazionali, se è stato valutato l'impatto di questa norma in relazione alle operazioni passate, se sia stimato l'ammontare del rischio di credito che andrebbe restituito dalle banche al Tesoro in quanto già pagato a suo tempo come elemento di costo delle operazioni, per evitare una sostanziale doppia garanzia, e se non ritenga che tale norma tuteli piuttosto le controparti e i loro diritti di credito;
   poiché l'attuale mark to market (MTM) con le banche e pesantemente negativo per circa 37 miliardi, se non ritenga che questi collaterali fungano piuttosto da anticipo della liquidazione delle perdite ed una garanzia per le banche di poter eventualmente esercitare le swaption favorevoli;
   quale sia la composizione del team addetto specificatamente alle attività di «pricing» e quindi di calcolo dei rischi, quali siano le qualifiche di ciascuno di questi soggetti, chi sia il responsabile delle analisi quantitative e il suo curriculum;
   dato che sono necessarie solidissime basi di finanza matematica e quantitativa, quale sia il curriculum di queste persone e dove si siano in particolare specializzate, se si tratti di esperti con caratura internazionale almeno pari a quelli abitualmente presenti nelle sale operative delle grandi banche internazionali controparti, quali siano i nomi, quanti abbiano avuto una esperienza di rilievo come responsabili di «desk» operativi delle banche, quali siano i criteri di selezione ed impiego di questi maxi esperti, quali e quanti concorsi siano stati fatti finora, quali siano le competenze in ambito di stima quantitativa e probabilistica dei rischi finanziari, se queste persone abbiano un riconoscimento internazionale e quali pubblicazioni o a quali convegni abitualmente intervengano;
   come venga misurato e stimato il rischio finanziario prima di procedere a nuove sottoscrizioni ed a maggior ragione in sede di rinegoziazione di contratti pregressi;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze abbia mai chiesto il supporto consulenziale di soggetti terzi per la valutazione dei rischi finanziari connessi a queste operazioni, e, se sì, quali siano i criteri di selezione ed impiego di questi esperti, quali siano i nominativi e curriculum;
   se le banche abbiano fatto attività di consulenza al Tesoro e con quali modalità;
   quali siano le dotazioni tecniche relative alle attività di pricing dei contratti dell'ufficio preposto, quali software vengano utilizzati (nome tecnico e caratteristiche), se siano stati prodotti internamente o acquistati o forniti da terzi soggetti, e, se fossero stati forniti da terzi, in base a quali fattori è stata operata la scelta, quali siano le criticità esaminate in un bando di gara, e se sia possibile avere copia di tali bandi;
   posto che la direttiva EMIR, tra le altre proprio in tema di mitigazione dei rischi, impone sistemi di pricing alternativi e concorrenti da affiancare a quelli già esistenti, come fanno tutte le banche se l'ufficio preposto presso il Tesoro utilizzi soluzioni alternative ed indipendenti di confronto per le analisi di prezzo e rischio, e se sì, da quanto tempo e come siano stati selezionati;
   se le dotazioni complessivamente considerate siano almeno pari a quelle di una grande banca internazionale (visti gli importi ed i rischi in gioco), e, qualora non fosse così, se sia stato fatto uno studio per stimare cosa è necessario per colmare un eventuale gap, e se il Parlamento sia stato informato dell'importanza di avere dotazioni almeno pari a quelle delle controparti;
   come siano gestiti i rischi operativi all'interno degli uffici del tesoro, e, in particolare, come siano gestiti i rischi di frodi da parte dei dipendenti, i rischi su errate valutazioni, i rischi sulla riservatezza e sui conflitti di interesse;
   se il Ministro interpellato escluda che ci sia stata una iniziativa o sorta di pressione di tipo «commerciale» delle banche nei confronti del Governo per fare nuove operazioni, che ha avuto l'iniziativa della sottoscrizione delle swaption, e se le banche proponessero o propongano nuove operazioni; se si, cosa avvenga in questi casi, e se le banche offrissero o analisi e prospetti per valutare la convenienza di queste operazioni o rimodulazioni;
   se siano state fatte operazioni su suggerimento o, rectius, consulenza da parte delle controparti, e in caso positivo, come siano state valutate, da chi e chi ne abbia avuto la responsabilità;
   poiché le controparti dei derivati erano anche specialisti in titoli di Stato, se sia stata valutata la possibilità che questa duplice veste delle controparti avrebbe attribuito loro una posizione di forza nella contrattazione delle nuove operazioni;
   perché non siano state utilizzate le semplici opzioni cap che avrebbero assicurato il tesoro al superamento di soglie predeterminate e con un costo certo ed ammortizzabile, opzioni che sono le uniche ammesse per gli enti locali.
(2-00906) «Brunetta».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIPRINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il signor Valerio Galmacci, nato a Perugia il 28 febbraio 1961, residente a Bettona (Perugia), è legale rappresentante dell'Associazione culturale Perugia Club Filosofi;
   a seguito di un accertamento della direzione provinciale del lavoro di Perugia n. 051002/043 del 21 febbraio 2005 che contestava al signor Galmacci di aver «provveduto ad affidare un incarico di collaborazione professionale occasionale di cameriera nonostante il rapporto di lavoro instaurato presenta caratteristiche di continuità e di subordinazione», l'INPS irrogava allo stesso due sanzioni, una per il recupero della tassa sulla salute ed una per l’«evasione connessa a registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero», ai sensi dell'articolo 116 della legge n. 388 del 2000 a cui seguivano le cartelle esattoriali n. 080 2006 0025563144000 dell'importo di euro 1.149,20 e n. 080 2005 01268030 62 000 dell'importo di euro 40.778,96 della ex Sorit (oggi Equitalia Centro spa), attualmente contenute nell'intimazione di pagamento n. 080 2013 9004627289000 e n. 080 2013 9004627188000 della Equitalia Centro spa per l'asserita mancata regolarizzazione del suddetto rapporto lavorativo in qualità di cameriera intercorso con la signora G. Z.;
   il signor Galmacci, dopo aver proposto ricorso avverso la cartella esattoriale n. 080 2005 01268030 62 che veniva respinto perché presentato oltre i termini previsti, chiedeva una rateizzazione del debito corrispondendo la somma di euro 15.998,39 a Equitalia;
   nel frattempo il signor Galmacci ha ricevuto ragione dal tribunale di Perugia, sezione lavoro, nella causa civile n. 297/2005, che con sentenza n. 327 del 2013 – definitiva il 6 novembre 2013 – ha escluso l'esistenza del rapporto di subordinazione tra la signora G. Z. e l'Associazione Culturale Club Filosofi e sulla cui presunta esistenza l'INPS e poi Equitalia hanno emesso le suddette cartelle di pagamento;
   in data 19 settembre 2013, a seguito di un colloquio con il dottor Antonio Crisanti della Equitalia Centro di Perugia, il Galmacci chiedeva la sospensione dei ruoli e in data 21 marzo 2014 chiedeva lo sgravio delle cartelle poiché emesse sulla base della presunta sussistenza di un rapporto di lavoro poi dichiarato dal tribunale inesistente;
   tuttavia la società Equitalia respingeva la richiesta poiché le cartelle «sono divenute definitive» e «la sentenza non fa stato tra le parti e non è opponibile a questo Istituto rimasto estraneo al giudizio»;
   ad oggi il signor Valerio Galmacci, nonostante il tribunale abbia riconosciuto la insussistenza del presunto rapporto di lavoro tra l'Associazione e la signora G. Z. sulla cui esistenza Equitalia fonda il suddetto credito, risulta debitore nei confronti di Equitalia della somma di euro 42.000,00 circa e reclama inutilmente la restituzione dei quasi 16.000,00 euro già versati;
   la vicenda ha avuto una forte eco sulla stampa locale: il signor Galmacci si trova a dover pagare notevoli somme di denaro per contributi INPS nonostante il giudice del tribunale abbia sentenziato la inesistenza di un rapporto di lavoro e vive la vicenda come «una spada di Damocle che non gli permette di fare progetti» (Corriere dell'Umbria del 3 giugno 2014);
   l'articolo 2-quater, comma 1, del decreto-legge n. 564 del 1994, convertito, con modificazioni, nella legge n. 656 del 1994 ha riconosciuto il potere-dovere degli uffici finanziari di porre in essere provvedimenti di annullamento di ufficio o di revoca, «anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati»;
   inoltre ai sensi del comma 1-bis del suddetto decreto-legge, «Nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato»;
   infine, nel caso in cui il debitore abbia già provveduto al pagamento, è previsto il rimborso dell'indebito versamento, ai sensi dell'articolo 26 del decreto legislativo n. 112 del 1999;
   pertanto, il contribuente che ritiene l'addebito infondato, può presentare le sue contestazioni all'ufficio titolare del credito. L'ufficio, se riscontra l'illegittimità o infondatezza dell'atto, è tenuto ad annullarlo in base alle norme sull'autotutela ed effettuare lo sgravio, togliendo efficacia alla cartella;
   è evidente, a parere dell'interrogante, che le pretese creditorie portate dalle cartelle di pagamento Equitalia frutto delle sanzioni INPS siano oltre che ingiuste anche infondate poiché si fondano sulla presunta esistenza di un presunto rapporto di lavoro del quale il tribunale di Perugia ha accertato invece l'inesistenza;
   ad avviso dell'interrogante, un provvedimento di autotutela da parte dell'amministrazione competente ristabilirebbe anche un principio di equità e un leale rapporto di collaborazione tra contribuente e amministrazione –:
   se i Ministri, ciascuno per quanto di competenza, siano a conoscenza della situazione esposta;
   se il Governo ritenga condivisibile e/o corretto l'operato dell'INPS e della società Equitalia di non procedere agli sgravi richiesti dal signor Valerio Galmacci e quali determinazioni intenda adottare al riguardo anche promuovendo l'annullamento in autotutela o la revoca delle cartelle emesse dall'INPS e/o dalla società Equitalia poiché adottate sulla base di fatti riconosciuti insussistenti o infondati per effetto della pronuncia dell'autorità giudiziaria;
   se il Governo non intenda assumere ulteriori iniziative, anche di tipo normativo, volte a prevedere il diritto agli sgravi in situazioni analoghe a quella esposta. (5-05100)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Rete ferroviaria italiana del gruppo Ferrovie dello Stato riveste il ruolo di gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale con il compito – tra gli altri – di sviluppare la tecnologia dei sistemi e dei materiali, assicurare la piena fruibilità ed il costante mantenimento in efficienza delle linee e delle infrastrutture ferroviarie, destinare gli investimenti al potenziamento, all'ammodernamento tecnologico e allo sviluppo delle linee e degli impianti ferroviari;
   RFI, svolgendo attività mirate a sviluppare l'infrastruttura ferroviaria nazionale, ha una rete ferroviaria che si estende su tutto il territorio nazionale, occupando circa 27.000 dipendenti in tutta Italia. Ciò ha comportato per l'azienda uno sviluppo organizzativo fortemente caratterizzato da una copertura capillare del territorio;
   le unità produttive dislocate sul territorio sono 16 e assumono il nome di compartimenti;
   ciascun compartimento ha la facoltà di operare assunzioni di personale;
   accade che molti dipendenti, assunti da un compartimento (che comprende anche il territorio di più regioni) con sede in una determinata regione, permangano nel territorio ove ha sede il compartimento con la speranza e l'aspettativa di poter fare ritorno nella regione di residenza facendo successivamente domanda di trasferimento in altro compartimento;
   l'articolo 45, comma 7, del contratto collettivo nazionale della mobilità dell'attività ferroviaria prevede che: «È facoltà del lavoratore fare domanda di trasferimento. Nel caso di più domande di trasferimento per la medesima località avanzate dai lavoratori, le aziende, a parità di caratteristiche professionali richieste terranno conto nell'ordine: a) della maggiore anzianità maturata nella figura professionale rivestita; b) della maggiore anzianità di servizio complessiva in azienda; c) della maggiore età anagrafica; d) del numero dei figli minori a carico. A livello aziendale saranno definiti i criteri per valutare le anzianità di cui alla precedente lettera a) nel caso di cambio di figura professionale»;
   ogni compartimento sarebbe tenuto a pubblicare la graduatoria dei dipendenti che chiedono il trasferimento dando conto dell'applicazione dei criteri previsti e dell'ordine della graduatoria;
   ciascun compartimento RFI può procedere all'assunzione di nuovo personale e mancherebbe una verifica preliminare della presenza di eventuali dipendenti che hanno fatto richiesta di trasferimento nella zona di pertinenza del Compartimento che procede alla nuova assunzioni –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro al fine di verificare la correttezza, la trasparenza e la pubblicazione in locali idonei delle graduatorie dei dipendenti RFI che richiedono il trasferimento da un compartimento all'altro;
   se il Ministro sia a conoscenza del numero dei dipendenti di RFI che richiedono il trasferimento da un compartimento all'altro;
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno assumere iniziative volte a favorire la mobilità dei dipendenti che presentano domanda di trasferimento tra compartimenti RFI. (5-05106)

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTANTINO, RICCIATTI, DURANTI, MELILLA, KRONBICHLER, SANNICANDRO e SCOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 febbraio 2015 la Società Ferrovie dello Stato spa le cui azioni sono controllate dallo Stato attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze, convocando le sigle sindacali interessate, ha ufficializzato che, a partire dal 13 giugno 2015, all'avvio del nuovo orario programmato, verranno soppressi 4 Intercity giorno e l'Intercity notte che collegano la Sicilia al resto del continente;
   la soppressione dei treni a lunga percorrenza comporterà anche la cancellazione della continuità territoriale garantita dalla presenza di ferryboat che operano tra la città di Messina e quella di Reggio di Calabria, che consentivano ai passeggeri dei treni a lunga percorrenza di attraversare lo stretto di Messina senza trasbordi presso il porto di Messina e trasferimento su nuovo treno presso la stazione di Villa San Giovanni;
   già negli ultimi anni Rete ferroviaria italiana, che gestiva le navi traghetto di Bluvia come risorsa garante della continuità territoriale, aveva rinunciato ad ammodernare e velocizzare le manovre di carico e scarico del materiale rotabile sulle navi traghetto, salvo per, l'acquisizione della nave «Messina», avvenuta nell'aprile del 2013, destinata al trasporto di convogli ferroviari sullo Stretto costata 49,5 milioni di euro, spesa avvenuta solo due anni fa e che oggi risulta incomprensibile alla luce della cancellazione del trasporto treni via mare tra Calabria e Sicilia;
   le viaggiatrici e i viaggiatori dovranno affrontare un cambio complesso e faticoso scendendo dal treno presso la stazione ferroviaria di Messina, proseguire il viaggio via Metromare verso Villa San Giovanni, sbarcare e da lì prendere i treni per proseguire il viaggio. Tutto ciò è ancora più complicato per disabili, anziani ed eventuali accompagnatori;
   a questo si aggiunga che le scelte dei governi nazionali e locali hanno portato le due regioni dirimpettaie ad uscire dal «Corridoio 1» europeo, vista l'assenza istituzionale ai tavoli di discussione europea sulla mobilità tenutisi nel 2014;
   che nel 2011 era già stato soppresso il servizio «Auto al seguito» dalla Calabria e dalla Sicilia, depotenziando così un trasporto meno impattante a Livello ambientale e sfavorendo il rientro di molti cittadini emigrati da quelle regioni, nonostante le ben note difficoltà per il trasporto su auto rispetto all'autostrada Salerno-Reggio Calabria, ancora non completata;
   la Sicilia aveva già subito un taglio ai convogli: in Sicilia si è passati nel tempo da 14 a 5 treni, di cui solo uno proseguiva da Roma a Milano con una conseguente perdita del 60 per cento dei posti di lavoro, i quali con quest'ultima decisione subiranno ulteriori tagli;
   sulla situazione estremamente penalizzante per il trasporto in cui versa il tratto ferroviario ionico della Calabria l'interrogante ha già depositato l'interrogazione parlamentare a risposta scritta 4–06997;
   la strategia di risparmio effettuata da una società controllata dallo Stato non può abbattersi sul diritto alla mobilità delle cittadini e dei cittadini italiani, soprattutto sul sud Italia, già ampiamente penalizzato in numerosi servizi essenziali, perché la continuità territoriale è un servizio essenziale e per questo non può sottostare a logiche di mercato che hanno già ampiamente penalizzato –:
   come intenda il Ministro interrogato, in concorso con società Ferrovie dello Stato spa e Rete ferroviaria italiana, garantire il diritto alla mobilità sancito nell'articolo 16 della Costituzione italiana e dall'articolo II-105 della Carta dei diritti dell'Unione europea, garantire la continuità territoriale e se intenda potenziare il trasposto eco-sostenibile a discapito di quello su gomma, favorendo il ripristino del servizio «auto a seguito». (4-08517)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   BATTAGLIA e BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso delle ultime settimane si è registrata nei pressi del quartiere residenziale di Pisticci Scalo in provincia di Matera la presenza costante di nomadi;
   da tempo poiché presso tale centro vi sono alcune isole non urbanizzate di proprietà del consorzio di sviluppo industriale numerosi nuclei di nomadi italiani e stranieri ne fanno spesso area di sosta;
   come è facile immaginare non essendovi servizi igienici così come altro tipo di servizio l'area diventa ricettacolo di rifiuti di ogni natura;
   pochi giorni fa il parco giochi per bambini a pochi metri di distanza dall'area in gestione ha subito una serie di danneggiamenti e non è purtroppo la prima volta che accade; si tratta di atti vandalici, così come in altre circostanze, come denunciato già a suo tempo al prefetto di Matera dottor Pizzi, si sono registrati danni al patrimonio pubblico (fontana, panchine e altro);
   la comunità locale per quanto assolutamente ospitale esprime, in considerazione del ripetersi di tali fenomeni, una evidente preoccupazione che chiama in causa la responsabilità delle istituzioni pubbliche –:
   se il Governo, al fine di rassicurare i cittadini, intenda verificare attraverso la prefettura di Matera quanto sta accadendo, rafforzando il presidio del territorio da parte delle forze dell'ordine. (4-08520)


   CARIELLO e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sia nell'area della città metropolitana di Bari che nel comune di Bitonto molteplici sono stati, e ancora oggi sono, i fatti criminosi, a fronte dei quali, i cittadini di suddette zone geografiche, rimangono vittime quotidianamente. Nel sentire comune si diffonde un senso di profonda insicurezza e di totale assenza di tutela alla sicurezza da parte dello Stato, garante ai sensi dell'articolo 22 della Costituzione italiana;
   da fonti di cronaca del periodo da fine novembre 2014 ad oggi si evidenzia quanto segue:
    in data 27 novembre 2014 rimaneva vittima in una rapina il titolare di un'autofficina che da malviventi veniva derubato di un auto in riparazione presso la sua struttura e investito, riportando tripla frattura alla gamba sinistra;
    in data 29 novembre 2014 venivano fermati predoni nelle campagne del comune di Bitonto in possesso di 150 chilogrammi di olive e 2 quintali di legna;
    in data 4 dicembre 2014 la Guardia campestre riusciva, a seguito di un inseguimento con spari, a recuperare un'auto rubata e 5 quintali di olive;
    in data 6 dicembre 2014 veniva arrestato in flagranza di reato per furto aggravato in un appartamento Giuliano Pazienza, pregiudicato;
    in data 7 dicembre 2014 due rapinatori a volto coperto rapinavano titolare di un bar sito in piazza Cavour, per una refurtiva del valore di 1.000 euro, ferendolo, provocando all'uomo lesioni guaribili in 7 giorni con ricovero ospedaliero;
    in data 2 dicembre 2014 atti di vandalismo provocavano, nella notte, l'incendio doloso di due auto;
    in data 9 dicembre 2014 veniva prelevata cassaforte, dopo aver sfondato parete del distributore di benzina CAMER sito sulla strada provinciale n. 218 (Poligonale di Bitonto);
    sempre in data 9 dicembre 2014 veniva aggredito in strada e derubato titolare di una tabaccheria dell'incasso del giorno per un valore di 500 euro;
    in data 11 e 15 dicembre 2014 agenti dei vigili rurali arrestavano individui con carico di olive di refurtiva;
    in data 17 dicembre 2014 un'auto, condotta da Gaetano Cozzella, di età di 26 anni di Bitonto, non si fermava alla intimazione di ALT dei carabinieri; le forze dell'ordine veniva minacciate e contro di loro veniva puntato un fucile a canne mozze; le forze dell'ordine a loro volta rispondevano aprendo il fuoco e recuperando così l'auto, Audi A3, che risultata rubata a Matera;
    in data 30 dicembre 2014 venivano sottratti, per terza volta in un mese, cavi di rame dalla linea ferroviaria della tratta Terlizzi-Bitonto delle Ferrovie dello zona nord dell'area barese;
    in data 30 dicembre 2014 veniva aggredito il sindaco di Bisceglie con un pugno all'orecchio, che causava una lesione grave al timpano, da un cittadino che in preda alla disperazione chiedeva un posto di lavoro e denaro;
    in data 4 gennaio 2015 si verificava il terzo episodio, a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro, di ordigni esplosivi presso tabaccherie con finalità di rapina;
    in data 5 gennaio 2015 venivano arrestati dai carabinieri di Paolo del Colle, in provincia di Bari, padre e figlio maggiorenne già noti alle forze dell'ordine, con l'accusa di concorso in tentato furto aggravato. Gli uomini, colti in flagranza di reato, caricavano la propria auto con infissi in acciaio sottratti ad un'azienda dismessa ubicata lungo la strada statale n. 96;
    in data 7 gennaio 2015 numerosi commercianti della città di Bitonto venivano truffati da due individui, che agivano in connivenza e complicità, acquistando merce con denaro falso;
    in data 7 gennaio 2015 veniva compiuto un furto in un esercizio commerciale al dettaglio di Bitonto, denominato «Glamour» sito in via Matteotti;
    sempre in data 8 gennaio 2015 venivano arrestati dai carabinieri della compagnia di Molfetta e della stazione di Bitonto due pregiudicati di rispettivamente 50 e 43 anni e un incensurato di 27 che tentavano di rubare cavi elettrici e tubi in rame di un'azienda in disuso; 
    in data 16 gennaio 2015 venivano arrestati da una pattuglia di carabinieri tre giovanissimi dopo un inseguimento sulla strada statale n. 31, per aver chiesto denaro in cambio di un'auto, tipo Fiat Punto, appena rubata nelle campagne del Ruvo;
    in data 17 gennaio 2015, in Rutigliano, veniva sventato un colpo contro uno sportello bancomat con ordigni esplosivi, fumogeni e chiodi da gettare in strada per ostacolare l'arrivo delle forze dell'ordine; 
    in data 18 gennaio 2015 veniva arrestato «baby» rapinatore dopo un folle inseguimento, per le strade dell’hinterland barese dove il mezzo dei carabinieri veniva più volte speronato;
    in data 19 gennaio veniva sventato dai carabinieri un tentativo di rapina presso la stazione di servizio Esso sulla strada provinciale 231; 
    in data 23 gennaio 2015 avveniva l'ennesimo rogo di auto nella città di Bitonto durante la notte, modalità adottata dalle associazioni malavitose criminali, al fine di creare disordine e agire indisturbatamente nel compimento di piani e azioni criminose;
    in 26 gennaio 2015 veniva arrestato dai carabinieri un ragazzo di 23 anni di Bitonto in flagranza di reato per spaccio di sostanze stupefacenti: dalla conseguente perquisizione venivano rinvenute, nelle sue tasche, 5 dosi di marijuana, 10 di cocaina e 310 euro in contanti; 
    sempre in data 26 gennaio 2015 venivano arrestati cinque cittadini georgiani, con precedenti penali, dalla polizia di San Pasquale di Bari. La banda, aveva effettuato un foro in una parete adiacente ad un bar tabacchi per furto/rapina;
    in data 27 gennaio 2015 veniva tratto in arresto il titolare, di 43 anni e con precedenti penali, di un'autofficina abusiva dove erano state rinvenute auto e pezzi di ricambio rubati;
    sempre in data 27 gennaio la polizia di Stato aveva dato esecuzione ad un'ordinanza di custodia cautelare del giudice per le indagini preliminari (GIP) del tribunale di Bari, nei confronti di sette persone (4 agli arresti in penitenziario e 3 agli arresti domiciliari), per furto aggravato, ricettazione ed estorsione. La banda era dedita al furto di veicoli e mezzi agricoli estorcendo denaro con la tecnica del «cavallo di ritorno»;
    in data 28 gennaio 2015 i carabinieri della tenenza di Terlizzi intercettavano furgone rubato con refurtiva per un valore di 122.000,00 euro, sottratti ad una sala ricevimenti di Cassano Murge;
    sempre in data 28 gennaio 2015 in una sparatoria a Castellaneta Marina veniva catturato latitante barese;
    in data 29 gennaio 2015 il nucleo, mobile dei carabinieri di Bari recuperava la refurtiva di un furto avvenuto in un bar per un importo di 2.600,00 euro arrestando i tre responsabili della condotta in parola;
    in data 30 gennaio venivano sottoposti a sequestro n. 15 immobili, sul lungomare di Bari, adibiti a case di appuntamento e indagate n. 15 persone;
    in data 31 gennaio 2015 si registravano furti e rapine in diversi esercizi commerciali, tra i quali tabaccherie e supermercati;
    in data 4 febbraio 2015 rimaneva ucciso in una sparatoria un pregiudicato di 35 anni;
    sempre in data 4 febbraio 2015 un'altra sparatoria, per regolamento di conti, interessava piazza Robustina di Bitonto, senza nessun ferito;
    in data 6 febbraio 2015 veniva sventato un ulteriore furto di rame a cui conseguivano sei arresti; 
    in data 6 febbraio 2015 si concludeva un'operazione della guardia di finanza, con sequestro tre quintali di hashish nascosti tra un carico di banane. Ne conseguiva l'arresto di due cittadini spagnoli;
    in data 7 febbraio 2015 la polizia procedeva in Bari a 4 arresti;
    in data 10 febbraio 2015 si concludeva inchiesta della direzione distrettuale antimafia (DDA), avviata conseguentemente all'uccisione di Mario Rizzo a Rutigliano, freddato con diversi colpi di arma da fuoco alla testa, con l'arresto di 13 persone coinvolte in una guerra tra clan malavitose per il controllo di estorsioni e traffico di droga –:
   se, alla luce di quanto enucleato, il Ministro interrogato intenda, seppur nell'ambito della riorganizzazione e razionalizzazione dei Corpi di polizia e dei Corpi armati, garantire un maggior presidio delle forze dell'ordine nelle zone del Mezzogiorno maggiormente interessate da fenomeni di criminalità organizzata e quindi adottare provvedimenti al fine di potenziare, nella città di Bari e in tutto il territorio pugliese, l'organico delle medesime in modo da poter fronteggiare e contrastare efficacemente fenomeni criminali garantendo alla cittadinanza e alla popolazione la concreta attuazione del diritto alla sicurezza, riconosciuto dalla Carta Costituzionale italiana, all'articolo 22, ed eliminare, altresì, gli ostacoli e disincentivi, che le condotte criminose di specie comportano alle attività commerciali e imprenditoriali della zona. (4-08523)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI, CHIMIENTI e GALLINELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in seguito al recente aggiornamento triennale delle graduatorie ad esaurimento della scuola dell'infanzia e della primaria si è verificato il fenomeno del trasferimento e dell'inserimento nelle graduatorie provinciali di alcune regioni – in particolare delle regioni del centro nord e nello specifico della provincia di Perugia – di numerosi docenti provenienti da graduatorie di altre regioni con l'effetto devastante per i docenti già presenti da numerosi anni nelle graduatorie verso le quali sono confluiti i nuovi inserimenti, di subire un forte «scivolamento» verso il basso della graduatoria;
   addirittura secondo i dati dei sindacati della scuola – Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda di Perugia – nella graduatoria dell'infanzia della provincia di Perugia ci sono stati ben 116 nuovi insegnanti inseriti nella suddetta graduatoria pari al 24 per cento della consistenza e di questi 43 nuovi docenti occupano la posizione dalla 1a alla 43a; anche nella graduatoria della scuola primaria della provincia di Perugia ci sono stati 74 nuovi inserimenti provenienti da altre province di cui 15 occupano le posizioni dalla 1a alla 15a;
   lo scivolamento dei docenti presenti già da tempo nelle graduatorie produce l'effetto di escludere i suddetti docenti dall'assunzione in ruolo e anche dall'assegnazione della supplenza annuale;
   la regione dell'Umbria ha assunto alcuni provvedimenti come il controllo capillare e non a campione sui titoli, i punteggi e le idoneità dei riservisti presentate dai neo assunti e dagli incaricati annuali;
   occorre tuttavia un intervento del Governo che possa tutelare il personale precario della scuola presente da più tempo nelle graduatorie provinciali (in particolare nelle graduatorie della provincia di Perugia ove il fenomeno si è manifestato in maniera forte) e che si vedono lesi nella propria aspettativa di assunzione al ruolo e all'attribuzione dell'incarico annuale –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto;
   quali provvedimenti intenda assumere il Ministro per tutelare quei decenti – anche ai fini di una stabilizzazione facendo riferimento alle graduatorie ad esaurimento precedenti ai nuovi inserimenti – che da più tempo si trovano e permangono nella graduatoria ad esaurimento della stessa provincia;
   se il Governo intenda assumere iniziative normative volte a salvaguardare gli insegnanti da più tempo inseriti nelle graduatorie ad esaurimento della stessa provincia anche consentendo a quegli insegnanti che non hanno avuto assegnazione di incarichi di cattedre a seguito dello «scivolamento», di integrare il punteggio individuale ovvero con l'acquisizione di un «bonus» (punteggio aggiuntivo) per chi ha garantito nel tempo la continuità didattica permanendo nelle graduatorie ad esaurimento della stessa provincia per almeno due trienni. (5-05103)


   D'UVA, SIMONE VALENTE, VACCA, MARZANA, BRESCIA, LUIGI GALLO, CHIMIENTI e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la lettura coordinata degli articoli 3 e 34 della Costituzione mostra come la Repubblica italiana abbia il dovere di rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando l'uguaglianza dei cittadini, non favoriscono le condizioni per l'accesso all'istruzione superiore e, in particolare, non consente ai capaci e ai meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi;
   per il raggiungimento di tali fini la stessa Repubblica, nel proprio impianto normativo, prevede l'introduzione di strumenti e servizi i quali, attraverso la loro piena, efficace ed uniforme attuazione, assicurano su tutto il territorio nazionale la più ampia partecipazione agli studi universitari dei cittadini italiani;
   il decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, concernente la «Revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti, in attuazione della delega prevista dall'articolo 5, comma 1, lettere a), secondo periodo, e d), della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e secondo i principi e i criteri direttivi stabiliti al comma 3, lettera f), e al comma 6», ha cercato di introdurre nell'ordinamento italiano strumenti utili a garantire l'applicazione dei citati principi costituzionali;
   le disposizioni contenute nel decreto costituiscono, in particolare, l'attuazione del titolo V della parte II della Costituzione, in quanto individuano gli strumenti e i servizi necessari per assicurare a tutti i cittadini il diritto allo studio, nonché i relativi livelli essenziali delle prestazioni (LEP), da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale, secondo requisiti di eleggibilità per l'accesso a tali prestazioni;
   l'articolo 9, del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, prevede che «ai fini della graduazione dell'importo dei contributi dovuti per la frequenza ai corsi di livello universitario, le università statali e le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, denominate Istituzioni, valutano la condizione economica degli iscritti secondo le modalità previste dall'articolo 8, comma 3, e possono tenere conto dei differenziali di costo di formazione riconducibili alle diverse aree disciplina»;
   l'articolo 8, comma 3, dello stesso decreto, dispone che le condizioni economiche dello studente iscritto o che intenda iscriversi a corsi di istruzione superiore su tutto il territorio nazionale, vengano individuate sulla base dell'indicatore della situazione economica equivalente, di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni;
   ciò che più rileva, ad avviso degli interroganti, risulta tuttavia il secondo periodo dello stesso comma 3, il quale prevede che nella calibrazione della quota che lo studente dovrà versare quale tassa universitaria per l'accesso al corso di studi, si tenga in debito conto «la situazione economica del territorio in cui ha sede l'università o l'istituzione di alta formazione artistica, musicale e coreutica»;
   ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, sono previste modalità integrative di selezione quali l'Indicatore della situazione economica all'estero e l'Indicatore della situazione patrimoniale equivalente, calcolando la in base alle fascia di reddito legata al sistema ISEE/ISEEU la rata dei conguagli;
   a tal fine si ritiene necessario richiamare il «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca in Italia», presentato il 18 marzo 2014, l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), il quale ha evidenziato un quadro generale assolutamente allarmante sullo stato del nostro sistema universitario nazionale e, più in generale, della nostra offerta formativa;
   l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca ha riportato i dati provenienti dalla distribuzione geografica delle immatricolazioni, facendo così emergere ulteriori preoccupazioni sulla reale efficienza del nostro sistema universitario;
   dal «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca in Italia» è possibile verificare come le immatricolazioni risultino in calo del 10 per cento nelle regioni del Nord Italia, del 25 per cento nelle regioni del Centro e, infine, del 30 per cento nel Mezzogiorno;
   da tali percentuali si sono evidenziate nuove condizioni socio-economiche che hanno costretto, in questi anni, i giovani diplomati delle regioni dell'Italia meridionale a non considerare il conseguimento del titolo di studio universitario quale concreta possibilità per il proprio futuro professionale, aumentando inevitabilmente il divario del sistema formativo nel territorio della Repubblica, in antitesi con i principi costituzionali sopra richiamati;
   secondo la stessa Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, le ultime riforme, tra le quali lo stesso decreto legislativo 29 marzo 2012 avrebbero si attenuato, ma non risolto, le gravi criticità del sistema universitario nazionale, afflitto da un abbandono dei corsi molto elevato, con una percentuale di iscritti che non conclude il proprio corso di laurea triennale pari al 40 per cento anche a causa di un sistema di contributi assolutamente inefficiente, che costringe gli atenei a far gravare i costi di funzionamento sugli studenti e sulle loro famiglie;
   attualmente il sistema di attribuzione dei punti organico non prevede alcun efficace meccanismo che tenga conto delle singole condizioni del territorio in cui si trova l'Ateneo di riferimento, penalizzando, di fatto, gli atenei che operano in territori svantaggiati e aumentando la forbice, nonostante quanto stabilito dall'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, costringendo le università ad aumenti assolutamente sproporzionati delle quote di contribuzione degli studenti;
   si ricordi, infatti, che secondo quanto disposto dal decreto ministeriale del 18 dicembre 2014, n. 907, solo per gli atenei con un indicatore di spese di personale inferiore all'80 per cento è attribuito un contingente assunzionale base pari al 20 per cento delle cessazioni dell'anno 2013 e, allo stesso tempo, è attribuito un contingente assunzionale aggiuntivo, fino a concorrenza del 50 per cento massimo a livello di sistema, facendo ricadere sugli studenti i costi del funzionamento dell'intero sistema;
   si consideri, inoltre, che l'attuale sistema premiale italiano, il quale prevede il finanziamento degli Atenei virtuosi attraverso l'utilizzo di una quota proporzionale del Fondo di finanziamento ordinario, ha costretto, ad ogni aumento della misura premiale, una contestuale riduzione del finanziamento ordinario di quelle università che presentano oggi difficoltà di bilancio;
   tale meccanismo, aumenta, inevitabilmente, la differenza tra gli atenei meridionali e centro-settentrionali, con un innalzamento delle quote dei contributi universitari in misura non più sostenibile;
   tra i tanti casi di aumenti dei contributi universitari che stanno interessando gli atenei dell'Italia meridionale, si apprende come l'università degli studi di Messina, che ha in questi giorni reso note le quote della prima rata del conguaglio da versare, così come pubblicate nel portale d'Ateneo «Esse3», abbia riportato aumenti che arrivano a toccare il 300 per cento se rapportati agli stessi contributi richiesti per l'anno accademico 2013/2014;
   si ricordi, infine, che a oggi nessun reale strumento di controllo risulta attivato a garanzia dell'osservanza delle disposizioni riguardanti la normativa di principio in materia di diritto allo studio, nonostante lo stesso decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, prevedesse, a norma dell'articolo 20, comma 1, l'istituzione presso la direzione generale per l'università, lo studente e il diritto allo studio universitario, l'Osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   nelle more dell'attuazione dell'Osservatorio nazionale per il diritto allo studio, quale sia lo stato di attuazione della disciplina di cui all'articolo 8, comma 3, del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, il quale assicura in sede di commisurazione dei contributi universitari, pur nel rispetto dell'autonomia universitaria, un'attenta valutazione della situazione economica del territorio in cui ha sede l'ateneo, nel pieno rispetto dei principi costituzionali dettati dagli articoli 3 e 34;
   se intenda attivare quanto prima l'Osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario, in conformità a quanto disposto dall'articolo 20, comma 1, del citato decreto legislativo. (5-05113)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   ZACCAGNINI, RICCIATTI, NICCHI, SANNICANDRO, MELILLA, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Italia Lavoro è una società per azioni, totalmente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze. Opera, per legge, come ente strumentale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la promozione e la gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell'occupazione e dell'inclusione sociale; l'oggetto sociale dell'azienda, è «la promozione e la gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell'occupazione e dell'inclusione sociale»;
   in data 12 marzo 2015, il quotidiano Il Fatto quotidiano con un articolo a firma di Salvatore Cannavò dal titolo «I 900 co.co.pro. In bilico del Ministero del lavoro» descriveva come: «Sono circa 900 i lavoratori a termine o con contratti a progetto che rischiano il posto. La cosa buffa è che sono dipendenti del Ministero del lavoro e dell'economia o, meglio, della società per azioni, Italia Lavoro da loro interamente partecipata e diretta. I loro contratti scadranno il 31 marzo [...] I 900 lavoratori – generalmente dottorati, con competenze certificate e curricula impeccabili – sono per due terzi dei co.co.pro e per un terzo contrattualizzati a termine. Solo che il loro capo indiretto, il ministro Giuliano Poletti, ha appena varato un decreto attuativo del Jobs Act, che stabilisce proprio la soppressione dei co.co.pro. La situazione di Italia Lavoro era già emersa lo scorso anno quando stava per avvicinarsi la scadenza dei contratti al 31 dicembre 2014. Scadenza dettata dalla particolare situazione finanziaria in cui versa la società. I progetti attivati, infatti, devono realizzare occasioni favorevoli alla creazione di posti di lavoro, in particolare per soggetti e aree svantaggiate, e perseguono “gli obiettivi prioritari indicati dal Fondo sociale europeo”, i fondi strutturali messi a disposizione dall'Unione europea per sostenere l'occupazione negli Stati membri. I fondi Fse vengono attuati mediante i Programmi operativi nazionali (Pon) di cui è titolare il ministero. Solo che i programmi sono scaduti e gli uffici di Poletti hanno voluto prendere tempo, in ossequio alle nuove norme europee, prima di presentare i nuovi progetti. Sull'onda della mobilitazione dei lavoratori, però, qualcosa si è mosso e due grandi progetti sono stati attivati. Però non basteranno per tutti e il timore diffuso è che anche tra i contrattualizzati a tempo indeterminato, circa 400 persone, possano prodursi degli esuberi [...] Quello che si è venuto a creare sembra un imbuto da cui dovranno passare per forza solo alcune figure mentre altre saranno espulse. Con il rischio della contrapposizione tra lavoratori “garantiti” e non. Ma c’è, soprattutto, un ginepraio di contraddizioni inestricabile. Ci sono infatti centinaia di figure professionali che da anni, anche da dieci, lavorano per creare lavoro e ora rischiano di andare a casa. Queste stesse figure, inoltre, vivono mediante contratti a progetto che, però, dovranno essere eliminati. Alla scadenza del loro contratto, nel caso dovessero essere riassunti, con quale strumento lo saranno? Difficile prevederlo. Il tutto si inserisce nel quadro della nuova riorganizzazione delle politiche per il lavoro. Il Governo punta a costituire un'Agenzia nazionale dell'occupazione dove dovrebbero confluire società come Italia Lavoro o Isfol. Ma tutti i lavoratori sono convinti che questa riorganizzazione produrrà degli esuberi»;
   nel comunicato, a firma di diverse realtà sindacali, dal titolo «Chi tutela Italia Lavoro?» è precisato come il Governo non abbia offerto garanzie, in assenza di un piano organico, si dovrebbero superare i centri per l'impiego, strutturare un'Agenzia nazionale che, però, per funzionare deve avere radici territoriali e regionali. Strutture che, nelle intenzioni del Jobs Act, dovranno presidiare anche l'erogazione dei nuovi ammortizzatori sociali, Naspi, Asdi e DisColl. Si tratta di progetti che, a oggi, non sono ancora precisati e coordinati –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e quali azioni intendano intraprendere;
   se in vista della scadenza dei contratti dei dipendenti di «Italia Lavoro», prevista per il 31 marzo 2015; i Ministri non reputino opportuno tutelare i lavoratori stessi, visto il paradosso, così come descritto in premessa, con il quale chi crea lavoro rischia di perdere il lavoro, mettendo in campo politiche utili a regolarizzare questa classe di lavoratori e dare agli stessi maggiori garanzie sindacali ed occupazionali;
   se non reputino opportuno salvaguardare tutti i progetti in essere anche al fine di eliminare il rischio di bloccare i fondi europei, già stanziati, destinati a finanziare i progetti che fanno capo ad Italia Lavoro, elaborando altresì un piano organico, attualmente assente e comunque non in grado di garantire sia l'occupazione che il futuro dei centri per l'impiego;
   se i Ministri interrogati non reputino opportuno dare una risposta, per quanto di competenza, alle istanze dei lavoratori di «Italia Lavoro» che specificano come in Italia gli operatori per i servizi per l'impiego sono molti di meno rispetto ai colleghi europei e questo non permette di garantire i servizi di base ai soggetti disoccupati o in cerca di occupazione. (3-01382)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge 12 giugno 1990, n. 146, disciplina l'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e la salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati nonché l'istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge;
   il 23 luglio 2014 l'organizzazione sindacale ADL associazione difesa lavoratrici e lavoratori Varese – sindacato di base, in persona del segretario provinciale della ADL Varese, con lettera avente ad oggetto: «denuncia di atto intimidatorio e richiesta di chiarimenti e accertamenti» indirizzata alla direzione polizia Malpensa, a Sea spa, Sea Handling spa, alla prefettura e questura di Varese, ha denunciato presunti comportamenti della società SEA in contrasto con il regolare esercizio del diritto di sciopero e delle disposizioni in materia emanate dalla Commissione di garanzia posti in essere dai responsabili della medesima società durante lo sciopero di 24 ore del 20 luglio 2014 nell'aeroporto di Milano Malpensa;
   l'organizzazione sindacale con la suddetta lettera ha evidenziato che durante lo sciopero del 20 luglio 2014 alle ore 17,30 circa «tre lavoratori autisti bus (tra cui un nostro associato) sono stati convocati presso gli arrivi A dalla responsabile di turno [...] e, in tale occasione tre agenti di polizia di Malpensa chiedevano l'identificazione con relativa richiesta di documenti, chiedendo insistentemente spiegazioni sul perché gli stessi non eseguissero il lavoro loro assegnato essendo regolarmente in turno e dipendenti di SEA»;
   la ADL ha contestato tale condotta da parte dei responsabili di SEA e degli agenti in servizio precisando che i lavoratori durante lo sciopero non si erano rifiutati di svolgere la loro attività lavorativa per i voli programmati da Enac, ma si erano soltanto dichiarati indisponibili a servire voli che fossero non garantiti, essendo i suddetti dipendenti «lavoratori comandati in servizio»;
   non è la prima volta che la associazione sindacale ADL denuncia presunte condotte antisindacali e in violazione della legge sull'esercizio del diritto di sciopero da parte di SEA e anche la interrogazione a risposta scritta dell'interrogante (n. 4-04573 del 18 aprile 2014) è rimasta priva di riscontro –:
   se, nell'ambito delle rispettive competenze, i Ministri interrogati abbiano intenzione di verificare i fatti esposti con i modi e i mezzi che riterranno più opportuni;
   quali iniziative intendano assumere al fine di garantire il rispetto della legge sullo sciopero e una corretta gestione delle relazioni sindacali ed evitare il ripetersi di tali comportamenti lesivi dei diritti dei lavoratori che esercitano il diritto di sciopero garantito dalla Costituzione.
(5-05099)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Grifo Latte appartenente al gruppo Grifo Agroalimentare – società agricola cooperativa con sede in Ponte San Giovanni (Perugia) – produce e commercializza prodotti lattiero-caseari dal latte alimentare (fresco di alta qualità e UHT) alle materie grasse (burro, panna, mascarpone);
   l'intero gruppo Grifo occupa circa 150 dipendenti e conta numerosi stabilimenti nel territorio umbro;
   dalla stampa on line (www.perugiatoday.it del 5 agosto 2014) si apprende che l'azienda Grifo Latte del tutto inaspettatamente ha comunicato la decisione di esternalizzare la gestione del magazzino di Perugia (che occupa 15 lavoratori) chiedendo ai dipendenti di mettersi in mobilità per poi passare ad un'altra cooperativa non meglio specificata;
   i sindacati hanno criticato duramente la decisione assunta dall'azienda e «non contrattabile» di apertura della procedura di mobilità e di esternalizzazione del servizio di magazzino in quanto «inaccettabile nel merito e nel metodo», annunciando lo stato di agitazione dei lavoratori;
   la decisione assunta dall'azienda appare discutibile poiché non offrirebbe ai dipendenti la garanzia della continuità del rapporto di lavoro e del mantenimento dei diritti di cui attualmente godono, considerato che gli stessi si troverebbero a svolgere le medesime mansioni ma verosimilmente a condizioni contrattuali e per una impresa diversa –:
   se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza al fine di favorire un serio confronto nonché una corretta gestione delle relazioni industriali e sindacali tra la direzione aziendale di Grifo Latte e le organizzazioni sindacali che scongiuri la prospettata apertura della mobilità, individuando soluzioni condivise per evitare il processo di esternalizzazione e attivando gli strumenti previsti dalla normativa vigente volti al mantenimento della garanzia della continuità lavorativa e della tutela dei diritti dei lavoratori;
   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda intraprendere a tutela dei dipendenti e delle corrette relazioni sindacali per disciplinare e sanzionare l'uso improprio di esternalizzazioni. (5-05101)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Antonio Merloni Spa si trova in amministrazione straordinaria e ai lavoratori (oltre 2.300) delle sedi di Fabriano e Nocera Umbra nel maggio del 2014 è stata concessa la cassa integrazione in deroga a seguito dell'accordo dell'aprile 2014 presso il Ministero dello sviluppo economico;
   tuttavia – come si apprende dal comitato dei lavoratori della ex Merloni – nonostante l'accordo, i lavoratori della A. Merloni da diversi mesi non hanno ancora percepito il trattamento di cassa integrazione e versano in una condizione di forte difficoltà economica;
   è necessario che il Governo intervenga e sblocchi al più presto l'erogazione del trattamento di cassa integrazione a favore dei lavoratori che sono privi di qualsiasi forma di sostegno economico –:
   se sia vero quanto esposto e quali urgenti iniziative i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, intendano adottare per sbloccare l'erogazione del trattamento di cassa integrazione a favore dei lavoratori della A. Merloni;
   quali misure a tutela dei lavoratori intendano adottare in vista della imminente scadenza del trattamento di cassa integrazione prevista per il 12 ottobre 2014. (5-05102)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia lavora solo il 16 per cento (circa 300.000 individui) delle persone con disabilità fra i 15 e i 74 anni, contro il 49,9 per cento del totale della popolazione. Solo l'11 per cento, poi, delle persone con limitazioni funzionali che lavorano ha trovato occupazione attraverso un centro pubblico per l'impiego. E ancora, le persone con limitazioni funzionali che sono inattive rappresentano una quota quasi doppia rispetto a quella osservata nell'intera popolazione (l'81,2 per cento contro il 45,4 per cento), mentre la percentuale di chi non è mai entrato nel mercato del lavoro e che non cerca di entrarvi (250.000 persone, per la quasi totalità donne) è molto più elevata tra chi ha limitazioni funzionali gravi (il 18,5 per cento) contro l'8,8 per cento di chi ha limitazioni funzionali lievi;
   la signora R.C., nata il 4 settembre 1958 a Baunei (OG), residente a Perugia, è affetta da una malattia rara (morbo di Wilson) consistente nella mutazione di un gene che porta all'accumulo sistemico di rame nell'organismo, con particolare rilevanza nel cervello e nel fegato. E una malattia progressiva che colpisce una persona ogni 30.000;
   in Italia il morbo di Wilson è riconosciuto malattia rara nel regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità n. 279 del 2001;
   la signora C., pur percependo una (contenuta) pensione di invalidità, si trova in serie difficoltà economiche e nell'agosto del 2013 ha fatto domanda per accedere alle agevolazioni previste dalla legge n. 68 del 1999 al fine di trovare un lavoro e, ottenuto il riconoscimento di una invalidità del 75 per cento da parte della commissione medica, è iscritta negli elenchi del centro per l'impiego di Perugia dall'ottobre del 2013;
   la legge 12 marzo 1999, n. 68, riguardante «Norme per il diritto al lavoro dei disabili» ha come finalità la promozione dell'inserimento e dell'integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. Il comma 1 dell'articolo 3 di tale legge, stabilisce che i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie protette con quote di riserva proporzionali al numero totale dei dipendenti dell'azienda. Le amministrazioni provinciali, attraverso i centri per l'impiego, svolgono un ruolo fondamentale nell'attività di orientamento, tutoraggio e ricerca occupazionale dedicate specificatamente alle persone disabili;
   la legge prevede che in un'azienda che abbia tra i 15 e 35 dipendenti ci sia un disabile, due fino a 50 dipendenti e per le aziende più grandi sia riservato a loro il 7 per cento dei posti disponibili;
   il punto critico che emerge lungo il percorso di integrazione lavorativa riguarda dunque le opportunità di inserimento in termini di disponibilità di quota di riserva, cioè di posti riservati per legge ai disabili, nonché di compatibilità con le mansioni segnalate dalle imprese;
   a fronte di tale quadro normativo, i dati resi disponibili dalla seconda relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 68 del 1999, predisposta dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la collaborazione dell'ISFOL, evidenziano che i disabili iscritti agli elenchi provinciali risultavano essere nel 2003 oltre 475.000 (rapporto ISFOL «I servizi di inserimento lavorativo per i disabili nell'ambito dei sistemi di welfare locale» relativo all'anno di programmazione 2000-2006);
   nel 2011 sono stati oltre 22.023 i disabili avviati al lavoro in Italia. Gli iscritti alle liste speciali del lavoro risulterebbero poco più di 644 mila, di cui quasi 65.800 nuovi iscritti (ISFOL, relazione sullo stato di attuazione delle norme per il collocamento obbligatorio e mirato delle persone disabili relativo al biennio 2010-2011);
   rimane forte il divario tra il numero delle assunzioni obbligatorie previste per legge e il numero dei disabili iscritti nelle liste;
   nella realtà le quote di scopertura, delle imprese potrebbero coprire buona parte dell'offerta lavorativa ma ciò non accade;
   inoltre, i dati, relativi a sole 72 province rispondenti, evidenziano che la quota di riserva totale era nel 2003 di 149.648 unità, con una netta preponderanza dei posti disponibili rinvenibile nella fascia dimensionale delle imprese con oltre 50 dipendenti. A fronte di questo dato le stesse imprese denunciavano una scopertura di 84.462 posti di lavoro corrispondente, pur tenendo conto della diversa distribuzione delle risposte, a circa il 56 per cento del totale della quota di riserva;
   è verosimile che oggi tali dati, con la crisi economica che morde l'Italia, siano peggiorati;
   la legge n. 68 del 1999, ha lo scopo di promuovere l'inserimento e l'integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro ma appare – in tali casi – frustrata e recentemente – con sentenza n. C-312/11 del 4 luglio 2013 – la Corte di giustizia dell'Unione europea – ha condannato l'Italia per essere venuta meno al suo obbligo di recepire correttamente e completamente la direttiva n. 2000/78/CE, stabilendo che lo Stato «non ha adottato tutte le misure necessarie per garantire un adeguato inserimento professionale dei disabili nel mondo del lavoro e la invita a porre rimedio a questa situazione al più presto»;
   la signora C. e tutte le persone inabili iscritte nelle liste dei centri per l'impiego hanno diritto, in conformità a quanto previsto dalla Costituzione e dalla legge n. 68 del 1999, all'inserimento lavorativo e all'avviamento professionale che permetta loro la garanzia di una vita dignitosa;
   il lavoro per le persone disabili non è solo fonte di reddito, ma è anche principalmente momento d'inserimento sociale;
   già con interrogazione a risposta scritta (n. 4-01495) l'interrogante aveva sollecitato l'iniziativa governativa in materia senza alcun riscontro –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta e dei dati aggiornati del numero dei disabili iscritti nelle liste speciali e del numero dei disabili avviati al lavoro in base alla legge n. 68 del 1999;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire per predisporre ulteriori iniziative volte a favorire un inserimento reale dei lavoratori disabili nel mondo del lavoro, anche valutando l'opportunità di modificare favorevolmente la normativa riguardante i centri per l'impiego. (5-05105)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Liomatic s.p.a. con sede a Perugia opera nel settore della distribuzione automatica di bevande e alimenti e ha conquistato una posizione leader nel Centro e Sud Italia;
   come si apprende dagli organi di stampa, la proprietà ha varato un piano di riorganizzazione che prevede tagli al personale;
   L'azienda ha comunicato alle organizzazioni sindacali l'apertura della procedura di mobilità per 151 addetti su un complessivo di 609 dipendenti distribuiti in 6 regioni; in particolar sono previsti oltre 60 esuberi nelle unità operative di Perugia, Terni e San Giustino;
   nonostante un incontro tra l'azienda e i sindacati, la direzione aziendale ha confermato il piano dei licenziamenti; tale scelta è stata criticata dalla delegazione sindacale ad avviso della quale i licenziamenti non sono giustificabili sia in fatto di conti sia per la mancanza di un piano industriale che se redatto potrebbe salvare l'occupazione e ridurre gli sprechi e settori in difficoltà;
   la situazione sarebbe particolarmente grave, poiché per l'impresa non sarebbe possibile associare ammortizzatori sociali da poter utilizzare per gestire gli esuberi in quanto l'azienda non è beneficiaria di trattamento di cassa integrazione straordinaria a seguito di un inquadramento Inps particolare;
   a tutt'oggi rimane forte la preoccupazione tra i dipendenti delle unità operative situate a Perugia e in Umbria in merito al proprio futuro occupazionale e per la mancanza di tutele adeguate –:
   se il governo intenda attivare un tavolo di confronto — coinvolgendo le istituzioni locali e regionali — al fine di individuare la soluzione più adeguata che porti ad un ripensamento delle scelte aziendali, anche facendosi promotore di un nuovo piano industriale che abbia come obiettivo prioritario la salvaguardia dei livelli occupazionali e il rilancio dell'attività economica del gruppo Liomatic. (5-05107)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZACCAGNINI, RICCIATTI, NICCHI, SANNICANDRO e MELILLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 febbraio 2015, rispondendo ad un'iniziativa pensata proprio per Expo e promossa dalle Fondazioni Catella, Trussardi e da Confagricoltura, 5000 volontari, tra cui moltissimi bambini hanno partecipato alla semina, volta alla realizzazione dell'enorme campo di grano nel quartiere di Porta Nuova, in piazza Gae Aulenti a Milano;
   in merito all'iniziativa il settimanale L'Espresso con un articolo a firma di Francesca Sironi dal titolo Expo, la denuncia: «Usati semi nocivi ai bimbi» L'azienda: «Innocui, solo sacchi prestampati», descriveva come: «Cinquemila volontari sono andati a seminare un campo per l'esposizione milanese. Ma una donna ha scoperto che sul sacco delle sementi c'era l'avvertenza di non usarle a mani nude, come fatto da centinaia di bimbi. Il produttore risponde: erano naturali, soltanto portati in confezioni con la dicitura sbagliata (...) Le tre foto pubblicate dalla mamma con la dizione dei semi. Si tratterebbe infatti di semi conciati, industriali, rivestiti di farmaci per renderli resistenti. «Anche gli operai specializzati maneggiano questo tipo di sementi utilizzando i guanti», spiega Mario Salvi, responsabile tecnico di Confagricoltura, fra le promotrici del progetto, ma per quanto riguarda un frutteto che verrà piantumato in futuro: «Dare in mano questi semi a dei bambini, a mani nude, è assolutamente poco responsabile, almeno». Eppure sembra esattamente quello che è successo: centinaia di bambini a mani tese davanti al sacco aperto, per diventare contadini per un giorno. Possibile ? I commenti ad Alessandra sono decine, sempre più preoccupati. La notizia inizia a girare in Rete. «Abbiamo contattato i referenti del progetto e la ditta che ha fornito i semi», risponde allora su Twitter a un attivista No-Expo, Abo, il comune di Milano: «Produttori Sementi Bologna ha dichiarato che per la Festa della semina sono stati usati solo semi non trattati in quanto tali, assolutamente adatti a essere maneggiati da chiunque, anche dai bambini, senza alcun pericolo». «Tutti i sacchi dell'azienda PSB sono prestampati», continua il comune: «e, da direttiva ESA, contengono le indicazioni di sicurezza. Per la semina tutti i sacchi PSB presenti erano nuovi. Sono stati riempiti esclusivamente col seme non trattato». La Produttori Sementi Bologna ha scritto anche a L'Espresso. «Ci teniamo a rassicurare la cittadinanza milanese intervenuta sull'assoluta sicurezza dei semi utilizzati», spiegano in un commento: «Come già comunicato, per l'evento abbiamo utilizzato semi non trattati e quindi perfettamente adatti a essere maneggiati da chiunque a mani nude, senza correre alcun rischio per la propria salute. I sacchi, riportanti le indicazioni conformi alle direttive sulla possibile nocività delle sementi, erano nuovi e mai utilizzati per il trasporto o lo stoccaggio. La loro presenza sul luogo dell'evento era finalizzata al solo scopo promozionale per dare visibilità all'azienda». «Una volta di più ci teniamo a rassicurare», continua la nota: «tutte le famiglie che hanno partecipato a questo importante evento cittadino sul fatto che in nessun caso la loro salute e quella dei loro cari è stata messa a repentaglio» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative per quanto di competenza, intendano intraprendere;
   se non reputino opportuno, anche vista la natura dell'iniziativa volta a promuovere un evento come Expo, basato sul cibo e la sua genuinità, effettuare dei controlli sulle sementi utilizzate nell'ambito dell'iniziativa al fine di dipanare ogni dubbio circa la nocività dei semi utilizzati, se realmente non nocivi rispetto a ciò che invece era riportato in etichetta;
   se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza per dare piena attuazione alle disposizioni introdotte dal Regolamento (CE) 1169/2011, sull'etichetta degli alimenti e delle sementi che obbliga ad una corretta informazione. (5-05114)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI VITA, GRILLO, MANTERO, DALL'OSSO, CECCONI, SILVIA GIORDANO e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la locuzione «disfunzione dell'ATM» viene genericamente indicata una patologia a carico dell'articolazione temporo-mandibolare determinata dalla perdita dei naturali rapporti anatomici esistenti tra i capi articolari, quello della mandibola (condilo), quello dell'osso temporale (fossa glenoide) e il menisco articolare tra loro interposto allo scopo di rendere congrue le superfici articolari;
   tale si caratterizza per una serie di disturbi clinici quali: cefalea, mal di schiena, vertigini, nausea, acufeni, rumori articolari (click), limitazione dei movimenti mandibolari, algie facciali, cervicalgia, riduzione dell'udito, dolori irradiati all'orecchio, agli zigomi, fischi o ronzii all'udito, capogiri, torcicollo, bruxismo, parestesia alle spalle, agli arti superiori, alle mani, fastidio o dolore alla deglutizione, blocco articolare acuto o cronico (limitazione di apertura, fino al blocco in apertura e chiusura della bocca), sindromi simil-trigeminali (dolori trafittivi o a scossa elettrica in zona cranio-facciale), malocclusione, asimmetria di crescita cranio-facciale, respirazione orale, traumi diretti o indiretti cranio-cervico-mandibolari, vizi di postura, patologie ortopediche e/o fisiatriche, con coinvolgimento della postura cranio-cervicale, ansie e stress, attacchi di panico, aperture esagerate della bocca, parafunzioni (digrignare o serrare i denti, masticare gomme, mordicchiare unghie e/o oggetti), lassità legamentosa (ipermobilità articolare, frequente nelle donne), parestesie agli arti inferiori, disturbi della fonazione, eccetera; condizioni, queste, che possono presentarsi singolarmente, oppure variamente sovrapposte;
   le forme di dolore cronico possono arrivare a determinare una compromissione delle interazioni di lavoro o sociali, con conseguente riduzione della qualità di vita generale della persona;
   il campo delle disfunzioni dell'articolazione temporo-mandibolare è salito alla ribalta proprio perché sono in aumento i pazienti che lamentano tale tipo di disturbi. Studi epidemiologici rivelano infatti che le disfunzioni temporo-mandibolari colpiscono almeno il 70 per cento della popolazione, in maggioranza le donne con un rapporto di 1 a 4, evidenziando i disturbi maggiormente tra i 15-45 anni; tuttavia, già dal 2000 uno studio condotto dall'università di Perugia ne documentava la gravità e l'incidenza sulla popolazione;
   in letteratura, tuttavia, sono diverse e controverse le definizioni riconducibili ai suddetti disturbi: disfunzione temporomandibolare (DTM), sindrome dolorosa miofasciale mandibolare, disturbo delle articolazioni temporomandibolari, o anche disordine cranio-cervico-mandibolare (DCCM);
   negli ultimi anni sono altresì moltiplicati gli studi riguardanti le possibili correlazioni tra malocclusioni dentali, alterazioni del rachide cervicale e alcune forme di cefalee facciali. Nonostante gli sforzi della ricerca, tuttavia, il campo delle disfunzioni temporo mandibolari presenta ancor oggi molte zone d'ombra;
   anche se l'articolazione temporo-mandibolare risulta essere una delle strutture del corpo umano più importanti, per le peculiarità che presenta e per la sua complessa anatomia, è soltanto recentemente, infatti, che alcuni studiosi hanno messo in evidenza le relazioni che legano questa articolazione con il sistema muscolare e i meccanismi neurologici di controllo. Infatti, diversi specialisti, tra cui odontoiatri, ortopedici, ortodontisti, otorinolaringoiatri, fisiatri, neurologi si sono ritrovati a studiare, dal loro punto di vista, i complessi rapporti esistenti tra l'apparato stomatognatico e il resto dell'organismo, facendo ricorso esclusivo alle proprie conoscenze mediche pregresse, preso atto della mancanza di protocolli terapeutici o indicazioni univoche da parte delle istituzioni e/o della medicina ufficiale;
   in Italia i professionisti implicati e, dunque, consultati nel controllo e nella cura dell'apparato masticatorio sono prevalentemente gli odontoiatri, più di recente, gli gnatologi; in presenza dei sintomi acuti sopra descritti, il loro approccio «terapeutico» (se così può essere definito, atteso che non esiste una terapia che curi questa «condizione umana») prevede essenzialmente l'utilizzo di farmaci antinfiammatori e miorilassanti per alcuni giorni, cui si accompagna la valutazione dell'utilizzo di un dispositivo mobile da interporre tra le arcate dentali tipo bite-plane, allo scopo di ripristinare l'equilibrio occlusale e, conseguentemente, di tutto il corpo;
   è opportuno evidenziare, però, che quelli dell'articolazione temporo-mandibolare si caratterizzano come i classici disturbi di confine poiché generalmente essi non si presentano con una sintomatologia evidente: ciò che si verifica pressoché nella maggioranza dei casi, infatti, è che i pazienti che accusano uno o più sintomi si rivolgono per una valutazione, appunto, del sintomo e dei più sintomi accusati, ad un numero variabile di specialisti quali, solo per citarne alcuni, i dentisti, gli odontoiatri, gli gnatologi, gli otorinolaringoiatri, i neurologi, gli ortopedici-fisiatri o lo stesso medico generico, con il risultato pressoché ordinario, dato il quadro sintomatologico spesso di difficile interpretazione diagnostica, di analisi molto costose dall'interpretazione opinabile e/o di prescrizioni di lunghi, inutili o, peggio ancora, errati e potenzialmente dannosi, trattamenti sintomatici, anche a base di psicofarmaci; ciò al netto di una descritta vasta sintomatologia che rende altamente complessa, e non senza ripercussioni per la salute del paziente, l'attività di diagnosi da parte del medico specialista che, nella quasi totalità dei casi, non riconduce la stessa sintomatologia ad una disfunzione dell'articolazione temporo-mandibolare, se non in ultima istanza;
   è evidente che le disfunzioni temporo mandibolari versano ancora nell'incertezza più totale dal punto di vista medico e ciò emerge chiaramente nella recente letteratura scientifica: l'Announcement of New Science Information Statement on TMDS, approvato nel marzo del 2010 dall’American Association for Dental Research (AADR), dal titolo «Management of Patients with TMDs: A New «Standard of Care», evidenzia sostanzialmente che ancora non sono state trovate terapie efficaci; la European Academy of Craniomandibular Disorders con le sue «Recommendations for examinations, diagnosis, management of patients with temporomandibular disorders ad orofacial pain by the general dental practitioner», in particolare nel paragrafo relativo alle terapie praticabili, afferma che non è possibile trovare una terapia basata sull'eziologia poiché questa non è ancora ben conosciuta; viene altresì evidenziato che solamente pochissimi studi hanno approfondito i risultati terapeutici dovuti a una sola terapia occlusale. In entrambi gli studi citati, in conclusione, si afferma che non vi sono certezze al riguardo, ma, soprattutto, che non si possiedono basi scientifiche certe e che le terapie risultano efficaci o meno variabilmente a seconda del paziente;
   nelle raccomandazioni del Ministero della salute in odontostomatologia del 2014, alla pagina 155, si legge: «Nonostante i fattori eziologici dei vari disordini temporomandibolari non siano ancora completamente chiariti, non vi sono correnti evidenze che malocclusioni, perdita di denti, interferenze occlusali causino in maniera diretta disordini temporomandibolari». Vi si legge subito dopo circa le terapie praticabili: «dispositivi intraorali (placche occlusali: non esiste un disegno di placca che si sia dimostrato chiaramente superiore ad altri; è sempre consigliabile una costruzione individuale accompagnata da istruzioni personalizzate e seguita da attento monitoraggio)». A pagina 216 , poi, con riferimento alle «problematiche verticali» viene solo timidamente asserito che «Ancora discusso è il ruolo del deep bite nella patogenesi dei disordini cranio-mandibolari»;
   anche le linee guida emanate dal Ministero della salute in materia (quaderno della salute n. 7 Gen-Feb 2011) presentano confusione nei dati in questo campo. Alla pagina 81, infatti, a giudizio degli interroganti in contraddizione con quanto apoditticamente prescritto nelle pagine precedenti, si legge: «Nei pazienti con disordini posturali, in base ai dati forniti dalla letteratura, non è possibile l'attuazione di terapia odontoiatriche volte alla correzione degli stessi. Allo stato attuale mancano ancora prove scientifiche certe e, quindi, le relative evidenze che dimostrino la natura delle relazioni tra occlusione, disfunzioni temporo-mandibolari e postura. È comunque il caso di segnalare che, nell'evidenza clinica, vi sono riscontri di pazienti con sintomatologie riferibili a disordini posturali che hanno confermato il miglioramento della sintomatologia successivamente al riequilibrio occlusale. La spiegazione di tali eventi è tuttora nel campo delle ipotesi e nessun dato scientifico ne è a supporto»;
   è una circostanza paradossale che, nonostante l'altissima incidenza di questa «condizione» nella popolazione e i fortissimi disagi che essa provoca, l'assistenza odontoiatrica pubblica nell'ambito di tale patologia risulti del tutto carente; ciò può ritenersi in parte frutto dell'applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, il quale stabilisce che le cure odontoiatriche pubbliche siano rivolte soltanto ad alcune categorie di persone, mentre per tutte le restanti non resta altra soluzione che rivolgersi ai liberi professionisti privati;
   con particolare riferimento, poi, alla locuzione del disordine cranio-cervico-mandibolare (DCCM), spesso distintamente utilizzata nella letteratura scientifica, si constata che ancora oggi essa non risulta presente nell'elenco delle patologie croniche riconosciute dal Ministero della salute; tale circostanza alimenta ancor più il dubbio che le istituzioni non abbiano ancora provveduto a classificare nettamente la «condizione» come una patologia propriamente detta;
   dal 2002, con l'introduzione dei Lea (livelli essenziali di assistenza) le cure odontoiatriche sono a carico della regione, che ha l'obbligo di garantire la prevenzione (per la fascia d'età 0-14) e di assistere i malati gravi. Nessun tipo di assistenza, servizio o professionalità è però prevista per i pazienti affetti da disordine cranio-cervico-mandibolare, nonostante sul sistema sanitario regionale siano intervenuti prima il Ministero della salute e poi  una Commissione parlamentare d'inchiesta (presieduta dall'attuale sindaco di Roma, Ignazio Marino) che hanno stabilito come invece la sanità pubblica deve (o dovrebbe) garantire l'accesso alle cure;
   la comunità scientifica sembra dunque non essere ancora giunta a creare un protocollo terapeutico definitivo per il contrasto specifico del disordine cranio-cervico-mandibolare, pertanto non esisterebbe ancora una vera e propria cura, così come la gnatologia non ha approfondito del tutto i nessi causali tra la disfunzione e l'ampio spettro di sintomi che causa –:
   se intenda illustrare quale sia lo stato dell'arte nei riconoscimenti scientifici ufficiali per patologie complesse come la sindrome algico disfunzionale e, più in generale, per la disfunzione cranio cervico mandibolare, quali siano le relative cure e terapie fornite dal servizio sanitario nazionale e quale sia lo stato attuale della ricerca;
   se esista una definizione ufficiale di disordine cranio-cervico-mandibolare, se essa sia classificata come «patologia umana» e, in tal caso, come venga effettuata la diagnosi e perché risulti ancora dunque così difficile per dentisti e gnatologi procedere ad una diagnosi certa nonché, soprattutto, documentata di tale patologia, e perché non esistano atti ufficiali del Ministero che ne forniscono una definizione univoca;
   se esista una distinzione chiara tra disordine cranio-cervico-mandibolare, disturbi dell'articolazione temporo-mandibolare, sindrome algico-disfunzionale, tutte definizioni, queste, che sembrano riferirsi alla stessa patologia ma che rivelano le grandi controversie in materia esistenti tuttora in questo campo;
   se sia mai stata condotta una specifica sperimentazione scientifica;
   se esistano, e quali siano, le terapie ufficialmente riconosciute che hanno portato a risultati sicuri, quindi sperimentati;
   se non si ritenga di dover avviare una ricerca mirata in questo campo vista la quasi totale mancanza nella letteratura scientifica, anche internazionale, della stessa definizione di disordine cranio-cervico-mandibolare, di cure e terapie, dal momento che «disordini dell'articolazione temporo-mandibolare» si dimostra essere una definizione troppo generica, considerato che non si è certi della correlazione tra sintomi e patologia;
   se la problematica sia almeno oggetto di ricerca degli Istituti di ricerca e cura a carattere scientifico o, in caso contrario, se intenda includerla urgentemente visto che la percentuale della popolazione colpita da questi disturbi ammonta a circa il 70-80 per cento della popolazione di cui il 35 per cento sintomatici, spesso invalidanti;
   se sia a conoscenza del fatto che spesso le persone affette da disordine cranio-cervico-mandibolare, non riuscendo a reperire uno specialista che diagnostichi chiaramente tale patologia e, non potendo, nei casi più gravi, svolgere gli atti quotidiani della vita, si ritrovano oltretutto nell'impossibilità di richiedere il riconoscimento dell'invalidità civile, e cosa intenda fare al riguardo;
   se sia stata condotta una ricognizione dei pazienti che in Italia soffrono di questi disturbi e che risultano tuttora senza cura, a fronte del fatto che nei casi di disordine cranio-cervico-mandibolare il servizio sanitario nazionale non fornisce alcuna assistenza odontoiatrica, non risultando essa nemmeno compresa nei Lea, e se non ritenga opportuno avviarla al più presto, considerato il fatto che le prime cure cui gli italiani rinunciano in periodi di crisi sono proprio quelle dentistiche, perché più costose;
   se sia a conoscenza del fatto che molti pazienti, come accennato in premessa, spesso dopo lunghi e inutili esami e accertamenti che abbracciano numerose discipline, vengono addirittura curati attraverso la prescrizione di psicofarmaci;
   se non ritenga doveroso e urgente assumere iniziative per disporre a carico dei professionisti sanitari che offrono le proprie cure e terapie per questa patologia, un generale obbligo di informazione del paziente sul reale stato dell'arte;
   se il Ministero disponga di dati in relazione all'efficacia, ai benefici e agli eventuali effetti pregiudiziali delle terapie prescritte dagli studi odontoiatrici privati contro tali disturbi, e se intenda promuovere iniziative al fine di verificare se i pazienti in cura traggano effettivamente benefici o se, al contrario, vengano ulteriormente danneggiati, come molti purtroppo lamentano;
   a che titolo gli odontoiatri forniscono cure, terapie e dispositivi ortotici se il Ministero stesso non ha riconosciuto alcuna terapia ufficiale;
   se sia consapevole del fatto che il mancato riconoscimento di una terapia ufficiale consente agli specialisti di fare delle vere e proprie sperimentazioni sui pazienti tramite l'uso di bite e ortotici costruiti solo sulla base di conoscenze ed esperienza personali del medico, senza nessuna evidenza scientifica al riguardo e, spesso, senza informarne il paziente;
   se abbia contezza delle numerose segnalazioni, inoltrate in questi anni, dei cittadini che denunciano questa problematica, se abbia già risposto loro, e come si sia eventualmente attivato per farvi fronte;
   come venga realmente inquadrata la branca della gnatologia che, non essendo una disciplina medica a tutti gli effetti, non prevede nemmeno una scuola di specializzazione pubblica in Italia;
   se sia a conoscenza delle molte difficoltà che i pazienti affetti da tali disturbi incontrano nel tentativo di individuare cure o terapie adeguate alla propria condizione, tra le numerose, anche contrastanti, offerte e rese facilmente accessibili sul web da numerosi dentisti, e non per forza gnatologi, i quali omettono spesso di avvisare e informare esplicitamente gli utenti del fatto che ad oggi non esiste ancora alcuna terapia scientificamente riconosciuta, e cosa intenda fare al riguardo;
   se il problema sia oggetto di studio del gruppo tecnico sull'odontoiatria, da poco rinnovato dallo stesso Ministero, o se, in caso contrario, non ritenga doveroso sottoporlo a tale gruppo al più presto;
   se non sia il caso di prendere urgentemente in considerazione l'avvio di una ricerca ad hoc sul campo coinvolgendo, oltre le diverse figure professionali interessate, data la interdisciplinarità della problematica, che investe gnatologi, posturologi, osteopati, odontoiatri, fisioterapisti, farmacologi, ricercatori, anche esperti di branche scientifiche complementari qual è, ad esempio, l'ingegneria biomedica, o discipline affini che possano comunque integrare e ausiliare la ricerca nella individuazione esatta delle cause e, quindi, di una cura specifica, nonché pazienti con anni di esperienza alle spalle, che possano fornire la propria testimonianza. (5-05110)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   D'ALIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da ormai cinque anni si verificano, nella città di Cumiana, in provincia di Torino, gravi disservizi postali. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), su istanza di un gruppo di cittadini, ha riconosciuto i frequenti ritardi nel recapito della posta ordinaria, con gravi disagi per la collettività;
   Poste s.p.a. ha spiegato all'AGCOM che i disservizi nel servizio postale erano dovuti al riordino del settore postale e ha garantito che il problema del disservizio sarebbe stato risolto;
   contrariamente a quanto affermato dal Poste s.p.a., la situazione del recapito della posta, a quanto consta all'interrogante, non è purtroppo migliorata. Tra l'altro, la cittadina di Cumiana è nell'elenco dei comuni nei quali Poste s.p.a. ha previsto la distribuzione della corrispondenza in soli tre giorni la settimana;
   pertanto il servizio, già insufficiente, è peggiorato ulteriormente anche per la mancanza degli operatori che effettuano il servizio;
   si consideri che l'amministrazione comunale non ha effettuato, attualmente, alcuna iniziativa diretta a risolvere la suddetta situazione –:
   quali iniziative intenda adottare per garantire un regolare espletamento del servizio postale nella cittadina di Cumiana al fine di non penalizzare l'utenza. (3-01381)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la cooperativa sociale AIDAS di Terni occupava circa 170 – 180 persone tra soci lavoratori e dipendenti;
   la AIDAS ha fatto parte di una cordata di imprese con capofila la società ACTL, guidata da Sandro Corsi esponente del Partito Democratico temano; quest'ultima da sola o in associazione con altre cooperative, per conto del comune o della Asl, opera anch'essa nel campo dell'assistenza ai disabili, agli anziani e nella gestione di alcuni centri diurni;
   a seguito di difficoltà economiche, nel dicembre del 2013 la AIDAS è stata commissariata dal Ministero ed ora la dottoressa Marcella Galvani è stata nominata commissario governativo e la AIDAS si trova in liquidazione coatta amministrativa;
   nonostante la nomina del nuovo commissario governativo, forte è la preoccupazione tra i soci lavoratori in merito alle scelte che sono state assunte dal commissario: infatti il commissario dottoressa Marcella Galvani ha presentato un bando per affitto di ramo di azienda della cooperativa AIDAS con sede in Terni, via Alfieri n. 3, – in particolare della struttura per anziani di Collerolletta del comune di Terni – il cui articolo 5 dispone: «I rapporti di lavoro a tempo indeterminato (con esclusione quindi dei dipendenti in Cassa Integrazione straordinaria e di quelli in astensione per maternità), attualmente in essere con la cooperativa sociale AIDAS, continueranno con l'aggiudicatario il quale dovrà mantenere sussistenti detti rapporti di lavoro per tutto il periodo di vigenza del contratto d'affitto di ramo di azienda...»;
   la scelta del commissario di escludere dal bando i dipendenti in cassa integrazione e soprattutto le lavoratrici in astensione per maternità dalla possibilità di continuare a lavorare con l'aggiudicatario appare, ad avviso dell'interrogante, iniqua, ingiustificata e lesiva dei diritti delle lavoratrici in maternità;
   anche il sindacato della Uil di Terni nella persona di Gino Venturi ha duramente criticato tale scelta: «Con il passaggio di gestione rimarrebbero senza il loro lavoro. Essere penalizzate per la maternità ci sembrerebbe cosa di altri tempi ed è singolare che il bando sia emanato da un commissario governativo. E pensare che lo stesso bando deve essere stato a lungo meditato visto che è stato emanato con mesi di ritardo.» (da www.umbria24.it del 21 agosto 2014);
   a ciò si aggiunga che per un «errore tecnico» anche dodici persone – tutte lavoratrici della cooperativa AIDAS – non potranno accedere alla cassa integrazione: infatti come si apprende dall'articolo pubblicato in www.umbria24.it del 25 settembre scorso dal titolo «Terni, cassa integrazione negata all'Aidas. Sindacati infuriati: “Tutta colpa del commissario”», il 4 settembre u.s. «il Ministero del lavoro ha negato la cassa integrazione “straordinaria” alle lavoratrici perché la cooperativa non aveva i requisiti necessari e doveva invece essere richiesta quella in deroga per il periodo giugno – agosto nel quale le dodici persone erano state estromesse dal lavoro»;
   i sindacati hanno denunciato la criticità della situazione in cui versano ora le lavoratrici che si trovano non solo senza stipendio ma anche senza ammortizzatori sociali: inoltre «Del provvedimento ministeriale di 20 giorni fa, sia le organizzazioni sindacali, sia le lavoratrici interessate, sono state tenute all'oscuro. Le lavoratrici non dovranno essere penalizzate di un solo euro. Chi ha provocato il danno ora se ne deve assumere le responsabilità e farsene carico» (www.umbria24.it del 25 settembre 2014);
   ora i sindacati si sarebbero rifiutati, in accordo con le lavoratrici, di sottoscrivere un accordo per la cassa in deroga in quanto, per effetto della clausola del bando emanato dal Commissario (articolo 5 sopra riportato), le lavoratrici verrebbero escluse anche dal poter lavorare per la nuova gestione;
   dunque verranno escluse e non potranno essere assunte dalla nuova gestione del futuro aggiudicatario secondo quanto prevede l'articolo 5 del bando non solo le lavoratrici in astensione per maternità ma anche le lavoratrici che sottoscrivessero l'eventuale accordo di cassa integrazione;
   è necessario un intervento forte e trasparente per tutelare i diritti delle lavoratrici affinché venga loro garantito il diritto alla conservazione del posto di lavoro e delle quali è messo a rischio il futuro occupazionale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti;
   i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, ritengano legittimo l'operato del commissario Marcella Galgani e il bando per l'affitto di ramo di azienda emanato dal medesimo commissario con il quale sono stati esclusi i dipendenti in cassa integrazione straordinaria e quelli in astensione per maternità dal poter continuare a lavorare con l'aggiudicatario del bando;
   quali urgenti iniziative intendano assumere i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, anche sensibilizzando a tal fine il commissario nominato, per assicurare il mantenimento del reddito e la continuità dei rapporti di lavoro anche a quei dipendenti che si trovano in astensione per maternità e in cassa integrazione e al fine di trovare una soluzione condivisa che ne eviti l'esclusione dal ciclo produttivo e dal lavoro e che porti ad un ripensamento del contenuto dell'articolo 5 del bando. (5-05104)


   SGAMBATO, MANFREDI e VALERIA VALENTE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, che gestisce i servizi postali in una condizione di reale monopolio e che, sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, assicura l'espletamento del servizio universale, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui anche quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli;
   il piano di riorganizzazione previsto da Poste italiane spa, come dichiarato dall'AD Caio in Audizione in Parlamento, dovrebbe diventare effettivo dal 13 aprile nell'ambito dell'avviato processo di privatizzazione, e prevede a livello Nazionale la chiusura di 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in 608 uffici;
   nella regione Campania sembrano destinati alla chiusura, entro il 13 aprile prossimo, 21 uffici postali, e altri 39 interessati dalla riduzione delle giornate di apertura;
   in particolare, sembrerebbe che nella sola provincia di Caserta ciò comporterebbe interventi di chiusura per almeno 7 uffici tra i comuni di Vairano Patenora, Caserta, Marzano Appio, Teano, due a Sessa Aurunca, e Pontelatone; e nella Provincia di Napoli, tra gli altri, nei Comuni di Agerola e Seiano di Vico Equense; unitamente ad altre operazioni di razionalizzazione;
   è evidente che questo piano contrasta fortemente con la tradizione di vocazione sociale di Poste italiane, di diffusione dei servizi sul territorio, di aumento dei disagi per i cittadini specie nelle zone meno ricche;
   inoltre, questa razionalizzazione rischia di tradursi in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti, su territori particolarmente disagiati;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   il 22 gennaio 2014 il presidente dell'Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni rispondendo a specifica missiva del Presidente dell'Intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna ha ricordato che con apposita delibera l'Authority ha «ritenuto opportuno inserire (...) specifici divieti di chiusura di quegli uffici che servono gli utenti che abitano nelle zone remote del Paese (...) ritenendo prevalente l'esigenza di garantire la fruizione del servizio nelle zone disagiate anche a fronte di volumi di traffico molto bassi e di alti costi di esercizio»;
   la delibera dell'AGCOM n. 342/14/Cons del 26 giugno 2014 ha integrato i criteri elencati nell'articolo 2 del decreto ministeriale 7 ottobre 2008, prescrivendo all'articolo 2 relativo ai comuni rurali e montani, il divieto di chiusura di uffici postali situati in comuni rurali (quelli con densità abitativa inferiore a 150 abitanti per chilometro quadrato) che rientrano anche nella categoria dei comuni montani (quelli contrassegnati come totalmente montani), ed escludendo dal citato divieto soltanto i comuni in cui siano presenti più di due uffici postali e il rapporto abitanti per ufficio postale sia inferiore a 800;
   inoltre, la medesima delibera obbliga Poste italiane ad avviare con congruo anticipo con le istituzioni locali delle misure di razionalizzazione per avviare un, confronto sulle possibilità di limitare i disagi per le popolazioni interessate individuando soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
   il Ministero dello sviluppo economico in data 12 febbraio 2015, a margine dell'incontro tenutosi tra il Sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, l'amministratore delegato di Poste italiane Francesco Caio e il presidente dell'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni Angelo Cardani aveva dichiarato che regioni e comuni sarebbero stati coinvolti nel piano di chiusura degli uffici postali e che Poste italiane avrebbe coinvolto regioni ed enti locali per spiegare come servizi innovativi avrebbero assicurato la tutela del servizio universale per i cittadini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti, e se intenda intervenire al fine di aprire una concertazione tra la direzione di Poste italiane spa e le amministrazioni locali, garantendo il rispetto dei disposti stabiliti dall'Autorità per il garante delle comunicazioni;
   se non ritenga altresì appurare che Poste italiane, in vista di questa riorganizzazione aziendale, si sia attivata nel comunicare le proprie decisioni ai cittadini interessati. (5-05111)

Interrogazione a risposta scritta:


   VITELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   47 comuni del Piemonte occidentale, con baricentro la città di Pinerolo, soci della srl ACEA Pinerolese Energia (APE), intendono dar vita ad una comunità energetica finalizzata all'autoproduzione e autoconsumo di energia diffusa e da fonti rinnovabili, con scambio tra i soci e scambio delle eccedenze positive e negative col resto della rete di distribuzione nazionale;
   il territorio corrispondente ai suddetti comuni conta poco meno di 150.000 abitanti e su di esso sono presenti numerosi impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili: pannelli fotovoltaici comunali, di imprese, di privati; APE produce biometano da rifiuti urbani e energia idroelettrica da un paio di centrali, una delle quali lungo le condotte dell'acquedotto della Val Chisone;
   una comunità energetica è un ente economico associato (giuridicamente assomigliante ad una cooperativa) che può raggruppare enti pubblici (comuni), imprese (APE), privati, con l'obiettivo di produrre energia per l'autoconsumo scambiando poi le eccedenze positive o negative con la rete esterna;
   in concreto, i comuni interessati costituirebbero la comunità aprendola alla partecipazione anche di soggetti imprenditoriali e singoli privati presenti sul territorio di riferimento, tanto in veste di produttori di energia (in quanto titolari di impianti domestici o aziendali), che di semplici consumatori. L'energia prodotta in modo diffuso verrebbe prioritariamente ridistribuita fra i soci della comunità che poi provvederebbe a scambiare, a condizioni di mercato, e come soggetto plurale unico, eccedenze positive e negative con la rete esterna;
   il quadro normativo attuale non prevede questo tipo di soggetto associato. Sono invece considerate e definite varie fattispecie di produttori/consumatori (individuate da sigle come SEU e ASAP) che però non rivestono la qualifica di distributori: in pratica la trasmissione dell'energia deve avvenire al di fuori della rete pubblica e in generale si tratta di un unico soggetto che gestisce la produzione e/o di un unico destinatario finale;
   vi è però l'eccezione di cooperative e consorzi storici: i consorzi riguardano soggetti industriali, le cooperative invece coinvolgono amministrazioni pubbliche (comuni) e privati. Le cooperative storiche (il termine «storiche» significa che dovevano già esistere alla data del 1o aprile 1999) sono le cooperative di produzione e distribuzione dell'energia elettrica di cui all'articolo 4, numero 8, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, la cui attività (scambio di energia fra i soci) non viene considerata attività di distribuzione, bensì, ai sensi del decreto legislativo n. 79 del 1999, attività di autoproduzione;
   esistono casi di simili cooperative ad esempio nel comune di Prato allo Stelvio (Bolzano), nei comuni del Primero e Vanoi (Trento), nei comuni di Paluzza, Sutrio, Cercivento, Ligosullo, Ravascletto e Sutrio (Udine);
   la disparità tra cooperative «storiche» e analoghe cooperative che volessero costituirsi successivamente pare all'interrogante configurare una violazione del principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge ed anche una distorsione del mercato dell'energia –:
   se trovi conferma che le esperienze citate, sulla base delle norme vigenti in materia di autoproduzione e autoconsumo, non siano replicabili altrove, e in particolare nel pinerolese;
   considerato che la progressiva riduzione della dipendenza energetica da fonti non rinnovabili è senza dubbio un obiettivo fondamentale per la sostenibilità dell'economia nazionale (ed europea), se non si ritenga di dover assumere iniziative per rimuovere gli ostacoli normativi che si frappongono alla generalizzazione della produzione e consumo di energia distribuiti e diffusi sul territorio. (4-08522)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Famiglietti e altri n. 1-00685, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Amoddio.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Sorial n. 4-08475, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: D'Incà, Caso, Brugnerotto, Cariello, Castelli, Colonnese.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Vargiu n. 4-08507, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 396 del 20 marzo 2015.

   VARGIU. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   al fine di corrispondere alle esigenze di razionalizzazione delle risorse disponibili e di quelle connesse all'espletamento dei compiti istituzionali delle Forze di polizia, nelle more della definizione delle procedure contrattali e negoziali di cui all'articolo 9, comma 17, del decreto-legge 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge 122 del 2010 recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», il comma 266 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» avvia le procedure per la revisione dell'accordo nazionale quadro in deroga dell'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 164 del 2002;
   il comma 267 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015 stabilisce che la revisione di tali accordi deve tenere conto del mutato assetto funzionale, organizzativo e di servizio derivante dalle misure di contenimento della spesa pubblica previste dai provvedimenti in materia finanziaria dall'anno 2010, con particolare riferimento a quelle del parziale blocco del turn over nelle Forze di polizia e alla conseguente elevazione dell'età media del personale in servizio;
   le norme sopra richiamate intervengono significativamente sul comparto sicurezza e prevedono, a decorrere dal 1o gennaio 2015, lo sblocco dei contratti degli addetti delle Forze di polizia e degli assegni loro spettanti (passaggio di grado, anzianità di servizio, assegno funzionale a 17, 27 e 32 anni di servizi, omogeneizzazione stipendiale, eccetera) sospesi dal 2011 al 2014 secondo quanto stabilito dal decreto-legge 78 del 2010;
   tali previsioni non hanno tuttavia effetti retroattivi, pertanto i commi 266, 267 e 268 della legge di stabilità 2015 non riconoscono al personale in pensione gli arretrati degli assegni loro spettanti maturati durante il periodo ricadente tra il 1o gennaio 2011 e il 31 dicembre 2014, a differenza di quanto invece verrà riconosciuto al personale ancora in servizio a decorrere dal 1o gennaio 2015;
   tale penalizzazione – se non modificata attraverso il ricalcolo dell'assegno di pensione mensile percepito ed il trattamento di fine rapporto liquidato in base ai diritti maturati dal 1o gennaio 2015 – rischia di introdurre una inaccettabile difformità di trattamento tra il personale di pari grado e pari anzianità ancora in servizio ed il personale attualmente in pensione;
   si stima che il personale delle Forze di polizia andato in pensione durante il periodo di blocco contrattuale si aggiri intorno alle quattromila unità –:
   quali iniziative normative intendano tempestivamente proporre al fine di riconoscere gli assegni spettanti al personale delle forze di polizia attualmente in pensione maturati tra il 1o gennaio 2011 ed il 31 dicembre 2014. (4-08507)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza Brunetta n. 2-00903 del 19 marzo 2015;
   interpellanza urgente Russo n. 2-00870 del 3 marzo 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Di Vita e altri n. 4-04922 del 26 maggio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05110;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini n. 4-05669 del 24 luglio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05099;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini n. 4-05777 del 5 agosto 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05100;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-05824 del 6 agosto 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05101;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-05992 dell'11 settembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05102;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e altri n. 4-06034 del 16 settembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05103;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-06174 del 26 settembre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05104;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-06246 del 2 ottobre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05105;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini n. 4-06292 del 7 ottobre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05106;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-06638 del 29 ottobre 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05107;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-07410 del 5 gennaio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05108;
   interrogazione a risposta scritta Ciprini e Gallinella n. 4-08168 del 26 febbraio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05109.