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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 12 giugno 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    le indagini conoscitive condotte dalle commissioni di Camera e Senato sulla sostenibilità del sistema sanitario hanno consegnato al Parlamento ed al Governo impegnative conclusioni: una su tutte attiene alla necessità di non diminuire il finanziamento al sistema sanitario, ma di reinvestire nel sistema i risparmi che si debbono realizzare attraverso un'oculata spending review;
    un capitolo decisivo per l'efficienza del Servizio sanitario nazionale riguarda il personale. Come evidenzia la relazione approvata in data 10 giugno 2015 presso la 12a Commissione del Senato della Repubblica, «il personale costituisce oggi uno dei fattori di maggiore criticità del Servizio sanitario nazionale. Nel Servizio sanitario nazionale lavorano oltre 715 mila unità di personale, di cui 665 mila dipendenti a tempo indeterminato, 34 mila con rapporto di lavoro flessibile e 17 mila personale universitario. A questo si aggiunge il personale che opera nelle strutture private (accreditate e non) e, più in generale, nell'industria della salute, fra i quali i 222 mila occupati nella filiera del farmaco (produzione, indotto e distribuzione); la sanità è, quindi, un settore ad alta intensità di lavoro, in gran parte molto qualificato»;
    la ragione delle criticità è principalmente da ricondurre ai tanti vincoli imposti, sia alla spesa sia alla dotazione di personale, in questi ultimi anni, in particolare nelle regioni sottoposte a piano di rientro: riduzione della spesa rispetto al livello del 2009; blocco totale o parziale del turnover, in particolare in caso di disavanzo sanitario; blocco delle procedure contrattuali; blocco della indennità di vacanza contrattuale (congelata al 2013); blocco dei trattamenti accessori della retribuzione; contenimento della spesa per il lavoro flessibile; riduzione delle risorse per la formazione specialistica dei medici;
    un insieme di vincoli che, se hanno consentito una riduzione dal 2010 al 2012 di oltre 1 miliardo di euro (e ulteriori 700 milioni di risparmio sono già previsti per i prossimi anni), hanno anche prodotto una riduzione della capacità di risposta ai bisogni della popolazione (aumento delle liste di attesa e limitazioni dell'offerta, soprattutto nella componente socio-sanitaria), un aumento dell'età media dei dipendenti (il 36 per cento dei medici ha più di 55 anni e il 30 per cento degli infermieri ha più di 50 anni), un incremento dei carichi di lavoro e dei turni straordinari di lavoro del personale, nonché una serie di problematiche tra cui un malessere diffuso tra gli operatori ed una sempre più diffusa abitudine a ricorrere a varie forme di outsourcing elusive della normativa sul blocco;
    l'esperienza insegna che, la prassi dell’outsourcing e del ricorso al lavoro flessibile, spesso necessaria (per garantire i servizi) e per lo più illusoria (quanto a contenimento della spesa), ha di fatto aumentato il precariato all'interno del sistema, anche in settori molto delicati dal punto di vista assistenziale (dal pronto soccorso alla rianimazione) e indebolito progressivamente la sanità pubblica, in ragione del crescente impiego di personale non strutturato, non appartenente al servizio, non destinatario di specifiche attività formative e non titolare di alcune importanti tutele (si pensi, ad esempio, alla tutela della maternità);
    si aggiunga che, con la legge di stabilità per il 2015, ulteriori 2,6 miliardi di euro sono stati detratti dai trasferimenti a valere sul fondo sanitario nazionale, aggravando la già precaria condizione dei bilanci regionali, in particolare nelle regioni con piano di rientro;
    peraltro, l'approvazione del recente Patto per la salute, l'approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 marzo 2015 per la stabilizzazione dei lavoratori precari del Servizio sanitario nazionale e la recente pubblicazione del decreto sugli standard organizzativi e strutturali degli ospedali rappresentano la strumentazione normativa che può consentire l'avvio al superamento delle criticità sopra indicate;
    è d'obbligo tener conto dei vincoli generali di finanza pubblica che impegnano Parlamento e Governo a reperire le risorse per il rinnovo dei contratti che da anni sono congelati, ma alcune innovazioni possono rappresentare impegno prioritario per il Governo;
    tra il personale sanitario un intervento specifico deve riguardare la dirigenza sanitaria, viste sia la peculiarità della funzione svolta a garanzia di un diritto fondamentale costituzionalmente garantito, sia la peculiarità in materia di reclutamento con laurea magistrale e percorsi formativi soggetti alla normativa europea sulle specializzazioni mediche e sanitarie,

impegna il Governo:

   a predisporre una revisione complessiva dei vincoli imposti per la gestione del personale del Servizio sanitario nazionale con provvedimenti volti a favorire il ricambio generazionale;
   ad assumere iniziative per preservare la dotazione di personale attraverso assunzioni a tempo indeterminato nei servizi strategici come i servizi d'emergenza-urgenza, terapia intensiva e subintensiva, centri trapianti, assistenza domiciliare;
   ad assumere iniziative per limitare il blocco del turnover e, più in generale, per evitare l'adozione di vincoli che producono effetti perversi, perché riducono il personale dipendente ma aumentano il ricorso a personale precario e/o a servizi esterni molto spesso più costosi a parità di attività;
   a rimuovere, per quanto di competenza, gli ostacoli che di fatto, oggi, impediscono la mobilità a livello regionale;
   a valutare la necessità di assumere iniziative di competenza per introdurre una distinta area negoziale della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale ai fini della stipula dei relativi accordi nazionali di lavoro, in aggiunta a quelle già attualmente previste, visto che la dirigenza medica veterinaria e sanitaria costituisce oltre l'80 per cento di tutta la dirigenza pubblica contrattualizzata.
(1-00899) «Miotto, Lenzi, Gelli, Grassi, Albini, Amato, Argentin, Carnevali, Capone, D'Incecco, Murer, Sbrollini, Luciano Agostini, Albanella, Antezza, Beni, Borghi, Carloni, Carrozza, Fabbri, Fanucci, Fontanelli, Fossati, Fragomeli, Giacobbe, Iacono, Incerti, Marchetti, Marchi, Montroni, Rampi, Mariano, Patriarca, Lodolini, Casellato, Cominelli, Valeria Valente, Mognato, Preziosi».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito di un ampio processo volto alla razionalizzazione e riorganizzazione della rete assistenziale, si è assistito all'adozione di misure relative alla gestione del personale degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale che hanno progressivamente comportato una contrazione nelle assunzioni del personale sanitario al fine di un ridimensionamento della spesa complessiva;
    la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (articolo 1, comma 583) prevede che gli attuali strumenti di contenimento della spesa per il personale degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale siano estesi al periodo 2016-2020;
    il personale sanitario costituisce oggi uno dei fattori di maggiore criticità del Servizio sanitario nazionale e i vincoli imposti, tra cui il blocco totale e parziale del turnover, se, da un lato, hanno consentito una riduzione della spesa sanitaria, dall'altro, hanno determinato una contrazione dell'offerta sanitaria con riflessi anche sui livelli essenziali di assistenza (lea) e sull'uniforme garanzia dei medesimi sul territorio nazionale;
    a seguito del verificarsi di situazioni di carenza di personale necessario per garantire i servizi sanitari essenziali, si è sempre più diffusa la pratica dell’outsourcing e del ricorso al lavoro flessibile, eludendo in tal modo la normativa in materia ed aumentando il precariato all'interno del sistema;
    allo stato attuale, le stesse caratteristiche del Servizio sanitario nazionale consentono di gestire eventuali carenze o eccedenze di personale solo a livello regionale, poiché, se si rilevasse un'eccedenza di personale in una singola regione e contemporaneamente una carenza in un'altra, oggi non sarebbe possibile governare il flusso per riequilibrare la distribuzione di risorse umane a livello nazionale;
    il Patto per la salute 2014-2016 prevede, oltre a misure volte a stabilizzare il personale precario e ridurre i vincoli del turnover, l'introduzione di standard di personale per livello di assistenza, anche attraverso la valorizzazione delle iniziative promosse a livello comunitario, al fine di determinare il fabbisogno dei professionisti sanitari a livello nazionale (articolo 22);
    l'adozione di efficaci misure volte alla razionalizzazione e gestione del personale sanitario, idonee al assicurare l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza e il contenimento della spesa pubblica, presuppone che venga accertato il fabbisogno di personale sanitario a livello nazionale e per livello di assistenza;
    a fronte del verificarsi di situazioni di carenza di personale sanitario è quanto mai necessario trovare soluzioni adeguate, puntando all'utilizzo ottimale delle risorse umane, anche attraverso politiche che favoriscono la mobilità,

impegna il Governo:

   ad adottare, in tempi rapidi, una metodologia, mediante accordo in sede di Conferenza Stato-regioni, che consenta di determinare il fabbisogno di personale sanitario a livello nazionale e regionale in modo univoco, in quanto determinato in base a uniformi e definiti parametri e criteri di valutazione, nonché a garantire un'attività di monitoraggio, a livello centrale, per la sopraddetta iniziativa;
   a valutare, ferma restando la competenza regionale in materia, ogni iniziativa di competenza, anche di concerto con la Conferenza delle regioni e delle province autonome, affinché siano individuate misure volte a realizzare la mobilità interregionale del personale sanitario.
(1-00900) «Calabrò, Binetti, Dorina Bianchi».


   La Camera,
   premesso che:
    esistono ragioni morali, politiche, storiche ed economiche per le quali non ha alcun senso né utilità per il bene dei popoli che l'Italia applichi sanzioni contro la Federazione russa;
   a) le ragioni morali e politiche:
    mantenere e insistere sulle sanzioni contro la Federazione russa è molto più di una prospettiva tetra per i rapporti commerciali italiani: taglia via uno dei due polmoni dal corpo unico del continente;
    è oggettivamente fuori luogo, se non pura propaganda, riproporre oggi un'idea di guerra fredda tra l'Impero sovietico e l'Alleanza Atlantica;
    a quel tempo, a differenza che per molti oggi al Governo, era ben chiaro per l'Italia da che parte stare, e le dure risposte occidentali erano necessarie e furono vincenti sul lungo periodo;
    oggi questo conflitto non ha senso. Le legittime ragioni dell'Ucraina, che sono all'origine dichiarata di questo confronto, vanno sostenute. Anche se molto è da chiarire sull'influenza esercitata da potenze straniere nel determinare lo scoppio della rivolta che ha portato all'attuale assetto politico;
    il popolo ucraino non è materiale umano di serie B così come non lo è quello russofono. Il conflitto di identità storica e culturale tra la maggioranza che parla ucraino e la poderosa minoranza russa, che diventa maggioranza nell'Est, non è stato inventato da Putin, e ad essa vanno riconosciuti pieni diritti in un percorso pacifico, quale gli accordi di Minsk hanno tracciato;
    l'efficace attuazione degli accordi di Minsk esige una mediazione e una attitudine al compromesso, che salvaguardi libertà e sicurezza di tutti, senza calpestare le legittime istanze dei contendenti;
    la responsabilità, dell'Italia è anzitutto di rispettare se stessa, la sua tradizionale attitudine a essere un ponte di pace con la Federazione russa. Tanto più ora che rapporti sereni e positivi con Mosca hanno dimostrato in questi anni di garantire un interscambio commerciale florido, flussi turistici e tranquillità energetica;
    tutto nasce da Pratica di Mare, che Berlusconi volle con tutte le sue forze creative, consentendo, nel 2002, una partnership strategica tra Nato e Federazione russa. Si riparta da quel faro, lo si riaccenda per illuminare il presente;
    esiste la necessità morale e storica, cui si connette una responsabilità verso la pace nel mondo, sancita dalla Costituzione, che impone passi coraggiosi e sensati per non chiudere le speranze di un avvenire pacifico e prospero per tutto il continente «dall'Atlantico agli Urali» come disse Giovanni Paolo II, cui il papa Francesco si pone in continuità profetica;
    l'Italia, accettando passivamente e contro la sua vocazione e il suo interesse nazionale le sanzioni contro Mosca, ha rinunciato ad un ruolo di protagonista, di ponte d'amicizia tra America, Europa e Federazione russa;
    recuperare questo ruolo è tanto più importante per una lotta comune contro il terrorismo islamico, e per fermare così lo tsunami d'immigrazione che sta invadendo il nostro Paese;
    è infatti più chiaro che senza la collaborazione fattiva con la Federazione russa non si può dare pace e ordine sullo scacchiere Medio orientale;

   b) le ragioni storiche ed economiche:
    l'Unione europea, nonostante il permanere di una crisi economica e produttiva, rappresenta, ancora, la principale potenza commerciale del mondo. Non ha, tuttavia, una struttura politica, istituzionale e militare che corrisponda a questo grado di sviluppo;
    questo è un fattore di enorme debolezza, che la espone ai contraccolpi derivanti da processi che sono fuori dal suo controllo e dalla sua possibilità di intervento;
    l'economia mondiale è sempre più sostenuta dal tasso di sviluppo delle nuove potenze economiche. Già nei prossimi anni, la Cina avrà un reddito pro capite, seppur corretto per la diversità del potere di acquisto, superiore a quello degli Stati Uniti;
    sarà pertanto inevitabile che a questo cambiamento degli equilibri economici di fondo, corrisponda nel tempo un identico cambiamento nei rapporti politici;
    è necessario che ciascun Paese, nel solco delle proprie tradizioni e della propria Costituzione, si assuma le sue responsabilità, nel rispetto dei Trattati europei e delle regole di cui l'Onu è suprema custode;
    di fronte ad una situazione così complessa e difficile è necessario che l'Unione europea guardi oltre i propri confini, curando rapporti di buon vicinato, e si misuri con un sistema di alleanze che guardi alla sua geo-politica complessiva;
    occorre che l'Unione europea mantenga rapporti stretti con l'alleato americano, ma al tempo stesso non lo assecondi in quelle pulsioni interventiste, come è avvenuto in passato a proposito dell'Iraq o della Libia. Anche se, in questo secondo caso, le colpe furono più europee che non statunitensi;
    i rapporti con la Federazione russa di Putin devono quindi rispondere ad una logica inclusiva. E non alla vecchia tecnica del containment o del rolling back, che fu caratteristica del periodo più duro della «guerra fredda»;
    obiettivi che possono essere conseguiti, rinunciando alla pretesa di costringere chicchessia a rinunciare alla difesa dei propri interessi nazionali ricorrendo al bastone delle sanzioni economiche o militari, i cui effetti controproducenti sono gravi ed evidenti;
    questi sono i sentimenti prevalenti nel popolo italiano. È necessario renderli protagonisti del presente grazie a una presa di posizione coraggiosa, che faccia prevalere la giustizia e il buon senso sulle tattiche di dominio;
    basterebbero questi richiami per giustificare la necessità di un cambiamento di carattere strategico, nell'impostazione dei rapporti bilaterali tra l'Italia e la Federazione russa, nella prospettiva di tracciare una strada in cui possano riconoscersi anche altri partner europei;
    l'Italia è il Paese più esposto rispetto alla crisi in Medio oriente e del continente africano. Qui si riversano migliaia di profughi. Ci vorrebbe un intervento internazionale. Una deliberazione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, per tentare di risolvere alla radice quel problema;
    ma per ottenere un qualsivoglia risultato è necessario coinvolgere la Federazione russa in quel puzzle che è divenuto il teatro del conflitto;
    dal punto di vista strategico, le sanzioni, per loro stessa natura, sono una forma di guerra commerciale che, secondo la teoria dei giochi, ha senso solo se chi la attua è disposto ad accentuarne l'intensità mettendo in conto anche un conflitto bellico vero e proprio. In caso contrario, sono un azzardo utile a procurare un vantaggio ad una parte sola;
    escludendo ovviamente l'opzione-guerra contro la Federazione russa, si constata che a pagare il conto delle sanzioni sono, oltre a quest'ultima, la quasi generalità degli Stati europei, mentre ad averne un ritorno positivo sono gli Stati Uniti d'America e il Regno Unito (quest'ultimo grazie alle triangolazioni con i Paesi del Commonwealth), non a caso i più determinati nell'imporre la logica delle sanzioni;
    dal punto di vista economico, la caduta dei rapporti commerciali con la Russia ha pesato sull'Italia per tre miliardi di euro di minori esportazioni (-29,5 per cento), in particolare colpendo imprese agricole, alimentari, edilizie, dell'arredamento e dell’high-tech, ed è questo un lusso che il nostro Paese non può permettersi,

impegna il Governo:

   a riconsiderare la posizione dell'Italia con riguardo alle sanzioni in vigore contro la Federazione russa, perché ingiuste e controproducenti per la convivenza pacifica e dannose per l'economia anzitutto del nostro Paese;
   ad adoperarsi in tutte le sedi europee affinché questo esempio sia seguito da un numero crescente di Paesi, riconoscendo a tutte le parti il diritto di difendere, privilegiando il dialogo, la propria identità nazionale e i legami con le proprie origini, al fine di raggiungere un accordo che porti all'annullamento delle sanzioni in vigore contro la Federazione russa;
   ad adoperarsi perché gli Stati Uniti d'America nel loro tradizionale ruolo e nella loro costante opera per la pace e il benessere nel mondo riconoscano che la strada di uno spirito di collaborazione non passa attraverso le sanzioni che colpiscono e umiliano i popoli.
(1-00901) «Brunetta».


   La Camera,
   premesso che:
    il quadro normativo di riferimento in materia portuale è delineato dalla legge 28 gennaio 1994, n. 84, recante il «Riordino della legislazione in materia portuale» che ha introdotto, in sostituzione del precedente modello organizzativo basato su porti interamente pubblici, un nuovo modello caratterizzato dalla separazione tra le funzioni di programmazione e controllo del territorio e delle infrastrutture portuali, affidate alle autorità portuali e le funzioni di gestione del traffico e dei terminali, affidate ai privati, salva la proprietà pubblica dei suoli e delle infrastrutture;
    in questo contesto si inserisce l'articolo 29 del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 (cosiddetto Sblocca Italia) recante «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive», che ha disposto l'adozione di un «Piano strategico nazionale di portualità e della logistica», dando il via libera alla definizione di un documento operativo che ha la finalità di indicare una prospettiva di sviluppo sulla base di chiari obiettivi strategici e indicare le azioni concrete per raggiungerli;
    il citato decreto prevede che il «piano strategico nazionale» è adottato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge, previa deliberazione del Consiglio dei ministri; lo schema del decreto recante il piano è trasmesso alle Camere ai fini dell'acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari. Il parere è espresso entro trenta giorni dalla data di assegnazione, decorsi i quali il decreto può essere comunque emanato;
    il 22 maggio 2015 è stato reso noto in via informale, dal quotidiano «Secolo XIX» e dal sito internet specializzato – www.themeditelegraph.it il documento elaborato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti contenente il «Piano strategico nazionale per la portualità e la logistica» che, ad oggi, deve ancora essere esaminato e approvato dal Consiglio dei ministri, prima di poter essere trasmesso alle competenti Commissioni di Camera e Senato per il prescritto parere;
    si ritiene necessario sottolineare il fatto che il Governo non ha rispettato il termine di 90 giorni (febbraio 2015) fissato dalla legge per la trasmissione dello schema di decreto del Presidente del Consiglio alle competenti Commissioni di Camera e Senato, non avendo il Consiglio dei ministri nemmeno proceduto ancora all'approvazione del previsto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
    secondo le citate anticipazioni, rese note nelle scorse settimane, il documento predisposto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti fa riferimento alla riduzione dalle attuali 24 a 8 autorità di sistema portuale. La Nord Tirrenica accorperà le attuali funzioni dei porti di Genova, La Spezia, Savona e Marina di Carrara; Nord Adriatica: Venezia, Trieste, Ravenna e Ancona; Tirrenica Centrale: Livorno, Piombino e Civitavecchia; Sarda: Cagliari-Sarroch e Olbia-Golfo Aranci e Porto Torres; Campana: Napoli e Salerno; Pugliese: Bari, Brindisi, Taranto e Manfredonia; Calabra e dello Stretto: Gioia Tauro e Messina; Siciliana: Palermo, Catania ed Augusta;
    nei nuovi soggetti previsti dal «piano» verranno concentrate tutte le principali funzioni di promozione, pianificazione, gestione e controllo oggi attribuite alle autorità portuali; per tutte le aree in cui verrebbero ricomprese le nuove autorità e ancor più con riferimento alle caratteristiche dell'area del Nord Adriatico appare evidente la necessità che la governance abbia modo di operare nella città di Trieste, in quanto sede più opportuna per dare pieno compimento ad una visione internazionale, anche in virtù del naturale posizionamento geografico più favorevole possibile ai flussi mercantili del centro e dell'est Europa, i quali rappresentano il bacino d'utenza naturale per i traffici via mare dell'area Nord Adriatica;
    il porto franco di Trieste comprende cinque distinti punti franchi, di cui tre destinati alle attività commerciali (il punto franco vecchio, il punto franco nuovo, lo scalo legnami) e due destinati ad attività di tipo industriale (punto franco olii minerali, punto franco del canale di Zaule); la funzione internazionale unanimemente riconosciuta è quella di assicurare che il porto ed i mezzi di transito di Trieste possano essere utilizzati in condizioni di eguaglianza da tutto il commercio internazionale secondo le consuetudini vigenti negli altri porti franchi del mondo;
    la scelta di Trieste, quale sede di raccordo dell'arena del Nord Adriatico rappresenterebbe una concreta prospettiva di sviluppo rivolta all'intero sistema Italia, perché Ravenna, Ancona e Venezia non hanno le potenzialità internazionali e logistiche proprie della realtà portuale di Trieste. Inoltre, il conferimento della sede strategica e amministrativa della nuova authority al capoluogo giuliano favorirebbe i necessari investimenti per il rafforzamento dei collegamenti ferroviari e l'ampliamento strutturale del porto stesso;
    riconoscere il giusto ruolo alla città di Trieste sarebbe anche un segnale importante, anche rispetto a scelte politiche alquanto discutibili che hanno sostenuto il costosissimo e, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, irragionevole progetto per la realizzazione della piattaforma off-shore di Venezia, in un contesto in cui è già presente l’hub internazionale del porto di Trieste con i fondali adeguati per accogliere la guida operativa dell'area portuale del Nord Adriatico,

impegna il Governo:

   a designare la città di Trieste quale sede amministrativa e gestionale della prevista nuova autorità portuale del Nord Adriatico, all'interno della quale lo scalo giuliano è l'unico, per posizione geografica, tipologia di fondali e per il regime di punto franco, ad avere una vocazione strategica internazionale;
   a non rimandare ulteriormente l'approvazione da parte del Governo del «piano strategico per la portualità e la logistica» e di procedere senza ulteriori rinvii all'approvazione e trasmissione del previsto schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri presso le competenti Commissioni parlamentari di Camera è Senato.
(1-00902) «Sandra Savino, Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    il corso di laurea in medicina e chirurgia è un corso di laurea ad accesso programmato: il numero di ingressi alla facoltà di medicina e chirurgia è stabilito annualmente, in base al fabbisogno del sistema sanitario nazionale, e regolato dallo svolgimento di un test d'accesso da parte degli aspiranti medici. Al conseguimento del titolo di laurea magistrale, segue l'obbligatorio ottenimento del titolo di abilitazione alla professione medica e la frequenza, previo concorso, di un corso di formazione specialistica o di formazione in medicina generale, questi ultimi volti all'acquisizione di un titolo indispensabile per accedere al servizio sanitario nazionale mediante rispettivamente concorsi pubblici ed iscrizione alle graduatorie di medicina generale e continuità assistenziale;
    risulta così evidente la presenza di due importanti sbarramenti nel percorso formativo dello studente di medicina prima, e del medico poi: il primo costituito dal test di accesso alla facoltà di medicina e chirurgia, facoltà a numero chiuso; il secondo, rappresentato dai test di accesso alle specializzazioni ed alla medicina di base;
    il concorso per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina ha subito un profondo cambiamento passando dal sistema di assegnazione dei contratti di formazione su base universitaria ad un sistema a graduatoria nazionale, il cui scopo, nel disegno originario, era quello di favorire la meritocrazia per abbattere definitivamente il baronato universitario;
    troppo spesso però, si finisce col dare più risonanza alle campagne mediatiche che accompagnano un determinato cambiamento, per poter godere della fama che ne conseguirebbe, trascurando puntualmente la verifica costante della buona riuscita a garanzia dei cittadini che vengono coinvolti da tale processo. Proprio questa mancanza di attenzione è quello che si è verificato con questo concorso, prospettato come il «concorso meritocratico per eccellenza» ma che verrà ricordato solo per i tanti errori che lo hanno caratterizzato. Il concorso 2013/14 è, infatti, nato con mille problematicità più volte evidenziate agli occhi del Ministero come testimoniano le innumerevoli interrogazioni parlamentari;
    il nuovo concorso nazionale si è svolto dal 28 al 31 ottobre 2014, in più di 400 sedi differenti in tutta Italia e ha visto coinvolti 11.242 candidati per 5000 contratti di formazione cifra nettamente insufficiente a soddisfare richiesta di 8.500 specialisti formulata dalla Conferenza Stato-regioni;
    già dal primo giorno, come evidenziato da numerosi articoli e testimonianze dirette di partecipanti al concorso, sono emerse varie criticità: mancato rispetto delle procedure concorsuali previste nel bando in merito all'assegnazione dei posti a sedere, messo in alcuni casi a verbale; allestimento non idoneo delle sedi in cui si è svolta la prova; mancanza di linee guida in merito alla risoluzione di criticità intervenute durante lo svolgimento della prova. In una sede, in seguito ad un blackout, i candidati hanno ripetuto la prova a distanza di due ore, quindi non più contemporaneamente alle altre sedi nazionali, e dopo averne già visualizzato il contenuto;
    diversi candidati hanno segnalato pc non adeguatamente distanziati, tastiere a disposizione dei candidati, collegamento alla rete internet dei pc; controlli non uniformi, pertanto non adeguati, su tutto il territorio nazionale. In alcune sedi è stato possibile introdurre telefoni cellulari, come testimoniato da alcune foto circolanti su internet. Si segnala anche che in alcune aule è stato concesso ai candidati di abbandonare la postazione durante l'espletamento della prova, ciò in violazione di quanto statuito dal bando;
    tutte le suddette segnalazioni dimostrano l'assenza di garanzia di condizioni paritarie fra tutti i candidati su tutto il territorio nazionale nello svolgimento delle prove, con conseguente possibilità, in alcune aule d'esame, di interazione fra gli stessi;
    tutte le irregolarità sopra esposte hanno immediatamente allarmato i concorrenti a livello nazionale, dando il via a segnalazioni indirizzate al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca in seguito alle quali, il secondo giorno di prove, è stata inviata una circolare, letta a tutti i candidati, in cui si chiedeva un controllo più rigoroso da parte dei vigilanti e responsabili d'aula. L'irregolarità più eclatante tuttavia si è manifestata in data 1o novembre 2014, quando il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca con un comunicato stampa ufficiale affermava che, a seguito dei controlli di ricognizione finali sullo svolgimento dei test, era stata rilevata una grave anomalia nella somministrazione delle prove scritte del 29 e 31 ottobre che riguardavano rispettivamente le scuole dell'area medica e quelle dell'area dei servizi clinici;
    il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, quindi, preso atto di quanto accaduto, stabiliva di annullare e ripetere le prove oggetto dell'errore determinato dal Cineca, ovvero i 30 quiz comuni all'area medica e i 30 comuni all'area dei servizi clinici fissando allo scopo la data del 7 novembre. Il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca comunicava inoltre che il 3 novembre il Ministro Giannini avrebbe firmato apposito decreto;
    in data 3 novembre 2014, tuttavia, il Ministro Giannini non firmava alcun decreto ed il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ribaltava la propria decisione annunciando, con un secondo comunicato stampa, che le prove per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina del 29 e 31 ottobre non si sarebbero più dovute ripetere, avendo trovato una soluzione in grado di salvare i test;
    a seguito di un consulto con la Commissione nazionale, incaricata prima del concorso per validare le domande del quiz, nonché con l'Avvocatura di Stato, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca decideva che 28 quesiti su 30 proposti ai candidati sia per l'area medica (29 ottobre) che per quella dei servizi clinici (31 ottobre) erano comunque da ritenersi validi ai fini della selezione, poiché i settori scientifico-disciplinari di ciascuna area erano in larga parte comuni. Pertanto, procedeva con la neutralizzazione di solo due domande per area;
    contrariamente a quanto affermato nel comunicato, tale decisione non ha tuttavia salvato la bontà del test a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, alterando invece la graduatoria in maniera sostanziale;
    è opinione diffusa che il piano attuato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per questo concorso, inizialmente annullato e poi salvato con la neutralizzazione di qualche domanda, sia palesemente in contrasto con la normativa vigente. Quasi settemila sono i medici rimasti senza la possibilità di accedere alle scuole di specializzazione medica. Dunque un numero così elevato di giovani medici, si ritrova costretto a non poter proseguire l'indispensabile iter di formazione specialistica a causa degli errori del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Infatti, l’«imbuto» della formazione medica, che investe le scuole di specializzazione, impone ai giovani medici, a cui è negata la prosecuzione della formazione post laurea (tra l'altro, contro le normative dell'Unione europea), uno status di «limbo» costituito da sostituzioni di medicina generale e di continuità assistenziale, che non permettono progressione di carriera e certezze nell'assunzione, dal momento che in assenza di un titolo specialistico si è «condannati» a non partecipare ai concorsi pubblici. Il quadro esposto fa ben comprendere quanto viziato e dispendioso sia questo tipo di sistema formativo sia per le famiglie, che per lo Stato italiano;
    la maggior parte dei settemila medici esclusi dal concorso ha presentato ricorso amministrativo per le molteplici ed eclatanti irregolarità che hanno viziato il concorso. Eppure, gravissime si sono dimostrate le argomentazioni presentate al TAR del Lazio dal Ministero secondo cui, se si fosse dato ragione ai ricorrenti, il Governo non avrebbe saputo dove trovare i fondi per finanziare le borse di formazione specialistica. Il 26 marzo 2015, il Consiglio di Stato ha accolto 5 ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica, mediante un parere in cui è stato riconosciuto il diritto dei medici giovani ad entrare in sovrannumero e a formarsi nel percorso formativo dell'ateneo scelto. Tale condizione, mai verificatasi soprattutto dopo che il Consiglio di Stato si è già pronunciato, è un gesto ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo di poco spessore istituzionale e morale. Si fa presente che trasposizione e riesame sono metodi mai usati e considerati al pari di una sfiducia agli organi giudiziali e che rappresentano secondo i firmatari del presente atto di indirizzo un messaggio di scorrettezza in termini di legalità e moralità politica, nei confronti di medici e migliaia di famiglie;
    i medici dell'associazione Co.N.Med. (Coordinamento nazionale medici), dal 4 novembre 2014 stanno sostenendo le proprie ragioni nei confronti del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca che nei fatti risulta abbia più volte discriminato la giovane classe medica, soprattutto alla luce del caos emerso dal 1o concorso nazionale per le scuole di specializzazione medica;
    i giovani medici italiani stanno tutti fuggendo dall'Italia per specializzarsi all'estero e così, dato il lungo periodo di studi che faranno in altri Paesi, la maggioranza non tornerà e l'Italia avrà perso un grande investimento anche economico fatto dallo Stato e dalle famiglie, oltre ad avere impoverito di energie intellettuali i cittadini, negando loro un allargamento dell'assistenza sanitaria;
    inserire in soprannumero nelle scuole di specializzazione i circa 7.000 medici che sono rimasti fuori sarebbe un atto dovuto, dopo essere stati più che duramente selezionati sia all'inizio del loro percorso di formazione con il test d'ingresso alla facoltà di medicina e chirurgia, sia durante i sei duri anni di studio e pratica presso i reparti ospedalieri e, in ultimo, con l'esame di abilitazione alla professione. Trovare queste risorse è indispensabile perché oggi un medico senza specializzazione non ha futuro,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per reperire i fondi per sovvenzionare le borse di formazione specialistica per i circa 7.000 medici rimasti gravemente lesi da un concorso nazionale svoltosi, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, in maniera inaccettabile, che ha violato ogni norma e procedura prevista dai vari decreti ministeriali;
   a prevedere, per gli anni a venire, un numero di contratti tali da garantire un «cilindro formativo» sulla scorta degli accessi alla facoltà di medicina avvenuti in questi ultimi anni, per colmare il gap tra numero di laureati l'anno in medicina e chirurgia e le borse di studio;
   ad istituire un tavolo di concertazione per valutare le proposte ed i documenti dell'associazione Co.N.Med che raggruppa migliaia di medici italiani.
(1-00903) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Simonetti, Saltamartini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   BOLOGNESI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 22 aprile 2014 il Presidente del Consiglio ha firmato la direttiva per il versamento straordinario all'archivio centrale dello Stato di atti relativi alle stragi che vanno dal 1969 al 1984 contenuti negli archivi correnti e di deposito delle amministrazioni dello Stato procedendo «preliminarmente alla declassifica degli atti»;
   dopo un anno dalla direttiva, i versamenti dei documenti hanno esiti alterni da parte delle amministrazioni interessate; alcune hanno depositato – come i Ministeri dell'interno e degli affari esteri e della cooperazione internazionale – a giudizio dell'interrogante poco e male, altre procedono a rilento;
   sono emerse numerose criticità procedurali nell'applicazione della direttiva;
   le amministrazioni non forniscono un elenco dei documenti sulle stragi detenuti nei loro archivi correnti e di deposito – come previsto anche dalla direttiva del Presidente del Consiglio pro tempore Mario Monti – utile ad effettuare una comparazione con quelli realmente versati, impedendo una verifica della correttezza e completezza del versamento e l'esclusione di eventuali omissioni di deposito di atti;
   le amministrazioni (Ministeri e servizi di informazione per la sicurezza) devono versare tutta la documentazione sulle stragi in loro possesso – come la stessa direttiva dispone – senza operare alcuna pre-selezione degli atti che preluderebbe ad una possibile arbitraria esclusione dal versamento di uno o più documenti;
   a quanto risulta all'interrogante le amministrazioni effettuano le operazioni di versamento senza la vigilanza di una commissione di sorveglianza prevista dalle disposizioni che regolano la tutela dei beni archivistici a cui fa riferimento la stessa direttiva;
   per quanto risulta all'interrogante il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha risposto ai familiari delle vittime delle stragi di non avere «nulla con la dicitura “Piazza della Loggia”, “Piazza Fontana” o altre stragi e pertanto non versiamo nulla», offendendo così ad avviso dell'interrogante l'intelligenza dei cittadini italiani e la memoria delle vittime dato che sono giudiziariamente noti i rapporti di depistatori, come Licio Gelli, e terroristi neofascisti con i Paesi del Sudamerica e con i regimi di Grecia, Spagna e Portogallo e pertanto le ambasciate a giudizio dell'interrogante non possono non avere ricevuto segnalazioni e/o informazioni in merito a fatti criminali così rilevanti;
   i familiari delle vittime delle stragi attendono, a distanza di un anno dalla direttiva, che il Ministero dell'interno versi all'Archivio centrale dello Stato le carte dell'ex ufficio affari riservati (quelle rinvenute in via Appia nel 1996), dal 1965 in poi, in cui si trovano sicuramente – lo si sa dalle perizie effettuate per conto della magistratura – atti che riguardano la strage di piazza Fontana;
   ai familiari delle vittime delle stragi non interessa che gli apparati versino faldoni con l'etichetta «Piazza della Loggia» se all'interno poi si trovano solo vecchie e inutili informative, segnalando che un Ministero o un servizio segreto, allora, non raccolse informazioni su chi piazzò la bomba o chi coprì gli esecutori;
   risulta che alcune amministrazioni, quali DIS, AISE, AISI, Ministero affari esteri, hanno versato all'archivio centrale dello Stato solo documenti in formato digitale senza le relative copie cartacee che consentono di verificare la completa corrispondenza e veridicità degli atti stessi;
   a distanza di sette anni dalla direttiva firmata dal Presidente del Consiglio Romano Prodi nel 2008, le amministrazioni non hanno ancora completato il versamento della documentazione relativa al sequestro e all'uccisione dell'onorevole  Aldo Moro;
   la limitazione della declassificazione della documentazione relativa ai fascicoli intestati alle stragi sta portando a paradossali smembramenti di fondi e fascicoli escludendo dal versamento atti rilevanti, anche se non nominalmente legati agli eccidi compresi nella direttiva –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri intenda adottare provvedimenti risolutori delle criticità che impediscono la completa applicazione della direttiva, per contrastare comportamenti omissivi da parte delle amministrazioni citate, e per evitare un'arbitraria facoltà data a chi fino ad oggi abbia inteso coprire le carte sulle stragi di scegliere a suo piacimento quali versare, attraverso quello che secondo l'interrogante costituirebbe un depistaggio del «faldone vuoto»;
   se intenda assumere iniziative per fare in modo che le amministrazioni forniscano – come già previsto dalla direttiva del Presidente del Consiglio pro tempore Monti – un elenco completo dei documenti contenuti nell'archivio corrente e di depositi relativi alle stragi;
   se intenda assumere iniziative per disporre un ampliamento della direttiva prevedendo una declassificazione automatica annuale, dopo venticinque anni dalla loro emanazione, di tutti i documenti contenuti negli archivi delle amministrazioni seguendo criteri temporali, (ad esempio 1947 in poi) sul modello dell’Executive Order 12958, promulgato dal Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton nell'aprile del 1995, affermando così il principio che in questo Paese la verità non è una concessione, ma un diritto da garantire ad ogni cittadino. (3-01540)

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   un'inchiesta della Guardia di finanza durata quattro anni, investigando sui capitali accumulati dalla comunità cinese in Italia, avrebbe scoperto che un totale di ben 4,5 miliardi di euro, frutto per lo più di attività come contraffazione, prostituzione, sfruttamento del lavoro ed evasione fiscale, sarebbe stato inviato in Cina con un servizio di money transfer, evitando il pagamento di qualunque imposta, secondo quanto rivelato dall'agenzia americana Associated Press, e riportato da fonti di stampa;
   secondo la documentazione degli investigatori, quasi la metà della somma sarebbe arrivata in Cina passando per uno dei più grandi istituti finanziari del Paese, la Bank of China, la quale avrebbe incassato in questo modo l'equivalente di 758 mila euro in commissioni sui trasferimenti;
   Associated Press farebbe risalire parte del denaro «scomparso» dalle tasse italiane a una società a controllo statale, la Wenzhou Cereals Oils and Foodstuffs Foreign Trade Corporation, già finita sotto accusa in passato per la svendita di prodotti contraffatti negli Stati Uniti;
   il coordinatore delle indagini, Pietro Suchan, già sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, avrebbe dichiarato ad Associated Press che fin qui sarebbe emerso solo «il 50 per cento della verità» perché non sarebbe stato possibile stringere un contatto con le autorità giudiziarie cinesi; anche altre fonti, sempre citate dall'agenzia americana, sostengono che «Pechino non sta collaborando» con gli investigatori –:
   se il Governo sia informato dei fatti esposti in premessa e come intenda intervenire, per quanto di competenza, prima di tutto per interrompere quelli che sono stati individuati essere traffici illeciti, legati a pratiche di contraffazione di marchi, prostituzione, sfruttamento del lavoro, e, al contempo, se non intenda attivarsi per interrompere il perpetrarsi di questa massiccia evasione fiscale da parte di cinesi presenti sul territorio italiano, che si traduce in una grave perdita economica per il nostro Paese, ancor più grave in un momento di crisi come quello che l'Italia si trova ad attraversare;
   se il Governo non intenda comunicare a quanto ammonterebbe la perdita economica del nostro Paese a fine 2014, a causa dell'evasione fiscale dei capitali accumulati dalla comunità cinese in Italia, secondo le stime più aggiornate del Ministero;
   se il Governo non consideri necessario intervenire per cercare di aprire un dialogo più proficuo con le autorità cinesi competenti, al fine di ricevere collaborazione nelle indagini ma anche di ottenere un eventuale rimborso delle risorse sottratte al fisco italiano;
   se il Governo non intenda, altresì, promuovere una efficace campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sugli effetti negativi della contraffazione, visto che il punto di forza di questo fenomeno è, naturalmente, la domanda dei beni prodotti, e, a questo proposito, se il Governo non intenda chiarire a che punto sarebbero le azioni rivolte al pubblico, progettate dalla Guardia di finanza, con il coinvolgimento dei principali soggetti (pubblici e privati) interessati al fenomeno (Ministero dello sviluppo economico, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, associazioni dei consumatori e delle imprese, Unione delle camere di commercio, e altri). (4-09457)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11, comma 7, del decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, recante «Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle Organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione» convertito con modificazioni, dalla legge n. 49 del 2015 ha autorizzato il finanziamento della partecipazione italiana alla missione «NATO Baltic Air Policing» che vede impegnati, a carattere rotazionale, i reparti aerei di Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Francia, Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Turchia, Regno Unito e USA con schieramenti presso le basi locali dell'Estonia, Lettonia e Lituania, Paesi privi di reparti di volo di difesa aerea;
   non è chiara tuttavia l'esatta decorrenza dell'autorizzazione della missione «NATO Baltic Air Policing»;
   la missione in parola, il cui inizio è considerato decorrente dal 1o gennaio 2015, a differenza di tutte le altre missioni è stata finanziata soltanto a decorrere dall'entrata in vigore del decreto-legge, provocando un disallineamento tra i trattamenti economici da corrispondere agli interessati nell'ambito della stessa missione;
   il personale militare impegnato nella missione in oggetto avrebbe ricevuto trattamenti economici differenti ed, in particolare, per il periodo 1o gennaio 2015 — 19 febbraio 2015 l'indennità di missione internazionale, mentre per il periodo 20 febbraio 2015 — 31 agosto 2015 l'indennità di contingentamento;
   la predetta questione sembrerebbe già essere stata sottoposta all'attenzione del Ministro della difesa dal Sottosegretario alla difesa onorevole Domenico Rossi, edotto sulla problematica in occasione di un incontro con i Cocer avvenuto il 21 aprile scorso;
   dal 1o gennaio 2015 i caccia italiani Eurofighter dell'Aeronautica Militare assicurano ininterrottamente la vigilanza aerea della Nato sui cieli baltici dalle numerose e documentate incursioni russe nell'area –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di sanare questa evidente disparità di trattamento, garantendo omogeneità ed equità negli emolumenti economici da corrispondere al personale delle orze armate impegnato nella missione «NATO Baltic Air Policing». (5-05799)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la CONSIP ha indetto una gara con procedura aperta avente per oggetto la stipula di una Convenzione, ai sensi dell'articolo 26 della legge n. 488 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni, dell'articolo 58 della legge n. 388 del 2000, del decreto ministeriale 24 febbraio 2000 e del decreto ministeriale 2 maggio 2001, per la prestazione di Servizi integrati per la gestione delle apparecchiature elettromedicali, ed. 4, ubicate presso le pubbliche amministrazioni ID 1274, come pubblicato in Gazzetta ufficiale 5a Serie Speciale — contratti pubblici n. 38 del 29 marzo 2013 e denominata anche SIGAE 4;
   l'aggiudicatario/i della gara stipulano con CONSIP una convenzione della durata di 12/24 mesi. In tale periodo di tempo la pubblica amministrazione aderendo alla convenzione stessa affida la manutenzione delle apparecchiature elettromedicali attraverso un contratto della durata di 3 o 4 anni con l'aggiudicatario/i della convenzione;
   i servizi oggetto della convenzione riguardano la manutenzione e la gestione delle apparecchiature elettromedicali installate presso le strutture sanitarie in tutto il territorio nazionale; tali servizi sono indispensabili per il corretto funzionamento delle apparecchiature necessarie a fornire diagnosi e cure alla cittadinanza tutta;
   i servizi base compresi nel canone sono:
    I) manutenzione preventiva (programmata);
    II) manutenzione correttiva (su guasto);
    III) manutenzione straordinaria;
    IV) fornitura dei pezzi di ricambio;
    V) verifiche di sicurezza elettrica;
    VI) controlli funzionali sullo stato delle apparecchiature;
    VII) gestione informatizzata dei servizi oggetto dell'appalto comprensiva di software gestionale del servizio;
    VIII) call center;
    IX) direzione tecnica;
    X) programmi di dismissione;
    XI) formazione dei tecnici interni;
   i servizi a richiesta non compresi nel canone sono:
    I) censimento/valorizzazione del parco apparecchiature (propedeutico all'adesione alla convenzione);
    II) collaudi di accettazione (attivabile in aggiunta ai servizi base);
   la gara ha un valore di euro 120.000.000,00, estendibile fino a euro 168.000.000,00 ed è suddivisa in 5 lotti che coprono l'intero territorio nazionale come di seguito definito:
    lotto 1, Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria e Lombardia, con un massimale di 23.000.000 euro;
    lotto 2, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto e Emilia Romagna, con un massimale di 17.000.000,00 euro;
    lotto 3, Toscana, Umbria, Marche, Lazio e Sardegna, con un massimale di 31.000.000,00 euro;
    lotto 4, Abruzzo, Molise e Puglia, con un massimale di 14.000.000,00 euro;
    lotto 5, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia, con un massimale di 35.000.000,00 euro;
   la gara copre in termini economici tra il 48 per cento ed il 67 per cento del mercato dei servizi di gestione e manutenzione global service degli elettromedicali;
   la gara prevede la possibilità di aggiudicazione di soli 2 lotti al medesimo concorrente, impedendo così agli operatori economici di poter operare in maniera libera sul mercato e penalizzando in particolare le aziende che hanno effettuato investimenti su tutto il territorio nazionale;
   la gara suddivide le apparecchiature in 6 classi da a, b, c, d, e, f. Ad ogni classe è assegnata una percentuale che applicata al prezzo di acquisto della singola apparecchiatura determina il prezzo della manutenzione della stessa. Per ogni percentuale ogni concorrente deve formulare uno sconto;
   il valore dei contratti, oggetto di convenzione, è determinato dalla somma dei prodotti tra il valore di acquisto dell'apparecchiatura e il valore percentuale relativo al gruppo di appartenenza dell'apparecchiatura che il concorrente, risultato aggiudicatario, avrà offerto;
   tale metodologia di calcolo, secondo l'interrogante, non permette di stimare in modo adeguato il reale costo manutentivo del servizio in quanto negli anni i prezzi di acquisto di una tecnologia, a fronte dell'aumento della sua diffusione, solitamente tendono a decrescere nel tempo; viceversa, il relativo costo di manutenzione aumenta o al limite resta costante (dipendendo dal costo del lavoro, dal costo delle parti di ricambi e accessori, e altro). La valutazione dei costi di manutenzione come percentuale fissa rispetto al prezzo di acquisto dell'apparecchiatura, secondo l'interrogante, non rappresenta una metodologia adeguata nell'individuazione del corretto costo del servizio;
   il costo manutentivo di un'apparecchiatura è correlato a molteplici fattori:
    a) anzianità/vetustà del dispositivo;
    b) stato di conservazione iniziale dell'apparecchiatura;
    c) grado di utilizzo, intensità di utilizzo che a sua volta dipende dalla tipologia e quantità delle prestazioni erogate dalla singola struttura e dalla numerosità delle apparecchiature disponibili;
    d) ambiente in cui opera l'apparecchiatura;
    e) utilizzatore;
   la procedura di gara è stata aggiudicata in via definitiva in data 17 ottobre 2014; sono stati offerti sconti rispetto alla base d'asta superiori al 95 per cento in 4 dei 5 lotti e superiore al 90 per cento nel restante lotto;
   ad esempio, si riporta, il costo di manutenzione di un apparecchiatura Radiologica telecomandato digitale diretto del valore di euro 148.000,00 la cui manutenzione è stata offerta al prezzo di euro 14,80 anno, pari allo 0,01 per cento del valore di acquisto. La stessa CONSIP nelle sue procedure di gara fissa il prezzo della manutenzione di tali apparecchiature al 10 per cento del valore di acquisto cioè a euro 14.800,00 anno (vedi «Convenzione per la fornitura di apparecchiature di radiologia, dispositivi accessori e dei servizi connessi ed opzionali per le Pubbliche Amministrazioni — Telecomandati digitali diretti e Portatili per radiografia digitali diretti Lotto 1 — Telecomandati digitali diretti»);
   due sentenze del TAR del Lazio nel 2015 hanno chiesto l'annullamento del bando di gara della CONSIP del 26 marzo 2013 e in particolare dei lotti 3 e 5;
   l'articolo 2, comma 1 del decreto-legge n. 163 del 2006 prevede che l'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, oltre a quello di pubblicità con le modalità indicate nel citato decreto-legge;
   il decreto, 24 febbraio 1997, n. 46 modificato col decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 37 per il recepimento della direttiva 2007/47/CE in attuazione della direttiva 93/42/CEE riguardante i dispositivi medici all'articolo 3 comma 1, prevede che: «i dispositivi possono essere immessi in commercio o messi in servizio unicamente se rispondono ai requisiti prescritti dal presente decreto, sono correttamente forniti e installati, sono oggetto di un'adeguata manutenzione e sono utilizzati in conformità della loro destinazione.»;
   dal quotidiano il Sole 24 Ore del 9 marzo 2015 l'ingegner Armando Ardesi, presidente dell'associazione servizi e telemedicina di Assobiomedica ha dichiarato riferendosi alla gara CONSIP: «Nella convenzione Consip il costo della manutenzione delle apparecchiature viene calcolato come percentuale fissa rispetto al prezzo di acquisto dell'apparecchiatura. Questo criterio non rappresenta una metodologia adeguata all'individuazione del corretto costo del servizio. È, infatti, evidente che il costo manutentivo di un'apparecchiatura è correlato a molteplici fattori, quali ad esempio la vetustà, lo stato di conservazione, il grado e l'intensità di utilizzo, le condizioni ambientali e la sua destinazione d'uso.»;
   dal quotidiano Sanità del 23 marzo 2015 l'ingegner Lorenzo Leongrande, presidente AIIC (Associazione italiana ingegneri clinici) ha dichiarato: «Nella gara in oggetto, in molte classi di apparecchiature si prevede un costo complessivo annuo della manutenzione inferiore all'1 per cento del valore a nuovo delle tecnologie installate. Tale riferimento risulta molto inferiore rispetto alla media delle gare d'appalto per la manutenzione delle apparecchiature biomediche aggiudicate negli ultimi anni in Italia, ma anche alla spesa che ognuno di noi sa di dovere sostenere per la propria automobile»;
   dal quotidiano Sanità del 6 maggio 2015 l'ingegner Pietro Derrico, vicepresidente Sihta (Società italiana di health technology assessment) ha dichiarato «Il sistema Consip e le centrali uniche di acquisto regionali continuano a determinare una situazione di grave disagio nei manager e tra i professionisti delle strutture pubbliche del Ssn, nelle aziende di settori complessi e delicati come il biomedicale e a suscitare la riprovazione da parte dei più illustri rappresentanti di categoria (Società Scientifiche, Associazioni). In tale solco si è recentemente inscritta la gara per i “Servizi Integrati per la Gestione delle Apparecchiature Elettromedicali (SIGAE) 4”, indetta da Consip, e aggiudicata ad un prezzo irrisorio, incompatibile con gli standard minimi riconosciuti anche a livello internazionale. A conferma di ciò, è di qualche giorno fa la notizia dell'annullamento da parte del TAR per il Lazio del provvedimento di aggiudicazione definitiva della gara SIGAE 4 (per i lotti n. 3 e n. 5);
   nonostante tale provvedimento, persistono i dubbi circa le conseguenze sulla sicurezza e sostenibilità di servizi essenziali come la manutenzione delle apparecchiature biomediche e il conseguente rischio per la qualità dei servizi diagnostico-terapeutici offerti al paziente» –:
   se sia opportuno che CONSIP affidi un servizio essenziale per la salute del cittadino, come la manutenzione delle apparecchiature elettromedicali dell'intero sistema sanitario nazionale, attraverso una procedura di gara al massimo ribasso del prezzo alla luce delle considerazioni espresse in premessa;
   se i prezzi di manutenzione di apparecchiature elettromedicali scaturiti dalla procedura di gara in questione siano conciliabili con la possibilità di garantire la sicurezza e l'efficienza dell'apparecchiature elettromedicali e di conseguenza affidabilità e sicurezza della prestazione sanitaria ai cittadini;
   quali iniziative intendano assumere in conseguenza della pronuncia dal Tar del Lazio sull'annullamento della gara con procedura aperta avente, per oggetto la stipula di una Convenzione, ai sensi dell'articolo 26 della legge n. 488 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni, dell'articolo 58 della legge n. 388 del 2000, del decreto ministeriale 24 febbraio 2000 e del decreto ministeriale 2 maggio 2001, per la prestazione di Servizi integrati per la gestione delle apparecchiature elettromedicali, ed. 4, ubicate presso le pubbliche amministrazioni, ID 1274, come pubblicato in Gazzetta ufficiale 5a Serie Speciale – contratti pubblici n. 38 del 29 marzo 2013 e denominata anche SIGAE, per i lotti 3 e 5;
   se intendano assicurare, quanto previsto nelle normative europee riguardo agli apparecchi elettromedicali, a riguardo delle verifiche periodiche e delle prove dopo interventi di riparazione degli apparecchi elettromedicali;
   se valutino di promuovere tutte le iniziative di loro competenza per attuare un controllo generale, degli interventi manutentivi del Parco tecnologico nazionale sanitario;
   se ritengano di predisporre un tavolo tecnico tra Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero della salute, CONSIP SPA, associazioni di categoria dei produttori dei dispositivi elettromedicali per stabilire nuovi criteri per la valutazione dei costi per la manutenzione che superino il criterio dell'aggiudicazione al massimo ribasso;
   se intendano assumere un'iniziativa diretta alla riforma dell'attuale normativa a riguardo dell'affidamento della manutenzione delle apparecchiature elettromedicali. (5-05798)

Interrogazione a risposta scritta:


   BORGHI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'introduzione della voluntary disclosure si è manifestata una mancata equità di trattamento in tema di costo per l'accesso, ovviamente a parità di condizioni, tra un contribuente residente in Italia che ha costituito attività finanziarie, in evasioni da imposte, all'estero, in particolare in Svizzera, ed un contribuente residente in Italia che svolge o ha svolto attività di frontaliere ed attualmente è pensionato;
   un contribuente italiano che ha esportato illegalmente denari per occultarli in Svizzera era certamente consapevole di evadere le tasse in Italia, anzi era questo lo scopo principale della condotta evasiva;
   un contribuente italiano che svolgeva attività di lavoro dipendente all'estero (frontaliere) è stato obbligato ad aprire il conto corrente in Svizzera sul quale obbligatoriamente gli veniva accreditato lo stipendio. Tale soggetto ha sempre pagato le imposte sul suo reddito di lavoro dipendente prestato all'estero, imposte che, poi, mediante il criterio dei «ristorni» venivano riaccreditate ai comuni italiani e quindi all'erario italiano. Non è sicuramente, quindi, intestatario di un conto corrente per scopi elusivi o evasivi;
   nel primo caso si è in presenza di redditi non sottoposti ad imposizione in Italia e quindi evasi, nel secondo caso si è in presenza di redditi che comunque hanno scontato una tassazione in Italia e, quindi, perfettamente legali;
   il lavoratore frontaliere poteva anche non essere a conoscenza della obbligatorietà di compilazione del quadro RW nella dichiarazione dei redditi Mod. Unico PF quando, ritirandosi dal lavoro, manteneva il proprio conto corrente all'estero per permettere l'accreditamento della pensione;
   nel primo caso si tratta di evasione con esportazione di valuta, mentre nel secondo caso si tratta di redditi già tassati e di valuta che normalmente entra in Italia;
   il lavoratore frontaliero ed il pensionato normalmente prelevano dal conto estero lo stipendio o la pensione per spenderla nel luogo di residenza e quindi in Italia;
   il costo di questa «regolarizzazione» per la omessa compilazione del citato quadro RW a parità di importo e del numero di anni di esistenza del deposito all'estero è identico;
   la stessa situazione si era già verificata ai tempi dello «scudo fiscale» di cui all'articolo 13-bis del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102. L'Agenzia delle entrate con propria circolare n. 48/E del 17 novembre 2009 testualmente recitava: «Tuttavia, tenuto conto di quanto in precedenza chiarito circa la carenza, nei casi in esame, della volontà di porre in essere comportamenti illeciti (è sintomatica, al riguardo, la circostanza che si tratta di disponibilità detenute all'estero derivanti da redditi di lavoro dipendente ed assimilato generalmente assoggettati a tassazione alla fonte a cura del datore di lavoro), tali soggetti, qualora inadempienti, possono regolarizzare la propria posizione fiscale con riferimento agli anni pregressi, presentando la dichiarazione dei redditi integrativa relativamente al periodo d'imposta 2008 ed indicando nel modulo RW, Sezione II, la consistenza del deposito e/o conto corrente al termine del medesimo anno». In definitiva con il pagamento di un importo pari a 26,00 euro si sanava l'intera omissione sino all'anno di imposta 2008;
   anche l'omissione in Italia della dichiarazione dei redditi da capitale, maturati sui depositi bancari esteri intestati a frontalieri o ad ex frontalieri ora pensionati, non è stata certamente frutto di volontà scientemente preordinata all'evasione fiscale;
   in primis si tratta, in genere, di importi modesti ed anche l'Agenzia delle entrate nella citata circolare 48/E del 2009, tra le righe così si esprime: «Si fa presente che, a decorrere dal periodo d'imposta 2009, ricorrendone i presupposti, rimane fermo, per la tipologia di lavoratori esteri in esame, l'obbligo di compilazione del modulo RW per la consistenza delle attività detenute all'estero e dei relativi trasferimenti (Sez. Il e Sez. III), nonché l'obbligo di dichiarazione dei redditi derivanti da tali attività. Con specifico riferimento a questi ultimi, gli interessi derivanti dai conti correnti in questione devono essere assoggettati ad imposizione in Italia nell'ambito della dichiarazione dei redditi, compilando il quadro RM del modello Unico e liquidando l'imposta sostitutiva nella stessa misura (27 per cento) della ritenuta alla fonte a titolo d'imposta applicata in Italia sui redditi della stessa natura (v. articolo 18 del TUIR)»;
   la irrilevanza del gettito da voluntary per frontalieri o ex frontalieri ora pensionati, sommata alla mancanza della volontà di evadere e, da ultimo ad un minore intasamento delle Agenzie delle entrate, che meglio si potranno concentrare su situazioni più interessanti dal lato delle entrate, porta a richiedere un intervento di semplificazione, con un provvedimento legislativo confermato poi da successiva circolare dell'Agenzia delle entrate, sia in termini di procedura sia in termini di importi nei confronti dei più volte citati frontalieri o ex frontalieri ora pensionati –:
   quali iniziative intenda promuovere il Ministro interrogato al fine di regolarizzare la posizione dei lavoratori frontalieri in Svizzera per scongiurare il rischio che vengano equiparati ad evasori fiscali;
   se non ritenga il Ministro interrogato, in concerto con l'Agenzia delle entrate, di promuovere un tavolo di lavoro con i rappresentanti dei lavoratori frontalieri, al fine di addivenire ad una risoluzione delle problematiche sopracitate. (4-09449)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella graduatoria nazionale della durata media dei procedimenti civili, il tribunale di Caltagirone è relegato al 113o posto sui 139 presenti nel territorio nazionale, 575 giorni contro i 114 del primo ed i 343 della mediana;
   i problemi che assillano, e che non trovano soluzione alcuna, il tribunale di Caltagirone sono stati denunciati dall'Ordine degli avvocati della città calatina in vario modo ed in più occasioni;
   l'elenco delle disfunzioni e delle carenze in ogni aspetto della procedura giurisdizionale, sia civile che penale, è lunghissimo;
   nel settore civile, l'Ordine degli avvocati di Caltagirone lamenta: fissazione delle udienze a date eccessivamente lontane; fissazione delle udienze deputate al conferimento di incarico al consulente tecnico di ufficio nell'ambito di accertamento tecnico preventivo, specificamente in materia previdenziale, a lontanissima data (a volte anche un anno), malgrado si tratti di adempimenti urgenti, che richiedono pochissimo tempo e, sostanzialmente, nessuna risorsa, ma idonei a definire il procedimento e la controversia assai rapidamente; disapplicazione del protocollo di disciplina dell'attività giudiziaria in materia civile; nomine di professionisti delegati alle vendite, curatori fallimentari e figure analoghe, arbitri e consulenti tecnici di ufficio esterni al circondario e criteri all'uopo adottati;
   nel settore penale, l'Ordine degli avvocati di Caltagirone lamenta: differimento dell'udienza in assenza di controcitazione; trattazione dei processi penali nell'ambito della medesima udienza in base a un ordine non ragionevole (precedenza a quelli in cui non sono presenti i difensori, o posticipazione, in certi casi fino al pomeriggio, di quelli destinati a celerissima spedizione, se non a differimento); ritardo nella allegazione dell'originale delle notificazioni al fascicolo del dibattimento, spesso operata lo stesso giorno dell'udienza, con le ben intuibili, gravi conseguenze; ritardo nella allegazione dell'impedimento a comparire da parte di testimoni, consulenti e periti, spesso operata lo stesso giorno dell'udienza, con le ben note, gravi conseguenze; frequente fissazione della prima udienza dibattimentale davanti a magistrato tabellarmente incompetente; costante ricorso alla prassi che il giudice penale, all'esito della discussione del difensore, rinvia «d'ufficio» per la replica del pubblico ministero, replica, poi, non svolta, o per aggiornare il certificato penale, con questo impedendo all'avvocato di riassumere sia pure in pochi minuti i propri argomenti illustrati oralmente molto tempo prima; troppo frequente, non giustificato impegno delle ore pomeridiane per le udienze; mancata adozione del protocollo dell'udienza penale;
   sia nel settore penale che in quello civile, gli avvocati di Caltagirone lamentano: eccessivamente frequenti variazioni tabellari; differimento dell'udienza in assenza della previa, tempestiva, sollecita comunicazione all'Ordine (oggi in via di risoluzione); mancata istituzione di adeguate fasce orarie all'interno dell'udienza; eccessiva e sproporzionata concentrazione delle udienze nella giornata del giovedì; orario di inizio delle udienze frequentemente non rispettato (oggi in via di risoluzione); liquidazione degli onorari, nell'ambito del patrocinio a spese dello Stato, con incomprensibile, gravissimo ritardo (frequentemente anni); mancanza di un adeguato controllo sull'esercizio del ministero da parte di alcuni Giudici onorari, più volte segnalati e per profili squisitamente organizzativi e per le concrete modalità di tenuta delle udienze, modalità talora decisamente irragionevoli e intollerabili, purtroppo già generatrici di sgradevoli episodi; esecuzione delle operazioni peritali, anche quando meramente documentali, presso lo Studio del perito, ma fuori dal circondario;
   lamentano, inoltre, l'inesistenza di indicazioni sulle aule in cui viene tenuta ciascuna udienza; il mancato intervento nei numerosi casi in cui avvocati appartenenti ad altri ordini ma operanti prevalentemente presso il tribunale ordinario di Caltagirone mantengono comportamenti che finiscono per turbare l'ordinato svolgimento delle udienze, la serena trattazione delle controversie, il corretto intrattenimento dei rapporti tra colleghi; la mancata evasione della richiesta, datata 3 luglio 2014, di prosecuzione dei lavori del tavolo; il mancato riscontro della comunicazione degli avvocati deputati a redigere, insieme ai designandi magistrati, i protocolli di udienza;
   anche le condizioni strutturali e logistiche dell'edificio destinato a sede del tribunale di Caltagirone sono conseguenti e paragonabili alle carenze suesposte;
   la destinazione ad aula di udienza dell'indecoroso, a giudizio dell'interrogante, vano sito al secondo piano contrassegnato dal codice numerico 122 che, per le caratteristiche strutturali del locale, realizzato per ben altri usi, dimostra il disinteresse e la disaffezione nei confronti del tribunale di Caltagirone;
   l'anticipazione dell'udienza civile collegiale alle ore 09:00, orario mai rispettato, che costringe centinaia di avvocati a lunghe, inutili, attese della fine dell'udienza collegiale e dell'inizio delle udienze monocratiche, fine e inizio in orari mai certi;
   si riferisce di scarsa pulizia di aule e corridoi e della presenza sui pavimenti delle aule di udienza di cavi non raccolti, non coperti, non convogliati in canalette, che costituiscono un pericolo per l'incolumità degli avvocati; dell'assoluta insufficienza, nelle aule di udienza, dei microfoni destinati agli interventi delle parti; della mancata, attuale, integrale attivazione e/o funzionalizzazione del sistema di climatizzazione malgrado i rigori invernali, e delle condizioni di degrado in cui versano l'aula «Giorgio Arcoleo» e i suoi arredi, per la cui realizzazione l'Avvocatura calatina tanto si è spesa sembrerebbe un problema di poco conto in rapporto alle ben più serie mancanze citate in precedenza;
   a tutto ciò, come se non bastassero i problemi appena citati, si aggiunge la preoccupante scopertura delle piante organiche, specificamente quella magistratuale togata del tribunale, recentemente aggravata dal collocamento a riposo del cons. Salvatore Acquilino e dall'incredibile contestuale «tramutamento» del dottor Maurizio Francola, del dottor Angelo Pappalardo, della dottoressa Anna Sciré che d'un sol colpo priva il tribunale di tre magistrati su tredici;
   non può, inoltre, dimenticare la gravissima situazione in cui versa l'ufficio del giudice delle indagini e dell'udienza preliminare, presso il quale attualmente opera un solo magistrato con la implicita conseguenza della concreta impossibilità di garantire un livello minimo di funzionalità; la mancata nomina del presidente del tribunale ed il troppo lungo periodo di vacanza dell'ufficio del procuratore della Repubblica;
   nel corso dell'assemblea generale straordinaria dell'ordine degli avvocati di Caltagirone del 9 dicembre scorso, sono state segnalate, altresì, altre problematiche quali: la pressoché costante indisponibilità del giudice dell'udienza penale, collegiale e monocratica, a rendere la sentenza subito dopo le conclusioni del difensore e il costante ricorso all'inaccettabile sistema del rinvio per consentire le «repliche» del rappresentante dell'ufficio del pubblico ministero, poi mai svolte, o l'aggiornamento del certificato penale o, di recente, finanche la esplicita sollecitazione al difensore a richiedere egli stesso un differimento; la frequente prevaricazione del giudice dell'udienza penale, collegiale e monocratica, che disattende le legittime richieste degli avvocati, quali il differimento a causa di concomitante e più grave e urgente impegno ovvero la solerte trattazione dei processi in cui sono presenti tutti gli interessati; i casi in cui il giudice dell'udienza penale, collegiale e monocratica, rigetta l'opposizione a una domanda al teste prima ancora che il difensore la illustri; l'eccessivo, ingiustificabile numero di continui, reiterati, consecutivi rinvii delle udienze civili, anche quelle fissate per la precisazione delle conclusioni definitive, che ritarda considerevolmente il momento della decisione della controversia; la incompletezza e la tardività delle comunicazioni che quasi sempre effettua la cancelleria, ma solamente il giorno prima e solamente agli avvocati;
   i fatti e gli episodi in questione danno conto di una «governance» del tribunale priva di concreto interesse nei confronti dell'effettività della giurisdizione nel prezioso presidio circondariale calatino, a volte addirittura dichiarato expressis verbis «inutile», tesa esclusivamente verso una solo apparente efficienza, ma in concreto priva di attenzione nei confronti dei contenuti e della qualità, nonché di stimolo al miglioramento e alla crescita;
   i medesimi fatti e i medesimi episodi rappresentano, anche, la perniciosa conseguenza di un distorto approccio culturale al rapporto con l'Avvocatura, la cui presenza nel processo è troppo spesso considerata solamente una «regolarità formale» del processo stesso e non invece, come prescrive la Costituzione, una struttura portante, essenziale e indispensabile della seria, responsabile, moderna, civile, democratica amministrazione della giustizia;
   l'obiettiva penuria di risorse deve sollecitare, a giudizio dell'odierno interrogante, non il disinteresse, la rassegnazione, la insensibilità, bensì un concreto, responsabile affinamento delle tecniche dell'organizzazione che immancabilmente sottende un confronto costante, aperto e costruttivo tra amministrativi, avvocati, magistrati, a sua volta generato dalla consapevolezza dell'importanza e della imprescindibilità dei rispettivi ruoli;
   i fatti e gli episodi in questione, oltre che penalizzare e umiliare l'esercizio del ministero difensivo e della stessa professione forense, minano nelle radici il tribunale ordinario di Caltagirone, la sua immagine, la sua sopravvivenza, valori questi di vitale importanza per l'intera comunità del comprensorio del «Calatino Sud Simeto» e dei comuni sui cui territori si estende il Circondario;
   l'avvocatura del comprensorio è ben consapevole, anche alla luce delle pregresse negative esperienze, della circostanza che mentre coloro, tra gli operatori della giustizia e i soggetti della giurisdizione, i quali nella presente contingenza esercitano qui il proprio ufficio ma non hanno radici, culturali e affettive, in questo territorio, presto se ne allontaneranno, essa si è invece votata a operarvi a vita e a formare le sue nuove generazioni;
   tanto gemma, in maniera naturale e ineludibile, l'interesse e la volontà di difendere l'amministrazione efficiente della giustizia nel suo territorio, il proprio ministero difensivo, la propria professione forense, l'immagine e la permanenza del tribunale ordinario di Caltagirone, i sani interessi del comprensorio del «Calatino Sud Simeto»;
   per protestare nei confronti di una complessa e radicata situazione di tal fatta, generatrice dei guasti, delle disfunzioni, dei disservizi esposti, l'Avvocatura calatina ha deciso l'astensione dalle udienze, pur con gli evidenti aspetti negativi che essa presenta per la giurisdizione, per l'utenza e per l'Avvocatura stessa;
   oltre l'astensione dalle udienze, l'ordine degli avvocati di Caltagirone ha stabilito di mettere in campo altre iniziative volte a dare voce alla protesta e a fare sentire in ogni sede l'importanza del tribunale di Caltagirone;
   l'assemblea generale straordinaria degli avvocati di Caltagirone ha dato mandato al presidente dell'ordine di rappresentare al Ministro della giustizia, al Consiglio Superiore della Magistratura ed al Consiglio giudiziario le disfunzioni e i disservizi evidenziati nonché i gravissimi pregiudizi che sono derivati già da tempo e derivano dalla mancata copertura dell'ufficio di presidente del tribunale, auspicando la nomina di magistrato davvero idoneo all'importante ruolo e, per questo, dotato di indiscutibili capacità di dirigenza e di vera affectio nei confronti del Presidio e della sua funzione;
   sarebbero gravissime ed irreparabili le conseguenze che certamente subirà il tribunale ove dovesse darsi corso al trasferimento di tre magistrati, con la implicita scopertura della pianta organica magistratuale togata in misura pari a quasi il 70 per cento e il sostanziale arresto dell'attività dell'Ufficio del Giudice delle indagini e dell'udienza preliminare –:
   se il ministro interrogato sia a conoscenza della gravità e della complessità delle problematiche denunziate e quali opportune iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare. (4-09450)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il signor M.S.K., senegalese residente a Conegliano (Treviso) ha promosso un ricorso contro la Electrolux H.P. Italy spa;
   tale ricorso ex articolo 414 del codice di procedura civile fu depositato in data 22 aprile 2010, dal momento che il signor K. è stato assunto il 1o gennaio 2003 alle dipendenze della Electrolux H.P. Italy spa presso lo stabilimento di Conegliano Veneto, con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ed inquadrato nel 3o livello del CCNL di categoria; è stato assegnato a lavori di «schiumatura», ovvero una attività di coibentazione che veniva eseguita all'interno di un locale chiuso e privo di mezzi adeguati di assorbimento delle esalazioni nocive, mediante l'applicazione di un liquido estremamente nocivo, il metan difenil diisocianato – MDI;
   per effetto della fuoriuscita degli agenti chimici provenienti dall'applicazione del suddetto materiale, ha subito delle patologie cardio-respiratorie, come «l'asma indotta da metan difenil diisocianato (MDI)», peraltro diagnosticate dalle strutture del policlinico di Padova durante il ricovero e, successivamente, certificate dall'INAIL. Inoltre, ha contratto una forma di abrasione corneale con congiuntivite follicolare e linfonodo auricolare sempre collegata alla esposizione a tale materiale;
   il signor K. ha esposto, altresì, che, per l'intero rapporto di lavoro, non solo non è stato dotato dei mezzi di sicurezza previsti dalla legge, ma è stato costretto a svolgere la propria attività lavorativa in un ambiente privo dei sistemi di assorbimento degli agenti chimici sprigionati dal materiale usato;
   l'esposizione e il contatto quotidiano con i suddetti agenti chimici, hanno causato gravi danni alla salute, come ampiamente certificati, e pertanto il ricorrente si è rivolto alla magistratura per chiedere alla ditta presso cui ha lavorato contraendo tali patologie professionali il risarcimento di tutti i danni non patrimoniali;
   il giudice del tribunale di Treviso, tuttavia, pur in assenza di qualsiasi attività istruttoria in merito all'accertamento dei mezzi di sicurezza adoperati dalla società e nonostante avesse in sentenza, riconosciuto – come da certificato INAL – la natura professionale della patologia denunciata, ha deciso per il rigetto della domanda con sentenza n. 157/2014 del 23 settembre 2014;
   il giudice ovviamente avrebbe anche potuto rigettare la domanda nel merito, ma se ciò fosse avvenuto all'esito di un legittimo processo. Nel caso in esame, a parere del deputato interrogante e dei legali del signor K., la definizione del giudizio si basa su un gravissimo errore procedurale in cui è incorso il giudice di prime cure, laddove ha deciso il giudizio non sulla base di un risultato emerso dall'istruttoria ritualmente espletata in sede di giudizio, dove è assicurato il contraddittorio, ma sulla basa di una erronea e illegittima ricostruzione (rectius: rappresentazione) dell'ambiente di lavoro in cui ha lavorato il signor K., delegata unicamente al consulente tecnico d'ufficio, cui ha provveduto fuori dal processo e a distanza di 6 anni dal periodo lavorativo considerato;
   per tale attività, il consulente tecnico d'ufficio, in effetti, ha esercitato funzioni istruttorie che la legge non gli consente, quali compiere un'attività istruttoria vera e propria come ha fatto: raccogliere dichiarazioni di persone, scelte autonomamente, che egli stesso (consulente tecnico d'ufficio) definisce «testimonianze», per di più acquisite in assoluta solitudine e fuori dal giudizio, senza contraddittorio, e sulla base di criteri che non è dato conoscere;
   peraltro, la Suprema Corte ha ritenuto che la consulenza tecnica d'ufficio non sia un mezzo istruttorio in senso proprio, poiché ha la finalità di aiutare il giudice nella valutazione di elementi già acquisiti al processo, e quindi costituisce un mezzo di controllo dei fatti costituenti la prova, che deve essere fornita dalla parte a sostegno della propria posizione giuridica, non potendo in nessun caso la consulenza d'ufficio avere funzione sostitutiva dell'onere probatorio delle parti (Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 6 dicembre 2011 n. 26151);
   come se non bastasse, oltre il danno anche la beffa: il giudice, nel rigettare la domanda, condannava il signor K. al pagamento delle spese di causa determinate in euro 7.800,00, oltre oneri di legge, per competenze professionali, ponendo a carico dello stesso le spese di consulenza tecnica d'ufficio pari a euro 5.618,38 oltre oneri di legge per competenze professionali;
   in data 8 ottobre 2014 la Electrolux H.P. Italy spa faceva pervenire al signor K. intimazione di pagamento stragiudiziale con la richiesta di un importo complessivo di euro 10.943,40 e in data 19 marzo 2015 è stato notificato sempre al signor K. pignoramento presso terzi per un importo complessivo di euro 24.379,92;
   in data 20 aprile 2015 il tribunale di Treviso ha assegnato le somme alla società ricorrente, che saranno trattenute sulle competenze mensili dell'appellante fino a concorrenza del credito vantato dalla società;
   detto pagamento potrebbe, considerate le ridottissime e insufficienti risorse economiche di cui dispone il signor K., causare gravi problemi di sopravvivenza, poiché lo stesso deve far fronte alle esigenze di una famiglia composta dalla moglie e ben 5 figli che frequentano le scuole ai vari livelli –:
   se il Ministro interrogato non ritenga anche alla luce dei gravissimi fatti esposti in premessa, di adottare iniziative normative volte a chiarire in maniera inequivocabile il ruolo del consulente tecnico d'ufficio, evitando possibili abusi. (4-09459)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   ZARATTI, PIRAS e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo apparso sul quotidiano «il Fatto Quotidiano» in data 13 maggio 2015 dal titolo «La rete che misura i rischi ambientali: per lo Stato è top secret», si apprende la notizia dell'esistenza nel territorio italiano di una rete di monitoraggio della radioattività («Ramon») con 1.237 stazioni in grado di misurare ogni minima variazione della radioattività nell'aria;
   detta rete «Ramon», nata nel 1961 con compiti esclusivamente di Difesa civile per l'individuazione in tempo reale di un'eventuale contaminazione da attacco nucleare e il monitoraggio del fallout radioattivo, da metà degli anni novanta sarebbe stata assegnata al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e con interventi di ammodernamento destinata al monitoraggio ambientale anche di aree circostanti i poligoni militari, dove i sensori raccoglierebbero informazioni su possibili fonti di contaminazione, dagli incidenti industriali, al trasporto di sostanze radioattive, dai dispositivi per la medicina nucleare negli ospedali, fino all'eredità delle centrali e dei centri di ricerca del nucleare italiano;
   l'articolo riferisce che a nome e per conto del quotidiano sono stati richiesti, ai sensi della legge n. 195 del 2005 sull'accesso alle informazioni ambientali, ai 20 comandi regionali dei vigili del fuoco coinvolti nella raccolta dei dati, accesso ai dati di rilevamento della radioattività del Corpo nazionale dei vigili del fuoco raccolti dalla rete «Ramon» e che con una lettera del 28 aprile 2015, firmata dal capo del dipartimento dei vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile Francesco Antonio Musolino – ex prefetto di Genova – inviata ai comandi regionali dei vigili del fuoco, l'accesso ai dati è stato ufficialmente negato, spiegando che la rete Ramon gode di un'autonomia garantita per legge rispetto al sistema di controllo ambientale;
   sempre nel citato articolo de «il Fatto Quotidiano» viene ricostruito l'episodio del tranciamento accidentale, nel corso di alcuni scavi effettuati nei pressi del mattatoio di Teulada (CA), di un cavo telefonico collegato a un rilevatore di radioattività posizionato nei pressi del fiume e di una falda acquifera, in un'area a ridosso del secondo poligono militare italiano (Teulada), già al centro come riportato dall'articolo di un'inchiesta della procura di Cagliari per un possibile disastro ambientale, dove la presenza di elementi radioattivi sarebbe stata confermata recentemente da uno studio commissionato dalla magistratura –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere perché i dati di monitoraggio della rete di rilevamento della radioattività del Corpo nazionale dei vigili del fuoco siano acquisiti pubblicamente e messi a disposizione degli enti locali e delle agenzie regionali di protezione ambientale, anche al fine di conoscere tutte le possibili fonti di contaminazione derivanti dall'attività nei poligoni militari, dagli incidenti industriali, dal trasporto di sostanze radioattive, dai dispositivi per la medicina nucleare negli ospedali, dall'eredità delle centrali e dei centri di ricerca del nucleare italiano, che possano compromettere la salute e l'integrità dell'ambiente, anche al fine di sviluppare idonei studi epidemiologici sulla popolazione esposta. (3-01539)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MUCCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco di Bologna ha emesso un'ordinanza con la quale ha modificato gli orari di apertura dei locali nella zona universitaria di Bologna stabilendo che gli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande potranno aprire dalle 5 all'una del giorno successivo. Il provvedimento prevede anche che i laboratori artigianali alimentari dovranno chiudere l'attività di vendita non oltre le 23 e aprire non prima delle 6 e che gli esercizi di vicinato del settore alimentare e misto potranno aprire dalle 6 alle 22;
   l'amministrazione comunale, in una nota, ha sostenuto che in base dell'articolo 14 del regolamento di polizia urbana già in vigore, dalle 22 alle 6 è vietata la vendita per asporto di qualsiasi bevanda alcolica, nonché di ogni altra bevanda posta in contenitori di vetro o lattina: «La necessità di intervenire sugli orari delle attività commerciali della zona universitaria è stata presa in esame dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica presieduto dal prefetto, lo scorso 26 maggio»;
   ad avviso del sindaco, l'ordinanza è considerabile un atto legittimo, poiché si tratta di «un provvedimento molto semplice e necessario, perché in quell'area si concentrano migliaia di persone, quindi bisogna raggiungere un equilibrio tra il diritto al divertimento e il diritto al riposo dei residenti;
   le zone interessate dal provvedimento sono numerose e grave è, ad avviso dell'interrogante, la discriminazione ai danni dei lavoratori poiché è normale che i clienti dei locali situati nella zona sottoposta al divieto altro non faranno che migrare all'esterno di essa, proseguendo nell'acquisto dei beni lecitamente somministrabili ma creando importanti danni agli imprenditori della zona, causati da una misura amministrativa che a giudizio dell'interrogante non è conforme ai principi costituzionali di libertà di iniziativa economica, conculca la libertà di concorrenza, non tutela il lavoro e i diritti connessi, quasi incentivando una sua riduzione e creando, ad avviso dell'interrogante, senza alcuna ragione apparentemente plausibile, la deroga al doveroso rispetto di tanti principi costituzionali che dovrebbero garantire la certezza del diritto e la programmabilità della vita futura in base agli atti posti in essere in ossequio alla normativa vigente. Anche questi sono diritti acquisiti, e i patti sottoscritti devono essere rispettati, soprattutto dai rappresentanti pro tempore delle istituzioni che hanno l'onore e l'onere di garantirli effettivamente;
   di seguito il dettaglio dell'ampia porzione di città posta sotto tutela: via Capo di Lucca, via del Borgo di San Pietro, via Mascarella, via Centotrecento, via Bertoloni, via De Rolandis, piazza di porta San Donato, via Irnerio, piazza Puntoni, via delle Belle arti, via del Guasto, via Castagnoli, via delle Moline, via Mentana, via de’ Facchini, via Marsala, via Canonica, largo Respighi, via Valdonica, via del Carro, via dell'Inferno, via de’ Giudei, vicolo Mandria, via Tubertini, via San Giobbe, via San Simone, piazza San Martino, piazzetta Biagi, piazza Rossini, via Zamboni, via mura Anteo Zamboni, via San Giacomo, via Selmi, via Belmeloro, via Vinazzetti, via Croce, via San Leonardo, via Sant'Apollonia, via dell'Unione, via Acri, largo Trombetti, via dei Bibiena, piazza Verdi, via San Vitale, piazza Aldrovandi, vicolo Broglio, vicolo Leprosetti e vicolo Fantuzzi;
   l'ordinanza fa seguito a quella precedentemente applicata nella sola via Petroni poiché, ad avviso dell'amministrazione felsinea, a circa tre anni dalla sua adozione essa si è dimostrata come «una misura efficace per contrastare comportamenti incivili e degrado urbano, in favore della quiete pubblica, del decoro e della vivibilità urbana»;
   l'amministrazione precisa che sono ammesse deroghe, ma «solo ed esclusivamente previa firma di un Patto di collaborazione tra Comune ed esercizi commerciali»;
   a seguito della decisione del sindaco, si è svolta un'affollata e polemica riunione in un noto locale della zona interessata dal provvedimento dove circa 70 gestori di locali hanno deciso all'unanimità di impugnare davanti al Tar l'ordinanza del sindaco, ritenendola illegittima e contraria alla liberalizzazione degli orari del commercio fatta dal Governo Monti;
   Loreno Rossi, direttore di Confesercenti Bologna ha sostenuto che, «In base alla legge i sindaci non possono più regolare gli orari se non a tempo e per problemi contingenti». I locali hanno deciso di intraprendere anche «un'azione politica verso la città coinvolgendo la politica, i cittadini e gli studenti», facendo manifesti e raccogliendo firme. «La sicurezza non si migliora chiudendo le attività. Anzi, la loro chiusura crea degrado». Senza dimenticare il problema economico per le attività: durante la riunione, infatti, è emerso «il rischio di almeno mille licenziamenti» –:
   di quali elementi disponga in relazione ai fatti sopra esposti e, considerato l'obbligo di preventiva comunicazione al prefetto dell'ordinanza, se siano stati o se intenda muovere rilievi critici alla luce delle ragioni esposte in premessa, all'atto assunto dall'amministrazione felsinea.
(4-09446)


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le notizie di cronaca degli ultimi anni hanno spesso portato alla luce il grave problema delle infiltrazioni mafiose nel basso Lazio, con la città di Formia al centro di indagini di polizia;
   in ordine di tempo l'ultimo gravissimo fatto di cronaca riguarda l'omicidio, avvenuto in puro stile camorristico, dell'avvocato Mario Piccolino, che interpretava lo spirito più nobile di contrasto alle organizzazioni criminali, ucciso nel suo studio;
   le indagini sono passate alla procura antimafia di Roma, e l'individuazione del responsabile renderà più chiaro cosa stia accadendo in quella vasta porzione a sud del Lazio;
   troppo poco è stato fatto dalle amministrazioni comunali in materia di sicurezza, soprattutto a Formia negli ultimi mesi la situazione è degenerata, dopo l'ondata di furti nelle attività commerciali e nelle abitazioni; si è passati a pestaggi, rapine ad opera di non meglio precisati «giovani stranieri africani e dell'est Europa», sparatorie ed addirittura agli omicidi;
   comitati di cittadini da alcuni mesi hanno presentato un piano per la sicurezza del territorio, chiamato «Golfo Sicuro» e le proposte sono state presentate ai sindaci di Formia, Gaeta e Minturno –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda, alla luce dei risultati delle indagini condotte dalla magistratura sia passate che presenti, predisporre un incremento del numero di agenti presenti sul territorio al fine di contrastare il radicamento della criminalità organizzata nel basso Lazio e nel comune di Formia. (4-09447)


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come ogni anno, il servizio tecnico-logistico e patrimoniale della polizia di Stato «Sicilia e Calabria» richiede, agli uffici che dipendono da esso, personale per rinforzare alcune questure «strategiche» d'Italia, questure che in estate hanno bisogno di più uomini perché, con le vacanze estive, aumenta la popolazione che insiste sui loro territori di competenza;
   anche quest'anno, il Servizio tecnico-logistico e patrimoniale della polizia di Stato «Sicilia e Calabria» ha richiesto tale personale;
   tra i destinatari al trasferimento temporaneo di ogni anno ci sono tre uffici specifici della provincia di Palermo che, forse a torto, ritenuti poco operativi o poco importanti, si ritiene possano essere sguarniti per coprire altre questure d'Italia;
   anche la questura di Palermo, essendo pienamente turistica, nelle sue zone balneari avrebbe bisogno a sua volta di rinforzi estivi;
   i tre uffici cui si richiede personale sono assolutamente strategici, per non dire essenziali, per tutti gli uffici di polizia della Sicilia occidentale e sono la Zona telecomunicazioni della Sicilia occidentale; l'autocentro per la Sicilia occidentale ed il Veca regionale;
   a questi tre uffici viene richiesto, per il periodo dal 6 al 31 luglio, personale per rinforzare altre questure (Agrigento, Ravenna, Venezia, Verona, Salerno e altre). 5 uomini richiesti alla zona telecomunicazioni della Sicilia occidentale, e 4 ciascuno agli altri due, per un totale di 13 uomini;
   questi tre uffici hanno grosse difficoltà a mandare personale per almeno tre ordini di motivi: A) per la mole di lavoro che hanno e per la tipologia di lavoro che svolgono sono già carenti d'organico e, quindi, mandare via 4 o 5 persone per 15 giorni, significa sguarnire in maniera importante l'ufficio creando evidenti disservizi; B) una buona parte del personale di questo ufficio, data l'alta età media degli appartenenti alla polizia di Stato, che supera abbondantemente i 41 anni di età (ma si parla di media con picchi che superano i 50 anni) o sono ormai prossimi al pensionamento e non può essere certamente impegnato per questo tipo di servizio fuori sede; C) il terzo e più importante motivo sta proprio nell'attività svolta da questi tre uffici, attività probabilmente poco nota ai non addetti ai lavori, ma invece importantissima. La Zona telecomunicazioni della Sicilia occidentale si occupa della gestione degli impianti di videosorveglianza dei magistrati a rischio nella Sicilia occidentale; si occupa di tutti gli impianti radio della polizia (che necessitano di manutenzione continua); si sta occupando della gestione di un progetto di portata epocale come il Mercurio; si occupa degli impianti telefonici e proprio in questi mesi, si sta interessando ai nuovi impianti di video sorveglianza/radio e telefonia per lo spostamento di sede di due grossi commissariati, quali quello di Porta Nuova a Palermo e Mazara del Vallo. L'Autocentro si occupa di ricevere e riassegnare i mezzi della polizia; si occupa di seguire gli appalti per riparare le auto della polizia (che sono tantissime data la vetustà del parco auto) di tutti gli uffici di polizia della Sicilia occidentale; il Veca regionale infine si occupa del vestiario, dell'armamento, e degli arredi d'ufficio di tutti gli uffici di polizia della Sicilia occidentale;
   si tratta di tre uffici sempre in giro per le 4 province di Palermo, Agrigento, Trapani e Caltanissetta, e la mole di lavoro e la delicatezza del lavoro svolto sono notevoli;
   a giudizio dell'interrogante e del sindacato Consap Sicilia, la decisione di sguarnire uffici di tale importanza, con carenze di personale e già in difficoltà con la forza organica attuale, rimane discutibile e dovrebbe essere rivista;
   si potrebbe, a giudizio dell'interrogante e della Consap regionale, attivare in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza un maggiore e migliore coordinamento con il locale comando provinciale dell'Arma dei Carabinieri, o in qualsiasi altro modo al fine di evitare che si sguarniscano e si creino disservizi all'interno dei tre uffici di polizia della questura di Palermo –:
   quali provvedimenti o iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-09448)


   BRESCIA, COLONNESE e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dagli organi di stampa di un probabile coinvolgimento di una azienda riconducibile al clan D'Oronzo-De Vitis nel business dell'emergenza immigrati a Taranto; in particolare si tratta della cooperativa «Falanto Servizi», nei confronti della quale la direzione distrettuale antimafia di Lecce ha eseguito un decreto di sequestro nell'ambito dell'operazione «Alias 2». In particolare, nel corso di tale inchiesta squadra mobile e guardia di finanza avrebbero sequestrato oltre 640 mila euro colpendo principalmente Fabrizio Pomes, ex gestore proprio della «Falanto Servizi», e i conti familiari di Michele De Vitis e della consigliera comunale appartenente al gruppo politico «Nuovo Centro Destra», Giuseppina Castellaneta;
   alla suddetta «Falanto Servizi» sarebbe stato affidato il servizio di distribuzione pasti di un centro nel quale i migranti vengono ospitati una volta giunti nel porto di Taranto;
   si apprende inoltre che a tale azienda, con un contratto firmato nel marzo 2015 con l'associazione Salam, sarebbe anche stato affidato il servizio di pulizia degli «effetti lettericci» e la guardiania, sia diurna che notturna, della struttura;
   tali indiscrezioni sul coinvolgimento della «Falanto Servizi», sarebbero state confermate da Salvatore Micelli, già consulente della cooperativa, il quale avrebbe spiegato che si è trattato di un contratto per fornitura di servizi. Non di un contratto di appalto direttamente con la prefettura, ma di un subappalto dell'associazione Salam vincitrice di una gara bandita dalla prefettura –:
   se il Ministro fosse a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere per garantire un maggior controllo nell'affidamento degli appalti e dei subappalti alle aziende che si occupano di accoglienza ed assistenza ai migranti, affinché le organizzazioni criminali non possano avere accesso a tali finanziamenti e tale becero arricchimento sulla pelle di altri esseri umani possa avere termine. (4-09453)


   NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   su «Il Quotidiano del Sud» di mercoledì 10 giugno 2015 si riportano le affermazioni rese da Ernesto Foggetti, collaboratore di giustizia, in merito a nuove minacce di morte rivolte a Pierpaolo Bruni, pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro;
   Foggetti avrebbe raccontato quanto dettogli, nell'agosto 2014, dal 32enne cosentino Gennaro Presta, suo ex compagno di cella e «presunto affiliato del clan Rango-Abruzzese, assegnato solo pochi giorni fa al 41-bis»;
   secondo quanto riportato nel suddetto articolo dal giornalista Marco Cribari, Presta avrebbe confessato a Foggetti che Bruni fosse un soggetto facile da colpire («Il pm Pierpaolo Bruni ? "Uno che rompe i coglioni", del quale però si conoscono le abitudini: "d'inverno in palestra, d'estate al mare". Uno facile da colpire insomma»);
   a parere dell'interrogante, le minacce rivolte da Presta al pubblico ministero Bruni sono molto preoccupanti, anche considerando il potere criminale che ruota attorno al boss `ndranghetista, nonostante sia in carcere. È sempre Ernesto Foggetti a immortalarlo, addirittura, come «il vero direttore del carcere di Cosenza», nel senso che a suo dire, «tutti i detenuti erano ai suoi ordini»;
   come denunciato in più atti parlamentari dall'interrogante (interrogazioni a risposta scritta n. 4-04322, n. 4-06982, n. 4-07319, n. 4-07360), non è la prima volta che Pierpaolo Bruni riceve un'esplicita minaccia di morte;
   nel novembre scorso, secondo quanto emerso dalla testimonianza di un altro pentito, le cosche della ‘ndrangheta cosentina, lametina e crotonese avrebbero progettato un attentato nei confronti del pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Pierpaolo Bruni;
   il quotidiano La Gazzetta del Sud racconta, nell'edizione del 18 novembre 2014, che «l'uomo, pur essendo recluso, sarebbe stato informato dai "compari" rimasti in libertà che il magistrato viaggia a bordo di una Bmw 320 blindata di colore grigio, protetto solo da due guardie del corpo. E che il punto ideale per colpirlo sarebbe una galleria posta lungo la superstrada che attraversa la Sila. Una galleria nei cui pressi vi sarebbero installate delle telecamere. Di più. Il detenuto avrebbe inoltre rivelato che il pubblico ministero Bruni è da tempo pedinato e questa circostanza spiegherebbe la precisione delle informazioni assunte dalle cosche in merito al dispositivo di sicurezza messo in piedi per proteggerlo»;
   ancora prima di tale testimonianza, nella notte tra il 16 e 17 marzo 2014 l'autovettura del padre del magistrato, parcheggiata in prossimità dell'abitazione di famiglia, è stata prima manomessa e poi spostata in una zona a rimozione forzata, per poi essere ritrovata bruciata nelle campagne di Isola Capo Rizzuto (Crotone);
   nonostante tale sequela di preoccupanti avvenimenti, come precisato nell'interrogazione n. 4-07360, soltanto pochi giorni dopo la notizia di morte succitata, per disposizione della prefettura di Crotone è stata rimossa la videosorveglianza davanti casa del magistrato che dal 2007 faceva da scudo alla sua abitazione;
   il 29 aprile 2015 in risposta alle interrogazioni n. 4-04322 e n. 4-06982, il Viceministro Filippo Bubbico dichiarava che «nel corso degli anni, gli episodi di intimidazione nei confronti del Sostituto Procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Pierpaolo Bruni, sono stati valutati sempre con la massima attenzione da questa Amministrazione che ha adottato, in tutte le circostanze, le misure necessarie a tutelare l'incolumità del magistrato e dei suoi familiari»;
   nello stesso giorno il Viceministro Filippo Bubbico rispondeva anche all'atto parlamentare n. 4-07360 in riferimento, come ricordato poc'anzi, alla rimozione del circuito di videosorveglianza davanti casa del magistrato;
   nella summenzionata risposta, il Viceministro dichiarava: «In relazione alla questione dell'impianto di videosorveglianza collocato presso l'abitazione del dottor Bruni, si informa che lo stesso magistrato si è opposto alla c.d. remotizzazione delle immagini presso la Centrale operativa di una delle Forze di polizia presenti sul territorio. In seguito di ciò [...] è stato rilevato come, in assenza di collegamento con una sala operativa, l'impianto non potesse dare alcun contributo alla sicurezza del magistrato. Si soggiunge che in un'ulteriore riunione di coordinamento delle forze di polizia, il sostituto procuratore generale, sentito anche il procuratore distrettuale antimafia, ha rappresentato di ritenere adeguato il sistema di protezione integrativo in atto presso l'abitazione del magistrato»;
   a parere dell'interrogante, l'ultima notizia emersa dalle cronache di stampa e sopra riportata dimostra inequivocabilmente che il magistrato Bruni è in serissimo pericolo;
   è fondamentale e inderogabile, pertanto, stanti le riferite novità, adottare ulteriori misure di sicurezza a tutela dell'incolumità dello stesso pubblico ministero e dei suoi familiari, a partire dalla sorveglianza dell'abitazione, indipendentemente da quanto prima stabilito –:
   se non ritenga prioritario e urgente innalzare il livello di protezione nei confronti del dottor Bruni e predisporre tutti i sistemi opportuni, compresa la videosorveglianza, a garanzia e tutela dell'incolumità del magistrato e dei suoi familiari.
(4-09454)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOSSA e VALERIA VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 giugno 2015, con protocollo nr. AOODRCA. 5735, il direttore generale dell'ufficio scolastico regionale della Campania, Luisa Franzese, ha emanato una circolare avente ad oggetto «Conferma e mutamento degli incarichi dirigenziali, mobilità interregionale area V dirigenti scolastici – A.S. 2015/2016»;
   l'emanazione di detta circolare è segno evidente del fatto che la DGR non intenda ancora nominare i vincitori del concorso a dirigente scolastico del 2011 che, secondo la normativa, hanno priorità nella scelta delle sedi:
   in detta circolare si indicano le modalità per la conferma degli incarichi dirigenziali, si fissa la mobilità interregionale dei dirigenti scolastici e si indicano, tra le altre cose, al punto c) e poi in allegato, i dirigenti scolastici che nell'anno scolastico 2015/2016 risultino «sottodimensionati»;
   in questo modo vengono individuate sul territorio regionale altre dieci scuole nell'elenco dei cosiddetti istituti «sottodimensionati»; tale indicazione viene fatta sulla base di criteri e parametri prettamente numerici sulla platea degli iscritti;
   la dichiarazione di sottodimensionamento, oltre a travalicare la competenza del consiglio regionale della Campania, organo deputato alla definizione del dimensionamento scolastico regionale, condanna le scuole ad essere dirette da un reggente, una sorta di capo d'Istituto «dimezzato» che deve dividersi tra più scuole;
   ad oggi, sul territorio regionale, sono circa duecento, quindi, le scuole destinate alla reggenza, dato desumibile dall'elenco delle scuole disponibili per le operazioni di mobilità dei dirigenti scolastici;
   questa situazione, a conti fatti, sottoporrebbe ben 400 istituti ad una dirigenza dimezzata con pesanti difficoltà gestionali;
   i criteri e i parametri per il dimensionamento sono, peraltro, oggetto di discussione della Conferenza Stato-regioni, al fine di un superamento in favore di un meccanismo differente, più capace di leggere i bisogni e le specificità del territorio;
   l'applicazione di una scelta sul sottodimensionamento come quella contenuta nella circolare citata, con criterio strettamente ragionieristico, superato dalla norma e dal buon senso, comporta una prospettiva negativa per la scuola campana, in vista del nuovo anno scolastico che, in queste settimane, vive la sua fase di più importante programmazione;
   giova ricordare, ancora una volta, che ciò avviene a fronte della disponibilità di ben 657 vincitori del concorso per dirigente scolastico del 2011 di cui l'ufficio scolastico regionale della Campania sta di fatto inopinatamente tardando la nomina;
   tale situazione, nel suo complesso, rischia di gettare nel caos, ancora per un altro anno, il sistema scolastico campano –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto; se non ritenga di garantire, nell'ambito delle proprie competenze, un intervento urgente per impedire tali determinazioni al fine di assicurare alla scuola campana condizioni più aderenti ai bisogni di efficienza e funzionalità. (5-05796)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRUNO BOSSIO. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è stato segnalato all'interrogante dalla Garante dell'infanzia e dell'adolescenza della regione Calabria, onorevole Marilina Intrieri, mediante segnalazione Prot.260/A del 3 giugno 2015, il caso della minore F.C., di anni 12, affetta da disturbo dello spettro autistico, frequentante la classe 5 dell'Istituto comprensivo di Bovalino (RC), la quale sarebbe stata esclusa, senza alcun giustificato motivo, dall'attività didattica extra-scolastica presso il museo di Locri e senza che di tale esclusione i genitori della minore fossero informati;
   F.C. affetta da una patologia che comporta reazioni davanti a cambiamenti inaspettati, il 12 maggio 2015, si sarebbe trovata improvvisamente sola e impreparata, in una classe vuota e, di conseguenza, ha reagito con ira scagliandosi contro l'arredo dell'aula e una insegnante, mostrando i segni evidenti dello stato di grave disagio che la situazione le aveva procurato;
   la condotta posta in essere dal corpo insegnante e dal dirigente scolastico, qualora accertata, configurerebbe a giudizio dell'interrogante una possibile violazione dei diritti della minore all'istruzione, alla educazione, alla socializzazione e alla cura nonché sarebbe contra ius rispetto a quei valori costituzionalmente tutelati e ribaditi in documenti internazionali come la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, cosiddetta Convenzione di New York del 20 novembre 1989, ratificata dal Parlamento italiano il 27 maggio 1991 con la legge 176 –:
   chi abbia deciso e per quali motivi l'esclusione della minore F.C. dalla visita al museo di Locri, pur essendo quest'ultima assistita da insegnante di sostegno e assistente educativa;
   se si sia provveduto a prendere contatti col medico presso il quale la minore risulta in cura al fine di comprendere quali fossero le azioni migliori da intraprendere nel di lei interesse ed attenuare le condizioni di disagio dovute alla sua disabilità;
   se vi è stato qualche raccordo tra l'insegnante di sostegno ed il medico della sezione di neuropsichiatria infantile del distretto sanitario competente nei giorni antecedenti l'attività didattica prevista presso il museo di Locri, al fine di definire precauzioni e strumenti tramite i quali rapportarsi alla minore allo scopo di una sua partecipazione o per motivare la sua esclusione;
   nel caso in cui il medico della sezione di neuropsichiatria infantile del distretto sanitario avesse sconsigliato la partecipazione della minore alla attività didattica presso il museo di Locri, per quali motivi si sia deciso di non informare, nei modi e con gli strumenti previsti in questi casi, la stessa minore e la sua famiglia;
   se non si ritenga opportuno disporre una ispezione presso l'istituto comprensivo di Bovalino (RC) al fine di verificare la veridicità dei fatti sopra esposti per gli eventuali provvedimenti di competenza. (4-09452)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la comunicazione di un finanziamento PON per l'azienda farmaceutica siciliana Myrmex, laboratorio d'eccellenza, che da tempo ha deciso di chiudere mettendo i propri dipendenti in cassa integrazione straordinaria senza alcuna speranza futura;
   il licenziamento dei 69 lavoratori cassintegrati della Myrmex è vicino, ma 15 di loro verranno «richiamati» in attività per un mese attraverso meccanismi di rotazione da concordare con le organizzazioni sindacali, solo ed esclusivamente per il tempo necessario per l'avvio del progetto PON 01-01078 per l'identificazione di biomarcatori e sviluppo di metodi diagnostici e terapeutici nel campo dell'oncologia e della biologia vascolare;
   i lavoratori dovrebbero svolgere la propria attività presso lo IOM (Istituto oncologico del Mediterraneo) di Viagrande, soggetto partner del progetto che cede i propri locali in comodato d'uso, in quanto i locali della Myrmex non sarebbero idonei;
   gli obiettivi principali dei fondi strutturali sono tre: la riduzione delle disparità regionali in termini di ricchezza e benessere, l'aumento della competitività e dell'occupazione e il sostegno della cooperazione transfrontaliera;
   con il contratto di cessione del ramo di azienda, la Myrmex ha ereditato anche le agevolazioni ministeriali nell'ambito del PON Ricerca e competitività 2007/2013 per le regioni dell'Obiettivo Convergenza, per il potenziamento e l'eventuale completamento di laboratori pubblico-privati, nonché per la creazione di nuovi distretti e/o nuove aggregazioni, di cui all'avviso del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 713/Ric del 29 ottobre 2010;
   lo stanziamento di quest'ultima parte di finanziamento è la prova che sarebbe possibile continuare ancora la ricerca a Catania, ma anche la dimostrazione, ad avviso dell'interrogante, che non si ha alcuna intenzione a mantenere in vita il laboratorio Myrmex;
   ci si chiede come possa la Myrmex ricevere ancora finanziamenti pubblici senza alcun controllo concernente la situazione aziendale –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non intenda intervenire, per quanto di competenza, al fine di fare chiarezza su tale vicenda. (5-05797)

Interrogazione a risposta scritta:


   BONAFEDE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati rilevati dall'Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro, sono 252 i morti sui luoghi di lavoro nei primi cinque mesi del 2015, mentre, nel solo mese di maggio, si sono registrati 56 decessi dei quali 23 relativi ad agricoltori schiacciati da trattori e 3 morti mediante motozappa;
   per la detta categoria, gli incidenti mortali, con i dati di maggio, in totale dall'inizio dell'anno sono 54, facendo così lievitare, per il 2015 – l'anno di EXPO dedicato all'agricoltura – al 34 per cento i morti nel comparto agricolo sul totale nazionale, ricordando che durante l'intero 2014 i morti schiacciati da trattori furono ben 152;
   il 28 febbraio del 2014, il citato Osservatorio chiese ufficialmente, senza riscontro alcuno, ai Ministri interrogati, nonché al Presidente del Consiglio, di realizzare una campagna informativa sulla pericolosità nell'utilizzo dei mezzi agricoli come contributo di solidarietà nei confronti di questa categoria di lavoratori; e che identica sollecitazione è stata proposta sia nel febbraio che nel maggio 2015;
   in assenza di specifiche iniziative istituzionali al riguardo, anche in relazione ai i recenti eventi luttuosi verificatisi in gran numero in Toscana, l'agenzia formativa del Cipa-At di Grosseto, la Cia, l'Istituto Leopoldo II di Lorena, assieme a Confagricoltura, Asl, Inail e ad uno sponsor privato, produttore di macchine agricole, con un format pubblico/privato, hanno recentemente istituito un corso di formazione per il rilascio dell'abilitazione all'uso del trattore agricolo rivolto ad un ristretto numero di studenti, quale possibile «esperienza pilota» a livello nazionale;
   se, possano indicare quali misure abbiano implementato nell'ambito delle proprie rispettive competenze dal loro insediamento posto che l'interrogante ritiene che, nonostante specifici appelli provenienti da organismi indipendenti, i Ministri interrogati abbiano sottovalutato il problema delle vittime occorse durante l'utilizzo delle macchine agricole;
   se posto che, nell'ambito delle morti bianche, la delineata situazione rappresenta un'emergenza cui fare fronte non ritengano necessario porre in essere appositi interventi di comunicazione mirata sui fattori di rischio anche attraverso esperienze di formazione presso i più giovani, e se, possano dire quali ulteriori misure tecniche siano da adottarsi per garantire la sicurezza dei conducenti delle macchine agricole, senza tuttavia operare aggravi di tipo economico a carico degli stessi agricoltori. (4-09455)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   quest'anno, con l'entrata in vigore della nuova politica agricola comune 2014-2020, i regolamenti UE 1306/2013 e 1307/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio hanno modificato il quadro normativo, introducendo rilevanti novità sia sulla natura giuridica dei soggetti aventi titolo a beneficiare dei contributi che nella strutturazione dei titoli di pagamento, che è più complessa;
   proprio in questi giorni — la scadenza del 15 giugno 2015 è oramai vicina – si sta procedendo alla presentazione delle domande per richiedere i contributi della PAC 2015;
   regione Lombardia, a partire dal 2010, ha garantito agli agricoltori l'anticipazione dei premi PAC;
   il finanziamento è stato sinora erogato nel mese di luglio e recuperato a dicembre/gennaio con il pagamento degli aiuti comunitari;
   la misura ha consentito mediamente a circa 31.000 agricoltori di disporre con 5/6 mesi di anticipo rispetto ai tempi dell'Unione europea di una parte degli aiuti spettanti;
   l'anno passato l'anticipazione ha riguardato il 70 per cento del premio (aumentato sino al 90 per cento per le aziende del mantovano colpite dal sisma);
   anche nel 2015 la giunta regionale della Lombardia, pur consapevole delle ristrettezze del bilancio falcidiato dai tagli del Governo, intende procedere ad anticipare i contributi della politica agricola comune agli agricoltori, ritenendo che tale misura sia di notevole sostegno e beneficio per un settore economico, quale quello dell'agroalimentare lombardo, che «vale» circa il 15/16 per cento del fatturato a livello nazionale e il 18/20 per cento dell’export dell'agroalimentare nazionale;
   come è noto, i diritti all'aiuto, in numero pari agli ettari ammissibili – come definiti dall'articolo 32, paragrafo 2, del regolamento (UE) 1307/2013 – sono assegnati agli agricoltori in attività che presentano domanda di assegnazione entro i termini stabiliti;
   compete al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e ad Agea procedere a ricalcolare i nuovi titoli di pagamento da assegnare ai beneficiari in funzione delle superfici dichiarate con la domanda unica da presentare come su ricordato entro il 15 giugno 2015;
   solamente a seguito della notifica dei nuovi titoli di pagamento, così come ricalcolati, si potranno attivare le procedure necessarie per erogare l'anticipazione dei premi della politica agricola comunale;
   ora, sottolineato ancora una volta lo sforzo encomiabile di regione Lombardia di volere garantire l'anticipazione della politica agricola comunale ai propri agricoltori, risulta essenziale che il Ministero ed Agea provvedano all'assegnazione dei titoli di pagamento;
   a più riprese, ad esempio in occasione della presentazione di Agricoltura 2.0, il Ministro aveva assicurato circa l'assegnazione dei titoli entro il mese di marzo 2015. Tale termine era stato poi posticipato ai mesi di aprile/maggio senza alcun esito;
   adesso è fondamentale procedere a tale assegnazione entro il termine del 15 giugno 2015 e comunque non oltre il mese di giugno; in caso contrario sarebbe tecnicamente impossibile poter procedere a liquidare l'anticipazione in tempo utile, con gravissimo danno alle aziende agricole lombarde;
   le aziende attendono i finanziamenti comunitari 2015 come una boccata di ossigeno indispensabile per la loro sopravvivenza. L'anticipo della politica agricola comunale è importante per le imprese agricole che vivono una fase di difficoltà dovendo fronteggiare da un lato un forte calo dei prezzi agricoli e dall'altro l'aumento delle imposte. Poter contare in anticipo sui fondi dell'Unione europea consente alle imprese italiane di affrontare meglio la programmazione e gli impegni, continuando a garantire l'alta qualità e la sicurezza alimentare ai consumatori italiani e internazionali –:
   quali siano i tempi previsti per l'assegnazione di titoli di pagamento della politica agricola comunale agli agricoltori in modo da consentire a regione Lombardia di erogare l'anticipazione dei contributi. (5-05795)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il PSA è acronimo di «Prostate specific antigen», ovvero «antigene prostatico specifico», una proteina sintetizzata dalle cellule della prostata;
   piccole concentrazioni di antigene prostatico sono normalmente presenti nel siero di tutti gli uomini e si possono valutare tramite un semplice esame del sangue;
   un innalzamento del valore del PSA, tuttavia, può significare un innalzamento, specie negli uomini di età avanzata, della probabilità di contrarre una malattia tumorale alla prostata;
   secondo recenti studi, infatti, alti livelli di PSA si riscontrano durante varie malattie prostatiche, come il tumore alla prostata, l'ipertrofia prostatica benigna e varie forme di prostatite. I valori di PSA aumentano, come detto, anche nella senescenza, dopo interventi chirurgici alla prostata, inserimento di un catetere ed esami diagnostici specifici (come l'esplorazione rettale, la cistoscopia, la biopsia prostatica, la rettoscopia e la colonscopia);
   secondo quanto si legge direttamente dal sito dell'AIRC (Associazione italiana per la ricerca sul cancro), «nelle sue fasi iniziali, il tumore della prostata è asintomatico e viene diagnosticato in seguito alla visita urologica, che comporta esplorazione rettale, o controllo del PSA, con un prelievo del sangue»;
   dal suddetto sito specializzato, si legge ancora che «il numero di diagnosi di tumore della prostata è aumentato progressivamente da quando, negli anni Novanta, l'esame per la misurazione del PSA è stato approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) americana»;
   occorre precisare, ciononostante, che sul suo reale valore ai fini della diagnosi di un tumore, il dibattito è ancora aperto in quanto molto spesso i valori sono alterati per la presenza di una iperplasia benigna o di una infezione. Per questa ragione negli ultimi anni si tende a considerare più importante, dal punto di vista diagnostico, l'andamento del PSA nel tempo piuttosto che una singola misurazione elevata;
   pur non essendo sufficiente, dunque, per porre diagnosi di tumore alla prostata (specie negli uomini più anziani), il riscontro di alti livelli di PSA, se il sospetto di tumore viene confermato anche da altri esami diagnostici, rappresenta un buon indicatore dell'estensione tumorale;
   a parere dell'interrogante, così come accade già per lo screening, oncologico, prezioso per prevenire l'insorgere di malattie tumorali nelle donne, è necessario rendere un diritto anche il controllo di eventuali malattie tumorali prostatiche attraverso l'analisi totale del PSA, correlato da altri esami diagnostici –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative di competenza per rendere obbligatorio, per tutti i medici di base, di prescrivere all'età di 45 anni l'analisi del PSA e all'età di 50 anni un controllo ancora più mirato, con una visita urologica e un'ecografia trans-rettale per anticipare un eventuale tumore e, nel caso, combatterne l'aggressività;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative affinché tutte le visite di cui al primo quesito, siano totalmente gratuite per l'utente e a carico del Servizio sanitario nazionale. (4-09445)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la separazione tra le diverse figure del medico, del farmacista, del distributore intermedio e dell'azienda produttrice dei farmaci, ha da sempre garantito una notevole indipendenza e professionalità del farmacista titolare il quale è rimasto quasi sempre indenne dalle pressioni esercitate dalle grandi aziende produttrici del farmaco;
   stando a quanto dichiarato da numerosi organi di stampa e associazioni di categoria, molte e preoccupanti sono le novità che vi dovrebbero essere in materia. Si prospetta, in particolare, che la direzione resterebbe affidata a un solo farmacista e che cambierebbero le modalità di possesso dell'esercizio (sparirebbe il tetto delle quattro farmacie detenute da una sola società). In tal senso, grandi gruppi economici nazionali e internazionali avrebbero la possibilità di acquistare un numero indiscriminato di farmacie e così, sarebbe consentito a pochi e grossi gruppi di potere economico di detenere nelle proprie mani l'intera filiera del farmaco: dalla produzione, alla distribuzione intermedia, sino addirittura alla vendita al dettaglio;
   la Corte di giustizia europea, ha sollecitato più volte i Governi delle singole nazioni a riservare solo ai farmacisti la proprietà della farmacia al fine di garantire ai cittadini un accesso sicuro a tutti i farmaci e di consentire al farmacista di mantenere una indipendenza professionale –:
   quali iniziative intendano adottare per salvaguardare le diverse realtà farmaceutiche presenti nel nostro Paese, considerate tutt'oggi degli importanti presidi sanitari per la tutela dei cittadini. (4-09456)


   MARIANO e CAPONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa riportano la notizia del decesso della signora Arianna Acrivoulis, nel corso di un intervento di inseminazione artificiale presso la struttura ospedaliera di Conversano «Florenzo Jaja» (Bari);
   la signora ha perso conoscenza durante la procedura di agoaspirazione ovarica, ma il plesso ospedaliero non dispone di un reparto di rianimazione e l'intervento di cardiologo e anestesista è arrivato quando ormai era troppo tardi;
   una volta dichiarato il decesso, la direzione generale della asl ha avviato una indagine interna e i carabinieri hanno acquisito la cartella clinica, mentre a seguito della denuncia dei familiari due medici sono stati iscritti nel registro degli indagati della procura di Bari;
   risulta che lo stesso Ministro della salute, abbia inviato all'ospedale la task force costituita all'interno dell'unità di crisi permanente per il coordinamento degli interventi urgenti in caso di gravi eventi verificatisi nell'erogazione di prestazioni da parte del servizio sanitario nazionale;
   la task force composta da dirigenti della direzione programmazione del Ministero, da carabinieri del nas, da dirigenti ed esperti di Agenas, e rappresentanti delle regioni, dovrà acquisire tutti i documenti utili per fare luce sul decesso della signora Arianna Acrivoulis. Una prima relazione sull'accaduto dovrà pervenire al Ministro e all'unità di crisi permanente costituita al Ministero entro le prossime 48 ore;
   il centro Pma (procreazione medicalmente assistita) da circa tre anni trasferito a Conversano, un tempo era operativo a Carbonara, al Di Venere: in quel caso si trattava di un centro di primo e secondo livello che poi fu chiuso per essere sottoposto a lavori di ristrutturazioni unitamente al reparto di ostetricia. Nonostante un progetto (pagato circa 60 mila euro dalla asl) i lavori non iniziarono mai e la asl decise, quindi, prima di affidare il centro fivet ai privati (con un project financing di 9 milioni di euro) e, alla fine, di riappropriarsi del centro e di finanziarlo con risorse regionali;
   il centro di fecondazione in vitro è diretto dal professore Giuseppe D'Amato, professore associato all'università di Tirana e, come affermato recentemente dallo stesso, offre prestazioni in day service e si espande su 2.400 metri quadrati attrezzati (3 laboratori, 1 criobanca, 1 sala operatoria che saranno presto raddoppiati). Possibile applicare le varie tecnologie, congelare e conservare embrioni, spermatozoi e corticali ovariche. Metodiche capaci di ridurre il ricorso alla contestata eterologa e di aiutare ogni coppia in difficoltà. «Ne abbiamo 1.300 in lista d'attesa – precisava D'Amato in una recente manifestazione – mentre i risultati raggiunti nello scorso anno sono competitivi con quelli internazionali: 30 per cento di successo; 27,2 per cento di intrauterina (media italiana sotto 10 per cento). Da rilevare anche la possibilità di prelevare e conservare corticali ovariche di giovanissime colpite da cancro (1.400 nuovi casi/anno)» –:
   quali iniziative urgenti il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare per contribuire a fare piena luce su questa vicenda;
   se il centro in questione sia accreditato per questo tipo di attività. (4-09458)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Casa Divina Provvidenza «Don Uva» è una ONLUS, un ente ecclesiastico fondato nel 1922, la cui missione sociale è dedicarsi alla cura, all'assistenza, alla riabilitazione, alla risocializzazione, alla difesa ed alla sorveglianza delle persone prive o parzialmente prive delle facoltà intellettive superiori, in special modo verso i neuropatici, i minorati psichici e anche i lungodegenti;
   in data 19 giugno 2014, è stata presentata interrogazione a risposta scritta D'Ambrosio (n. 4-05196) al Ministro della salute, inerente alle problematiche riguardanti i lavoratori del Don Uva della sede di Potenza, interrogazione che non ha ancora ricevuto risposta;
   nel 2012 la procura della Repubblica di Trani promuove nei confronti dell'Ente l'avvio di una procedura fallimentare correlata agli esiti delle verifiche contabili operate dalla guardia di finanza il 17 aprile 2012 su disposizione della magistratura, nell'ambito di un'inchiesta scaturita da alcune denunce sulle rette «gonfiate», pagate dalla Regione Puglia, per i pazienti in cura nell'unità di Alzheimer;
   nel corso dell'anno 2012, l'ente ha avuto difficoltà nell'erogazione dei pagamenti stipendiali ai lavoratori, i quali per mesi non hanno ricevuto le spettanze e per sopperire alle carenze economiche, nel corso dello stesso anno, l'ente «Don Uva» è ricorso ai «contratti di solidarietà»;
   nell'anno 2013, la Procura di Trani ha riscontrato alcune anomalie nei bilanci dell'ente ecclesiastico;
   dal dicembre 2013 la congregazione è in amministrazione controllata ed è stata affidata al Commissario Straordinario, l'avvocato Bartolomeo Cozzoli, nominato dal Ministero dello sviluppo economico;
   il 10 giugno 2015 il comando provinciale della Guardia di finanza di Bari – nucleo di polizia tributaria, ha eseguito dieci ordinanze di custodia cautelare, di cui tre in carcere e sette ai domiciliari nei confronti di persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta e altri reati per il crac, da oltre 500milioni di euro, delle case di cura Divina Provvidenza, di Bisceglie, con sedi anche a Potenza e Foggia –:
   quali iniziative intenda porre in essere per evitare che i circa 1500 dipendenti dell'ente «Casa Divina Provvidenza – Don Uva» paghino con il licenziamento il prezzo di una gestione aziendale scriteriata, stando a quanto emerge dalle prime ricostruzioni degli inquirenti e ai rilievi fatti dal commissario straordinario fino a questo momento al vaglio anche del Ministero dello sviluppo economico.
(4-09451)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Dambruoso, Cicchitto e Mazziotti Di Celso n. 1-00771, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fiano e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Dambruoso, Fiano, Cicchitto, Mazziotti Di Celso».

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione Grillo n. 5-05493, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 419 del 30 aprile 2015.

   GRILLO, BARONI, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il nomenclatore tariffario attualmente in vigore è, quello stabilito dal decreto ministeriale n. 332 del 27 agosto 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 settembre 1999, dal titolo «Regolamento recante norme per le prestazioni di assistenza protesica erogabili nell'ambito del servizio sanitario nazionale: modalità, di erogazione, e tariffe». Esso individua le categorie di persone che hanno diritto all'assistenza protesica, le prestazioni che comportano l'erogazione dei dispositivi riportati negli elenchi 1, 2 e 3 e le modalità, di erogazione;
   l'aggiornamento del nomenclatore non è, stato sinora effettuato nonostante fosse previsto entro il 31 dicembre 2000 come l'articolo 1, comma 1, del decreto 332 del 1999 recita: «Il presente regolamento individua le prestazioni di assistenza protesica che comportano l'erogazione dei dispositivi riportati negli elenchi 1, 2 e 3 del nomenclatore di cui all'allegato 1, erogabili nell'ambito del Servizio sanitario nazionale (Ssn) fino al 31 dicembre 2000 e ne definisce le modalità, di erogazione. Entro la suddetta data il Ministro della sanità, provvede a ridefinire la disciplina dell'assistenza protesica»;
   l'aggiornamento del nomenclatore era previsto, anche, all'articolo 11 dello stesso decreto che recita: «Il nomenclatore è, aggiornato periodicamente, con riferimento al periodo di validità, del piano sanitario nazionale e, comunque, con cadenza massima triennale, con la contestuale revisione della nomenclatura dei dispositivi erogabili»;
   l'articolo 5, comma 2-bis, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 «Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute», prevedeva che il Ministro della salute procedesse entro il 31 maggio 2013 all'aggiornamento del nomenclatore tariffario di cui all'articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità, 27 agosto 1999, n. 332;
   il Ministro della salute, nella sua audizione del 31 luglio 2013 alla Commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani ha segnalato che «...si è, infatti preso atto che l'evoluzione tecnologica ha consentito l'immissione in commercio di una gamma di ausili di fabbricazione industriale in grado di soddisfare le più, diverse esigenze degli assistiti...», mettendo in evidenza come sia necessaria la presenza di una figura con specifiche competenze ed abilitazioni non soltanto nella fase di applicazione del dispositivo, ma anche nella fase di scelta del modello di dispositivo idoneo, almeno per quei dispositivi che sono di fabbricazione di serie ma che rispondono a bisogni complessi;
   il «Forum Nazionale per la riabilitazione» promosso da Simfer, Aitr, Aito, Fli, Csr e presieduto da Fish, nel suo Manifesto per la riabilitazione a proposito di assistenza in materia di ausili scrive: «Considerare la riabilitazione come il processo che deve portare al superamento di tutti i limiti possibili per raggiungere il miglior livello di – vita di autonomia, di salute, di partecipazione – ottenibile, significa anche conoscere le opportunità, che la tecnologia oggi offre e valutarne l'appropriatezza nel contesto del progetto riabilitativo». La scelta del modello e della configurazione più adatti tra tutti quelli disponibili avviene, attraverso uno specifico atto valutativo nell'ambito di un team, sulla base di elementi clinici, dei bisogni e delle potenzialità, della persona, del suo comfort, della facilità, d'utilizzo dell'ausilio nel contesto di vita. La persona partecipa consapevolmente alla scelta; è, informata con chiarezza delle caratteristiche dei dispositivi che possono essere forniti gratuitamente e delle eventuali possibilità di ottenere dispositivi diversi versando una differenza di prezzo; lo Stato assicura la disponibilità degli ausili gratuiti indispensabili e rispondenti ai bisogni secondo il Forum Nazionale per la riabilitazione. «Attualmente tali obiettivi sono impraticabili a causa di un sistema obsoleto di catalogazione, individuazione e fornitura degli ausili erogabili nell'ambito del Servizio sanitario nazionale: pertanto è urgente una sua appropriata ridefinizione»; questo aspetto, colloca l'appropriatezza della fornitura in un processo di scelta dell'ausilio specialistico per disabilità, motorie attraverso la prova di diversi modelli, è importante anche per gli ausili dell'udito, al fine di evitare sprechi e in appropriatezza riabilitativa, stante che le autonomie professionali definite dalle normative vigenti assegnano all'audioprotesista laureato ed abilitato, fra gli atti autonomi e di «sua esclusiva responsabilità e competenza, l'attività intellettuale di selezione/individuazione del dispositivo da fornire»;
   il Ministro della salute nelle recenti bozze per la revisione del nomenclatore ha anticipato che è stata prevista una suddivisione degli elenchi tra ausili su misure ed ausili di fabbricazione industriale;
   a questa suddivisione sono collegate le modalità di acquisto e fornitura: scelta individuale (ad personam) per le tipologie «su misura» e pubblici appalti per tutti i dispositivi di serie;
   il criterio di suddivisione degli elenchi basato sulle modalità di realizzazione era stato utilizzato nel decreto ministeriale 332 del 1999, ma allora si era tenuto conto del fatto che, pur essendo tutti di fabbricazione di serie, alcuni dispositivi potevano essere considerati «standard» e, quindi acquistabili ed erogabili con modalità standardizzate quali le gare, mentre altri, anch'essi di produzione industriale ma «specialistici», si rivolgono a bisogni complessi e/o hanno necessità di essere scelti ed adattati da una figura competente per rispondere puntualmente alle specifiche caratteristiche dell'utilizzatore. Per questo motivo gli ausili di serie ma «specialistici» erano stati inclusi nell'elenco 1 che non è, soltanto l'elenco dei dispositivi su misura ma «contiene, altresì, i dispositivi di fabbricazione continua o di serie finiti che, per essere consegnati ad un determinato paziente, necessitano di essere specificamente individuati e allestiti a misura ...» (decreto ministeriale 332 del 1999; articolo 1, comma 2);
   nella presentazione della revisione del nomenclatore, a marzo 2015, si è annunciata una ripartizione più precisa separando senza intersezioni i dispositivi «su misura» da quelli di «di serie»;
   l'elenco 1 comprende tipologie di dispositivi che non si trovano pronti sui mercati e che devono essere realizzati ad uno ad uno sulla base delle necessità e delle caratteristiche della singola persona cui sono destinati;
   l'elenco 2 contiene una grande varietà di tipologie di dispositivi che sono realizzati industrialmente ma con caratteristiche tra loro molto diverse e che richiedono, per poter essere forniti appropriatamente, percorsi di individuazione del dispositivo adatto, di adattamento e di erogazione;
   non è venuta meno l'esigenza clinica e funzionale che nel decreto ministeriale 332 del 1999 ha fatto ritenere opportuno inserire un certo numero di tipologie di dispositivi in quell'elenco cui percorsi di fornitura «ad personam» permettevano la specifica individuazione del modello idoneo per l'assistito;
   il sottosegretario De Filippo, rispondendo all'interrogazione n. 3-01819 (Serra e altri), concernente il nomenclatore tariffario per la fornitura di protesi e ausili posti a carico del Servizio sanitario nazionale, ha fatto presente che alcune associazioni di professionisti sostengono che, per l'individuazione dell'ausilio da prescrivere, sia indispensabile l'apporto professionale del tecnico di settore (audioprotesista, tecnico ortopedico e altro) che, attraverso la prova sul paziente di diverse tipologie di ausili, può, scegliere quella che risponde meglio alle specifiche necessità dell'assistito. Secondo le associazioni, questa esigenza imporrebbe di includere gli ausili in questione nell'elenco dei «su misura»;
   le posizioni delle associazioni del settore, a partire dal Forum nazionale della riabilitazione, alla Società italiana di medicina fisica e riabilitativa, al C.S.R. non prevedono né l'inclusione impropria di ausili di serie nell'elenco dei dispositivi su misura, né la scelta esclusiva da parte del tecnico ortopedico del modello adeguato alle esigenze ed aspettative dell'assistito, ma un iter di fornitura che consenta alla persona assistita di partecipare consapevolmente alla scelta e di essere informata con chiarezza dei modelli di dispositivi che possono essere forniti gratuitamente, almeno per gli ausili specialistici «riabilitativi» essenziali per l'autonomia ed il benessere psicofisico;
   la nuova revisione del nomenclatore annunciata dal Ministro del salute prevede per: «compensare eventuali maggiori oneri derivanti dall'inserimento di nuove tipologie di ausili tecnologici», il «passaggio dal regime tariffario all'acquisto con procedure di gara ai costi più bassi» per tutti i presidi non classificati come «presidi su misura»;
   il Ministro interrogato nella sua audizione del 31 luglio 2013 in Commissione diritti umani del Senato, ha affermato che: «l'evoluzione tecnologica ha consentito l'immissione in commercio di una gamma di ausili di fabbricazione industriale in grado di soddisfare le più diverse esigenze degli assistiti» e permette quindi di avere, per ogni tipologia inclusa negli elenchi, un'ampia e diversificata gamma di dispositivi tra cui scegliere l'ausilio meglio rispondente a necessità o caratteristiche particolari senza dover ricorrere a fabbricazioni su misura; la gara non permette la messa a disposizione di più modelli entro cui effettuare la scelta e vanifica pertanto quel valore, consistente nella diversificazione delle varianti, che consente in larga parte il superamento degli interventi tecnici e degli adattamenti manuali «su misura»;
   il documento redatto a conclusione della Conferenza del 16 ottobre 2014, tenutasi nella sala capitolare del Senato evidenzia che il ricorso all'acquisto a mezzo gare d'appalto, che prevedono un unico modello vincitore per tutti gli assistiti appartenenti al bacino d'utenti della stazione appaltante, è «pressoché, impraticabile in quanto in contraddizione con il principio dell'appropriatezza per quelle tipologie di dispositivi che devono essere scelti, attraverso la prova di differenti modelli, per rispondere a precise e diverse necessità dell'assistito, nell'ambito di un programma specifico del singolo progetto riabilitativo individuale». Questa modalità costituisce una grave lesione dei diritti della persona con disabilità che verrebbe così, privata della possibilità, di individuare, nella gamma di dispositivi oggi disponibili nella stessa tipologia, quello più adatto a soddisfare le sue specifiche necessità e dell'autonomia dei professionisti sanitari responsabili dell'efficacia dell'intervento; nella bozza del nuovo nomenclatore è previsto che l'elenco 2, ausili di serie venga suddiviso in tre sub elenchi:
   elenco 2 A, ausili di serie che richiedono la messa in opera da parte del tecnico abilitato;
   elenco 2 B, ausili di serie pronti per l'uso;
   elenco 2 C, prestazioni professionali;
   la modalità di fornitura prevista per tutti gli ausili dovrà essere l'appalto pubblico come recita la bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri nuovi Lea, principi generali di erogazione dell'assistenza protesica al capitolo 3, comma 2: «Nelle more dell'istituzione del Repertorio dei dispositivi di serie di cui all'articolo 1, comma 292, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, per l'erogazione dei dispositivi di serie inclusi negli elenchi 2A e 2B ..., e per la determinazione dei relativi prezzi di acquisto le Regioni e le Asl stipulano contratti con i fornitori aggiudicatari delle procedure pubbliche di acquisto espletate secondo la normativa vigente»;
   in risposta all'interrogazione n. 3-1819 il sottosegretario De Filippo aggiunge «per l'acquisto di altri dispositivi, viceversa, occorre procedere con attente valutazioni perché le condizioni e le caratteristiche, morfologiche e cliniche, delle persone riceventi sono decisive per realizzare la scelta appropriata: ne consegue che non è possibile immaginare che una ordinaria procedura di gara ad evidenza pubblica, che porti all'aggiudicazione di un solo modello di dispositivo, per quanto ben gestita e condotta, sia in grado di soddisfare esigenze tra loro fortemente differenziate. In questi casi è necessario che lo specialista segnali le caratteristiche tecniche e i requisiti strutturali e funzionali di una tipologia di ausili che risponda alle specifiche esigenze dell'assistito; il medico responsabile di tali prescrizioni è chiamato ad operare una sintesi tra le esigenze cliniche dell'assistito, le sue eventuali «preferenze», le condizioni di contesto dell'intervento assistenziale/riabilitativo, eccetera e, sulla base di questi elementi, a redigere la prescrizione scegliendo tra i dispositivi dettagliatamente descritti nei nuovi elenchi proposti, quello che meglio risponde al complesso delle esigenze individuate;
   il sottosegretario De Filippo afferma, inoltre: In base a tali indicazioni, gli uffici delle Asl preposti agli acquisti devono interagire con il mercato avvalendosi dei più, appropriati strumenti introdotti dal Codice dei contratti pubblici e dal successivo regolamento di attuazione e di esecuzione (decreto del Presidente della Repubblica n. 270 del 5 ottobre 2010) e che, in estrema sintesi, molti operatori economici, sia pubblici sia rappresentanti del mercato, ritengono che l'unica forma di acquisto a gara consentita e/o applicabile sia la gara ordinaria ad evidenza pubblica che porti all'aggiudicazione di un solo tipo o modello di ausilio; non considerando alcuni differenti istituti e strumenti operativi, caratterizzati da una sufficiente semplificazione degli atti ed una adeguata tempestività, delle azioni che, nel rispetto delle vigenti norme, non restringono artificiosamente la selezione del bene più adatto (quello indicato nella prescrizione), ma, invece, garantiscono la piena concorrenza tra i produttori e distributori e la trasparenza delle procedure;
   nella pubblicazione Consip «Assistenza protesica e pubbliche procedure d'acquisto» (marzo 2014), si legge che per l'individuazione del contraente il codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 163/06) prevede le seguenti procedure:
    la procedura aperta;
    la procedura ristretta;
    la procedura negoziata, con o senza pubblicazione del bando di gara;
   si legge inoltre che il codice dei contratti pubblici (decreto legislativo 163/2006), recependo la direttiva 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, ha reso disponibili nuovi istituti in grado di garantire flessibilità negli acquisti pubblici in particolare:
    l'accordo quadro;
    il sistema dinamico di acquisizione;
    il dialogo competitivo;
   lo SDA (sistema dinamico di acquisizione) prevede che: «a fronte di un impegno iniziale in fase di abilitazione del fornitore al bando istitutivo, consente di velocizzare le fasi successive legate ai singoli bandi degli appalti specifici e che, essendo gli acquisti protesici beni acquistabili ripetutamente, questo comporta un'ottimizzazione delle tempistiche di acquisto ed una riduzione dei costi fissi delle procedure;
   lo SDA, è uno «strumento utilizzabile solo nel caso in cui il bene in oggetto e “del tutto standardizzabile, tipizzabile e di uso corrente (sono esclusi, dunque, gli appalti di forniture o servizi da realizzare in base a specifiche tecniche del committente)”»;
   il codice di contratti pubblici, decreto-legge n. 163 del 2006, articolo 60, prevede che si possano acquistare quelle tipologie di ausili che rispondono a bisogni standardizzabili (come per esempio gli ausili assistenziali) e non quelle tipologie di ausili che devono essere scelti ad uno a uno sulla base delle condizioni e caratteristiche morfologiche e cliniche della singola persona ricevente;
   nella bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per il nuovo nomenclatore, annunciata a marzo 2015 nell'elenco 1 (ausili su misura) sono stati inseriti aggiuntivi e «funzioni» che devono essere implementati sugli ausili di serie, acquistati a gara, per renderli adatti alla persona;
   nell'elenco 2 C sono inserite prestazioni che identificano «modifiche strutturali dell'ausilio»: in questo modo si sarà, costretti ad acquistare attraverso la gara un ausilio (elenco 2 A o 2 B) che, per essere utilizzato, dovrà essere sottoposto ad interventi «su misura» che ne modificano la struttura;
   il caso delle carrozzine elettroniche incluse nell'elenco 2 B può, rappresentare un esempio: per rispondere alle necessità, e alle caratteristiche delle persone che le devono utilizzare, possono essere dotate di basculamento e/o regolazione in altezza del sedile, di regolazione dell'inclinazione dello schienale o, addirittura, di un sistema di verticalizzazione ad azionamento elettrico. Si tratta di funzioni che non possono legittimamente essere aggiunte a posteriori, ma ”nascono” assieme alla carrozzina di base, che esce dalla fabbrica nella configurazione che integra le funzioni richieste, per ovvi motivi che riguardano la conformità alle norme e alle direttive che governano i dispositivi medici e gli obbligatori requisiti di sicurezza;
   nel nuovo nomenclatore, annunciato a marzo 2015, mentre la carrozzina elettronica è inserita nell'elenco 2 B, ausili di serie pronti all'uso e forniti da chi si è aggiudicato l'appalto, questi meccanismi da applicare alla carrozzina elettronica sono inseriti nell'elenco 1 e di conseguenza devono essere montati da un altro soggetto, visto che «l'erogazione dei dispositivi su misura inclusi nell'elenco 1 del nomenclatore»... è riservata ai «soggetti iscritti al registro istituito presso il Ministero della salute ai sensi dell'articolo 11, comma 7, del decreto legislativo del 24 febbraio 1997, n. 46, e accreditati dalle Regioni ai sensi della normativa vigente, previa verifica del possesso dei requisiti di cui al comma 2»;
   se fosse confermato l'utilizzo delle gare pubbliche per tutte le tipologie di ausili questa scelta rappresenterebbe a giudizio degli interroganti una palese violazione delle norme sui dispositivi medici; certamente la carrozzina elettronica è un ausilio di serie, ma, quando deve essere scelta per rispondere a bisogni complessi è indispensabile un percorso «ad personam» che preveda sin dall'origine l'individuazione della carrozzina nel modello e nella configurazione adatti all'assistito. È questa la modalità, più razionale; una soluzione semplice e validata da una consolidata prassi riabilitativa;
   nella risposta all'interrogazione n. 3-1819, il sottosegretario De Filippo afferma che per quanto riguarda la personalizzazione dell'ausilio di serie la proposta di aggiornamento del nomenclatore prevede la possibilità di personalizzare i dispositivi industriali ma che non si tratta di modificare «la struttura» di un ausilio;
   il sottosegretario afferma ancora nella risposta alla sopra citata interrogazione che non è da escludere che le gare indette per l'acquisto di tali ausili prevedano anche l'eventuale fornitura di un servizio di personalizzazione, così che il soggetto che produce l'ausilio sia il medesimo che dovrà adattarlo, se necessario;
   per la gestione del rischio esistono numerose metodologie; le principali tra esse sono anche richiamate nella norma tecnica EN 14971; nella norma è precisato che la gestione del rischio deve essere affidata a personale adeguatamente formato e chiaramente identificato e che il fabbricante deve dedicare risorse umane ed economiche adeguate a tale aspetto;
   se dovessero essere confermati i contenuti del nuovo nomenclatore, anticipati nella presentazione di marzo 2015, si realizzerebbe secondo gli interroganti una violazione di quanto stabilito dal decreto legislativo n. 502 del 1999, titolo IV, diritti dei cittadini, articolo 14, comma 6, che recita: «l'esercizio del diritto di libera scelta del medico e del presidio di cura deve essere assicurato e favorito per tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione»;
   il ricorso agli appalti pubblici per l'erogazione di tutti i dispositivi di serie priverebbe l'assistito del diritto di scegliere l'erogatore del dispositivo, che resta pertanto garantito solo a chi ha necessità, di un dispositivo su misura –:
   quale sia la figura professionale corrispondente al cosiddetto specialista, posto che le caratteristiche tecniche, i requisiti strutturali e funzionali della tipologia dei dispositivi sono già descritti negli elenchi del nomenclatore;
   se il medico specialista si debba limitare a prescrivere la tipologia dei dispositivi (indicando quindi un codice e basandosi sui requisiti generali per tipologia descritti negli elenchi; ed in questo caso occorre definire chi sceglie il modello) o se, attraverso la prova di alcuni modelli, appartenenti alla tipologia, ritenuti più appropriati per l'assistito, possa arrivare a condividere con lui la scelta anche del modello;
   se risultino soggetti partecipanti alle gare per la fornitura di ausili che risultino essere allo stesso tempo anche produttori degli stessi;
   se non ritenga (alla luce di quanto previsto dalle bozze del nuovo nomenclatore all'elenco 2C, prestazioni professionali: cod. 12.22.90.939 carrozzina: modifica strutturale per necessità legate ad un uso particolarmente gravoso) che si sia quasi obbligati a modificare strutturalmente il dispositivo standard acquistato a gara;
   se non intenda procedere, alla luce di quanto premesso, ad una riforma che rinnovi l'attuale nomenclatore adeguandolo alle esigenze e ai diritti degli assistiti, alle autonomie dei profili professionali e di responsabilità, clinica, alle norme nazionali ed internazionali relative alla conformità ed alla sicurezza dei dispositivi medici; se non intenda individuare le tipologie di dispositivi per i quali la scelta del modello e della configurazione adeguati ai bisogni dell'assistito e condizione sine sua non per l'efficacia della prestazione, tipologie che devono pertanto essere escluse dalla gare d'appalto;
   se non intenda assumere iniziative per realizzare in tempi definiti il repertorio dei dispositivi di serie per disabilità motoria di cui all'articolo 1, comma 292, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, per rendere esplicita, trasparente e formalmente legittimata la gamma di modelli erogabili per ciascuna tipologia inclusa negli elenchi»;
   se non intenda assumere iniziative per consentire alle persone assistite il diritto della libera scelta del soggetto erogatore della prestazione, almeno per gli ausili su misura e per gli ausili di serie specialistici. (5-05493)

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Zaratti e altri n. 5-05646 del 19 maggio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01539.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   già in data 3 aprile 2013 l'interrogante aveva presentato un atto di sindacato ispettivo col quale si chiedeva al Ministro di potenziare gli organici delle forze di polizia operanti in provincia di Rimini, in ragione della sua peculiare vocazione turistica che si collega direttamente anche alla dinamica delittuale su base provinciale;
   lo studio per la revisione dei presidi e degli uffici della polizia di Stato su tutto il territorio nazionale recentemente illustrato dal vice capo della polizia con funzioni vicarie prefetto, Alessandro Marangoni, ai sindacati prevede un'articolata razionalizzazione delle risorse e dei presidi in considerazione della conclamata carenza degli organici, oggi assestata a circa 95.000 unità e che in previsione si prospetta con profili di criticità sempre più accentuati per il mancato ingresso di nuove unità rispetto al turnover programmato;
   il progetto è stato sviluppato attraverso due direttrici fondamentali; una, a carattere interno alla polizia di Stato, diretta, sostanzialmente, ad una razionalizzazione dei presidi delle quattro specialità stradale, ferroviaria, postale e frontiera, un'altra, concertata con il comando generale dei carabinieri, finalizzata ad una rivisitazione sul territorio della dislocazione dei commissariati di P.S., delle compagnie dei Carabinieri e dei reparti speciali, a carattere sussidiario concentrate in alcune sedi e non razionalmente distribuite;
   in conseguenza si avrebbe la chiusura di dozzine di commissariati, la cancellazione delle squadre nautiche, di una ventina di presidi della polizia stradale e di una trentina della Polfer, mentre le sezioni della polizia postale rimarrebbero solo nelle sedi presenti presso le corti d'appello;
   per rispondere ad un'esigenza di razionalizzazione delle risorse umane si piano prevederebbe in particolare per la provincia di Rimini l'eliminazione sia della squadra nautica della polizia, sia della polizia postale, al pari di altre 43 sezioni in tutta Italia;
   la squadra nautica di Rimini è composta da otto uomini che hanno a disposizione quattro moto d'acqua, un gommone e una vedetta, e oltre a intervenire per la salvaguardia di vite umane in mare in questi ultimi anni ha svolto un importante attività di contrasto all'abusivismo commerciale;
   a questo si aggiunga che lo scorso anno, dopo 44 anni di onorato servizio, è stato chiuso il reparto navale dei carabinieri di Rimini;
   altrettanto importante l'attività di indagine e prevenzione svolta dalla polizia postale di Rimini, la cui chiusura avrebbe ricadute negative sulla sicurezza considerato che un numero sempre crescente di reati, negli ultimi anni, vengono commessi online –:
   se il Ministro non ritenga necessario rivedere lo studio per la revisione dei presidi e degli uffici della polizia di Stato nonché delle altre forze di polizia su tutto il territorio nazionale nell'ambito di un progetto complessivo sulla sicurezza non limitato alle sole articolazioni territoriali;
   se non ritenga indispensabile un confronto preliminare con le organizzazioni sindacali sui dettagli, le forze a disposizione e la fattibilità del piano;
   se intenda adoperarsi affinché il progetto chiarisca come poter garantire il territorio e la sicurezza dei cittadini in quei luoghi nei quali verranno soppressi i presidi, tenendo conto delle esigenze e delle aspettative del personale interessato e dei cittadini. (4-03730)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante, relativa alla chiusura di una serie di uffici di polizia sul territorio nazionale e in particolare nella provincia di Rimini, è legata ad un piano di razionalizzazione sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subìto notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presidi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   BORGHESI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a livello europeo il settore armiero è stato recentemente disciplinato con l'adozione del regolamento (CE) n. 258/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 marzo 2012, emanato con l'intento di armonizzare le normative dei singoli Stati dell'Unione;
   a causa di un recepimento troppo restrittivo delle nuove normative europee, la già complessa istruttoria aziendale delle pratiche è passata dalle 16 pagine alle attuali 86 pagine, caricando di ulteriore lavoro gli uffici delle questure e del Ministero dell'interno e paralizzando di fatto l'attività di export dell'intero comparto con conseguenti danni economici e finanziari per le imprese che rischiano di portare alla chiusura delle stesse e alla perdita di numerosi posti di lavoro;
   in altri Stati europei, l'applicazione del regolamento 258/2012 pare non sia stata così immediata e restrittiva, aumentando dunque il grado di disparità di trattamento delle imprese armiere all'interno dei Paesi dell'Unione europea;
   in Italia, a differenza di altri Paesi dell'Unione europea, non vi è una lista di Paesi «Black list» verso i quali è fatto divieto esportare ma serve presentare per ogni singola operazione un'apposita istanza, il potenziale cliente deve poi spedire la licenza di importazione dopodiché occorre attendere ogni volta il permesso delle autorità italiane solo per sapere se è possibile oppure no la spedizione in quel Paese. Tutte le procedure non sono svolte on-line ma su supporto cartaceo con conseguenti aggravi di costi. Benché il regolamento europeo preveda la possibilità di chiedere «open licence» valide per più clienti e per più quantitativi, la normativa italiana non ha recepito tale opportunità e permette al massimo licenze multiple valide solo per un solo destinatario –:
   se ed in che modo il Ministro intenda assumere iniziative per modificare la normativa di attuazione del regolamento comunitario in questione al fine di permettere l'attività di export alleggerendo oneri e gravami burocratici che da diversi mesi stanno danneggiando pesantemente le imprese armiere rischiando di comprometterne la produzione ed i livelli occupazionali. (4-07347)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede al Ministro dell'interno l'adozione di misure volte a semplificare gli adempimenti connessi al rilascio delle autorizzazioni per le esportazioni di armi e munizioni civili verso Paesi terzi, che sarebbero divenuti complessi a seguito dell'entrata in vigore, nel 2013, del regolamento comunitario n. 258 del 2012.
  Si premette che tale regolamento attua l'articolo 10 del protocollo delle Nazioni Unite contro la fabbricazione e il traffico illecito di armi da fuoco e, effettivamente, introduce ulteriori adempimenti da parte degli Uffici competenti al rilascio delle autorizzazioni.
  In attuazione della normativa in questione, il Ministero dell'interno ha prontamente istituito Autorità nazionale per il controllo delle esportazioni delle armi da fuoco ad uso civile (Ance) individuata nell'Ufficio per gli affari della polizia amministrativa e sociale del Dipartimento della pubblica sicurezza.
  Il 22 ottobre 2013, tale autorità ha diramato alle prefetture e alle questure una prima circolare contenente le indicazioni iniziali sulle più rilevanti innovazioni apportate dalla normativa comunitaria.
  A tale atto ha fatto seguito una direttiva in data 19 dicembre 2013 – frutto anche del costruttivo confronto con le associazioni di categoria che ne hanno pienamente condiviso i contenuti –, con cui sono stati forniti ulteriori elementi chiarificatori, anche in considerazione delle difficoltà applicative emerse nella fase di prima attuazione.
  In particolare, la direttiva, rimanendo nell'ambito dei principi generali stabiliti dal regolamento comunitario, ne ha fornita un'interpretazione meno rigorosa, al fine di semplificare e velocizzare le procedure autorizzatorie, anche alla luce delle richieste avanzate dal compatto armiero.
  In tal senso, è stato previsto, in un'ottica di maggiore decentramento amministrativo, che gli uffici territoriali possano procedere direttamente al rilascio delle autorizzazioni all'esportazione verso determinati Paesi inclusi in un'apposita
white list.
  L'individuazione dei Paesi da introdurre nella citata lista viene effettuata tenendo conto delle segnalazioni provenienti dal Ministero degli affari esteri, chiamato ad esprimersi sia sulla situazione politica dei Paesi destinatari dei beni soggetti a controllo sia sull'esistenza di eventuali dinieghi all'esportazione emessi da altri Paesi comunitari.
  In relazione ai Paesi non inclusi nella lista in questione, è stata invece introdotta una procedura di controllo in tempo reale di eventuali dinieghi, mediante interpello in via telematica con l'Ufficio centrale, salvo che si tratti di Paesi che richiedono maggiori accertamenti nell'ambito di un'istruttoria più complessa.
  Inoltre, sempre nell'ottica dello snellimento delle procedure amministrative, è stata adottata una disciplina amministrativa più agevole per quanto riguarda la prevista «non obiezione al transito», in forma espressa o implicita, da parte del Paese terzo.
  Rispondendo ad alcune specifiche sollecitazioni contenute nell'interrogazione, si rappresenta che, sebbene non siano attive – al momento – piattaforme informatiche che consentono il trattamento dei dati
on-line, tuttavia è all'esame l'implementazione dei sistemi esistenti che potrà permettere una razionalizzazione della tempistica nel rilascio delle licenze di esportazione.
  Per quanto riguarda la problematica relativa al rilascio di licenze valide per più clienti e più quantitativi, si evidenzia che la citata direttiva del 22 ottobre 2013 richiama e disciplina espressamente la cosiddetta «licenza globale», cioè il provvedimento unico con il quale uno specifico esportatore viene autorizzato ad effettuare spedizioni multiple verso diversi destinatari stabiliti in uno o più Paesi terzi.
  Si informa, infine, che presso il Ministero dell'interno è attivo un tavolo di consultazione con il comparto armiero, finalizzato ad un periodico approfondimento di tutte le problematiche del settore. In tale contesto, non risulta che siano emerse, al momento, esigenze di modifiche della normativa.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CAPARINI e BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il recepimento del regolamento (UE) n. 258/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, risalente al 14 marzo 2012, emanato con l'intento di armonizzare le normative dei singoli Stati dell'Unione, alcuni dei quali non sufficientemente strutturati dal punto di vista normativo e in materia di controlli, sta imponendo alle imprese del comparto armieri del nostro Paese un sensibile aggravio degli oneri burocratici;
   in particolare, a causa dell'errato recepimento delle nuove normative europee, la già complessa istruttoria aziendale delle pratiche è passata da 16 ad 86 pagine, caricando di ulteriore inutile lavoro amministrativo non solo le strutture d'impresa all'uopo deputate, ma altresì gli uffici delle questure e del Ministero dell'interno;
   tali gravami burocratici hanno ingiustificatamente dilatato i tempi necessari all'ottenimento di tutte le autorizzazioni necessarie, rallentato la produzione, aumentato l'esposizione bancaria dei produttori, drasticamente diminuito l'efficienza del comparto ed inferto un duro colpo alle esportazioni;
   non risulta che tutti gli Stati membri dell'Unione Europea abbiano dato attuazione immediata al regolamento (UE) n. 258/2012, né, tanto meno, che lo abbiano fatto con la medesima severità del nostro Paese, con l'effetto ultimo di aumentare il già elevato svantaggio competitivo delle imprese italiane –:
   quali iniziative il Governo ritenga immediatamente adottare per salvaguardare la competitività del settore armiero minacciato dalla crescita del gravame burocratico imposto alle imprese del comparto dalla normativa di recepimento del regolamento (UE) n. 258/2012;
   in quali tempi si preveda di assumere iniziative normative per definire nuove regole che rimuovano gli ostacoli all'esportazione e i gravi danni economico-finanziari generati dal recente recepimento. (4-03228)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede al Ministro dell'interno l'adozione di misure volte a semplificare gli adempimenti connessi al rilascio delle autorizzazioni per le esportazioni di armi e munizioni civili verso Paesi terzi, che sarebbero divenuti complessi a seguito dell'entrata in vigore, nel 2013, del regolamento comunitario n. 258 del 2012.
  Si premette che tale regolamento attua l'articolo 10 del protocollo delle Nazioni Unite contro la fabbricazione e il traffico illecito di armi da fuoco e, effettivamente, introduce ulteriori adempimenti da parte degli Uffici competenti al rilascio delle autorizzazioni.
  In attuazione della normativa in questione, il Ministero dell'interno ha prontamente istituito Autorità nazionale per il controllo delle esportazioni delle armi da fuoco ad uso civile (Ance), individuata nell'Ufficio per gli affari della polizia amministrativa e sociale del Dipartimento della pubblica sicurezza.
  Il 22 ottobre 2013, tale autorità ha diramato alle prefetture e alle questure una prima circolare contenente le indicazioni iniziali sulle più rilevanti innovazioni apportate dalla normativa comunitaria.
  A tale atto ha fatto seguito una direttiva in data 19 dicembre 2013 – frutto anche del costruttivo confronto con le associazioni di categoria che ne hanno pienamente condiviso i contenuti –, con cui sono stati forniti ulteriori elementi chiarificatori, anche in considerazione delle difficoltà applicative emerse nella fase di prima attuazione.
  In particolare, la direttiva, rimanendo nell'ambito dei principi generali stabiliti dal regolamento comunitario, ne ha fornita un'interpretazione meno rigorosa, al fine di semplificare e velocizzare le procedure autorizzatorie, anche alla luce delle richieste avanzate dal comparto armiero.
  In tal senso, è stato previsto, in un'ottica di maggiore decentramento amministrativo, che gli uffici territoriali possano procedere direttamente al rilascio delle autorizzazioni all'esportazione verso determinati Paesi inclusi in un'apposita
white list.
  L'individuazione dei Paesi da introdurre nella citata lista viene effettuata tenendo conto delle segnalazioni provenienti dal Ministero degli affari esteri, chiamato ad esprimersi sia sulla situazione politica dei Paesi destinatari dei beni soggetti a controllo sia sull'esistenza di eventuali dinieghi all'esportazione emessi da altri Paesi comunitari.
  In relazione ai Paesi non inclusi nella lista in questione, è stata invece introdotta una procedura di controllo in tempo reale di eventuali dinieghi, mediante interpello in via telematica con l'Ufficio centrale, salvo che si tratti di Paesi che richiedono maggiori accertamenti nell'ambito di un'istruttoria più complessa.
  Inoltre, sempre nell'ottica dello snellimento delle procedure amministrative, è stata adottata una disciplina amministrativa più agevole per quanto riguarda la prevista «non obiezione al transito», in forma espressa o implicita, da parte del Paese terzo.
  Rispondendo ad alcune specifiche sollecitazioni contenute nell'interrogazione, si rappresenta che, sebbene non siano attive – al momento – piattaforme informatiche che consentono il trattamento dei dati
on-line, tuttavia è all'esame l'implementazione dei sistemi esistenti che potrà permettere una razionalizzazione della tempistica nel rilascio delle licenze di esportazione.
  Per quanto riguarda la problematica relativa al rilascio di licenze valide per più clienti e più quantitativi, si evidenzia che la citata direttiva del 22 ottobre 2013 richiama e disciplina espressamente la cosiddetta «licenza globale», cioè il provvedimento unico con il quale uno specifico esportatore viene autorizzato ad effettuare spedizioni multiple verso diversi destinatari stabiliti in uno o più Paesi terzi.
  Si informa, infine, che presso il Ministero dell'interno è attivo un tavolo di consultazione con il comparto armiero, finalizzato ad un periodico approfondimento di tutte le problematiche del settore. In tale contesto, non risulta che siano emerse, al momento, esigenze di modifiche della normativa.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CAPARINI e BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la circolare del Ministero dell'interno del 3 marzo 2014, recante il «Progetto di rimodulazione dei presidi della Polizia di Stato» prevede la chiusura del 15,7 per cento per un totale di 266 presidi territoriali di polizia 11 commissariati di pubblica sicurezza, 4 nuclei artificieri, 74 di polizia ferroviaria, 72 di polizia postale, 27 di polizia stradale, 14 del settore frontiera, 50 della squadra nautica, 9 della squadra a cavallo e 5 della squadra sommozzatori;
   il 4 marzo 2014, il vice capo della polizia di Stato, prefetto Alessandro Marangoni, ha illustrato le linee guida del progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi dalla polizia di Stato sul territorio nazionale è stato elaborato dal dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno attraverso due direttrici fondamentali: una, a carattere interno alla polizia di Stato, diretta, sostanzialmente, ad una ottimizzazione dei presidi delle quattro specialità stradale, ferroviaria, postale e frontiera, un'altra, finalizzata ad una rivisitazione sul territorio della dislocazione dei commissariati di pubblica sicurezza, delle compagnie dei carabinieri e dei reparti speciali, a carattere sussidiario concentrate in alcune sedi;
   la razionalizzazione dei presidi stride con la necessità di aumentare e potenziare il livello di sicurezza su tutto il territorio nazionale, soprattutto in quelle province caratterizzate da una forte presenza di criminalità organizzata e con i maggiori indici di crimini consumati;
   il progetto non fa alcun riferimento a come sarà garantita la sicurezza dei cittadini laddove saranno soppressi i presidi di polizia;
   già oggi, nonostante l'encomiabile impegno delle forze dell'ordine è evidente una cronica carenza di uomini, mezzi (e non un surplus come erroneamente evidenziato dal rapporto del Ministero dell'interno) che comporta l'aumento di atti vandalici a negozi, automobili e persone proprio nella zona in cui operano i comandi oggetto della rimodulazione, da cui scaturisce, piuttosto, l'esigenza del mantenimento dei massimi livelli di sicurezza del territorio;
   gli investimenti per la sicurezza negli ultimi cinque anni sono stati ridotti di oltre 4 miliardi di euro e gli operatori della polizia di Stato sono passati dai 103 mila del 2003 ai 94 mila del 2013, con i contratti fermi al 2009, gli stipendi più bassi d'Europa e un tetto retributivo che per tutto il 2014 impedisce di guadagnare di più rispetto al 2010;
   nella sola Lombardia paiono assolutamente ingiustificate le chiusure di ben 19 presidi di cui 1 commissariato di pubblica sicurezza, 4 di polizia stradale, 4 di polizia ferroviaria, 1 del settore frontiera aerea, 2 della squadra nautica e ben 7 sezioni di polizia postale allorquando la stragrande maggioranza dei reati corrono quasi esclusivamente sulla rete;
   la provincia di Brescia è la più penalizzata in Lombardia con la chiusura di ben tre presidi di polizia: la polizia stradale di Iseo (istituita nel dicembre 1960) e Salò (istituita nel gennaio 1961) e il declassamento del settore polizia di frontiera presso l'aeroporto di Montichiari (Bs);
   i presidi di polizia di Iseo e Salò sono un punto di riferimento importante per i cittadini, per le aziende e per le scuole, oltre che per i numerosi turisti che affollano nella stagione estiva i laghi, senza dimenticare l'affluenza veicolare che interessa il Sebino bresciano anche nei periodi invernali, a causa di una notevole mole di traffico connesso alle località turistiche sciistiche;
   la situazione analitica dell'importante attività operativa svolta a favore della collettività nell'ultimo quinquennio dalla polizia stradale di Iseo e Salò negli anni 2009-13 è così riassunta:
    le persone controllate sono state 210.000 a Iseo, 110.000 a Salò; quelle indagate in stato di libertà sono state 1.300 a Iseo e 800 a Salò, quelle arrestate sono state 21 a Iseo e 17 a Salò;
    i veicoli controllati sono stati 110.000 a Iseo e 50.000 a Salò; quelli recuperati (furto ed altro) sono stati 85 a Iseo, 90 a Salò;
    i casi di soccorso stradale prestato agli utenti sono stati 13.000 a Iseo, 8.000 a Salò;
    le violazioni accertate al codice della strada sono state 12.000 a Iseo e 30.000 a Salò, quelle per stato di ebbrezza alcolica sono state 950 a Iseo e 1.000 a Salò, quelle per uso di stupefacenti sono state 100 a Iseo e 50 a Salò;
    gli incidenti stradali rilevati nell'insieme sono stati 1.145 a Iseo e 1.000 a Salò, quelli con feriti sono stati 827 a Iseo e 710 a Salò, quelli mortali rilevati sono stati 32 a Iseo e 37 a Salò, quelli con persone ferite sono stati 1.351 a Iseo e 1.210 a Salò, quelli con persone decedute sono stati 33 a Iseo e 38 a Salò;
    le patenti ritirate sono state 800 a Iseo, 900 a Salò;
    i sequestri (documenti, veicoli, stupefacenti, altro) sono stati 222 a Iseo, 190 a Salò;
    i servizi di pattuglia effettuati sono stati 8.800 a Iseo e 5.000 a Salò, le percorrenze in chilometri ammontano a 924.000 a Iseo e 525.000 a Salò;
   sono numerosi gli appelli di tutte le sigle sindacali afferenti alle forze di polizia di Stato relativamente all'inadeguatezza e all'inopportunità di tale tipo di programmazione che inciderebbe negativamente sulla sicurezza e sull'ordine pubblico, sulla garanzia di sicurezza e, più in generale, di legalità –:
   se il Ministro sia a conoscenza dell'utilità, ai fini della sicurezza e dell'ordine pubblico, dei presidi di polizia di Stato di Salò e di Iseo, nonché di tutti quelli presenti sul territorio nazionale in via di soppressione;
   quali siano i motivi economici e finanziari che giustificano chiusure, che, a giudizio degli interroganti, colpiscano l'attività prettamente operativa di presidio del territorio, d'indagine, di prevenzione e repressione dei crimini;
   quali misure urgenti il Ministro interrogato intenda adottare al fine di scongiurare la soppressione della polizia stradale di Iseo e Salò nonché il declassamento del settore polizia di frontiera presso l'aeroporto di Montichiari, anche alla luce delle forti criticità sollevate dalle parti sociali;
   se il Governo ritenga compatibile con il contrasto al degrado e con la garanzia della sicurezza e dell'ordine pubblico nella provincia bresciana un provvedimento di razionalizzazione che, ad avviso degli interroganti, ridurrebbe sensibilmente le capacità nel campo della prevenzione del crimine per via informatica, del controllo delle locali acque lacustri, della strada e del monitoraggio delle frontiere, ovvero se non ritenga di potenziare le capacità di contrasto al crimine anche in vista dell'Expo 2015;
   se il Ministro non ritenga opportuno rivedere il progetto di razionalizzazione che impone un drastico taglio ai presidi e alle sezioni della polizia di Stato in un momento in cui al contrario andrebbe rafforzata l'attività di controllo e prevenzione per fronteggiare l'emergenza immigrazione e il crescente tasso di criminalità. (4-04048)


   CAPARINI e MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la circolare del Ministero dell'interno del 3 marzo 2014, recante il «Progetto di rimodulazione dei presidi della Polizia di Stato» prevede la chiusura del 15,7 per cento per un totale di 266 presidi territoriali di polizia 11 commissariati di pubblica sicurezza, 4 nuclei artificieri, 74 di polizia ferroviaria, 72 di polizia postale, 27 di polizia stradale, 14 del settore frontiera, 50 della squadra nautica, 9 della squadra a cavallo e 5 della squadra sommozzatori. Entro l'estate, 101 province su 110 conteranno un presidio di sicurezza in meno;
   il 4 marzo 2014, il vice capo della polizia di Stato, prefetto Alessandro Marangoni, ha illustrato le linee guida del progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi dalla polizia di Stato sul territorio nazionale è stato elaborato dal dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno attraverso due direttrici fondamentali: una, a carattere interno alla polizia di Stato, diretta, sostanzialmente, ad una ottimizzazione dei presidi delle quattro specialità stradale, ferroviaria, postale e di frontiera, un'altra finalizzata ad una rivisitazione sul territorio della dislocazione dei commissariati di pubblica sicurezza, delle compagnie dei carabinieri e dei reparti speciali, a carattere sussidiario concentrati in alcune sedi;
   la razionalizzazione dei presidi stride con la necessità di aumentare e potenziare il livello di sicurezza su tutto il territorio nazionale, soprattutto in quelle province caratterizzate da una forte presenza di criminalità organizzata e con i maggiori indici di crimini consumati;
   ogni anno sono 50.000 le vittime dei pedofili; le denunce per violenze sessuali sui minori sono aumentate dal 1984 al 1998 del 98 per cento, il 73 per cento delle vittime sono bambine. Il 38 per cento di loro ha un'età compresa tra i 6 e i 10 anni;
   il legislatore italiano ha messo a disposizione delle forze dell'ordine strumenti efficaci con una legislazione rigorosa che prevede reati che altri Stati non prevedono: in Italia anche soltanto «scaricare» sul computer materiale pedo-pornografico in cui si ravvisi lo sfruttamento sessuale di minori è considerato reato. Mentre in altre legislazioni, come negli Stati Uniti, detenere o diffondere immagini di bambini nudi non lo è. E infatti il 78 per cento dei Siti accertati è negli Usa. Inoltre, è prevista la figura dell'agente «sotto copertura» che, previo consenso dell'autorità giudiziaria, può anche scambiare materiale pornografico o creare siti appositi per smascherare e quindi catturare i pedofili;
   operativa da circa 30 anni, la polizia postale è ormai un indispensabile apporto contro il crimine informatico che registra un crescente aumento di reati quali transazioni finanziarie illecite, gioco d'azzardo illegale, hacking, e-commerce, phishing, stalking, cyber-bullismo e pedopornografia;
   la polizia postale è quella sottoposta a maggior rischio in quanto il dipartimento vorrebbe mantenere gli uffici di specialità soltanto nei capoluoghi di regione, sedi delle corti d'appello;
   la chiusura di tutte le sedi distaccate della polizia postale, quella sezione formata da uomini e donne che contrastano ogni giorno, anche, la pedofilia in internet, agenti ultra specializzati nel compito di immergersi quotidianamente in un orrore di difficile comprensione, per la portata ed il dolore che reca in sé. Se si pensa alle immagini sempre più diffuse di neonati, abusati o torturati, o come una recentissima inchiesta ha mostrato, di bimbi uccisi e filmati, i cui video sono stati barattati a caro prezzo, si capisce quanto impegno e quanta forza queste persone debbano avere. Impegno e forza che stanno per essere vanificati, con il loro reinserimento in altri uffici dove questa professionalità andrà purtroppo sprecata;
   la crisi che attanaglia il Paese ed i conseguenti tagli alla polizia di Stato non devono pagati in termini di innocenza violata in quanto se più di mille persone verranno tolte dal compito che ogni giorno svolgono (e che pochi forse sceglierebbero di svolgere), appare facile immaginare come chi abusa possa sentirsi ancora più libero di farlo, essendo venuto meno un controllo importantissimo, che non potrà essere ricoperto da nessun altro;
   in questi anni la polizia postale ha arrestato, spesso addirittura in flagranza di reato, quasi 6mila predatori di bambini. Ha sequestrato e bloccato la diffusione di milioni di immagini e video a carattere pedofilo. Un sito pedopornografico può far guadagnare anche 90 mila euro al giorno, garantendo alla criminalità organizzata risorse sulla pelle dei bambini;
   il Ministro pro tempore Cancellieri nell'intervento alla Camera dei deputati del 1° febbraio 2012 ha sottolineato «la straordinaria attività di monitoraggio della rete internet» da parte della polizia postale, auspicando peraltro che «occorre implementare gli strumenti a disposizione degli operatori della polizia postale che hanno oramai acquisito un ruolo internazionalmente riconosciuto»;
   sono numerosi gli appelli di tutte le sigle sindacali afferenti alle forze di polizia di Stato relativamente all'inadeguatezza e all'inopportunità di tale tipo di programmazione che inciderebbe negativamente sulla sicurezza e sull'ordine pubblico, sulla garanzia di sicurezza e, più in generale, di legalità –:
   quali siano i motivi economici e finanziari che giustificano chiusure, che, a giudizio degli interroganti, colpiscono l'attività prettamente operativa di presidio del territorio, d'indagine, di prevenzione e repressione dei crimini;
   se il Ministro interrogato intenda riesaminare il piano di razionalizzazione per proteggere il servizio efficiente e competente offerto dalla polizia postale, la cui eliminazione a giudizio degli interroganti comprometterebbe i livelli essenziali di sicurezza e il corso della giustizia.
(4-04051)


   CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo la nuova riorganizzazione dei servizi di polizia rielaborata recentemente, dal dipartimento della pubblica sicurezza è ancora prevista la chiusura della sede della Polizia Stradale di Iseo e Salò (Brescia) che a breve verranno dunque definitivamente soppresse;
   contro tale decisione si è schierato il sindacato UGL della polizia di Stato, ma anche cittadini, sindaci, comunità e l'associazione nazionale vittime della strada;
   anche la regione Lombardia ha espresso il proprio dissenso contro tale decisione votando all'unanimità una mozione contro la chiusura dei presidi di polizia stradale nella provincia di Brescia (n. 225 del 2014);
   il Ministero dell'interno, il 18 novembre 2014, ha inviato alle organizzazioni sindacali nazionali il nuovo progetto di chiusura e le modalità di trasferimento del personale ponendo il 9 dicembre quale termine ultimo per presentare osservazioni;
   secondo quanto riportato nel dossier del centro di monitoraggio della sicurezza stradale di regione Lombardia, presentato recentemente a Palazzo Lombardia in occasione della quarta giornata regionale della sicurezza stradale, nel 2013 in Lombardia gli incidenti stradali hanno provocato 438 morti e 46.956 feriti, rispettivamente il 18,2 per cento e il 13 per cento del totale nazionale;
   gli indici di mortalità più elevati si registrano nelle strade extraurbane, in particolare sulle strade provinciali (4,1 per cento) e sulle statali (3,7 per cento);
   la stima dei costi sociali degli incidenti con lesioni a persone, in Lombardia, nel 2013 è stato di oltre 3 miliardi di euro, ovvero 302 euro per ogni cittadino lombardo;
   se si considera il dato disaggregato per provincia, dopo quella di Milano, che concentra il 43 per cento degli incidenti (14.755), il 42 per cento dei feriti (19.831) e il 24,7 per cento dei morti (108), segue quella di Brescia con 3.401 incidenti, 73 morti e 4.725 feriti;
   il programma Europeo di azione per la sicurezza stradale promosso dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dalla Commissione europea (Libro Bianco del 2001) prevede quale obiettivo, per il 2011-2020, un ulteriore dimezzamento del numero dei morti sulle strade in Europa e nel mondo entro il 2020 e una riduzione dei feriti gravi;
   se si considerano i dati dell'incidentalità della provincia di Brescia dal 2000 al 2013, si palesa una sensibile diminuzione del numero di incidenti, ma anche del numero di morti e di feriti: in valore assoluto si è passati da 4.522 incidenti nel 2000 a 3.041 incidenti nel 2013, da 177 a 73 morti ed infine da 6.559 a 4.725 feriti;
   alla luce dei dati sopra riportati, la provincia di Brescia ha raggiunto pienamente i risultati prefissati dalla risoluzione comunitaria già nel 2010, poiché è passata da 185 morti per incidenti stradali nel 2001 a 73 nel 2013, con una variazione del –60 per cento in soli 10 anni;
   questi rilevanti obiettivi sono stati raggiunti grazie all'enorme lavoro svolto nel corso degli anni soprattutto dalla polizia Stradale e, in particolare, dal personale di questi reparti che con grande abnegazione hanno messo in campo numerosi e sistematici posti di controllo, tecnologie e servizi per prevenire incidenti stradali;
   con la chiusura della Polstrada di Iseo e di Salò non solo si vanificherà il grande lavoro svolto da questi Reparti nel corso degli anni, ma soprattutto si determinerà un aumento degli incidenti stradali e di perdite di vite umane in quanto, tenuto conto dell'esiguità delle altre forze che operano sul campo, tutte le arterie provinciali, comunali e statali rimarranno privi di questo settore strategico del controllo e della regolazione della mobilità su strada;
   la polizia stradale è una delle quattro specialità della Polizia di Stato e si occupa in via principale del settore strategico del controllo e della regolazione della mobilità su strada;
   l'elevata professionalità e specializzazione della polizia stradale è testimoniata dal continuo aggiornamento degli operatori c/o il centro addestramento Polizia di Stato di Cesena, in parallelo con le continue modifiche del codice della strada;
   in un momento di così grave crisi, con evidenti ripercussioni sulla sicurezza dei cittadini, è assai grave che questi Presidi di polizia abbandonino territori così vasti ed importanti, punto di riferimento fondamentale per i cittadini, per le aziende e per le scuole, ma anche per i numerosi turisti che affollano nella stagione estiva i laghi e i numerosi luoghi di villeggiatura della zona e nel periodo invernale le numerose località turistiche e sciistiche;
   pare inoltre che il comune di Salò abbia approvato una delibera con cui, al fine di mantenere il presidio di polizia, è disposta a cedere in comodato d'uso gratuito i locali sede del distaccamento polizia stradale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati sopra riportati in merito al lavoro svolto dai presidi di polizia stradale di Iseo e Salò e se, alla luce degli stessi nonché della loro utilità per tutta la provincia di Brescia, non ritenga opportuno rivedere il Piano che dispone la soppressione delle sedi ad Iseo e Salò prevedendone invece il mantenimento. (4-07142)

  Risposta. — Si risponde congiuntamente alle interrogazioni concernenti il ridimensionamento della rete degli uffici della Polizia postale e la chiusura di alcuni uffici di polizia in provincia di Brescia.
  Le questioni segnalate dall'interrogante sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio nazionale, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Il provvedimento non intacca l'impianto della legge n. 121 del 1981, imperniato sul necessario pluralismo delle forze di polizia e sulle funzioni di coordinamento a livello centrale come anche sul territorio. Si è consapevoli, d'altra parte, che la valorizzazione del coordinamento è pienamente funzionale al processo di
spending review, consentendo di realizzare più agevolmente il duplice obiettivo di incrementare l'efficienza del sistema e di ridurre gli sprechi grazie al moltiplicarsi delle sinergie operative.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subìto notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presidi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presidi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto Movimento dei forconi, ha indetto per lunedì 9 dicembre 2013 uno sciopero e delle manifestazioni in tutte le maggiori città italiane, scioperi e manifestazioni che con ogni probabilità dovrebbero durare fino al 13, anche se non c’è una data precisa per la fine;
   in alcune città la protesta è iniziata la domenica precedente già alle ore 22 dell'8 dicembre, come a Brescia, a Gorizia, a Udine e a Trieste;
   dalle ore 8 di lunedì sono previste le prime manifestazioni: presidi, blocchi e manifestazioni coinvolgeranno quasi tutte le città italiane con evidenti e prevedibili disagi;
   a giudizio dell'interrogante è giusto che venga garantito il diritto di manifestare per il proprio lavoro ma ancora di più deve essere assicurata la possibilità di continuare a garantire il lavoro e il progresso di una intera Nazione e di coloro che la mattina, a prezzo di enormi sacrifici, continuano ad alzare una saracinesca, dando lavoro a sé stessi e a tante altre famiglie;
   le forze dell'ordine devono garantire, anche attraverso la repressione, i diritti dei cittadini. È necessario garantire l'ordine pubblico e la libertà dei cittadini nel territorio nazionale perché possano muoversi e fruire dei servizi;
   il modo irresponsabile con cui si è permesso di trasformare delle manifestazioni di protesta in azioni che hanno finito, in passato, con il paralizzare ogni tipo di attività, modificando forzatamente la quotidianità dei cittadini italiani è inaccettabile;
   la forza pubblica, che ha la capacità e certamente la volontà di tutelare i cittadini, deve essere messa nella condizione di operare nell'interesse pubblico e di perseguire ed eventualmente reprimere blocchi stradali o, come pare sia accaduto in passato, picchettaggi che hanno comportato la chiusura delle attività, pare persino con pressioni da vario tipo. È imprescindibile che vengano garantiti i diritti dei cittadini, anche con l'uso della forza, perché non prevalga l'arroganza e la prepotenza di pochi a discapito di tutti gli altri;
   già l'anno scorso molti commercianti ed artigiani sono stati costretti a chiudere le loro attività e non si è indagato a fondo sulla natura delle minacce cui sono stati oggetto –:
   quali provvedimenti intenda adottare il Governo per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-02893)

  Risposta. — La mobilitazione nazionale promossa dal «Coordinamento 9 dicembre» per i giorni dal 5 al 9 dicembre scorsi per «la difesa ed il ripristino della costituzione e di tutte le sovranità del popolo italiano», è stata seguita con la massima attenzione dagli organi di questa Amministrazione.
  In vista della manifestazione di protesta, sono state emanate alle autorità provinciali di pubblica sicurezza puntuali direttive in ordine alla predisposizione di rigorose misure a tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, con la conseguente assegnazione di adeguate aliquote di rinforzi dei reparti inquadrati.
  È invero, sulla base della considerazione che la libertà di manifestare pacificamente non possa comunque comprimere o limitare la libertà di circolazione, entrambe costituzionalmente garantite, sono state predisposte tutte le misure idonee al necessario contemperamento dei diritti in gioco.
  In particolare, a seguito di intese raggiunte in seno ai Comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica, anche mediante il coinvolgimento degli operatori privati delle società di gestione autostradale e degli enti pubblici interessati, sono state individuate le strategie necessarie a scongiurare qualsiasi tentativo di compimento di atti illegali finalizzati alla interruzione della viabilità.
  Va sottolineato, infatti, che la mobilitazione, preannunciata mediante un'intensa attività di propaganda tesa ad ampliare il fronte della contestazione, avrebbe potuto dar luogo a eventuali forme eclatanti di protesta mediante l'attuazione di blocchi della circolazione ad oltranza finalizzati a generare disagi all'utenza, con conseguenti possibili tensioni sotto il profilo dell'ordine pubblico.
  Tuttavia, contrariamente a quanto previsto dai promotori, la protesta si è concretizzata con l'attuazione di soli presidii informativi, che hanno avuto luogo in 36 province del territorio nazionale (di cui 5 venete), con una scarsissima adesione di partecipanti e non facendo registrare alcuna criticità sotto il profilo della sicurezza.
  In conclusione, si assicura che le forze nell'ordine, in occasione di manifestazioni pubbliche, continueranno a garantire con professionalità il sereno svolgimento delle stesse attraverso la predisposizione adeguati servizi di prevenzione e vigilanza in modo da coniugare, al contempo, il diritto dei manifestanti con l'esercizio dei diritti fondamentali dell'intera collettività.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   D'ARIENZO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'Amministrazione della Polizia di Stato sta ultimando lo studio per la revisione dei presidi e degli uffici della polizia di Stato su tutto il territorio nazionale a causa della carenza degli organici – assestata a circa 95.000 unità – e del fatto che in futuro non ci saranno ingressi di nuove unità rispetto al turnover programmato;
   la riorganizzazione segue due direttrici fondamentali: la prima, interna alla Polizia di Stato che vedrà una razionalizzazione dei presidi di polizia stradale, ferroviaria, postale e di frontiera. L'altra, concertata con il comando generale dei carabinieri, finalizzata ad una rivisitazione sul territorio della dislocazione dei commissariati di Polizia, dei carabinieri – in particolare le compagnie – e dei reparti speciali;
   in particolare, per quanto concerne il primo versante, per le squadre nautiche si prevede la soppressione di tutte quelle oggi esistenti, per la polizia ferroviaria la revisione del dispositivo complessivo e per la polizia postale si vogliono, invece, mantenere le sole sedi presenti presso le corti d'appello;
   pare che siano interessati 267 uffici di polizia in tutta Italia ed anche centinaia di caserme dei carabinieri;
   per la provincia di Verona ciò significa chiudere la squadra nautica di Peschiera del Garda (8 poliziotti), la polizia postale di Verona (16 poliziotti) e la polizia ferroviaria di Legnago (10 poliziotti). Non è ancora conosciuta la ripercussione sulle caserme veronesi dell'Arma dei carabinieri;
   inoltre, è in corso di valutazione la definizione di tre maxi poli per la formazione di base. In questo ambito è senz'altro coinvolta l'esistenza stessa della scuola di formazione di Peschiera del Garda;
   la riorganizzazione proposta deprime la sicurezza dei cittadini, in particolare sul Lago di Garda. È impensabile che un territorio come quello, con 21 milioni di presenze annuali, venga privato di questo importante presidio di sicurezza quale quello della polizia nautica di Peschiera. Chiuderà anche la polizia nautica di Riva del Garda. In pratica, la sicurezza del Lago di Garda, area di oltre 250 Km/q, sarà garantita esclusivamente dalla sola motovedetta dell'Arma dei carabinieri in servizio presso Torri del Benaco;
   è assurdo chiudere il presidio della polizia nautica di Peschiera d/G che non solo è centrale nel «Patto per la sicurezza del Lago di Garda», ma che «spende poco»: le moto d'acqua sono state comprate dai comuni, i locali presso cui operano i poliziotti in servizio, tutti specializzati, con ottima professionalità, tra i quali anche i sommozzatori, sono stati concessi in comodato gratuito dal comune di Peschiera del Garda e alla stessa stregua anche le imbarcazioni sono ormeggiate gratuitamente nel porto arilicense. Insomma nessun costo logistico se non quello per il carburante delle imbarcazioni;
   la capitaneria di porto di Salò, sulla quale ricadranno oggettivamente i compiti e le funzioni non ha le corrispondenti qualifiche e l'addestramento di sicurezza necessari, perché specializzata solo in ricerca e soccorso e non ha sommozzatori e la stessa guardia di Finanza di Salò non potrà sopperire all'esigenza;
   è assurdo chiudere anche la sezione della polizia postale di Verona in un momento in cui i reati informatici sono uno dei più allarmanti fronti sui quali si combatte la lotta alla criminalità. Senza alcuna indicazione sulla ricollocazione di quel personale specializzato, che dopo anni di esperienza ha maturato professionalità specifiche, appare una scelta sbagliata, per Verona e per i poliziotti interessati;
   la chiusura della polizia ferroviaria di Legnago riduce numericamente il personale che comunque garantisce la sicurezza della città con una funzione di deterrenza anche solo in ragione della loro presenza costante;
   siamo di fronte a un piano che per Verona è disarticolato, manca completamente una visione generale – ivi compresa la riorganizzazione dei comandi compagnie del Carabinieri – e, quindi, l'unico esito è la penalizzazione della presenza delle forze di pubblica sicurezza sul nostro territorio, mentre non viene in alcun modo affrontata, ad esempio, la razionalizzazione della ventina di dipartimenti esistenti a livello centrale, che resteranno, integralmente –:
   se il Ministro dell'interno non ritenga di rivedere lo studio sui presidi e gli uffici della Polizia di Stato di Verona e, nel dettaglio, se condivida che:
    a) occorre mantenere la Squadra Nautica di Peschiera d/G;
    b) sia doveroso destinare il personale della polizia ferroviaria di Legnago alla Sezione della Polizia Stradale di Legnago;
    c) il personale della polizia postale sia ricollocato in un ambito investigativo della questura di Verona, all'interno del quale il personale specializzato possa proseguire l'importantissima azione di contrasto alla criminalità informatica fino ad oggi condotta con eccellenti risultati;
   se e quali sono le compagnie dei carabinieri della provincia di Verona eventualmente interessate dal progetto di razionalizzazione dei presidi di sicurezza in argomento. (4-03807)

  Risposta. — Le questioni segnalate dall'interrogante concernenti l'eventuale soppressione di alcuni uffici di polizia in provincia di Verona, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai princìpi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il provvedimento non intacca l'impianto della legge n. 121 del 1981, imperniato sul necessario pluralismo delle forze di polizia e sulle funzioni di coordinamento a livello centrale come anche sul territorio. Si è consapevoli, d'altra parte, che la valorizzazione del coordinamento è pienamente funzionale al processo di spending review, consentendo di realizzare più agevolmente il duplice obiettivo di incrementare l'efficienza del sistema e di ridurre gli sprechi grazie al moltiplicarsi delle sinergie operative.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica del costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   FANUCCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il territorio della Valdinievole e della provincia di Pistoia, negli ultimi mesi, sono stati coinvolti da preoccupanti episodi criminali, verificatisi in aziende e abitazioni private;
   secondo i dati forniti dall'Istat, in provincia di Pistoia, i delitti denunciati dalle forze dell'ordine all'autorità giudiziaria corrispondono al numero di 12.750 nel 2010, 13.448 nel 2011, 13.565 nel 2012: un incremento preoccupante, che obbliga a mettere in campo contromisure adeguate e urgenti;
   sempre secondo l'Istat, il numero di furti denunciati, in provincia di Pistoia, è stato 395 nel 2010, 542 nel 2011 e 637 nel 2012, mentre le rapine: 20 nel 2010, 79 nel 2011, 113 nel 2012, a testimonianza della rapida ascesa di episodi criminali che coinvolgono direttamente i cittadini e la loro incolumità;
   il dovere dello Stato e delle istituzioni è quello di offrire gli strumenti affinché certi crimini non si ripetano: la percezione di abbandono e di mancata sicurezza diffondono sfiducia nei confronti delle istituzioni, giudicate impotenti e non in grado di contrastare efficacemente i malviventi;
   il commissariato di Pescia, la postazione Polfer e la sezione di polizia postale, secondo fonti sindacali, sarebbero a rischio chiusura a seguito di un piano di razionalizzazione che il dipartimento della pubblica sicurezza ha previsto per la polizia di Stato nella provincia di Pistoia;
   il commissariato di polizia di Pescia agisce in un comprensorio che opera nell'intera Valdinievole ovest, in particolare nei comuni limitrofi di Buggiano, Chiesina Uzzanese, Ponte Buggianese, Uzzano, ovvero un territorio geograficamente molto vasto ed esteso (circa 50.000 abitanti), sede dell'ospedale provinciale della Valdinievole, del centro di commercializzazione dell'Italia Centrale, della Curia vescovile, dell'Agenzia delle entrate, dell'Archivio di Stato, della stazione delle Ferrovie dello Stato, e del secondo polo scolastico della provincia di Pistoia con un flusso di circa 3.000 studenti giornaliero;
   il lavoro delle forze dell'ordine e degli uffici attualmente attivi garantiscono la prevenzione e la repressione dei reati in Valdinievole, i controlli sulla linea ferroviaria tra Pistoia, Lucca, Firenze e Bologna, ed il contrasto dei crimini informatici;
   il sindacato autonomo di polizia, nelle parole del segretario provinciale Andrea Carobbi Corso, ha espresso una forte preoccupazione in merito alla possibilità di assicurare, in seguito all'annunciato taglio dei servizi, un adeguato livello di sicurezza ai cittadini;
   a questo motivato timore, si aggiungono i forti disagi del personale in servizio che, senza preavviso, sarà trasferito in altri uffici, con un evidente danno nei confronti di 48 poliziotti e 3 impiegati civili costretti ad allontanarsi dal luogo in cui si erano stabiliti;
   per l'area e i cittadini della Valdinievole non sembrano più tollerabili nuovi tagli ai servizi e strutture del territorio, soprattutto in un settore cruciale come quello della sicurezza pubblica;
   la città di Pescia, negli ultimi anni, ha visto venir meno la sede locale della Banca d'Italia, il tribunale, il Corpo forestale, l'ufficio del territorio, e ha subìto il forte ridimensionamento dell'ospedale e della stazione dei carabinieri: un impoverimento grave al quale i cittadini chiedono legittimamente di porre un argine –:
   se corrisponda al vero la notizia secondo cui il commissariato di polizia di Pescia sia prossimo alla chiusura, quali criteri, di ordine organizzativo ed economico, siano stati eventualmente adottati per giungere a questa decisione e quali iniziative il Governo abbia attivato per garantire la sicurezza dei cittadini in provincia di Pistoia e in Valdinievole. (4-03860)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante, concernente l'eventuale soppressione di alcuni uffici di polizia in provincia di Pistoia, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delleforze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai princìpi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il provvedimento non intacca l'impianto della legge n. 121 del 1981, imperniato sul necessario pluralismo delle forze di polizia e sulle funzioni di coordinamento a livello centrale come anche sul territorio. Si è consapevoli, d'altra parte, che la valorizzazione del coordinamento è pienamente funzionale al processo di spending review, consentendo di realizzare più agevolmente il duplice obiettivo di incrementare l'efficienza del sistema e di ridurre gli sprechi grazie al moltiplicarsi delle sinergie operative.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica del costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, TOFALO e SIBILIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   domenica 23 marzo 2014 moriva a Minori, in provincia di Salerno, una signora colpita da attacco cardiaco, mentre il medico cardiologo, allertato telefonicamente dai familiari della vittima, era bloccato da una gara ciclistica;
   il dottor Antonio De Luca, cardiologo, ha raccontato di non essere riuscito a raggiungere l'abitazione della vittima, bloccato dall'organizzazione della gara. La telefonata dei familiari, l'avrebbe ricevuta intorno alle 10:11. Sopraggiunto nel comune di Castiglione di Ravello, il cardiologo, resta in coda alle numerose auto bloccate per ben 45 minuti, fin quando, alle 11:25, i familiari lo avvertono telefonicamente del sopraggiunto decesso della paziente;
   il racconto del medico De Luca delinea responsabilità delle forze dell'ordine, infatti egli, tra l'altro, dichiara: «Giunto al bivio di Castiglione il traffico veicolare era bloccato per il sopraggiungere della corsa (ciclistica). Dopo aver atteso pochi minuti, visto che l'attesa si prolungava eccessivamente, sceso dalla macchina, mi sono avviato al posto di blocco informando gli addetti che dovevo raggiungere urgentemente Minori. Venivo rassicurato che la strada sarebbe stati riaperta in dieci minuti, motivo per cui ritornavo nella mia auto in trepidante attesa. Nel frattempo venivo sollecitato ulteriormente dal figlio della signora, spiegandogli che entro dieci minuti avrei raggiunto l'abitazione. Trascorso invano il tempo previsto, sono stato costretto a superare tutte le auto ferme in attesa dell'apertura e a dire, di nuovo, dapprima ad un Vigile e successivamente ad un Carabiniere, che avevo urgenza di passare. Lo stesso mi invitava ad attendere perché, passando, avrei creato problemi ai ciclisti»;
   la gara ciclistica «GranfondoAmalfi» è una manifestazione di grande rilievo che richiama circa un migliaio di concorrenti; i ciclisti percorrono tratti di strada che rappresentano gli unici collegamenti stradali per molti paesi della costiera amalfitana; il blocco dell'unica arteria stradale, la strada statale 163 Amalfitana, di fatto rappresenterebbe un isolamento, seppur per qualche ora, per i residenti delle zone percorse dalla gara;
   l'ordinanza prefettizia numero prot. 71420 del 21 marzo 2014 ha concesso i permessi per l'organizzazione della gara –:
   se intenda far luce sulla vicenda, al fine di verificare se ci sia stata la garanzia del rispetto di un adeguato livello di soccorso attraverso l'utilizzo di strumenti idonei, come, ad esempio, il documento recante il dettaglio delle risorse e delle modalità di organizzazione preventiva di assistenza sanitaria messe in campo dall'organizzazione (piano di soccorso sanitario relativo all'evento);
   se intenda attivare, per quanto di competenza, attraverso le strutture prefettizie, un percorso che porti ad accordi con gli enti locali affinché siano maggiormente chiariti gli ambiti di intervento da parte delle forze di polizia in caso di eventi analoghi a quello verificatosi e descritto nel presente documento, affinché sia maggiormente tutelato il soccorso e l'emergenza territoriale durante gli eventi e le manifestazioni programmate. (4-04215)

  Risposta. — La seconda edizione della gara ciclistica «Granfondo Costa D'Amalfi» – disputata domenica 23 marzo 2014, con la partecipazione di circa 500 atleti di varie nazionalità – ha preso avvio alle ore 8.00 da piazza Flavio Gioia di Amalfi e si è svolta lungo il tratto di SS 163 che da Amalfi, risalendo il valico di Chiunzi, raggiunge San Cipriano Picentino.
  Per la manifestazione, la sezione Polizia stradale di Salerno ha impiegato 6 motociclisti e una pattuglia automontata, come servizio a pagamento richiesto dall'organizzazione, ai sensi dell'articolo 9-bis decreto-legge n. 285 del 1992, assistiti da 8 motociclisti della scorta tecnica, abilitati per gare ciclistiche.
  Lungo l'intero percorso erano presenti chiari avvisi al pubblico della chiusura delle strade interessate, con l'indicazione precisa degli orari, apposti a cura dell'organizzazione al fine di ridurre al minimo i disagi per la popolazione. Tutti gli incroci, nei centri abitati e sulla viabilità extra-urbana, erano presidiati dalle Forze di polizia, coadiuvate da volontari, nonché da personale incaricato dalla stessa organizzazione; il che ha fatto sì che non si siano verificate particolari criticità.
  La prefettura di Salerno ha, inoltre, evidenziato che l’iter amministrativo di autorizzazione alla gara è avvenuto in piena conformità alla normativa vigente e con la preventiva emissione dei necessari pareri favorevoli degli organi competenti, tra cui la regione Campania – che ha autorizzato lo svolgimento della gara – e di tutti i comuni interessati dall'attraversamento della competizione, che hanno effettuato le relative valutazioni con riferimento al proprio territorio e alla sussistenza delle condizioni necessarie anche di sicurezza per svolgere la gara.
  La prefettura ha, conseguentemente, emesso l'ordinanza con la quale veniva disposta la sospensione temporanea della circolazione stradale «per il tempo strettamente necessario al passaggio della corsa, ad eccezione dei tratti di strada nel senso Maiori-Vietri sul Mare e S. Egidio del Monte Albino – Valico di Chiunzi, ossia quello contrario alla direzione di marcia dei corridori, dove la chiusura al traffico doveva essere effettuata almeno trenta minuti prima del transito della corsa»; nello stesso provvedimento veniva, inoltre, specificato che «i divieti e gli obblighi sopraindicati non si applicano ai conducenti dei veicoli adibiti a servizi di Polizia, Antincendio e Pronto Soccorso».
  Durante lo svolgimento della corsa, alle ore 10.50 circa, nei pressi della località Castiglione del comune di Ravello, militari del Comando stazione Carabinieri di Amalfi ed agenti della Polizia municipale di Atrani e Ravello, sono stati avvicinati da un cardiologo, il quale ha chiesto l'autorizzazione al passaggio con la propria autovettura, in direzione contraria al senso di gara, per effettuare una visita privata ad una sua paziente residente in Minori.
  In assenza di richiesta di ausilio da parte del 118 per il soccorso urgente e considerato il pieno svolgimento della competizione in atto, con gruppi di ciclisti in corsa, i militari hanno invitato il cardiologo ad attendere l'imminente apertura della strada, per non mettere in pericolo la propria incolumità e quella dei partecipanti alla gara.
  Per completezza e a conferma che il dispositivo previsto era idoneo agli interventi di pronto soccorso, si riferisce che la medesima paziente – un'anziana donna 93enne, poi deceduta tra le ore 11,00 e le ore 11,30 – già alle ore 8,25 dello stesso giorno, quindi a competizione in corso, era stata visitata da personale del 118 prontamente intervenuto sul posto, in seguito a precedente richiesta, ricevendo le terapie del caso con invito al ricovero ospedaliero, che però era stato rifiutato dai familiari.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LA MARCA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il riconoscimento della validità delle patenti di guida in Paesi stranieri è normalmente affidato ad accordi bilaterali di reciprocità, uno strumento di cui l'Italia si è già avvalsa in circa sessanta casi, mentre nelle situazioni che esulano dagli accordi le normative esistenti in materia dettano le condizioni per usufruire temporaneamente dei titoli posseduti e per acquisire quelli che hanno validità nei Paesi di residenza;
   il nostro Paese, per le dimensioni delle sue attività di commercializzazione a livello internazionale e per l'entità dei flussi turistici in entrata ha un rilevante interesse a facilitare lo sviluppo della mobilità di connazionali in realtà straniere e quello dei cittadini di importanti partner nel nostro territorio;
   è auspicabile in ogni caso che, al di là degli accordi stipulati, si faccia una verifica dello stato di maturazione dei rapporti da tempo intrapresi e si programmi l'avvio di trattative con i Paesi nei quali le presenze di cittadini sono più elevate, sia di connazionali in tali realtà che di cittadini stranieri in Italia;
   il Canada è certamente uno dei Paesi con il quale esistono condizioni di scambio e positive prospettive di sviluppo dei rapporti sia per l'entità dell'interscambio che per la presenza di una folta comunità di italiani e di italo discendenti, che tende ad arricchirsi per i nuovi arrivi e che si dimostra assidua nei rientri a scopi familiari e turistici;
   fin dagli inizi del nuovo secolo si sono avviati contatti con le autorità canadesi per l'approvazione di uno schema quadro di accordo, da perfezionare successivamente tramite rapporti diretti con i governi provinciali, titolari delle materie in discussione, ma ad oggi non si è ancora giunti ad una conclusione, anche se essa sembra non lontana dal traguardo finale –:
   a quale livello di definizione sia giunto l'accordo bilaterale con il Canada per il reciproco riconoscimento delle patenti di guida e quali tempi sia possibile prevedere per la sua definitiva conclusione, tenendo anche conto della necessità di addivenire ad accordi con i governi provinciali, titolari delle competenze in materia. (4-08317)

  Risposta. — L'attesa dei nostri connazionali residenti in Canada e dei cittadini canadesi residenti nel nostro Paese di poter quanto prima giungere a un accordo che regoli la conversione delle patenti di guida tra Italia e Canada è assolutamente condivisibile. In questi anni il Governo, nello spirito di massima cooperazione possibile, si è adoperato costantemente al fine di giungere ad una intesa definitiva a dispetto di alcuni elementi di criticità, che derivano in primis dalle differenze dei sistemi giuridici dei due Paesi in materia di regolamentazione della motorizzazione civile. In particolare, il negoziato per la definizione di un accordo con il Canada per la conversione reciproca delle patenti di guida non è stato ancora finalizzato a causa della peculiarità del sistema canadese che attribuisce una competenza esclusiva sulla materia alle Province e ai Territori, limitando di conseguenza la posizione e la capacità d'azione del Governo federale di Ottawa, anche alla luce dei delicati rapporti politici che – come noto – intercorrono tra i due livelli di Governo.
  Una gran parte del tempo trascorso è stata impiegata per individuare quale fosse la controparte canadese con la quale concludere l'intesa. Una prima bozza di accordo-quadro tra l'Italia e il Canada fu predisposta nel 2006, quando finalmente le Autorità federali canadesi convennero sulla necessità italiana di disporre preliminarmente di un simile strumento, a seguito del quale le Province avrebbero potuto definire intese tecniche dirette. Alla fine di quell'anno venne trasmesso il testo all'attenzione del Governo federale canadese.
  Dopo lunghi tempi di attesa per ricevere il riscontro da parte delle Autorità estere, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) proponeva un incontro, tenutosi il 6 marzo 2012, fra i rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Mit) e due funzionari dell'Ambasciata del Canada in Italia. Veniva quindi nuovamente proposto alle Autorità canadesi un testo per concludere l'accordo quadro fra i Governi centrali. La controparte canadese presentava successivamente una bozza diversa da quella concordata e, nonostante la presenza di alcuni punti non pienamente condivisibili, nell'ottobre 2012 veniva inviata, nello spirito di massima cooperazione possibile, alle Autorità federali una nuova proposta di accordo quadro messa a punto d'intesa tra il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Ambasciata del Canada in Italia.
  Solo nel dicembre 2014 il Governo federale, a seguito di innumerevoli sollecitazioni svolte sia per il tramite dell'Ambasciata d'Italia a Ottawa che attraverso l'Ambasciata del Canada in Italia, ha comunicato di ritenere le disposizioni previste nella nuova bozza di accordo «troppo dettagliate» e ha chiesto maggiore «flessibilità», in modo da riservare l'inserimento delle disposizioni tecniche all'interno delle successive Intese tra le Autorità competenti italiane e le singole Autorità provinciali del Canada.
  Da parte canadese si è pertanto chiesto all'Italia di formulare una nuova bozza di testo. Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti hanno quindi predisposto una nuova versione della proposta di Accordo quadro, nella quale viene riconosciuta con maggiore enfasi la richiesta canadese di sottolineare l'esclusiva competenza delle Province e dei Territori sulla materia, riducendo il grado di dettaglio tecnico sulle modalità di conversione delle patenti demandandolo alle successive intese.
  Al momento si è pertanto in attesa di conoscere le valutazioni in merito a tale proposta sia da parte della controparte federale canadese, sia da parte delle Province e dei Territori. Va in particolare segnalato che il Québec, al quale la più recente bozza di accordo è stata direttamente presentata nello scorso mese di gennaio, ha proposto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di negoziare un'intesa tecnica limitata a tale Provincia, anticipando l'intenzione di non opporsi al raggiungimento del già citato accordo quadro.
  Si assicura infine che, sulla scia di quanto già fatto dal Governo in questi anni di negoziazioni con Ottawa, si continuerà, attraverso una costante azione dell'Ambasciata d'Italia in loco e i contatti con la Missione canadese in Italia, nell'azione di sensibilizzazione con la controparte al fine di giungere quanto prima ad un'intesa definitiva sul reciproco riconoscimento delle patenti di guida.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la promozione della lingua e della cultura italiane nel mondo rappresenta un volano sempre più efficace per rispondere alla crescente domanda di italiano che si manifesta in diverse aree culturali e per favorire in modo sistemico la proiezione del nostro Sistema Paese nella realtà globale;
   nelle situazioni in cui esistono consistenti comunità d'origine, in particolare, l'offerta della lingua e cultura italiana diventa un sostegno essenziale nella transizione che esse stanno da tempo vivendo, nel senso di favorire un percorso di integrazione su base interculturale, che presuppone il possesso di un consapevole profilo identitario;
   la comunità d'origine italiana in Canada, oltre ad avere la consistente dimensione di circa un milione e mezzo di persone, di cui 137.000 iscritti all'AIRE, conserva ancora tenaci legami culturali con le proprie origini essendosi formata in prevalenza nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale e quindi esprime un'ancora alta domanda potenziale di lingua e cultura italiane;
   l'offerta linguistica in Canada è stata finora assicurata, oltre che dagli istituti di cultura, da enti di natura privata senza scopi di lucro, alcuni dei quali, come il centro scuola di Toronto, hanno ottenuto significativi risultati sia nell'organizzazione e gestione di corsi curriculari integrati nelle scuole locali che in quelli svolti il sabato e al di fuori dell'orario scolastico;
   negli ultimi anni le autorità consolari italiane stanno perseguendo una linea di crescente inquadramento dell'insegnamento della lingua e cultura italiane nei processi di formazione multiculturale e multilinguistica che caratterizzano il sistema canadese, una scelta coerente con il contesto locale e in linea con i tempi, che va sostenuta e sviluppata, tenendo conto per altero della struttura federale dello Stato e delle competenze che le province detengono in materia;
   nel Québec, e a Montréal in particolare, dove sono presenti peculiarità dovute alla legislazione di tutela della francofonia, è operante da decenni il PELO (Programme d'einsegnement des langues d'origine), che consente l'inserimento, nei gradi dell'obbligo delle scuole pubbliche locali di ore d'insegnamento di lingue d'origine, definite «lingue internazionali», e quindi anche dell'italiano, di interesse di una delle comunità immigrate più consistenti e integrate;
   il sistema di promozione e di gestione dell'italiano nel Québec è alquanto articolato, sia per l'evoluzione dei soggetti che hanno operato in questo campo nel corso del tempo, sia per le dinamiche tra francofonia e anglofonia particolarmente intense nella realtà quebbecchese;
   in tale contesto si è innestata l'attività di insegnamento dell'italiano di alcuni enti senza scopo di lucro, in particolare del PICAI (Patronato italo canadese assistenza immigrati) che da oltre quarant'anni, con il sostegno sia del governo provinciale che dello Stato italiano, ha assicurato l'offerta linguistica a diverse generazioni di immigrati e di discendenti di famiglie italiane, radicandosi in modo esteso nella comunità di origine;
   il PICAI ha ricevuto contributi dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano per la sua attività formativa fino al 2013, quando il sostegno è stato sospeso a seguito di controlli amministrativi che avrebbero rilevato difformità rispetto alle regole contabili seguite dal Ministero e una resistenza da parte dell'ente a consentire l'accesso da parte dei funzionari consolari ai libri contabili, anche per la parte relativa alle risorse proprie dell'ente;
   l'ente, nonostante ciò, ha continuato i suoi corsi con risorse proprie fino al corrente anno scolastico, organizzando corsi in 12 scuole per circa 1500 studenti, ma, a detta degli stessi funzionari consolari, senza il ripristino della convenzione con la parte italiana in breve tempo sarà costretto a chiudere;
   se questo avvenisse, si determinerebbe un vuoto di esperienze, di professionalità e di rapporti con la comunità italiana difficilmente colmabile, anche per le limitate capacità operative dei soggetti che affiancano il PICAI nell'erogazione del servizio linguistico e culturale;
   l'eventualità di una chiusura del PICAI, oltre a determinare un obiettivo ridimensionamento dell'offerta formativa italiana nel contesto quebbecchese, è vissuta con diffuso allarme dalla comunità italiana, come dimostra la sottoscrizione da parte di oltre diecimila persone della petizione lanciata nelle ultime settimane a sostegno dell'ente e della sua sopravvivenza;
   alla luce di tali considerazioni, appaiono evidenti l'opportunità e l'urgenza di fare ogni possibile tentativo per arrivare, nel rispetto delle normative che regolano la materia e con l'elasticità che la salvaguardia dell'interesse comunitario richiede, ad una ricomposizione della situazione, ad una riapertura di un positivo dialogo tra le parti e al ripristino dei rapporti di collaborazione tra le autorità diplomatiche e consolari e i rappresentanti dell'ente –:
   se non intenda dare alla struttura operativa del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e ai responsabili diplomatici e consolari italiani, in Canada e nel Québec orientamenti che favoriscano una ripresa del dialogo, in vista di un auspicabile superamento dell’impasse che si è determinata e della prosecuzione dell'attività di formazione linguistico-culturale da parte di un ente – il PICAI – organicamente integrato nella comunità italiana del Québec e accreditato anche presso le autorità locali. (4-08701)

  Risposta. — Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale svolge un'azione particolarmente intensa a favore della diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo. In particolare la Direzione generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie promuove l'attuazione di corsi di lingua e cultura italiana attraverso contributi a valere sul capitolo di bilancio n. 3153 in favore dei nostri connazionali all'estero.
  Con riguardo al Canada, in considerazione dell'importanza che si annette alla collettività italiana ivi residente, la Farnesina ha elargito negli ultimi 5 anni contributi per oltre 4,5 milioni di euro, favorendo l'attuazione di circa 6.650 corsi seguiti da più di 130.000 studenti.
  Come segnalato dall'interrogante, la concessione del contributo all'Ente Picai si è interrotta con l'anno 2013. Nel 2014, in seguito a controlli amministrativi, le Autorità diplomatico consolari hanno richiesto documentazione che potesse chiarire la situazione finanziario-contabile dell'Ente; non avendo ottenuto da quest'ultimo risposte soddisfacenti, hanno espresso parere negativo alla continuazione della concessione del contributo ministeriale a valere sul sopra indicato capitolo di bilancio.
  Da parte di questa Amministrazione si auspica il pronto ritorno ad una efficace collaborazione sul piano linguistico e culturale con l'Ente Picai, una volta chiarita la questione finanziario-contabile che ha portato alla sospensione nell'erogazione del contributo, previo parere favorevole da parte delle competenti Autorità diplomatico consolari. Con tale obiettivo, la Sede opererà un ulteriore tentativo per favorire la ripresa del dialogo e superare in modo fattivo le criticità emerse.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   LENZI e CARLO GALLI. — Al Ministro della salute, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Lila, Lega italiana per la lotta contro l'Aids, «ha più volte denunciato il fatto che tutti i bandi del ministero della Difesa, per qualsiasi ruolo in qualsiasi Corpo, sono ora riservati a persone in grado di produrre un test Hiv dall'esito negativo, e che l'introduzione del test Hiv periodico obbligatorio per tutti dipendenti delle Forze armate ha provocato forti timori in merito alla conservazione del posto di lavoro»;
   in base all'articolo 32, comma 2, della Costituzione italiana nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge;
   l'articolo 5 della legge n. 135 del 1990 «Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS» dispone che «l'operatore sanitario e ogni altro soggetto che viene a conoscenza di un caso di AIDS, ovvero di un caso di infezione da HIV, anche non accompagnato da stato morboso, è tenuto a prestare la necessaria assistenza e ad adottare ogni misura o accorgimento occorrente per la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali dell'interessato, nonché della relativa dignità; fatto salvo il vigente sistema di sorveglianza epidemiologica nazionale dei casi di AIDS conclamato e le garanzie ivi previste, la rilevazione statistica della infezione da HIV deve essere comunque effettuata con modalità che non consentano l'identificazione della persona. La disciplina per le rilevazioni epidemiologiche e statistiche è emanata con decreto del Ministro della salute, sentito il Garante per la protezione dei dati personali che dovrà prevedere modalità differenziate per i casi di AIDS e i casi di sieropositività; nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare l'infezione da HIV se non per motivi di necessità clinica nel suo interesse. Sono consentite analisi di accertamento di infezione da HIV, nell'ambito di programmi epidemiologici, soltanto quando i campioni da analizzare siano stati resi anonimi con assoluta impossibilità di pervenire alla identificazione delle persone interessate; la comunicazione di risultati di accertamenti diagnostici diretti o indiretti per infezione da HIV può essere data esclusivamente alla persona cui tali esami sono riferiti; l'accertata infezione da HIV non può costituire motivo di discriminazione, in particolare per l'iscrizione alla scuola, per lo svolgimento di attività sportive, per l'accesso o il mantenimento di posti di lavoro»;
   sempre in base alla legge n. 135 del 1990 articolo 6 «È vietato ai datori di lavoro, pubblici e privati, lo svolgimento di indagini volte ad accertare nei dipendenti o in persone prese in considerazione per l'instaurazione di un rapporto di lavoro l'esistenza di uno stato di sieropositività»;
   relativamente ai citati articoli della legge n. 135 del 1990, la Corte costituzionale con sentenza n. 218 del 1994 giustificando l'esecuzione di accertamenti sanitari allorquando vi sia necessità di contemperamento delle esigenze dei singoli con gli interessi della comunità, consistenti in particolare nella salute collettiva e nella protezione dei terzi, alla luce dei principi costituzionali contenuti nell'articolo 32 della Costituzione, ha parzialmente mutato il quadro normativo, ma ha comunque precisato che, anche in tali limitati casi in cui è consentito effettuare accertamenti volti alla rilevazione dell'infezione da HIV, non debba mai trattarsi di «controlli sanitari indiscriminati, di massa o per categorie di soggetti, ma di accertamenti circoscritti sia nella determinazione di coloro che vi possono essere tenuti sia nel contenuto degli esami. Questi devono essere funzionalmente collegati alla verifica dell'idoneità all'espletamento di quelle specifiche attività e riservati a chi ad esse è, o intende essere, addetto». La Corte più avanti precisa altresì che i trattamenti sanitari trovano sempre un limite invalicabile nel rispetto della dignità della persona, anche al fine di «...contrastare il rischio di emarginazione nella vita lavorativa e di relazione» la norma internazionale dell'ILO del 17 giugno 2010 ribadisce, peraltro, il divieto di esecuzione del test HIV in qualsiasi settore lavorativo, comprese Forze Armate, di polizia e corpi di vigilanza –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano assumere per garantire, nel rispetto della normativa nazionale ed internazionale, le procedure di selezione del personale della difesa. (4-04815)

  Risposta. — L'articolo 640 del Codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo n. 66 del 2010, prevede, per gli aspiranti all'arruolamento nelle Forze armate, il possesso della idoneità psicofisica «da accertare, esclusivamente e in deroga a ogni altra disposizione di legge, in base alle norme per l'accertamento dell'idoneità al servizio militare contenute nel regolamento e adottate dal Ministro della difesa».
  Secondo tali norme, contenute nel «Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare», di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90 e successive modifiche e integrazioni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 febbraio 2012, n. 40, sono dichiarati idonei al reclutamento i concorrenti riconosciuti esenti dalle imperfezioni e dalle infermità elencate nell'articolo 582.
  Sono causa di non idoneità al servizio militare, le «sindromi da immunodeficienza, anche in fase asintomatica», ai sensi dell'articolo 582, comma 1, lettera e) Immunoallergologia, numero 3) del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010.
  Il decreto del Ministro della difesa 4 giugno 2014 «Approvazione della direttiva tecnica riguardante l'accertamento delle imperfezioni e infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare e della direttiva tecnica riguardante i criteri per delineare il profilo sanitario dei soggetti giudicati idonei al servizio militare», nel precisare quali siano le sindromi da immunodeficienza causa di non idoneità al servizio militare, indica alla lettera c) – Malattie da agenti infettivi e da parassiti – la «positività per gli anticorpi anti-Hiv».
  Come citato nell'atto di sindacato ispettivo, la Corte Costituzionale si è espressa in materia (sentenza n. 218/1994) dichiarando «l'illegittimità costituzionale dell'articolo 5, terzo e quinto comma, della legge 5 giugno 1990, n. 135 (Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS), nella parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell'assenza di sieropositività all'infezione da Hiv come condizione per l'espletamento di attività che comportano rischi per la salute dei terzi». Secondo la suprema Corte, l'articolo 32 della Costituzione non contempla soltanto il diritto alla salute di ogni individuo, ma implica anche il dovere di tutelare il diritto alla salute dei terzi.
  La Corte ha ritenuto superata anche la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all'articolo 6, comma 1, della stessa legge («divieto di svolgere indagini che consentano ai datori di lavoro di accertare l'esistenza di uno stato di sieropositività»), specificando che tale divieto è inapplicabile non solo nella sanità, bensì in ogni altro settore in cui vi sia un serio rischio di contagio.
  Tale principio irrinunciabile di salvaguardare, oltre che la propria, anche l'altrui salute, è stato, altresì, sancito dal legislatore nella legge 30 novembre 1990, n. 359, dove è espressamente previsto, per il personale appartenente alle forze di polizia, che per la verifica della idoneità all'espletamento di servizi comportanti rischi per la sicurezza, l'incolumità e la salute dei terzi, possono essere disposti, con il consenso dell'interessato, accertamenti dell'assenza di sieropositività all'infezione da Hiv.
  Ciò detto, le forze armate rientrano a pieno titolo tra i settori a rischio contagio, in considerazione delle peculiari modalità di convivenza e di svolgimento dei compiti ad esse devoluti che comportano evidenti fattori di rischio per la salute degli appartenenti alla comunità militare, di terzi e della collettività in generale.
  Da queste premesse e considerazioni, nonché sulla base del quadro giuridico vigente, discende l'obbligo, per la Difesa, di prevedere l'accertamento della positività al test anti-Hiv nella redazione dei bandi di concorso e di effettuare i relativi esami specialistico-strumentali durante le operazioni di selezione. I dati sanitari acquisiti vengono trattati solo da personale abilitato alla trattazione di dati personali sensibili, assicurando la privacy di tutti coloro che si sottopongono ai test anti-Hiv.
  Riguardo, poi, al personale che durante il servizio abbia contratto o sia venuto a conoscenza di essere affetto da «sindrome da immunodeficienza acquisita», è il caso di sottolineare che il solo stato di sieropositività, in assenza di manifestazioni patologiche, non costituisce di per sé motivo di esclusione dall'impiego, tanto meno di ostacolo alcuno alla progressione di carriera.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 5 dicembre 2014, come annunciato dal portavoce regionale del «Coordinamento 9 dicembre», conosciuto alla pubblica opinione come movimento dei «forconi», torneranno una serie di presìdi in circa una dozzina di città del Veneto;
   molti ricorderanno i disagi per i cittadini nonché le tensioni e gli scontri con le forze dell'ordine, che si registrarono lo scorso anno in riferimento alle proteste che lo stesso movimento mise in atto per diversi giorni;
   l'obiettivo dichiarato è quello di paralizzare la regione per lanciare un ultimatum allo Stato italiano;
   il suddetto ultimatum andrebbe dalla «pretesa» delle dimissioni immediate di Governo e Presidente della Repubblica, al ritorno alla moneta nazionale, dal disconoscimento di tutti i trattati internazionali siglati dopo il 2006 fino all'istituzione di un tribunale speciale che proceda penalmente nei confronti di tutti coloro del mondo politico, economico e istituzionale che hanno permesso che il popolo italiano venisse ridotto in schiavitù, nonché l'introduzione del referendum propositivo e vincolante per l'indipendenza del Veneto;
   come riportato dagli organi di stampa è stato testualmente affermato dai promotori che: «scaduto l’ultimatum non garantiamo più che il dissenso si manifesti in modo ordinato e pacifico: ciascuno risponderà delle proprie azioni»;
   in considerazione di quanto verificatosi l'anno scorso e delle dichiarazioni qui riportate è del tutto evidente la strumentalità delle richieste che presuppongono, ovviamente, una volontà di scontro con le istituzioni –:
   se e quali iniziative il Governo, in particolare il Ministro dell'interno, abbia predisposto in vista della citata protesta al fine di evitare che si possano verificare problemi di ordine pubblico e, comunque, affinché venga garantita la massima sicurezza e il normale svolgimento delle attività pubbliche ed economiche. (4-09143)

  Risposta. — La mobilitazione nazionale promossa dal «Coordinamento 9 dicembre» per i giorni dal 5 al 9 dicembre scorsi «per la difesa ed il ripristino della costituzione e di tutte le sovranità del popolo italiano,» è stata seguita con la massima attenzione degli organi di questa Amministrazione.
  In vista della manifestazione di protesta, sono state emanate alle autorità provinciali di pubblica sicurezza puntuali direttive in ordine alla predisposizione di rigorose misure a tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, con la conseguente assegnazione di adeguate aliquote di rinforzi dei reparti inquadrati.
  E invero, sulla base della considerazione che la libertà di manifestare pacificamente non possa comunque comprimere o limitare la libertà di circolazione, entrambe costituzionalmente garantite, sono state predisposte tutte le misure idonee al necessario contemperamento dei diritti in gioco.
  In particolare, a seguito di intese raggiunte in seno ai Comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica, anche mediante il coinvolgimento degli operatori privati delle società di gestione autostradale e degli enti pubblici interessati, sono state individuate le strategie necessarie a scongiurare qualsiasi tentativo di compimento di atti illegali finalizzati alla interruzione della viabilità.
  Va sottolineato, infatti, che la mobilitazione, preannunciata mediante un'intensa attività di propaganda tesa ad ampliare il fronte della contestazione, avrebbe potuto dar luogo a eventuali forme eclatanti di protesta mediante l'attuazione di blocchi della circolazione ad oltranza finalizzati a generare disagi all'utenza, con conseguenti possibili tensioni sotto il profilo dell'ordine pubblico.
  Tuttavia, contrariamente a quanto previsto dai promotori, la protesta si è concretizzata con l'attuazione di soli presidii informativi, che hanno avuto luogo in 36 province del territorio nazionale (di cui 5 venete), con una scarsissima adesione di partecipanti e non facendo registrare alcuna criticità sotto il profilo della sicurezza.
  In conclusione, si assicura che le forze nell'ordine, in occasione di manifestazioni pubbliche, continueranno a garantire con professionalità il sereno svolgimento delle stesse attraverso la predisposizione adeguati servizi di prevenzione e vigilanza in modo da coniugare, al contempo, il diritto dei manifestanti con l'esercizio dei diritti fondamentali dell'intera collettività.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, CORSARO, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la sorte del posto di polizia ferroviaria della stazione di Brennero è ancora incerta dopo la decisione del Ministro dell'interno Alfano di realizzare il taglio della spesa del suo dicastero attraverso la chiusura di alcuni uffici di polizia;
   la chiusura del citato posto di polizia ferroviaria determinerebbe il venir meno di importanti servizi in una stazione d'importanza internazionale, attraverso la quale transitano annualmente migliaia di persone provenienti da tutto il mondo, con tutti i rischi del caso;
   la soppressione dell'ufficio Polfer di Brennero avrà gravi ripercussioni sulla sicurezza dei trasporti e dei passeggeri, posto che non ci sarebbe più alcun controllo da parte delle forze dell'ordine nella stazione e nell'intero scalo ferroviario;
   gli immigrati irregolari che tentano di passare il Brennero per recarsi nell'Europa settentrionale laddove non riescono nel loro intento rimangono a bivaccare in stazione, giorno e notte;
   non meno importante è il transito di treni che trasportano merci pericolose e che in numerose occasioni ha reso necessario l'intervento dei vigili del fuoco e l'immediata presenza sul posto degli agenti della Polfer –:
   quali siano le determinazioni assunte in merito alla sede di polizia ferroviaria di Brennero, e se non ritenga di mantenere attivo tale presidio al fine di garantire la sicurezza dei passeggeri e nell'intero scalo ferroviario. (4-04882)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante relativa alla chiusura (rectius, alla trasformazione in punto di appoggio) del posto di Polizia ferroviaria di Brennero, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subìto notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190, legge di stabilità per il 2015, all'allegato 8 richiamato dal comma 318 dell'articolo 1 reca la soppressione del contributo annuale versato dall'Italia all'Istituto internazionale del freddo (Institute International du Froid/International Institute of Refrigeration, IIF/IIR) per il 2015 e per gli anni successivi;
   l'IIF/IIR è un'organizzazione intergovernativa cui partecipano i sessanta Paesi più industrializzati, ed è unanimemente riconosciuta come la più alta e autorevole voce in campo scientifico e tecnico in un settore, quello della refrigerazione e delle pompe di calore, ad alto valore economico, sociale e tecnologico;
   la contribuzione italiana all'Istituto internazionale del freddo risale al 1920, anno della sua costituzione a Parigi, e non si è mai arrestata, salvo negli anni di guerra;
   l'Italia, oltre ad essere stato uno dei Paesi fondatori dell'IIF/IIR, è sempre stato uno dei Paesi che hanno maggiormente contributo all'attività dell'Istituto, sia in termini economici che, soprattutto, in termini scientifici e tecnologici;
   l'interesse italiano nei confronti dell'IIF/IIR deriva soprattutto dalla presenza sul territorio nazionale di una grande quantità di imprese leader in Europa nei campi del condizionamento dell'aria e della refrigerazione commerciale, che hanno una concentrazione straordinaria nel distretto veneto del freddo (uno dei motori dello sviluppo di quel territorio) ma anche una distribuzione omogenea e diffusa in tutte le altre regioni;
   il sistema produttivo del settore, che crea una fetta importante del prodotto interno lordo (si pensi solo che l'Italia produce più del 60 per cento degli impianti di refrigerazione e condizionamento dell'aria e delle pompe di calore realizzati in tutta Europa) sente come prioritaria la presenza italiana nell'IIF/IIR, in quanto è cosciente che la spinta culturale che l'Istituto costituisce una leva indispensabile per il trasferimento tecnologico e l'innovazione di cui l'industria si nutre per crescere e mantenersi competitiva a livello globale;
   le ricadute della partecipazione italiana alle attività dell'IIF/IIR sul tessuto produttivo nazionale del settore sono così ampie da essere unanimemente riconosciute da aziende, associazioni imprenditoriali, associazioni professionali e università, che si sono mobilitate per il ripristino del contributo;
   l'IIF/IIR esercita da tempo una autorevole azione propositiva nei consessi internazionali gestiti dalle Nazioni Unite attraverso l'UNEP (United Nations Environment Programme) che si occupano di problematiche ambientali come l'assottigliamento della fascia di ozono stratosferica e il riscaldamento climatico;
   tale tema è particolarmente sentito dall'industria nazionale, che necessita di un canale affidabile di informazione e formazione sulle misure di tipo ambientale e di sicurezza da adottare per non correre il rischio di essere espulsa dal mercato globale;
   proprio a causa delle problematiche ambientali, nei prossimi anni si discuterà della eliminazione di alcuni gas refrigeranti dai settori della refrigerazione, del condizionamento e delle schiume isolanti, settori produttivi nei quali le nostre aziende, e specialmente le piccole e medie imprese, eccellono in innovazione tecnologica;
   l'impatto industriale di questa eliminazione è stimato a livello internazionale per un importo compreso tra i 4,5 e gli 8 miliardi di dollari nel periodo 2015-2030, una partita di rinnovamento tecnologico nella quale le aziende nazionali ambiscono ad avere un ruolo di primo piano;
   la piena partecipazione dell'Italia nei consessi internazionali favorisce la diffusione del know-how tecnologico italiano e la possibilità per le imprese italiane di competere con gli altri Paesi nel trasferimento di tecnologie e competenze;
   l'Italia, insieme a Germania e Regno Unito, è il Paese europeo che vanta il maggior numero di imprese che hanno tecnologie che non deteriorano lo strato di ozono e hanno basso impatto sul cambiamento climatico;
   la cancellazione del contributo italiano all'Istituto internazionale del freddo costituisce un grave errore strategico in quanto mette a repentaglio un canale di formazione e informazione di vitale importanza per mantenere il tessuto produttivo italiano del settore ai livelli più avanzati in ambito globale, e determina l'impossibilità di partecipare e influenzare lo spazio culturale nel quale transitano l'innovazione e lo sviluppo del settore, sia quelli portati dall'industria e dalla ricerca italiane nel mondo sia quelli elaborati all'esterno e che potrebbero essere utilmente sfruttati in Italia, e il rischio di vedere le aziende ed enti italiani del settore tagliate fuori dalla partecipazione a progetti di ricerca coordinati dall'Istituto ai quali partecipano come partner;
   infine, in cambio di una riduzione oggettivamente irrisoria per la spesa pubblica italiana (l'importo del contributo ammonta a sessantamila euro annui) si sta perdendo un fattore estremamente importante per il mantenimento della competitività dell'industria nazionale mentre i Paesi competitori continuano a sfruttarne i vantaggi –:
   se non ritengano di assumere iniziative al fine di ripristinare il contributo italiano all'Istituto internazionale del freddo, anche in misura ridotta, per l'anno in corso ed i seguenti, al fine di mantenere il nostro Paese all'avanguardia nel settore e salvaguardando le aziende. (4-07855)

  Risposta. — La necessità di rivedere e ridurre i costi di tutta la pubblica amministrazione ha impegnato la Farnesina in una gravosa opera di tagli e ridimensionamento delle spese, che hanno toccato innanzitutto il personale e la rete.
  L'esigenza di ulteriori riduzioni della spesa ha imposto a questa Amministrazione di dover intervenire anche diminuendo la contribuzione alle organizzazioni internazionali di cui il nostro Paese è parte, tramite una valutazione comparativa non semplice sull'entità, gli interessi ed i ritorni per il Paese nei diversi esercizi.
  In particolare, nella fattispecie di che trattasi, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) fin dal 2007 aveva chiesto al Ministero dello sviluppo economico (Mise) di assumere il contributo annuale dell'Istituto internazionale del freddo (Iif) in ragione della spiccata natura tecnica dell'organizzazione, della specifica ed esclusiva competenza di quel Dicastero nel settore dello studio del freddo e non ultimo dell'esigenza di attribuire i contributi per le organizzazioni internazionali alle amministrazioni competenti per materia.
  Non essendo stato possibile effettuare il trasferimento del contributo al Ministero dello sviluppo economico, le ulteriori esigenze di risparmio dettate dalla legge di stabilità 2015, non hanno consentito alla Farnesina di procrastinare ulteriormente la decisione di recedere dal pagamento del contributo all'Istituto internazionale del freddo, così come dal versamento dei contributi a molte altre organizzazioni internazionali.
  Il provvedimento prevede il recesso dal contributo pagato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per il triennio 2015-2017 ma non il ritiro dall'organizzazione, di cui il nostro Paese resta dunque membro.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   MIGLIORE e PIAZZONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 settembre è stato eseguito lo sgombero del Cinema America, storica sala cinematografica romana progettata negli anni cinquanta dall'architetto torinese Angelo Di Castro, versante in stato di abbandono da oltre quattordici anni ed occupata dal novembre del 2012;
   lo stabile, chiuso per moltissimi anni e lasciato in stato di degrado, rappresenta un edificio dall'indiscutibile pregio storico ed artistico, contenente preziosi mosaici degli artisti Anna Maria Cesarini Sforza e Pietro Cascella;
   gli attuali proprietari dell'immobile hanno avviato nel 2013 l’iter burocratico per ottenere il cambio di destinazione d'uso, abbattere la storica struttura e realizzare sulla stessa un'opera di edilizia residenziale;
   in merito a tale richiesta il Campidoglio, attraverso una nota rilasciata alla stampa lo scorso 29 luglio, ha precisato come quest'ultima risulti attualmente sospesa per l'accoglimento della richiesta di apposizione alla sala di vincolo storico – artistico presentata dall'assessorato alla trasformazione urbana di Roma Capitale. Lo stesso Campidoglio assicurava come, al termine dell’iter di apposizione del vincolo, il destino del Cinema America sarebbe stato oggetto di confronto tra l'amministrazione del comune di Roma e la proprietà;
   sull'indubbio valore storico – artistico della struttura si è espresso più volte il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo che, il 27 agosto 2014 a margine della Mostra del Cinema di Venezia, ha annunciato l'emanazione di una direttiva per tutelare le sale cinematografiche di interesse storico esistenti sul territorio italiano, citando come esempio proprio il caso del Cinema America. Il Ministro stesso nel mese di luglio aveva incontrato pubblicamente gli occupanti della sala cinematografica romana, confermando l'apertura di due istruttorie – una sul vincolo di destinazione d'uso ed una sulla salvaguardia dei mosaici della Cesarini Sforza e di Pietro Cascella – che di fatto avrebbero impedito la demolizione e la trasformazione della sala. Al termine dell'incontro gli occupanti del Cinema America avevano garantito al Ministro Franceschini lo scioglimento dell'occupazione all'apposizione dei vincoli suddetti;
   in questi ultimi anni il Cinema America è stato recuperato e rivitalizzato salvaguardandone la struttura, divenendo un'esperienza culturale solida e stabile attraverso la programmazione di numerosi eventi e manifestazioni;
   diversi appelli per salvare la struttura sono stati promossi negli anni da esponenti del panorama culturale italiano: dagli eredi dell'architetto Di Castro, ai grandi nomi del cinema (Verdone, Celestini, Rosi, Benni, Sorrentino);
   lo sgombero effettuato, lascia trasparire dei dubbi sulla futura destinazione e gestione del Cinema America, nonostante l'avvio dell’iter per l'apposizione di vincoli e le chiare intenzioni espresse a riguardo dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   lo sgombero del Cinema America rappresenta, secondo gli interroganti, una forzatura nella gestione dell'ordine pubblico, considerata la volontà degli occupanti di sciogliere pacificamente l'occupazione una volta apposti i vincoli sull'immobile e se lo sgombero non pregiudichi la attuale destinazione del Cinema America e la conservazione dello stato dei luoghi, tenendo in considerazione il degrado in cui lo stesso ha versato per molti anni e la volontà di demolire lo stabile più volte manifestata dalla attuale proprietà –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'avvenuto sgombero del Cinema America, e quali iniziative intenda assumere a tutela della destinazione dell'immobile nelle more del perfezionamento dell’iter per l'apposizione dei vincoli.
(4-05925)

  Risposta. — Con decreti del direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio n. 137, per gli «apparati decorativi» e n. 139 per l'edificio architettonico, ambedue in data 19 novembre 2014, è stato dichiarato l'interesse culturale e storico-artistico del cinema America, in ragione delle caratteristiche tipologiche architettoniche sia interne che esterne dell'immobile nonché per l'apparato decorativo, gli elementi musivi e i dettagli funzionali, e al contempo ornamentali, dell'interno che costituiscono un tutt'uno inscindibile.
  L'interesse culturale, rilevato dalle competenti soprintendenze che hanno curato l'istruttoria dei provvedimenti, è quello previsto dall'articolo 10, comma 3, lettera
d) del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, ovvero l'interesse storico relazionale del cinema America in quanto importante esempio in riferimento alla storia dell'arte e della cultura romana della seconda metà del XX secolo.
  L'immobile, pertanto, è ora sottoposto a tutte le disposizioni di tutela previste dalla normativa vigente.
  Più in generale, si sottolinea che l'attenzione di questo Ministero per le sale cinematografiche è alta, in quanto esse costituiscono «strumento» di attività culturale, indipendentemente dalla qualifica, attribuita e/o attribuibile, alla sala
ex se, di bene culturale meritevole di tutela.
  Il 26 agosto 2014 il Ministro ha emanato una specifica direttiva, indirizzata al segretariato generale, alla direzione generale per il cinema, alle direzioni regionali e alle soprintendenze del Ministero riguardante in modo specifico le sale cinematografiche «storiche», ossia «esistenti almeno dal 1o gennaio 1980», anche se non più attive, con precipuo riferimento alla loro attività di sala cinematografica.
  Nell'ambito di tale direttiva è previsto un censimento di tali sale, già avviato con richiesta formale inviata il 30 ottobre scorso alle associazioni di categoria (Agis, Anec, Anem) di «censire», regione per regione, le sale «storiche» esistenti, quali potenziali beneficiarie della nuova misura fiscale, prevista dall'articolo 6, commi da 2-
bis a 2-sexies, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», conosciuto anche come «decreto art bonus».
  La misura, indirizzata alle piccole o medie imprese esercenti di sale «storiche», consiste in una agevolazione fiscale sotto forma di credito d'imposta per le piccole e medie imprese di esercizio cinematografico. Le spese eleggibili sono quelle per il ripristino, il restauro e l'adeguamento strutturale e tecnologico delle sale, esistenti almeno dal 1o gennaio 1980.
  Il credito d'imposta è riconoscibile nella misura del trenta per cento di tali spese, ed è concesso nei limiti di cui al regolamento dell'Unione europea n. 1407 del 2013 della Commissione europea in regime cosiddetta di
de minimis, ossia con un limitato orizzonte temporale – costi sostenuti dal 1o giugno 2014 al 31 dicembre 2016 – ed economico – importo massimo annuale di 100.000 euro di credito d'imposta riconoscibile a ciascuna impresa.
  Le risorse destinate a tale scopo e a queste sale storiche ammontano sino a 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015, 2016, 2017 e 2018.
  Come indicato dal comma 2-
quater del citato articolo 6, le disposizioni attuative di tale misura di agevolazione fiscale sono demandate ad un decreto ministeriale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sentito il Ministero dello sviluppo economico.
  Il decreto ministeriale è stato adottato in data 12 febbraio 2015 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 69 del 24 marzo 2015.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   NESCI, PARENTELA, SARTI, BUSINAROLO, AGOSTINELLI, DIENI, DADONE e NUTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 16 e 17 marzo 2014 si è verificato un episodio inquietante che interessa, in un contesto altamente a rischio quale quello calabrese, il magistrato Pier Paolo Bruni, della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, già destinatario di disegni di morte da parte della `ndrangheta;
   riguardo all'episodio succitato, è stata presa di mira l'autovettura del padre del magistrato, parcheggiata in prossimità dell'abitazione di famiglia;
   l'automobile è stata prima manomessa e poi spostata in una zona a rimozione forzata;
   la scena, ripresa dalle videocamere di un servizio di vigilanza, mostra gli autori della manomissione scendere da una Seat Marbella di colore scuro e avvicinarsi alla vettura del padre di Bruni;
   la stessa autovettura è stata poi ritrovata bruciata nelle campagne di Isola Capo Rizzuto (Crotone);
   sulla vicenda stanno indagando gli agenti della squadra mobile della questura di Crotone, ma è obiettivamente evidente la matrice intimidatoria del gesto;
   come riportato da diversi organi di stampa, non si tratterebbe del primo episodio di intimidazione nei confronti del pubblico ministero, dato che il 22 gennaio 2010 l'allora sostituto procuratore della Repubblica di Crotone ricevette un messaggio di posta elettronica inoltrato da un anonimo, a seguito della confisca di beni disposta dal tribunale di Crotone nei confronti di esponenti di spicco delle cosche locali, Giuseppe Vrenna ed Egidio Cazzato, coinvolti nell'indagine della Dda denominata «Heracles»;
   nel succitato messaggio, inviato al quotidiano «il Crotonese», si leggeva: «Pierpaolo Bruni... ahahah... tu per noi sarai na muschiddra... tutto questione di tempo... a presto tu sarai raccolto con un cucchiaino... di te rimarranno solo le ceneri... Insieme ai tuoi carissimi pentiti Bumbaca e Marino»;
   è evidente, dunque, come Pierpaolo Bruni sia un magistrato schierato in prima linea contro le criminalità organizzate e contro il malaffare che imperversa in Calabria;
   va ricordato che il pubblico ministero Pierpaolo Bruni sta conducendo delicate inchieste sui rapporti tra criminalità organizzata, politica e massoneria, nate in territorio calabrese ma da cui sta emergendo una rete criminale che coinvolge diverse regioni italiane, tra cui Lazio, Sicilia, Campania, Veneto e Lombardia;
   dalle indagini, ad esempio, è emerso un pericoloso intreccio tra massoneria e ’ndrangheta e, in particolare, tra la cosca dei Mancuso e la loggia massonica fondata da Paolo Coraci, mirante alla nomina di persone di fiducia in 15 enti tra cui Finmeccanica e Poste italiane;
   secondo le ultime rivelazioni, inoltre, la rete criminale avrebbe messo gli occhi anche sui lavori post-terremoto a L'Aquila, tramite una ditta di costruzioni riconducibile secondo gli inquirenti appunto alla cosca della ’ndrangheta dei Mancuso-Tripodi;
   risultano coinvolti nell'inchiesta anche tanti esponenti della politica;
   in un articolo comparso il 23 maggio 2013 su «Il Corriere della Sera» a firma Carlo Macrì, si legge che «gli interessi del clan Tripodi partono dalla Calabria per raggiungere la Lombardia, e si diramano in Veneto e nella Capitale dove trovano l'appoggio di politici influenti come Vincenzo Maruccio, ex assessore dell'Idv nella giunta Marrazzo ed ex consigliere di minoranza con la giunta Polverini, e dell'ex vice presidente del consiglio regionale del Lazio Raffaele D'Ambrosio (Udc), pronti a trattare con i clan che in cambio di appalti s'impegnavano a raccogliere voti»;
   secondo le ultime rivelazioni, inoltre, l'inchiesta in parola si starebbe allargando, coinvolgendo non solo la tradizionale ’ndrangheta, settori della politica e della massoneria, ma anche esponenti della Chiesa;
   a conferma di quanto sopra significato, si rammenta che ci sarebbe un indagato eccellente come Pierluigi Vignola, ex cappellano della questura di Potenza, noto alle cronache giudiziarie per il coinvolgimento nelle indagini sul caso Claps, sott'inchiesta oggi per i reati di associazione mafiosa, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio e turbata libertà degli incanti, con l'aggravante dell'aver agito per favorire la cosca di riferimento –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritengano di intervenire con la massima urgenza per fare luce sull'inquietante episodio di cui il dottor Bruni è stato vittima;
   quali siano le misure attualmente previste per garantire l'incolumità al dottor Bruni e ai suoi familiari;
   se non ritengano, nell'ambito delle rispettive competenze, di aumentare le misure attualmente predisposte, per assicurare al magistrato e ai suoi familiari la massima protezione e sicurezza, affinché lo stesso svolga nelle migliori condizioni possibili il proprio delicatissimo lavoro.
(4-04322)


   NESCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla stampa, le cosche della `ndrangheta cosentina, lametina e crotonese avrebbero progettato un attentato nei confronti del pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Pierpaolo Bruni;
   il quotidiano La Gazzetta del Sud racconta, nell'edizione del 18 novembre 2014, che «l'uomo, pur essendo recluso, sarebbe stato informato dai “compari” rimasti in libertà che il magistrato viaggia a bordo di una Bmw 320 blindata di colore grigio, protetto solo da due guardie del corpo. E che il punto ideale per colpirlo sarebbe una galleria posta lungo la superstrada che attraversa la Sila. Una galleria nei cui pressi vi sarebbero installate delle telecamere. Di più. Il detenuto avrebbe inoltre rivelato che il pm Bruni è da tempo pedinato e questa circostanza spiegherebbe la precisione delle informazioni assunte dalle cosche in merito al dispositivo di sicurezza messo in piedi per proteggerlo»;
   la questione è molto delicata perché dietro l'attentato ci potrebbero essere anche gli intrecci politico-mafiosi su cui il pm sta conducendo indagini. Come infatti ricostruisce Paolo Polichieni su Il Corriere della Calabria, «c’è il troncone mafia-politica dell'operazione “Vulpes”. Ci sono gli “omissis” che coprono i nomi di tre storici esponenti politici di primissimo piano di Cosenza. C’è il timore delle cosche di non poter procedere ad una riorganizzazione del proprio assetto verticistico, faticosamente raggiunto in quel di Cosenza dopo la bufera seguita alle rivelazioni del boss pentito Franco Pino. C’è un sacco di robaccia, insomma, nello scenario al quale lavorano febbrilmente in queste ore i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Cosenza per venire a capo del progettato attentato in danno del pm Pierpaolo Bruni. Progetto che si porta dietro anche grande allarme per la sicurezza di un altro pubblico ministero della Dda catanzarese, assai esposto sul fronte cosentino: Vincenzo Luberto»;
   va ricordato infatti che il pubblico Ministero Pierpaolo Bruni sta conducendo delicate inchieste sui rapporti tra criminalità organizzata, politica e massoneria, nate in territorio calabrese ma da cui sta emergendo una rete criminale che coinvolge diverse regioni italiane, tra cui Lazio, Sicilia, Campania, Veneto e Lombardia;
   dalle indagini, ad esempio, è emerso un pericoloso intreccio tra massoneria e ’ndrangheta e, in particolare, tra la cosca dei Mancuso e la loggia massonica fondata da Paolo Coraci, mirante alla nomina di persone di fiducia in 15 enti tra cui, Finmeccanica e Poste italiane;
   secondo le ultime rivelazioni, inoltre, la rete criminale avrebbe messo gli occhi anche sui lavori post-terremoto a L'Aquila, tramite una ditta di costruzioni riconducibile secondo gli inquirenti appunto alla cosca della ’ndrangheta dei Mancuso-Tripodi;
   risultano coinvolti nell'inchiesta anche tanti esponenti della politica. In un articolo comparso il 23 maggio 2013 su Il Corriere della Sera a firma Carlo Macrì, si legge che «gli interessi del clan Tripodi partono dalla Calabria per raggiungere la Lombardia, e si diramano in Veneto e nella Capitale dove trovano l'appoggio di politici influenti come Vincenzo Maruccio, ex assessore dell'Idv nella giunta Marrazzo ed ex consigliere di minoranza con la giunta Polverini, e dell'ex vice presidente del consiglio regionale del Lazio Raffaele D'Ambrosio (Udc), pronti a trattare con i clan che in cambio di appalti s'impegnavano a raccogliere voti»;
   non è la prima volta che il magistrato Bruni è vittima di un attentato: nella notte tra il 16 e 17 marzo 2014 l'autovettura del padre del magistrato, parcheggiata in prossimità dell'abitazione di famiglia, è stata prima manomessa e poi spostata in una zona a rimozione forzata, per poi essere ritrovata bruciata nelle campagne di Isola Capo Rizzuto (Crotone);
   a riguardo l'interrogante ha già presentato un atto parlamentare (il n. 4-04322) a cui però nessuno dei due Ministri interrogati ha tuttora risposto –:
   se non ritengano di intervenire con la massima urgenza per fare luce sull'ennesimo atto intimidatorio di cui il dottor Bruni è stato vittima;
   se non ritengano, nell'ambito delle rispettive competenze, di aumentare le misure attualmente predisposte, per assicurare al magistrato e ai suoi familiari la massima protezione e sicurezza, affinché lo stesso svolga nelle migliori condizioni possibili il proprio delicatissimo lavoro. (4-06982)

  Risposta. — Nel corso degli anni, gli episodi di intimidazione nei confronti del Sostituto Procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro Pierpaolo Bruni sono stati valutati sempre con la massima attenzione da questa Amministrazione che ha adottato, in tutte le circostanze, le misure necessarie a tutelare l'incolumità del magistrato e dei suoi familiari.
  Ciò premesso, in riferimento all'episodio avvenuto nella notte fra il 16 e 17 marzo 2014 ai danni dell'autovettura del padre del magistrato, si rappresenta che il 18 marzo 2014, il padre del dottor Bruni ha denunciato alla Questura di Crotone il tentato furto della propria autovettura parcheggiata nei pressi dell'abitazione.
  Grazie alle tempestive indagini della Squadra mobile, si è potuto risalire ai responsabili dell'episodio criminoso – due persone con precedenti di polizia ed un minore – che, nell'ammettere una serie di furti di autovetture perpetrati durante quella notte, hanno precisato di non aver portato a compimento il furto della vettura in questione in quanto priva di carburante. All'esito degli accertamenti, i tre soggetti sono stati deferiti all'autorità giudiziaria.
  Accurate indagini sono state svolte anche con riferimento al commento intimidatorio nei confronti del magistrato, apparso nel gennaio 2010 su un sito web a margine di un articolo relativo all'operazione di polizia «Heracles», che l'anno precedente aveva portato al sequestro di beni del clan «Vrenna-Corigliano-Bonaventura».
  Gli accertamenti hanno consentito di individuare gli intestatari dell'utenza telefonica dalla quale la minaccia era stata inserita in rete, i quali, tuttavia, sono risultati estranei a contesti di criminalità organizzata.
  Venendo ad un ulteriore episodio menzionato nell'interrogazione, si informa che il 14 novembre 2014, a seguito delle dichiarazioni rese alla Polizia penitenziaria di Catanzaro da un detenuto di nazionalità irachena ivi ristretto circa un progetto di attentato ai danni del dottor Bruni, il Prefetto di Catanzaro ha prontamente allertato i vertici delle Forze di polizia territoriali.
  Lo stesso giorno il Questore di Crotone, luogo di residenza del magistrato, ha disposto d'urgenza l'intensificazione del dispositivo di protezione in atto.
  Contemporaneamente, a rafforzamento del dispositivo tutorio, è stato disposto l'allertamento di tutti i servizi di controllo del territorio lungo l'itinerario stradale percorso dal dottor Bruni.
  Nel frattempo, anche la Squadra mobile crotonese ha acquisito notizie sul progetto criminoso contro il magistrato, che, ovviamente sono state messe a disposizione delle autorità giudiziarie competenti.
  Alla luce di tali risultanze, la situazione della sicurezza personale del dottor Bruni è stata esaminata nelle riunioni tecniche di coordinamento delle forze di polizia, tenutesi presso le Prefetture di Catanzaro e Crotone, rispettivamente il 19 e il 20 novembre 2014, in esito alle quali, in attesa di più precise indicazioni investigative, è stato deciso, da un lato, di mantenere il dispositivo tutorio in atto, consistente nella misura di 3o livello «rafforzato», tutela su auto specializzata, integrata da un servizio di vigilanza dinamica dedicata presso l'abitazione sita in Crotone, rafforzandolo attraverso l'impiego di un operatore aggiuntivo a quelli già previsti e l'adozione di ogni altro accorgimento utile ad elevarne il livello di efficacia; dall'altro, di sensibilizzare il dispositivo di protezione integrativo presso la predetta abitazione, già dotata di vetri, tapparelle elettriche e portoncino blindati e di impianto di allarme antintrusione.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la scuola per allievi agenti di polizia di Vibo Valentia è uno dei maggiori centri per la formazione di ingresso nei ruoli della polizia di Stato e per l'aggiornamento professionale anche di altre forze di polizia;
   la scuola rappresenta una risorsa di fondamentale rilevanza sia per le funzioni di addestramento e formazione che svolge a favore del personale della polizia di Stato sia per il prestigio e l'impatto sulla economia locale e sui servizi offerti alla città;
   secondo quanto denunciato dal sindacato di Polizia Siulp già nella lettera del 30 settembre 2014, l'immobile è di primaria importanza perché «ad oggi riesce ad ospitare circa 330 Allievi», cosa che rende l'istituto una «Scuola per il Sud». Come se non bastasse, la struttura ospita non solo la scuola allievi agenti, ma anche «il Reparto Prevenzione Crimine, l'Ufficio Amministrativo della Questura, la Squadra Cinofili e gli Artificieri»;
   oltre ai servizi specifici e relativi alla formazione e all'addestramento degli agenti, si legge ancora nella missiva succitata, «vi è collocata l'unica mensa della città che eroga mediamente oltre 500 pasti al giorno (non solo per gli Allievi Agenti ma anche per tanti appartenenti alle forze dell'ordine della provincia); è presente l'unico erogatore di carburante «gasolio» che rifornisce tutti i veicoli Polizia della città e grazie alla vicinanza con l'A3, anche tantissimi veicoli di servizio in transito; la struttura è stata individuata quale Centro di Soccorso Pubblico per le emergenze ambientali, infatti è stata preziosissima nella gestione delle alluvioni nel 2006 a Vibo Marina e nel 2009 a Maierato per il salvataggio delle popolazioni colpite, avendo ospitato centinaia di persone che vi mangiavano e vi dormivano fino all'agibilità delle proprie abitazioni, ed i cui bambini frequentavano persino la scuola dell'obbligo all'interno dell'Istituto»;
   il 4 marzo 2014, il vice capo vicario della polizia di Stato, prefetto Alessandro Marangoni, con una delegazione composta anche dal direttore dell'ufficio per le relazioni sindacali vice prefetto Ricciardi e dal direttore centrale degli affari generali prefetto Truzzi, ha illustrato le linee guida del progetto di spending review riguardante il comparto di sicurezza;
   il «piano di razionalizzazione dei presidi sul territorio» comporterebbe la chiusura di 261 presidi territoriali di polizia. In particolare il piano porterebbe alla chiusura di 11 commissariati distaccati che espletano le funzioni di autorità locale di PS, 73 Uffici di polizia ferroviaria, 73 sezioni di polizia postale, 27 sezioni di polizia stradale, 4 nuclei artificieri, 11 squadre a cavallo, 4 sezioni sommozzatori, 50 squadre nautiche oltre agli accorpamenti e alla rimodulazione delle competenze di alcuni compartimenti in ambito stradale, ferroviario e della zona di polizia di frontiera;
   già allora, a marzo, si presentava la possibilità concreta che la scuola di polizia potesse chiudere, come emerge dagli articoli di cronaca del periodo (Il Quotidiano della Calabria del 9 marzo 2014, Strettoweb del 10 marzo 2014);
   tale rischio oggi torna d'attualità dopo le parole del dottor Vincenzo Roca, direttore centrale per gli istituti di istruzione, pronunciate in occasione della Cerimonia del giuramento degli Agenti del 189° corso. Nonostante il dottor Roca, infatti, abbia espresso lodi per la Scuola di Vibo Valentia, ritenuta un «fiore all'occhiello della formazione» degli allievi agenti, secondo quanto riportato da La Gazzetta del Sud del 20 settembre 2014, ha anche detto chiaramente che «il futuro di Vibo dipenderà dal sistema Italia perché la scelta seguirà una sua coerenza. L'intenzione è quella di riorganizzare nella totalità le strutture dedicate all'organizzazione del sistema sicurezza»;
   tali dichiarazioni, ovviamente, hanno messo in allarme le forze dell'ordine e i sindacati di categoria in quanto, si legge ancora nella summenzionata missiva, «la scelta di chiudere l'Istituto di istruzione di piazza D'armi non arreca alcun vantaggio ai bilanci statali in termini di riduzione delle spese. La chiusura importerebbe, al contrario, solo svantaggi. Nessun vantaggio per la Polizia di Stato che perderebbe un Istituto di formazione di primordine nel panorama nazionale, pubblicamente e ripetutamente lodato da politici, amministratori, prefetti, autorità civili/militari, gente comune, ecc. Nessun vantaggio per i cittadini che si ritroverebbero meno sicuri, considerato il venir meno di 200 poliziotti sulle strade cittadine e nessun vantaggio per la comunità vibonese ed il suo substrato economico e produttivo che perderebbe la presenza dei «poliziotti corsisti». Ma soprattutto nessun vantaggio per lo Stato «colui che sta al di sopra», in quanto dimostrerebbe la debolezza nel cancellare un presidio che inculca la cultura della legalità in un territorio dove viene collocata una delle principali cosche di `ndrangheta del panorama nazionale»;
   è necessario tener conto del fatto che prima del 2004 l'immobile era di proprietà demaniale. È stato poi ceduto al fondo comune di investimento immobiliare «Patrimonio Uno», gestito allora dalla BNL Fondi Immobiliari SGR Spa, per un valore di apporto di euro 9.630.000. Da allora lo Stato è costretto a pagare un canone di locazione che ammonta a euro 1.010.000, verrà pagato. Qui andrebbero ritrovate le ragioni del perché il Governo sia intenzionato a tagliare questa struttura;
   come denunciato dal Siulp, però, tale cifra verrebbe comunque versata al fondo immobiliare «Patrimonio Uno», dato che «il contratto di locazione di nove anni pur scadente nel dicembre 2014, non è stato disdetto (nei termini indicati) e quindi verrà rinnovato automaticamente fino al dicembre 2023»;
   a parere dell'interrogante, dunque, non ci sarebbero nemmeno le ragioni economiche per chiudere una scuola essenziale, in una terra martoriata, peraltro, dalle pesanti infiltrazioni mafiose. Senza dimenticare che la chiusura di tale struttura, come denunciato dai sindacati di categoria, comporterebbe la perdita di 80 posti di lavoro;
   nonostante quanto detto sino ad ora, è notizia di questi giorni il fatto che il ministero dell'Interno ha intanto previsto corsi per Allievi Agenti solo nelle sedi del Nord Italia di Alessandria, Trieste e Brescia. Secondo quanto riportato da Il Quotidiano della Calabria del 3 novembre 2014, «notizie poco confortanti giungono sul destino della Scuola Allievi Agenti della Polizia di Stato. Il ministero dell'interno ha infatti provveduto all'assegnazione degli Allievi del 192° corso e del 193° corso alle scuole di Alessandria, Brescia e Trieste, lasciando fuori dunque la struttura vibonese»;
   a giudizio dell'interrogante, avere assegnato i corsi (192 e 193) solo alle scuole di Alessandria (395 allievi), Brescia (113 allievi) e Trieste (345 allievi) significa che di fatto viene sempre meno per il ministero dell'interno, nonostante quanto detto in premessa, la volontà di continuare a mantenere nel circuito degli istituti di formazione la caserma Andrea Campagna –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta e quali iniziative intenda adottare per evitare la chiusura della scuola di polizia di Vibo, in considerazione sia dell'eccellenza della struttura nella formazione del personale delle forze dell'ordine e sia dell'apporto socio-economico che la scuola stessa garantisce ad una terra condizionata dalla forte presenza criminale;
   se sia intenzione del Governo promuovere un tavolo di trattative con la società proprietaria dell'immobile al fine di individuare una soluzione condivisa per valorizzare la struttura e il personale operante e ottimizzare i costi. (4-06769)

  Risposta. — La Scuola allievi agenti di Vibo Valentia è ubicata, unitamente al Reparto prevenzione crimine «Calabria Sud Occidentale» e ad alcuni uffici della locale Questura, in un immobile cartolarizzato appartenente al Fondo Patrimonio Uno per il quale viene corrisposto il pagamento di un canone annuo di 1.136.591,96 euro.
  Tale onere, proprio in considerazione della natura del bene, non incide sull'ordinario capitolo di spesa del Ministero dell'interno per gli oneri di locazione passiva, ma su un capitolo appositamente istituito dal Ministero dell'economia e delle finanze sul quale il citato Dicastero stanzia annualmente le risorse necessarie al pagamento dei canoni di locazione degli immobili cartolarizzati in uso alla Polizia di Stato.
  Il contratto di locazione dell'immobile è stato stipulato nel dicembre 2005 tra l'Agenzia del demanio e la società che gestisce il Fondo Patrimonio Uno e, dopo una serie di rinnovi automatici, giungerà a scadenza nel 2023.
  Tale contratto – recepito integralmente con la sottoscrizione da parte del Dipartimento della pubblica sicurezza del disciplinare di assegnazione nel dicembre 2005 – pone a carico del Dipartimento medesimo gran parte degli interventi di manutenzione straordinaria, oltreché le spese di manutenzione ordinaria.
  La struttura in questione – attualmente in grado di ospitare circa 300 allievi – ha un organico effettivo di 78 dipendenti a cui si aggiungono 2 unità di personale aggregato.
  La Scuola è stata sede di svolgimento di corsi sino al 29 dicembre 2014 allorché si è concluso il 189o corso allievi vigenti.
  Relativamente all'utilizzo delle scuole del nord Italia quali sedi di svolgimento degli ultimi corsi, si precisa che dei 514 allievi del 191o corso, 395 sono stati destinati alla Scuola di Alessandria e 119 a quella di Brescia mentre presso le Scuole di Trieste si è svolto il 192o corso, cui sono stati avviati 351 allievi.
  Al riguardo, si precisa che il numero esiguo di frequentatori non consente di utilizzare contemporaneamente tutte le strutture deputate alla formazione. Rientra quindi nei parametri della normalità l'esclusione della Scuola di Vibo Valentia, che, come sopra detto, ha ospitato i frequentatori del 189o corso.
  Nell'atto di sindacato ispettivo l'interrogante ipotizza che la Scuola possa essere chiusa nell'ambito delle previsioni del piano di razionalizzazione della presenza delle forze di polizia sul territorio nazionale, sottoposto nei primi mesi del 2014 al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza.
  Al riguardo, si rappresenta che tale piano non contiene alcuna previsione relativamente agli istituti di istruzione, riguardo ai quali l'Amministrazione ha mantenuto una riserva di approfondimento.
  In ogni caso, come già comunicato in risposta all'interrogazione 4-05204, a tutt'oggi il piano non è stato ancora definito, essendo sopravvenuta una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   NESCI, DADONE, NUTI, D'UVA e PARENTELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come già scritto nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-06982 presentata nella seduta 336 del 21 novembre 2014 risulta che le cosche della ’ndrangheta cosentina, lametina e crotonese avessero progettato un attentato nei confronti di Pierpaolo Bruni, pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro;
   secondo quanto ricostruito dal quotidiano La Gazzetta del Sud nell'edizione del 18 novembre 2014, «l'uomo, pur essendo recluso, sarebbe stato informato dai “compari” rimasti in libertà che il magistrato viaggia a bordo di una Bmw 320 blindata di colore grigio, protetto solo da due guardie del corpo. E che il punto ideale per colpirlo sarebbe una galleria posta lungo la superstrada che attraversa la Sila. Una galleria nei cui pressi vi sarebbero installate delle telecamere. Di più. Il detenuto avrebbe inoltre rivelato che il pm Bruni è da tempo pedinato e questa circostanza spiegherebbe la precisione delle informazioni assunte dalle cosche in merito al dispositivo di sicurezza messo in piedi per proteggerlo»;
   non è questo, peraltro, nemmeno il primo tentativo di attentato mortale di cui è vittima il pubblico ministero Bruni: come denunciato dalla scrivente in una precedente interrogazione la n. 4-04322, nella notte tra il 16 e 17 marzo 2014 l'autovettura del padre del magistrato, parcheggiata in prossimità dell'abitazione di famiglia, è stata prima manomessa e poi spostata in una zona a rimozione forzata, per poi essere ritrovata bruciata nelle campagne di Isola Capo Rizzuto;
   come denunciato da L'Espresso in un articolo del primo dicembre dal titolo «Il PM a rischio protetto meno di un Ministro», soltanto pochi giorni dopo la notizia di morte succitata, «per disposizione della prefettura di Crotone è stata rimossa la videosorveglianza davanti casa del magistrato che dal 2007 faceva da scudo alla sua abitazione. La motivazione ufficiale è che il rischio si è ridimensionato»;
   la rimozione del circuito di videosorveglianza appare agli odierni interroganti totalmente illogica ed estremamente pericolosa;
   la deputata Dalila Nesci, peraltro, ha telefonato personalmente al prefetto, dottoressa Maria Tirone, e in seguito, esattamente il 3 dicembre 2014, ha incontrato il viceministro dell'interno Filippo Bubbico, nel tentativo di promuovere la risoluzione delle vicenda della videosorveglianza del magistrato Bruni, assolutamente paradossale e inspiegabile;
   ciononostante, il circuito di videosorveglianza presso l'abitazione del pm non è stato ancora ripristinato;
   il prefetto Tirone di lì a poco veniva trasferito a Foggia, come deliberato dal Consiglio dei ministri n. 41 del 12 dicembre 2014 e al suo posto, per la prefettura di Crotone, è stato inviato il prefetto Vincenzo De Vivo, proveniente dalla prefettura di Oristano;
   secondo quanto risulta agli interroganti, tale movimento di prefetti risulta essere una decisione premiale nei confronti della stessa dottoressa Tirone, la quale aspirava a spostarsi nella città foggiana;
   non sfugge all'attenzione degli interroganti, peraltro, che la nomina del prefetto Tirone a Foggia suona strana, anche perché avviene proprio a ridosso della visita del Ministro Angelino Alfano nella città pugliese (il 18 dicembre), «anche se — come osserva il quotidiano Il Mattino di Foggia — il mandato della Latella (Luisa, trasferita a Catanzaro, nda) era ormai in scadenza»;
   la questione è molto delicata perché dietro alla notizia dell'attentato di morte per Pierpaolo Bruni ci potrebbero essere anche gli intrecci politico-mafiosi su cui il pm sta conducendo indagini e che riguarderebbero, stando a Il Corriere della Calabria, esponenti politici di spicco del Pdl;
   come infatti ricostruisce Paolo Polichieni su Il Corriere della Calabria, «c’è il troncone mafia-politica dell'operazione “Vulpes”. Ci sono gli “omissis” che coprono i nomi di tre storici esponenti politici di primissimo piano di Cosenza. C’è il timore delle cosche di non poter procedere ad una riorganizzazione del proprio assetto verticistico, faticosamente raggiunto in quel di Cosenza dopo la bufera seguita alle rivelazioni del boss pentito Franco Pino. C’è un sacco di robaccia, insomma, nello scenario al quale lavorano febbrilmente in queste ore i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Cosenza per venire a capo del progettato attentato in danno del pm Pierpaolo Bruni. Progetto che si porta dietro anche grande allarme per la sicurezza di un altro pubblico ministero della Dda catanzarese, assai esposto sul fronte cosentino: Vincenzo Luberto»;
   altro pubblico ministero in questi giorni bersagliato da pesanti minacce mafiose e impegnato, anche lui, nella lotta alla ’ndrangheta e ai legami di questa con la politica, è Giuseppe Lombardo, procuratore della Dda di Reggio Calabria;
   lo stesso Lombardo ha parlato di «sciame intimidatorio di cui sono oggetto in queste ultime settimane», ma «tutto questo, in ogni caso, non servirà certamente ad interrompere il lavoro in cui è impegnata la Procura distrettuale di Reggio Calabria»;
   l'ultimo episodio è avvenuto il 2 dicembre 2014 ma reso noto il 17 dello stesso mese: una telefonata anonima arrivata alla Guardia di finanza in cui la voce di «un uomo che parla con calma, con freddezza, scandendo bene le parole in Italiano corretto e quasi senza accento» dice: «Siamo pronti ad ucciderlo»;
   anche Lombardo non è nuovo a tali pesanti minacce: il 28 novembre era arrivata un'altra telefonata anonima, sempre dallo stesso contenuto intimidatorio. Nel 2013 erano venute fuori delle intercettazioni di alcuni familiari di esponenti di vertice del clan Labate nelle quali gli interlocutori dicevano «A quello prima lo spariamo è meglio è». E «Quello» era proprio Lombardo. Successivamente era stata la volta di un pacco spedito al pm nel quale si parlava per la prima volta di «200 chili di esplosivo» pronti all'uso;
   tra le tante indagini che Lombardo ha in mano, anche quelle che ruotano intorno all'asse Amedeo Matacena e Claudio Scajola –:
   se non ritenga urgente e improrogabile il ripristino del circuito di videosorveglianza presso l'abitazione del dottor Bruni;
   quali siano i motivi per cui è stato disposto il trasferimento del prefetto Maria Tirone a Foggia, scelta che, per quanto detto in premessa, appare un'evidente promozione, nonostante la decisione che gli interrogati giudicano illogica di rimuovere la videosorveglianza al pubblico ministero Bruni, proprio all'indomani della notizia del progetto di morte contro di lui;
   quali siano le misure attualmente previste per garantire l'incolumità al dottor Lombardo e ai suoi familiari e se non ritenga di aumentare le misure di protezione attualmente predisposte, per assicurare al magistrato e ai suoi familiari la massima incolumità e sicurezza, affinché lo stesso svolga nelle migliori condizioni possibili il proprio delicatissimo lavoro. (4-07360)

  Risposta. — Nel corso degli anni, gli episodi di intimidazione nei confronti del sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro Pierpaolo Bruni sono stati valutati sempre con la massima attenzione da questa Amministrazione che ha adottato, in tutte le circostanze, le misure necessarie a tutelare l'incolumità del magistrato e dei suoi familiari.
  Ciò premesso, in riferimento all'episodio avvenuto nella notte fra il 16 e 17 marzo 2014 ai danni dell'autovettura del padre del magistrato, si rappresenta che il 18 marzo 2014, il padre del dottor Bruni ha denunciato alla Questura di Crotone il tentato furto della propria autovettura parcheggiata nei pressi dell'abitazione.
  Grazie alle tempestive indagini della Squadra mobile, si è potuto risalire ai responsabili dell'episodio criminoso – due persone con precedenti di polizia ed un minore – che, nell'ammettere una serie di furti di autovetture perpetrati durante quella notte, hanno precisato di non aver portato a compimento il furto della vettura in questione in quanto priva di carburante. All'esito degli accertamenti, i tre soggetti sono stati deferiti all'autorità giudiziaria.
  Venendo ad un ulteriore episodio menzionato nell'interrogazione, si informa che il 14 novembre 2014, a seguito delle dichiarazioni rese alla Polizia penitenziaria di Catanzaro da un detenuto di nazionalità irachena ivi ristretto circa un progetto di attentato ai danni del dottor Bruni, il Prefetto di Catanzaro ha prontamente allertato i vertici delle Forze di polizia territoriali.
  Lo stesso giorno il Questore di Crotone, luogo di residenza del magistrato, ha disposto d'urgenza l'intensificazione del dispositivo di protezione in atto.
  Contemporaneamente, a rafforzamento del dispositivo tutorio, è stato disposto l'allertamento di tutti i servizi di controllo del territorio lungo l'itinerario stradale percorso dal dottor Bruni.
  Nel frattempo, anche la Squadra mobile crotonese ha acquisito notizie sul progetto criminoso contro il magistrato, che, ovviamente sono state messe a disposizione delle autorità giudiziarie competenti.
  Alla luce di tali risultanze, la situazione della sicurezza personale del dottor Bruni è stata esaminata nelle riunioni tecniche di coordinamento delle forze di polizia, tenutesi presso le Prefetture di Catanzaro e Crotone, rispettivamente il 19 e il 20 novembre 2014, in esito alle quali, in attesa di più precise indicazioni investigative, è stato deciso, da un lato, di mantenere il dispositivo tutorio in atto, consistente nella misura di 3o livello «rafforzato», tutela su auto specializzata, integrata da un servizio di vigilanza dinamica dedicata presso l'abitazione sita in Crotone, rafforzandolo attraverso l'impiego di un operatore aggiuntivo a quelli già previsti e l'adozione di ogni altro accorgimento utile ad elevarne il livello di efficacia; dall'altro, di sensibilizzare il dispositivo di protezione integrativo presso la predetta abitazione, già dotata di vetri, tapparelle elettriche e portoncino blindati e di impianto di allarme antintrusione.
  In relazione alla questione dell'impianto di videosorveglianza collocato presso l'abitazione del dottor Bruni, si informa che lo stesso magistrato si è opposto alla cosiddetta remotizzazione delle immagini presso la Centrale operativa di una delle forze di polizia presenti sul territorio. A seguito di ciò, in sede di riunione di coordinamento delle forze di polizia tenutasi presso la Prefettura di Crotone il 12 giugno 2013 – presente anche un rappresentante della locale Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello – è stato rilevato come, in assenza del collegamento con una sala operativa, l'impianto non potesse dare alcun contributo alla sicurezza del magistrato. Quindi, il consesso ha espresso unanime parere favorevole alla sua rimozione.
  Si soggiunge che in un'ulteriore riunione di coordinamento delle forze di polizia, il sostituto Procuratore generale, sentito anche il Procuratore distrettuale antimafia, ha rappresentato di ritenere adeguato il sistema di protezione integrativo in atto presso l'abitazione del magistrato. La rimozione dell'impianto di videosorveglianza è stata ultimata il 13 novembre 2014.
  Relativamente poi, alla posizione del dottor Giuseppe Lombardo, sostituto Procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, si rappresenta che il magistrato è attualmente destinatario di un dispositivo di 2o livello, scorta su auto specializzata, integrato da un servizio di vigilanza fissa all'abitazione, assicurata da un contingente dell'Esercito.
  In ordine all'eccezionalità della situazione di rischio del dottor Lombardo, il quale, anche di recente, è stato oggetto di pesanti intimidazioni e minacce di morte, i dispositivi di protezione sono stati prontamente intensificati sensibilizzando, altresì, il personale preposto ad innalzare ulteriormente il livello di attenzione nell'esecuzione dei servizi.
  Contestualmente, a seguito di specifica riunione tecnica di coordinamento del 21 gennaio 2015, tenuta presso la Prefettura di Reggio Calabria, è stato deciso di elevare a 20 unità complessive l'aliquota di militari dell'Esercito in servizio di vigilanza fissa all'abitazione nell'arco delle 24 ore. Inoltre, è stata ravvisata l'urgenza e l'indifferibilità dell'adozione, da parte degli organi competenti, dei provvedimenti di autorizzazione alla realizzazione di misure di difesa passiva, quali gli impianti di videosorveglianza e gli infissi blindati presso l'abitazione del magistrato e le parti comuni dello stabile ove il medesimo risiede.
  Infine, si rappresenta che il 27 gennaio 2015 a seguito di attività d'indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, la Guardia di finanza ha individuato un incensurato, ritenuto psicolabile, quale autore di numerose telefonate anonime pervenute alle utenze «117» e «112», contenenti minacce di morte all'indirizzo sia del dottor Lombardo che del dottor Nicola Gratteri, anch'egli in servizio presso la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.
  Quanto alla dottoressa Maria Tirone, nominata prefetto di Foggia con contestuale cessazione dalle funzioni di Prefetto di Crotone, si rappresenta che il movimento è stato disposto nell'ambito di un ordinario avvicendamento di funzionari preposti da tempo alle rispettive sedi.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lo sforzo profuso dall'intero comparto delle forze dell'ordine per garantire l'ordine pubblico e la sicurezza è quotidiano; pur tuttavia, le piante organiche delle stesse forze dell'ordine sembrano risalire a decine di anni fa, quando le esigenze di tutela e della pubblica sicurezza erano indiscutibilmente diverse da quelle attuali;
   nonostante l'evoluzione della micro criminalità, legata negli ultimi anni anche a fenomeni sociali come il fenomeno dell'immigrazione straniera, il numero dei dipendenti in servizio alle locali forze di polizia appare in Veneto non coerente con quello previsto dalle richieste del territorio;
   da alcuni organi di stampa locali del Veneto si apprende l'intenzione del dipartimento per la pubblica sicurezza di riprendere in mano il progetto di razionalizzazione delle risorse già preannunciato qualche anno fa e, in particolare, si parlerebbe della chiusura di numerosi commissariati, della cancellazione delle squadre nautiche e di presidi della stradale oltre che di quelli della Polfer; tale progetto di razionalizzazione risulta già essere sul tavolo di questori e prefetti competenti che dovranno valutarne la compatibilità ed esprimere un parere entro la prima metà di marzo 2014;
   a quanto risulta alla data all'interrogante, in provincia di Venezia tale decurtazione porterà alla soppressione degli uffici del posto del distaccamento di polizia stradale a Portogruaro, dove verrà altresì soppresso il posto di polizia ferroviaria, della squadra nautica a Venezia, mentre il distaccamento polizia stradale di San Donà di Piave sarà elevato a sottosezione autostradale –:
   quale sia l'orientamento sulla vicenda descritta in premessa; di quali elementi disponga al riguardo e se non ritenga opportuno, anche in ragione della estrema preoccupazione di tutti i cittadini per il crescente aumento delle rapine e dei fenomeni di criminalità, rivedere il drastico taglio agli uffici di polizia sopra riportati i quali rappresentano oggi un punto di riferimento fondamentale per i cittadini, adottando idonee iniziative nell'ambito delle proprie competenze allo scopo di favorire un rafforzamento delle risorse umane a disposizione delle forze dell'ordine per il controllo del territorio del Veneto e, nello specifico, della provincia di Venezia. (4-04153)

  Risposta. — Le questioni segnalate dall'interrogante, relative alla chiusura di alcuni presìdi della Polizia di Stato situati nel territorio della provincia di Venezia, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi ancora non definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Il provvedimento non intacca l'impianto della legge n. 121 del 1981, imperniato sul necessario pluralismo delle forze di polizia e sulle funzioni di coordinamento a livello centrale come anche sul territorio. Si è consapevoli, d'altra parte, che la valorizzazione del coordinamento è pienamente funzionale al processo di spending review, consentendo di realizzare più agevolmente il duplice obiettivo di incrementare l'efficienza del sistema e di ridurre gli sprechi grazie al moltiplicarsi delle sinergie operative.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a San Donà di Piave, in occasione della tradizionale preghiere islamica del venerdì, il sedicente sceicco Abd Al Barr Al Rawdi, ha pronunciato il 1° agosto 2014 nella locale moschea, situata in un appartamento riadattato, un sermone particolarmente aggressivo nei confronti di coloro che professano la religione ebraica;
   nell'ambito del suo sermone, che è stato ascoltato da non meno di ottanta fedeli, Al Rwadi ha tra l'altro invocato Dio, chiedendogli, testualmente, con riferimento agli ebrei: «Allah, contali uno ad uno e uccidili fino all'ultimo, non risparmiarne nemmeno uno. Fai diventare il loro cibo veleno, trasforma in fiamme l'aria che respirano. Rendi i loro sonni inquieti e i loro giorni tetri. Inietta il terrore nei loro cuori»;
   nella medesima circostanza, il popolo ebraico è stato altresì descritto da Al Rawdi come composto da persone aventi un «cuore più duro della pietra», colpevole di «aver sparso il sangue dei Profeti e di gente innocente» e perciò meritevole «di essere incatenato e maledetto»;
   Al Rawdi ha in questo modo tristemente riproposto i più tragici pregiudizi utilizzati per secoli dall'antisemitismo militante, con le conseguenze finali a tutti note;
   le immagini del sermone, carpite verosimilmente utilizzando una minicamera nascosta, sono state pubblicate da Memri, un centro di ricerca basato a Washington specializzato nell'analisi e nella traduzione degli articoli di stampa in lingua araba;
   la controversa predica di Al Rawdi ha quindi avuto una vasta eco internazionale;
   il sermone di Al Rawdi è stato pronunciato in una moschea già nota da tempo per la presenza di elementi radicali e la frequentazione da parte di persone dedite ad attività poco chiare e probabilmente anche eversive, stando a quanto affermato in un proprio commento a caldo dal presidente della provincia di Venezia, Francesca Zaccariotto, già sindaco di San Donà di Piave dal 2003 al 2013;
   il provvedimento di espulsione doverosamente adottato il 5 agosto 2014 nei confronti del sedicente sceicco Abd Al Barr Al Rawdi non garantisce che egli non venga sostituito da personalità altrettanto radicale –:
   quali misure il Governo intenda assumere per controllare le attività della moschea di San Donà di Piave e soprattutto impedire che altri imam, dopo l'espulsione del sedicente sceicco Abd Al Barr Al Rawdi, continuino con le proprie prediche ad istigare all'odio antisemita in un momento tanto delicato;
   in particolare, se il Governo non ritenga opportuno valutare la sussistenza dei presupposti di diritto per disporre anche la chiusura del luogo di culto generalizzato nella premessa per gravi motivi di ordine pubblico e sicurezza nazionale. (4-05818)

  Risposta. — L'atto parlamentare indicato in esame richiama l'attenzione sul sermone pronunciato dall'imam Abd Al Barr Al Rawdi il 1o agosto 2014 presso la moschea di San Donà di Piave (VE), caratterizzato da toni particolarmente aggressivi e da forti contenuti antisemiti e incitanti alla violenza.
  L'Amministrazione dell'interno segue attentamente fenomeni di questo genere, monitorando situazioni estreme e attuando mirati interventi info-investigativi.
  In particolare, l'azione preventiva antiterrorismo è svolta dalla direzione centrale della polizia di prevenzione, che si avvale sia dei tradizionali sensori (quali risorse fiduciarie, contatti con le comunità musulmane di riferimento, intercettazioni preventive) che delle opportunità offerte dalle tecnologie applicate alla comunicazione (canali di condivisione su
Internet di video gestiti da predicatori o gruppi radicali, social network eccetera), focalizzando l'attenzione investigativa sulle attività connesse ai luoghi di aggregazione religiosa sospettati di contiguità con i movimenti estremisti islamici e di vicinanza a posizioni radicali.
  Nello specifico, la vicenda a cui fa riferimento l'interrogante ha avuto un ampio risalto sia sulla stampa locale che nazionale, anche perché la predica dell'imam è stata diffusa attraverso un video su
internet. Sulla base di quanto accertato, l'autore della predica, peraltro già conosciuto alle forze dell'ordine per le sue idee fondamentaliste, è stato deferito alla locale autorità giudiziaria per i reati di cui agli articoli 414 del codice penale (istigazione a delinquere) e 1 della legge n. 205 del 1993 (cosiddetta legge Mancino sulle discriminazioni razziali, etniche o religiose).
  Non appena ottenuto il nulla osta dall'autorità giudiziaria, all'imam è stato immediatamente notificato il provvedimento di espulsione dal territorio nazionale, emesso dal Ministro dell'interno con proprio decreto del 5 agosto 2014.
  Si rappresenta, inoltre, che sono in corso approfondimenti del contesto culturale islamico, nella zona di San Donà di Piave, al fine di prevenire l'insorgenza di altri fenomeni legati al radicalismo religioso conflittuale.
  Si ribadisce, infine, che l'attenzione di questo Ministero verso i luoghi di culto tradizionalmente più sensibili al messaggio estremista è alta. Essa, tuttavia, non è frutto di alcun pregiudizio ideologico, né trae origine da una sorta di pericolosità presunta e aprioristica, che prescinda da concreti elementi investigativi.
  In effetti, quando sono stati adottati provvedimenti di allontanamento degli imam più oltranzisti dal territorio nazionale è perché erano stati individuati come i principali responsabili di pericolosi processi di radicalizzazione o come agenti infiltrati dell'estremismo islamista.
  L'inopportunità di posizioni preconcette è dimostrata anche dall'atteggiamento collaborativo della grande maggioranza degli imam. La loro disponibilità e la loro apertura al dialogo rappresentano un dato di estrema importanza che può sostenere, in una chiave di moderazione, il percorso di integrazione delle comunità musulmane e favorirne condizioni migliori di accettazione e di convivenza nell'ambito delle realtà locali di riferimento.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella relazione sull'amministrazione della giustizia per l'anno giudiziario 2012-2013 pubblicata a gennaio 2014, in riferimento alla Liguria, emerge come sia «particolarmente notevole e preoccupante l'incremento del numero dei furti nella abitazioni» che passano da 2.750 nello scorso anno a 3.254. Allo stesso modo è aumentato il numero delle rapine (da 622 a 745 unità), degli omicidi volontari (da 21 a 38), dei reati di stalking (da 487 a 523), dei reati tributari (da 1.026 a 1.113), delle frodi informatiche (da 211 a 261) nonché dei reati per traffico illecito dei rifiuti (da 596 a 758). Viene inoltre segnalato, fra altri, il caso del processo alla ’ndrangheta di Ventimiglia, apertosi a dicembre dello scorso anno e che dovrà valutare gli elementi di prova nei confronti di 36 imputati, tra i quali spiccano Giuseppe Marciano (indiscusso boss ventimigliese secondo gli investigatori), l'ex sindaco Gaetano Scullino e il city manager Marco Prestileo;
   martedì 4 marzo 2014 esce un articolo su il Secolo XIX intitolato «Scure sulla polizia, il piano: in 4 anni via 22 mila agenti». Nel testo si dà notizia che tramite una e-mail trasmessa sabato 1° marzo a tutte le questure e alle prefetture d'Italia dall'ufficio ordine pubblico del ministero dell'interno, si «prevede la soppressione di 227 uffici della polizia di Stato». Il giornalista scrive ancora che «secondo alcune indiscrezioni l'organico della polizia attualmente assestato su 95 mila unità, dovrebbe scendere a 73 mila»;
   una delle regioni più penalizzate è la Liguria, è lo stesso segretario del Coisp Matteo Bianchi a dichiarato. Secondo quanto riportato dall'articolo si apprende che il cosiddetto «piano di razionalizzazione» mette a rischio oltre 20 presidi;
   in totale a Genova verrebbero soppressi 3 uffici: il posto di polizia ferroviaria di Chiavari e di Ronco Scrivia, la squadra nautica di Genova;
   a Savona verrebbero soppressi 7 uffici: il Commissariato e distaccamento nautico di Alassio, il distaccamento di polizia stradale di Finale Ligure, la sezione di polizia postale, la squadra nautica di frontiera marittima di Savona, il nucleo artificieri uff. front. Savona;
   a la Spezia verrebbero soppressi 5 uffici: il posto di polizia ferroviaria di Sarzana, la sezione di polizia postale e nucleo artificieri frontiera della Spezia, l'ufficio di frontiera marittima e squadra nautica. Il «piano di razionalizzazione» del Viminale prevede anche molti accorpamenti e declassamenti di uffici che dovrebbero toccare un po’ tutte le province;
   la situazione più grave si verifica nel ponente ligure territorio dove sono presenti alcune famiglie legate alla criminalità organizzata. In questa zona due comuni sono stati sciolti per mafia: Bordighera (2011) e Ventimiglia (2012);
   a Imperia verrebbero soppressi: la polizia e squadra nautica di Imperia, il distaccamento polizia stradale di Sanremo il settore di polizia di frontiera terrestre di Ventimiglia verrebbe accorpato al commissariato di PS con attribuzioni di frontiera;
   verrebbe inoltre chiusa la Polposte di Oneglia e Sanremo, che negli ultimi anni ha svolto un'importante azione investigativa, ed è diventata punto di riferimento «nel quadro delle inchieste della Dda di Genova contro la ’ndrangheta del ponente ligure», si legge sulle pagine del Secolo XIX di Imperia del 1° marzo 2014 –:
   a fronte dei tagli annunciati come intenda garantire un adeguato presidio del territorio. (4-03924)

  Risposta. — La questione segnalata dall'interrogante, relativa alla soppressione di alcuni uffici di polizia in varie zone del territorio ligure, è legata ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai princìpi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Il provvedimento non intacca l'impianto della legge n. 121 del 1981, imperniato sul necessario pluralismo delle forze di polizia e sulle funzioni di coordinamento a livello centrale come anche sul territorio. Sì è consapevoli, d'altra parte, che la valorizzazione del coordinamento è pienamente funzionale al processo di
spending review, consentendo di realizzare più agevolmente il duplice obiettivo di incrementare l'efficienza del sistema e di ridurre gli sprechi grazie al moltiplicarsi delle sinergie operative.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subìto notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa delle dichiarazioni del dirigente sindacale dell'Ugl polizia del Friuli Venezia Giulia, Raffaele Padrone, che denuncia i continui tagli delle risorse alla sicurezza per combattere la criminalità che diventa sempre più minacciosa e strutturata anche rispetto all'innovazione tecnologica;
   a Pordenone verranno chiusi due presidi di polizia – posto Polfer di Casarsa della Delizia e la sezione della polizia postale di Pordenone – a seguito del progetto messo in atto dal Ministero dell'interno e dal dipartimento della pubblica sicurezza sulla razionalizzazione delle risorse e dei presidi della polizia di Stato, che prevede la chiusura di 261 uffici sul territorio nazionale, di cui 2 in provincia di Pordenone per un totale di 12 in Friuli Venezia Giulia, una situazione questa che mina seriamente il diritto dei cittadini alla sicurezza;
   si denunciano le problematiche legate alla situazione del sovraffollamento delle carceri. Su questo tema – dichiara Raffaele Padrone – vengono gravemente trascurate le condizioni lavorative degli operatori della polizia penitenziaria, sottoposti ad un quotidiano stress che spesso li porta al suicidio, già 6 i casi nei primi mesi del 2014. A riguardo, Non sembra di certo una soluzione al sovraffollamento rimettere in libertà circa diecimila detenuti, anziché costruire nuovi carceri;
   ed ancora, aspre critiche vengono rivolte all'operazione Mare Nostrum, promossa nell'ottobre dello scorso anno dal Ministro dell'interno, Angelino Alfano, per la quale l'Italia spende 9,5 milioni di euro per l'accoglienza dei clandestini, pari a 114 milioni all'anno e a fronte di tali costi, l'Europa contribuisce con soli 9 milioni di euro per l'intero anno. Meno di un dodicesimo della spesa effettiva. Inoltre, rispetto a tale operazione si denunciano le precarie condizioni igieniche sanitarie in cui sono costretti a lavorare gli operatori delle forze dell'ordine, denunciate più volte dall'Ugl polizia. Ben 5 agenti sono risultati positivi al test della tubercolosi e ciò era prevedibile visto che a Pordenone, anche durante l'ultimo arrivo di 34 clandestini, gli agenti hanno vigilato su di loro provvisti solo di guanti e mascherina;
   l'Ugl polizia del Friuli Venezia Giulia denuncia quindi un grave indebolimento della sicurezza, che mette in serio rischio non solo la tutela dei cittadini ma determina altresì condizioni lavorative inaccettabili per i lavoratori della polizia di Stato;
   si evidenzia inoltre che tra tutti i 28 Paesi membri dell'Europa, l'Italia per quanto riguarda il comparto sicurezza si distingue poiché investe poco in tecnologia e nell'incremento della presenza sul territorio, di uomini e donne delle forze dell'ordine –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se e quali necessarie ed urgenti misure ritenga di adottare per far fronte alla grave situazione del comparto sicurezza che viene denunciata in premessa.
(4-05435)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Commissario per la spending review, le cui funzioni sono state potenziate dal decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013 n. 98, può promuovere un riordino di carattere strutturale della spesa, superando il principio dei tagli lineari dettati dalle situazioni di emergenza, introducendo criteri permanenti di gestione della spesa basati su costi e fabbisogni standard;
   in data 23 ottobre 2013, Carlo Cottarelli, è stato nominato Commissario straordinario per la spending review;
   nei giorni tra il 16 ed il 23 marzo 2014, autorevoli quotidiani hanno riportato la notizia che, nella proposta per la revisione della spesa pubblica per gli anni 2014-2016, è previsto un taglio per le forze di polizia pari – rispettivamente per gli anni 2015 e 2016 – a 0,8 e 1,7 miliardi di euro;
   tale proposta prevede la chiusura di 300 presidi, la centrale unica per gli acquisti, la disdetta dei contratti di affitto e il trasferimento negli immobili demaniali, l'eliminazione delle auto blu;
   la relazione contiene, altresì, grafici e tabelle per dimostrare il risparmio ottenuto negli ultimi anni e il limite da non oltrepassare «senza incorrere nel rischio di intaccare ulteriormente la funzionalità e l'operatività degli apparati già sensibilmente messi in crisi dalle riduzioni degli ultimi tempi» come dichiarato dal capo della polizia, prefetto Alessandro Pansa, nell'articolo comparso il 22 marzo 2014 sul Corriere della Sera;
   il piano di riduzione delle spese per la Polizia, come riportato nel «Progetto di rimodulazione dei presidi della Polizia di Stato» del dipartimento P.S., prevede complessivamente sul territorio nazionale la chiusura di: 11 commissariati e 2 da trasferire presso altre strutture; 29 presidi e la conseguente riorganizzazione di 7 presidi della stradale; 73 presidi della ferroviaria e la conseguente riorganizzazione di 33, nonché l'istituzione di 16 nuovi presidi; 73 presidi della postale; 12 presidi della polizia di frontiera, con la conseguente riorganizzazione di 16 presidi; 68 unità speciali (50 squadre nautiche, 4 squadre sommozzatori, 11 squadre a cavallo, 3 nuclei artificieri);
   a quanto è dato sapere, nel prossimo biennio, le forze dell'ordine complessivamente perderanno 22.000 uomini (scendendo da 260.000 a 238.000);
   molte sono le preoccupazioni degli operatori delle forze di polizia in ordine ai blocchi stipendiali effettuati, alla difficile situazione nella quale sono chiamati a lavorare quotidianamente e per la paventata diminuzione dell'organico, nel prossimo biennio, che comporterà ulteriori difficoltà nel coprire adeguatamente i turni di servizio, soprattutto a causa della recrudescenza di alcuni reati;
   la legislazione, secondo l'interrogante «schizofrenica», alla quale assistiamo, come il provvedimento cosiddetto «Svuotacarceri» fa sì, come recentemente accaduto e reso noto in un comunicato stampa dell'UGL Polizia di Stato, che l'autorità giudiziaria competente – non potendo inviare presso il locale istituto di pena alcuni immigrati che abusivamente chiedevano soldi ai parcheggi – inviti i poliziotti a procedere a denunce a piede libero;
   il 17 luglio 2014 è stato dato ampio risalto agli esiti dell'incontro fra le organizzazioni sindacali di polizia ed il questore di Roma, Massimo Maria Mazza, il quale ha annunciato un piano per far fronte alle esigenze dei mesi estivi nella capitale;
   tale provvedimento prevede che alcuni commissariati, rispetto a quelli attualmente in servizio 24 ore, restino chiusi di notte e nei festivi, al fine di far fronte alle esigenze di personale da schierare in campo nell'ordine pubblico (manifestazioni ed eventi sportivi) e per rinforzare il reparto scorte;
   nella stessa data sono stati resi pubblici alcuni dati, alla luce dei quali è stata messa in discussione l'opportunità del predetto piano, infatti a Roma e provincia, solo nel 2013, i furti in abitazione sono stati 15.777 con un +3.3 per cento rispetto al 2012 (15.272) e un +7.9 per cento nell'ultimo triennio –:
   quali siano gli accertamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se il Ministro non ritenga opportuno porre in essere una verifica di quali misure sono state predisposte per la sicurezza dei cittadini di Roma, che continuano a veder crescere quotidianamente la propria percezione di pericolo di fronte all'assenza di un numero adeguato di forze dell'ordine sul territorio;
   se non intenda adottare provvedimenti al fine di rivedere nel complesso il «Progetto di rimodulazione dei presidi della Polizia di Stato» con particolare riferimento a Roma, per garantire ai cittadini romani una maggiore sicurezza.
(4-05650)

  Risposta. — Le questioni segnalate dall'interrogante nelle due interrogazioni indicate in oggetto attengono ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi non ancora definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Il provvedimento non intacca l'impianto della legge n. 121 del 1981, imperniato sul necessario pluralismo delle forze di polizia e sulle funzioni di coordinamento a livello centrale come anche sul territorio. Si è consapevoli, d'altra parte, che la valorizzazione del coordinamento è pienamente funzionale al processo di spending review, consentendo di realizzare più agevolmente il duplice obiettivo di incrementare l'efficienza del sistema e di ridurre gli sprechi grazie al moltiplicarsi delle sinergie operative.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito, va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   SARTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'unico organo che contrasta i reati in rete, come pedofilia, cyber bullismo e frodi informatiche è attualmente la polizia postale;
   nella provincia di Rimini i reati informatici aumentano di circa il 20 per cento all'anno; di tale tipologia di reato, dal 2007, se ne occupa esclusivamente la sezione polizia postale e delle comunicazioni di Rimini; secondo il piano nazionale di riorganizzazione presentato dal vicecapo della polizia, Alessandro Marangoni, è prevista la chiusura di 73 sezioni provinciali della polizia postale tra cui quella riminese (oltre alla cancellazione delle squadre nautiche, di una ventina di presidi della Statale e di una trentina della Polfer); la ratio di tale taglio sarebbe la razionalizzazione delle risorse umane;
   tale eliminazione comporta un danno lasciando i cittadini completamente scoperti di tutela per i reati informatici, oggi sempre più diffusi e in crescita; solo la sezione di Rimini nell'ultimo biennio ha ricevuto 750 denunce, arrestato 9 delinquenti, denunciato 170 persone in stato di libertà, ha svolto 170 operazioni delegate dall'autorità giudiziaria e ricevuto oltre 500 richieste di collaborazione da parte di altre forze di polizia, garantendo in totale 390 pattuglie in servizio di controllo del territorio;
   le organizzazioni sindacali hanno immediatamente espresso la loro preoccupazione in merito al venir meno della Postale riminese, la cui azione, come per ogni polizia postale, in applicazione della legge n. 269 del 1998, ha competenza esclusiva sulle attività riguardanti la prostituzione minorile e la pornografia minorile è stata determinante nella persecuzione di reati quali la frode e la pedofilia;
   si aggiunge che la polizia postale non comporta alcun costo a carico dei contribuenti essendo totalmente a carico di Poste italiane che ha provveduto di recente a ristrutturarne la sede fornendola di tutte le apparecchiature elettroniche per svolgerne la specifica attività di polizia a cui è preposta; anche per quanto attiene ai consumi per le utenze aperte presso tale ufficio sono interamente a carico di Poste italiane; tale servizio a Rimini costa zero allo Stato e conseguentemente alla collettività. Al contrario viene negato così facendo un importantissimo servizio per i cittadini, in particolare la polizia postale non potrà dare il proprio apporto nelle scuole: non verranno più effettuati programmi di formazione relativi all'uso sicuro del web (ricordiamo che ad oggi la maggior parte dei reati informatici riguardano i minori);
   sebbene con la presente interrogazione si dia maggiore attenzione alla situazione di Rimini la chiusura delle sezioni di polizia postale fa parte/rientra in un piano di riordino e taglio degli stipendi che colpisce diversi presidi: chiusura di undici commissariati; la soppressione di due compartimenti e 27 presidi della Stradale; saranno chiuse due zone di frontiera e 10 presidi minori; saranno soppresse tutte le 50 squadre nautiche, quattro sezioni di sommozzatori, undici squadre a cavallo e perfino quattro nuclei artificieri. È in corso anche la riduzione delle scuole di formazione –:
   se il Ministro non ritenga necessario rivedere il piano di riordino delle forze di polizia ponendosi l'obiettivo di innalzare il livello di sicurezza su tutto il territorio nazionale;
   se intenda precisare in seguito ai tagli effettuati con quali forze e strumenti verrà garantito il territorio e la sicurezza dei cittadini in quei luoghi nei quali verranno soppressi i presidi. (4-04119)

  Risposta. — Le questioni segnalate dall'interrogante relative alla chiusura di alcuni presidi della Polizia di Stato nella provincia di Rimini e più in generale nel territorio nazionale, sono legate ad un piano di razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine sul territorio, sottoposto nei primi mesi dello scorso anno al parere delle autorità provinciali di pubblica sicurezza, ma a tutt'oggi ancora non definito, essendo sopravvenuto una circostanza pregiudiziale, cioè la presentazione da parte del Governo di un disegno di legge sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, contenente alcune importanti indicazioni proprio in tema di riorganizzazione del sistema della sicurezza.
  Con tale provvedimento normativo l'Esecutivo ha indicato al Parlamento, rimettendosi alle sue valutazioni, un indirizzo di fondo che persegue lo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni dispersive e di favorire la gestione associata dei servizi strumentali, in adesione ai principi di efficienza della spesa pubblica.
  Un ulteriore criterio direttivo individuato dal disegno di legge, più settoriale, è legato, invece, al tema della sicurezza ambientale agroalimentare, per il quale è prevista la possibilità anche di un'eventuale confluenza del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia.
  Il provvedimento non intacca l'impianto della legge n. 121 del 1981, imperniato sul necessario pluralismo delle forze di polizia e sulle funzioni di coordinamento a livello centrale come anche sul territorio. Si è consapevoli, d'altra parte, che la valorizzazione del coordinamento è pienamente funzionale al processo di spending review, consentendo di realizzare più agevolmente il duplice obiettivo di incrementare l'efficienza del sistema e di ridurre gli sprechi grazie al moltiplicarsi delle sinergie operative.
  Il disegno di legge è attualmente all'esame del Parlamento. Solo quando il legislatore ne avrà puntualizzato i contenuti, il Governo potrà procedere alla definizione del piano di razionalizzazione.
  Si può affermare fin d'ora che gli interventi ipotizzati nel piano saranno dettati da esclusive esigenze di efficientamento, senza che ne venga a soffrire la qualità del prodotto sicurezza, che, semmai, verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze del Paese, in una logica di effettiva prossimità al cittadino.
  L'idea di fondo è quella di dar vita a una nuova pianificazione strategica che tenga conto di oggettivi e rigorosi indicatori di contesto, tali da restituire la più fedele immagine del territorio, della sua realtà socio-economica e dei fenomeni delittuosi che la connotano.
  A tale riguardo va sottolineato che in alcuni settori più di altri – come quello delle telecomunicazione, dell'informatica, e dei trasporti – il mutamento tecnologico e infrastrutturale del Paese è stato molto rapido, con caratteri di sostenuta innovazione. Tuttavia, la ridefinizione degli assetti strutturali e funzionali della Polizia di Stato, con riferimento soprattutto alle sue specialità, non è sempre andata di pari passo con tale processo, con la conseguenza di un rischio di arretramento della risposta rispetto alle nuove minacce alla sicurezza che si sono venute affermando.
  Sotto altro profilo, occorre considerare il peso sempre maggiore che ha finito con l'assumere la percezione della sicurezza e l'esigenza di conferirle un più adeguato rilievo anche in sede di pianificazione e organizzazione dei servizi di controllo del territorio. Ciò nel presupposto, maturato anche alla luce delle esperienze di altri Paesi occidentali, che la sicurezza percepita sia indissolubilmente legata alla visibilità e alla capacità di intervento dell'operatore di polizia piuttosto che alla mera presenza di strutture.
  Sulla scorta di tali elementi di valutazione, il progetto di riorganizzazione potrà articolarsi in linea di massima su due linee direttrici fondamentali.
  La prima, da concertare con il Comando generale dell'Arma dei Carabinieri, sarà fondata su un criterio di compensazione tra le due forze a competenza generale nel presidio del territorio. L'obiettivo primario concerne nella sostanza il migliore impiego delle risorse umane in aree in cui le carenze di organico dei due Corpi di polizia e i mutati scenari della sicurezza suggeriscono una diversa e più razionale distribuzione del personale, rendendo così possibile il recupero di aliquote da destinare a compiti operativi.
  La seconda direttrice riguarderà, invece, la razionalizzazione dei presìdi delle quattro specialità di base della Polizia di Stato (stradale, ferroviaria, postale e di frontiera) e dei reparti speciali (squadre nautiche, squadre dei sommozzatori, squadre a cavallo e nuclei artificieri).
  A tal proposito va sottolineato che la Polizia postale ha ormai assunto compiti aventi spiccate connotazioni di alta specializzazione tecnologica, orientati alla tutela delle infrastrutture immateriali e, in particolare, al contrasto del crimine informatico nelle sue più variegate forme.
  L'organizzazione attuale, concepita quando l'attività era essenzialmente quella di scorta alla corrispondenza e di vigilanza agli uffici postali, va dunque adeguata alle nuove esigenze. Il territorio con cui oggi si confronta la Polizia postale è la rete, un luogo virtuale che richiede professionalità e risorse tecniche diverse da prima, ma che postula soprattutto un'organizzazione completamente nuova, in grado di privilegiare il rapporto con gli uffici giudiziari competenti per i reati informatici.
  Sul versante estero è di fondamentale importanza privilegiare le aree, come il continente americano e alcuni Paesi d'Oriente, nelle quali si concentrano i maggiori flussi di traffico digitale.
  Va anche considerato che l'informatica e i sistemi di comunicazione sono, infatti, diventati gli strumenti di uso abituale delle associazioni criminali di tipo mafioso e di tipo terroristico e il loro contrasto, nella logica di corrispondere simmetricamente alla minaccia, richiede l'adeguamento costante delle strumentazioni in dotazione alle forze dell'ordine.
  Anche la Polizia stradale e quella ferroviaria saranno interessate da un processo di innovazione, perché dagli anni novanta ad oggi i volumi di traffico sono notevolmente aumentati così come le direttrici principali hanno subito notevoli cambiamenti.
  In ragione di queste trasformazioni, gli interventi allo studio – dopo oltre venticinque anni dall'ultimo processo di riorganizzazione – avranno l'obiettivo di potenziare la presenza degli operatori di Polizia stradale in particolare lungo le arterie viarie più importanti.
  Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alla sicurezza dei traffici ferroviari, la cui fisionomia è venuta fortemente a evolversi in ragione di molteplici fattori di cambiamento, a cominciare dallo sviluppo dell'alta velocità per arrivare alla separazione della rete di traffico dai gestori di servizio e alla trasformazione delle grandi stazioni, divenute da semplici luoghi di transito punti di incontro e di allocazione di attività commerciali. È del tutto evidente come sia necessario ripensare all'organizzazione della Polizia ferroviaria disegnandone i contorni alla luce del predetto mutato scenario.
  Per quanto riguarda la Polizia di frontiera, un criterio direttivo per gli interventi di razionalizzazione che potranno interessare i presìdi di frontiera marittima e aerea è strettamente collegato all'abolizione dei controlli alle frontiere interne, in attuazione dell'accordo Schengen.
  Il piano di razionalizzazione riguarderà anche i presìdi relativi ai reparti speciali a carattere sussidiario.
  L'opera di riordino seguirà un criterio basato sulla valorizzazione delle specifiche vocazioni delle singole forze di polizia e sulla salvaguardia delle professionalità più consolidate nei vari settori.
  Nel complesso è possibile affermare che attraverso l'insieme degli interventi di ottimizzazione ipotizzati per le specialità e i reparti speciali sarà possibile recuperare risorse per compiti prettamente operativi, a beneficio di un miglioramento complessivo dei servizi e dell'azione di polizia.
  In conclusione, il piano di riorganizzazione – che, si ribadisce, è attualmente allo studio e terrà conto dell'approdo che avrà il dibattito parlamentare sul disegno di legge relativo alle pubbliche amministrazioni – risponde esclusivamente a una logica di costante miglioramento organizzativo, senza perdere di vista, tuttavia, le esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   TOFALO e DE LORENZIS. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 della Costituzione italiana pone tra i principi fondamentali lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica e la tutela e la salvaguardia del patrimonio storico, artistico e ambientale;
   il patrimonio artistico italiano è in larga parte presso i privati e non adeguatamente tutelato;
   ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 42 del 2004, oltre ai proprietari, l'obbligo di eseguire le opere necessarie alla conservazione del bene sottoposto a tutela, incombe anche sull'Ente territoriale ove lo stesso è ubicato, che però sino ad oggi ha avuto difficoltà ad adottare provvedimenti per salvaguardare il valore storico-artistico dei nostri patrimoni incurati;
   si precisa nell'articolo 32, del decreto legge n. 42 del 2004 che qualora l'Ente territoriale o proprietari non ottemperano alla diffida per la esecuzione delle opere necessarie alla conservazione del bene, tali opere devono essere eseguite dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo –:
   se si vogliano assumere iniziative normative per regolamentare meglio la compravendita dei patrimoni artistico culturali in modo che sia obbligatoriamente prevista in primis la cura del bene e poi la cessione dello stesso;
   quali azioni il Ministro intenda porre in essere in merito a questo problema. (4-07206)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogante in esame, con il quale l'interrogante chiede se il Ministro interrogato voglia assumere iniziative normative per regolamentare meglio la compravendita dei patrimoni artistico-culturali in modo che sia obbligatoriamente prevista in primis la cura del bene e poi la cessione dello stesso, e quali azioni intenda porre in essere in merito al suddetto problema.
  Al riguardo, occorre osservare preliminarmente che l'atto di sindacato ispettivo in esame dà luogo all'individuazione di due ambiti di riflessione, entrambi regolamentati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio secondo criteri tesi a garantire la tutela e la fruizione del patrimonio culturale.
  Fermo restando l'obbligo, che incombe sullo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali, nonché su ogni altro ente pubblico, di assicurare la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza, il primo degli ambiti, individuato anche dall'interrogante, riguarda gli interventi conservativi su beni dichiarati di interesse culturale e appartenenti a soggetti privati, regolamentati dal codice di settore agli articoli che vanno dal 30 al 38. In particolare, l'articolo 32 esamina il caso di interventi conservativi imposti al proprietario, possessore o detentore da parte del competente ufficio territoriale. I successivi articoli 33 e 34 individuano le procedure di esecuzione degli interventi conservativi imposti e l'articolo 35 stabilisce la misura di partecipazione alla spesa sostenuta dal soggetto proprietario, possessore o detentore, spesa alla quale il Ministero ha facoltà di concorrere fino al suo intero ammontare qualora gli interventi siano di particolare rilevanza o riguardino beni in uso o godimento pubblico. Qualora il privato non ottemperi a quanto imposto dal Ministero, o non vi provveda in caso d'urgenza, l'amministrazione procede all'esecuzione diretta degli interventi conservativi sul bene culturale. L'articolo 38, infine, dispone che i beni culturali restaurati o sottoposti ad altri interventi conservativi con il concorso totale o parziale dello Stato nella spesa, sono resi accessibili al pubblico secondo modalità fissate in apposti accordi sottoscritti con i singoli proprietari.
  Il secondo ambito, richiamato dall'interrogazione parlamentare, riguarda l'aspetto della compravendita di beni culturali dichiarati di proprietà privata. Al riguardo, il codice di settore individua, negli articoli 59, 60, 61 e 62, la fattispecie dell'acquisizione coattiva da parte dello Stato, allorquando eserciti il diritto di prelazione, e declina le modalità di esercizio del citato diritto.
  Dal quadro normativo sopra richiamato, si ricava che non necessariamente le azioni descritte, relative in un caso all'imposizione di obblighi conservativi sul bene, nell'altro all'esercizio del diritto di prelazione in occasione dell'alienazione di un bene culturale, sono correlate, in quanto le stesse attengono a due distinte modalità di tutela: l'onere conservativo fa capo al privato e solo se si riscontra una sua inadempienza il Ministero, in casi di somma urgenza e laddove sia pregiudicata la sopravvivenza del bene, può intervenire a sue spese per finanziare l'intervento, mentre la facoltà di acquisire coattivamente un bene può e deve prescindere dalla valutazione del suo stato conservativo, ed è finalizzata ad assicurare un principio di preferenza per la titolarità pubblica del bene culturale in quanto più adatta ad assicurare la migliore tutela e la maggiore fruizione pubblica del bene culturale.
  Più in generale, sembra di potersi osservare, riguardo alle preoccupazioni manifestate dall'interrogante, che la strumentazione normativa offerta dal Codice, e sopra sinteticamente richiamata, appare in linea di principio adeguata; il nodo è rappresentato dalla limitatezza delle risorse, pubbliche e private, indirizzate alla tutela. Ma rispetto a tale nodo, come è noto, questo Ministero è impegnato ad invertire il pluriennale trend di riduzione che ha colpito tali risorse sta iniziando a conseguire importanti risultati.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.