XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
sono numerose le segnalazioni degli utenti che lamentano l'invio di bollette incongrue, dagli importi esagerati imputati a sostanziosi conguagli, da parte delle società venditrici di energia;
secondo le associazioni dei consumatori sarebbero state commesse gravi violazioni del codice del consumo nella fatturazione di tali bollette a causa di conteggi errati, con l'addebito di consumi stimati, ma non effettivi, e di errori di valutazione e verifica, determinati da sistemi di calcolo imprecisi e poco trasparenti;
a fronte del gran numero di reclami ricevuti, il 13 luglio 2015 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha annunciato di aver avviato quattro procedimenti istruttori nei confronti delle società Acea Energia, Edison Energia, Enel Energia, Enel Servizio Elettrico ed Eni, con l'obiettivo di accertare eventuali violazioni in merito a specifiche condotte degli operatori: la fatturazione basata su consumi presunti; la mancata considerazione delle autoletture; la fatturazione a conguaglio di importi significativi, anche a seguito di conguagli pluriennali; la mancata registrazione dei pagamenti effettuati, con conseguente messa in mora dei clienti fino talvolta al distacco; il mancato rimborso dei crediti maturati dai consumatori;
sul tema della fatturazione dei consumi, la normativa comunitaria (direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE, 2012/27/CE) assegna primaria importanza all'accesso ai dati di consumo oggettivi e trasparenti e alla relativa consapevolezza dei clienti finali, i quali hanno il diritto di essere adeguatamente informati sul livello di consumo effettivo di energia elettrica e gas;
è da tempo in corso in Italia un'ampia riflessione sui meccanismi a tutela dei consumatori finali di energia: con il decreto legislativo n. 102 del 2014 in materia di efficienza energetica sono state emanate disposizioni riguardanti la trasparenza e la fatturazione dei consumi effettivi; l'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico ha introdotto con recenti delibere alcuni strumenti informativi a vantaggio dei consumatori e le proposte emendative finora approvate nel corso dell'esame alla Camera presso le Commissioni in sede referente del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza denotano una prioritaria attenzione al consumatore domestico;
l'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico, inoltre, consapevole delle diverse problematiche ancora esistenti in materia di fatturazione e dopo aver condotto un'indagine conoscitiva da cui è emerso che le bollette basate su consumi effettivi rappresentano il 75 per cento nel settore elettrico (pur se il 98 per cento dei clienti è in possesso di un contatore elettronico telegestito), ma soltanto l'8,5 per cento nel gas (per il quale è recente l'utilizzo dei contatori telegestiti), ha presentato diverse proposte attraverso un nuovo documento «Fatturazione nel mercato retail» 405/2015/R/COM, disponibile per la consultazione pubblica sul sito dell'Autorità fino al 30 settembre 2015;
le proposte dell'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico riguardano tutti i piccoli clienti, sia in tutela sia nel mercato libero, e sono volte ad incrementare la consapevolezza dei propri consumi e la certezza di tempi e modalità di rilevazione, in particolare attraverso:
a) l'aumento della periodicità della fatturazione, con una frequenza coerente con il periodo dei consumi, pena il pagamento di un indennizzo automatico a favore del cliente;
b) un obbligo minimo di rilevazione quadrimestrale dei dati che renderà più veritiere le letture in caso di contatori elettrici non telegestiti;
c) il divieto di invio di fatture miste (che includono consumi effettivi e stimati) a oltre il 40 per cento dei clienti serviti dal venditore, così come il divieto di emettere questo tipo di fattura per i clienti che hanno scelto la fatturazione mensile;
d) la garanzia, in mancanza di dati riguardanti i consumi effettivi o in situazioni di cambio fornitore, che il cliente possa effettuare l'autolettura, con uno o più canali e tempi utili per comunicarla;
e) una migliore regolamentazione delle fatture di chiusura di rapporti contrattuali (cambio fornitore, voltura o disattivazione) delle utenze luce o gas, anche prevedendo indennizzi automatici a favore del cliente in caso di ritardi;
per garantire la tutela dei consumatori, il sistema sanzionatorio, la cui competenza è in capo all'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico, è stato recentemente rafforzato con la legge 29 luglio 2015, n. 115 «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2014», che ha aumentato il livello massimo applicabile fino al 10 per cento del fatturato dell'impresa, eliminando quindi il preesistente tetto al valore assoluto della sanzione stessa;
è necessario proseguire nell'azione a difesa dei consumatori, nell'ambito delle modifiche che si stanno delineando al quadro normativo e regolatorio di riferimento per i clienti domestici,
impegna il Governo:
a favorire, per quanto di competenza, nel caso in cui l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ravvisasse comportamenti illegittimi da parte dei gestori dei servizi, che venga assicurato il diritto degli utenti a non effettuare il pagamento per conguagli considerati errati ovvero a ricevere tempestivamente il rimborso delle somme eventualmente già versate ma non dovute;
a promuovere l'emanazione di più congrue modalità e tempistiche di fatturazione e conguaglio, anche tenendo conto delle innovazioni tecnologiche (contatori e reti intelligenti, elettrotecnologie, domotica), che siano volte a ridurre, a vantaggio del cliente finale, i casi di fatture con consumi sottostimati cui facciano seguito conguagli di importo elevato, così come i casi di fatture con consumi sovrastimati rispetto ai consumi effettivi e, prospetticamente, l'entità dei conguagli e il numero dei reclami presentati;
a garantire un capillare monitoraggio dei mercati retail del gas e dell'energia elettrica verso la piena liberalizzazione, da cui discenda una gestione efficiente ed efficace dei processi commerciali che coinvolgono il venditore e il cliente finale e, successivamente, dei flussi informativi inerenti ai dati di misura;
ad assumere ogni iniziativa utile alla rapida diffusione di parametri finalizzati all'individuazione delle anomalie negli importi delle fatture e le modalità e procedure per la corretta gestione delle stesse, al fine di aumentare il grado di trasparenza dei mercati coinvolti e rafforzare i meccanismi a tutela dei consumatori;
a prevedere iniziative normative, coordinate con i procedimenti in corso sia in sede governativa, sia in sede parlamentare, al fine di assicurare maggiore certezza dei tempi entro i quali un utente-consumatore può essere chiamato a sostenere spese per conguagli concernenti consumi precedenti la data di fatturazione.
(1-00996) «Benamati, Becattini, Martella, Arlotti, Bargero, Cani, Camani, Donati, Folino, Ginefra, Impegno, Montroni, Peluffo, Scuvera, Senaldi, Taranto».
La Camera,
premesso che:
con la sentenza n. 178 del 24 giugno 2015 la Corte costituzionale ha giudicato illegittimo il blocco dei contratti dei dipendenti pubblici, con efficacia ex nunc – e, dunque, non per gli anni passati 2010-2015 – chiedendo, di fatto, di rivedere gli stipendi della pubblica amministrazione a decorrere dal 2016;
il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, cosiddetto «decreto anti-crisi» aveva difatti bloccato, per i dipendenti pubblici, e per il triennio 2010-2013, tutti gli aumenti retributivi, gli incentivi e gli scatti di anzianità, disponendo che le progressioni di carriera comunque denominate avessero effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici;
successivamente, l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha disposto che «al fine di assicurare il consolidamento delle misure di razionalizzazione e contenimento della spesa in materia di pubblico impiego (...) con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e dell'economia e delle finanze, può essere disposta (...) la proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni previste dalle disposizioni medesime (...)»;
a tal fine, con decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013, recante «Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti» è stata prevista la proroga al 31 dicembre 2014 delle misure di cui al citato decreto-legge n. 78 del 2010;
le finalità delle disposizioni contenute nel predetto decreto-legge n. 78 del 2010 – si ricorda – erano quella del contenimento della spesa pubblica, in linea con l'adozione di una politica di spending review, e, al contempo, quella di allineare i diversi trattamenti contrattuali del pubblico impiego, più alti a parità di ore lavorate dei corrispondenti trattamenti erogati nel settore privato;
secondo un recente studio della Cgia di Mestre, pubblicato nel mese di giugno 2015, sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici e di quelli privati, nonostante il blocco dal 2011 degli stipendi del settore pubblico, i dipendenti pubblici guadagnano circa 2 mila euro annui in più rispetto ai lavoratori del settore privato; per l'anno 2014 la Cgia di Mestre ha rilevato che la retribuzione annua media dei dipendenti pubblici è stata pari a 34.286 euro, a fronte dei 32.315 euro percepiti dai dipendenti privati;
si evidenzia, altresì, una diversa scelta operata nel dicembre 2011 sempre nell'ottica di contenere la spesa pubblica – vale a dire intervenire sulle pensioni invece che sul pubblico impiego – ha creato la piaga sociale dei cosiddetti esodati, lasciando ancora oggi, a distanza di cinque anni, circa 50.000 lavoratori senza alcuna copertura reddituale, né da lavoro, né da pensione, né da ammortizzatore,
impegna il Governo:
ad assumere opportune iniziative affinché il progressivo adeguamento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici interessati dal decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, e dalle successive proroghe, in attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 178 del 2015, sia affiancato ad un altrettanto progressivo aumento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti del settore privato, a parità di ore lavorate, mediante misure di defiscalizzazione e detassazione del costo del lavoro;
a garantire che all'onere derivante dall'attuazione della predetta sentenza della Corte costituzionale n. 178 del 2015 non si provveda con le risorse del fondo previsto dall'articolo 1, comma 235, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
(1-00997) «Fedriga, Simonetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».
La Camera,
premesso che:
nell'ambito del complessivo sforzo per la riduzione della spesa pubblica, l'articolo 9, commi 17-21, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, ha disposto il blocco della contrattazione nel pubblico impiego per il triennio 2010-2012. Il blocco opera nei seguenti termini: a) sospensione (senza possibilità di recupero) delle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012, fatta salva la sola erogazione di vacanza contrattuale; b) rideterminazione delle risorse previste per i rinnovi contrattuali per il personale statale, le quali comprendono anche gli oneri riflessi a carico delle amministrazioni; c) rideterminazione delle risorse anche da parte delle amministrazioni non statali per rinnovo contrattuale per l'anno 2011 e a partire dal successivo 2012;
inoltre, il comma 21 ha stabilito la non applicazione, per gli anni 2011, 2012 e 2013, al personale in regime di diritto pubblico dei meccanismi di adeguamento retributivo previsti dall'articolo 24 della legge n. 448 del 1998 ( adeguamento annuale di diritto, dal 1o gennaio 1998, delle voci retributive del personale richiamato in ragione degli incrementi medi, calcolati dall'Istat, conseguenti all'anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive) ancorché a titolo di acconto ed escludendo successivi recuperi;
da ultimo, l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha previsto la possibilità di prorogare al 31 dicembre 2014, con apposito regolamento, le vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici, anche accessori delle pubbliche amministrazioni, del personale delle pubbliche amministrazioni, prevedendo comunque la possibilità che, all'esito di apposite consultazioni con le confederazioni sindacali maggiormente rappresentative del pubblico impiego, l'ambito applicativo delle disposizioni in materia sia differenziato, in ragione dell'esigenza di valorizzare ed incentivare l'efficienza di determinati settori;
in attuazione della disposizione citata è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013, con il quale sono state prorogate a tutto il 2014 varie misure di contenimento delle spese di personale previste dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010. In particolare, sono state prorogate le disposizioni concernenti: a) il blocco dei trattamenti economici individuali; b) la riduzione delle indennità corrisposte ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri e l'individuazione del limite massimo per i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari di incarichi dirigenziali; c) il limite massimo e la riduzione dell'ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale; d) il blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo, classi e scatti di stipendio, nonché le progressioni di carriera, comunque denominate, del personale contrattualizzato ed in regime di diritto pubblico (ad esclusione dei magistrati); e) la sterilizzazione degli effetti economici della contrattazione collettiva per il biennio 2013-2014 (potendo incidere solamente sulla parte normativa) per il medesimo personale. Inoltre, non si dà luogo, senza possibilità di recupero, al riconoscimento degli incrementi contrattuali eventualmente previsti a decorrere dall'anno 2011; f) la proroga al 31 dicembre 2013, (quindi con effetto sul 2014) dei blocchi degli incrementi economici (introdotti dall'articolo 9, comma 23, del decreto-legge n. 78 del 2010) riguardanti il personale della scuola (docente, educativo ed amministrativo, tecnico e ausiliario); g) il blocco, facendo salva l'erogazione dell'indennità di vacanza contrattuale negli importi in atto (corrisposti ai sensi dell'articolo 9, comma 17, del decreto-legge n. 78 del 2010), per il biennio 2013-2014, degli incrementi di tale indennità, prevedendo, altresì, che essa, con riferimento al nuovo triennio contrattuale 2015-2017, venga calcolata, senza riassorbimento dei predetti importi, secondo le modalità ed i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti;
anche la legge di stabilità 2014 (n. 147 del 2013) ha introdotto delle disposizioni volte al contenimento della spesa del pubblico impiego, in particolare intervenendo in materia di trattamento accessorio del personale pubblico e fissando il limite massimo retributivo annuo del personale della pubblica amministrazione;
da ultimo, la legge di stabilità 2015 (n. 190 del 2014) è intervenuta in materia, stabilendo: a) la proroga fino al 31 dicembre 2015 del blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego, già previsto fino al 31 dicembre 2014 dall'articolo 9, comma 17, secondo periodo, del decreto-legge n. 78 del 2010, con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018; b) l'estensione fino al 2018 dell'efficacia della norma che prevede come l'indennità di vacanza contrattuale, da computare quale anticipazione dei benefici complessiva che saranno attribuiti all'atto del rinnovo contrattuale, debba essere quella in godimento al 31 dicembre 2013; c) la proroga fino al 31 dicembre 2015 della non applicazione, per il personale non contrattualizzato in regime di diritto pubblico dei meccanismi di adeguamento retributivo così come previsti dall'articolo 24 della legge n. 448 del 1998. Lo stesso anno non è utile ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio, correlati all'anzianità di servizio, che caratterizzano il trattamento economico del personale;
la Corte costituzionale, intervenuta a seguito di un'istanza sollevata dal tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con la sentenza n. 178 del 2015 ha stabilito l'illegittimità costituzionale sopravvenuta, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del regime di sospensione della contrattazione collettiva. In particolare, la Corte costituzionale ha ritenuto fondate le censure sul congelamento della parte economica delle procedure contrattuali e negoziali dei contratti pubblici in relazione all'articolo 39 della Costituzione. Si tratta, infatti, per il giudice delle leggi di un blocco negoziale protratto nel tempo, con un susseguirsi « senza soluzione di continuità» di norme, tale da rendere evidente la violazione della libertà sindacale. Tuttavia il giudice delle leggi ha osservato che è necessario mantenere l'equilibrio di bilancio dello Stato contemperandolo con il diritto alla libertà sindacale;
è necessario promuovere l'istituzione di un tavolo tecnico al fine di rivedere il contratto dei pubblici dipendenti, remunerando la produttività degli stessi e collegandola al miglioramento dell'efficienza dei servizi,
impegna il Governo:
a prevedere dall'esito della prossima legge di stabilità e, nel quadro della compatibilità di finanza pubblica, l'utilizzo di risorse da destinare al rinnovo del contratto del pubblico impiego;
ad attivare un tavolo tecnico al fine di avviare una riforma della contrattazione nel pubblico impiego che remuneri la produttività dei dipendenti pubblici collegandola al miglioramento dei servizi.
(1-00998) «Pizzolante, Dorina Bianchi, Bosco».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanza:
Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
la società R.D.B. s.p.a. fino al 2012 rappresentava una delle aziende storiche italiane operanti nel settore dei laterizi e dei prefabbricati: essa partecipava al capitale delle controllate società RDB Hebel spa al 91,65 per cento e Terrecotte srl al 91,67 per cento (rispettivamente dette società producevano e commercializzavano laterizi comuni e manufatti in calcestruzzo cellulare autoclavato);
R.D.B. è stata fondata a Piacenza nel 1908 con la ragione sociale «Fratelli Rizzi e C. Fornaci della Caminata per laterizi e calce s.a.s.» e si è distinta per la produzione dei mattoni di alta qualità. La medesima società ha accresciuto la sua attività anche acquistando alcune fornaci nelle aree limitrofe, concentrando poi tutta l'impresa in un solo soggetto giuridico, che nel 1934 ha assunto la denominazione di «Fornaci F.lli Rizzi, Donelli, Breviglieri e C. s.a.s.», abbreviabile in R.D.B. Nel 1970 è stata trasformata nella attuale forma societaria di società per azioni con la denominazione R.D.B. s.p.a.;
negli ultimi decenni, l'espansione della succitata società e delle sue controllate ha portato le dimensioni aziendali riassumibili in 16 stabilimenti e 200 centri di vendita, distribuiti sull'intero territorio nazionale, che occupavano oltre 1.000 addetti. Dal 2007 è stata quotata alla Borsa italiana nel segmento «Star»;
a partire dal 2012, la medesima società versava in stato di insolvenza e, per evitare il licenziamento di centinaia di lavoratori, nonché per tutelarsi ha chiesto l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria; in data 13 luglio 2012, il tribunale di Piacenza ha quindi dichiarato lo stato di insolvenza e – come previsto dall'articolo 7 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, recante «Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell'articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274.» –, ha nominato, su proposta del Ministero dello sviluppo economico, commissari giudiziali il professor Renato Camodeca con studio in Brescia, l'avvocato Paolo Cevolani, con studio in Bologna, e l'avvocato Giorgio Zanetti, con studio in Milano;
nonostante i requisiti dimensionali della società e delle partecipate RDB Hebel spa e Terrecotte srl, anch'esse in origine attratte alla procedura di amministrazione straordinaria (con revoca del generico fallimento), le stesse sono state tutte dichiarate fallite dal tribunale di Piacenza, che ha affidato le funzioni di curatore a professionisti della città;
in particolare, R.D.B. spa ha come curatori l'avvocato Andrea Loranzi e il dottor Michele Guidotti, mentre RDB Hebel spa e Terrecotte srl hanno come curatore l'avvocato Corrado Schiaffonati;
in data 11 febbraio 2015, il Ministro dello sviluppo economico ha autorizzato la vendita dei complessi aziendali ad una delle principali imprese di costruzioni italiane «SALC – Gruppo Salini» ad un valore articolato che può essere indicato in circa 4 milioni di euro (valore definitivo da determinarsi a seguito di due diligence su lavori in corso e materie prime) con impiego di 120 lavoratori;
il 12 febbraio successivo, nonostante l'opposizione dei commissari ed il parere contrario del Ministero dello sviluppo economico, il tribunale di Piacenza, pur in presenza di detta autorizzazione ministeriale e nonostante l'offerta dell'impresa SALC fosse condizionata alla mancata dichiarazione di fallimento, ha dichiarato il fallimento di R.D.B. spa, nominando quali curatori i predetti dottor Guidotti e avvocato Loranzi;
tale decisione di fatto ha impedito il formalizzarsi della citata vendita che poteva essere stipulata con atto notarile nel giro di pochi giorni;
contestualmente al fallimento, il tribunale ha altresì disposto l'esercizio provvisorio di impresa e, a distanza di cinque mesi dal fallimento, è stato pubblicato un bando di vendita che assegnava un termine di pochi giorni per presentare un'offerta;
in data 10 luglio 2015, gli organi della procedura fallimentare hanno aggiudicato il complesso aziendale della R.D.B. spa alla Strategic Project Investment Holding s.p.a., i cui soci sarebbero cittadini stranieri (notizie di stampa indicherebbero anche il coinvolgimento e/o mediazione di alcuni imprenditori piacentini);
da ulteriori articoli di stampa locale si può evincere la notevole riduzione del livello occupazionale dell'offerta (45 addetti in luogo dei 120), nonché la chiusura di due dei quattro siti produttivi;
sui siti internet, i curatori fallimentari hanno enfatizzato la circostanza che l'operazione della società Strategic Project Investment Holding s.p.a. era ufficialmente finanziata dal fondo del sultano dell'Oman;
successivamente, con provvedimento del 15 luglio 2015, il tribunale di Piacenza avrebbe revocato l'aggiudicazione alla Strategic Project Investment Holding s.p.a ed avrebbe aggiudicato i complessi aziendali ad altro offerente, la società Italprefabbricati, che aveva tuttavia formulato un'offerta peggiorativa rispetto al primo aggiudicatario; secondo articoli di stampa locale, la revoca dell'aggiudicazione sarebbe avvenuta perché i curatori si sarebbero accorti di un vizio procedurale, senza specificare quale e senza motivare le ragioni per cui non veniva indetto un nuovo bando di gara (cosiddetta procedura competitiva vincolante nella legge fallimentare);
parrebbe altresì che l'offerta del secondo aggiudicatario di fatto (in considerazione del fatto che i lavori in corso si erano ridotti a circa 500 mila euro di fatturato, desunta dalla cauzione richiesta dai curatori fallimentari), preveda un corrispettivo, al netto dei costi di smaltimento dei rifiuti presenti, prossimo allo zero (prima dell'aggiudicazione, si sarebbe tenuta una riunione in Confindustria Piacenza nella quale le organizzazioni sindacali avrebbero espresso parere sfavorevole anche per le modalità di assunzione volte ad ottenere indebiti benefici previsti dal jobs act);
il curatore di R.D.B. spa, Guidotti Michele ricopre anche il ruolo di presidente del collegio dei revisori di conti di Confindustria Piacenza, del quale fa parte con carica apicale anche Claudio Bassanetti;
in data 1o agosto 2012, i commissari giudiziali professor Renato Camodeca, avvocato Paolo Cevolani, avvocato Giorgio Zanetti, nell'ambito del procedimento pre-fallimentare delle partecipate RDB Hebel e Terrecotte, hanno formulato istanza affinché ne fosse dichiarata l'insolvenza, evitando la dichiarazione di fallimento, secondo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale che prevede la possibilità di avviare il procedimento per la dichiarazione dell'insolvenza delle partecipate ai fini dell'estensione della procedura anche nella fase precedente l'apertura della procedura di amministrazione straordinaria nella procedura madre;
in data 10 agosto 2012, il tribunale di Piacenza, giudice relatore dottor Giuseppe Bersani, ha ritenuto invece di dichiarare il fallimento delle società RDB Hebel e Terrecotte con nomina quale curatore fallimentare dell'avvocato Corrado Schiaffonati con studio in Piacenza;
in data 10 settembre 2012, il tribunale di Piacenza, a seguito del deposito della relazione di cui all'articolo 28 del succitato decreto legislativo n. 270 del 1999, ha ammesso la società R.D.B. spa alla procedura di amministrazione straordinaria;
in data 17 settembre 2012, è stato emesso decreto del Ministero delle sviluppo economico, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in data 1o ottobre 2012, con il quale vengono nominati quali commissari straordinari della procedura il professor Renato Camodeca e gli avvocati Paolo Cevolani e Giorgio Zanetti, già commissari giudiziali nella cosiddetta fase di osservazione;
in data 2 ottobre 2012, i commissari straordinari hanno depositato istanza di conversione in amministrazione straordinaria dei fallimenti RDB Hebel e Terrecotte;
in data 31 ottobre 2012, a seguito di istanza del curatore fallimentare di RDB Hebel, il giudice delegato Bersani, ha emesso ordinanza di vendita relativa all'azienda RDB Hebel;
in data 11 dicembre 2012 il tribunale emette decreto di conversione in amministrazione straordinaria delle società Terrecotte e RDB Hebel;
in data 17 dicembre 2012, i commissari straordinari hanno depositato presso il Ministero dello sviluppo economico, il programma di RDB, redatto secondo l'indirizzo previsto dall'articolo 27, comma 2, lettera a) del decreto legislativo n. 270 del 1999 succitato che prevedeva la riattivazione e la prosecuzione dell'esercizio dell'attività d'impresa e la successiva cessione dei complessi aziendali;
in data 30 maggio 2013, il Ministero dello sviluppo economico ha autorizzato l'esecuzione del programma di RDB, unitamente all'autorizzazione dei programmi ex articolo 61, comma 2, del summenzionato decreto legislativo n. 270 del 1999, delle società controllate RDB Terrecotte e RDB Hebel;
in data 28 maggio 2014, il Ministero ha autorizzato i commissari straordinari a presentare al tribunale di Piacenza un'istanza volta alla concessione della proroga trimestrale del programma, ai sensi dell'articolo 66 del medesimo decreto legislativo n. 270 del 1999 –:
quali orientamenti intendano esprimere, in riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative intendano intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, per porre rimedio all'annosa questione che coinvolge le aziende RDB s.p.a. e le controllate RDB Terrecotte e RDB Hebel;
se intendano adottare, ciascuno per le proprie competenze, iniziative volte a tutelare i lavoratori delle succitate società.
(2-01087) «Melilla».
Interrogazioni a risposta in Commissione:
CARRESCIA, PREZIOSI, MANZI, GIOVANNA SANNA, ZARDINI, COMINELLI, CAROCCI, TULLO, BRATTI e CARELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 35 del decreto legge n. 133 del 2014 (cosiddetto «Sblocca Italia»), convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, stabilisce che entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto «il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferito di rifiuti in discarica»;
il testo dello schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 35 è stato trasmesso il 27 aprile 2015 dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla Presidenza del Consiglio dei ministri che ha provveduto (nota prot. CSR 000423 P-4 23.2.14 del 29 luglio 2015) ad avviare l’iter per l'acquisizione del previsto parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
lo schema reca anche l'individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilabili;
molte sono le criticità che però a proposta presenta sia dal punto di vista tecnico sia di coerenza con la ratio legis dell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014;
le informazioni acquisite dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, poste alla base dello schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, relativamente alla disponibilità di impianti attivi o autorizzati come impianti di incenerimento riguardano infatti il periodo antecedente agli obblighi di adeguamento derivanti dalla attuazione dell'articolo 35 stesso, in particolare i commi 3 e 5 nonché, in taluni casi, piani regionali di gestione rifiuti da adeguare e non adeguati nei termini previsti dall'articolo 199 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (12 dicembre 2013) ovvero, per quelli adeguati, una loro non congrua valutazione;
le conclusioni relative al fabbisogno impiantistico partono da informazioni e dati che non essendo sempre aggiornati risultano ancora «al netto» dell'intervento normativo dei commi 3 e 5 dell'articolo 35 dello «Sblocca Italia» e della capacità effettivamente trattabile dai singoli impianti;
lo schema finisce così, ad avviso degli interroganti, per essere in contrasto con la logica degli avvenimenti intercorsi e con la consistente diminuzione del fabbisogno residuo di incenerimento che deriva dall'attuazione dei piani e da una loro più corretta interpretazione;
il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha utilizzato una modalità di calcolo del fabbisogno di smaltimento (rectius, di recupero) finale che talora non ha tenuto conto in modo corretto dello scenario dei piani regionali di gestione dei rifiuti; tipico è il caso della regione Marche il cui PRGR pone l'obiettivo di riduzione della produzione dei rifiuti del 6,2 per cento al 2020 a fronte di una raccolta differenziata almeno del 70 per cento; gli scenari del piano ipotizzano inoltre un 20 per cento circa di materiali di recupero dal flusso dei rifiuti urbani avviati, al trattamento e che vanno perciò sottratti dalla quota dell'incenerimento così come il 30 per cento di CSS-combustibile e altro; sono insomma situazioni che modificano (da 200.000 a circa 85.000 tonnellate l'anno il dato finale ipotizzato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri); analoghe situazioni si rinvengono anche con riferimento ad altri piani regionali:
lo schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, al fine di individuare il fabbisogno residuo ha assunto come riferimento la produzione di rifiuti urbani indifferenziati e lo ha calcolato sulla base di una raccolta differenziata del 65 per cento che però, ai sensi dell'articolo 205 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e delle gerarchie comunitarie di gestione, è solo un «obiettivo minimo» e non «un vincolo da non superare...» tant’è che alcune regioni (per esempio anche il Veneto) hanno programmato soglie più elevate;
è doveroso ricordare che la Corte Costituzionale, pur quando ha riconosciuto la prevalenza della specifica disciplina statale in presenza di esigenze ambientali incomprimibili, ha comunque ammesso la residua potestà delle regioni di assicurare livelli di tutela maggiori di quelli previsti dallo Stato (sentenza 58 del 2013).
lo schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri computa una necessità di incenerimento del 10 per cento dei rifiuti raccolta differenziata; le percentuali di scarti, nei modelli domiciliari (quelli di riferimento per il conseguimento degli obiettivi nazionali di raccolta differenziata e soprattutto per quelli incrementali ora in discussione nell'ambito del dibattito sulla economia circolare a livello di Unione europea) sono però inferiori, a volte marcatamente inferiori; non tutti gli scarti da attività di riciclaggio sono inceneribili (ad esempio gli scarti da vetrerie) e gran parte degli scarti inceneribili sono invece anche riciclabili (ad esempio le plastiche eterogenee) in modo più coerente con le gerarchie dell'Unione europea di gestione dei rifiuti ed anche traendone un migliore profitto economico;
gli scenari europei porteranno ad un aumento degli obiettivi di recupero di materia che non potranno coesistere con una situazione di infrastrutturazione «pesante» basata esclusivamente sugli inceneritori, impianti finanziariamente sostenibili solo con un'alimentazione con flussi «certi» di rifiuti urbani per 20-30 anni;
viene poi assunta una produzione del 65 per cento di CSS dagli impianti di pretrattamento; è un dato che appare decisamente eccessivo rispetto alla realtà degli stessi impianti di produzione e che non tiene neppure conto dei quantitativi di CSS che rispondendo alle condizioni di cui all'articolo 184-ter del T.U.A. sono utilizzabili in cementifici o centrali termoelettriche (14 dicembre 2013) e che vanno dunque sottratti al computo delle necessità complessive di incenerimento come rifiuti;
lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non sembra aver tenuto in debito conto nemmeno delle politiche regionali che hanno previsto la «riduzione» dei rifiuti urbani prodotti attraverso azioni incisive di prevenzione e riciclo. È assunta solo un’«invarianza del quantitativo di rifiuti urbani», ma non viene valutato l'effetto dei programmi di prevenzione/riduzione del rifiuto resi obbligatori dall'articolo 29 della direttiva 2008/98, del decreto direttoriale del MATTM 7 ottobre 2013 recante «Adozione e approvazione del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti»;
il profilo più rilevante che richiede un atto parlamentare sull'argomento sta nel fatto che la ratio dell'articolo 35 non è quella di voler soddisfare il fabbisogno residuo solo con l'incenerimento. Il richiamo esplicito alle pianificazioni regionali sovente incentrate su soluzioni organizzative (ad esempio massimizzazione del «porta a porta», del riciclo e del recupero) significa che non si sono voluti precludere comunque scenari diversi dalla soluzione «unica» della termodistruzione invece ipotizzata nello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
in altri termini l'obiettivo non era (e non può divenire ora con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri «attuativo») quello di ottenere l'autosufficienza nella gestione dei rifiuti urbani mediante la costruzione esclusivamente di inceneritori in ogni «macro Area» e, all'interno di ciascuna di esse, in quasi tutte le regioni;
il fatto che ogni regione non necessariamente debba essere autosufficiente solo mediante inceneritori è dimostrato dalla possibilità di conferire i rifiuti urbani alla termodistruzione anche fuori quella di produzione (articolo 35, comma 7, decreto-legge 133 del 2014);
la criticità dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sta nell'avere invece assunto lo scenario dell'incenerimento con recupero di energia come unica soluzione finale mentre la stessa direttiva comunitaria e quella nazionale la pongono solo come «un'opzione» seppur gerarchicamente da preferire allo smaltimento in discarica ma non certo nei termini ultimativi e alternativi ad ogni altra soluzione;
l'ordine di priorità nella gerarchia delle soluzioni non significa che una esclude tassativamente l'altra, perché se così fosse sarebbe lecito chiedersi perché non si concentrino le risorse e le azioni solo sulla prevenzione, riciclo e recupero;
ma vi sono anche altre criticità, di carattere tecnico-normativo;
le tabelle allegate allo schema di decreto riportano i quantitativi trattabili in termini di tonnellate per anno;
l'introduzione dello scenario dell’«incenerimento dei rifiuti urbani» come unico e vincolante scardinerebbe in molte regioni le politiche virtuose finora realizzate e quelle programmate di prevenzione della produzione di rifiuti, di riciclo e recupero e sarebbe antieconomica e in contraddizione con gli indirizzi di programmazione locale;
essa comporta anche significative ripercussioni sulla programmazione regionale; vedasi, ad esempio, quella della Lombardia, in particolare sull'autosufficienza riguardante lo smaltimento mediante recupero energetico dei rifiuti indifferenziati e in relazione ad obiettivi strategici come la decommissioning di alcuni impianti per la quale quella regione ha attivato tavoli di lavi o con operatori e amministratori locali per la gestione delle istruttorie di rispettiva competenza;
inoltre, ai sensi dell'articolo 3 paragrafo 2, lettera a), della Direttiva 2001/42/CE, i piani e i programmi che sono elaborati per il settore della gestione dei rifiuti sono soggetti ad una valutazione ambientale strategica la quale deve precedere «tutti i piani e i programmi che sono elaborati (...) per la valutazione della gestione dei rifiuti» (negli stessi termini dispone l'articolo 6, comma 2, lettera a), dell'attuativo decreto legislativo n. 152 del 2006);
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in questione rientra appieno in questa casistica e non può esimersi dalla valutazione ambientale strategica né il singolo inceneritore potrebbe sottrarsi ai criteri localizzativi dei piani regionali e soprattutto alla idoneità/non idoneità delle aree, al rispetto dei vincoli ambientali e paesaggistici che il decreto legislativo 152 del 2006 ha demandato a regioni e province (si pensi alle aree PAI, ZPS, DOC, DOP, Z.T.B., Rete Natura 2000 – Direttiva Habitat 92/43/CEE, direttiva «uccelli» 79/409/CEE, aree boscate e altro);
in altri termini: l'articolo 35, del decreto-legge n. 133 del 2014, contempla un vero e proprio programma integrato nazionale per la gestione dei rifiuti urbani e speciali mediante impianti di recupero energetico. La norma stabilisce, infatti, che gli impianti di recupero inseriti nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1, sono qualificati come infrastrutture di preminente interesse nazionale, che i medesimi devono essere autorizzati ad operare a saturazione del carico termico, che dovranno rispondere alle caratteristiche degli impianti R1, e che, non sussistendo vincoli di bacino, all'interno degli stessi dovrà essere data priorità al trattamento dei rifiuti urbani provenienti dall'intero territorio nazionale;
l'articolo 4 della direttiva 2001/42/CE (cosiddetta direttiva VAS), rubricato «Obblighi generali», stabilisce inoltre che «la valutazione ambientale di cui all'articolo 3 deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all'avvio della relativa procedura legislativa»;
ai sensi degli articoli da 5 a 12 della menzionata direttiva, poi, la procedura di valutazione ambientale strategica deve comprendere lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità, l'elaborazione del rapporto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del piano o del programma, del rapporto e degli esiti delle consultazioni, l'espressione di un parere motivato, l'informazione sulla decisione e il monitoraggio;
il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri appare dunque in contrasto con i suddetti obblighi della direttiva valutazione ambientale strategica, in quanto adotta un vero e proprio programma nazionale in materia di gestione integrata dei rifiuti, senza aver dato luogo alla necessaria procedura di valutazione strategica ambientale con ciò ponendosi in contrasto con gli scopi perseguiti dal legislatore europeo;
il mancato assoggettamento alla valutazione ambientale strategica, anche alla luce della necessità di definire criteri univoci per la distribuzione territoriale degli impianti, e per la valutazione degli impatti discendenti dalle scelte localizzative da assumere comporta l'elusione delle finalità perseguite dalla direttiva comunitaria, quali quella di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente e di contribuire all'integrazione delle considerazioni ambientali all'atto dell'elaborazione, dell'adozione e della approvazione dei piani e programmi, assicurando che i medesimi siano coerenti e contribuiscano alle condizioni per uno sviluppo sostenibile;
la previsione in una «rete nazionale» impiantistica strategica non può però prescindere dal tener conto, in un rapporto di leale collaborazione istituzionale, del potere programmatorio e regolamentare delle regioni, anche in relazione al progressivo passaggio da impianti di smaltimento di rifiuti tramite combustione a veri e propri impianti di recupero energetico ed al fatto che dalla lettura congiunta dell'articolo 182, comma 3, dell'articolo 199 del decreto legislativo 152 del 2006 e dell'articolo 35 del decreto-legge 133 del 2014 così come convertito dalla legge n. 164 del 2014 gli impianti non sono vincolati al trattamento dei soli rifiuti prodotti nel territorio (ATO, regione, macroarea) qualora si tratti di rifiuti speciali, fossero pure derivanti dai rifiuti urbani;
la ripartizione in macro-aree basata su meri criteri teorici e che non tiene conto della viabilità e della contiguità dei territori, delle relazioni e accordi interregionali intercorsi negli anni e di assetti organizzativi consolidati non sembra poi rispondere ad una logica di razionalizzazione del settore;
un inceneritore in regioni in cui allo stato attuale della produzione di rifiuti urbani la raccolta differenziata, ha superato (ad esempio Trentino Alto Adige) o è già prossima (ad esempio Marche) all'obiettivo del 65 per cento (ad esempio Marche) e nelle quali vi è ancora disponibilità di discariche autorizzate (quindi «conformi alla legge») e previste dai PRGR adeguati al, decreto legislativo 152 del 2006 determinerebbe la necessità di rivedere tutti i piani di ammortamento finanziaria delle discariche, di quelli per la gestione post-mortem e di ripristino ambientale con oneri che andrebbero a cumularsi a quelli, oltremodo ingenti, per realizzare un impianto di incenerimento, costi che si tradurrebbero in un aumento della tassazione per i cittadini –:
se il Governo non ritenga opportuno, assumere iniziative per:
a) riesaminare lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri inoltrato alle regioni e province autonome con nota prot. CSR 000423 P-4 23.2.14 del 29 luglio 2015 e riproporne uno che sia più coerente con la ratio legis dell'articolo 35 del decreto-legge 133 del 2014 e che sia basato su un'altra e più aggiornata fase di raccolta delle informazioni per verificare gli effetti, in termini di aumento della capacità operativa degli impianti di incenerimento derivanti dagli adeguamenti e delle verifiche previsti dai commi 3 e 5 del medesimo articolo nonché elaborare una programmazione che tenga conto delle variazioni nel frattempo intervenute o già previste sui territori in attuazione dei piani regionali di gestione dei rifiuti;
b) non prevedere la realizzazione di inceneritori in quelle regioni che hanno già fissato obiettivi di raccolta differenziata superiori al 65 per cento almeno fino al raggiungimento della percentuale prevista e comunque solo se il quantitativo residuale dovesse infine essere superiore alla «taglia minima» di 100.000 tonnellate/anno. (5-06449)
CENNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
la società agricola Suvignano srl è stata sequestrata più di 15 anni fa, nel luglio del 1996, ed è stata definitivamente confiscata nel 2007;
l'azienda agricola Suvignano presenta una superficie agraria di circa settecentotredici ettari (di cui cinquecentosettanta coltivati a grano duro, orzo e avena) e dispone di tredici immobili ex case coloniche, di un fabbricato ex magazzino, di una ex fornace attualmente adibita ad officina aziendale, di una villa padronale, di un fabbricato in cui è presente la chiesa aziendale, della ex casa canonica attualmente adibita ad agriturismo con quaranta posti letto. Nella stessa azienda sono inoltre presenti circa duemila capi ovini, duecento capi suini, un uliveto di circa cinque ettari e una riserva di caccia;
in virtù di tale patrimonio immobiliare e mobiliare si evince facilmente che l'azienda possa rappresentare una straordinaria opportunità per lo sviluppo sociale, economico ed occupazionale del territorio e per la promozione di attività di carattere educativo;
fin dal 2008 la regione Toscana (d'intesa con la provincia di Siena e l'amministrazione comunale di Monteroni) aveva già presentato un progetto di utilizzo del bene, successivamente integrato con la disponibilità a farsi carico delle posizioni debitorie in essere; una disponibilità ribadita anche recentemente;
un progetto di gestione caratterizzato da numerosi profili: non soltanto agricoli, zootecnici, agrituristici e venatori ma anche educativi e sociali (caratterizzati dalla promozione e dallo sviluppo della cultura della legalità);
nella proposta si prevedeva di utilizzare il bene sia per attività agricole che per attività di promozione della cultura della legalità, garantendo ed ampliando l'attuale numero di addetti impiegati nella struttura;
la finalità della legge sui beni confiscati è sempre stata infatti duplice: sottrarre ai mafiosi i beni accumulati con le attività illecite e restituirli alla collettività per valorizzarli e renderli anche un luogo simbolico della vittoria contro le mafie;
l'obiettivo di ottenere un ritorno economico diretto dai beni attraverso la vendita ai privati è sempre stata inoltre subordinato, anche nelle leggi più recenti, alla possibilità di un utilizzo pubblico;
l'articolo 117, comma 7, del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159 «Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia», ha sancito l'obbligo di trasferire beni immobili ed aziende agli enti locali che ne avessero già fatto richiesta prima dell'entrata in vigore del nuovo testo di legge;
nonostante tale norma, il Sottosegretario per l'interno intervenendo il 27 settembre 2013 alla Camera dei deputati in risposta ad una interpellanza urgente (numero 2/00202) relativa alla mancata assegnazione della tenuta di Suvignano alla regione Toscana ha dichiarato: «l'Agenzia nazionale dei beni confiscati, in base ad una consolidata interpretazione della normativa vigente, ha ritenuto di non poter accogliere le richieste di assegnazione della regione, essendo necessario verificare preliminarmente la possibilità di effettuare una cessione dell'intera azienda attraverso una procedura di alienazione ad evidenza pubblica. In sostanza, l'attuale quadro normativo impone, con riferimento alla destinazione dei beni aziendali confiscati, di ricercare la soluzione più conveniente per l'erario, mentre non è previsto dalla legge l'immediato riutilizzo per finalità sociali di tale tipologia di beni». Lo stesso rappresentante del Governo ha inoltre aggiunto che «verrà valutata la possibilità di individuare ogni utile rimedio in via amministrativa, pur nella consapevolezza della necessità di procedere alla modifica dell'attuale normativa con l'obiettivo di superare la contraddizione tra la destinazione di beni immobili e di quelli aziendali prevedendo una disciplina unitaria che consenta, senza incertezze, anche agli enti territoriali di assumere un protagonismo e di avviare processi di valorizzazione delle aziende confiscate»;
dopo due anni, non sono, ad oggi, stati ancora emanati provvedimenti di carattere governativo per risolvere la problematica appena espressa. La vendita all'asta dell'azienda di Suvignano è stata comunque sospesa;
una soluzione appare, tuttavia, quanto mai auspicabile in relazione alle ultime notizie di stampa che danno il signor Gaetano Cappellano Seminara, amministratore di grandi patrimoni sottratti a Cosa Nostra (e da circa 20 anni amministratore di Suvignano) e Silvana Saguto, la presidente della sezione «misure di prevenzione» del tribunale di Palermo, indagati in Sicilia per corruzione e abuso d'ufficio;
il coordinatore della Toscana di «Libera» in seguito a tale notizia ha sottolineato: «Suvignano funziona, ma non al meglio. Se l'Agenzia nazionale si muovesse e finalmente ne decretasse una assegnazione pubblica e sociale si potrebbero riattivare risorse impressionanti». Una dichiarazione supportata da uno studio di un gruppo di manager costituito nel 2011 da Assolombarda, Aldai e Fondirigenti, con l'apporto della Fondazione Istud, Sda Bocconi e Luiss, che ha analizzato il potenziale di numerose aziende confiscate alla mafia, rilevando le grandi potenzialità di sviluppo di Suvignano e suggerendo una sinergia fra pubblico e privato» –:
se non ritenga necessario, in relazione alla recente indagine che vede coinvolto il signor Gaetano Cappellano Seminara e alle valutazioni di sottoutilizzo delle potenzialità dell'azienda di Suvignano citate in premessa, ed anche per dare adeguate risposte al grande e continuo impegno assunto dagli enti locali e numerose associazioni no profit del territorio, dare finalmente corso attraverso un'iniziativa normativa urgente alle promesse annunciate dal Governo il 27 settembre 2013, assegnando finalmente la gestione dell'azienda di Suvignano alla regione Toscana ed agli enti locali interessati. (5-06463)
Interrogazioni a risposta scritta:
MURER. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che
nel gennaio del 2012 è stata decisa la chiusura definitiva degli ospedali psichiatrici giudiziari entro il 31 marzo 2013; successivamente, con il decreto-legge 25 marzo 2013, n. 24, si è prorogata tale chiusura al 1o aprile 2014; ancora una volta, tuttavia, tale termine non è stato rispettato, e lo stesso primo aprile l'allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha promulgato un nuovo decreto-legge che fissava al 30 aprile 2014 la data entro la quale dovevano essere chiuse queste strutture; un ulteriore decreto-legge (31 marzo 2014, n. 52 – convertito dalla legge 30 maggio 2014, n. 81) ne ha disposto un'ultima proroga sino al 31 marzo 2015;
con i provvedimenti normativi sopra menzionati si è voluta modificare radicalmente la logica del trattamento dei detenuti psichiatrizzati, spostando l'approccio da quello puramente manicomiale alla cura delle persone nel territorio, guardando alle misure alternative e alla fine della pratica degli internamenti;
la nuova legge ha stabilito che di norma devono essere adottate dai magistrati misure alternative all'internamento in ospedali psichiatrici giudiziari, obbligando le regioni a presentare progetti terapeutico riabilitativi individuali per le internate e gli internati, per consentire le loro dimissioni attraverso la presa in carico da parte dei servizi socio-sanitari; compito delle regioni anche attrezzare le cosiddette REMS (residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza, dette anche mini ospedali psichiatrici giudiziari regionali) da rendere però, residuali, utilizzando i finanziamenti soprattutto per potenziare i servizi territoriali delle asl;
dall'aprile 2011 si sono dimezzate le presenze negli ospedali psichiatrici giudiziari: dalle 1.419 persone internate (1.323 uomini e 96 donne) si è scesi a 698 presenze (623 uomini e 75 donne);
alla data del 31 marzo del 2015, molti sono stati i ritardi registrati nella procedura di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, tanto che ad oggi alcuni di essi non risultano ancora chiusi;
più di trecento persone sono ancora internate nei 5 ospedali psichiatrici giudiziari superstiti: Barcellona Pozzo di Gotto (140 internati), Aversa (70), Napoli (60), Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia; altri 240 sono gli internati nell'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, che ha solo cambiato «targa» diventando residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza, senza però mutare le sue caratteristiche;
la competenza a procedere alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari è delle regioni, che in molti casi, nonostante lo stanziamento di circa 170 milioni di euro, si sono fatte trovare impreparate;
esse, non adempiendo a tale dovere, determinano ritardi nell'attuazione della normativa, creano non pochi problemi anche alle attività giudiziarie (i magistrati non sanno dove mandare i detenuti psichiatrizzati), e impediscono sia la realizzazione delle residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza sia la determinazione di misure alternative alla detenzione come progetti di cura e riabilitazione individuale attraverso il potenziamento dei servizi territoriali di salute mentale;
più volte in questi mesi si è parlato di commissariamento delle regioni inadempienti, previsto dalla legge; tra queste, in particolare: Veneto, Piemonte, Calabria e Toscana, i territori dove si registrano i maggiori ritardi;
la situazione del Veneto appare, nello specifico, marcare una gravissima inefficienza. Circa quaranta detenuti veneti continuano ad essere internati nelle strutture di Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere mancando ad oggi l'attuazione effettiva della normativa;
nel 2013, il Veneto ha individuato la sede di una residenza per l'esecuzione della misura di sicurezza definitiva da allestire a Nogara, in provincia di Verona. Stazione appaltante dei lavori è la competente Ulss 21: il progetto esiste già, così come i finanziamenti – 14 milioni di euro stanziati dallo Stato – ma per portarlo a termine occorreranno circa tre anni; nel frattempo non si sa dove collocare i pazienti. Si cercano soluzioni con «residenze intermedie e provvisorie» allestite in luoghi di cura già attivi e dotati dei necessari requisiti terapeutici e di sicurezza oppure strutture dismesse ma in buone condizioni, facilmente attrezzabili allo scopo. Ma i ritardi sono ormai macroscopici e il disservizio è evidente –:
quale sia su tutto il territorio nazionale, e in Veneto in particolare, lo stato di attuazione della legge n. 81 del 2014 con specifico riguardo alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e quali iniziative abbia assunto o intenda assumere il Governo per garantirne il rispetto e se si intenda procedere alla nomina di commissari con poteri adeguati per le regioni inadempienti in modo da non fermare il processo voluto dalla legge di cancellazione degli internamenti e di passaggio a pratiche di cura nel pieno rispetto delle persone;
se sia attivo e con quali risultati l'organismo di monitoraggio per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (Ministero della salute e della giustizia/dipartimento per l'amministrazione penitenziaria, regioni) con l'obiettivo di rendere pubblici i dati (ingressi, dimissioni, misure alternative all'internamento) sullo stato di attuazione della legge.
(4-10446)
BATTELLI, SIMONE VALENTE e MANTERO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2006, n. 3554, venivano emanate «Disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare la grave situazione di emergenza, determinatasi nello stabilimento Stoppani sito nel comune di Cogoleto», affidando la gestione della bonifica del sito ad un commissario straordinario nominato nella stessa ordinanza;
l'articolo 18 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 27 dicembre 2006, n. 3559, inserisce l'articolo 1-bis all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri succitata, disponendo che il commissario nomina un soggetto attuatore per svolgere una serie di funzioni operative delegate dal commissario stesso;
con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 18 novembre 2011, n. 3981, il prefetto di Genova ricopre le funzioni di commissario delegato e oggi tale ruolo è dunque ricoperto dal prefetto dottoressa Fiamma Spena;
la nomina del soggetto attuatore, che ricopre anche il ruolo di vice-commissario, Cecilia Brescianini, viene effettuata dal commissario d'intesa con la regione Liguria e ciò avviene con decreto del commissario delegato, in esito alla nota del presidente della regione Liguria n. 7842/77 del 17 gennaio 2007, con provvedimento 08/2007;
da notizie di stampa del 2014 figura che la procura abbia iscritto sul registro degli indagati il vice-commissario Brescianini per turbativa d'asta relativamente all'appalto per la bonifica del sito vinto dalla società Riccoboni di Parma;
negli scorsi giorni un altro articolo apparso sui media porta alla luce gli elementi della maxi inchiesta: un totale di 17 indagati tra struttura commissariale (il vice-commissario Brescianini e il geologo Asplanato), vertici e consulenti dell'azienda, con sequestri di diverso materiale documentale presso la struttura stessa;
secondo i pubblici ministeri la «concessione di lavori pubblici per progettazione esecutiva, adeguamento, conferimento rifiuti dalla ex Stoppani, decommissioning, gestione e chiusura della discarica di Molinetto, demolizioni presso ex stabilimento Stoppani» sarebbe stato redatto e costruito ad arte prima della pubblicazione del bando pubblico in modo da permettere alla sola Riccoboni di partecipare e vincere;
l'amministrazione centrale, a giudizio degli interroganti, deve tutelare il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione e il reato per cui il vice-commissario risulta indagata è strettamente connesso alle funzioni da lei esercitate, facendo venire meno proprio i principi di imparzialità e buon andamento –:
se il Presidente del Consiglio intenda, per tramite del commissario delegato, assumere iniziative per sospendere in via cautelativa dalla carica di soggetto attuatore il vice-commissario dottoressa Cecilia Brescianini, indagata per reati connessi al suo ufficio e revocare l'incarico di geologo al dottor Vittorio Asplanato, anch'egli indagato, al fine di tutelare l'integrità della struttura commissariale e ripristinare il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione. (4-10456)
MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
l'8 luglio 2014 il presidente del Comitato internazionale della Croce rossa, dottor. Peter Maurer, tramite Missione permanente d'Italia a Ginevra, ha informato il Governo italiano della sua decisione di dare la sua disponibilità ai familiari di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone per esaminare gli aspetti umanitari della vicenda che dal 18 febbraio 2012 li ha trattenuti in India senza alcuna formale accusa in merito ai fatti accaduti il 15 febbraio 2012 a largo delle coste dello Stato dell'India meridionale, Kerala, dove hanno trovato la morte i due pescatori indiani, Jelestine Valentine e Ajesh Binki. Nella nota il CICR, inoltre, si rende disponibile a dare ai Governi indiano e italiano la sua lettura legale sullo stato dei due militari italiani;
il 24 agosto 2015 l’International Tribunal for the Law of the Sea ha respinto le richieste del Governo italiano in merito alla permanenza in Italia del fuciliere di Marina Massimiliano Latorre e al rientro in Italia dell'altro militare Salvatore Girone –:
se, e quando, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone e i loro familiari siano stati portati a conoscenza della lettera a firma del Presidente del Comitato internazionale della Croce rossa;
se il Governo abbia formalmente risposto al presidente del Comitato internazionale della Croce rossa e, in tale caso, quale sia stata la risposta data. (4-10457)
TOFALO e SIBILIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
l'inchiesta su «mafia capitale» ha scoperto un vasto, radicato e cinico intreccio di interessi sviluppatosi sulla gestione dei migranti, definito un business «più redditizio della droga», nel quale amministratori, politici locali, burocrati, cooperative e malavita hanno costruito un sodalizio che trae denaro e potere dall'arrivo di migliaia di disperati e che patirebbe un danno economico da una diversa gestione del fenomeno teso a ridurre gli arrivi o ad una diversa gestione degli sbarcati;
la dubbia gestione dell'appalto del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo confermata anche dalla denuncia di Daniele Contucci su fonti stampa e dalle figure coinvolte nell'inchiesta di «mafia capitale» non lascia altra scelta sulla immediata revoca del relativo appalto;
secondo il britannico Guardian, che cita fonti della Royal Navy, sulle coste meridionali del Mediterraneo stazionerebbero tra i 450 mila ed i 500 mila migranti in attesa di imbarcarsi verso le sponde italiane, in un flusso in continua crescita, dall'evidente pesantissimo impatto sociale e economico sull'Italia e sull'Europa;
l'Unità rapida di intervento per l'immigrazione ottimizzava l’iter per la trattazione delle pratiche in alcuni uffici immigrazione come quelli di Varese, Cosenza e Cuneo, abbattendo anche dell'80 per cento l'arretrato di altri uffici come quello di Brescia e Bergamo. In ultimo c’è stata la riduzione da 18 mesi a 6 dei tempi per la definizione delle pratiche dei richiedenti asilo politico al CARA di Mineo. L'URI è riuscita ad ottimizzare e ridurre i costi di gestione, la sua chiusura appare rappresentare un danno alle casse dello Stato –:
quali siano i motivi della chiusura dell'ufficio URI; se il Ministro intenda riattivare l'URI in vista dell'inevitabile ondata di immigrazione dovuta alle crisi in Africa e Medio Oriente. (4-10459)
NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il 21 luglio 2015 il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale calabrese, Massimo Scura, ha approvato il decreto n. 84 inerente, tra le altre cose, all’«approvazione progetto di riorganizzazione della rete dei Laboratori Pubblici e Privati» e la «riorganizzazione dei laboratori con previsione di forme di accorpamento»;
per quanto esposto nell'allegato «Riorganizzazione della rete dei laboratori, pubblici e privati», che è parte integrante del succitato decreto, si prevede la chiusura e/o l'accorpamento dei laboratori privati che al 31 dicembre 2015 effettueranno meno di 100 mila analisi l'anno. Il tetto, poi, con gli anni salirà, passando nel 2017 a 150 mila analisi e nel 2018 a 200 mila;
a parere dell'interrogante, tale decreto potrebbe portare a un vero e proprio mercato oligopolitistico per cui a godere dei finanziamenti pubblici saranno solo pochi grande laboratori analisi, a danno delle strutture più piccole, che saranno costrette a chiudere;
preme sottolineare al riguardo che analogo provvedimento dell'assessorato alla salute della regione siciliana è stato bocciato dalla terza sezione del Tar;
secondo quanto infatti scrive «La Gazzetta del Sud» il 23 agosto 2015, «non scatterà in Sicilia l'obbligo di accorpamento per i laboratori di analisi cliniche. La Terza sezione del Tar ha accolto il ricorso presentato da alcuni centri [...] e ha annullato un decreto dell'assessore regionale alla Salute che subordinava il mantenimento della convenzione al raggiungimento di almeno 100 mila prestazioni all'anno entro il 31 dicembre 2015. Il limite era raddoppiato a 200 mila entro il 31 dicembre 2017»;
la succitata sentenza ha sottolineato «la lacunosità delle previsioni» e la «creazione forzosa di posizioni dominanti», favorendo così un «mercato oligopolistico»;
per le stesse ragioni anche il Tar Lazio con ordinanza n. 3967/2015 del 16 settembre 2015 ha disposto la sospensione dell'obbligo di aggregazione in rete per i laboratori privati e rimandato al primo dicembre 2015 per la trattazione nel merito;
al riguardo si sottolinea che l'Assipa (Associazione strutture sanitaria istituti privati e accreditati) il 18 settembre ha inviato una lettera al commissario Massimo Scura, al sub commissario Andrea Urbani ed al direttore generale del dipartimento tutela della salute Riccardo Fatarella (e per conoscenza inviata anche al presidente della giunta regionale Mario Oliverio e all'Autorità garante della concorrenza e del mercato);
nella missiva si chiede con urgenza di intervenire per la sospensione immediata del succitato decreto (e del decreto n. 85/2015 sulla «Determinazione tetti di spesa per l'acquisto da soggetti privati accreditati di prestazioni di assistenza specialistica per l'anno 2015», e del decreto n. 92/2015 riguardante la «Approvazione schema tipo di accordo contrattuale con gli erogatori privati accreditati») e di «fare marcia indietro ed affrontare proficuamente le criticità indicate, ritirando e modificando immediatamente i tre decreti ed operando la contestuale istituzione di un tavolo di lavoro con le associazioni di categoria regionali per le opportune modifiche a reale vantaggio dei cittadini, dei lavoratori, dei professionisti, delle imprese e delle casse regionali»;
in relazione al decreto n. 92 del 2 settembre 2015, preme sottolineare che, a detta dell'Assipa, «la definizione delle somme assegnate ai soggetti accreditati non sembra risponda a criteri chiari né funzionali alla proporzionalità degli impegni economici che gli stessi sono tenuti ad assicurare ai fini del rispetto dei requisiti imposti per l'accreditamento»;
al riguardo preme sottolineare che è pendente presso il Tar di Catanzaro il ricorso proposto dall'Autorità della Concorrenza e del mercato che ha impugnato il decreto n. 68/2014 con il quale sono stati fissati i budget per il 2014 mediante criteri che, così come farebbero anche i decreti n. 84 e 92, cristallizzerebbero posizioni di privilegio;
sempre secondo l'Assipa, le assegnazioni del decreto n. 92 comportano «l'impossibilità di compensazione tra prestazioni all'interno della stessa branca, con la conseguenza di recare danno alle strutture ed all'utenza, con il risultato che una richiesta di esami di laboratorio dovrebbe così essere evasa parzialmente a causa del raggiungimento del budget assegnato alle singole prestazioni presenti insieme ad altre aventi ancora capienza di budget (le prestazioni x si possono erogare, le altre o vanno pagate dal paziente o deve essere fatta altra prescrizione per recarsi in altra struttura, sempre che nel frattempo non sia stato raggiunto il budget per le restanti prestazioni e che il paziente sia disposto a fare un secondo prelievo di sangue)»;
il succitato decreto n. 84, inoltre, fa riferimento alle linee guida riassunte nella nota del Ministero della salute del 16 aprile 2015, prot. n. 11669-P-16, in cui – con espresso richiamo agli obblighi comunitari e alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, il cui fondamento secondo l'interrogante è invero di dubbia costituzionalità, trattandosi di conseguenze della limitazione della sovranità in condizioni di disparità tra gli Stati del sistema dell'euro, specie in ordine alla tutela della salute di cui all'articolo 32 – vengono fornite indicazioni, a seguito di accordi Stato-regioni, sulla soglia minima di attività per la tenuta dei laboratori –:
di quali elementi disponga il Governo al riguardo e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere.
(4-10467)
NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
con decreto n. 89 del 21 agosto 2015, sottoscritto dal dirigente generale del dipartimento, Fatarella e dal Sub Commissario Urbani, è stata rigettata l'istanza per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio di attività sanitaria presentata dalla Marrelli Hospital srl;
la motivazione di tale rigetto appare all'interrogante di natura meramente semantica, laddove a fronte del provvedimento di riconferma alla realizzazione (di una struttura di tipo sanitario, peraltro, già costruita da anni) rilasciato dal sindaco di Crotone, i sottoscrittori del decreto n. 89 affermano testualmente «che non risultano intellegibili la portata ed il senso di un provvedimento di riconferma posto che il provvedimento originario è valido ed efficace (ed in questo caso non è necessaria alcuna “riconferma”) o il provvedimento ha perso efficacia e, in questo ultimo caso, si dovrebbe parlare di rilascio di nuovo provvedimento»;
ad altre strutture in identica situazione amministrativa del Marrelli Hospital, sono già state concesse le autorizzazioni all'esercizio da parte della regione, esattamente con decreti nn. 97, 100 e 101 del novembre 2014;
il proponente di tali decreti di accettazione dell'istanza, nonché del decreto n. 89/2015 di rigetto dell'istanza è lo stesso sub commissario Urbani, in quanto la materia autorizzazione ed accreditamento – relativamente all'adeguamento alla normativa nazionale – risulta di sua competenza come da deliberazione di assegnazione dell'incarico di sub commissario da parte del Consiglio dei ministri;
all'interrogante appaiono di dubbia legittimità tali determinazioni dei commissari, in quanto la deliberazione del Consiglio dei ministri relativa alla nomina di commissari assegna loro esclusivamente la competenza relativa all’«attuazione della normativa statale in materia di autorizzazioni e accreditamenti istituzionali, mediante adeguamento delle vigente normativa regionale» e non già il rilascio delle singole autorizzazioni, che compete al dirigente generale del dipartimento;
quanto sopra è ulteriormente dimostrato dall'agire dello stesso commissario ad acta che ha proposto, con decreto 21 luglio 2015, n. 83, un progetto di legge regionale, ai sensi del comma 80 dell'articolo 2 della legge n. 191 del 2009, in cui è contemplato l'articolo 24, che, al terzo comma, sarebbe destinato a conferire la competenza al commissario nella detta materia oggi attribuita al dirigente generale del dipartimento della sanità, in forza del disposto dell'articolo 11 della legge regionale n. 24 del 2008 che conferisce appunto al dirigente generale del dipartimento Sanità la competenza del rilascio della autorizzazione;
detto progetto di legge è stato immediatamente rigettato dal consiglio regionale perché inammissibile e contrastante con la previsione normativa, mancando la indicazione puntuale della esistenza di disposizioni della legge regionale ostative all'attuazione del piano di rientro e dei programmi operativi;
la dubbia legittimità dell'operato commissariale – a parere dell'interrogante – è ancora dimostrata dal fatto che i decreti di approvazione o rigetto delle istanze richiedenti il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio da parte di strutture private non sono trasmessi per il relativo parere ai Ministeri affiancanti, come, invece, avviene obbligatoriamente per tutti gli altri decreti emanati dai commissari;
a ulteriore giustificazione del rigetto i sub commissari Scura ed Urbani ed il dirigente generale Fatarella hanno sottoscritto il decreto n. 88 del 21 agosto 2015 di annullamento del decreto n. 29 del 2013 nonché di presa d'atto dell'intervenuto esaurimento dell'efficacia del decreto n. 151 del 2013 con cui in modo — a parere dell'interrogante — del tutto discrezionale decretano che «il DCA n. 151 del 2013, del quale il decreto n. 29 del 2013 costituisce atto logicamente presupposto, ha ormai esaurito la propria efficacia giuridica avendo lo stesso natura meramente temporanea»;
in nessuna parte del citato decreto n. 151 del 2013 è riportata in alcun modo la temporaneità dell'efficacia dello stesso decreto;
con parere n. 86 del 25 marzo 2014, i Ministeri affiancanti avevano «preso atto» del decreto n. 151 (formula con la quale i Ministeri considerano approvati i decreto esaminati) senza alcun rilievo o prescrizione o indicazione, tantomeno sulla temporaneità dell'efficacia dello stesso decreto;
l'autorizzazione all'esercizio sanitario da parte della regione non comporta alcun onere economico a carico della stessa regione;
per tutto quanto sopra riportato a giudizio dell'interrogante si evince un comportamento difforme da parte dei commissari Scura ed Urbani e del dirigente generale del dipartimento, Fatarella, rispetto a identiche fattispecie, laddove in forza di una identica norma hanno accettato l'istanza di alcuni e rigettato l'istanza di altri con ciò comportando un triplo effetto negativo con danni economici al singolo imprenditore — con possibile insorgenza di contenzioso contro la regione Calabria — e con, ancora più grave, ostacolo all'incremento dei livelli occupazionali nonché a una migliore tutela della salute dei cittadini in un ambito, l'oncologia, per cui vi è un'enorme migrazione sanitaria dalla regione Calabria –:
quali urgenti iniziative di competenza intendano adottare per l'immediata rimozione del decreto segnalato in premessa e per garantire la rapida conclusione secondo legge della procedura autorizzativa in argomento;
se, alla luce della gravità estrema di quanto esposto, non ritengano di dover procedere alla revoca degli incarichi di commissario e sub commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria, nei confronti degli attuali titolari Massimo Scura e Andrea Urbani. (4-10469)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazioni a risposta in Commissione:
GAGNARLI, L'ABBATE, GALLINELLA, PARENTELA e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il fenomeno degli attacchi alle greggi da parte di lupi e canidi è recentemente utilizzato come pretesto per richiedere la possibilità di operare abbattimenti delle specie in questione;
numerose sono le pressioni da parte di rappresentanti del mondo allevatoriale e di politici, in particolare dalla Toscana, ma non solo, per ottenere deroghe alla direttiva «Habitat» al fine di definire quote di abbattimento di lupi o persino modificare la normativa europea in materia di tutela del lupo;
il bracconaggio nei confronti del lupo e degli ibridi lupo-cane è già di per sé un fenomeno dalla portata certamente maggiore rispetto a quanto evidenziato dai ritrovamenti di carcasse esposte a scopo intimidatorio;
il fenomeno dei danni da predazione da parte di lupi e ibridi alle attività zootecniche è da inquadrarsi nell'ambito di una presenza naturale della specie lupo sul territorio, tornata a crescere spontaneamente sulla base di misure di tutela e di buona gestione ambientale in tutta Europa come attestato dalla Commissione europea nelle Key actions for Large Carnivore populations in Europe del gennaio 2015 («All populations are the results of natural dynamics as no wolf reintroduction has ever been carried out in Europe»);
nel medesimo documento la Commissione europea stima in circa 800 animali la popolazione di lupi presente nella penisola italiana includendo la specie nella categoria VU (vulnerabile);
il lupo (Canis Lupus) è inserito tra le specie particolarmente protette nella legge n. 157 del 1992, specie protetta dalla direttiva 92/43 (direttiva «Habitat») recepita in Italia con decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 (modificato e integrato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 2003);
il cane — e conseguentemente tutti gli «ibridi» successivi fino alla quarta generazione — è tutelato dalla legge nazionale italiana 281/91 e ne è vietata l'uccisione se non per elencati e comprovati motivi, in maniera eutanasica;
in una lettera ai membri dell'Unione zoologica italiana del 25 febbraio 2015 a firma del professor Luigi Boitani si è fatto riferimento a una richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di valutare eventuali quote di lupi abbattibili;
nei rilievi effettuati nell'ambito del progetto LIFE Medwolf (LIFE11 NAT/IT/069) risulta che sul territorio toscano interessato una buona parte delle predazioni è messa in atto da cani mal gestiti e tra le aziende zootecniche che hanno subito predazioni nel 2014 il 98 per cento non è sorvegliato dal pastore, l'85 per cento non ha recinti anti predatore, il 57 per cento non ha cani da guardia, il 41 per cento ha solo 2 cani ogni 500 pecore;
il medesimo progetto Life Medwolf, sulla base del registro ufficiale delle predazioni, indica in appena 0,3 per cento la percentuale del patrimonio zootecnico ovino colpito dalle predazioni nel 2014;
già nel febbraio 2014 la Commissione europea ha espresso la sua preoccupazione considerando le azioni nei confronti dei lupi «una minaccia per la salute dell'ambiente naturale, in particolare per il conseguimento degli obiettivi della direttiva Habitat e del primo obiettivo della strategia dell'UE per la biodiversità» (in risposta all'interrogazione parlamentare E-002258-14) –:
quale sia la posizione dei Ministri interrogati sulle proposte di deroghe alla direttiva «Habitat» al fine di determinare eventuali quote di lupi abbattibili;
quali siano le iniziative messe in atto dai Ministri interrogati per tutelare gli ibridi lupo-cane;
quali iniziative intendano mettere in atto al fine di prevenire azioni di bracconaggio nei confronti di lupi e ibridi.
(5-06442)
D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il torrente Solofrana che attraversa il territorio del comune di Montoro, è spesso interessato da fenomeni di sversamenti abusivi;
il 21 luglio 2015, è stato rilevato uno sversamento industriale abusivo di una materia di colore nero, maleodorante che ha raggiunto in poco tempo il territorio montorese;
lo stesso fenomeno si è verificato dopo appena tre giorni, il 24 luglio 2015;
anche gli scarichi fognari civili contribuiscono all'inquinamento del torrente arrecando gravi disagi ai cittadini residenti;
alla fine del mese di luglio 2015, il comune di Montoro è dovuto intervenire nel torrente, all'altezza della frazione di San Pietro, per rimuovere il residuo di uno sversamento fognario civile che provocava odori nauseabondi ed insopportabili;
l'area è stata parzialmente bonificata, ma il comune ha dovuto adottare un'ordinanza con la quale ha tentato limitare il fenomeno degli scarichi abusivi;
a più riprese il sindaco di Montoro si è detto preoccupato per l'inquinamento del torrente e soprattutto per le ricadute sulla salute dei cittadini;
a detta del primo cittadino, si tratta di veri e propri fatti criminosi che, a suo dire, muoverebbero dall'apparato industriale di Solofra;
a giudizio dell'interrogante, occorre sensibilizzare il comune di Solofra affinché prevenga e contribuisca a sanzionare i fenomeni di sversamento che provengono dalla locale area industriale;
dalle ultime analisi dell'Arpac sulle acque del torrente si è accertata la presenza di cromo a 4.713 invece che 7 ug/1, e alluminio a 9.197 invece che 1 mg/1;
già nel Mese di marzo del 2015 dai dati Arpac rilevati sui suoli montoresi interessati da una esondazione del torrente, è venuta fuori la presenza di cromo totale, berillio, benzo(a)pirene, sostanze pericolose e cancerogene;
l'11 agosto 2015 l'amministrazione comunale di Montoro ha denunciato un ulteriore sversamento nell'alveo del torrente che ha raggiunto il territorio del comune; il sindaco l'ha definita «l'ennesima azione criminosa e fortemente nociva nonché pregiudizievole per la saluta pubblica e per l'ambiente»;
la comunità di Montoro, a detta del primo cittadino, «vive ancora la situazione drammatica dell'inquinamento da tetracloroetilene delle falde idriche con i noti effetti conseguenti in ordine all'approvvigionamento di tale risorsa per la vita della comunità e nonostante tutto gli svernamenti nell'alveo della Solofrana si ripetono ad ogni minima precipitazione atmosferica»;
l'amministrazione comunale ha espresso l'auspicio di provvedimenti d'autorità dell'organo di Governo, anche centrale, perché si ponga fine a quello che, a giudizio dell'interrogante, è uno scempio insostenibile ed inaccettabile –:
quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente e le altre forze dell'ordine, per evitare che si perpetuino i fenomeni di sversamento abusivo nel torrente Solofrana. (5-06447)
GITTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
da fonti giornalistiche si apprende dell'emergenza della moria dei cipressi, alberi sempreverdi che sono tra i simboli della bellezza del paesaggio italiano;
i cambiamenti climatici indotti dalle emissioni di gas a effetto serra e dalla pressione delle attività umane sugli ecosistemi hanno alterato, tra l'altro, il ciclo vitale e la riproduzione dell'afide del cipresso (Cinara Cupressi), causandone un'eccezionale proliferazione, favorita da intense precipitazioni e da temperature sopra la media stagionale; tale insetto attacca fino al disseccamento i cipressi e molte altre specie di piante, in particolare conifere della famiglia delle Cupressacee, caratteristiche dei parchi e dei giardini all'italiana;
in alcune zone caratterizzate da densi filari di cipressi, come la sponda bresciana e veronese del lago di Garda, il parassita ha ormai infestato quasi il 70 per cento dei cipressi, sia esemplari giovani che secolari; un danno ingente al patrimonio arboreo di queste aree, gravemente colpite di recente anche dalla mosca olearia, che nel 2014 ha ridotto quasi a zero la produzione di olio extravergine di oliva del Garda;
l'afide e altri parassiti dei cipressi possono essere combattuti ed eliminati con trattamenti chimici o, preferibilmente, con rimedi naturali che devono essere tempestivamente impiegati nella prima fase dell'infestazione;
interventi immediati ed estesi per contrastare la diffusione del contagio richiedono consistenti risorse, a causa sia dell'elevato costo del trattamento sia del numero di piante da trattare: cipressi secolari di altezza superiore ai trenta metri e che talora raggiungono anche i cinquanta metri;
mentre le amministrazioni pubbliche sono sottoposte a limiti e divieti sull'uso di pesticidi in prossimità dei centri abitati, non si rinvengono norme che impongano ai privati di intervenire con trattamenti onerosi per contrastare le fitopatie dei cipressi;
contro la Cinara Cupressi sono in commercio specifici prodotti fito-sanitari, con bassa tossicità per l'uomo, che possono essere forniti dai consorzi agrari a prezzi contenuti;
è possibile, come alternativa non dannosa per l'ambiente, favorire lo sviluppo di antagonisti naturali degli afidi, quali coccinelle e taluni insetti della famiglia dei sirfidi, forniti dagli specialisti della lotta biologica in appositi kit a prezzi sostenibili –:
quali urgenti iniziative intenda assumere per contrastare le fitopatie dei cipressi, in particolare nelle zone citate, anche per evitare il diffondersi del contagio nelle aree contigue. (5-06452)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazioni a risposta in Commissione:
LATRONICO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
la Biblioteca (ex provinciale) «Tommaso Stigliani» di Matera fu istituita nel 1933 ed è ubicata nel Palazzo dell'Annunziata, ex convento del 1700, al centro della piazza principale della città dei Sassi e rischia la chiusura;
la biblioteca ha un patrimonio unico di collezioni e fondi librari: possiede più di 250.000 volumi tra fondo moderno e fondi antichi; oltre 1.300 testate seriali compresi periodici del XIX secolo; la sezione fondi antichi è composta da oltre 30.000 volumi e contiene pergamene, manoscritti datati del ‘600 e dell'800, 1.300 cinquecentine, oltre 100 incunaboli. Sono presenti collezioni storiche di grammofoni d'epoca e discografia, raccolta di quadri di autori lucani e una pregevole raccolta di monete antiche;
nel corso degli anni il patrimonio librario si è arricchito per i notevoli apporti dovuti dai diversi Fondi ex conventuali o da donazioni di famiglie materane: il documento più antico risale al 1370, il Fondo Gattini (4500 volumi) è costituito da manoscritti, incunaboli, cinquecentine e testi che spaziano tra la fine del ’400 e i primi anni del ’900; i fondi Ridola e Guerricchio costituiscono un importantissimo contributo alla storia della medicina italiana e straniera dal 1700 fino ai nostri giorni; il fondo Fodale costituito prevalentemente da classici latini e greci e da opere storiche e il Fondo Caropreso è ricco di volumi di geologia, geografia ed astronomia;
dal 1963 al 1987 la biblioteca ebbe un periodo di grande sviluppo e con la riforma della scuola media inferiore venne istituita una sala apposita per i ragazzi che venivano guidati nelle ricerche da aiuto-bibliotecari. Successivamente, fu istituito il Centro sistema bibliotecario provinciale, che coordinava le biblioteche, create in tutti i comuni della provincia di Matera, per volontà del Ministero della pubblica istruzione e la biblioteca curò la ristampa di alcune opere fondamentali;
la Biblioteca possiede la raccolta completa delle più interessanti riviste di storia meridionale, l'archivio storico per la Calabria e la Lucania, l'archivio storico per le province napoletane, e la Basilicata e, dopo la Biblioteca di Napoli, è considerata la più importante del Mezzogiorno;
con l'entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», tutte le strutture e i servizi culturali — ovvero musei, biblioteche, archivi, istituti e sistemi culturali in tutta Italia — dal 1o gennaio 2015 sono passati dalla competenza provinciale a quella di altri enti, regioni e comuni, che hanno responsabilità amministrativa riguardo ai finanziamenti, alla gestione delle attività e del personale;
alla data odierna pochissime amministrazioni pubbliche hanno deliberato facendosi carico delle strutture e dei servizi culturali precedentemente di competenza delle loro province;
sono molteplici infatti i guasti e i malfunzionamenti presenti nella struttura che procurano gravi disagi al pubblico e ai dipendenti e, a quanto risulta all'interrogante, la Biblioteca necessita di lavori di straordinaria e ordinaria manutenzione che non vengono eseguiti da anni;
le attività vengono svolte con competenza dal personale addetto costituito per ora da 34 dipendenti che il prossimo anno dovrebbe scendere a 30. I numeri sono in continuo calo per via dei pensionamenti e non vi è il rinnovo con nuove assunzioni;
sarebbe opportuno concertare con le associazioni degli enti locali soluzioni gestionali dei beni culturali valide per l'intero territorio nazionale nel quadro dei nuovi scenari istituzionali in corso di definizione al fine di eliminare il rischio di interrompere i servizi bibliotecari che costituiscono un punto di riferimento per studiosi, ricercatori e studenti e che rappresentano il cardine della vita culturale e sociale;
il Governo ha più volte sottolineato come la crescita economica del nostro Paese passi anche dal rilancio dello straordinario patrimonio culturale italiano e in particolare il presidio culturale materano deve essere valorizzato soprattutto in coerenza con la designazione della città di Matera quale Capitale Europea della Cultura per il 2019 –:
se il Ministro sia a conoscenza delle problematica esposta in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda promuovere, d'intesa con le istituzioni locali, per evitare la chiusura e garantire i servizi offerti dalla biblioteca materana, considerata la rilevanza del suo patrimonio per l'intera collettività nazionale. (5-06441)
LATRONICO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
in Italia la situazione dei beni di interesse storico-artistico privati è preoccupante poiché numerosi sono caratterizzati da reiterati crolli;
la responsabilità, per lo più, è da attribuirsi direttamente al Governo, debitore di circa 100 milioni di euro a proprietari di beni culturali che hanno provveduto ad opere manutentive e di difesa;
le assicurazioni fornite dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo sono da tempo disattese e, nel frattempo, i crolli continuano;
il contributo richiesto dai proprietari che hanno eseguito interventi di restauro o conservativi su loro beni d'interesse storico-artistico trova fondamento nell'articolo 31 del decreto legislativo n. 42 del 2004 –:
quali siano le informazioni in possesso del Ministro interrogato in merito alla situazione descritta in premessa e quali iniziative intenda adottare per sbloccare le risorse destinate ai proprietari degli immobili che hanno effettuato i suddetti lavori. (5-06446)
BOSSA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
presso il Teatro Grande dell'area archeologica di Pompei si svolge da due anni il Pompei Festival, un programma di opere e concerti di grande richiamo;
tale rassegna ha come direttore artistico il maestro Alberto Veronesi e presenta ancora sul proprio sito web, come direttrice artistica del balletto, Carla Fracci; quest'ultima, però, nel corso dell'estate 2015, ha dichiarato ripetutamente ai mezzi di informazione che il suo giudizio sulla rassegna era molto negativo e che non esisteva più un suo coinvolgimento nel festival a causa di «troppi cambiamenti, comportamenti spiacevoli, troppe situazioni imbarazzanti»;
sugli organi di stampa sono state riportate anche le ripetute proteste di alcuni coristi e orchestrali, che hanno accusato l'organizzazione di non aver provveduto ai pagamenti degli artisti selezionati e di aver apportato una serie di variazioni al programma iniziale, riducendolo da 36 a 7 le date;
in particolare, i coristi del «Pompei Festival 2015» hanno dichiarato che la Fondazione Carnovale, cui era stato affidato il cartellone lirico e il maestro Alberto Veronesi, direttore artistico, avrebbero «sfruttato il brand Pompei, non mantenendo gli impegni e danneggiandone l'immagine nel mondo»;
i coristi hanno dichiarato alla stampa locale che dovevano esibirsi nella serata della prima dell'opera in tre atti «L'ultimo giorno di Pompei» di Giovanni Pacini, programmata il 27 maggio nel Teatro Grande di Pompei e rinviata a causa di un nubifragio; da allora, gli stessi non sarebbero stati più contattati né pagati;
il soprintendente Massimo Osanna, sempre sugli organi di stampa, mentre impazzava la polemica, ha pubblicamente preso le distanze dalla kermesse, dichiarando che «Pompei è slegata dal festival. Alberto Veronesi lo scorso anno ha fatto una richiesta per la concessione del Teatro Grande per la realizzazione di una rassegna. (...) Ha chiesto il teatro in concessione per novanta giorni; (...) per tale concessione è tenuto a pagare un canone di locazione che è uguale per tutti e (...) una royalty per ogni biglietto»;
il Festival è stato, però, salutato da tutti, all'annuncio delle attività, come una straordinaria opportunità per «trasformare il Teatro Grande e il sito archeologico di Pompei nell'Arena di Verona del Sud»;
negli ambienti culturali napoletani sono stati avanzati più volte dubbi sulla rassegna; in particolare, Franco Iacono, sul quotidiano Roma, ha scritto «i miei dubbi sulla operazione “Pompei Opera Festival”: 1) il non coinvolgimento del Teatro di San Carlo a favore del Bellini di Catania; 2) la qualità della Fondazione Carnovale, sconosciuta ai più, e la provenienza delle risorse da investire; 3) l'opportunità di un ulteriore stravolgimento del Teatro Grande con l'affidamento di un progetto di ampliamento fino a 20.000 posti; 4) la qualità artistica della messa in scena delle opere programmate, fino a 55 alzate di sipario; 5) le ragioni per cui un progetto analogo, presentato qualche mese prima per il Teatro Verdi di Salerno, e la direzione artistica di Daniel Oren, sia scomparso» –:
se sia a conoscenza dei fatti sopra riportati e quale sia il suo orientamento al riguardo;
se non ritenga, per quanto di competenza, che esista una corresponsabilità delle istituzioni per la cattiva riuscita di una iniziativa in un'area di così alto interesse culturale anche quando essa è organizzata in concessione da privati; quali siano i progetti per una più corretta valorizzazione del Teatro Grande dell'area archeologica di Pompei e se non ritenga di garantire una gestione diretta e più oculata di uno spazio culturale di tale rilevanza. (5-06450)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:
PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il preannunciato intervento da parte del Presidente del Consiglio sul sistema fiscale immobiliare che dovrebbe prevedere l'abolizione delle due imposte, IMU e Tasi, dovute per le abitazioni principali, ha fatto riemergere il vulnus che un tale tipo di operazione comporterebbe sul piano dell'equità, visto che, stando ai dati diffusi da alcuni organismi di settore, un taglio indiscriminato generalizzato delle imposte sulla casa comporterebbe dannosi effetti redistributivi, andando a tutto vantaggio dei decili di reddito più elevati, che da soli, come risulta da un'elaborazione dei dati sulla distribuzione delle abitazioni di residenza nel nostro Paese svolta dalla Banca d'Italia, concorrono ad oltre il 40 per cento del relativo gettito;
sempre secondo la stessa fonte, la ricchezza netta media delle famiglie italiane sarebbe pari a circa 373 mila euro, con le attività reali che rappresentano circa il 70 per cento (circa 6,2 mila miliardi di euro), e fra queste la ricchezza in abitazioni è circa 228 mila euro in media per famiglia, il 77 per cento della quale, 4,2 miliardi di euro, è rappresentato da immobili adibiti ad abitazione principale;
tutti i dibattiti che si sono intrecciati negli ultimi tempi hanno ignorato il ruolo che le suddette imposte hanno svolto fino ad oggi e cioè quello di rappresentare una pragmatica ed immediata risposta seppur non ottimale (per gli economisti la cosiddetta second best), all'esigenza di tassare il patrimonio in un Paese profondamente pervaso dall'evasione fiscale, nel quale il 30 per cento dell'attività economica è sommersa ma anche nel quale, come si è visto, l'80 percento della popolazione vive in una casa di proprietà seppur con un elevato grado di concentrazione; molte famiglie, infatti, come si è visto, detengono livelli modesti o nulli di ricchezza, a fronte di un 10 per cento delle stesse che detiene il 41 per cento della ricchezza totale;
l'obiettivo di perseguire tout court una riduzione della pressione fiscale complessiva non deve però tradire quello di realizzare contestualmente una maggiore equità, progressività ed efficienza nella distribuzione del prelievo; nel settore immobiliare per aumentare l'equità sarebbe cruciale la riforma del catasto, già prevista nella legge di delega fiscale ma il Governo, accortosi dalle simulazioni sugli effetti dell'algoritmo che avrebbe dovuto rivedere i valori catastali e che le rendite sarebbero cresciute in misura esponenziale, toccando quindi gli interessi dei pochi e facoltosi abbienti, ad avviso dell'interrogante ha preferito congelare;
la mancata revisione dei valori catastali ha determinato, nel passaggio dell'aliquota standard dal 4 per mille (Imu 2012) all'1 per mille, salvo le variazioni deliberate dai comuni (Tasi 2014), da una parte un forte vantaggio per le abitazioni di maggior valore catastale e, dall'altra, prevedendo anche un prelievo a carico degli affittuari, un peggioramento delle condizioni economiche di questi ultimi, spesso giovani coppie o studenti, a volte in misura anche superiore a quella dei proprietari stessi –:
se anche i dati in suo possesso rispecchino, confermandola, la suddetta composizione della ricchezza immobiliare italiana, quale sia il valore medio della rendita catastale degli immobili, e, se disponibile, anche quello riferibile alle rilevazioni dell'Osservatorio del mercato immobiliare, relativamente agli immobili detenuti dai contribuenti appartenenti a ciascuna delle cinque fasce di reddito — fino a 10.000 euro, da 10.000 a 26.000 euro, da 26.000 a 55.000 euro, da 55.000 a 75.000 euro ed oltre 75.000 — ed inoltre, quanti nuclei familiari rientrino all'interno delle stesse. (5-06453)
BUSIN e CAPARINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4541 del 2015, accogliendo il ricorso dell'Agenzia del territorio-Agenzia dell'entrate contro la sentenza della commissione tributaria regionale di Veneto-Mestre 80/06/11 del 5 ottobre 2011 che rigettava l'appello dell'amministrazione ferroviaria relativo al nuovo classamento di un immobile di pertinenza di una società di gestori funiviari del Veneto, ha sostanzialmente affermato l'illegittimità della tipologia catastale assegnata all'immobile per la non sussistenza del presupposto del classamento come «mezzo pubblico di trasporto»;
ne è derivato che gli impianti di risalita hanno visto riclassificare i propri immobili, con conseguente ridefinizione della rendita catastale incidente nel calcolo dell'Imposta municipale unica; le considerazioni di diritto che hanno portato ad un simile dispositivo non sembrano però del tutto condivisibili;
la nota protocollare 90253 del 19 novembre 2007 della direzione centrale cartografia, catasto e pubblicità immobiliare ha chiarito che non siano da censire nella categoria E/1 «gli impianti di risalita quali: funivie, sciovie, seggiovie e simili, quando hanno destinazione esclusivamente o prevalentemente commerciale in quanto non assimilabile a servizio di trasporto, ma al soddisfacimento di fini ricreativi, sportivi o turistico-escursionistici»; in tale caso, quindi, la categoria catastale adeguata sarebbe la D/8 in cui sono ricompresi i «fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un'attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni» e non la categoria E/1 ricomprensiva invece delle «stazioni per servizi di trasporto terrestri, marittimi aerei ed impianti di risalita in genere»;
sebbene queste infrastrutture svolgano infatti funzione di sostegno ad attività economiche a scopo commerciale, soprattutto con fini sportivi, non si può però certo considerare questa funzione come prevalente ma accidentale, essendo, queste, le uniche strutture che permettano il raggiungimento di aree del territorio altrimenti inaccessibili;
già nel 1977, con l'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 27 luglio 1977, n. 616, che trasferiva alle regioni le funzioni amministrative relative ai servizi pubblici di trasporto esercitati con linee filoviarie, funicolari e funiviarie, l'articolo 84 definiva quali «servizi pubblici di trasporto di persone e di merci» quelli esercitati con «linee tranviarie, metropolitane, filoviarie, funicolari e funiviari di ogni tipo»;
oltre alle argomentazioni giuridiche, non si possono poi non tenere in considerazione le gravi conseguenze economiche che questa sentenza sta avendo in un settore che è un comparto strategico dell'economia delle zone montane, già duramente colpito dalla crisi economica e continuamente soggetto all'imprevedibilità delle condizioni meteorologiche;
l'imposizione del pagamento dell'IMU decreta la morte della categoria, una parte essenziale dell'imprenditoria di montagna; gli impianti di risalita svolgono infatti sul territorio un'attività complessa e articolata che va dall'esercizio del trasporto, all'apprestamento dell'innevamento, all'attrezzaggio in sicurezza delle aree sciabili, con forti investimenti anche in infrastrutture di carattere generale (parcheggi, bacini idrici, manutenzione di strade, e altro); senza considerare che il settore attrae turisti italiani e stranieri, alimentando così un importante indotto a vantaggio di molteplici operatori quali albergatori, commercianti, maestri di sci; inoltre, attraverso i costanti ed ingenti investimenti diretti, genera opportunità di reddito per le imprese locali, avviando un processo virtuoso di moltiplicazione finanziaria, con evidenti benefici sia in termini di benessere sociale, che, indirettamente, in termini di introiti per le casse dello Stato;
il fatturato medio lordo del settore si attesta attorno ai 900 milioni di euro, con un indotto a favore della filiera calcolato tra le 5 e le 7 volte a seconda del contesto geografico e della vocazione turistica della località montana; circa il 30 per cento degli incassi viene riversato sul territorio sotto forma di acquisto di beni e servizi forniti da aziende locali, mentre un altro 30 per cento viene erogato ai dipendenti sotto forma di salari e contributi; in un panorama alpino che vede i comuni di montagna morire lentamente per abbandono, è evidente l'importante ruolo economico e sociale svolto delle aziende funiviarie, che evitano lo spopolamento delle aree decentrate ed attraggono capitali dall'estero;
a fronte di questi numeri si deve però evidenziare che il settore sta affrontando notevoli difficoltà, determinate da un incremento degli oneri gestionali che erode sempre più i margini operativi; è sufficiente pensare all'aumento dei costi del personale, dell'energia elettrica e dell'innevamento programmato (circa 30.000 euro per ogni ettaro di pista, con una superficie totale da innevare che, per fare un esempio, solo in provincia di Trento è pari a 1.300 ettari), o ai continui investimenti obbligatori nella sicurezza e nel rinnovo degli impianti, indispensabili per mantenere anche in futuro un vantaggio competitivo sui concorrenti e per attrarre la sempre più esigente clientela straniera o all'aumento dell'IVA dal 4 al 10 per cento del pellet, principale combustibile utilizzato in queste aree per il riscaldamento, considerato un bene di prima necessità in aree climaticamente difficili come quelle montane, e alla stangata dell'IMU sui terreni agricoli che colpisce i tantissimi proprietari di terreni agricoli non ricompresi nell'esenzione senza alcuna considerazione per la bassissima redditività di questi appezzamenti ubicati a ridosso o all'interno di aree geograficamente – ma non giuridicamente – considerate montane, normalmente svantaggianti per le colture;
gli operatori sono così costretti ad affrontare significative criticità sia gestionali sia di contesto e, considerata la variabilità degli incassi dovuta ad una congiuntura economica a dir poco sfavorevole, anche la programmazione di lungo periodo è sempre più difficoltosa;
se il pagamento dell'Imu sulle attività commerciali è sicuramente comprensibile, quello sugli impianti di risalita appare agli interroganti assurdo, dato che tutte le leggi regionali che regolano i servizi pubblici di trasporto di persone esercitati con linee filoviarie, funicolari e funiviarie li definiscono come «funiviari in servizio pubblico per il trasporto di persone nei quali una o più funi vengono utilizzate per costruire vie di corsa e per regolare il moto, anche su apposita sede terrestre, dei veicoli destinati al trasporto di persone o per trainare le persone su apposita pista –:
se non ritenga doveroso, al fine di tutelare la sopravvivenza di un comparto strategico per l'economia turistica della montagna come quello dell'impiantistica di risalita, intervenire con le opportune iniziative, anche di carattere interpretativo, al fine di specificare che i servizi pubblici di trasporto di persone esercitati con linee filoviarie, funicolari e funiviarie rientrano a tutti gli effetti fra i mezzi di trasporto pubblico e pertanto sono soggetti alle stesse agevolazioni fiscali. (5-06454)
PESCO, ALBERTI, FICO, RUOCCO, PISANO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
in un articolo pubblicato sul quotidiano Italia Oggi del 28 marzo 2015, dal titolo «Dirigenti incaricati, i delegati a rischio di misure disciplinari», a firma di Cristina Bartelli si legge testualmente: «In questo scenario di estrema confusione organizzativa, arriva anche la segnalazione di una soluzione limite che aggira la sentenza della Corte Costituzionale. È il caso di un dirigente aggiunto che sebbene funzionario assunto dall'Agenzia delle entrate, è stato messo in aspettativa e dalla stessa agenzia investito dell'incarico di dirigente esterno. Per farlo l'Amministrazione si è avvalsa della possibilità offerta dall'articolo 19, comma 6, sui dirigenti esterni, peraltro utilizzata anche dallo stesso Ministero dell'economia e delle finanze. Una soluzione che fa salvi, per così dire capri e cavoli, in quanto è al riparo dalle censure della Corte Costituzionale e consente al funzionario incaricato di mantenere inalterata anche la retribuzione»;
sul sito dell'Agenzia delle entrate è pubblicato l'elenco dei dirigenti provenienti dall'esterno non inseriti nei ruoli al 1o agosto 2015;
in effetti, nel detto elenco risultano, a quanto consta agli interroganti, anche i nominativi di alcuni dirigenti la cui nomina è stata dichiarata illegittima dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 25 marzo 2015;
le indiscrezioni riportate dalle fonti di stampa sembrano dunque essere confermate dai dati e dalle informazioni pubblicate sul sito istituzionale dell'Agenzia –:
se trovino conferma i fatti descritti in premessa. (5-06455)
GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta scritta:
GIORGIA MELONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
con decreto 12 agosto 2015 recante «Istituzione di Commissioni di studio presso l'Ufficio legislativo e il Gabinetto del ministro» sono state istituite presso il Ministero della giustizia due apposite commissioni, tra loro coordinate, con il compito di realizzare «la prima, uno studio approfondito della materia dell'ordinamento giudiziario», e la seconda, «tenendo conto anche delle iniziative di “autoriforma” e delle proposte del Consiglio Superiore della magistratura, uno studio approfondito dei meccanismi di funzionamento del medesimo Consiglio Superiore della Magistratura»;
all'articolo 1 del predetto decreto si istituisce in particolare, presso l'ufficio legislativo, una commissione di riforma dell'ordinamento giudiziario, presieduta dal professor avvocato Michele Vietti, «incaricata di predisporre uno schema di progetto di riforma dell'ordinamento giudiziario, nella prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione dei profili di disciplina riferiti, in particolare: a) allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria, attraverso una riorganizzazione della distribuzione sul territorio delle corti di appello e delle procure generali presso le corti di appello, dei tribunali ordinari e delle procure della Repubblica ed una collegata promozione del valore della specializzazione nella ripartizione delle competenze; b) all'accesso alla magistratura; c) al sistema degli illeciti disciplinari e delle incompatibilità dei magistrati; d) al sistema delle valutazioni di professionalità e di conferimento degli incarichi; e) alla mobilità e ai trasferimenti di sede e di funzione dei magistrati; f) all'organizzazione degli uffici del pubblico ministero»;
il termine entro il quale i commissari dovranno presentare uno «schema di progetto», con la nuova geografia di corti d'appello, tribunali e procure della Repubblica è fissato al 31 dicembre 2015, salvo proroghe;
non sono stati definiti i criteri che la commissione suddetta dovrà seguire al fine predisporre lo studio con riguardo alla riorganizzare della distribuzione sul territorio delle corti di appello, delle procure generali presso le corti di appello, dei tribunali ordinari e delle procure della Repubblica;
le linee guida della Commissione europea per l'efficienza della giustizia civile (CEPEJ) del Consiglio d'Europa, che mirano a «favorire le condizioni di accesso ad un sistema giudiziario di qualità», redatte il 21 giugno 2013, da un lato riconoscono il valore dell'accesso alla giustizia in termini di vicinanza dei tribunali ai cittadini, dall'altro prescrivono che «dover presenziare a un'udienza fissata la mattina presto per una persona anziana, o per una persona che non guida o non è dotata di mezzo proprio, in assenza di adeguati mezzi di trasporto pubblico, rappresentano tutte situazioni problematiche che possono influire sul diritto di equo accesso alla giustizia»;
il medesimo rapporto, infine, afferma che «Allo stesso tempo non possiamo escludere che ci potrebbero essere situazioni in cui l'autorità costituita potrebbe voler introdurre nuovi Tribunali in modo da ridurre la distanza ai cittadini», valutazione ribadita anche nella successiva revisione del rapporto;
la riforma che ha abolito ed accorpato giudici di pace e tribunali, alla prova dei fatti, non ha portato risultati positivi né in termini di risparmio di spesa né di amministrazione della giustizia,
lo stesso presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa ha affermato che «I nostri riscontri sull'applicazione della riforma della geografia giudiziaria sono negativi»;
la soppressione dei distretti delle corti di appello comporterebbe la chiusura anche della direzione distrettuale antimafia, del tribunale per minorenni, del TAR di Basilicata e dei tribunale per il riesame, con ingente nocumento per la popolazione, e con il risultato non di risparmiare in termini oggettivi ma soltanto di riversare il costo sui cittadini, già gravati per non dire vessati dalla più alta tassazione del mondo;
vi sono regioni, quali la Basilicata, che, a fatica, riescono a contenere la penetrazione della malavita organizzata, e per le quali la chiusura delle direzioni distrettuali antimafia rappresenterebbe l'eliminazione di un presidio fondamentale della lotta alla criminalità;
inoltre, in Basilicata la morfologia prevalentemente montuosa e la situazione infrastrutturale della viabilità sono tali da rendere difficile se non impossibile l'accesso alla giustizia dei cittadini residenti nella regione a fronte della soppressione di distretti delle corti d'appello –:
se non si ritenga opportuno ed urgente definire criteri oggettivi per al commissione di riforma dell'ordinamento giudiziario, presieduta dal professor avvocato Michele Vietti, al fine di rendere la revisione della geografia giudiziaria conforme alle linee guida della Commissione europea per l'efficienza della giustizia civile (CEPEJ) del Consiglio d'Europa;
quali siano le intenzioni del Governo in merito alla soppressione delle orti d'appello che hanno sede soltanto nel comune capoluogo di regione e delle circoscrizioni di corte d'appello che coincidono con il territorio della relativa regione. (4-10462)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazione a risposta in Commissione:
DE LORENZIS e PETRAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la sentenza del Tar della Campania n. 6949 del 29 dicembre 2014 ha accolto il ricorso presentato dalle compagnie di navigazione che operano nel golfo di Napoli, annullando varie delibere regionali per la violazione del regolamento europeo n. 3577/92 sul cabotaggio marittimo, la violazione della disciplina europea in materia di aiuti di Stato, nonché degli articoli 41 e 43 della Costituzione, relativi alla libertà d'impresa e dei principi affermati del giusto procedimento amministrativo nonché del principio del contraddittorio;
il Tribunale amministrativo di Napoli ha quindi annullato la delibera n. 145 della giunta regionale del 12 maggio 2014, con cui si individuavano i due lotti da mettere in gara (lotto Capri e lotto Procida-Ischia) per assegnare i cosiddetti servizi minimi, la delibera n. 191 del 5 maggio 2014 con la quale è stata avviata l'evidenza pubblica della gara per assegnare i cosiddetti servizi all'offerta economicamente più vantaggiosa, ad eccezione di quelli gestiti dalla Caremar (società in via di privatizzazione), la delibera n. 365 dell'8 agosto 2014 con la quale è stato approvato il programma triennale dei servizi minimi esercitati dalla Caremar e da mettere in gara, la delibera n. 172 del 3 giugno 2014 con la quale è stata approvata la proposta di regolamento in tema di servizi marittimi autorizzati, aggiuntivi e non di linea;
il Tar ha statuito che la regione «non può assoggettare ad obbligo di servizio pubblico e a contratti di servizio pubblico servizi che sono già forniti in maniera soddisfacente e a condizioni compatibili con l'interesse pubblico da parte di imprese che operano in normali condizioni di mercato», in ossequio quindi con la direttiva cosiddetto cabotaggio;
con questa importante sentenza, però, si protrae una situazione politicamente insostenibile, che vede compagnie di trasporto marittimo del golfo di Napoli operare in regime di «concessione» delle linee, ovvero in assenza di una regolare gara per l'assegnazione del servizio;
non rientrando le isole del golfo di Napoli della definizione di «piccole isole» ovvero isole dove il numero annuo totale di passeggeri trasportati via mare e dall'isola è di circa 300.000 persone o meno, osservandosi l'ingente traffico di circa 10 milioni di passeggeri che vi transitano ogni anno, non si applica a queste la deroga che ammette un semplice appello formale senza indizione di regolare gara d'assegnazione;
nonostante il perdurare di questa situazione, non risulta all'interrogante alcuna procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia: si sostanzia, però, l'effettiva urgente necessità di adempiere alla normativa europea, al fine di non incorrere in questo rischio –:
se il Ministro sia a conoscenza di questa grave situazione, che potrebbe compromettere i servizi di trasporto ai cittadini, soprattutto per quanto concerne il livello dei prezzi, nonché la qualità del servizio stesso;
come intenda il Ministro assicurare il rispetto del regolamento n. 3577/92 (cosiddetto regolamento cabotaggio) nel golfo di Napoli, anche al fine di evitare una potenziale, quanto non auspicabile, apertura di una procedura d'infrazione ai danni del nostro Paese. (5-06451)
Interrogazioni a risposta scritta:
LOMBARDI, BARONI, DAGA e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la figura del contraente generale è stata introdotta, nell'ordinamento nazionale, dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443, cosiddetta legge obiettivo, che, al fine di snellire e ad accelerare i tempi di realizzazione delle opere pubbliche strategiche, ha delegato il Governo a definirne la relativa disciplina;
successivamente, il relativo decreto delegato 20 agosto 2002, 190 (come modificato dal decreto legislativo n. 189 del 2001), Ministro pro tempore Pietro Lunardi, ha delineato il profilo e le modalità operative del general contractor, attraverso il disposto di cui all'articolo 6 (modalità di realizzazione delle infrastrutture con affidamento al contraente generale), all'articolo 9 (affidamento a contraente generale) e all'articolo 10 (procedura di aggiudicazione al contraente generale), a cui si sono aggiunti gli articoli del Capo II-bis, relativo alla qualificazione dei contraenti generali (dall'articolo 20-bis al 20-undecies), introdotti dal decreto legislativo n. 9 del 2005, istituivo di un sistema di qualificazione dei contraenti generali delle opere strategiche, distinto dal sistema di qualificazione delle imprese meramente esecutrici di lavori pubblici;
è il caso di ricordare che fino all'istituzione del contraente generale la legge quadro sui lavori pubblici n. 109 del 1994 prevedeva due modalità di realizzazione di opere pubbliche: l'appalto e la concessione di costruzione e gestione. In merito all'appalto, la normativa previgente era ispirata dal presupposto generale che, nella maggior parte dei lavori, è opportuno tenere distinta la fase della progettazione da quella della realizzazione dell'opera;
il legislatore ha quindi provveduto ad introdurre, sulla falsariga del modello già operativo in altri Paesi e in linea con il dettato comunitario, la figura del general contractor, inteso quale realizzatore globale dell'opera, ossia di un soggetto organizzato in modo tale da garantire alla pubblica amministrazione committente la realizzazione del lavoro «chiavi in mano» occupandosi anche direttamente della progettazione e della gestione della fase realizzativa dell'opera;
la disciplina del contraente generale è stata poi trasposta (insieme alle altre disposizioni del decreto legislativo n. 190 del 2002), senza modifiche rilevanti, nella Parte II, Titolo III, Capo IV, comprendente gli articoli 161-194, del cosiddetto codice dei contratti pubblici, recato dal decreto legislativo n. 163 del 2006;
con tale decreto, nell'esercizio della delega conferita dall'articolo 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62, (legge comunitaria 2004) per il recepimento delle nuove direttive quadro in materia di appalti (2004/17/CE e 2004/18/CE), il Governo pro tempore, nel riscrivere l'intera legge Merloni ha provveduto ad includervi, ai fini di un coordinamento delle norme esistenti per la creazione di un codice unico dei contratti pubblici, anche le norme dettate per le opere strategiche dal decreto legislativo n. 190 del 2002 e successive modifiche e integrazioni;
gli aspetti fondamentali del nuovo soggetto giuridico sono stati definiti dalla legge n. 443 del 2001, nella cui ottica il general contractor è il soggetto che assume su di sé le funzioni di progettista, costruttore ed in parte di finanziatore dell'opera da realizzare e ne assume, di conseguenza, integralmente la responsabilità economica;
è previsto che esso dovrà essere in grado di garantire la pubblica amministrazione committente, circa i tempi, i costi e la qualità del suo operare, quale contropartita di una possibile scelta «a rischio» della committenza a lui affidata in modo globale;
ciò che lascia perplessi della disciplina in esame è che, all'articolo 164, comma 4, del codice dei contratti pubblici, è stata introdotta la seguente disposizione: «Il soggetto aggiudicatore può affidare al contraente generale, con previsione del bando di gara o del contratto, i compiti del responsabile dei lavori»;
questo significa che controllore e controllato ben possono coincidere;
è quanto si è verificato, per attenersi solo alle più recenti notizie di cronaca giudiziaria, in alcuni contratti firmati da Anas, il cui presidente si è recentemente dimesso, dopo che il gruppo pubblico controllato al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze è finito nelle 268 pagine dell'ordinanza dell'inchiesta Sistema, quella che ha portato all'arresto dell'ex capo struttura di missione delle infrastrutture e dei trasporti Ercole Incalza e alle dimissioni del Ministro Maurizio Lupi;
ma è anche quanto è accaduto con riguardo a una delle opere strategiche individuate dalla «legge obiettivo» del 2001, la metro C di Roma; la vicenda è lunga e assai intricata, per cui è opportuno ripercorrerne le tappe principali;
nelle delibere CIPE n. 65/2003 e n. 105/2004, il comune di Roma veniva individuato quale soggetto aggiudicatore della linea C della metropolitana di Roma;
la delibera CIPE 39/2005 ha deliberato la modifica del soggetto aggiudicatore, alla luce dei seguenti fatti:
il Consiglio del comune di Roma, con delibera del 24 maggio 2004, n. 97, ha ritenuto, in relazione alla rilevanza degli appalti da affidare per l'opera in questione, di accentrare le responsabilità connesse al supporto per la realizzazione dei lavori in capo ad un soggetto appositamente dedicato, cioè la società in house Servizi operativi per la mobilità s.r.l. (S.O.M. S.r.l.), la cui denominazione sociale è stata poi variata in società per la realizzazione delle metropolitane della Città di Roma S.r.l. (abbreviativamente Roma Metropolitane s.r.l.);
la Roma Metropolitane è stata quindi costituita per tutti gli adempimenti e le funzioni finalizzati alla realizzazione, ampliamento, prolungamento e ammodernamento delle linee C e B1 e delle altre linee delle metropolitane di Roma;
il 28 gennaio 2005, il comune di Roma e la società Roma metropolitane hanno sottoscritto una convenzione finalizzata a regolare il rapporto tra i due soggetti; all'articolo 29 si prevede che: «Roma Metropolitane svolgerà altresì l'incarico di responsabile dei lavori per la sicurezza, di cui al decreto legislativo n. 494 del 1996, come modificato dal decreto legislativo n. 528 del 1999 e successive modifiche e integrazioni (...)»;
con bando pubblicato a febbraio 2005, Roma Metropolitane s.r.l. ha indetto la gara per l'affidamento ad un contraente generale della progettazione definitiva ed esecutiva e della realizzazione e direzione lavori e forniture necessarie per la realizzazione della Linea C della metropolitana di Roma da Monte Compatri/Pantano a Clodio/Mazzini; la gara è stata aggiudicata in data 28 febbraio 2006 al raggruppamento temporaneo di imprese ATI Astaldi (composto da Astaldi s.p.a., quale mandataria, e dalle mandanti Vianini Lavori s.p.a., Consorzio Cooperative Costruzioni e Ansaldo Trasporti Sistemi Ferroviari s.p.a.); il 3 aprile 2006, le imprese partecipanti all'ATI Astaldi hanno costituito la Società di progetto Metro C s.c.p.a. che è subentrata, quale contraente generale, nella titolarità dell'aggiudicazione della gara; il 12 ottobre 2006 è stato sottoscritto tra Roma Metropolitane S.r.l. e Metro C s.c.p.a. il contratto di affidamento della progettazione definitiva ed esecutiva, della realizzazione e direzione dei lavori e delle forniture necessari per la realizzazione dell'opera di che trattasi;
nel frattempo, il 17 agosto 2005, è intervenuto il decreto legislativo n. 189 del 2005 che ha introdotto il comma 2-bis del decreto attuativo della «legge obiettivo» (n. 190 del 2002), oggi confluito nell'articolo 164, comma 4, del codice dei contratti pubblici e che, come anticipato, consente al soggetto aggiudicatore di affidare il compito di responsabile dei lavori al contraente generale; solo per completezza, va detto che questa modifica sarebbe stata promossa da Ettore Incalza, il potente dirigente del Ministero arrestato per tangenti dalla procura di Firenze;
dunque, Roma metropolitane ha disatteso l'articolo 29 della convenzione con il comune di Roma (in base al quale avrebbe potuto nominare il responsabile dei lavori), in ossequio alla facoltà accordatale invece dalla nuova normativa nazionale;
il consorzio Metro C ha nominato così Reginaldo Iori e, alla fine, chi esegue i lavori controlla anche come vengono spesi i fondi –:
se il Ministro interrogato non reputi assolutamente improcrastinabile, anche alla luce delle contingenti vicende giudiziarie in materia di appalti pubblici, un'iniziativa normativa volta ad eliminare in radice la possibilità che soggetto controllore e soggetto controllato coincidano o siano tra loro dipendenti e pertanto se non intenda assumere iniziative affinché, al comma 4 dell'articolo 164, venga soppressa la disposizione in base alla quale «Il soggetto aggiudicatore può affidare al contraente generale, con previsione del bando di gara o del contratto, i compiti del responsabile dei lavori». (4-10452)
ARTINI, BALDASSARRE e SEGONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il Consiglio dei ministri del 27 agosto 2015, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, «ha approvato in esame definitivo d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, sentita l'Agenzia del Demanio, con il parere del Consiglio di Stato e delle commissioni parlamentari competenti, uno schema di decreto del Presidente della Repubblica recante l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale, ai sensi dell'articolo 698 del codice della navigazione»;
il resoconto del Consiglio dei ministri sottolinea: «In linea con l'obiettivo di razionalizzazione del settore, il provvedimento individua dieci bacini di traffico omogeneo, secondo criteri di carattere trasportistico e territoriale. All'interno di questi, identifica 38 aeroporti di interesse nazionale, scelti sulla base di criteri riconducibili al ruolo strategico, all'ubicazione territoriale, alle dimensioni e tipologia di traffico e all'inserimento delle previsioni dei progetti europei della rete Treanseuropea dei trasporti. (...) Per ognuno dei dieci bacini, vengono indicati gli aeroporti “che rivestono particolare rilevanza strategica”: Milano Malpensa e Torino; Venezia; Bologna, Firenze/Pisa; Roma Fiumicino; Napoli; Bari; Lamezia Terme; Catania; Palermo; Cagliari»;
il piano menziona al punto 16.2 una riduzione sostanziale del traffico su Ciampino a causa del forte impatto ambientale e dei rischi volo connessi visto lo sviluppo urbanistico dell'area prospiciente l'aeroporto tanto da prevedere quasi un dimezzamento (dai 4,7 milioni di passeggeri attuali ai 3 milioni di passeggeri);
l'Enac è stata costretta a ritirare il masterplan dell'aeroporto di Treviso che prevedeva uno sviluppo da 2,2 milioni di passeggeri a 4,5 milioni di passeggeri a causa della vicinanza della pista con le aree residenziali;
l'ENAC ha presentato un masterplan per il nuovo aeroporto di Firenze tuttora in fase di valutazione di impatto ambientale che prevede un similare sviluppo a quello previsto per Treviso quindi da 2 milioni di passeggeri a 4,5 milioni di passeggeri considerando però che nell'area limitrofa alla nuova pista di Firenze Peretola, già estremamente urbanizzata, sono previste in un raggio di 3 chilometri altre sette opere ad elevato impatto: Scuola marescialli, piano residenziale Unipol Castello, nuovo mercato ortofrutticolo, nuovo stadio ACF Fiorentina con annessi alberghi e shopping mall, terza corsia A1/A11, nuovo centro logistico e distribuzione Esselunga, nuovo inceneritore di rifiuti, oltre ovviamente alla nuova pista;
il proponente del progetto dichiara apertamente l'aumento del rischio idrogeologico a causa dello spostamento del Fosso Reale, aumento del rischio che l'ultimo decreto-legge n. 133 «Sblocca Italia» sanava alla luce di due procedure di infrazione dell'Unione europea;
gli orientamenti prescrittivi sugli aeroporti ed i relativi criteri di valutazione TEN-T contenuti nel regolamento (UE) 1315/2013 e la comunicazione della Commissione di cui alla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea 2014/C 99/03 del 4 aprile 2014 sarebbero stati disattesi. In particolare, con la classificazione di Pisa e Firenze come aeroporti strategici, non sarebbero stati valutati i requisiti dei bacini di utenza e delle connettività TAV. Inoltre, le motivazioni del piano nazionale aeroporti, richiamando l'unione economica delle due infrastrutture come presupposto per ottenere tale status strategico, risulterebbero in contrasto con quanto disposto dalla comunicazione sopra citata sugli «Orientamenti sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree». Specificatamente la nota 88 al punto 101 della sezione 5 della comunicazione sopra citata relativo alla tabella riassuntiva sulle «intensità massime di aiuto ammissibili in funzione della dimensione di un aeroporto misurata secondo il numero di passeggeri all'anno» chiarisce che: «Se un aeroporto fa parte di un gruppo di aeroporti, il volume di passeggeri è stabilito sulla base di ogni singolo aeroporto». La nota sembra quindi indicare la necessità di valutazioni sul singolo aeroporto anche se parte di aggregazione;
se l'unione economica e finanziaria fosse la reale motivazione di merito, anche l'aeroporto di Ciampino, di proprietà di ADR, dovrebbe essere classificato strategico alla stessa maniera di quello di Treviso essendo di proprietà della SAVE di Venezia;
la classificazione aeroportuale delle piste di Pisa e Bologna è attualmente 4D, mentre quella di Firenze avrebbe addirittura lo status di 4D/E, quindi maggiore anche dell'aeroporto «strategico» di Bologna menzionato nella lista TEN-T –:
se i Ministri interrogati, in considerazione di quanto riportato in premessa, non intendano chiarire le motivazioni relative alle difformità della classificazione degli aeroporti di Firenze-Pisa come strategici, e le differenti classificazioni rispetto ad aeroporti similari o che già prevedono un'unione economica e finanziaria, quali Roma Ciampino e Roma Fiumicino, gestiti da ADR, e Treviso-Venezia gestiti da Save Spa;
se non intendano chiarire le motivazioni relative alle difformità di valutazione ambientale, considerato che per Treviso e Ciampino vengono adottate valutazioni «precauzionali», circa il rischio ambientale, mentre per Firenze, in presenza di una situazione orografica-ambientale peggiorativa aggravata dall'aumento del rischio idrogeologico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sembra intenzionato a procedere attraverso autorizzazioni in deroga.
(4-10455)
INTERNO
Interrogazioni a risposta in Commissione:
QUARANTA, DURANTI, PIRAS, RICCIATTI, FRANCO BORDO, MELILLA, PANNARALE e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
a Ventimiglia (IM); in seguito alla chiusura della frontiera da parte della Francia avvenuta nel giugno 2015 sono ad oggi accampati oltre 400 migranti divisi fra il campo della Croce Rosse ed il campo «No Borders» autogestito da un gruppo di attivisti e dai migranti stessi;
suddetti attivisti provvedono, sin dai primi giorni della protesta ed in maniera autonoma e gratuita, a varie forme di sostentamento e di aiuto nei confronti degli stranieri in attesa della riapertura della frontiera, come l'approvvigionamento di acqua potabile e di corrente elettrica nonché la costruzione di bagni e docce;
diversi attivisti del movimento non sono residenti a Ventimiglia (IM) ma nei comuni limitrofi;
a quanto si apprende da organi di stampa, diversi attivisti del campo «No Borders» sono stati raggiunti nelle ultime settimane da 20 denunce per manifestazione non autorizzata e occupazione abusiva di suolo pubblico, oltre che da 8 fogli di via che vietano di permanere in città per tre anni;
fra le motivazioni alla base dell'atto amministrativo sopra citato (e che in caso di violazione si riconfigurerebbe in reato penale) c’è la considerazione degli attivisti come soggetti «socialmente pericolosi». Si legge inoltre che la decisione viene presa «ritenuto che in quel Comune non vi ha residenza né alcuna regolare occupazione lavorativa, e che si reca allo scopo di reiterare quei reati che creano allarme sociale, nonché valutata l'urgente necessità di allontanare (il soggetto) dal Comune di Ventimiglia in quanto si ha fondato motivo di reputarlo elemento pericoloso per l'ordine e la sicurezza pubblica»;
in una situazione straordinaria come quella che sta vivendo il Paese, dato il flusso migratorio che interessa tutto il mediterraneo, ogni forma di solidarietà e di aiuto diretto ed indiretto sono necessarie ed indispensabili;
durante una manifestazione svoltasi nei giorni scorsi, che prevedeva il blocco temporaneo e pacifico della carreggiata antistante la frontiera, diversi manifestanti sono stati caricati anche con l'uso dei manganelli dalle forze dell'ordine –:
se sia a conoscenza di quanto espresso in premessa;
se non intenda avviare una verifica volta ad acclarare la fondatezza delle motivazioni alla base dei provvedimenti in questione. (5-06460)
SCUVERA e FOSSATI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
da organi di stampa si apprende che il sindaco del comune di Mortara, in provincia di Pavia, ha minacciato sanzioni per la società sportiva locale Mortara calcio, per aver messo a disposizione alcuni campi da calcio alla squadra amatoriale composta di profughi di origine africana sbarcati in Sicilia e attualmente ospitati dalla cooperativa sociale Faber nelle sue quattro strutture;
il sindaco ha paventato l'eventualità di annullare la convenzione stipulata col Mortara calcio per l'utilizzo del terreno di gioco a seguito della concessione fatta ai profughi;
la prefettura di Pavia, con cui la cooperativa sociale Faber collabora nella gestione delle problematiche inerenti ai rifugiati, ha invitato quest'ultima a proseguire con il progetto anche in vista della partecipazione ad un campionato di calcio amatoriale, vero obiettivo della squadra di nuova formazione;
al fine di realizzare il progetto si è manifestata una forte solidarietà in vari comuni della provincia, come quello di Pavia;
le motivazioni addotte dal sindaco di Mortara a giustificazione delle paventate sanzioni per la società sportiva e del non assenso a che i profughi giochino in città, riguardano soprattutto le presunte lamentele della cittadinanza per il mancato esborso economico da parte dei profughi a fronte dell'utilizzo dei campi di calcio, mentre i genitori dei bambini che frequentano il Mortara calcio devono corrispondere un contributo annuale, una motivazione a parere degli interroganti inaccettabile –:
di quali elementi disponga il Ministro interrogato e se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, finalizzate a valorizzare e promuovere attività e progetti di accoglienza e integrazione, come quello descritto in premessa, contrastando ogni forma di discriminazione. (5-06461)
Interrogazioni a risposta scritta:
FUCCI e DISTASO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
un gravissimo fatto di criminalità, l'omicidio di un cittadino ucciso da diverse coltellate nel tentativo di fare da paciere nel bel mezzo di una violenta rissa in pieno centro, ha colpito e commosso la città di Trani e i suoi abitanti, riaccendendo l'allarme sicurezza a causa di una preoccupante escalation di episodi criminali che infondono un senso di insicurezza e smarrimento nella popolazione;
tra l'ottobre 2013 e gli ultimi mesi, in particolare, vi sono stati omicidi, sparatorie e altri gravissimi episodi. Inoltre, vi è una diffusa microcriminalità fatta di scippi e furti di automobili e di motorini;
nell'estate appena trascorsa, durante i mesi di luglio e agosto 2015, risulta agli interroganti che ci sono stati numerosi furti in appartamenti, anche in pieno giorno;
quanto descritto (nel cui ambito va fatto rientrare anche un episodio a forte impatto mediatico: il furto recentemente perpetrato a danno del noto giornalista RAI Osvaldo Bevilacqua, recatosi a Trani per girare una puntata del suo programma) causa anche un grave danno di immagine, con le conseguenze del caso a livello turistico e quindi economico, a una delle città più visitate della Puglia;
a parere degli interroganti è importante e necessario che le strutture preposte intervengano per un rafforzamento operativo e gestionale dei dispositivi di sicurezza presenti in una città capoluogo di provincia e molto popolosa come Trani –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e, nell'ambito delle sue competenze, quali iniziative ritenga opportuno intraprendere al fine di contrastare e ove possibile prevenire questa grave escalation. (4-10447)
SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nella città di Biella sono arrivati negli ultimi due mesi autonomamente circa 80 cittadini pakistani, flusso di per sé anomalo, estraneo all'organizzazione per così dire di «Mare Sicuro», Triton o dell'Eunavformed;
l'ingresso nel nostro Paese dei migranti clandestini pakistani avviene infatti alle frontiere nord-orientali, dopo un lungo viaggio attraverso la Grecia, i Balcani e talvolta l'Austria;
per recarsi a Biella, i pakistani hanno quindi percorso non meno di 600 chilometri di territorio italiano;
nel corso del loro lungo viaggio nella Pianura Padana, benché questa sia un'area ad alta densità abitativa, non risulta che ai pakistani arrivati a Biella sia mai stato chiesto di mostrare i documenti personali né che abbia avuto luogo nei loro confronti alcuna procedura di identificazione, fotosegnalazione o rilevazione delle impronte digitali;
arrivati a Biella, i pakistani si presentano alla questura locale per avviare le pratiche finalizzate alla richiesta di concessione dell'asilo politico a valle della loro prima identificazione;
non essendo Biella una città di transito, è forte il sospetto nell'interrogante che i pakistani che vi giungano lo facciano dietro segnalazione od invito di qualcuno, che agirebbe pertanto da basista –:
per quale ragione i pakistani in entrata nel territorio nazionale alla frontiera di Nord Est non siano sottoposti ad alcun controllo;
come sia possibile che giungano indisturbati sino a Biella, percorrendo 600 chilometri senza subire alcun controllo o accertamento;
se al momento dell'identificazione, al di là della compilazione burocratica della pertinente documentazione per la richiesta d'asilo, sia possibile alla questura avviare una procedura di controllo sulle modalità utilizzate, i percorsi e le motivazioni che conducono autonomamente a Biella i cittadini extra comunitari pakistani;
se il Governo abbia elementi per ritenere che il flusso diretto a Biella sia organizzato o comunque assistito da un basista locale. (4-10451)
COLONNESE, LOREFICE, BRESCIA, MICILLO, SIBILIA, TOFALO e FICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
una giovane donna eritrea, probabilmente minorenne, il giorno 21 settembre 2015 è stata travolta e uccisa sulla circumvallazione esterna di Giugliano. La giovane era giunta a Giugliano dalla Sicilia nella stessa mattinata ed era stata trasferita nel centro di accoglienza di Ponte Riccio, località di Giugliano a pochi passi da dove è stata travolta, gestito dalla cooperativa «Homo Diogene». La giovane eritrea insieme con altre sei connazionali, in gran parte minorenni, aveva deciso di allontanarsi dalla struttura dove era ospite. Secondo quanto riferito dagli operatori del centro, il gruppo di giovani aveva manifestato difficoltà nel trovarsi sotto lo stesso tetto con migranti di alcuni gruppi etnici già ospitati nella struttura. L'associazione Homo Diogene alla quale la prefettura di Napoli quest'estate ha affidato (pare senza bando) la gestione di uno dei tantissimi spazi destinati all'accoglienza dei profughi a Giugliano, è presieduta da Mauro Anderini ed era già salita agli onori della cronaca per i disordini e le tensioni sociali nel centro di accoglienza che gestisce a Campiglia Marittima, in provincia di Livorno. La società guidata da Mauro Andreini ha gestito decine di altri migranti introducendosi nell'emergenza migranti in Campania che ha fatto arrivare a un livello di saturazione il comune di Giugliano indurre la prefettura partenopea ad escluderlo da ogni nuova assegnazione di stranieri –:
se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
quali siano le misure adottate per la tutela delle donne e dei minori ospitati;
se intenda fornire informazioni circa la gara d'appalto indetta per stabilire quale associazione e quali strutture si sarebbero occupate dell'accoglienza;
quali risultino essere le modalità operative dell'associazione vincitrice;
se sia stata verificata l'effettiva sussistenza nelle strutture ospitanti di adeguati requisiti igienico-sanitari e di sicurezza e quale sia la frequenza con la quale i migranti ospiti del centro sono seguiti dai mediatori culturali. (4-10454)
RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il sito internet istituzionale del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile è mantenuto e gestito con l'uso di risorse umane e strumentali del dipartimento stesso, in attuazione del decreto legislativo 7 marzo 23005, n. 82;
le linee guida per i siti web delle pubbliche amministrazioni previste dalla direttiva n. 8 del 2009 del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione elencano in modo chiaro i contenuti minimi dei siti delle amministrazioni pubbliche;
l'informazione sulle attività dei vertici politici delle tra i contenuti essenziali dei siti;
per quanto riguarda il sito del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile esso appare all'interrogante prevalentemente finalizzato a pubblicizzare le attività del Sottosegretario all'interno Bocci, con una elencazione dettagliata di tutte le sue visite presso le strutture del Corpo, tra le quali sono valorizzate quelle nell'area del suo collegio elettorale, come si evince ad esempio dalla notizia in evidenza del 14 settembre 2015, in cui si fornisce un dettagliato resoconto del fatto che lo stesso si è recato a Spoleto, per la presentazione dell'opuscolo della Scala Romana alla presenza del capo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
di contro la funzione principale del sito internet istituzionale del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, individuata dalle citate linee guida, è relegata a pagine del sito non facilmente individuabili, in quanto le sezioni dedicate alle notizie del tipo di quelle appena descritte occupano, secondo l'interrogante, la maggior parte dello spazio visivo della home page –:
se sia informato dei fatti di cui in premesse se non ritenga di promuovere le opportune iniziative al fine di adeguare il sito internet di cui in premessa alla propria funzione istituzionale. (4-10461)
COMINELLI, LAVAGNO e RAMPI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nei giorni scorsi, in concomitanza con la riapertura delle scuole, il sindaco del comune di Prevalle, Amilcare Ziglioli, si è servito dei pannelli a led normalmente utilizzati per le informazioni di pubblica utilità per mandare ai cittadini un messaggio del tutto ideologico che riportava la seguente frase: «L'amministrazione comunale è contraria all'ideologia gender». L'idea, evidentemente, è stata apprezzata da un collega di partito e sindaco del comune di Capriolo, Luigi Vezzoli, che l'ha riproposta tal quale nel suo paese;
l'iniziativa ad avviso degli interroganti oltre a rappresentare un comportamento di dubbia legittimità nonché una prepotenza nei confronti della libertà di pensiero dei cittadini, appare tanto più grave e del tutto fuori luogo proprio perché messa in campo da sindaci che dovrebbero agire nell'interesse generale e comunicare informazioni corrette e veritiere. In questo caso, invece, si brandisce come una clava, ad uso di un'ideologia personale, una notizia del tutto priva di ogni fondamento;
purtroppo, il caso dei due comuni bresciani, rappresenta solo la punta dell'iceberg di un allarme artatamente diffuso nel nostro Paese, secondo il quale il Governo nella riforma scolastica avrebbe inserito l'insegnamento della «teoria gender», recependo le linee guida prescritte dall'Organizzazione mondiale della sanità per l'educazione sessuale nelle scuole. Si tratta di un tentativo volto a spaventare i genitori circa l'educazione dei propri figli, e attraverso vari mezzi di comunicazione si sta diffondendo nella popolazione questa vera «bufala» mediatica. La cosiddetta «teoria gender» in realtà non esiste, non se ne trova traccia né nel documento dell'Organizzazione mondiale della sanità, né tantomeno del testo di legge sulla riforma scolastica italiana;
nello specifico nel documento dell'Organizzazione mondiale della sanità si spiega la necessità fare educazione sessuale non solo al negativo, ovvero parlando dei rischi connessi alla sessualità (malattie sessualmente trasmesse e gravidanze indesiderate), ma anche fornendo una visione «olistica» più positiva, ovvero un approccio che metta in luce come la sessualità sia un'area determinante dello sviluppo della persona, considerandone i vari stadi di sviluppo. Ma quel bisogna chiarire è che le indicazioni fornite dall'Organizzazione mondiale della sanità, condivisibili o meno, non entrano in alcun modo nella legge sulla scuola recentemente approvata;
in particolare la legge n. 107 del 2015 di riforma del sistema nazionale di istruzione, approvata dal Parlamento, non richiama in nessun modo il documento dell'Organizzazione mondiale della sanità. Il testo del comma 16, che è al centro del dibattito prevede: «Il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all'articolo 5-bis, comma 1, primo periodo, del predetto decreto-legge n. 93 del 2013»;
i richiami di legge contenuti nel testo fanno riferimento: al recepimento della Convenzione di Istanbul, ovvero la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica; alla legge che promuove un piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere e contro ogni forma di discriminazione. Nessun riferimento, dunque, alla volontà di insegnare agli studenti, contro il volere delle famiglie, nessuna «fantomatica» e inesistente teoria;
appare grave l'atto messo in campo dai sindaci di Prevalle e Capriolo, ad avviso degli interroganti, mosso esclusivamente dalla volontà di esprimere il proprio personale credo politico;
un tale atteggiamento, secondo gli interroganti, è del tutto contrario ai doveri di un buon amministratore che al contrario, non dovrebbe promuovere motivi di tensione tra la popolazione, né tantomeno diffondere notizie tendenziose utilizzando — ad aggravante — strumenti di pubblica utilità –:
quali iniziative, per quanto di competenza, intenda mettere in campo, per scongiurare che un simile episodio possa ripetersi. (4-10463)
CARIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il commissariato di pubblica sicurezza di Bitonto ha attualmente in organico 38 operatori in servizio di polizia; la pianta organica prevista nelle tabelle del decreto ministeriale 1989 è di 47 unità di personale che espleta servizio di polizia; questi uomini e donne operano su un territorio, urbano ed agricolo, fra i più vasti e popolati della provincia di Bari e con un indice di criminosità fra i più alti della regione intera; la popolazione residente nel comune di Bitonto è di circa 64.000 abitanti e risulta distribuita in tre centri abitati includendo le due frazioni di Palombaio e Mariotto distanti rispettivamente circa 10 e 15 chilometri dal centro città; a fronteggiare continui eventi delittuosi, che spaziano dai furti di auto e furti in abitazione, ai più gravi scontri a mano armata tra diversi clan malavitosi, vi sono, oltre agli uomini e donne del commissariato di pubblica sicurezza, circa 12 militari della locale stazione carabinieri e circa 16 finanzieri della locale tenenza della guardia di finanza (che operano anche su altre città limitrofe);
è evidente che pur essendo possibile e realizzabile garantire la presenza di una pattuglia addetta al controllo del territorio nell'arco delle 24 ore, è anche vero che un così esiguo dispiegamento di forze non è sufficiente ad assicurare un livello ottimale di presenza su tutto il territorio comunale ed un adeguato e duraturo contrasto degli eventi criminosi oltre che una profonda azione preventiva nei confronti di fatti che soffocano l'economia ed il vivere civile della città di Bitonto;
è fuori di dubbio che un adeguamento di organico e mezzi, anche ai livelli di quanto previsto dalla non recente decretazione ministeriale del 1989, gioverebbe al miglioramento della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica ed alla «copertura» ottimale di tutto il territorio di Bitonto e delle relative frazioni;
sia nell'area della città metropolitana di Bari che nel comune di Bitonto molteplici sono stati, e ancora oggi sono, i fatti criminosi, a fronte dei quali, i cittadini di suddette zone geografiche, rimangono vittime quotidianamente;
nel sentire comune si diffonde un senso di profonda insicurezza e di totale assenza di tutela alla sicurezza da parte dello Stato, garante ai sensi dell'articolo 22 della Costituzione italiana;
da fonti di cronaca del periodo da fine luglio 2015 ad oggi si evidenzia quanto segue:
in data 29 luglio 2015 avveniva una sparatoria poco prima delle 20,30 in via Berlinguer, alla periferia di Bitonto. La stessa strada in cui ogni martedì si svolge il mercato settimanale della città;
in data 17 agosto 2015 si torna a sparare a Bitonto dove da anni i clan rivali si fronteggiano a colpi di pistola. I colpi sparati sono stati dieci, di cui uno inesploso. Le forze dell'ordine erano intervenute in seguito alla chiamata di un cittadino al 113 all'angolo tra via Saracino e via Piepoli;
in data 18 agosto 2015 in tarda mattinata un uomo ha telefonato al 113, dicendo di aver sentito alcuni colpi di pistola in via Carlo Rosa molto vicino alla villa comunale. Stavolta due persone a bordo di una moto hanno raggiunto una zona centrale e molto frequentata della città da anziani e bambini che in estate affollano la villa, e hanno esploso cinque colpi di pistola contro un furgone bianco. A terrorizzare i bitontini sono i due clan locali che si contendono i traffici illeciti: i Cassano e i Conte;
dopo la sparatoria in via Piepoli, la polizia è entrata in azione a Bitonto in una vasta operazione di contrasto alle attività illecite. Gli uomini del commissariato, col supporto degli agenti della squadra mobile di Bari e con l'ausilio di un'unità cinofila del nucleo di Modugno, hanno messo al setaccio le principali piazze di spaccio di droga della città. I controlli, partiti già in prima mattinata, si sono concentrati in particolare sul complesso di edilizia popolare di via Crocifisso e su quello di via Senatore Angelini. Si tratta di due «enclave» del clan «Cassano», scenari di due diversi episodi intimidatori, avvenuti nei mesi scorsi, durante i quali furono esplosi numerosi colpi d'arma da fuoco. I movimenti della polizia hanno provocato agitazione fra gli affiliati dei gruppi malavitosi, che hanno iniziato a presidiare il territorio con vedette a bordo delle utilizzatissime bici elettriche. L'intento delle forze dell'ordine è quello di frenare in qualche modo il traffico di armi, che alimenta continuamente i clan locali e che sempre più spesso preferiscono dirimere i contrasti fra gruppi rivali confrontandosi con pistole e mitragliatori in pugno;
in data 20 agosto 2015 si è tenuto un vertice straordinario in prefettura per fare il punto sulla situazione che si sta verificando a Bitonto, all'indomani delle due sparatorie in poco più di 24 ore che hanno messo a ferro e fuoco il paese in provincia di Bari. All'incontro hanno partecipato il procuratore aggiunto di Bari Pasquale Drago, il procuratore della Repubblica di Bari Giuseppe Volpe, il sindaco di Bitonto e il sindaco di Bari. I controlli delle forze dell'ordine aumenteranno, con pattuglie della polizia che gireranno per le strade del centro cittadino «I clan del territorio – ha dichiarato Drago – stanno vivendo una fase di transizione perché, con i capi detenuti in carcere, sono in corso guerre interne ai gruppi criminali e Bitonto ne è un esempio»;
in data 23 agosto 2015 era pronto a uccidere, a fare fuoco con la sua mitraglietta Skorpion contro uno dei componenti del clan rivale. Ma più rapidi di Giuseppe Cassano, 45enne a capo dell'omonimo clan, sono stati gli agenti del commissariato di Bitonto che lo hanno arrestato e portato in carcere. L'uomo, che ha già precedenti penali per omicidio, era fermo nei pressi della sua abitazione, in via del Crocifisso, quando è stato visto e bloccato dalla polizia. Con lui c'erano alcuni familiari e amici, proprio come accadde solamente due anni fa. L'arma era carica e aveva il colpo in canna: si ipotizza, quindi, che sarebbe stata usata per uccidere qualcuno del clan Conte, ex alleato nella guerra contro i Cipriano, e ora rivale per la gestione dei business illeciti a Bitonto, in particolare dello spaccio di sostanze stupefacenti. Non si può neanche escludere che girasse 2 armato per difendersi in caso di agguati;
in data 24 agosto 2015 è avvenuta un'ennesima sparatoria nella zona delle palazzine di edilizia popolare fra via Raffaele Comes e via D'Azeglio, a non molta distanza dalla villa comunale e dal Santuario dei Ss. Medici. Qui sono stati esplosi 5 proiettili ad altezza d'uomo, uno dei quali ha trapassato un pilastro a circa 30 centimetri dal suolo, anche se gli uomini della Scientifica sono riusciti a recuperare solo 3 ogive. Chi ha sparato, non voleva solo intimidire ma di certo almeno ferire. In un attimo si è scatenato il trambusto sotto il porticato e nella via adiacente, con gente che ha iniziato a scappare e a nascondersi in tutte le direzioni. I sicari hanno sparato verso un porticato sotto cui stazionavano alcune persone riuscite a sfuggire ai proiettili. È probabile che al momento della sparatoria, complice il buio in cui è avvolto l'intero quartiere, dalla villa comunale, fino al Santuario dei Santi Medici, fossero all'opera alcuni pusher. Nemmeno l'importante dispiegamento di uomini e mezzi sul territorio, con pattuglie di polizia e carabinieri che presidiano costantemente le strade della città, sembra, al momento, riuscire a frenare la violenza dei malviventi. I sicari sono entrati nell'atrio del condominio per arrivare fino a un porticato, in un'area in cui è difficile fuggire in fretta senza rischiare di restare bloccati. Una zona nota per essere un centro di spaccio del quartiere. Il dato che preoccupa maggiormente è il fatto che al momento della sparatoria in città numerose pattuglie delle forze dell'ordine (7 tra polizia e carabinieri) fossero impegnate a presidiare il territorio. Un particolare che non sembra aver in alcun modo intimorito gli esponenti dei piccoli gruppi criminali che si stanno affrontando in questi giorni sulle strade bitontine a colpi d'arma da fuoco –:
se il Ministro sia stato messo a conoscenza dell'intensificarsi di fenomeni criminosi nel comune di Bitonto e della provincia di Bari;
quali iniziative intenda assumere a partire dal potenziamento dell'organico, dall'auspicabile insediamento di un avamposto di forze dell'ordine (nelle piazze principali delle due frazioni) e dal potenziamento del servizio di videosorveglianza in tutte le aree non ancora coperte da tale servizio; quali iniziative si intendano assumere al fine di intensificare le azioni di prevenzione e repressione condotte dalle forze di polizia nel centro urbano di Bitonto, di concerto con le amministrazioni locali ed in sinergia con tutte le forze dell'ordine presenti sul territorio, seppur nell'ambito della riorganizzazione e razionalizzazione dei Corpi di polizia e dei Corpi armati, al fine di garantire un maggior presidio delle forze dell'ordine nelle zone del Mezzogiorno maggiormente interessate da fenomeni di criminalità organizzata: se si intendano adottare provvedimenti al fine di potenziare, nella città di Bari e in tutto il territorio pugliese, l'organico delle medesime in modo da poter fronteggiare e contrastare efficacemente fenomeni criminali garantendo alla cittadinanza e alla popolazione la concreta attuazione del diritto alla sicurezza, riconosciuto dalla Carta Costituzionale italiana, all'articolo 22, ed eliminare, altresì, gli ostacoli e disincentivi, che le condotte criminose di specie comportano alle attività commerciali e imprenditoriali della zona. (4-10464)
FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il sindaco di Mortara, in provincia di Pavia, Marco Facchinotti, ha impedito che nel campo di calcio del suo paese, di proprietà comunale, si allenassero con la locale squadra di calcio, una quarantina di migranti richiedenti asilo;
la squadra di Mortara e la cooperativa che si occupa dei migranti avevano trovato un accordo per un'attività che avrebbe aiutato il processo di integrazione;
secondo quanto si apprende da notizie di stampa, pare che sia intervenuto il sindaco, minacciando la società calcistica di revocare la convenzione grazie alla quale ha in gestione il campo comunale e per la quale percepisce un contributo di 40 mila euro l'anno, qualora non fosse stato interrotto l'accordo fra la società calcistica e la cooperativa;
pare, inoltre, che il sindaco abbia detto: «Noi non vogliamo che persone con uno status ibrido si allenino sui campi di calcio del comune di Mortara» –:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti riportati e se non intenda promuovere iniziative di sensibilizzazione sul tema dell'accoglienza dei migranti e del contrasto alla discriminazione razziale, valorizzando e favorendo la diffusione di modelli di integrazione, come quello avviato a Mortara tra la locale squadra di calcio e la cooperativa che si occupa dei richiedenti asilo. (4-10465)
PAGLIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
in data 31 marzo 2015 è stata presentata a prima firma del sottoscritto un'interrogazione relativa alle attività nel settore del gioco d'azzardo della famiglia Femia, indagata nel processo Black Monkey presso il tribunale di Bologna;
in tale interrogazione si chiedeva in particolare se si ritenesse corretto e normale che la neo-costituita società Starvegas srls, con socio e amministratore unico la compagna di Rocco Maria Nicola Femia, potesse operare dopo che analoga società intestata a Guendalina Femia era stata colpita da interdittiva antimafia;
nel maggio 2015 la Starvegas di Guendalina Femia cessava la propria attività, mentre la Starvegas srls si trasferiva a Milano e veniva apparentemente ceduta a terzi;
il 10 settembre 2015 la Corte di San Marino condannava inoltre Guendalina Femia e il compagno Giannalberto Campagna a 4 anni e 6 mesi di carcere, 2.000 euro di multa, 1 anno e 4 mesi di interdizione dai pubblici uffici e dai diritti politici, oltre alla confisca di euro 1.298.498,53, per il reato di riciclaggio;
oggi si apprende che la società Starvegas srls, con sede legale a Milano e sede operativa a Lugo (RA), sarebbe in procinto di lanciare una nuova linea di slot machine denominata Le Sirene, con tanto di partecipazione alla prossima fiera Enada in ottobre a Roma;
è curioso che una delle mail pubbliche di Starvegas srls sia guendalina@starvegassrl.it –:
se non ritenga necessario assumere iniziative per evitare che attività colpite da interdittiva antimafia possano di fatto continuare ad operare in un settore a rischio come il gioco d'azzardo, anche quando collegate a soggetti già condannati per reati gravi e con altri processi in corso. (4-10466)
VALLASCAS, DELLA VALLE, CANCELLERI, DA VILLA, COLLETTI, BENEDETTI e PARENTELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nel mese di agosto 2015, è stata notificata a undici ex operai dell'impianto di alluminio Alcoa di Portovesme, in Sardegna, una denuncia per reati che sarebbero stati compiuti nel corso di una manifestazione sindacale svoltasi a Roma il 10 settembre 2012;
in particolare, secondo le denunce, si configurerebbero ipotesi di reato quali lesioni, resistenza a pubblico ufficiale, esplosioni pericolose;
le manifestazioni, come quella svoltasi a Roma, rientrano nel diritto, costituzionalmente tutelato, del lavoratore di scioperare e manifestare a salvaguardia del lavoro e della qualità delle condizioni economiche, ambientali e contrattuali in cui si svolge;
nel caso specifico, la manifestazione di Roma, organizzata dalle forze sindacali, sembra sia stata coordinata anche con la presenza di un servizio d'ordine del sindacato al fine di garantire il corretto svolgimento della manifestazione, ridurre al minimo i disagi alla cittadinanza e collaborare con le forze dell'ordine;
gli ex operai dell'Alcoa manifestavano nell'ambito della vertenza Alcoa, in previsione dell'interruzione dell'attività dell'impianto (poi definitivamente chiuso nel successivo mese di novembre) dopo anni di precariato e incertezze, testimoniato dai continui passaggi di mano dell'impianto (da prima Aluminia, Alasar e Alumix);
è il caso di rilevare che la notifica di denuncia giunge in una fase della mobilitazione degli ex operai dell'Alcoa in cui era atteso un pronunciamento da parte della Commissione europea sulla richiesta del Governo italiano in merito al costo dell'energia (è in corso una trattativa con la società svizzera Glencore che ha manifestato interesse all'acquisizione dell'impianto in caso si creassero alcune condizioni tra le quali assume particolare rilevanza l'abbattimento dei costi energetici);
invece di ricevere notizie sull'eventuale risoluzione della vertenza, gli ex operai sono stati denunciati per fatti accaduti a distanza di tre anni, determinando, tra le altre cose, un clima d'opinione sfavorevole nei confronti di una vertenza che ha una straordinaria rilevanza per il territorio interessato e la Sardegna;
la denuncia nei confronti degli ex operai dell'Alcoa porrebbe i manifestanti nella stessa condizione di persone pericolose per l'ordine pubblico e la pacifica convivenza dei cittadini e non già, come dovrebbero essere realmente, di cittadini impegnati a difendere il diritto al lavoro con strumenti previsti dalla normativa vigente e in un contesto di legalità e di rispetto per le persone e le cose;
la denuncia agli undici ex operai di Alcoa apparirebbe una disposizione del tutto sproporzionata soprattutto se raffrontata a vicende più eclatanti in materia di sicurezza e ordine pubblico che, viceversa, sembrerebbe abbiano avuto esiti più modesti;
è il caso di riferire i fatti, che sembrerebbero siano destinati a restare impuniti, accaduti a Roma il 19 febbraio 2015, in occasione dell'incontro di Europa League, Roma-Feyenoord, quando un gruppo di tifosi olandesi, dopo aver provocato disordini in diverse parti della città, danneggiò a bottigliate la Barcaccia del Bernini in piazza di Spagna. Un danno che il sovrintendente ai beni culturali di Roma, Claudio Parisi Presicce, aveva stimato attorno ai 5,2 milioni di euro;
è il caso di riferire, inoltre, la vicenda relativa ai funerali di Vittorio Casamonica a seguito dei quali sono stati presi provvedimenti unicamente nei confronti di un pilota di elicotteri, in una vicenda in cui sembra ci siano diversi elementi non chiari sul comportamento degli organismi preposti al controllo della sicurezza e al contrasto della criminalità;
la notifica delle denunce, in un contesto di mobilitazione e di lotta per l'occupazione, quale quello posto in essere dagli ex lavoratori dell'Alcoa, apparirebbe un elemento grave per la salvaguardia del diritto stesso a manifestare dei cittadini;
l'ipotesi suesposta verrebbe rafforzata dalle recenti polemiche suscitate dalla chiusura del Colosseo il 18 settembre 2015 a causa di un'assemblea sindacale, vicenda che, assieme ad altre, contribuirebbe alla determinazione di un clima d'opinione che potrebbe indebolire il significato e l'importanza delle tutele sindacali e dei diritti fondamentali dei lavoratori –:
se non ritenga opportuno verificare e riferire quanto realmente accaduto il 10 settembre 2012 nel corso della manifestazione degli ex operai dell'Alcoa a Roma, al fine di restituire ai lavoratori licenziati la dignità di manifestanti impegnati a difendere, nella legalità e civilmente, il diritto al lavoro, considerato che appaiono agli interroganti come una grave disparità di trattamento i casi illustrati in premessa, disparità che si rileva, in particolare, tra lavoratori impegnati a manifestare per la salvaguardia del lavoro in una delle zone più depresse d'Italia e gruppi di tifoserie impegnate unicamente a devastare la capitale d'Italia;
se non ritenga opportuno assumere iniziative per evitare, per il futuro, provvedimenti come quelli di cui in premessa a carico di lavoratori che esercitano il diritto di manifestare. (4-10468)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazioni a risposta scritta:
VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
con il riordino delle classi di concorso per l'insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado, approvato in bozza dal Consiglio dei ministri del 31 luglio in base alla legge n. 107 del 2015, l'insegnamento della matematica nelle scuole secondarie di secondo grado, ripartito fra più classi di concorso (A047; A048; A049), è stato ancora una volta attribuito a tre classi di concorso senza, di fatto, effettuare alcun intervento di razionalizzazione;
pertanto, si presume che vi è stata la scelta di mantenere due distinte classi di concorso per l'insegnamento della matematica, ovvero A-26 «matematica» e A-47 «matematica applicata», a cui fanno riferimento le vecchie classi di concorso 47/A «matematica» e 48/A «matematica applicata»;
sulla base della ripartizione riportata nella suddetta tabella risulta evidente quali siano le residuali possibilità lavorative degli attuali docenti, precari e di ruolo, abilitati nella A048 anche con i recenti tirocini formativi attivi e percorsi abilitanti speciali, confinate esclusivamente in alcuni istituti e indirizzi dove è consentito l'accesso a tutti i docenti abilitati delle altre classi di concorso;
è evidente che con questo intervento si penalizzano i docenti abilitati all'insegnamento della matematica applicata (48A), tutelando invece le classi concorso di matematica (47A) che creeranno esclusivamente esuberi e problemi di gestione del personale, anche alla luce del potenziamento dell'organico previsto dalla buona scuola – fase c), mortificando la professionalità di tanti docenti, precari e di ruolo, con lustri di anni di servizio alle spalle;
è irrazionale che i docenti che hanno dovuto sostenere una formazione specifica e che abbiano maturato, in virtù della stessa, anni di esperienza nell'insegnamento della matematica, debbano essere valutati unicamente in base agli esami sostenuti nel loro curriculum universitario che, per tanti, rappresenta solo il primo step del percorso formativo –:
se non ritenga opportuno procedere alla fusione delle due attuali classi di concorso, A047 «matematica» e A048 «matematica applicata», nel nuovo codice A-26 «matematica», che consentirebbe di valorizzare le professionalità dei docenti abilitati e di gestire con più efficacia gli esuberi ed i soprannumerari che, altrimenti, si verrebbero a creare, mantenendo di fatto l'insegnamento della matematica in 3 classi di concorso;
se non ritenga adeguato istituire corsi di riconversione/aggiornamento (corrispondenti a 60 crediti formativi universitari), simili o conformi a quelli previsti ai sensi degli articoli 63 e 64 del contratto collettivo nazionale del comparto scuola del 29 novembre 2007, per la fusione delle due attuali classi di concorso (A047 e A048), creando così un'unica classe di concorso «matematica» (A-26) da affiancare a quella di «matematica e fisica» (A-27). (4-10448)
FRANCO BORDO e MARCON. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
in data 1o settembre 2015 il consiglio regionale del Veneto ha approvato con 24 voti favorevoli e 9 contrari la mozione consiliare «La scuola non introduca ideologie destabilizzanti e pericolose per lo sviluppo degli studenti quali l'ideologia gender»;
i presupposti della mozione che impegna la giunta regionale ad intervenire nelle scuole di ogni ordine e grado della regione Veneto, sono oltremodo discutibili, sia riguardo alla veridicità di quanto scritto, sia per la visione alquanto mistificatoria e retrograda in merito all'educazione all'affettività che da anni ispira i programmi della scuole della Repubblica. Nel testo della mozione si legge che: «In alcuni casi purtroppo l'educazione all'affettività è diventata sinonimo di educazione alla genitalità, priva di riferimenti etici e morali, discriminante per la famiglia fatta da un uomo e da una donna, che induce una sessualizzazione precoce dei ragazzi – In paesi dove simili strategie sono state applicate, come in Inghilterra e in Australia, questo ha Portato ad una sessualizzazione precoce della gioventù, con conseguente aumento degli abusi sessuali (anche tra giovani), dipendenza dalla pornografia, all'attività sessuale prematura con connesso aumento di gravidanze ed aborti già nella prima adolescenza, e all'aumento della pedofilia – I risultati delle indagini sociologiche dimostrano come ritardare l'inizio dell'attività sessuale e ridurre il numero di partner aumenti le possibilità di intrattenere relazioni stabili e riduca i problemi psicologici quali la depressione, specialmente nelle ragazze»;
oltre alla contrarietà allo svolgimento nelle scuole di educazione alla affettività secondo criteri di parità e di correttezza educativa riconosciute da tutte le democrazie occidentali, la mozione dedica una ampia parte alla fantomatica «ideologia Gender», invenzione creata dalle componenti religiose più conservatrici e retrograde. Una strategia comunicativa di reazione all'autodeterminazione delle donne e recentemente utilizzata come strumento di reazione negativa all'equiparazione dei diritti e all'accettazione sociale delle persone LGBT, creando paura e terrore nei genitori per far credere che i programmi educativi che contrastano le discriminazioni e gli stereotipi di genere mirano all'omosessualizzazione dei bambini o all'annullamento delle differenze biologiche fra maschi e femmine;
l'evidente intento di conservazione dei pregiudizi e delle discriminazioni della mozione è reso in modo plastico da questo passaggio: «Errate convinzioni vorrebbero equiparare ogni forma di unione e di famiglia e giustificare e normalizzare qualsiasi comportamento sessuale» e da queste richieste alla giunta regionale del Veneto: «Siano coinvolte le famiglie nella predisposizione dei progetti sull'affettività e sulla sessualità e nell'opera di educazione, rendendo i loro contenuti trasparenti ed evitando il contrasto con le convinzioni religiose e filosofiche dei genitori – Sia oggetto di spiegazione e di studio la ragione per la quale la nostra Costituzione, all'articolo 29, privilegia la famiglia come "società naturale fondata sul matrimonio", della quale riconosce gli speciali diritti, diversamente da ogni altro tipo di unione – Si educhi a riconoscere il valore e la bellezza della differenza sessuale e della complementarietà biologica, funzionale, psicologica e sociale che ne consegue»;
la mozione contiene numerosi riferimenti alla prerogativa delle famiglie di decidere e sovrintendere all'educazione dei propri figli in ambito scolastico;
il diritto delle famiglie all'educazione dei propri figli e alla trasmissione dei propri valori è un diritto riconosciuto e legittimo, ma non può essere utilizzato per la trasmissione di pregiudizi o di preconcetti;
nella formazione della persona umana è compito riconosciuto e conclamato della scuola dare ai ragazzi tutti gli strumenti per comprendere la nostra società e relazionarsi con gli altri, senza pregiudizi o comportamenti discriminatori;
la vicenda in questione appare assai discutibile anche sotto il profilo del rispetto dell'assetto delle competenze, definito a livello costituzionale, relativo ai rapporti Stato — regioni, considerata oltretutto l'estrema delicatezza della materia –:
quali iniziative di competenza si intendano adottare per impedire che le regioni esulino dalle proprie attribuzioni con riferimento ai programmi scolastici relativi all'educazione all'affettività e al contrasto alle discriminazioni;
quali azioni il Ministro interrogato intenda adottare per tutelare gli insegnanti e i dirigenti scolastici che non vorranno tener conto di interventi — quale quello segnalato in premessa — a giudizio degli interroganti di natura propagandistica e basati su discriminazione, pregiudizio e omofobia. (4-10470)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazione a risposta orale:
SOTTANELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
ha destato l'attenzione dell'opinione pubblica la storia di Mariaclaudia Cantoro, professoressa con grave disabilità (senza patente di guida), che vive a Morro d'Oro (TE), costretta a percorre 250 chilometri circa per raggiungere una scuola che si trova in montagna, sprovvista di un accompagnatore per raggiungere la sede di lavoro;
si tratta di una docente precaria da 6 anni, che beneficia della legge n. 104 del 1992 e della legge n. 68 del 1999, che tutelano il lavoro dei disabili. La donna è costretta per 3 giorni a settimana a percorrere 250 chilometri per raggiungere la scuola dove è stata assegnata, cioè l'I.T.C. di Cagli (PU);
a causa della sua disabilità necessita di un accompagnatore e di una vettura per raggiungere Cagli, paesino non servito da mezzi pubblici confacenti con le condizioni della disabile, inoltre anche il treno che ogni mattina prende alle 5,30, dalla località costiera in provincia di Teramo per arrivare a lavoro, non è attrezzato per ospitare persone diversamente abili;
dopo una laurea in Giurisprudenza, un master per giurista d'impresa e vari altri corsi (tra i quali la specializzazione per l'insegnamento), è riuscita da qualche anno ad avere degli incarichi di supplenza annuale con i quali, prima a Rovigo per due anni, poi a Pesaro da settembre, ma soltanto il lunedì, il mercoledì e il sabato, si guadagna da vivere;
gli articoli 8, 9 e 18 della legge n. 104 del 1992 dispongono in merito all'integrazione del disabile, nello specifico, l'articolo 8 dispone l'inserimento e l'integrazione sociale del disabile, l'articolo 9 del servizio di aiuto personale, mentre l'articolo 18 prevede l'integrazione lavorativa della persona disabile e più puntualmente, al comma 6, che «Le regioni possono provvedere con proprie leggi: a) a disciplinare le agevolazioni alle singole persone handicappate per recarsi al posto di lavoro e per l'avvio e lo svolgimento di attività lavorative autonome; b) a disciplinare gli incentivi, le agevolazioni e i contributi ai datori di lavoro anche ai fini dell'adattamento del posto di lavoro per l'assunzione delle persone handicappate» –:
quali urgenti iniziative di competenza intendano assumere al fine di garantire ai lavoratori disabili – a maggior ragione se con coraggio e costanza hanno raggiunto significativi traguardi lavorativi – lo svolgimento del proprio lavoro, eliminando gli ostacoli che si frappongono alle opportunità lavorative che, con sacrifici sono riusciti a realizzare e che costituiscono la loro ragione di vita oltre che di sostentamento, e se non ritengano urgente, per quanto di competenza, applicare tempestivamente le norme vigenti in merito, a partire da quelle citate in premessa.
(3-01721)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
FASSINA e GREGORI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
nel 2008 in merito alla crisi delle società del gruppo Alitalia (Alitalia, Volare, Alitalia Express, Alitalia Servizi) si decise la vendita della compagnia di bandiera Alitalia Linee Italiane Spa ad Alitalia CAI;
l'accordo quadro stipulato tra Governo e parti sociali il 4 settembre 2008 cita testualmente: «viene ribadito il diritto per i lavoratori destinatari di ammortizzatori sociali, sulla base della stipula di apposito patto di servizio, di partecipare attivamente a idonei percorsi di reinserimento lavorativo. A tal fine verrà promosso un apposito programma volto al reimpiego dei lavoratori, che terrà conto delle professionalità dei medesimi, attraverso l'utilizzo di Italia Lavoro per la realizzazione delle azioni previste dal programma stesso»;
nonostante i piani industriali messi in campo dalla nuova gestione di Alitalia, nessuna concreta iniziativa è stata avviata per promuovere soluzioni volte a stabilizzare i lavoratori attualmente destinatari di ammortizzatori sociali;
nel mese di agosto 2014, le sigle sindacali hanno chiesto alle competenti autorità la riconversione del fondo speciale per il sostegno al reddito dell'occupazione (Fondo speciale trasporto aereo sulla base della legge n. 291 del 2004) per valutare l'estensione delle prestazioni integrative salariali per i lavoratori collocati in mobilità in data antecedente al primo luglio 2014;
il 20 ottobre 2015 sarà l'ultimo giorno di mobilità per gli ex lavoratori del vecchio Gruppo Alitalia spa, cosa che lascerà circa 3000 padri e madri di famiglia sprovvisti di reddito e occupazione –:
se non s'intendano assumere iniziative per costituire, con la massima urgenza, da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un bacino unico dei lavoratori aeroportuali che sono sottoposti a misure di cassa integrazione o comunque hanno perso il lavoro, così da predisporre, oltre all'estensione del sostegno al reddito, adeguati e efficaci strumenti di formazione e ricollocamento degli stessi. (5-06444)
COMINARDI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, CIPRINI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
in data 16 settembre 2015, nel programma televisivo «La Gabbia» dell'emittente «LA 7», veniva trasmesso un servizio riguardante gli autotrasportatori del porto di Genova, nel quale veniva evidenziato che, all'interno delle aree di parcheggio degli automezzi del porto sita nel quartiere Voltri, vi sono diversi autisti di provenienza est europea che, con i loro mezzi, sono stanziali nelle aree in questione, sino a nuove chiamate. Veniva indicato che i lavoratori in questione vivono all'interno dei camion per sei-dodici mesi. Molti di questi lavoratori risultano essere di passaggio, mentre molti altri risiedono in Italia e, dopo essere stati licenziati dalle agenzie italiane, vengono assunti dalle agenzie interinali dell'est Europa che, richiamandoli ad operare negli stessi posti di lavoro, offrono loro stipendi inferiori e meno tutele;
il coordinatore UIL Trasporti Liguria, Giovanni Ciaccio, intervenuto nel servizio, ha denunciato il fatto di aver dovuto accettare nel 2010, perché rimasto senza lavoro, un contratto da un'agenzia interinale rumena legata ad una società italiana più grande, operante nel nostro Paese;
secondo i sindacati di settore, tale fenomeno oggi interessa circa 50 mila autisti su un comparto che occupa circa 500 mila addetti. Questo perché il contratto applicato dalle agenzie dell'est Europa, permette alle aziende un risparmio sui contributi da erogare ai lavoratori che va dal 35 per cento al 50 per cento;
sempre lo stesso Ciaccio, ha spiegato che gli autisti con contratto stipulato con le aziende italiane, guadagnano dai 2.000 ai 2.200 euro netti, mentre quello con le aziende dell'est Europa, dai 1.800 ai 2.000 netti, senza aver riconosciuti i contributi come, ad esempio, la 13a, la 14a o la liquidazione;
vi è anche un ulteriore fenomeno riguardante quello dei camionisti italiani con contratto di «tipo rumeno», che si dichiarano disoccupati in Italia. Giovanni Ciaccio evidenzia che a rimetterci è lo Stato che paga il sussidio di disoccupazione ad autisti che, seppur con un'agenzia estera, hanno comunque un impiego e quindi una regolare retribuzione;
a giudizio degli interroganti, nella vicenda sopra indicata, oltre ad un palese caso di iniqua concorrenza tra un vettore, quello dell'azienda est europea, e quelli italiani, vi è anche un aspetto incostituzionale. Infatti, l'articolo 41, secondo comma, della Costituzione italiana, recita che l'iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla dignità umana. La scelta obbligata di dover accettare, per gli autisti, contratti di importi minori e senza contributi regolarmente erogati come in un contratto di «tipo rumeno», può essere considerata, in ambito lavorativo, un danno alla dignità umana –:
se quanto indicato in premessa corrispondesse al vero, quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda adottare il Governo al fine di eliminare gli aspetti di iniqua concorrenza tra le aziende straniere e quelle italiane emersi nelle vicende sopraindicate; per garantire il rispetto della dignità umana, come specificato all'articolo 41, secondo comma, della Costituzione italiana, quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare.
(5-06448)
Interrogazione a risposta scritta:
RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, ZACCAGNINI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
con l'entrata in vigore, dal primo maggio 2015, della nuova assicurazione sociale per l'impiego (decreto legislativo 22 del 2015, in attuazione dell'articolo 1 comma 2, della legge n. 183 del 2014, cosiddetto «Jobs Act»), in sostituzione delle precedenti Aspi e mini-Aspi, si sono verificati numerosi e gravi ritardi nell'erogazione dell'indennità ai lavoratori richiedenti;
l'interrogante, in data 23 luglio 2015, depositava un atto di sindacato ispettivo (interrogazione a risposta scritta n. 4-09931, seduta n. 467) per segnalare tali ritardi e per conoscere – considerato che il sussidio di disoccupazione per la stragrande maggioranza delle persone che perdono il lavoro rappresenta un sussidio vitale, e che il prorogarsi dei ritardi nell'erogazione, di questa fondamentale forma di sostegno al reddito rappresenta un pregiudizio per molti insostenibile, poiché privati da mesi di ogni forma di sostentamento – quali misure urgenti intendesse adottare il Ministro nell'ambito delle proprie prerogative, al fine di accelerare la liquidazione delle indennità;
come è stato rilevato da alcuni organi di stampa, dal 15 luglio alla fine di agosto sono state evase solo 200 mila domande su 430 mila presentate (Il Fatto Quotidiano, 26 agosto 2015);
tra le diverse segnalazioni proposte dai cittadini all'attenzione dell'interrogante, si segnala quella relativa all'ipotesi prevista dall'articolo 8 del decreto legislativo 22 del 2015, emesso in attuazione della legge 183 del 2014 così come dalla circolare n. 94 del 2015 Inps, che consente la liquidazione in un'unica soluzione – anticipata per incentivare l'autoimprenditorialità. Secondo le segnalazioni ricevute, le sedi territoriali dell'Inps non disporrebbero ancora dell'applicativo necessario per elaborare e liquidare tali tipi di domande, non essendo – peraltro – in grado di fornire informazioni sulle tempistiche necessarie in merito all'evasione delle domande avanzate;
viene pure segnalato da molti cittadini che l'erogazione dei contributi «Naspi» non avvenga mensilmente ma in modo parziale nell'arco del mese di riferimento, in buona sostanza, con il «contagocce» come molti lamentano, in quanto la somma così corrisposta non consentirebbe alle persone interessate di poter provvedere al minimo soddisfacimento di esigenze essenziali di una vita dignitosa –:
se il Ministro interrogato sia in grado di fornire una stima sulle tempistiche relative alla liquidazione delle domande ad oggi inevase;
se sia a conoscenza delle problematiche relative all'applicazione dell'ipotesi di liquidazione in unica soluzione anticipata dell'intera indennità (incentivo autoimprenditorialità ex articolo 8 del decreto legislativo 22 del 2015) e se sia in grado di fornire una stima sulle tempistiche necessarie;
se non ritenga opportuno, alla luce delle tante problematiche emerse con l'entrata in vigore della «Naspi», chiarire le ragioni di tali ritardi ed individuare le eventuali responsabilità;
quali siano le ragioni per le quali il contributo «Naspi», per quanto risulta agli interroganti, non venga versato mensilmente alle persone interessate e quali iniziative urgenti si intendano assumere per risolvere tale gravissima anomalia.
(4-10460)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta in Commissione:
PARENTELA, MASSIMILIANO BERNINI e BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il 16 settembre 2015 è stato individuato un nuovo focolaio di Aethina Tumida a Taurianova (RC);
in Calabria, si cominciano a vedere i primi esemplari di adulti sotto i coprifavo e nelle trappole Beetle Blaster. Nelle trappole in polionda trasparente suggerite per effettuare il monitoraggio, invece, non si trova nulla, sia perché dimostratamente inaffidabili sia perché, ormai da mesi, completamente propolizzate;
nessuno più denuncia i ritrovamenti perché, comprensibilmente, si teme per l'abbruciamento delle arnie, specie in mancanza di un equo indennizzo;
un reticolo perimetrale di nuclei esca controllati almeno con cadenza quindicinale garantirebbe di certo migliori risultati con pochissime risorse. Controllare decine di migliaia di alveari singolarmente è un'impresa titanica, controllarli in piena stagione apistica è impossibile;
la Calabria presenta un primo restringimento naturale a Sud di Catanzaro ed un secondo a Sud di Castrovillari ed è proprio in questi territori che si devono concentrare gli sforzi per tentare di bloccare o quantomeno rallentare la diffusione verso Nord dell'Aethina Tumida qualora dovesse essere oltrepassato il perimetro dell'attuale zona di protezione –:
se non si ritenga urgente assumere iniziative per bloccare i roghi, indennizzare gli apicoltori danneggiati e soprattutto mettere in atto strategie di contenimento isolando il sud della Calabria con una doppia linea di sbarramento composta da nuclei esca con trappole trattate con checkmite, già autorizzato in Europa, ed una fascia di almeno 50 chilometri da cui devono essere tolte tutte le famiglie di api;
se non si ritenga opportuno pianificare accurati controlli anche negli apiari delle regioni più prossime, quali Campania, Basilicata, Puglia, Sicilia, per verificare l'evoluzione del fenomeno;
se non si ritenga fondamentale che all'unità di crisi composta dal Ministero della salute vengano al più presto aggiunte o affiancate le necessarie competenze entomologiche, agronomiche ed apistiche, in modo che sia possibile coordinare un piano di monitoraggio e contenimento efficiente ed efficace, cosa che fino ad oggi, ad avviso degli interroganti, è mancata. (5-06445)
Interrogazioni a risposta scritta:
BORGHESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
in Italia il nucleo operativo antibracconaggio (NOA) del Corpo forestale dello Stato è il reparto incaricato di coordinare e dirigere le grandi operazioni antibracconaggio di rilievo nazionale, organizzate, con cadenza annuale, nelle zone maggiormente coinvolte in tale pratica illecita, al fine di garantire il rispetto della relativa normativa comunitaria e nazionale;
numerose sono ogni anno le attività poste in essere dal NOA e, per quanto concerne l'ambito territoriale interessato dalle principali rotte migratorie dell'avifauna ci sono le valli della provincia di Brescia;
le valli bresciane e i valichi di provincia sono già adeguatamente presidiati sia dagli agenti locali del Corpo forestale dello Stato sia dai numerosi agenti di polizia provinciale e locale che, quotidianamente e proficuamente, svolgono le loro mansioni;
inoltre, va tenuto conto delle limitazioni di risorse finanziarie disponibili che hanno interessato anche il Corpo forestale –:
se anche quest'anno verranno inviati agenti dei nuclei operativi antibracconaggio in trasferta sul territorio della provincia di Brescia e nel caso quanti e per quale periodo;
quali siano i motivi e i criteri in base ai quali eventualmente si procederà all'invio di agenti dei nuclei operativi antibracconaggio sul territorio bresciano;
quale sarà l'onere economico dell'eventuale operazione. (4-10449)
BENEDETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
su proposta della Commissione europea, il Parlamento e il Consiglio il 17 settembre 2015 hanno adottato una proposta di regolamento volta a sostenere la ripresa economica della Tunisia, interessata da una forte instabilità politica, attraverso l'adozione di una, misura commerciale autonoma che autorizza il paese nordafricano ad esportare senza dazio, dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2017, ulteriori 35.000 tonnellate di olio extravergine di oliva in aggiunta alla quota già fissata dall'accordo euro mediterraneo, di 56.700 tonnellate: una quantità pari a metà della produzione tunisina e poco meno di un terzo di quella italiana;
nei mesi scorsi la Commissione aveva deciso di eliminare la soglia mensile di esportazione del Paese magrebino. Così ha dichiarato Habib Essid: «è grazie a questa misura che la Tunisia quest'anno ha potuto esportare per più di 1,5 miliardi di dinari (circa 700 milioni di euro, ndr), alleggerendo così i danni subiti dal settore turistico»;
l'impatto che avrà l'importazione di questo prodotto sul mercato europeo, in particolare sulla olivicoltura italiana, sarà fortemente negativo ed andrà a peggiorare ancora di più la già critica situazione che attraversa tale comparto, in particolare nel Salento, a causa della epidemia provocata dal batterio Xylella, i cui danni sono ad oggi incalcolabili –:
quale sia stata la posizione assunta dal Governo nel negoziato che ha portato ad adottare la proposta di regolamento e quale posizione intenda assumere nel corso dell'iter legislativo di approvazione;
quali iniziative intenda adottare per evitare che l'importazione di olio tunisino nelle modalità descritte in premessa danneggi i produttori di olio di oliva italiani;
se il Governo non ritenga che, anche a seguito della crisi russo-ucraina e delle conseguenti sanzioni economiche imposte alla Russia, troppo spesso ormai gli interessi economici italiani, ed in particolare del settore agroalimentare, siano sacrificati per giustificare una politica estera europea che si articola esclusivamente su misure di carattere commerciale.
(4-10450)
SALUTE
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XII Commissione:
FUCCI e PALESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
da diversi articoli di stampa apparsi a partire dal 22 agosto 2015, si è appreso che, in una delle sale operatorie dell'ospedale Santa Caterina Novella di Galatina, comune tra i più popolosi della provincia di Lecce, durante un intervento chirurgico, un medico avrebbe utilizzato la torcia di un telefono cellulare per illuminare il campo operatorio, in assenza della lampada scialitica principale;
pare infatti che la lampada scialitica di una delle sale dell'ospedale, ovvero il dispositivo che illumina il campo operatorio e genera un fascio luminoso uniforme per evitare ombre, sia rotta da almeno quattro anni, e che i medici siano costretti ad utilizzarne una portatile non idonea, specie in caso di interventi complessi;
proprio per ridurre al massimo le zone d'ombra ed ottenere quindi l’«effetto scialitico», si sarebbe fatto ricorso alla luce di uno smartphone, come testimonierebbero alcune foto scattate durante un intervento eseguito prima dell'estate;
dal giorno in cui la stampa ha riportato la notizia, si sono susseguite conferme e smentite. Molte e spesso contrastanti sono state le ricostruzioni del fatto fornite dai presunti protagonisti, dai testimoni e dal management della struttura ospedaliera, della azienda sanitaria locale e della regione –:
se il Ministro non ritenga, per quanto di competenza, di acquisire elementi sui fatti riportati dalla stampa e chiarire cosa sia avvenuto nella circostanza specifica riportata in premessa, verificando quali e quante luci siano funzionanti e quali e quante sale operatorie siano a norma nell'ospedale di Galatina e, in caso di conferma del mancato funzionamento, da quanto tempo vengano effettuati interventi senza il rispetto dei protocolli previsti e se non ritenga di estendere la verifica anche ad altre strutture della sanità pugliese, onde accertare il rispetto delle norme di sicurezza, dei protocolli operatori e, più in generale, dei livelli essenziali di assistenza. (5-06456)
BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI, TURCO e BORGHESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il giorno 17 settembre 2015 il capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) dottor Santi Consolo è stato audito in commissione Igiene e Sanità del Senato;
secondo i dati riferiti in commissione Igiene e Sanità del Senato dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il numero di internati in ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) è pari a 231 distribuiti nei cinque ospedali psichiatrici giudiziari di Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Reggio Emilia e Montelupo Fiorentino; il numero di internati in misura di sicurezza detentiva nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) è di 403 persone distribuite in 16 Rems, di cui circa 250 nell'ex ospedale psichiatrico giudiziario Castiglione delle Stiviere, mentre non è noto il numero di persone in misura di sicurezza alternativa alla detenzione in Rems;
le capienze delle strutture Rems attualmente in funzione sono sature;
le regioni Piemonte, Veneto, Toscana, Umbria, Abruzzo, Molise, Puglia e Calabria, non hanno attivato Rems, mentre la regione Liguria ha stipulato un accordo con la regione Lombardia al fine di ospitare 10 pazienti nella struttura di Castiglione delle Stiviere, così come si evince dal prospetto consegnato dal Capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria durante l'audizione al Senato;
a giudizio degli interroganti, l'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere era e resta un ospedale psichiatrico giudiziario anche se organizzato in moduli/Rems da 20 posti, e come dice lo stesso dottor Consolo è «un polmone che si è dilatato a dismisura» raggiungendo «una capienza eccessiva»;
nel corso dell'audizione è stato comunicato che da uno studio condotto dal direttore dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto il 50 – 60 per cento dei pazienti dal punto di vista clinico può essere dimesso e affidato immediatamente a strutture territoriali di salute mentale diverse dalle Rems;
la legge n. 81 del 2014, ha previsto entro il 31 marzo 2015 la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari in favore di Rems e di misure di sicurezza alternativa alla detenzione nelle predette Rems;
a giudizio dell'interrogante, il grave ritardo con cui le regioni stanno adempiendo agli obblighi di legge non può essere giustificato dalla graduale applicazione della legge come descritto dal capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, poiché, come denunciato dalle associazioni, la deprecabile situazione degli ospedali psichiatrici giudiziari e le chiare soluzioni contenute all'interno della legge n. 81 del 2014 erano ben note alle amministrazioni regionali –:
se il Governo non intenda valutare l'ipotesi di adottare le opportune iniziative finalizzate a dare attuazione alla legge n. 81 del 2014, eventualmente disponendo il commissariamento delle regioni inadempienti. (5-06457)
LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
secondo un'indagine condotta dal settimanale «Espresso» e pubblicata sul sito online, prolificano i siti che vendono, senza alcun controllo, a prezzi scontati garantendo il pieno anonimato alla donna farmaci per l'interruzione di gravidanza;
la prima a lanciare l'allarme sul fenomeno è stata la procura di Genova che, nel 2013 ha avviato tre inchieste parallele;
contemporaneamente, indagini simili su aborti definiti «spontanei» sono spuntate anche a Torino e a Pescara, dove il comune denominatore, oltre alla giovane età delle protagoniste, è un medicinale: il Cytotec. Un farmaco per combattere l'ulcera composto da Misoprostolo dal costo di circa 14 euro a scatola che, se assunto in dosi massicce, provoca il distaccamento del feto dalla placenta e quindi la sua espulsione. In parole povere: un aborto;
tutto ciò avviene anche perché, nonostante la legge n. 194 sia in vigore da quasi 40 anni, interrompere una gravidanza in Italia è ancora molto difficile. Lo dimostrano le cifre, lo raccontano le storie e lo ha messo per iscritto il Consiglio d'Europa, che di recente ha condannato il nostro Paese per non aver rispettato il diritto alla salute delle donne che vogliono interrompere la gravidanza;
farmaci come il Cytotec stanno alimentando un incontrollabile mercato nero e un floridissimo business su internet, un mare magnum in bilico fra il lecito e l'illecito in cui sono a disposizione flaconi e pastiglie che in Italia sono vietati senza ricetta medica e, che – è il caso del Cytotec – vengono utilizzati per scopi diversi rispetto alla loro funzione originaria. Ma non solo. Sul web è disponibile anche il Mifepristone, un principio attivo che contrasta l'ormone della gravidanza. Quella che viene comunemente chiamata pillola abortiva, la RU486. Che in questo caso viene comodamente acquistata con un click senza passare per consultori, ginecologi, eventuali obiettori di coscienza e quindi assunta senza assistenza medica;
questo nonostante le case farmaceutiche produttrici (nel caso del Cytotec, la Pfizer) elenchino sul foglietto illustrativo, nel pieno rispetto delle regole, indicazioni ed effetti collaterali. Fra quelli del Cytotec – che può essere venduto solo su ricetta medica non ripetibile – c’è il fatto di essere particolarmente rischioso per le donne in gravidanza;
i siti stranieri che commerciano questi medicinali sono a centinaia e in continuo aumento. Basta andare su Google e digitare «buy Cytotec», «self induced abortion» o semplicemente «abortion kit». Il motore di ricerca in pochi secondi mette in fila una lista di siti, alcuni sono addirittura in evidenza perché vendono le pastiglie più a buon mercato di altri. Molti di questi sono tradotti in italiano;
uno dei più popolari è abortionpillrx.com. La grafica è chiara: si può scegliere fra 16 diversi prodotti per il «controllo delle nascite». In cima alla lista campeggia il kit per l'aborto. Che comprende dosi di pastiglie di entrambi i principi attivi: misoprostolo e mifepristone. Viene spiegato tutto per filo e per segno: prima bisogna ingerire il mifepristone – che agisce togliendo all'embrione l'apporto di ossigeno e il nutrimento – poi il misoprostolo che provoca le contrazioni e il vero e proprio aborto;
nei dettagli è elencata anche la posologia: quante pastiglie assumere, ogni quante ore e come comportarsi dopo averle ingerite. Oltre al kit basico (199 dollari), il supermarket dei farmaci offre anche quello più completo (240 dollari) che comprende in aggiunta medicinali da assumere «in caso di complicazioni mediche»: antinfiammatori e coagulanti del sangue. Se le viene un'emorragia, insomma, la paziente si deve auto medicare;
il sito assicura che i farmaci sono stati approvati e sperimentati con successo dalla Food and Drug Administration, l'ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici. Ed è vero. Soltanto che la FDA ne prevede l'utilizzo per altri scopi e solo dietro parere del medico;
più esplicito è il sito www.womenonweb.org, tradotto in 13 lingue e con sede ad Amsterdam, che si definisce una «comunità digitale per il diritto all'aborto». Lo scopo è quello di dare supporto e assistenza virtuale alle donne che vivono in Paesi dove l'interruzione di gravidanza è illegale e di «condividere le esperienze». Ma a rivolgersi al portale ci sono donne da tutto il mondo, anche italiane. Prima di ricevere le pillole bisogna rispondere a un test online sul proprio stato di salute fisico e mentale. In pratica, però, mentire sulle risposte è un gioco da ragazzi. E perché la consegna vada a buon fine, è obbligatorio fare una donazione di come minimo 90 euro;
facilissima reperibilità del «kit dell'aborto» anche su www.buyabortionpillx.com. Qui, oltre ai blister e alle spiegazioni su come assumere le pillole, compaiono le recensioni di alcune donne che ne hanno fatto uso;
nella realtà, però, c’è ben poco di che entusiasmarsi. Le conseguenze di questa pericolosa tendenza agli aborti «fai-da-te» sono scritte nero su bianco sui referti medici degli ospedali, che si sono poi trasformati in denunce in tutta Italia –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e quali iniziative urgenti intenda adottare per porre fine a questa pericolosa situazione per la salute della donna di vendita on line di medicinali senza controllo garantendo però nel contempo il diritto della donna alla scelta libera e consapevole così come prevista dalla legge n. 194 del 1978.
(5-06458)
LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA, GRILLO e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
l'autocontrollo per le persone malate di diabete è una pratica quotidiana o settimanale fondamentale;
in Italia, secondo i dati forniti dall'indagine conoscitiva del Senato, solo una persona diabetica su quattro usufruisce dell'esenzione per patologia;
l'accesso ai dispositivi per l'autocontrollo è garantito solo al 24 per cento delle persone diabetiche;
oltre la metà delle persone diabetiche ha un valore di emoglobina glicata superiore al 7 per cento, da qui l'ulteriore elemento che sottolinea l'importanza dell'autocontrollo che rappresenta a tutti gli effetti un vero atto terapeutico;
i dispositivi oggi erogati alle persone diabetiche sono di tipo tradizionale con glucometri che si basano su aghi pungi dito che vengono utilizzati quotidianamente nonostante che oggi siano in commercio dispositivi meno impattanti che possono migliorare la qualità della vita delle persone diabetiche mantenendo un livello di monitoraggio altissimo;
dall'autunno del 2014 sono commercializzati dispositivi che non impongono la puntura sul dito ma con un piccolo sensore misura automaticamente il glucosio e ne memorizza continuamente i valori, giorno e notte;
si tratta di dispositivi che l'Italia ha già riconosciuto e per i quali ha autorizzato la commercializzazione ma ad un costo proibitivo per molte persone malate di diabete; infatti Starter Kit è venduto al prezzo di euro 169,90, il sensore è venduto al prezzo di euro 59,90, il lettore è venduto al prezzo di euro 59,90;
in assenza di inserimento del citato dispositivo nell'elenco dei dispositivi per diabetici forniti da servizio sanitario nazionale, oggi le persone diabetiche che intendessero acquistare il dispositivo a proprie spese dovranno farlo al costo di oltre 1500 euro annui;
nel riaffermare che l'effettivo utilizzo o meno del nuovo dispositivo nel piano terapeutico personalizzato va doverosamente e necessariamente discusso preventivamente con il diabetologo, è necessario procedere alla verifica della affidabilità del dispositivo, che utilizza sensori per la misurazione per monitorare il trend glicemico, da parte dell'AIFA ovvero dalla direzione farmaco e dispositivi medici del Ministero della salute, che devono essere chiamati a determinare, in tempi brevi il grado di affidabilità al fine di inserire il dispositivo innovativo tra i dispositivi erogabili alle persone diabetiche –:
se il dispositivo innovativo per l'autocontrollo della glicemia sia stato sottoposto a verifica da parte dell'Aifa e dalla direzione farmaco e dispositivi medici del Ministero della salute, quali siano gli esiti e, in caso positivo, i tempi entro cui il nuovo dispositivo sarà distribuito alle persone con diabete mellito e, tenuto conto dell'importanza dell'autocontrollo, se non ritenga di: a) riconoscere l'autocontrollo glicemico e l'educazione come veri atti terapeutici, b) procedere all'inserimento dell'autocontrollo nei LEA. (5-06459)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazioni a risposta in Commissione:
GALGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
secondo i dati pubblicati da Cna Umbria, in collaborazione con il centro studi Sintesi, negli ultimi cinque anni sono state 1.787 le imprese che hanno chiuso i battenti, ovvero il 2,1 per cento totale, pari ad una perdita di circa il 9 per cento del prodotto interno lordo regionale;
le perdite assolute più consistenti hanno investito il settore delle costruzioni (-1.209 imprese), l'agricoltura (-1.755) e i trasporti (-229), mentre nel comparto manifatturiero, che ha visto chiudere 470 imprese, diminuiscono in particolare il sistema moda che perde 155 unità, la metallurgia e la meccanica che arretrano di 162 e il settore legno/arredo che retrocede di 187;
nonostante Cna Umbria evidenzi nel 2015 l'aumento del 2,85 per cento degli occupati nel settore artigianato e il calo al ricorso della cassa integrazione con 422 aziende che ne hanno usufruito contro le 708 del 2014, l'associazione umbra sottolinea la caduta verticale dell'occupazione nelle imprese artigiane edili dove gli addetti passano da 3.396 a 3.157 con un calo complessivo di 239 unità dall'inizio dell'anno ad oggi;
continua a diminuire anche il numero delle imprese artigiane attive che in Umbria sono passate da 22.163 del dicembre 2014 a 21.956 di marzo 2015 con un calo complessivo di 207 unità;
mentre i dati Cerved mostrano un calo dei fallimenti a livello nazionale pari al 6,8 per cento nel primo semestre 2015, per l'Umbria si parla di un aumento dell'11,4 per cento con 147 imprese che hanno depositato i libri in tribunale contro le 132 del 2014 –:
quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare per rilanciare l'economia partendo dal tessuto delle micro e piccole imprese che rappresentano uno dei principali fattori di sviluppo per la regione Umbria e per il Paese in particolare, nell'ottica delle disposizioni dello «small business act», per quanto riguarda la riduzione della pressione fiscale, la semplificazione amministrativa, l'accesso al credito, la valorizzazione dei confidi e la coniugazione tra innovazione e mestieri tradizionali;
se, nell'ambito del disegno di legge di stabilità, che prevede incentivi per le ristrutturazioni edilizie e per gli interventi volti a ridurre i consumi energetici, si possa avviare una riflessione sulla possibilità di rendere tali misure sistemiche e non estemporanee e variabili di anno in anno. (5-06443)
PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la sezione fallimentare del tribunale di Potenza, nell'udienza del 17 settembre 2015, ha rinviato al collegio giudicante la decisione circa il fallimento della Step One s.r.l. (ex Daramic) di Tito;
l'azione, promossa nell'agosto 2014 da circa 50 dipendenti attualmente in forza all'impresa citata, è il risultato di quella che all'interrogante appare la totale elusione da parte aziendale di ogni impegno contrattuale sottoscritto con la regione Basilicata che aveva ammesso a finanziamento un progetto di reindustrializzazione, finalizzato ad incentivare occupazione stabile, per un importo pari ad euro 805,316;
i lavoratori assunti nell'aprile 2015 non hanno mai percepito retribuzioni e cedolini paga, vantano crediti nei confronti dell'azienda che, in alcuni casi, si aggirano intorno ai 20.000 euro, hanno perduto in questo frattempo la possibilità di accedere agli ammortizzatori sociali che avrebbero almeno garantito loro condizioni di vita meno precarie;
la decisione del tribunale, richiesta ed auspicata dai lavoratori, si presenta ormai come l'unica chance di attivazione delle procedure volte a recuperare TFR ed ultime retribuzioni dal fondo di garanzia dell'INPS e di avere accesso ai «normali» ammortizzatori sociali;
occorrerebbe chiarire come abbia potuto risultare ammissibile, l'istanza di finanziamento da parte della regione Basilicata della Step One s.r.l., proposta ad avviso dell'interrogante in palese contraddizione con quanto prescritto dal regolamento (UE) n. 651/2014 a proposito di imprese in difficoltà (cfr articolo 5, punto E – requisiti dei beneficiari – avviso pubblico – interventi per la creazione di occupazione stabile in Basilicata) –:
quali strumenti di vigilanza e controllo il Governo intenda attivare, per quanto di competenza alla luce del cofinanziamento dei programmi di reindustrializzazione citati a carico delle risorse FSE 2007/2013 destinate ai programmi operativi regionali, per impedire che situazioni come quella descritta in premessa circa il finanziamento di iniziative volte al reimpiego di maestranze ed al recupero di siti produttivi si risolvano in un danno ai lavoratori e ai territori (risultano totalmente disattesi gli impegni assunti in relazione alla bonifica del sito) e/o in lucrose attività speculative promosse da compagini imprenditoriali che anche in passato a giudizio dell'interrogante, non hanno prodotto risultati positivi. (5-06462)
Interrogazioni a risposta scritta:
BERRETTA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
Invitalia, Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, di proprietà del Ministero dello sviluppo economico, gestisce tutti gli incentivi nazionali che favoriscono la nascita di nuove imprese e le startup innovative;
sulla Gazzetta Ufficiale n. 183 dell'8 agosto 2015 è stato pubblicato un avviso nel quale si legge che, a decorrere dal 9 agosto 2015, non è più possibile presentare la richiesta di agevolazioni ad Invitalia per richiedere i incentivi a sostegno dell'autoimpiego e della microimprenditorialità giovanile (decreto legislativo 185 del 2000, titolo II);
la sospensione dei finanziamenti Invitalia rappresenta un colpo durissimo per l'imprenditoria, soprattutto giovanile, poiché tali agevolazioni si sono dimostrate uno strumento particolarmente utile ed efficace, che ha consentito nel Mezzogiorno l'avvio di tante nuove e valide attività imprenditoriali, con positivi e significativi riflessi occupazionali;
tali misure hanno favorito la nascita di oltre 120.000 piccole aziende, create soprattutto da disoccupati o da soggetti in cerca di prima occupazione, prevalentemente giovani e donne, determinando l'occupazione stabile di circa 220.000 persone ed effetti conseguentemente positivi sull'indotto;
va sottolineato, inoltre, che il tasso di sopravvivenza oltre i 5 anni delle startup avviate si rivela superiore all'80 per cento;
anche il rapporto «The availability and use of assistance for Entrepreneurship to Young People», diffuso nel mese di aprile 2015 dal Parlamento europeo, cita tra le esperienze di successo le misure a sostegno della creazione d'impresa e delle startup innovative gestite da Invitalia: il decreto legislativo, 185 del 2000 e Smart&Start;
la motivazione della sospensione delle richieste dei finanziamenti è rintracciabile nell'esaurimento della dotazione di risorse finanziarie per le suddette misure di finanza agevolata;
l'avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale vincola la possibilità di invio delle domande alla eventuale disponibilità di nuove risorse finanziarie –:
quali iniziative intenda assumere per scongiurare il protrarsi della sospensione degli incentivi di Invitalia a sostegno dell'autoimpiego e della microimprenditorialità giovanile e garantire il rifinanziamento degli strumenti di sostegno suddetti.
(4-10453)
DELL'ORCO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la Gardenia Orchidea spa è una storica azienda del modenese, attiva nella produzione e commercio di piastrelle in ceramica. Si affaccia sul mercato nel 1961 e diventa nell'arco di pochi anni un importantissimo gruppo ceramico operante a livello mondiale in oltre 120 Paesi;
l'azienda fa dunque parte di un gruppo che pur non posizionandosi tra i maggiori per fatturato in Italia, tuttavia vanta un importante consolidamento dell'immagine dei propri brand sul mercato grazie al posizionamento sempre più orientato verso prodotti di fascia alta. Questa strategia dal 1997 ha portato ad un contratto in esclusiva mondiale con la casa di moda Versace con cui Gardenia ha creato un marchio e per cui realizza in esclusiva mondiale una linea ceramica e di arredo bagno;
secondo i dati diffusi annualmente dalla rivista Tile Italia sul comparto ceramico italiano il gruppo Gardenia ha prodotto 3,7 milioni di metri quadri di ceramiche nel 2014 di cui il 70 per cento per esportazione e, al netto dei dati prodotti da Gardenia Brazil, ha avuto un fatturato di 54 milioni di euro con un andamento più o meno in calo dal 2003;
la ristrutturazione aziendale in Gardenia Orchidea è iniziata però solo due anni fa, nel 2013, quando la società annunciò 80 esuberi di personale e decise di dare vita ad un rinnovo della fabbrica anche per creare una nuova area per la fabbricazione dei sotto-formati. L'azienda è stata allora interessata da un provvedimento di cassa integrazione straordinaria con causale ristrutturazione aziendale (decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 24 giugno 2013 n. 74008 di approvazione del programma di cassa integrazione guadagni straordinaria dal 3 dicembre 2012 al 29 novembre 2014 e concessione del trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria dal 3 dicembre 2012 al 2 giugno 2013). La strategia industriale e commerciale sembrerebbe però non aver dato i suoi frutti dal punto di vista del fatturato;
sebbene il lavoro non sembrerebbe mancare, come dimostrerebbe il fatto che, secondo quanto riportato dalla stampa, negli ultimi mesi siano arrivate da parte dell'azienda richieste di «straordinari e carichi di lavoro per star dietro agli ordinativi» che gli operai hanno accettato di svolgere, tuttavia attualmente la produzione è ferma da circa 10 giorni per problemi di liquidità e con i fornitori. I 280 lavoratori il 16 settembre 2015 hanno scioperato otto ore (le prime all'interno di un pacchetto di quaranta ore di astensione dal lavoro già proclamato dai sindacati) a seguito del mancato ricevimento dello stipendio mensile che, come di consueto, avrebbe dovuto essere addebitato il 15 settembre 2015;
secondo fonti stampa, l'azienda per garantire i creditori sembrerebbe aver fatto domanda di concordato preventivo al tribunale fallimentare di Modena. I sindacati rimproverano però alla direzione aziendale di non aver dato le adeguate comunicazioni sulle prospettive future dal punto di vista produttivo e occupazionale. Sembrerebbe infatti sempre da fonti stampa che oltre alle trattative con i fornitori per sbloccare la produzione siano in atto anche delle consultazioni circa un possibile acquirente che subentri a salvare l'azienda garantendone la continuità;
i sindacati non solo lamentano di non essere stati messi a conoscenza di un piano industriale ma di non aver neppure avuto riscontro in merito a dati economici e patrimoniali necessari a capire le proporzioni della crisi che, anche all'interrogante, risulta poco comprensibile considerando che non solo, come sopra ricordato, la Gardenia Orchidea spa ha recentemente beneficiato di fondi pubblici ma, soprattutto, che deve buona parte del suo fatturato al mercato estero che, diversamente dal mercato domestico, secondo i dati diffusi da Confindustria Ceramiche, è in crescita costante almeno dal 2009 ad oggi;
un intervento del Governo teso a sbloccare tempestivamente la situazione e a garantire una continuità aziendale sarebbe non solo auspicabile ma doveroso, anche in considerazione tra l'altro delle buone previsioni per il mercato della ceramica che inducono a sperare che non sia difficile trovare un partner o un acquirente; secondo i dati recentemente diffusi dall'osservatorio previsionale di Confindustria Ceramica Prometeia per il biennio 2015 e 2016 sarebbe prevista una crescita della produzione delle piastrelle italiane e delle vendite totali (2015: +1 per cento; 2016: +3,2 per cento), aumento essenzialmente trainato dall’export (2015: +1,7 per cento; 2016: 4 per cento) ma anche da una attenuazione della contrazione del mercato interno (2015: –1,6 per cento; 2016: +0,3 per cento) –:
se i Ministri interrogati abbiano notizie e dati in merito alla crisi di Gardenia Orchidea spa e se sia vero quanto esposto in premessa e se, in particolare, siano a conoscenza di una trattativa aperta con un possibile acquirente;
se il Ministero dello sviluppo economico, così come positivamente ha fatto con altre delicate crisi aziendali, intenda convocare tutte le parti coinvolte, per fare il quadro della situazione;
quali azioni il Governo intenda porre in atto per salvaguardare la continuità aziendale e per tutelare il posto di lavoro di 280 dipendenti e la sussistenza di altrettante famiglie;
se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali intenda intervenire per garantire una prestazione economica, integrativa o sostitutiva della retribuzione durante il periodo intercorrente tra la presentazione della proposta di concordato e la sua eventuale ammissione;
se l'ultima retribuzione non erogata ai dipendenti sia stata congelata in quanto maturata prima della presentazione della procedura di concordato e se dunque rientri del tutto nei crediti concorsuali.
(4-10458)
Apposizione di firme a mozioni.
La mozione Preziosi e altri n. 1-00857, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 maggio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Miotto.
La mozione Vargiu e Mazziotti Di Celso n. 1-00995, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Galgano.
Apposizione di firme ad una risoluzione.
La risoluzione in Commissione Pagano e altri n. 7-00746, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bernardo, Ruocco, Barbanti.
Apposizione di firme ad interrogazioni.
L'interrogazione a risposta scritta Brescia e Cariello n. 4-10408, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.
L'interrogazione a risposta scritta Cozzolino e altri n. 4-10412, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Terzoni.
L'interrogazione a risposta in Commissione Taricco e altri n. 5-06437, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente.
Pubblicazione di testi riformulati.
Si pubblica il testo riformulato della mozione Carfagna n. 1-00827, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 413 del 22 aprile 2015.
La Camera,
premesso che:
la libertà religiosa è la madre di tutte le libertà, in quanto investe la libertà di coscienza, di pensiero e di professione pubblica della fede di ciascuno. Come tale fa parte dei diritti fondamentali ed inalienabili dell'uomo, espressi nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Tale diritto, pertanto, include la libertà di cambiare religione o credo e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico sia in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti;
la libertà religiosa rappresenta senz'altro lo sfondo dove ricercare un'efficace politica sociale attenta alle differenze, dove incoraggiare scelte segnate da una tolleranza genuina che non camuffi le diversità e da un'azione che sostenga l'integrazione, il dialogo plurale per il bene comune, la tutela dei diritti umani e la partecipazione democratica;
la storia dimostra che non solo la libertà religiosa è il pilastro portante di tutte le libertà, ma che l'intolleranza religiosa porta inevitabilmente alla violazione di diritti umani fondamentali e, molto spesso, a conflitti cruenti e devastanti;
purtroppo, come documentano troppi eventi, il diritto alla libertà religiosa è ancora oggi messo in discussione: gli atti di violenza commessi in nome della religione continuano, infatti, a dominare la scena internazionale, generando intolleranza spesso alimentata e strumentalizzata per motivi politici ed economici, che sempre più di frequente producono azioni collettive aberranti a danno delle minoranze;
in molti Paesi, vi sono ancora discriminazioni di ordine giuridico o costituzionale oppure vere e proprie ostilità religiose, spesso legate a tensioni etniche o tribali. In diversi casi, vi è un gruppo religioso che opprime o, addirittura, cerca di eliminarne un altro, o c’è uno Stato autoritario che tenta di limitare le attività di un particolare gruppo religioso;
in questo contesto, la grave mancanza di libertà religiosa di cui soffrono i cristiani in molti Paesi provoca ancora vittime innocenti, perpetrando una vera e propria persecuzione, che rappresenta un'offensiva condotta con violenza sistematica e indiscriminata contro la presenza cristiana in vaste aree del mondo. Si tratta di una tragedia umanitaria di proporzioni drammatiche che si consuma ogni giorno: casi di cristiani perseguitati solo a causa della loro fede, trucidati in nome del fanatismo e radicalismo religioso;
il termine «cristianofobia» è quello che descrive più compiutamente questo fenomeno di portata universale e come tale è stato adottato dall'Onu sin dal 2003 e dal Parlamento europeo nel 2007. Con questa espressione si vuole qualificare la peculiarità di una persecuzione che si manifesta in odio cruento in Paesi dove il cristianesimo è minoranza, ma trova fertile terreno anche in Occidente da parte di chi vuole negare la pertinenza pubblica della fede cristiana;
il Novecento è stato il secolo dell'eccidio dei cristiani: in cento anni ci sono stati più «martiri» che nei duemila anni precedenti. Sono circa cento milioni i cristiani perseguitati in tutto il mondo: nel 2014 si stimano 4.344 vittime e 1.062 chiese attaccate. In media ogni mese 322 cristiani vengono uccisi nel mondo a causa della loro fede, 214 tra chiese ed edifici di proprietà dei cristiani sono distrutti e danneggiati e 722 sono gli atti di violenza perpetrati nei loro confronti. Le statistiche sono di opendoorsusa.org, un'organizzazione no profit evangelica che assiste cristiani perseguitati di tutte le confessioni in più di sessanta Paesi;
nel 2014 e nel primo trimestre 2015 i cristiani si confermano, dunque, come il gruppo religioso maggiormente perseguitato: dalla Nigeria all'Africa subsahariana, dalla Siria all'Iraq, al Pakistan, è lunga la scia di sangue che li vede sempre più sotto attacco con arresti, deportazioni, torture, stupri e decapitazioni;
tra i crimini recenti più efferati, si ricorda la barbara uccisione dei 21 cristiani copti, rapiti a Sirte, in Libia, dai miliziani affiliati allo Stato islamico;
il 10 aprile 2015, in Pakistan un adolescente di 14 anni di religione cristiana è stato arso vivo da alcuni giovani musulmani ed ora lotta tra la vita e la morte, in ospedale a Lahore, con gravi ustioni su tutto il corpo;
le limitazioni alla libertà religiosa conoscono un triste primato in Darfur, teatro di violenti stupri di massa, ma ancora più agghiaccianti sono i massacri compiuti in Nigeria dai fondamentalisti islamici di Boko Haram; lo stesso gruppo terroristico si è reso protagonista di uno degli episodi più raccapriccianti: il rapimento, nella notte del 14 aprile 2014, di 275 ragazze cristiane, studentesse della scuola secondaria del villaggio di Chibok. Alcune decine di loro riuscirono a scappare, ma in grandissima misura (più di 200) mancano ancora all'appello, molto probabilmente gettate nelle fosse comuni;
non sono da meno i tormenti inflitti ai cristiani in Medio Oriente: in Iraq, dall'estate del 2014, sono centinaia di migliaia quelli costretti a fuggire dalle loro case sotto l'incalzare dell'avanzata dei jihadisti dell'Isis;
vi sono poi Paesi come il Kenya, in cui i cristiani rappresentano la maggioranza della popolazione, ma che, a causa delle tensioni religiose, connesse ad una situazione politica complessa, sono vittime di atti di persecuzione. Risale, infatti, a giovedì santo l'episodio di violenza jihadista degli estremisti somali Al Shabaab contro un campus universitario, che ha provocato la morte di almeno 147 persone;
nel mese di marzo 2015, davanti agli attentati mossi dinnanzi a due chiese in Pakistan, che hanno provocato 15 morti e 80 feriti, Papa Francesco ha parlato di una «persecuzione contro i cristiani che il mondo cerca di nascondere»;
e ancora recentemente, in occasione della messa per gli armeni, il Papa ha avuto modo di ricordare che «oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall'indifferenza generale e collettiva», «una terza guerra mondiale a pezzi», in cui «sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica» vengono perseguitati;
non si può rimanere indifferenti davanti a tutto questo, soprattutto in un momento storico in cui il fronte dell'intolleranza sta toccando così tante nazioni nei diversi continenti e, soprattutto, nelle occasioni più incredibili. Basti pensare che solo qualche giorno fa, su un barcone di immigrati diretto verso il nostro Paese, durante la traversata del Canale di Sicilia, è scoppiata una rissa per motivi religiosi, in cui i musulmani avrebbero sopraffatto i cristiani scaraventandoli fuori bordo e provocando la morte di alcuni di loro;
in questo clima, ciò che più colpisce è il silenzio delle istituzioni, nonché la mancanza di un'iniziativa forte e decisa a carico della diplomazia internazionale;
l'integrazione europea, per essere autentica, deve fondarsi sul rispetto delle identità dei popoli dell'Europa, che vedono tra le sorgenti della propria civiltà il Cristianesimo, che è all'origine dell'idea di persona e della sua centralità;
lo stesso principio di laicità dello Stato, che rappresenta una delle conquiste più importanti delle democrazie liberali e pluraliste, non implica indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni, ma garanzia dello Stato stesso per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale;
la libertà religiosa assume, quindi, un ruolo fondamentale anche a garanzia del principio supremo di laicità dello Stato, sul quale si struttura il concetto di democrazia;
di fronte a ciò che sta accadendo, anche a tutela dei principi che fondano le democrazie che la compongono, l'Europa, in particolare, ha il dovere di rivendicare con orgoglio i propri valori e la propria identità, senza rinunciare ad affermare le sue radici giudaico-cristiane, con piena consapevolezza delle origini culturali delle proprie idee e istituzioni democratiche,
impegna il Governo:
a sostenere, nel quadro delle iniziative promosse dall'Unione europea e a livello internazionale, ogni azione volta a riconoscere la persecuzione nei confronti dei cristiani come priorità assoluta, affinché sia condannata e contrastata con ogni mezzo;
a porre in essere, in coordinamento con i partner dell'Unione europea e internazionali, ogni iniziativa volta a rafforzare la capacità dei Paesi alleati e dei Paesi che sostiene con gli strumenti della cooperazione internazionale, per fornire adeguata protezione alle minoranze religiose e garantire il diritto di tutti ad esercitare e professare la propria fede in sicurezza e libertà;
ad adottare ogni iniziativa utile a garantire la tutela degli appartenenti alle minoranze cristiane anche attraverso azioni di assistenza umanitaria, o con il coinvolgimento delle rappresentanze diplomatiche italiane e consolari, anche nell'ambito di iniziative europee ed internazionali, fermo restando l'impegno dell'Italia a rispettare i principi guida dell'aiuto umanitario: imparzialità, neutralità, indipendenza e umanità;
a favorire, in coordinamento con i partner dell'Unione europea, un effettivo impegno degli Stati per la tolleranza e la libertà religiosa, in particolare dei cristiani e delle altre minoranze perseguitate, laddove risulti minacciata o compressa;
ad adoperarsi affinché il rispetto dei diritti umani e quindi della libertà di religione o credo siano al centro delle politiche di aiuto allo sviluppo dell'Unione europea e degli altri organismi internazionali, fermo restando il rispettare dei principi guida dell'aiuto umanitario: imparzialità, neutralità, indipendenza e umanità;
a promuovere nelle competenti sedi internazionali, di concerto con i partner dell'Unione europea, iniziative atte a rafforzare il rispetto del principio di libertà religiosa, la tutela delle minoranze religiose, la lotta contro la cristianofobia e il monitoraggio delle violazioni, dando concreta attuazione agli strumenti internazionali esistenti.
(1-00827)
(Nuova formulazione) «Carfagna, Brunetta, Centemero, Prestigiacomo, Palmieri, Gelmini, Garnero Santanchè, Giammanco, Ravetto, Milanato, Sandra Savino, Distaso, Polidori, Vella, Elvira Savino, Altieri, Marotta, Bianconi, Bergamini, Biancofiore, Castiello, Abrignani, Nizzi, Calabria, Occhiuto».
Si pubblica il testo riformulato della mozione Palazzotto n. 1-00859, già pubblicata nell'allegato B al resoconto della seduta n. 425 del 12 maggio 2015.
La Camera,
premesso che:
la libertà religiosa è uno dei diritti fondamentali della persona che ogni Stato dovrebbe tutelare, oltre che riconoscere;
la Costituzione, all'articolo 19, riconosce in modo ampio la libertà di religione, intesa quale diritto di ogni individuo di professare liberamente la propria fede e farne propaganda, nonché di esercitare in privato e in pubblico il culto e, all'articolo 8, riconosce che tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge;
nella dichiarazione dell'Onu del 1948 tutti gli Stati che ne fanno parte si impegnano a garantire non tanto e non solo una mera tolleranza religiosa verso le minoranze, bensì una piena libertà religiosa per tutte e per tutti; in particolare, l'articolo 18 stabilisce che: «ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
negli ultimi anni la libertà religiosa è in netto declino con una crescente ondata di persecuzioni mirate anche a marginalizzare le comunità religiose. Dati recenti testimoniano che il 70 per cento della popolazione mondiale vive in Paesi caratterizzati da restrizioni o persecuzioni a causa della religione professata;
nella lista degli Stati in cui si registrano gravi violazioni della libertà religiosa, i Paesi musulmani ne rappresentano la maggioranza con gravissime violazioni dove la persecuzione è legata all'estremismo islamico;
fortissime limitazioni alla libertà religiosa si riscontrano anche in numerosi Stati autoritari;
la libertà religiosa è in declino nei Paesi occidentali a maggioranza cristiana o di tradizione cristiana. In Europa, ad esempio, sono crescenti i fenomeni di antisemitismo e islamofobia, spesso fomentati da chi contrasta l'inevitabile modello pluriconfessionale ed eterogeneo della società;
occorre per cui contrastare queste tendenze con forti politiche di inclusione sociale e attivarsi in ogni sede, europea ed internazionale, affinché si attuino provvedimenti orientati al massimo rispetto di tutte le fedi e di tutte le opinioni e si prendano misure efficaci a contrastare ogni forma di violenza,
impegna il Governo:
ad assicurare protezione internazionale ai perseguitati per motivi religiosi;
a rendersi promotore, nell'ambito dell'Unione europea e presso gli organismi internazionali cui l'Italia partecipa, di iniziative volte a riaffermare i principi di libertà religiosa oltre che di rispetto dei diritti civili e a favorire il dialogo tra i popoli e il dialogo interreligioso, nonché di iniziative da attuare nei confronti dei Governi che impediscono la libertà religiosa per far cessare le persecuzioni religiose;
ad adoperarsi presso gli Stati europei, nell'ambito dell'Unione europea e nelle sedi internazionali, al fine di ampliare il fronte di solidarietà contro le esortazioni alla violenza di esponenti del radicalismo di qualsiasi natura e delle organizzazioni di qualsiasi natura e tipo che incitano all'odio religioso ed etnico;
a riferire periodicamente sugli obiettivi raggiunti, a partire dagli impegni presi dal Governo a seguito delle mozioni approvate dalla Camera dei deputati il 2 luglio 2014.
(1-00859)
(Nuova formulazione) «Palazzotto, Scotto, Fratoianni, Kronbichler, Costantino, Quaranta».
Si pubblica il testo riformulato dell'interrogazione a risposta scritta Alberti n. 4-05127, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 245 del 13 giugno 2014.
ALBERTI e COMINARDI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
la Franciacorta è una zona collinare che comprende numerosi comuni, tutti della provincia di Brescia e si estende tra l'estremità meridionale del Lago d'Iseo e la città capoluogo;
la Franciacorta è soprattutto una delle più importanti zone viti-vinicole del mondo con prevalente vocazione spumanticola, con marchio docg di altissima qualità, già riconosciuta dal 1967 con decreto del Presidente della Repubblica, come zona a «Denominazione di Origine»;
l'articolo 21 del decreto legislativo n. 228 del 18 maggio 2001, al comma 1 prevede che lo Stato, le regioni e gli enti locali tutelino, la tipicità, la qualità, le caratteristiche alimentari e nutrizionali, nonché le tradizioni rurali di elaborazione dei prodotti agricoli e alimentari a denominazione di origine controllata (DOC), a denominazione di origine controllata e garantita (DOCG), a denominazione di origine protetta (DOP), a indicazione geografica protetta (IGP) e a indicazione geografica tutelata (IGT);
la tutela di queste aree è realizzata, in particolare, mediante la definizione dei criteri per l'individuazione delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti e l'adozione di tutte le misure utili per far sì che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente;
in data 19 luglio 2006, la Società «ASM Brescia s.p.a.» (ora «Aprica s.p.a.», gruppo «a2a s.p.a») ha richiesto alla regione Lombardia la pronuncia di compatibilità ambientale ai fini dell'ottenimento dell'autorizzazione per la realizzazione e esercizio della «Discarica controllata per rifiuti speciali non pericolosi Bosco Stella» in un'area al confine tra i Comuni di Castegnato (BS) e Paderno Franciacorta (BS), comune della Franciacorta interessato dalla presenza di coltivazioni di pregio (DOC DOCG IGT);
il nuovo sito verrebbe collocato a poche decine di metri da una discarica dismessa non correttamente impermeabilizzata, che ha già causato l'inquinamento della prima falda acquifera;
in particolare, in questa zona vi è una concentrazione di numerose criticità ambientali tra cui discariche in esercizio o cessate, attività estrattive, siti inquinati da PCB e cromo VI da bonificare, insediamenti industriali, arterie di grande comunicazione;
durante l’iter della VIA, L'Arpa di Brescia, i Comuni interessati e l'ASL Brescia, hanno già espresso diverse valutazioni negative sull'impatto ambientale del progetto segnalando il mancato rispetto della normativa vigente (Rif. S.I.L.V.I.A. – Procedura R517. Proponente: Aprica S.p.a. – Gruppo a2a);
le associazioni, i comitati e tutte le comunità locali, hanno più volte segnalato la netta contrarietà dei cittadini al progetto, raccogliendo migliaia di firme contro questa discarica;
nel luglio 2014 gli uffici della regione Lombardia preposti alla valutazione di impatto ambientale, hanno comunicato il preavviso di diniego chiudendo di fatto il procedimento amministrativo;
a seguito dell'approvazione del nuovo piano regionale dei rifiuti e delle norme sull'indice di pressione del territorio in materia di discariche, viene fortemente limitata la realizzazione di discariche nel territorio dell'intera regione Lombardia e quindi anche nei comuni interessati dalla discarica Bosco Stella;
il 28 luglio 2015 presso regione Lombardia, si è tenuta una nuova conferenza dei servizi per la procedura di valutazione di impatto ambientale in oggetto, riaprendo il procedimento concluso;
con lettera del 10 settembre 2015, i sindaci dei comuni di Castegnato, Ospitaletto, Paderno Franciacorta e Passirano, hanno chiesto direttamente ed esplicitamente il coinvolgimento della VIII commissione della Camera dei deputati (ambiente, territorio e lavori pubblici) e della 13a Commissione permanente del Senato della Repubblica (territorio, ambiente, beni ambientali), per fermare il procedimento di richiesta della discarica Boscostella anche in vista della prossima conferenza di servizi del 24 settembre 2015, presso regione Lombardia, in quanto appare del tutto ingiustificata ed illegittima la riapertura di un procedimento, anche per il fatto che una nuova richiesta di autorizzazione di scarica nel comune di Castegnato sarebbe immediatamente chiusa, in quanto il comune si trova in una situazione di saturazione completa, con l'impossibilità di localizzare qualsiasi impianto di discarica –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra esposto;
se sussistano rischi di compromissione dell'area nella quale insiste la produzione marchio docg di altissima qualità Franciacorta, già riconosciuta dal 1967 con Decreto del Presidente della Repubblica alla luce del progetto della discarica «Bosco Stella»;
se non ritengano opportuno intervenire, anche in risposta alla lettera inviata dai sindaci dei comuni di Castegnato, Ospitaletto, Paderno Franciacorta e Passirano, al fine di evitare qualunque danno all'immagine della Franciacorta e alla Qualità delle colture viti-vinicole presenti sul territorio e in che forma;
se non si ritenga opportuno in via generale valutare se la regolamentazione dei fattori di pressione ambientale, degli impatti ambientali dei progetti e dei rischi cumulativi, sulle risorse agricole, ambientali, sugli ecosistemi e sulla salute dei cittadini residenti garantiscano a sufficienza le esigenze di protezione di tali valori. (4-05127)
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta in Commissione Artini n. 5-05994 del 7 luglio 2015;
interpellanza urgente Naccarato n. 2-01058 del 4 agosto 2015;
interrogazione a risposta in Commissione Lorefice n. 5-06327 del 9 settembre 2015.