Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 30 ottobre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    i diritti delle donne costituiscono parte integrante ed inalienabile del patrimonio di diritti universali in cui si riconoscono le società democratiche;
    la violenza sulle donne è probabilmente la forma più pervasiva di violazione dei diritti umani conosciuta oggi, che devasta vite, disgrega comunità e ostacola Io sviluppo, e rappresenta un problema di proporzioni pandemiche, come osservano i rapporti dell'UNIFEM, il Fondo di sviluppo per le donne delle Nazioni Unite; nell'attuale quadro estremo di crisi, guerre e persecuzioni il tema dei diritti umani, e in particolare quello delle donne appare fondamentale e urgente nella sua complessità; lo stupro, eseguito in modo sistematico e di massa su donne, ragazze, bambine e bambini, così come la schiavitù sessuale e la tratta di esseri umani, insieme ad altre forme di violenza, sono ancora usati come armi, forme di controllo e di sopraffazione in zone di conflitto in tutto il mondo;
    negli ultimi anni, la stampa internazionale ha ripetutamente denunciato il crimine sistematico delle violenze di cui sono vittime migliaia di donne negli attuali teatri di guerra e, in particolare, nel quadro dei conflitti in Siria, in Iraq, in Libia, in Nigeria e nella Repubblica Democratica del Congo;
    alcuni rapporti di importanti organizzazioni non governative tra le quali International rescue committee e Human rights watch confermano l'ampiezza del fenomeno nel quadro del conflitto siriano, denunciando violenze messe in atto dalle forze governative e dai gruppi armati non statali, in particolare dai miliziani jihadisti dell'autoproclamato Stato islamico dell'Iraq e della Siria (ISIS); i rapporti mettono altresì in evidenza le difficoltà di ottenere testimonianze dirette, anche dovute al timore delle vittime di diventare successivamente oggetto di discredito sociale, di essere allontanate dal contesto familiare e del rischio stesso di divenire vittime di delitti d'onore;
    l'organizzazione Women's Media Center ha lanciato un'iniziativa, denominata Women Under Siege, al fine di raccogliere un ampio numero di testimonianze riportate dalla stampa; tale progetto sembra confermare quanto stabilito nelle conclusioni della Commissione d'inchiesta internazionale indipendente sulla Siria, che già nel primo rapporto pubblicato il 15 agosto 2012, denunciava che «la violenza sessuale ha avuto un ruolo di primo piano nel conflitto, così come la paura e la minaccia dello stupro e delle violenze; ci sono casi di violenza sessuale durante le incursioni, ai posti di blocco, nei centri di detenzione e nelle prigioni di tutto il paese; la minaccia di stupro è uno strumento per terrorizzare e punire le donne, i bambini e gli uomini, ritenuti sostenere l'opposizione»;
   le violazioni dei diritti dell'uomo e i crimini di guerra da parte delle forze governative siriane che includono le violenze e le sevizie sessuali sono confermate negli ultimi rapporti pubblicati dalla Commissione nel 2014 e nel 2015; tali rapporti, rilevano, tuttavia, che anche gli appartenenti al gruppo terroristico dell'ISIS, il quale si è dotato di una struttura gerarchica e politica, si sono adoperati in gravissimi crimini di guerra e contro l'umanità, deliberati e calcolati in particolare contro le donne e i minori, in particolare delle donne appartenenti alle minoranze etniche e religiose;
    in Iraq, da più di dieci anni, rapimenti, omicidi e stupri sono una costante nella vita delle donne e delle ragazze irachene; per quanto attiene la situazione in Libia, la presenza dei miliziani dell'ISIS ha avuto effetti nefasti sulle condizioni di vita delle bambine e delle donne; come riportato dal dossier indifesa 2015, pubblicato dalla ONG internazionale Terre des Hommes, nelle città controllate dal Califfato, il numero dei matrimoni di ragazze minorenni avrebbe conosciuto un brusco aumento; in Nigeria, Amnesty International stima che siano più di duemila le donne e le ragazze rapite da Boko Haram, che utilizza sempre più spesso donne e bambine come kamikaze per portare a termine attentati suicidi in luoghi affollati come i mercati o nei pressi delle stazioni di polizia; anche nella Repubblica Democratica del Congo, infine, lo stupro sistematico di donne e ragazze viene utilizzato come una vera e propria arma di guerra sia delle truppe regolari che di armate ribelli; nel 2012, il Ministero congolese del gender ha riportato 15.654 casi di violenza sessuale, con un aumento del 52 per cento rispetto al 2011;
    Amnesty International ha incontrato migliaia di profughi, provenienti da tutti governatorati della Siria, fuggiti nei paesi vicini; l'ONG internazionale riferisce in diversi documenti che per le rifugiate siriane il principale motivo per cui hanno lasciato la Siria era la paura dello stupro e della violenza sessuale; le donne rifugiate rappresentano quasi sempre l'unica speranza di sopravvivenza per i figli; tuttavia, il drammatico destino delle vittime della guerra vuole che le fuggiasche non trovino sicurezza neanche una volta varcati i confini della Siria; nel documento Za'atari Governance Plan (giugno 2013) dell'Unhcr si legge, infatti, che nel campo profughi di Za'atari, situato in Giordania e diventato con i suoi 120.000 profughi il secondo campo più grande al mondo, «persone potenti e bande organizzate hanno imposto la loro volontà su quartieri del campo, deviando l'assistenza e realizzando attività criminali»; il documento parla anche di ambiente insicuro, con gruppi vulnerabili che corrono gravi rischi tra cui sfruttamento e abuso sessuale, senza potere ricorrere al sistema giudiziario giordano;
     nelle comunità di profughi in Libano, in Turchia, in Giordania e in Egitto si registra un allarmante incremento dei fenomeni di sfruttamento e dei matrimoni precoci, che espongono le giovani donne a violenze fisiche, abusi e gravidanze precoci;
    l'articolo 3 delle Convenzioni di Ginevra, che riguarda i conflitti armati a carattere non internazionale, che si verificano nel territorio di uno degli Stati contraenti contiene un insieme di divieti inderogabili, in qualsiasi luogo e in qualsiasi circostanza, tra cui la violenza contro la vita e le persone, la cattura di ostaggi, l'oltraggio alla dignità personale, e in particolare i trattamenti umilianti e degradanti, l'emissione di sentenze di condanna e le esecuzioni effettuate senza regolare processo; le gravi violazioni delle convenzioni di Ginevra rientrano nei crimini di competenza della Corte penale internazionale, unitamente ai crimini di genocidio, ai crimini contro l'umanità e a tutti i crimini di guerra, siano essi trattati o meno dalle convenzioni di Ginevra; tale esigenza è stata più volte sottolineata all'interno della comunità internazionale, sia dai movimenti delle donne che da altri soggetti, sia non governativi che istituzionali, ed ha trovato risposta sia nello statuto della Corte penale internazionale che in altre recenti interpretazioni del diritto umanitario; la risoluzione 1325 su «Donne, Pace e Sicurezza», approvata all'unanimità dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU il 31 ottobre del 2000, è la prima in assoluto che menziona esplicitamente l'impatto della guerra sulle donne ed il contributo delle stesse nella risoluzione dei conflitti per una pace durevole; il provvedimento rafforza, estendendoli a tutte le Parti in conflitto e alle Parti «terze», importanti impegni derivanti dalla più ampia «Convention on the elimination of all forms of discrimination against women» (CEDAW), elaborata dalle Nazioni Unite e ratificata dall'Italia il 10 giugno 1985, quali la piena partecipazione delle donne nei processi decisionali, il ripudio della violenza contro le donne, l'esigenza della loro protezione e la valorizzazione delle loro esperienze; nell'ambito dell'attuazione del Piano nazionale donne, pace e sicurezza 2014-2016, il Ministero della difesa ha avviato nel giugno 2014 il primo corso per gender advisor con l'obbiettivo di formare una nuova figura professionale, istituita in ambito Nato, di supporto ai comandanti nel rendere le forze armate sempre più aderenti ai principi delle pari opportunità e dell'uguaglianza di genere e di contribuire a una pace sempre più stabile e duratura nei territori di missione;
    l'uso dello stupro come arma di guerra è stato ufficialmente condannato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con la risoluzione 1820, appoggiata da trenta Paesi, tra cui l'Italia, e approvata dai 15 Stati membri del Consiglio di sicurezza; il quarto paragrafo di tale risoluzione osserva che «lo stupro e altre forme di violenza sessuale possono rappresentare un crimine di guerra, un crimine contro l'umanità o comunque un atto che afferisce al genocidio» e sottolinea inoltre «l'importanza di porre fine all'impunità nei confronti di tali atti, come parte di un approccio globale per la ricerca della pace della giustizia, della verità e della riconciliazione nazionale»; l'opportunità di avviare indagini sulle violenze contro le donne in Siria si conferma urgente e prioritaria in ragione del fatto che se potesse essere provato che essi sono stati pianificati, i responsabili potrebbero essere imputati davanti ai tribunali internazionali di crimini contro l'umanità e di crimini di guerra, anche in relazione a tale fattispecie criminosa; in linea con la dottrina che vuole attribuire alla Corte penale internazionale un ruolo sempre più concreto nella valutazione delle questioni internazionali, il Governo italiano ha assicurato un costante impegno per autorizzare e promuovere un'indagine della Corte penale internazionale sulle atrocità commesse in Siria; tuttavia, l'iniziativa per una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite volta a deferire, come avvenuto per la situazione in Libia, le due parti in conflitto in Siria davanti alla Corte penale internazionale ha incontrato per quattro volte il veto di due rappresentanti permanenti, ossia la Cina e la Federazione Russa; l'Italia ha altresì svolto un ruolo importante nel percorso internazionale volto all'adozione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011, che rappresenta il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativa completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza;
    il Capo VIII (articoli 62-65) della Convenzione prevede obblighi di cooperazione internazionale tra Stati al fine di rafforzare l'azione di contrasto alla violenza nei confronti delle donne; l'articolo 62, paragrafo 4, in particolare, dispone che «Le Parti si sforzano di integrare, se del caso, la prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica nei programmi di assistenza allo sviluppo condotti a favore di paesi terzi, compresa la conclusione di accordi bilaterali e multilaterali con paesi terzi, al fine di facilitare la protezione delle vittime»; la violenza sulle donne, gli stupri di guerra, le mutilazioni e più in generale l'uso del corpo delle donne come strumento di repressione e di sottomissione richiamano l'Italia come Paese e come membro della comunità internazionale, ad un'immediata assunzione di responsabilità,

impegna il Governo:

   a utilizzare tutti gli strumenti d'azione diplomatica per sostenere gli sforzi internazionali e regionali volti a una soluzione delle crisi e per richiedere il rispetto del diritto internazionale umanitario e del diritto bellico da parte tanto degli eserciti regolari quanto dei gruppi armati di opposizione, monitorandone la condotta e condannandone le violazioni;
   a favorire con ogni mezzo e in ogni sede la raccolta delle testimonianze e delle prove, nonché ogni indagine volta a stabilire la verità sulle violenze di cui sono vittime le donne e i minori nei conflitti e ad individuarne i responsabili, continuando a promuovere un deferimento delle situazioni al procuratore della Corte penale internazionale;
   a riconoscere la protezione e l'assistenza delle donne e dei minori rifugiati come una priorità nell'ambito delle attività della cooperazione internazionale e dell'accoglienza, offrendo supporto per il mantenimento e l'avvio di nuovi progetti di assistenza medica, psicosociale e legale per le donne e i minori che hanno subito violenza; a promuovere nel contesto internazionale la conclusione di accordi bilaterali e multilaterali volti alla prevenzione delle violenze, alla protezione delle vittime e allo sviluppo e il rafforzamento delle istituzioni nazionali, in modo particolare i sistemi giudiziari e sanitari e le reti locali della società civile, allo scopo di fornire una adeguata assistenza alle donne e ai minori vittime di violenze nei conflitti armati e nelle situazioni post-belliche.
(1-01050) «Quartapelle Procopio, Giuliani, Sereni, Carrozza, Garavini, Locatelli, Fitzgerald Nissoli, Zampa, Fedi, Nicoletti, Porta».


   La Camera,
   premesso che:
    l'obesità rappresenta uno dei principali problemi di sanità pubblica a livello mondiale. Il sovrappeso e l'obesità sono un fattore di rischio per l'insorgenza di patologie croniche degenerative come le malattie cardiovascolari, che rappresentano la prima causa di morte, e il diabete, che affligge il 10 per cento della popolazione italiana ed è in costante aumento. È provata la relazione esistente tra obesità e alcune patologie tumorali;
    in questo scenario di vera e propria epidemia di obesità, particolarmente preoccupante è il fenomeno dell'insorgenza della obesità infantile che predispone alla obesità in età adulta e che si accompagna sempre di più a patologie in età pediatrica come l'aumentata insorgenza di diabete e ipertensione;
    secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) i bambini in eccesso ponderale nel mondo sono quarantaquattro milioni. L'impatto dell'obesità e le conseguenti ripercussioni dirette sulla salute sottolineano come sia prioritario e necessario contrastare tempestivamente tale fenomeno. L’Action Plan on Childhood Obesity 2014-2020 dell'Unione europea si inserisce proprio in quest'ottica di prevenzione e contrasto;
   il sistema di sorveglianza nazionale OKkio alla SALUTE, promosso e finanziato dal Ministero della salute/CCM, coordinato dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto superiore di sanità e condotto in collaborazione con tutte le regioni italiane e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dal 2007 costituisce una solida fonte di dati epidemiologici sugli stili di vita dei bambini della scuola primaria e rappresenta la risposta istituzionale italiana al bisogno conoscitivo del problema del sovrappeso e dell'obesità nella popolazione infantile;
    lo sviluppo di sistemi di sorveglianza è alla base delle strategie italiane in materia di prevenzione e promozione della salute, quali il programma governativo «Guadagnare salute» e il piano nazionale della prevenzione. L'Italia con i dati di OKkio alla SALUTE partecipa, inoltre, all'iniziativa della regione europea dell'Organizzazione mondiale della sanità denominata COSI – Childhood Obesity Surveillance Initiative;
    dall'ultimo report del 2014 di OKKIO si desume che i bambini in sovrappeso sono il 20,9 per cento e i bambini obesi sono il 9,8 per cento, compresi i bambini severamente obesi che da soli sono il 2,2 per cento. Si registrano prevalenze più alte nelle regioni del Sud e del Centro;
    in particolare il dato in Campania resta preoccupante nell'ultimo report del 2014;
    certamente i programmi di prevenzione sono fondamentali per il contenimento del fenomeno, ma risulta altrettanto importante offrire un percorso di diagnosi e cura per quei bambini che già presentano obesità spesso già con le complicazioni di tale malattia;
    un dato importante che emerge dalle indagini epidemiologiche è che tale patologia si associa a condizioni sociali di fragilità, quali scarsa istruzione materna, che non riconoscono la condizione o la sottovalutano ed è quindi un elemento di diseguaglianza in sanità;
   è importante invece che tali bambini abbiano una offerta di presa in carico del Servizio sanitario nazionale che consenta loro di potere eseguire gratuitamente anche oltre i 6 anni un percorso di diagnosi e cura presso centri appositamente dedicati, individuando secondo le linee guida delle società scientifiche i parametri clinici e le correlate indagini di laboratorio e strumentali e visite specialistiche necessarie,

impegna il Governo

a mettere in atto, entro sei mesi, concrete iniziative di intervento che consentano la gratuità dei percorsi diagnostici e di prevenzione dell'obesità per i minori con età inferiore ai dodici anni.
(1-01051) «Tartaglione, Carloni, Cuomo, Famiglietti, Manfredi, Migliore, Giorgio Piccolo, Rostan, Sgambato, Valeria Valente, Valiante, Palma».

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni VIII e XIII,
   premesso che:
    una effettiva messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati costituisce un obiettivo essenziale di politica ambientale ed economica per il Paese ed è utile per lo sviluppo economico dell'Italia in quanto può aprire, da un lato, interessanti prospettive di riqualificazione urbanistica e territoriale, anche liberando ampie zone per la fruizione collettiva, dall'altro, può essere la premessa per una loro nuova valorizzazione produttiva, previa riconversione – ove possibile ed opportuno – verso produzioni non inquinanti ed anzi ecologicamente orientate;
    la stessa bonifica dei siti inquinati può contribuire alla crescita dell'occupazione, soprattutto qualificata, nel nostro Paese, grazie allo sviluppo della ricerca applicata e l'utilizzo di tecnologie innovative e complesse, la cui applicazione su larga scala richiede l'impiego di un numero importante e crescente nel tempo di laureati e tecnici specializzati;
    la materia delle bonifiche dei siti contaminati non è oggetto di una disciplina organica da parte del diritto europeo, ma principi rilevanti per tale materia sono presenti nella regolamentazione della responsabilità ambientale (direttiva ELD 2004/35/EC) e nella normativa sulle emissioni industriali (direttiva IED 2010/75/EC);
    una corretta politica di tutela della qualità del suolo garantisce anche la salubrità dei prodotti agroalimentari;
    va considerata la necessità di introdurre elementi tecnici uniformi e certi per garantire ai consumatori la qualità dei prodotti ed alle aziende la certezza delle attività d'impresa;
    l'approvazione di continue revisioni parziali alla normativa nazionale in materia, per lo più attraverso l'approvazione di decreti-legge, determina una frammentarietà della disciplina vigente, ingenerando difficoltà di applicazione da parte degli operatori e disomogeneità di applicazione a livello nazionale;
    la bonifica del suolo rappresenta il presupposto indispensabile per qualsivoglia attività di riuso dello stesso e che la stessa costituisce elemento essenziale per la fruibilità in chiave agricola delle aree interessate dalle attività di bonifica;
    l'attività di bonifica è l'unico strumento per consegnare all'uso agroalimentare le aree oggetto dell'intervento;
    l'interpretazione, anche ai fini delle attività d'indagine, delle eventuali misure sanzionatorie e delle eventuali responsabilità, è controversa e complessa al punto tale da registrare frequenti ribaltamenti giurisprudenziali, con provvedimenti di sequestro di aree, inibizioni alla coltivazione o addirittura divieti di commercializzazione dei relativi prodotti agricoli puntualmente sanzionati dalle azioni dei ricorrenti;
    è ritenuto ormai essenziale poter disporre di parametri certi, così come previsto dall'articolo 1, comma 6, del decreto-legge n. 136 del 2013, secondo il quale, ove, sulla base delle indagini svolte, non sia possibile procedere all'indicazione della destinazione dei terreni, i decreti interministeriali siano chiamati ad individuare i terreni da sottoporre ad indagini dirette, da svolgere, secondo un ordine di priorità definito nei medesimi decreti;
    i decreti interministeriali di individuazione dei terreni interdetti totalmente o parzialmente dalla produzione agroalimentare non hanno dato seguito alla parte del disposto normativo che chiedeva tale indicazione di priorità, generando confusione in ordine alla salubrità dei prodotti ed alle aree coltivabili;
    è quanto mai necessario dare attuazione a quanto previsto dall'articolo 1, comma 6-sexies, del decreto-legge n. 136 del 2013, in base al quale il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, è chiamato a definire, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della disposizione, i parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari, disciplinando le relative modalità di verifica;
    tali parametri devono considerare la condizione del suolo, del sottosuolo, delle acque, con particolare riferimento al cosiddetto inquinamento di fondo per consentire una adeguata compliance valutativa oggettiva;
    Sogesid spa, società in house del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è coinvolta, come stazione appaltante e per attività di progettazione, in numerosi interventi di bonifica e messa in sicurezza e che questa società è stata oggetto di indagini giudiziarie e di interrogazioni parlamentari;
    considerato che anche Invitalia Spa, società in house del Ministero dello sviluppo economico, è coinvolta come stazione appaltante e per attività di progettazione in interventi di bonifica quali quelli per le aree di Piombino, Trieste, Bagnoli con compiti analoghi a quelli di Sogesid Spa;
    rilevato che, in importanti siti di interesse nazionale, quali ad esempio Bagnoli, Bussi sul Tirino, Cogoleto operano sia il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sia commissari di Governo, ingenerando sovrapposizioni di competenze che si traducono in inefficienze complessive;
   accanto ai siti di interesse nazionale vi sono aree ad alta specificità come la cosiddetta «terra dei fuochi», già interessata da specifica normativa e che pure prevedeva la necessità di chiarire i parametri già sopra indicati;
    i numerosissimi accordi di programma, che hanno visto negli anni il tentativo di coinvolgere il sistema privato per definire percorsi di messa in sicurezza e bonifica nei siti industriali ancora in attività, non sempre hanno raggiunto gli obiettivi prefissati;
    vi sono siti contaminati che, a causa della difficoltà di individuare i responsabili dell'inquinamento o comunque di contenziosi in atto, costituiscono un pericolo sanitario e che il sindaco, quale massima autorità sanitaria, è individuato come soggetto che deve attivare gli interventi in via sostitutiva ai sensi dell'articolo 250 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (Parte IV, Titolo V);
    nonostante la legge preveda la possibilità che la regione si sostituisca in caso di impossibilità del comune a disporre la bonifica o la messa in sicurezza dell'area contaminata, i casi sono talmente numerosi che questa situazione spesso non si determina, causando la mancata attuazione degli interventi;

impegnano il Governo:

   a promuovere un'azione di organica riforma della disciplina della bonifica dei siti contaminati, tenendo in considerazione il contesto normativo generale della protezione del suolo e garantendo la corretta applicazione della disciplina comunitaria;
   a rendicontare i risultati raggiunti in tutti gli accordi di programma sulla riqualificazione ambientale e produttiva delle aree, sottoscritti dal Governo, attraverso i  ministeri e, prevedendo, poi, in base ai risultati raggiunti, una disciplina più efficace per risanare i siti stessi;
   a dare attuazione al disposto di cui all'articolo 1, comma 6-sexies, del decreto-legge n. 136 del 2013, in base al quale il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, è tenuto a definire i parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentare, disciplinando contestualmente le relative modalità di verifica;
   a istituire, senza oneri aggiuntivi per lo Stato, un tavolo tecnico permanente presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con l'obiettivo di garantire un confronto tecnico scientifico con gli istituti scientifici nazionali, con gli esperti del settore e con le Agenzie ambientali (Arpa), al fine di definire linee guida tecniche per gli operatori, facendo si che le modalità di funzionamento del tavolo tecnico, al quale dovranno partecipare anche il Ministero dello, sviluppo economico, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministero della salute e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, oltre a una rappresentanza della Conferenza Unificata e  delle Arpa, siano definite dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con proprio decreto;
   a coinvolgere le più ampie sensibilità professionali tecniche, accademiche ed aziendali pubbliche e private capaci di esprimere competenze nel settore delle bonifiche;
   a promuovere, la formazione e l'aggiornamento in tema di applicazione della normativa sulle bonifiche;
   ad assumere iniziative per garantire, nel rispetto del principio di prossimità, l'applicazione delle migliori tecniche disponibili a livello internazionale con particolare riferimento alle bio-bonifiche;
   ad assumere iniziative per definire, avvalendosi del contributo dell'Ispra, delle Arpa e dell'Istituto superiore di sanità e del CNR, procedure di verifica e certificazione delle nuove tecnologie, applicabili per la messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati che tengano conto anche di criteri di sostenibilità e della necessità di limitare il consumo di suolo e di risorse naturali;
   ad assumere iniziative volte a sopprimere le figure dei commissari straordinari, qualora i siti oggetto di interventi rientrino nella normativa afferente ai siti di interesse nazionale;
   ad assumere iniziative per definire e circoscrivere, in maniera dettagliata, l'attività di Sogesid spa e di Invitalia spa, rivedendone gli obiettivi statutari, valutando anche l'individuazione di un'unica società in house che si occupi di interventi ambientali, con particolare riferimento a quelli relativi alla messa in sicurezza e bonifica di aree contaminate, secondo criteri di economicità, razionalità ed efficienza della pubblica amministrazione;
   ad assumere iniziative normative per escludere dal patto di stabilità le somme relative agli interventi realizzati dai comuni per la messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati, individuando un percorso normativo che consenta, comunque, soprattutto in caso di rischi sanitari, un'azione rapida ed incisiva che porti alla bonifica o alla messa in sicurezza dei siti.
(7-00833) «Russo, Castiello».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   VALLASCAS e CANCELLERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con l'insediamento del consiglio di amministrazione, avvenuto l'8 ottobre 2015, è terminata la fase commissariale, del nuovo Enit, l'Agenzia nazionale del turismo;
   sino a quella data, il commissario, Cristiano Radaelli, avrebbe lavorato, secondo quanto appreso dagli organi di stampa, al riordino dei conti, alla predisposizione del nuovo statuto dell'organismo nonché alla rimodulazione del nuovo assetto organizzativo in vista degli accresciuti e più articolati compiti attribuiti all'organismo dal decreto-legge n. 35 del 14 marzo 2005 che ha trasformato, dopo circa un secolo di attività, l'Ente nazionale italiano per il turismo in agenzia;
   in prossimità dell'insediamento del consiglio di amministrazione e per riassumere sinteticamente il suo lavoro, Radaelli avrebbe affermato che «È tutto pronto, la fase commissariale finisce, i conti sono stati messi a posto, la struttura riorganizzata e l'ente può ripartire con il nuovo Cda»;
   nel mese di maggio, al momento della nomina di Evelina Christillin (presidente), Antonio Preiti e Fabio Lazzerini, nel nuovo consiglio di amministrazione dell'Enit, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, avrebbe dichiarato «L'Italia ha ora uno strumento snello, efficiente ed efficace in grado di affrontare le grandi sfide e cogliere le enormi opportunità rappresentate dalla crescita esponenziale del turismo internazionale»;
   nonostante le dichiarazioni del Ministro e dell'ex commissario, sembrerebbe che non tutto sia pronto e che l'organismo sia ancora lontano dall'essere uno strumento snello ed efficace;
   in particolare, sembrerebbe che si siano registrate numerose difficoltà nella ridefinizione dei rapporti di lavoro a causa del nuovo status e del nuovo inquadramento lavorativo che comporterebbe il passaggio dei dipendenti dal vecchio organismo statale al nuovo ente pubblico economico (in alcuni casi ci potrebbero essere riduzioni stipendiali anche del 45 per cento);
   secondo fonti giornalistiche, sarebbero stati avviati diversi ricorsi sia da parte dei dipendenti Enit, che per le richiamate motivazioni sarebbero contrari al passaggio al nuovo organismo, sia da parte dei lavoratori precari di PromuoviItalia, che chiedono di essere inseriti nel settore pubblico;
   è il caso di rilevare che l'ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli aveva inserito l'Enit al secondo posto, dopo il Cnel, tra gli enti pubblici da chiudere;
   l'Enit ha come finalità quella di promuovere l'offerta turistica del nostro Paese nel mondo, ma a questo obiettivo sembra siano destinate solo alcune centinaia di migliaia di euro, a fronte di una media di circa 70 milioni di euro che sarebbero spesi per la promozione turistica da Gran Bretagna, Francia e Spagna;
   buona parte, dei 17,6 milioni di euro che lo Stato destina all'Agenzia, sarebbero impegnati in spese di gestione e nell'erogazione degli stipendi;
   nel 2014, i 78 dipendenti dell'Enit sono costati 6,7 milioni di euro, una media di 85.363 euro a testa e, secondo quanto hanno riferito alcuni organi di stampa, 20 mila euro in più di quanto abbiano guadagnato in media i dipendenti della Casa Bianca;
   nel corso di questi anni, l'Enit avrebbe sostenuto spese eccessive, che sono state oggetto dei tagli apportati dal commissario: da riferire i costi sostenuti per le sedi estere, per le indennità dei manager e del personale distaccato all'estero;
   nonostante i tagli apportati dalla gestione commissariale e vista la situazione di incertezza che sta determinando il procedimento in corso per il nuovo inquadramento dei dipendenti, l'Enit non risulterebbe essere un organismo in grado di affrontare con efficienza, efficacia e competitività le sfide che lo sviluppo del mercato turistico internazionale imporrebbe –:
   se corrisponda al vero quanto esposto in premessa;
   quali siano le risultanze del lavoro svolto nel corso della fase commissariale dell'organismo, con particolare riguardo agli esiti del processo di riordino dei conti e alla rimodulazione del nuovo assetto organizzativo;
   quale sia lo stato di attuazione della riorganizzazione dell'Enit – Agenzia nazionale del turismo, nonché le risorse economiche e la dotazione di personale su cui l'organismo può disporre;
   se non considerino prematuri la nomina e l'insediamento del nuovo consiglio di amministrazione dell'Enit, in relazione ai ritardi che sta subendo il processo di riordino dell'organismo. (3-01803)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NESCI e GRILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il commissariamento della regione Calabria per il rientro dal disavanzo sanitario è stato disposto ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 159 del 2007, con deliberazione del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2010;
   la succitata norma di legge è richiamata nella deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, con la quale l'ingegner Massimo Scura e il dottor Andrea Urbani sono stati nominati, rispettivamente, commissario ad acta e subcommissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario;
   la succitata norma prevede, che, ove «si prefiguri il mancato rispetto da parte della regione degli adempimenti previsti dai medesimi Piani (di rientro) (...) il Presidente del Consiglio dei ministri, con la procedura di cui all'articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, (...) diffida la regione ad adottare entro quindici giorni tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi previsti nel Piano»;
   la stessa norma stabilisce che, soltanto «ove la regione non adempia alla diffida di cui al comma 1, ovvero gli atti e le azioni posti in essere, valutati dai predetti Tavolo e Comitato, risultino inidonei o insufficienti al raggiungimento degli obiettivi programmati, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, nomina un commissario ad acta per l'intero periodo di vigenza del singolo piapo di rientro»;
   è opportuno evidenziare che, ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 159 del 2007, la nomina del commissario ad acta è prevista «per l'intero periodo di vigenza del singolo piano», ossia, stando alla prima deliberazione del Consiglio dei ministri, del 30 luglio 2010, per tutta la vigenza del piano di rientro 2010-2012;
   va rimarcato che la legge non contempla alcuna proroga al riguardo, con la conseguenza che, già al 1o gennaio 2013, essendo terminato il primo piano di rientro, i cosiddetti «Piani operativi in prosecuzione del Piano di rientro per il periodo 2013-2015» dovevano rientrare nella gestione ordinaria della regione Calabria, alla quale avrebbe potuto fare seguito un altro commissariamento, stando al citato articolo 4 della legge n. 159 del 2007, soltanto a condizione che «nel procedimento di verifica e monitoraggio dei singoli Piani di rientro, effettuato dal tavolo di verifica degli adempimenti e dal comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza» si fosse prefigurato «il mancato rispetto da parte della regione degli adempimenti previsti dai medesimi Piani», e comunque solo previa nuova diffida e successivo inadempimento regionale;
   l'articolo 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009 n. 191, sancisce che, «a seguito dell'approvazione del nuovo piano cessano i commissariamenti, secondo i tempi e le procedure definiti nel medesimo piano per il passaggio dalla gestione straordinaria commissariale alla gestione ordinaria regionale», con il che è quindi stabilito che si abbia la decadenza dei commissari al termine dell'attuazione di ogni singolo piano di rientro (o piano operativo);
   il predetto articolo afferma, ancora, che «si applicano le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311», nella sua formulazione vigente;
   anche quest'ultima norma, lungi dal prevedere una ultravigenza del commissariamento, disposto in relazione ad ogni piano operativo, afferma esattamente il contrario, poiché stabilisce: «La regione, ove si prospetti sulla base del monitoraggio trimestrale una situazione di squilibrio, adotta i provvedimenti necessari. Qualora dai dati del monitoraggio del quarto trimestre si evidenzi un disavanzo di gestione, a fronte del quale non sono stati adottati i predetti provvedimenti, ovvero essi non siano sufficienti, con la procedura di cui all'articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, il Presidente del Consiglio dei ministri diffida la regione a provvedervi, entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello di riferimento. Qualora la regione non adempia, entro i successivi trenta giorni, il presidente della regione, in qualità di commissario ad acta, approva il bilancio di esercizio consolidato del Servizio sanitario regionale»;
   la prefata ipotesi, relativa alla gestione ordinaria regionale, è a giudizio degli interroganti indicativa poiché prevede sempre che l'intervento sostitutivo debba essere, di regola, affidato con provvedimento espresso e all'organo regionale nella persona del suo presidente, nel rispetto dell'autonomia fissata in Costituzione e senza sovrapposizione dell'autorità governativa;
   a parere dell'interrogante, dunque, l'originario commissariamento doveva intendersi cessato per legge il 31 dicembre 2012, cioè col termine del primo piano di rientro;
   a parere degli interroganti, non essendo per legge previste delle proroghe, tutte le competenze in materia sanitaria dovevano essere restituite alla regione Calabria e, prima ancora di dare nuova applicazione al richiamato articolo 4 della legge n. 159 del 2007, era indispensabile una preventiva ricognizione su eventuali inadempienze della regione tali da mettere a rischio i livelli essenziali di assistenza o gli equilibri finanziari;
   a seguito della riferita ricognizione, in caso affermativo si doveva diffidare la regione a porre rimedio e solo all'esito, in seguito, dell'accertata inadempienza si poteva nominare un commissario ad acta per il successivo piano di rientro (rectius: piano operativo in prosecuzione del Piano di rientro) 2013-2015;
   per quanto finora riassunto, a parere degli interroganti, già la prosecuzione del commissariamento con i poteri commissariali conferiti al presidente della regione pro tempore, all'epoca Giuseppe Scopelliti, doveva ritenersi di dubbia legittimità, data la mancanza del preventivo accertamento di possibili inadempienze ai tavoli di verifica, della diffida governativa alla regione volta ad evitare le inadempienze e dell'effettivo inadempimento della regione;
   a parere degli interroganti è dunque di dubbia legittimità anche la nomina di commissario operata a suo tempo nella persona del generale Luciano Pezzi, come la nomina dell'ingegner Scura, poiché entrambe effettuate sull'errato presupposto di sostituire un commissario ad acta legittimamente operante;
   a parere degli interroganti le ricordate nomine sono di dubbia legittimità in quanto travalicano i limiti dell'articolo 2, comma 88, della legge n. 191 del 2009, poiché non si è dato atto della decadenza del commissario ad acta e non è stata restituita alla Regione la gestione ordinaria della sanità;
   la presunta condizione di dubbia legittimità è, a parere degli interroganti, cagionata dall'omissione delle procedure e dallo sconfinamento dei limiti stabiliti dall'articolo 4 della legge n. 159 del 2007;
   a parere degli interroganti è di dubbia legittimità lo stesso provvedimento dal quale l'attuale commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal deficit della sanità calabrese trae la sua legittimazione e i suoi poteri;
   in quanto trascorsi i sessanta giorni per un'impugnativa del provvedimento da parte della regione innanzi al Tar del Lazio ed essendo decorsi i 120 giorni per impugnare il medesimo provvedimento con ricorso straordinario al Capo dello Stato, ad oggi, il provvedimento di nomina, benché di dubbia legittimità è valido ed efficace;
   l'attuale commissariamento, in quanto per legge disposto «per l'intero periodo di vigenza del singolo piano» deve cessare, a parere degli interroganti, con la chiusura del piano operativo in prosecuzione del piano di rientro 2013-2015, cioè alla data del 31 dicembre 2015, con la conseguenza che, con il 1o gennaio 2016, tanto il commissario ad acta, quanto il sub-commissario decadono di diritto dalla carica e le funzioni di specie tornano ex lege alla gestione ordinaria della regione Calabria;
   al commissario ad acta competono strettamente le funzioni e i compiti espressamente indicati nella deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015;
   tali poteri e funzioni devono essere interpretati ed attuati in senso restrittivo, cosicché, ad esempio, gli interventi di «razionalizzazione e contenimento della spesa per il personale» e di «razionalizzazione e contenimento della spesa per l'acquisto di beni e servizi», di cui ai punti 5 e 6 del mandato commissariale, devono intendersi come competenza all'emanazione di atti di indirizzo, regolamentazione o programmazione generale in materia e/o autorizzazioni alla spesa, ma non possono comprendere il conferimento di incarichi a chicchessia () o l'indizione e/o l'espletamento di bandi di gara per l'affidamento di contratti pubblici o di bandi di concorso, in quanto attività non espressamente menzionate nella declaratoria delle funzioni demandate al commissario ad acta;
   se così è, particolare rilevanza assume, dunque, l'esercizio dei poteri commissariali in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie e socio-sanitarie che, nella sostanza, non pare conforme a quanto prevede il punto n. 10 della deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015;
   la citata deliberazione del Consiglio dei ministri, infatti, stabilisce espressamente che al commissario ad acta è affidato il compito di dare «attuazione della normativa statale in materia di autorizzazioni e accreditamenti istituzionali, mediante adeguamento della vigente normativa regionale», con una chiara e testuale limitazione delle competenze del commissario ad acta alla modifica dell'assetto normativo e senza cenno alcuno a poteri gestionali diretti in materia di autorizzazione e accreditamento;
   a parere degli interroganti non vi è ragionevole motivazione o argomentazione giuridica che giustifichi l'emanazione da parte del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro di provvedimenti che attengano non già all'assetto normativo delle autorizzazioni e dell'accreditamento, bensì alla normale gestione ordinaria, concernente l'adozione di provvedimenti di rilascio, modifica e revoca dell'autorizzazione sanitaria e/o dell'accreditamento delle strutture sanitarie e/o socio-sanitarie della regione Calabria;
   dell'anzidetta competenza, si ricorda, non vi è cenno nella delibera di nomina del commissario che, dunque, di fatto, sta esercitando poteri che rientrano nella competenza regionale, come dall'interrogante segnalato, in modo esplicito, nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-10161, del 5 agosto 2015;
   tali segnalati comportamenti del commissario ad acta a parere degli interroganti, finiscono di fatto per determinare una modifica forzosa e non conforme alle leggi dell'assetto dei poteri, delle competenze e delle responsabilità fissate dalla legge in materia, posto che in materia di emanazione dei provvedimenti di concessione, modifica e revoca di autorizzazione sanitaria all'esercizio e di accreditamento delle strutture sanitarie e/o socio-sanitarie, in forza dell'articolo 11, comma 6, della legge regionale della Calabria n. 24 del 2008, ricadono espressamente nella competenza del dirigente generale del dipartimento «tutela della salute e politiche sanitarie», e dunque, in ultima analisi, della regione Calabria, essendo tutti atti e provvedimenti che non costituiscono «attuazione della normativa statale in materia di autorizzazioni e accreditamenti istituzionali, mediante adeguamento della vigente normativa regionale» di cui al punto n. 10 della deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, bensì ordinarie attività gestionali che non sono in alcun modo riconducibili a tale funzione commissariale;
   a riprova di quanto detto rileva il fatto che, se attualmente le suddette competenze fossero state già in capo al commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal deficit, in forza del proprio mandato commissariale, per costui non vi sarebbe stato motivo di prevedere una norma che gli attribuisse espressamente ex novo nuovi funzioni, con una legge regionale, come invece si evince dall'articolo 24, comma 3, del progetto di legge sulla nuova disciplina in materia di autorizzazioni sanitarie e accreditamento, di cui al decreto del commissario ad acta n. 83 del 21 luglio 2015, il quale prevede che per «tutta la prosecuzione del Piano di Rientro dai disavanzi sanitari della Regione Calabria in conformità ai Programmi Operativi, i procedimenti che, ai sensi della presente legge, rientrano nella competenza della Giunta regionale, del dirigente generale del dipartimento “Tutela della Salute e Politiche Sanitarie”, ovvero di altro dirigente del medesimo Dipartimento, sono adottati con Decreto del commissario ad acta per l'attuazione del Piano di Rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Calabria, salva diversa indicazione della struttura commissariale» –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   se si intenda procedere alla immediata revoca della deliberazione del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2010 relativa alla nomina del commissario e del sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria e la conseguente restituzione di tutte le competenze in materia sanitaria alla medesima regione;
   se, nel caso in cui non ravvisino profili di non conformità alla normativa vigente, nella predetta deliberazione, intendano compiere una verifica, per l'eventuale revoca, in relazione a tutti quei decreti commissariali che, come il n. 83 del 2015 a giudizio degli interroganti, dispongono al di fuori dei poteri e delle competenze assegnate al commissario ad acta con la citata deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015. (5-06827)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto della Svimez, presentato sullo stato dell'economia del Mezzogiorno, a giudizio dell'interrogante, descrive un quadro impietoso in relazione alle condizioni sempre più drammatiche in cui si trovano le regioni meridionali sia dal punto vista economico che di conseguenza anche sociale;
   il rischio di povertà significativamente più elevato al Sud, soprattutto per le famiglie con minori e per quelle giovani, con o senza figli, e l'assenza di adeguate misure di sviluppo da parte del Governo (da ultimo il disegno di legge di stabilità per il 2016), per sostenere le regioni e in particolare la Sicilia, con la soglia di povertà per oltre 4 persone su 10, confermano a parere dell'interrogante, un Paese ancora più diviso e diseguale;
   alla luce di quanto rilevato nel suindicato documento, la necessità di aggiornare il quadro attuale, attraverso il rilancio di una coerente e moderna politica industriale per le aree del Mezzogiorno, anche dal punto di vista progettuale in una prospettiva mediterranea e di rinnovata politica attiva di sviluppo, a parere dell'interrogante, risulta indispensabile e indifferibile, al fine di rilanciare le regioni del Sud ed in particolare la Sicilia, il cui gap legato all'insularità accresce i divari ed i ritardi rispetto alle altre aree del Paese e dell'Europa;
   la logistica, le energie rinnovabili, la rigenerazione urbana e ambientale, l'agroalimentare e l'industria culturale unitamente alla ricerca e all'innovazione, rappresentano secondo il documento dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, condiviso anche dall'interrogante, un'opportunità indifferibile e strategica al fine di invertire un trend economico negativo, soprattutto per la regione siciliana, la cui crisi economica probabilmente è stata la più lunga del dopoguerra –:
   quali orientamenti intendano esprimere, per quanto di competenza, con riferimento a quanto esposto in premessa in merito al rapporto della Svimez sullo stato dell'economia del Mezzogiorno, anche alla luce delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio del 7 agosto che annunciavano l'assoluta centralità del meridione nell'agenda del Governo, con il masterplan per il Sud;
   quali iniziative urgenti e necessarie il Governo intenda prevedere per rilanciare il sistema economico e produttivo della regione Sicilia, posto che gli indicatori descritti dalla Svimez confermano livelli di povertà fra i più elevati fra tutte le aree regionali meridionali;
   se, in considerazione delle condizioni di persistente ritardo economico e sociale che investono la regione Sicilia, il Governo non intenda assumere iniziative per introdurre misure fiscali, anche in via sperimentale per un triennio, che prevedano un azzeramento delle tasse sia fiscali che contributive, per le imprese che investono nell'isola e che decidono di avviare una nuova attività per almeno cinque anni. (4-10913)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo diverse fonti di stampa l'Agenzia delle entrate sarebbe abbandonata a se stessa nella lotta contro l'evasione: in un articolo de La Repubblica è riportato che l'agenzia «si sente sotto assedio. Di più, squalificata, isolata, priva di interlocutori a Palazzo Chigi e al Mef, il ministero dell'Economia azionista» tanto che la direttrice Rossella Orlandi al convegno della Cgil sarebbe arrivata a dichiarare: «Le agenzie fiscali rischiano di morire, rimangono in piedi solo per la dignità delle persone che ci lavorano»;
   l'Agenzia delle entrate, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell'economia e delle finanze che ha la responsabilità dell'indirizzo politico, ha il delicato compito di perseguire il massimo livello di adempimento degli obblighi fiscali sia attraverso l'assistenza ai contribuenti, sia attraverso i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l'evasione fiscale;
   il Governo ha da sempre dato un posto prioritario nella sua agenda alla lotta all'evasione fiscale tanto che lo stesso Presidente del Consiglio ha dichiarato anche di recente che «la lotta all'evasione è il primo punto, se paghiamo tutti, paghiamo meno»;
   molti sono i problemi sottolineati dalla direttrice tra cui 767 dirigenti decaduti, molti dei quali costretti a rivolgersi al settore privato, lasciando scoperti posti delicatissimi per il controllo dei grandi contribuenti, il prelievo sulle multinazionali, l'accertamento fiscale, ma tra tutti hanno un peso prioritario le recenti scelte del Governo sul contante;
   soltanto un anno fa in Parlamento il Ministro dell'economia, citando proprio la Orlandi, dichiarava che limitare il contante e abbassare la soglia serviva «a fare emergere le economie sommerse» e «ad aumentare la tracciabilità», ma adesso, ad avviso dell'interrogante, smentendo se stesso, dichiara che il legame tra cash ed evasione non esiste e consente che la soglia del contante salga e pure il via libera agli affitti fino a tremila euro pagati in contanti, come conferma la legge di Stabilità appena depositata;
   il nuovo concorso che dovrebbe sanare la situazione dei posti vacanti dell'Agenzia non è stato ancora organizzato e non lo sarà prima del 27 novembre 2015 quando il Consiglio di Stato si esprimerà sul terzo bando messo in questione dalla sentenza della Consulta sui dirigenti promossi con procedure interne, anziché via concorso;
   ogni anno l'evasione costerebbe, alle casse dello Stato sui 180 miliardi di euro, secondo i dati Eurostat e come riportato anche nel saggio «Ladri – Gli evasori e i politici che li proteggono» del giornalista de L'Espresso Stefano Livadiotti, per un valore del 12,4 per cento del prodotto interno lordo, generando un'economia sommersa pari al 28,9 per cento del prodotto interno lordo stesso, in termini assoluti –:
   se il Governo non intenda approfondire e chiarire in modo puntuale le reali condizioni dell'Agenzia delle entrate, e in che modo intenda intervenire per evitare il rischio del malfunzionamento di una realtà avente un ruolo così delicato come la lotta all'evasione fiscale in un Paese come il nostro, dove questo problema arriva a bruciare il 12,4 per cento del prodotto interno lordo l'anno; se non consideri, al contempo, opportuno chiarire in che modo le decisioni prese di recente circa la soglia di innalzamento del contante o il pagamento cash degli affitti possano essere in linea con la politica antievasione dichiarata dal Governo stesso, quali siano le motivazioni che le hanno generate e quali i benefici attesi per il Paese. (4-10914)


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il top manager Mastrapasqua Antonio ha, gestito importanti realtà nazionali come Inps ed Equitalia ed opera attualmente all'interno dei collegi sindacali di aziende di differenti settori. Il collegio sindacale, organo di vigilanza che opera all'interno di società e cooperative, e di alcuni enti pubblici, è denominato anche collegio dei revisori dei conti, con esplicito riferimento alle attività di bilancio alle quali è preposto;
   Antonio Mastrapasqua è da qualche giorno agli arresti domiciliari con l'accusa di aver truffato il sistema sanitario nazionale ed è al centro di un'inchiesta sui rimborsi delle prestazioni sanitarie: cartelle gonfiate per portare a casa maggiori rimborsi all'ospedale Israelita, di cui è direttore generale, per un importo di 85 milioni di euro di cui 14 sarebbero non dovuti;
   con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-03440 presentata il 4 febbraio 2014 dal deputato Baldassarre Marco si chiedeva conto del possibile conflitto di interessi di Antonio Mastrapasqua, della moglie Maria Giovanna Basile e del fratello Pietro Mastrapasqua che nel 2014 rispettivamente ricoprivano contemporaneamente 25, 20 e 13 cariche in società pubbliche e private, oltre ad averne rivestite molteplici altre in passato;
   nel 2012 Antonio Mastrapasqua fu oggetto di due esposti-denunce da parte dell'Adusbef alla procura della Repubblica di Roma, la prima il 27 gennaio 2012, la seconda il 21 maggio 2012, proprio per la vicenda dei rimborsi all'ospedale israelitico e per la vendita dell'appartamento a Roma sede di Intesa San Paolo, in Via della Stamperia, da parte di IdeaFimit. Nell'esposto Adusbef chiede alla procura se i molteplici incarichi del dottor Mastrapasqua nella gestione delicata di funzioni pubbliche; non confliggano con gli incarichi ricoperti nelle imprese private, configurando un enorme conflitto di interessi anche nella gestione del vasto patrimonio immobiliare e nelle dismissioni, la cui influenza del commissario unico potrebbe rappresentare terreno di coltura per eventuali illeciti;
   nel 1989 il futuro presidente dell'Inps viene condannato a 2 anni, 10 mesi, 15 giorni di reclusione e un milione e trecentomila lire di multa per falsità ideologica, falso materiale e corruzione: La laurea in economia e commercio conseguita nel 1984 da Antonio Mastrapasqua, è falsa. Il 4 aprile 1997 la prima sezione penale della Corte suprema di Cassazione conferma definitivamente la pena, riducendola a dieci mesi di reclusione per Mastrapasqua con queste parole: «È ben configurabile il delitto di falsità ideologica in relazione alla fattispecie riguardante il non veridico contenuto del verbale di esame di laurea e il rilascio del diploma di laurea, contenenti l'approvazione del candidato e la proclamazione di “dottore”»;
   Antonio Mastrapasqua da settembre 2002 al 2015 ha ricoperto l'incarico di sindaco effettivo del collegio dei revisori dei conti all'interno di Coni Servizi SpA, partecipata del Ministero dell'economia e delle finanze ed ente di promozione e organizzazione di eventi sportivi con la missione di creare valore per lo sport italiano. Coni Servizi spa gestisce i centri nazionali di preparazione olimpica, l'Istituto di medicina e scienza per lo sport e la scuola dello sport; fornisce inoltre consulenza per l'impiantistica sportiva di alto livello;
   nel 2011 Mastrapasqua è stato confermato dall'Assemblea dei soci di Coni Servizi Spa nel ruolo di sindaco per il triennio 2011-2013;
   a febbraio 2012 Cortina d'Ampezzo si era candidata a ospitare i campionati del mondo di sci alpino 2017;
   la candidatura è stata presentata alla stampa dal sindaco Andrea Franceschi, presidente del comitato promotore, affiancato dal presidente della regione Veneto Luca Zaia, dall'assessore al turismo della regione Friuli Venezia Giulia Federica Seganti, dal campione azzurro Alberto Tomba, dalla campionessa Emanuela Di Centa per la Fisi (Federazione italiana sport invernali), dal segretario generale del Coni Raffaele Pagnozzi e da Gianni Zonin, presidente della Banca Popolare di Vicenza e presidente dell’executive board che comprendeva imprenditori e manager come Abete, Cipolletta, Ennio Doris, Zoppas, Mastrapasqua e Monorchio. Il ruolo del board era di «sollecitare chi deve decidere a capire che Cortina può essere la scelta ideale», come dichiarato da Gianni Zonin;
   nuovamente Cortina si candida per i mondiali di sci alpino del 2021. Nei mesi passati, sono stati definiti i progetti che prevedono — per quanto riguarda l'aspetto tecnico — una nuova zona d'arrivo, unica per gare veloci e giganti, e il rinnovamento della storica pista A del Col Drusciè, dove si svolgeranno gli slalom. A breve sarà formalizzato l'organigramma del comitato promotore che porterà la candidatura al Congresso Fis di Cancun (Mex), nel giugno 2016, dove i mondiali saranno ufficialmente assegnati;
   il 30 settembre 2015, pur non avendo più alcun ruolo all'interno del Coni e risultando unicamente revisore dei conti della FISI (Federazione italiana sport invernali), Mastrapasqua era presente a Zurigo per il meeting della FIS internazionale, alla guida della delegazione per la candidatura di Cortina come sede dei mondiali di sci alpino del 2021. Il Coni, in risposta a una precisa domanda da parte del gruppo consiliare del Movimento 5 Stelle del Veneto, ha negato di avergli conferito incarichi legati ai mondiali bellunesi;
   la FISI, alla stessa domanda, ha risposto che, vista la necessità di individuare alcuni soggetti referenti per l'attività preliminare volta ad arrivare all'assegnazione dei Mondiali di sci alpino 2021, in accordo con il CONI, ha ritenuto il Dottor Mastrapasqua meritevole di essere coinvolto, fra gli altri, nella fase organizzativa, alla luce della sua competenza ed esperienza maturata in ambito federale unitamente alla conoscenza della località ampezzana, precisando che in relazione all'attività svolta per i mondiali di Cortina 2021 non ha mai percepito né era previsto nessun tipo di retribuzione né da parte della FISI né da parte del CONI –:
   se Mastrapasqua abbia avuto incarichi pubblici legati all'organizzazione dei mondiali di sci alpino a Cortina 2021, anche eventualmente come consulente esterno, per conto del CONI nazionale o del comitato regionale Veneto o anche altro ente;
   se sia previsto per l'organizzazione dei mondiali 2021 un’executive board che affiancherà il comitato organizzatore, simile a quello costituito per la precedente candidatura di Cortina 2017; 
   se risulti già costituito e se risulti chi ne faccia parte e che ruolo andrà a ricoprire;
   per conto di chi e in quale ruolo Mastrapasqua sia andato periodicamente a Cortina per discutere dei mondiali in questi mesi e chi lo abbia messo a capo della delegazione che il 30 settembre a Zurigo ha presentato la candidatura di Cortina al meeting della FIS internazionale;
   se non ritenga opportuno, viste le indagini e le accuse di truffa nei confronti di Mastrapasqua, sospendere o revocare tutti gli incarichi di pertinenza statale a lui affidati. (4-10923)


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Ferriera di Servola (Trieste) è un complesso industriale specializzato nella produzione di ghisa, passato, nel 2014, dalla Lucchini in amministrazione straordinaria alla Siderurgica Triestina s.r.l., società del Gruppo Arvedi;
   con la legge 24 giugno 2013 n. 71, di conversione e modificazione del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, è stata riconosciuta l'area di Trieste quale «area di crisi industriale complessa» (articolo 1, articolo 7-bis) ed il successivo decreto-legge recante «Destinazione Italia» n. 145 del 2013, convertito con modificazioni con la legge 21 febbraio 2014, n. 9, all'articolo 4 prevede misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche dei siti di interesse nazionale e interventi particolari per l'area di crisi complessa di Trieste;
   in data 30 gennaio 2014 è stato firmato l'Accordo di programma, stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero per la coesione territoriale la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la provincia di Trieste, il comune di Trieste, l'Autorità portuale di Trieste ed INVITALIA (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa s.p.a.), contenente «la disciplina degli interventi relativi alla riqualificazione delle attività industriali e portuali e del recupero ambientale dell'area di crisi industriale complessa di Trieste» — Accordo di programma di Trieste;
   il 21 novembre 2014 è stato firmato il successivo Accordo di programma per l'attuazione del «Progetto integrato di messa in sicurezza, riconversione industriale e sviluppo economico produttivo nell'area della Ferriera di Servola», tra la Siderurgica Triestina s.r.l., il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, d'intesa con la regione autonoma Friuli Venezia Giulia e l'Autorità portuale di Trieste. L'articolo 7, comma 3, dell'Accordo stabilisce: «Ai fini della continuazione dell'attività, fino all'adozione del provvedimento di rilascio dell'AIA, la Regione FVG potrà imporre al gestore prescrizioni atte a contenere nei limiti di legge le emissioni, all'interno e nelle aree limitrofe allo stabilimento siderurgico, anche mediante temporanee limitazioni dell'attività produttiva, qualora tale misura sia ritenuta necessaria, anche in via precauzionale, per la tutela della salute pubblica»;
   la Direzione regionale per l'ambiente della regione Friuli Venezia Giulia, il 10 aprile 2015, a seguito della relazione di Arpa, dalla quale si evidenzia un incremento di emissioni a partire dal marzo 2015, in concomitanza con l'aumento degli sfornamenti in cokeria, ha assunto, quale misura di contrasto, un provvedimento di riduzione degli sfornamenti, portandoli dagli 87 ai 67 giornalieri, fino al rilascio della nuova Autorizzazione integrata ambientale;
   si apprende che siano in corso due procedimenti giudiziari amministrativi presso il TAR del Friuli Venezia Giulia, promossi dalla Servola s.p.a. e dalla Lucchini s.p.a.; il primo, RG 76/14 avverso l'ordine per la riduzione di emissioni in atmosfera, il secondo, RG 161/14, contro l'ordine per l'avvio delle procedure per il trattamento e lo spostamento dei materiali in cumulo;
   la dottoressa Antonietta Gatti, uno dei massimi esperti mondiali di patologie collegate alle nanoparticelle, ha condotto uno studio, commissionato dall'interrogante e dal senatore Lorenzo Battista, in merito alle polveri raccolte nel rione di Servola, i cui risultati sono stati presentati il 27 luglio 2015 durante una conferenza stampa tenutasi a Trieste;
   le polveri, prelevate con sensori passivi nell'arco di tempo di 24 nel rione di Servola, il 21 giugno 2015, in via del Ponticello ed il 26 giugno, in via dei Giardini, sono state analizzate al microscopio elettronico. La composizione chimica, indicante la presenza di ferro, calcio e silicio e le stesse dimensioni e forme delle particelle, permettono, secondo la dottoressa Gatti, di affermare con certezza che abbiano origine da un processo industriale di tipo siderurgico, quindi riconducibili alla Ferriera;
   il rapporto indica che «si sono rilevate grandi concentrazioni di piccolissime particelle, spesso di dimensione nanometrica. Queste tengono un comportamento sotto diversi aspetti simile a quello di un gas e, come un gas, vengono inalate e respirate. Sono capaci di entrare nei bronchi raggiungendo anche gli alveoli polmonari da dove, nel volgere di poche decine di secondi, passano al sangue (..) raggiungendo qualunque organo». Possono, dunque, rappresentare la causa dell'insorgenza di una moltitudine di patologie, in relazione all'organo colpito, alla forma, alla dimensione, alla composizione chimica e alla concentrazione delle particelle, quali tumorali, malattie neurologiche, interferenze genetiche, malformazioni fetali;
   lo studio «La Ferriera di Servola e le nanopatologie» si conclude sostenendo che ad oggi non esistono terapie che mostrino una qualunque efficacia nei confronti delle nanopatologie, cioè delle patologie da particelle, forme morbose che stanno diventando sempre più diffuse e che, con frequenza rapidamente crescente, colpiscono principalmente i soggetti che vivono nelle zone più inquinate. Dunque, mancando la cura, non c’è altra possibilità se non quella di prevenire l'insorgenza della malattia. È allora chiaro che, dal punto di vista strettamente scientifico e al di fuori di qualunque altra considerazione, condizioni come quella della Ferriera di Servola non possono essere compatibili con una situazione dove la salute pretenda di essere salvaguardata;
   l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione e l'Organizzazione mondiale della sanità hanno già indicato le polveri di dimensione pari o inferiore a 2,5 micron come cancerogeni di Classe I, cioè cancerogeni certi. È un fatto ormai accertato che la capacità delle polveri di indurre malattie aumenta con il diminuire delle loro dimensioni per l'aumentata capacità di penetrazione nei tessuti;
   da un articolo del quotidiano Il Piccolo, pubblicato il 3 dicembre 2013, si apprende che sia stata condotta dal Dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria, per conto del pubblico ministero Matteo Tripani un'indagine epidemiologica, considerando i dati dell'Inps e dell'Inail ed incrociandoli con quelli dei dipendenti succedutisi nello stabilimento. Sarebbe emerso che, per i lavoratori della Ferriera, la probabilità di ammalarsi di un tumore ai polmoni o ai bronchi fosse del 50 per cento superiore al resto della popolazione. La richiesta del pubblico ministero Tripani sarebbe stata avanzata nell'ambito di un'inchiesta relativa alla morte a causa di tumori di 83 operai della Ferriera nell'arco temporale 2000-2013 per i quali sarebbe stata minuziosamente ricostruita la carriera lavorativa, dalla data di assunzione, alle mansioni svolte, alle malattie segnalate ai medici;
   inoltre, l'articolo riporta che oltre all'inchiesta del pubblico ministero Tripani ne sia stata condotta parallelamente un'altra da parte del procuratore Federico Frezza con cui si sarebbe evidenziato il nesso causale tra l'esposizione al benzene e agli idrocarburi e l'insorgenza delle neoplasie;
   l'Azienda per l'assistenza sanitaria n. 1 di Trieste, a seguito di un esposto presentato il 3 giugno 2015 con cui si segnalava la grave situazione di inquinamento dovuto al deposito di polveri provenienti dalla Ferriera, e dopo aver ricevuto dell'ARPA una relazione che confermava quanto espresso nell'esposto, ha inviato il 20 luglio 2015 una lettera al sindaco di Trieste Cosolini in cui si invitava l'ente ad adottare azioni mirate a ridurre lo stato di inquinamento;
   nel corso degli ultimi mesi la situazione è notevolmente peggiorata, sia per quanto concerne le emissioni in atmosfera, sia per quelle acustiche: i dati consultabili sul sito web dell'ARPA FVG appaiono molto preoccupanti: al 26 ottobre 2015 gli sforamenti delle PM10, registrati presso la stazione di rilevamento di Via San Lorenzo in Selva, proprio quella più vicina alla cokeria, ma posizionata ad una distanza maggiore di quella rilevabile tra le fonti inquinanti e diverse abitazioni civili, dall'inizio del 2015 risultano essere 116, superando di molto la soglia di tolleranza massima dei 35 sforamenti annui indicati nella tabella XI del decreto legislativo n. 155 del 2010 e successive modificazioni;
   come riportato dal sito dell'ARPA, la stazione di rilevamento di via San Lorenzo in Selva, di proprietà dell'ente, non risulta essere conforme al decreto legislativo n. 155 del 2010 e successive modificazioni; pertanto, i dati riportati servirebbero per misurare le performance aziendali e non risulterebbero utili per la misurazione della qualità dell'aria, fermo restando che forniscono dei dati ufficiali e molto preoccupanti;
   in un articolo dell'11 settembre 2015, pubblicato dal quotidiano il Piccolo, si apprende che le altre centraline di rilevamento, quelle di via Pitacco, di via Svevo e di Muggia, siano ancora di proprietà di Elettra s.p.a., società operante all'interno del comprensorio della Ferriera; Arpa Friuli Venezia Giulia si limiterebbe, dunque, ad acquisire i dati registrati dalle centraline di Elettra e a pubblicarli sui propri canali;
   nel giardino di un'abitazione in prossimità dell'impianto siderurgico, l'ARPA ha istallato recentemente una nuova centralina di rilevamento, di cui però non sono ancora stati resi noti i dati di rilevazione;
   anche le emissioni di benzo(a)pirene sono molto preoccupanti. I dati relativi al 2015 riportano, per gennaio 1.4 (ng/m.cubo), per febbraio 1.2 (ng/m.cubo), per marzo 1.3 (ng/m.cubo), per aprile 1.5 (ng/m.cubo), per maggio 2.0 (ng/m.cubo), per giugno 1.5 (ng/m.cubo), per luglio 1.7 (ng/m.cubo), molto al di sopra del valore del valore obiettivo di 1.0 (ng/m. cubo) consentito dalla normativa regionale e nazionale (legge regionale Friuli Venezia Giulia 13 febbraio 2012, n. 1 – «Norme urgenti per il contenimento delle emissioni inquinanti da benzo(a)pirene, arsenico, cadmio e nichel sul territorio regionale» e decreto legislativo n. 155 del 2010);
   non risultano a disposizione del pubblico dati analitici sulla qualità dei suoli, anche di proprietà pubblica, quali cortili e giardini di plessi scolastici includenti anche scuole materne, prossimi allo stabilimento e bersaglio degli inquinanti provenienti dallo stesso, né le conseguenti eventuali norme comportamentali atte ad evitare rischi per la salute pubblica –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione ai dati relativi alle emissioni inquinanti e la situazione generale di inquinamento dell'area di Servola;
   se non ritengano opportuno un intervento tempestivo e risolutivo a tutela dell'ambiente e della salute;
   in che modo intendano tutelare i lavoratori della Ferriera esposti alle emissioni inquinanti prodotte dall'impianto;
   come valutino la situazione sanitaria in merito all'inquinamento e in che modo intendano intervenire proprio nel rispetto dell'accordo di programma per l'attuazione del «Progetto integrato di messa in sicurezza, riconversione industriale e sviluppo economico produttivo nell'area della Ferriera di Servola» sottoscritto in data 21 novembre 2014;
   quali iniziative urgenti intendano adottare, anche di concerto con la regione Friuli Venezia Giulia, per tutelare la salute dei cittadini di Trieste e limitare l'aumento delle malattie collegate all'inalazione delle polveri sottili derivanti dagli impianti della Ferriera di Servola. (4-10928)


   NUTI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 166, articolo 4, comma 2, stabilisce che il consiglio dell'ISTAT sia presieduto dal presidente dell'istituto e composto da due membri designati dal comitato di indirizzo e coordinamento dell'informazione statistica e da due membri nominati dal Presidente del Consiglio dei ministri scelti tra professori ordinari oppure direttori di istituti di statistica o di ricerca statistica, per la durata di 4 anni;
   la durata del mandato dei 4 membri del consiglio è scaduta in data 22 dicembre 2014: mentre i membri di competenza del comitato sono già stati designati, risultano ad oggi essere ancora vacanti i due posti riservati a membri di nomina governativa;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 aprile 2011, recante «Regolamento di organizzazione dell'ISTAT e modifiche al disegno organizzativo», articolo 4, stabilisce che «il Consiglio è organo di indirizzo, programmazione e controllo [...]» e, tra le varie funzioni attribuitegli, «definisce gli obiettivi strategici ed operativi [...]; verifica l'attuazione degli indirizzi espressi e il conseguimento effettivo degli obiettivi strategici [...]; definisce le procedure ed i criteri di valutazione comparativa rilevanti per conferire gli incarichi di Direttore di Dipartimento, di Direttore Centrale delle direzioni di produzione e ricerca, nonché quelle in base alle quali il Direttore Generale e i Direttori dei Dipartimenti di produzione e ricerca nominano i responsabili dei Servizi giuridici e amministrativi, di produzione e ricerca e degli Uffici Territoriali»;
   a seguito di un lungo lavoro, un team di modernizzazione all'interno dell'ISTAT «ha completato il disegno del “modello a tendere” dell'Istituto, che è stato definito a partire da una nuova e più efficiente configurazione del processo di produzione», anche grazie a contributi provenienti da funzionari dell'Istituto medesimo e da un gruppo di esperti esterni nazionali e internazionali;
   la riorganizzazione dell'Istituto che sarebbe dovuta scaturire dal lavoro prodotto da tale team di modernizzazione sarebbe dovuta iniziare il 15 giugno 2015: tuttavia, ciò non è stato possibile proprio a causa del ritardo nelle nomine dei due membri del consiglio dell'Istituto da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, come lo stesso presidente dell'ISTAT ha dichiarato;
   il blocco della riorganizzazione ha avuto come effetto anche il blocco del ricambio del top management, ovvero dei dirigenti a capo dei dipartimenti, delle direzioni centrali e dei relativi servizi; infatti, da giugno ad oggi numerosi incarichi dirigenziali sono stati assegnati ad interim:
    Gian Paolo Oneto, a capo della direzione centrale della contabilità nazionale, contestualmente, detiene ad interim anche due servizi dipendenti dalla propria direzione, il servizio conti ambientali e sistema dei conti satellite e il servizio statistiche della finanza pubblica;
    Roberto Monducci dirige il dipartimento per i conti nazionali e statistiche economiche e, in qualità di reggente, anche il Dipartimento per i censimenti degli archivi amministrativi e statistici;
    Tommaso Antonucci, oltre a ricoprire la qualità di direttore generale, è, ad interim, anche a capo della direzione centrale per l'attività amministrativa e gestione del patrimonio (dipendente dalla stessa direzione generale) e del dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca;
    Ilario Sorrentino è a capo del servizio gestione logistica e tecnica dei lavori pubblici e procedimenti sanzionatori e ricopre, ad interim, anche il servizio acquisizione di beni, servizi e lavori, alle cui dipendenze vi è una unità operativa (U.O. – Acquisizione di lavori, beni e servizi per gli uffici regionali – acquisizione immobili e gestione amministrativa delle sedi – Ufficio cassa ed economato) priva di responsabile;
    Giovanni Barbieri, oltre a dirigere la direzione centrale delle statistiche economiche strutturali sulle imprese e le istituzioni, del commercio con l'estero e dei prezzi al consumo, è responsabile, ad interim, del servizio statistiche strutturali sulle imprese e le istituzioni dipendente dalla sua stessa direzione centrale;
    Raffaele Malizia, dirige la Direzione Centrale per lo sviluppo e il coordinamento della rete territoriale e del Sistan, ha ad interim anche il servizio per il coordinamento e lo sviluppo del sistema statistico nazionale nonché l'ufficio territoriale per la Calabria –:
   se non intenda procedere con celerità alla nomina dei due membri del Consiglio dell'ISTAT ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 166, articolo 4. (4-10929)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO e BENEDETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni che, in tempi brevi, verrà eretta nel territorio di Valle Vecchia, a Caorle (Venezia), una torre anemometrica per il rilevamento del vento, di circa 45 metri, la quale, per un periodo di cinque anni, integrerà un progetto atto a ricercare aree costiere adatte ad ospitare pale eoliche per la produzione di energia elettrica e a studiarne l'idoneità allo sfruttamento dell'energia eolica;
   tale progetto, denominato «Powered» (Project of Offshore Wind Energy: Research, Experimentation, Development), rientra, come noto, nel più ampio programma transfrontaliero Ipa Adriatico, finalizzato alla definizione di strategie e metodi condivisi per lo sviluppo dell'energia eolica offshore in tutti i Paesi e territori che si affacciano sul mare Adriatico;
   il progetto «Powered», nella sua complessità, prevede anche l'installazione di una serie di torri anemometriche per verificare le potenzialità del vento in ognuna delle aree interessate e raccogliere una grande mole di dati che saranno poi convogliati, in una rete pubblica, la cui fornitura, installazione, manutenzione e smantellamento, a fine ciclo, sarà a carico dell'università politecnica delle Marche, referente scientifico del suddetto progetto;
   il territorio di Valle Vecchia individuato per l'installazione di tale torre è quello dell'azienda di proprietà di Veneto Agricoltura, azienda regionale per i settori agricolo, forestale e agro-alimentare, attualmente in liquidazione, il cui scopo, come si legge dal sito istituzionale, è quello di promuovere e realizzare interventi per l'ammodernamento delle strutture agricole, per la protezione del suolo agroforestale e per la migliore utilizzazione della superficie agraria, per lo sviluppo dell'acquacoltura e della pesca, con particolare riferimento alle attività di ricerca e sperimentazione nei settori agricolo, forestale ed agroalimentare e di sostegno al mercato;
   stando alle dichiarazioni di numerose associazioni ambientaliste, la suddetta torre non sarebbe però compatibile con il delicato contesto dell'area naturalistica circostante di Valle Vecchia, già riconosciuta, in base alle direttive comunitarie 79/409 «Uccelli» e 92/43 CEE «Habitat», quale sito di importanza comunitaria (Sic) e zona di protezione speciale (Zps);
   l'oasi di Valle Vecchia risulta infatti ricca di avifauna che sarebbe messa in serio pericolo dalla presenza del traliccio e, soprattutto, dagli stralli di ancoraggio del pilone, scarsamente visibili dagli uccelli e che potrebbero provocarne il ferimento o la morte, a causa dell'impatto contro questa struttura;
   alla base della prevista installazione della torre anemometrica senza previa valutazione di incidenza ambientale c’è la deliberazione della giunta regionale Veneto n. 2299 del 9 dicembre 2014, recante Nuove disposizioni relative all'attuazione della direttiva comunitaria 92/43/Cee e decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e successive modificazioni ed integrazioni, la quale individua nuove procedure e modalità operative per la valutazione di incidenza ai sensi della citate direttive comunitarie;
   in particolare, si rileva come l'allegato A della suddetta delibera contenga un elenco dei casi di esclusione della valutazione di incidenza, specificando altresì che la valutazione di incidenza non sia necessaria per i piani, i progetti e gli interventi per i quali non risultano possibili effetti significativi negativi sui siti della rete Natura 2000;
   nella fattispecie descritta in premessa e per quanto di conoscenza degli interroganti, Veneto Agricoltura si sarebbe limitata, in conformità alla predetta delibera, a compilare il modello di cui all'allegato E, facendo riferimento proprio a quest'ultima ipotesi di esclusione della procedura di valutazione, senza quindi aver eseguito alcuno studio di incidenza per la torre anemometrica;
   ad avviso degli interroganti ci si potrebbe trovare di fronte, per le ragioni espresse in premessa, ad un possibile caso di conflitto di attribuzioni tra Stato e regione, in quanto, per effetto della delibera regionale più volte citata, verrebbe di fatto disapplicata sul territorio regionale una norma statale, con conseguente violazione del principio di leale collaborazione e della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente;
   ad avviso degli interroganti, tale delibera regionale avrebbe di fatto fornito un'interpretazione distorta della direttiva «Habitat» e del relativo regolamento attuativo, dal momento che la stessa delibera afferma all'articolo 6 che «qualsiasi piano o progetto non direttamente connesso e necessario alla gestione del sito ma che possa avere incidenze significative su tale sito, singolarmente o congiuntamente ad altri piani e progetti, forma oggetto di una opportuna valutazione dell'incidenza che ha sul sito, tenendo conto degli obiettivi di conservazione del medesimo. Alla luce delle conclusioni della valutazione dell'incidenza sul sito e fatto salvo il paragrafo 4, le autorità nazionali competenti danno il loro accordo su tale piano o progetto soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità del sito in causa e, se del caso, previo parere dell'opinione pubblica»;
   inoltre, il regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE prevede che il soggetto proponente – nella fattispecie Veneto Agricoltura – presenti «uno studio volto ad individuare e valutare, secondo gli indirizzi espressi nell'allegato G, i principali effetti che detti interventi possono avere sul proposto sito di importanza comunitaria, sul sito di importanza comunitaria o sulla zona speciale di conservazione, tenuto conto degli obiettivi di conservazione dei medesimi»;
   la norma prevede altresì che le regioni definiscano le modalità di presentazione dei relativi studi, e che le autorità competenti alla verifica degli stessi, da effettuarsi secondo gli indirizzi di cui all'allegato G, stabiliscano i tempi per l'effettuazione della medesima verifica –:
   se sia stato avviato un contenzioso tra lo Stato e la regione Veneto avente per oggetto la delibera di giunta regionale n. 2299 del 9 dicembre 2014 e se non ritenga necessario assumere tutte le opportune iniziative, anche normative, per rendere effettiva l'applicazione della disciplina in materia di valutazione d'incidenza ambientale ed evitare così l'adozione di interpretazioni e provvedimenti che possono di fatto eludere il dettato normativo. (5-06825)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   quella «geotermica» è una forma di energia naturale che trova origine dal calore della terra e, tra le energie rinnovabili, ha un valore aggiunto che condivide soltanto con l'idroelettrico: la continuità della produzione. Per questo motivo, i progetti più interessanti affiancano oggi la geotermia alle altri fonti rinnovabili, per le quali verrebbe a costituire un importante sostegno nei momenti di scarsa produzione. La geotermia, quindi, può essere intesa come un elemento importante per la «green economy» e un sostegno significativo per sviluppare politiche «low carbon»;
   lo sviluppo corretto della geotermia porta con sé inoltre non solo benefici ambientali, contribuendo in maniera importante alla lotta contro i cambiamenti climatici, ma offre anche importanti occasioni per la creazione di nuovi posti di lavoro;
   l'Italia, per le sue caratteristiche geologiche, ha risorse geotermiche importanti e poco sfruttate: secondo i dati forniti dall'unione geotermica italiana, le risorse geotermiche del territorio italiano potenzialmente estraibili da profondità fino a 5 chilometri sono dell'ordine di 21 exajoule (21x1018 joule, corrispondenti a circa 500 mtep, ovvero 500 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio). I campi geotermici ad alta entalpia, per il cui sfruttamento si dispone di una tecnologia matura, e il cui utilizzo per la produzione di energia geotermoelettrica è oggi possibile a costi competitivi con le altre fonti energetiche, si trovano nella fascia preappenninica – tra Toscana, Lazio e Campania – in Sicilia e Sardegna così come nelle isole vulcaniche del Tirreno;
   in data 15 aprile 2015 le Commissioni parlamentari VIII e X hanno approvato all'unanimità la risoluzione conclusiva di dibattito n. 8-00103 «Produzione di energia da impianti geotermici» (testo scaturito dalle risoluzioni nn. 7-00486 Braga, 7-00519 Abrignani, 7-00529 Pellegrino, 7-00530 Segoni, 7-00648 Vallascas) con la quale il Governo è stato impegnato ad emanare entro sei mesi dall'approvazione della risoluzione (termine scaduto il 15 ottobre 2015), delle «linee guida a cura dei Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individuino (...) i criteri generali di valutazione, finalizzati allo sfruttamento in sicurezza della risorsa, tenendo conto delle implicazioni che l'attività geotermica comporta relativamente al bilancio idrologico complessivo, al rischio di inquinamento delle falde, alla qualità dell'aria, all'induzione di microsismicità»;
   recentemente il dibattito in tema di buone pratiche per la geotermia si è sviluppato spontaneamente in seno alla cosiddetta società civile, coinvolgendo associazioni, amministratori locali, comitati, tecnici del settore, accademici e stakeholders;
   in occasione dell'evento organizzato il 15 luglio 2015 a Firenze presso il consiglio regionale della Toscana dal GIGA (gruppo informale geotermia e ambiente), e in occasione della sessione «La buona geotermia» dell'EcoFuturo-Festival delle ecologie e dell'autocostruzione svoltosi la prima settimana di settembre 2015 è stata presentata «la Carta di Abbadia San Salvatore – regole per la buona geotermia», un documento che si pone l'obiettivo di definire ed indicare delle «linee guida» per permettere l'affermazione di una filiera geotermica sostenibile e pienamente compatibile con le peculiarità socio-economiche ed ambientali del territorio;
   la Rete nazionale NOGESI (NO alla geotermia elettrica, speculativa e inquinante) in data 15 ottobre 2015 ha inoltrato a tutti gli organi di governo competenti e ai parlamentari delle due Commissioni di riferimento una lettera ed un allegato di 30 pagine – prot. geo.800a (def.) contenente prescrizioni e disposizioni significativi in merito alla redazione delle «linee guida e zonizzazione» in merito all'attività geotermica –:
   quali siano le cause del ritardo;
   se i Ministri interrogati siano in grado di definire delle tempistiche entro le quali portare a termine l'impegno assunto in sede di risoluzione;
   se nel processo di redazione delle linee guida siano previste delle forme di coinvolgimento dei vari portatori d'interesse e se siano state o verranno prese in considerazione le proposte elaborate dagli stessi. (4-10925)


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 4-08182, il Ministro interrogato ha dichiarato che il 10 giugno 2015 la commissione scientifica CITES ha emesso parere favorevole all'esclusione del delfinario di Rimini dall'applicazione del decreto legislativo n.73 del 2005 che regolamenta i giardini zoologici, ma che prima dell'adozione del provvedimento di esclusione dal parte del Ministero interrogato, redatto di concerto con i Ministri delle politiche agricole alimentari e forestali e salute dovrà essere effettuata una verifica da parte del Corpo Forestale dello Stato circa i requisiti in possesso della struttura;
   tale procedura deriva dal fatto che il delfinario di Rimini è stato prima posto sotto sequestro e successivamente chiuso a causa delle gravi carenze nella detenzione in cattività dei delfini e del mancato rispetto della disciplina prevista dal decreto legislativo n. 73 del 2005;
   nel 2015 la suddetta struttura ha aperto in data 28 marzo e fino ad oggi non è chiaro agli interroganti se sia ancora aperta in violazione della normativa vigente o se sia effettivamente stato emanato il provvedimento ministeriale di cui sopra, e risulti quindi esclusa dal regolamento previsto dal decreto succitato;
   nella stessa risposta all'atto di sindacato ispettivo il Ministro ha inoltre ricordato il decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del 19 gennaio 2015 (Gazzetta Ufficiale serie generale n. 38 del 16 febbraio 2015) che definisce le strutture «Acquario» e «Mostra faunistica» (pubblici spettacoli) al fine di distinguerle rispettivamente dai «delfinari» e dai «giardini zoologici»;
   in particolare si definisce «acquario» un bacino di acqua dolce o salata nel quale nuotano animali appartenenti a specie acquatiche, in grado di permettere a ogni soggetto l'espletamento del repertorio comportamentale specie specifico, la cui esposizione sia conforme alla normativa vigente, e «mostra faunistica» una struttura, padiglione o automezzo o rimorchio aperti da un lato, protetto da adeguate barriere o vetri, nell'interno dei quali sono posti animali o riproduzioni di animali, anche animate, con eventuale esibizione davanti al pubblico;
   tale definizione, a parere degli interroganti, appare comunque lacunosa e poco chiara e non servirebbe a districare il già complesso ambito del rilascio delle licenze alle strutture operanti sul territorio nazionale da parte dei comuni in quanto, nel caso dell'acquario non è chiaro quali specie acquatiche possano essere detenute nelle strutture (specie acquatica è anche un delfino),mentre nel secondo caso non è chiara la differenza tra mostra faunistica e zoo;
   inoltre, nella stessa risposta si evince che le strutture che presentano domanda ai comuni per la licenza di pubblico spettacolo (acquario o mostra faunistica), devono contestualmente mostrare il provvedimento di avvenuta esclusione dall'ambito di applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 73 del 2005 relativo ai giardini zoologici;
   attualmente, oltre al delfinario di Rimini, esistono altre strutture quali il Safari Park d'Abruzzo, il Parco delle Star o lo Zoo la Rupe – che da anni operano in regime di irregolarità;
   contestualmente le «attività» con le quali queste stesse strutture sono registrate presso il registro delle imprese sono, rispettivamente: «Mostra faunistica permanente, spettacoli equestri e di arte varia, operatore circense», «Baby Kart, giostrina a motore per bambini, mostra faunistica, allevamento di volatili» e «[...] gestione dei parchi di divertimento; la gestione di attività di bar, pizzerie, ristoranti e trattorie, agriturismo, alberghi,ostelli ed affittacamere [...]», che consentirebbero di continuare a rimanere aperti al pubblico con licenza di spettacolo viaggiante, mentre sarebbero prive di licenza di giardino zoologico, come si suppone sia successo fino ad oggi, anche in considerazione del fatto che tali strutture detengono animali pericolosi ai sensi del decreto ministeriale 19 aprile 1996, la cui detenzione è fortemente regolata e viene concessa limitatamente alle strutture identificate dall'articolo 6 della legge n. 150 del 1992, ovvero giardini zoologici, aree protette, parchi nazionali, circhi e mostre faunistiche permanenti o viaggianti –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, sia stato effettivamente adottato il provvedimento di esclusione del delfinario di Rimini dalla normativa disposta dal decreto n. 73 del 2005 e, in ogni caso, a quale regime sia sottoposta la struttura allo stato attuale;
   qualora il provvedimento di esclusione sia stato adottato successivamente alla verifica del Corpo forestale, se siano stati presi provvedimenti nei confronti del delfinario di Rimini per il periodo in cui lo stesso è rimasto aperto al pubblico con licenza di spettacolo viaggiante, prima di aver ricevuto il summenzionato provvedimento di esclusione;
   come il Governo intenda procedere nei confronti di tutte le strutture che, in attesa di licenza di giardino zoologico o di provvedimento di esclusione, rimangono attualmente aperte al pubblico con licenza di pubblico spettacolo e pertanto in violazione del decreto legislativo n. 73 del 2005;
   se non sia comunque poco funzionale alla disciplina sul rilascio delle licenze la nuova definizione di acquario e mostra faunistica adottate dal decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, citato in premessa. (4-10930)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MICHELE BORDO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha approvato il programma operativo «cultura e sviluppo» 2014-2020 cofinanziato dai fondi comunitari FESR e nazionali per un ammontare complessivo di circa 490,9 milioni di euro;
   il programma operativo nazionale (PON) «cultura e sviluppo» 2014-2020 ha come principale obiettivo la valorizzazione del territorio attraverso interventi di conservazione del patrimonio culturale, di potenziamento dei servizi turistici e di sostegno alla filiera imprenditoriale collegata al settore;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo svolge il ruolo di amministrazione proponente e autorità di gestione ed assecondando tale funzione, ha ritenuto di escludere dal novero degli attrattori pugliesi destinatari di interventi la Fortezza Svevo-Angioina di Lucera (FG);
   la struttura, edificata nella prima metà del 1200 per volontà dell'imperatore Federico II, è in evidente ed avanzato stato di crisi strutturale tanto grave da farne temere il crollo, come evidenziato nella relazione tecnica inviata al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo dal sindaco di Lucera il 17 settembre 2015;
   in particolare, si evidenzia che «le mura del Castello non sono assolutamente affidabili alle sollecitazioni sismiche» e che «i fenomeni di dissesto (strutturale; nde) sono assolutamente evidenti» anche perché «tutta la collina su cui sorge il Castello di Federico II è soggetta a piccolo ma continuo movimento verso valle» –:
   per quali ragioni la Fortezza Svevo-Angioina di Lucera (FG) sia stata esclusa dall'assegnazione dei fondi del programma operativo nazionale (PON)) «cultura e sviluppo» 2014-2020, nonostante presso gli uffici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sia stato depositato un progetto per il recupero strutturale e funzionale. (5-06826)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO, ROSTELLATO e ZAN. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione comunale di Piazzola sul Brenta, in provincia di Padova, con delibera di giunta n. 67 del 25 maggio 2015, ha approvato il progetto riguardante la «Riqualificazione arredo urbano e miglioramento accessibilità di Piazza Paolo Camerini» di fronte all'omonima storica villa, simbolo della stessa città di Piazzola;
   secondo quanto stabilito dalla detta delibera il progetto prevede «una serie di percorsi pavimentati che incentivino l'uso della piazza e in particolare dei giardini, valorizzando l'area verde e il percorso lungo la Roggia Contarina; la realizzazione di aree di sosta e attrezzature (servizi igienici, palco per le manifestazioni e spazio per ristoro); adeguata illuminazione pubblica e verde urbano»;
   per la realizzazione di tale progetto è prevista una spesa pari a 250.000 euro, con un contributo da parte della regione Veneto di 122.500 euro;
   nel dettaglio, tra gli interventi previsti, è compreso il taglio di 18 alberi con asportazione del ceppo, oltre alla rimozione di parte delle panchine ora collocate sotto gli alberi stessi;
   si tratta della linea centrale di piante che, in forma speculare al loggiato palladiano, come da progetto originario, parte dalla via centrale e si sviluppa a forma di arco verso villa Contarini;
   i 18 carpini bianchi sono stati piantati negli anni ’80 in triplice filare sul lato ovest di piazza Camerini allo scopo di ricreare l'emiciclo mancante;
   secondo l'amministrazione comunale, il taglio degli alberi sarebbe giustificato dal fatto che, «il filare di mezzo è soffocato dai due laterali che lo opprimono e non gli consentono il giusto sviluppo della chioma e dell'apparato radicale, inibendo anche lo sviluppo simmetrico delle chiome dei due filari laterali che stanno crescendo in maniera sproporzionata verso l'esterno, con il conseguente collasso delle piante»;
   la notizia relativa al taglio di questi alberi ha generato fortissima contrarietà nella cittadinanza che ha avviato una raccolta di firme, tuttora in corso, allo scopo di scongiurare l'abbattimento dei 18 carpini;
   sino ad oggi la petizione ha superato le 2.300 adesioni;
   i tantissimi sottoscrittori della petizione, oltre a sollevare una questione di tutela ambientale e paesaggistica, contestano il fatto che il progetto non sia mai stato presentato preventivamente in consiglio comunale e tantomeno ai cittadini –:
   se siano al corrente dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo e in collaborazione con la regione, intendano adottare per verificare il rispetto da parte del detto progetto del paesaggio, delle norme in tema di tutela dei beni culturali e delle disposizioni della legge n. 10 del 2013. (4-10908)


   SORIAL, ALBERTI e COMINARDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo fonti di stampa, la città di Brescia non sarebbe destinataria di nessuno dei 216 interventi per la valorizzazione del patrimonio pubblico finanziati con l’art bonus, meccanismo varato nel luglio 2014, ovvero il credito d'imposta sulle erogazioni liberali a favore della cultura, introdotto con la legge n. 106 del 2014;
   a Brescia l’art bonus ha dunque fatto «flop»: nessun mecenate si è fatto avanti per il patrimonio pubblico bresciano né cittadino né provinciale, e questo nonostante le erogazioni liberali potessero essere elargite per finanziare qualunque monumento, purché pubblico e con un valore artistico-culturale importante, dando il diritto ad una detrazione delle imposte pari al 65 per cento per gli anni d'imposta 2014 e 2015 e del 50 per cento per il 2016;
   Brescia è una città che detiene sul suo territorio un grande numero di monumenti e di chiese che risalgono a ogni periodo storico e artistico della lunga vita della città: dai resti delle Domus Romane, alle chiese Gotiche, dai monasteri longobardi alle cattedrali barocche, e poi le architetture neoclassiche e quelle civili più recenti; inoltre la «leonessa d'Italia», con l'area monumentale di Santa Giulia-San Salvatore, è stata inserita recentemente nella Lista del Patrimonio Mondiale dell'UNESCO;
   il Ministro interrogato parla di successo ma a fronte di 184 tra teatri, musei e beni artistici che hanno domandato aiuti per la cifra complessiva di 355 milioni, per ben 107 di loro non vi sarebbero ancora state erogazioni, come riportato sul portale web «artbonus.gov.it», realizzato appositamente dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo alla data del 20 ottobre 2015;
   Cristina Bombassei, figlia del presidente del gruppo Brembo, la multinazionale bergamasca dei freni, che ha erogato 250 mila euro per il restauro del teatro Donizetti, ha espresso la necessità per i mecenate di semplificare le procedure per poter donare, «davvero troppo complesse per una piccola azienda che non ha un ufficio dedicato a questo tipo di pratiche»; sembra infatti che per effettuare la donazione si debba andare in banca, farsi fare un bonifico specifico, indirizzarlo al comune, mandare il tutto al Ministero, e infine ottenere una quietanza utile per la dichiarazione dei redditi;
   l'assessore alla cultura del comune di Torino, Braccialarghe ha dichiarato: «Non siamo certo soddisfatti, dobbiamo riflettere su due problemi: informazione e procedura. L'esistenza dell'Art Bonus è stata scarsamente divulgata. Bisogna far entrare nel patrimonio culturale collettivo l'idea che è arrivata una nuova opportunità, parlando di tasse e sgravi. In fondo, è uno strumento per orientare il pagamento delle imposte. Perché non si è realizzata una campagna tipo Pubblicità Progresso, sotto l'egida della Presidenza del Consiglio ?»;
   al Sud sarebbero risultati pochi mecenate e scarsa anche l'offerta: i possibili beneficiari erano appena otto, quattro dei quali in Puglia –:
   se il Ministro non consideri necessario intervenire per approfondire le ragioni di quello che agli interroganti appare il completo «flop» dell’art bonus nella città di Brescia, ricca di importanti monumenti eppure rimasta senza donazioni, e per trovare, al contempo, delle soluzioni atte a promuovere la salvaguardia e valorizzazione del patrimonio artistico bresciano;
   se il Ministro interrogato sia al corrente delle critiche ricevute da più parti dall’art bonus, come riportato in premessa, e in che modo intenda attivarsi per rimediare sia dal punto di vista burocratico, per quanto riguarda l'ostica procedura per donare, e sia dal punto di vista mediatico della divulgazione del progetto, in modo da ottenere davvero dei risultati importanti per il bene del patrimonio artistico italiano. (4-10919)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DURANTI, SCOTTO, FRATOIANNI, PIRAS, RICCIATTI, SANNICANDRO, MARCON, MELILLA, NICCHI, PELLEGRINO e PANNARALE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da organi di stampa, presso le basi della Marina militare di Venezia (VE) e Grottaglie (TA) sarebbero state acquistate delle capre e montoni per sopperire alla impossibilità di procedere alla normale manutenzione dei prati delle basi stesse;
   sempre a quanto si apprende dalla stampa, l'idea dell'acquisto dei ruminanti sarebbe nata da una «battuta» fatta durante una visita dal Capo di Stato Maggiore della Marina, Ammiraglio, De Giorgi. Il quale, avendo appurato lo stato di incuria in cui versavano i prati e di fronte alle giustificazioni del personale circa l'impossibilità di procedere alla normale manutenzione data la carenza di fondi necessari a tali operazioni, avrebbe risposto «potete comprare delle caprette»;
   la notizia della presenza degli ovini utilizzati per «tagliare il prato» è stata resa nota solo grazie al «preposto alla salute» della base, che ha inviato ai suoi superiori una, mail in cui chiedeva se «le capre avessero cibo e acqua a sufficienza, lo loro eventuale registrazione all'ufficio sanitario e le conseguenti vaccinazioni, se fra gli ordini di servizio vi fosse anche quello di pascolare e di spalare il letame»; avvisando inoltre del parto di un capretto morto;
   in seguito all'invio della lettera, il militare preposto alla salute sarebbe stato punito con tre giorni di consegna di rigore per «violazione delle funzioni attinenti al grado» e per «rivelazione di segreti militari in seguito a dichiarazioni incomplete»;
   solo pochi mesi fa sono stati puniti dei militari della sala operativa di Brindisi (questione già oggetto di atti di sindacato ispettivo) per aver divulgato delle informazioni circa un volo effettuato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi;
   il militare coinvolto direttamente era nello svolgimento normale delle sue funzioni e nel rispetto degli ordini ricevuti dai superiori;
   ad avviso degli interroganti, in particolar modo alla luce dei fatti sopra esposti, la normativa sui provvedimenti disciplinari risulta non adeguata se non male applicata;
   ad avviso degli interroganti l'impossibilità nel manutenere regolarmente le basi è indicativo delle scelte del Governo circa la disposizione finanziaria della Difesa, improntata all'assegnazione di fondi principalmente per gli armamenti a scapito dell'esercizio, con conseguenti risvolti negativi sulla salute ed il benessere del personale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non intenda avviare una verifica volta ad appurare le responsabilità circa l'acquisto e la gestione degli animali in questione;
   se non intenda verificare eventuali responsabilità circa la decisione di comminare al preposto alla salute una delle sanzioni più severe solo per aver rispettato degli ordini superiori. (5-06841)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   CALABRÒ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il blocco degli scatti d'anzianità, inizialmente previsto dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per il triennio 2011-2013 per il personale docente dell'università e per i dipendenti pubblici contrattualizzati, è stato prolungato anche per gli anni 2013-2014 dal decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122, e con il comma 256 dell'articolo 1 della legge 190 del 2014 (legge di stabilità) anche per il 2015;
   con la sentenza n. 178 del 2015 della Corte costituzionale tutti i dipendenti pubblici hanno recuperato gli scatti dell'anzianità ai fini stipendiali e previdenziali, ad eccezione dei docenti universitari;
   ai sensi dell'articolo 6, comma 3, della legge n. 240 del 2010, si è inoltre venuta a creare una situazione di discriminazione tra docenti e ricercatori assunti prima della legge 240 del 2010 e quelli assunti successivamente all'entrata in vigore della stessa, nella misura in cui solo per i secondi le progressioni di anzianità in servizio sono proseguite;
   secondo una stima del danno stipendiale complessivo medio determinato sia dal blocco degli scatti stipendiali sia dal mancato recupero dell'anzianità ai soli fini giuridici, la perdita economica media sarà pari a circa 114.514 euro per i professori ordinari, 155.679 euro per i professori associati e 141.600 euro per i ricercatori a tempo indeterminato in ruolo –:
   quali urgenti iniziative, di carattere normativo e finanziario, il Governo intenda assumere per far sì che il recupero degli scatti stipendiali in favore della docenza universitaria non vada a gravare ulteriormente sui bilanci degli atenei, già sottoposti ai gravosi vincoli derivanti dalla legislazione attuale. (3-01804)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PESCO, DADONE, TRIPIEDI, NUTI, D'AMBROSIO, MANTERO, SILVIA GIORDANO, GRILLO, GAGNARLI, BUSINAROLO, PAOLO BERNINI, CORDA, BASILIO, RIZZO, MANLIO DI STEFANO, MICILLO, DELL'ORCO, CRIPPA, CANCELLERI, CASTELLI, CARINELLI, COMINARDI, VILLAROSA, D'INCÀ, PISANO e COLLETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da un comunicato stampa del 22 ottobre 2015 dell'Agenzia delle entrate si apprende che «Nuove nomine ai vertici dell'Agenzia delle Entrate Il Comitato di gestione dell'Agenzia delle Entrate ha deliberato oggi il cambio al vertice della Direzione centrale del Personale, designando Margherita Maria Calabrò nuovo Direttore al posto di Girolamo Pastorello, che dall'1o novembre 2015 lascia l'Amministrazione avendo completato l'incarico affidatogli. Il Comitato di gestione ha inoltre conferito a Giuseppe Buono la guida della Direzione centrale Tecnologie e Innovazione, la nuova struttura che ha il compito di presidiare il sistema informativo, gestire le banche dati e le infrastrutture, compresa la sicurezza informatica. L'Agenzia delle Entrate esprime gratitudine e stima a Girolamo Pastorello, che, con le sue doti umane e manageriali ha dato un contributo decisivo allo sviluppo di un'Amministrazione finanziaria moderna ed efficiente. Margherita Maria Calabrò, direttore centrale del Personale – Laureata in Giurisprudenza, dal 1987 in Amministrazione finanziaria, dove ha iniziato la propria carriera da funzionario occupandosi di contenzioso tributario fino ad arrivare alla direzione dell'ufficio. Attualmente a capo dell'Ufficio del Direttore dell'Agenzia, Calabrò ha ricoperto negli anni incarichi di rilievo sia presso la sede centrale delle Entrate, dove ha rivestito il ruolo di Capo Settore Servizi ai contribuenti presso l'omonima direzione, sia presso la Direzione regionale del Lazio, dove ha assunto l'incarico di Capo settore Gestione Risorse. Giuseppe Buono, direttore centrale Tecnologie e Innovazione – Classe 1972, laurea in Ingegneria elettronica, dal 2004 dirigente senior manager nel settore privato, Buono vanta una esperienza pluriennale come responsabile di progetti e servizi nel settore dell’Information and Communication Technology (Ict)»;
   con deliberazione n. 13/2015/SCBOLZ/PREV la Corte dei Conti per la regione Trentino — Alto Adige/Südtirol – sezione di controllo – sede di Bolzano ha ricusato «il visto e la conseguente registrazione del provvedimento» relativo al conferimento dell'incarico di dirigente del Tribunale regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino-Alto Adige», avvenuto tramite una procedura a chiamata diretta. Il motivo è il mancato rispetto di quanto previsto dall'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 («Secondo l'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) «L'Amministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; acquisisce la disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta»;
   dal comunicato stampa e da indagini svolte dagli stessi interroganti, non sentirebbe desumersi l'avvenuta attuazione di una procedura di interpello rivolta a tutti i dipendenti aventi i requisiti adeguati per ricoprire il posto di direttore centrale del personale –:
   se il neo direttore centrale del personale Margherita Maria Calabrò possa ricoprire tale ruolo;
   quali iniziative di competenza il Ministero intenda intraprendere per evitare continui ricorsi alla magistratura amministrativa causati da quella che gli interroganti appare manifesta inadempienza e/o incompetenza dei membri del comitato di gestione dell'Agenzia delle entrate.
(5-06830)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che, il 22 ottobre 2015, il Comitato di gestione dell'Agenzia delle entrate ha deliberato il cambio al vertice della direzione centrale del personale designando Margherita Maria Calabró nuovo direttore. Tale nomina, a parere dell'interrogante, presenta profili di dubbia legittimità e, pertanto, rientra tra i reiterati comportamenti non conformi alla legge che verrebbero compiuti presso le agenzie fiscali nel conferimento degli incarichi, come già denuncia, con precedenti atti di sindacato ispettivo;
   la dubbia legittimità della nomina in questione consegue a giudizio dell'interrogante, alla mancata applicazione dell'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), il quale prevede che «L'amministrazione rende conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti di funzione che si rendono disponibili nella dotazione organica ed i criteri di scelta; acquisisce le disponibilità dei dirigenti interessati e le valuta». Dunque, l'incarico dirigenziale è stato attribuito con modalità discrezionali, in assenza di un regolare interpello volto a far partecipare alla selezione tutti i dirigenti che ne avevano titolo;
   la giurisprudenza della Corte dei conti ha più volte ribadito che, con le disposizioni di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001, il legislatore ha dato piena attuazione al principio costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all'articolo 97 della Costituzione, dettando regole di efficiente e razionale utilizzo, all'interno della pubblica amministrazione, delle risorse umane «... le quali vanno acquisite con il generale sistema del concorso pubblico, da ritenersi modalità generale ed ordinaria di accesso nei ruoli delle Pubbliche amministrazioni al fine di garantire pari condizioni di accesso a tutti i cittadini e la selezione dei più meritevoli, si vedano al proposito le sentenze della Corte costituzionale n. 9 del 2010, n. 52 del 2011, n. 167 del 2013, n. 227 del 2013, n. 134 del 2014 nonché la sentenza della sezione giurisdizionale di Trento della Corte dei conti n. 11 del 2015);
   al riguardo a giudizio dell'interrogante, nel nominare il nuovo capo del personale dell'Agenzia delle entrate, sono stati violati i principi di trasparenza e di buon andamento dell'azione amministrativa, poiché l'investitura di tale incarico non è stata preceduta dall'applicazione delle norme in tema di pubblicità dei posti vacanti, nonché di acquisizione e valutazione della disponibilità dei dirigenti eventualmente interessati all'incarico;
   è chiaro che in tale prassi che vede, nell'ambito dell'Agenzia delle entrate, il protrarsi di procedure di fatto arbitrarie rispetto al conferimento di incarichi dirigenziali, vi è ad avviso dell'interrogante la diretta responsabilità del direttore Rossella Orlandi, nonché del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, il quale, nella gestione degli enti fiscali, dovrebbe svolgere il suo ruolo di alta vigilanza, come previsto per legge (decreto legislativo 300 del 1999). Eppure, nonostante le continue denunce dell'interrogante sulle procedure illegittime che vengono applicate nell'ambito dell'Agenzie fiscali, in particolare dell'Agenzia delle entrate, il Ministro Padoan, anche recentemente, ha difeso e sostenuto l'operato del direttore Orlandi, attraverso dichiarazioni pubbliche riportate dalla stampa –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati su quanto esposto in premessa e se e quali iniziative intendano adottare a fronte della nomina di dubbia legittimità di Margherita Maria Calabrò al vertice della direzione centrale del personale presso l'Agenzia delle entrate;
   se e quali iniziative intendano intraprendere nei confronti del direttore Rossella Orlandi considerando il protrarsi di illegittime procedure per il conferimento di incarichi dirigenziali nell'ambito dell'Agenzia delle entrate, come quello descritto in premessa. (5-06846)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOREFICE, CANCELLERI, GRILLO, SILVIA GIORDANO, DI VITA, MANTERO, COLONNESE e BARONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 66 del 2014 convertito dalla legge 89 del 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 143 del 23 giugno 2014 e recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale, è stato denominato decreto di Spending Review 3, in quanto ha previsto norme finalizzate al contenimento della spesa pubblica;
   l'Agenzia delle entrate, in adempimento del decreto legge 66 del 2014 ha varato in questi giorni un piano di razionalizzazione che prevede la soppressione di 53 uffici territoriali, di cui 8 in Sicilia e precisamente Canicattì, Taormina, Milazzo, Patti, Castelvetrano, Gela, Modica e Noto;
   non si può non opinare la scelta di merito della riforma che, con chiaro intento di operare una razionalizzazione dei costi, farà pagare alla Sicilia un costo troppo elevato in quanto non solo si chiudono gli uffici, ma non si aprono nemmeno gli sportelli;
   la soppressione di un ufficio pubblico, come già accaduto per sezioni distaccate e per tribunali e giudice di pace, e come sarà per le prefetture, oltre ad arrecare grossi disagi per i fruitori dei servizi, ovvero i cittadini, arrecherà danni enormi a chi lavora negli uffici. Nonostante i 6 anni di blocco dei contratti nella pubblica amministrazione, e l'esigua somma di circa 10 euro mensili previsti per il rinnovo, adesso si pretende dai lavoratori anche di affrontare ulteriori spese per poter raggiungere la nuova sede di servizio;
   le ricadute sul territorio a seguito della chiusura dell'ufficio dell'agenzia delle entrate di Modica, in particolare, sono notevoli. In una terra come la Sicilia, e in particolare la provincia di Ragusa, già priva di strutture e di servizi, con rete stradale e ferroviaria ferma al 1860, rinunziare a qualunque presidio di legalità fiscale significherebbe abbandonare del tutto la lotta all'evasione fiscale, i cui danni non possono essere giustificati da un risparmio in termini di costo di locazione degli immobili. Tali costi sarebbero, tra l'altro, ammortizzabili attraverso eventuali acquisizioni di strutture demaniali;
   appare poco chiara la quantificazione di 45 milioni di euro del taglio delle spese di locazione avviata dall'amministrazione a livello nazionale, perché secondo le stime per la chiusura di 53 uffici la spesa recuperata ammonterebbe a soli 5 milioni di euro;
   nel decreto-legge 66 del 2014 non si parla esplicitamente di chiusura degli Uffici, ma solo di ridimensionamento dei canoni di locazione. L'ufficio di Modica, sotto questo punto di vista, è in linea con quanto previsto dal decreto. A breve inizierà il ridimensionamento dei suoi locali con la restituzione ai proprietari di parte dell'edificio e con conseguente riduzione del canone di affitto. Inoltre, il sindaco ha annunciato la disponibilità del comune nel voler cedere dei locali in comodato d'uso gratuito pur di mantenere gli uffici in città;
   l'allontanamento dell'ufficio territoriale dell'Agenzia delle entrate costringe il comune cittadino modicano, ma soprattutto ispicese, pozzallese e sciclitano ad intraprendere un vero e proprio trasferimento a Ragusa a giudizio degli interroganti del tutto irrazionale ed inefficiente. È d'uopo evidenziare oltretutto che la provincia di Ragusa è l'unica in Sicilia a non essere mai stata dotata di autostrade, con la conseguenza che dal circondario di Modica occorre mediamente un'ora per raggiungere Ragusa (in sostanza, lo stesso tempo di percorrenza per Catania);
   anche la chiusura dell'ufficio territoriale di Noto sembra non rispondere ad una logica di minor spesa per lo Stato considerata la volontà dell'amministrazione comunale di mettere a disposizione i locali comunali e di farsi carico delle spese di gestione e manutenzione. Non va poi dimenticato l'enorme bacino di utenza dell'ufficio che abbraccia ben cinque comuni –:
   se sia a conoscenza di quanto riportato in premessa in merito alle vicende descritte e se non ritenga di dover intervenire al fine di evitare la chiusura degli uffici dell'Agenzia delle entrate siciliani ed in particolare quello di Modica e di Noto, in quanto la loro chiusura, secondo gli interroganti non risponde esigenze di riduzione della spesa pubblica, ma produce maggiori costi per la collettività. (4-10915)


   OLIARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di recenti contestazioni legate al ritardato pagamento dei diritti doganali su conto differito all'ufficio delle dogane di Genova, quest'ultimo con nota prot. n. 32603 R.U. del 16 settembre 2015 ha ritenuto di fornire chiarimenti sulle modalità sanzionatorie relative all'omesso/ritardato pagamento dei diritti (articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997) e sull'istituto del «ravvedimento operoso» (articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997);
   tali chiarimenti sono stati successivamente aggiornati con nota prot. n. 37048 R.U. del 15 ottobre 2015, dopo la pubblicazione del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158;
   a tal proposito l'Agenzia delle dogane ha innanzitutto precisato che i diritti doganali ammessi al beneficio del pagamento periodico – differito devono essere regolarmente versati, indipendentemente dalla modalità prescelta, entro la data di scadenza indicata sulle dichiarazioni doganali ed associata al numero di A93 registrato;
   nel caso in cui sia trascorso un mese dalla data di scadenza, si applica per il ritardato pagamento (articolo 86 TULD) un interesse pari al tasso stabilito per il pagamento del differito (articolo 79 TULD) maggiorato quattro punti;
   ai sensi dell'articolo 230 del Regolamento CEE n. 291 del 1992 «indipendentemente dalla facilitazione di pagamento accordata al debitore, quest'ultimo può sempre effettuare il pagamento integrale o parziale dei dazi senza aspettare la scadenza del termine concessogli»;
   ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 (ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione) il ritardato pagamento è punito con l'applicazione di una sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione è ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo, oltre a quanto previsto dal comma 1 dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997 («ravvedimento operoso»). Nel calcolo dei giorni di ritardo, si considera sempre la scadenza sostanziale e non quella da calendario o formale; pertanto, qualora il termine scada di sabato o di un giorno effettivo, il versamento è tempestivo se effettuato il primo giorno lavorativo successivo. Unica eccezione è l'IVA afferente alle operazioni doganali effettuate dal 1o al 24 dicembre di ciascun anno che deve essere pagata non oltre il successivo 30 dicembre;
   al fine di evitare l'applicazione della sanzione prevista dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 in caso di omesso o tardivo versamento dei diritti, il contribuente ha facoltà di utilizzare l'istituto del «ravvedimento operoso», provvedendo a sanare l'omissione con le modalità previste dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997;
   tale istituto consente al contribuente, purché l'omesso o ritardato pagamento non sia stato portato a sua formale conoscenza dall'ufficio doganale dove sono state presentate le dichiarazioni scadute, di assolvere il debito versando, contestualmente ai diritti dovuti, la sanzione di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 nelle misura ridotte previste dalle varie lettere dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997. Anche a seguito delle novità introdotte dalla legge di stabilità 2015, è possibile enucleare tre tipologie di ravvedimento, a seconda che lo stesso si perfezioni entro le seguenti soglie temporali: 1) un decimo del minimo in caso di mancato pagamento del tributo se esso viene eseguito entro trenta giorni dalla sua commissione; 2) un nono del minimo se la regolarizzazione avviene entro novanta giorni dall'omissione o dall'errore; 3) un ottavo del minimo se la regolarizzazione avviene entro un anno dall'omissione o dall'errore;
   conseguentemente, supponendo che diritti e sanzione siano pagati nello stesso giorno, la misura della sanzione dovuta a seguito di ravvedimento varia giorno per giorno nell'arco dei primi quindici giorni dalla scadenza ordinaria; se invece diritti e sanzione sono pagati in giorni diversi, la sanzione prevista dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, commisurata ai giorni di ritardo, sarà ridotta a un decimo, un nono o un ottavo a seconda dell'arco temporale in cui è versata e quindi del tipo di ravvedimento di cui si usufruisce;
   per pagamento contestuale delle somme per tributi, sanzioni ed interessi si intende che tutti i versamenti, anche se effettuati in giorni diversi, devono avvenire entro lo stesso limite temporale previsto dalla legge per usufruire del tipo di ravvedimento operoso prescelto, ossia entro il trentesimo giorno, il novantesimo giorno o un anno dalla scadenza del tributo (articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997);
   la finalità del ravvedimento è permettere all'autore di rimediare spontaneamente, secondo modalità ed entro precisi limiti temporali stabiliti dalla normativa, alle omissioni e alle irregolarità commesse, beneficiando così di una consistente riduzione (pari al 90 per cento) delle sanzioni amministrative previste. Il suo esercizio è però subordinato alle seguenti condizioni:
    a) i diritti, insieme agli interessi, devono essere versati entro le soglie temporali indicate dalle lettere dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997, rispettivamente trenta giorni, novanta giorni e un anno dalla scadenza effettiva e non di calendario (in caso di pagamento parziale, il ravvedimento si applica alla sola quota pagata);
    b) l'omesso o ritardato pagamento non deve essere stato portato a conoscenza dell'intestatario del conto (qualora invece sia stata notificata l'inadempienza, il debitore deve comunque procedere al versamento dei diritti ma è soggetto al pagamento della sanzione intera del 2 per cento per ogni giorno di ritardo fino ad un massimo del 30 per cento;
    c) la sanzione ridotta deve essere pagata spontaneamente, qualunque ne sia l'importo, nell'esatta misura (e comunque mai in misura inferiore altrimenti il ravvedimento non si perfeziona), unitamente al tributo e agli interessi nei termini previsti;
    d) il ravvedimento non è consentito in caso di rateizzazione delle imposte dovute;
   il ravvedimento si intende perfezionato solo nel momento in cui l'importo dei diritti, eventuali interessi e sanzione ridotta sono stati effettivamente versati all'erario. La sanzione può essere pagata con assegno circolare o in contanti fino a 516 euro presso la cassa S.o.t., mentre non è prevista la possibilità di ravvedersi mediante bonifico;
   la Corte di Cassazione con ordinanza 9 giugno 2011 n. 12661 e con ordinanza 8 agosto 2012 n. 14298 ha affermato che l'istituto del ravvedimento si perfeziona solo e soltanto con «l'integrale pagamento della sanzione ridotta e degli interessi» e che, a fronte di un inesatto versamento per ravvedimento, il contribuente non può invocare neppure il principio di «buona fede» e «leale collaborazione» previsto dallo statuto del contribuente approvato dalla legge n. 212 del 2000;
   pertanto, il versamento della sanzione in maniera insufficiente rispetto all'importo dovuto ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997 non perfeziona il ravvedimento operoso ed espone l'operatore al rischio di vedersi contestato il ritardato pagamento con conseguente obbligo di versare la sanzione nella misura intera prevista dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997. Comunque l'operatore, finché non riceve il verbale di contestazione da parte dell'ufficio, può versare la somma restante purché entro un anno dalla scadenza: in tal caso il ravvedimento si deve intendere perfezionato alla data in cui è avvenuto l'ultimo pagamento con il quale è raggiunto l'importo della sanziona dovuta;
   inoltre, l'articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997 prevede la possibilità di usufruire del ravvedimento operoso, cioè di pagare la sanzione in misura ridotta, «sempreché la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore abbia avuto formale conoscenza». Pertanto, la facoltà di ravvedimento non è consentita nei seguenti casi:
    a) avvenuta constatazione della violazione;
    b) inizio di accessi, ispezioni o verifiche;
    c) inizio di altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i soggetti solidamente obbligati abbiano avuto formale conoscenza;
   nonostante i chiarimenti forniti dall'Agenzia delle dogane, si sono manifestate alcune perplessità relativamente all'applicazione dell'istituto del «ravvedimento operoso» alla materia doganale, nel caso di ritardato pagamento dei diritti doganali su conto differito;
   a tale riguardo va osservato come il conto differito è un conto garantito da fideiussione prestata da un ente terzo nei confronti dell'Agenzia delle dogane, condizione questa che fa sì che il ritardato pagamento del tributo non esiti in una violazione (omesso pagamento), bensì in un'inadempienza temporanea che esclude il tentativo di frode o di evasione dei diritti, giacché la Dogana recupera in ogni caso gli importi dovuti insieme agli interessi di mora;
   inoltre, l'estensione dell'ambito di applicazione del decreto legislativo n. 472 del 1997 dalla materia fiscale di competenza dell'Agenzia delle Entrate (imposte dirette) a quella dell'Agenzia delle dogane (imposte indirette) risulta all'interrogante inappropriata e fuorviante. Ciò in quanto mentre in materia di imposizione diretta l'istituto del ravvedimento operoso trova sempre applicazione (dal momento che l'Agenzia delle entrate dispone di tempi notevolmente ampi per constatare eventuali inadempimenti del contribuente), in ambito doganale l'informatizzazione delle procedure permette un controllo in tempo reale dei dati e delle informazioni a disposizione dell'Agenzia delle dogane che può così avviare la constatazione di infrazione immediatamente dopo la scadenza dei termini stabiliti per il pagamento del tributo vanificando i presupposti di applicabilità del ravvedimento stesso –:
   alla luce di quanto sopra esposto, in considerazione dell'ingente danno economico che si ripercuote a carico degli operatori delle imprese di spedizione che si vedono negare l'applicazione del ravvedimento operoso ai ritardati pagamenti dei diritti scontando sanzioni smisurate, se non ritenga opportuno assumere iniziative affinché vengano riesaminati termini e condizioni dell'applicazione di questo istituto alla materia doganale. (4-10917)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   notizie di cronaca recenti (vedasi «L'Arena» del 12 ottobre 2015) riportano un grave episodio verificatosi all'interno della casa circondariale di Verona «Montorio», che ha avuto come protagonisti alcuni detenuti stranieri che, come già accaduto poco tempo fa sempre all'interno della stessa struttura, hanno appiccato il fuoco all'interno di alcune celle ed hanno aggredito gli agenti penitenziari intervenuti per riportare la situazione alla normalità e che sono dovuti poi ricorrere alle cure mediche;
   in una nota del UILPA penitenziari si ribadisce l'urgente necessità che «... il prefetto, il PARAP e il DAP prendano atto che a Verona è necessario un adeguato intervento al fine di comprendere per quali ragioni si ripetono eventi critici di tale gravità e quali accorgimenti adottare. Più in generale invece, l'amministrazione penitenziaria dovrebbe avviare una seria riflessione su quelli che sono (non) i provvedimenti adottati a tutela dell'incolumità fisica del proprio personale e quali modelli formativi vengono attuati al fine di garantire nozioni operative adeguate»;
   la situazione delle carceri italiane costituisce una grave emergenza nazionale, legata al sovraffollamento delle strutture, alle precarie condizioni igienico-sanitarie delle stesse e alla inadeguatezza delle risorse economico-finanziarie che consentano anche di garantire un'adeguata formazione al personale;
   il carcere scaligero «Montorio», nello specifico, rappresenta una realtà di dimensioni notevoli, ospitando circa 500 detenuti e che ha registrato numerosi episodi incresciosi: basti pensare che dal 1o gennaio 2012 al 30 giugno 2015 si sono verificati 70 tentati suicidi di detenuti, sventati dalla polizia penitenziaria, oltre 600 episodi di autolesionismo, oltre 100 ferimenti e 650 colluttazioni;
   come è accaduto negli episodi sopra citati, il personale dell'amministrazione penitenziaria è spesso costretto ad intervenire in situazioni che improvvisamente possono degenerare e portare a conseguenze drammatiche, privo però di qualsivoglia dispositivo di protezione individuale, mettendo a serio rischio la propria incolumità –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative ciascuno secondo la propria competenza, intendano porre in essere per impedire che si verifichino episodi analoghi;
   se ritengano opportuno intervenire al fine di garantire un incremento della sicurezza per gli agenti penitenziari e un miglioramento delle condizioni di servizio del personale e della modalità di gestione delle risorse organiche che appaiono insufficienti rispetto alla situazione emergenziale delle carceri italiane. (5-06828)

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTANTINO, RICCIATTI, DURANTI, PANNARALE, MELILLA, KRONBICHLER e PIRAS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel 2004 è stato inaugurato a Laureana di Borrello (RC) l'Istituto a custodia attenuata «L. Daga», per giovani adulti non tossicodipendenti;
   i molteplici progetti portati avanti durante gli undici anni di attività, spezzati da un anno di chiusura (sul quale era già stata presentata l'interrogazione a risposta scritta n. 4-00689) e i brillanti risultati conseguiti in termini di reinserimento dei detenuti all'uscita e di abbassamento della recidiva rispetto alla media nazionale, hanno certamente favorito l'aumento di altre realtà penitenziarie analoghe a questa sparse più o meno in tutta Italia;
   l'accesso è stato precluso – sia prima della chiusura avvenuta nel settembre 2012, sia al momento della riapertura avutasi nel settembre 2013 – ai detenuti che hanno collegamenti con la criminalità organizzata;
   i detenuti finora ospitati all'interno della struttura di custodia attenuata hanno firmato un «patto trattamentale» che prevede: il lavoro come strumento primario per i recupero (i laboratori di falegnameria e di ceramica hanno realizzato prodotti che erano utilizzabili assieme alle piante grasse prodotte nei corsi di serricoltura, i corsi di informatica, tutti corsi realizzati con l'ausilio della regione);
   prima della chiusura avvenuta nel 2012, grazie all'aiuto delle direzioni scolastiche territoriali si è dato avvio anche al progetto finanziato dalla provincia con la collaborazione dell'istituto alberghiero di Polistena e dell'istituto commerciale di Rosarno che ha consentito a 20 detenuti di terminare i percorsi d'istruzione già avviati negli istituti carcerari di provenienza e di conseguire per gli altri attestati di qualifica professionale, mentre con la sinergia del Ministero della giustizia e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per ciò che concerne il finanziamento, e della regione perciò che concerne l'esame finale, è stato realizzato il corso per operatore e manutentore di pannelli solari, titolo professionale spendibile sul mercato del lavoro;
   dalla riapertura, avvenuta il 30 settembre 2013, sino ad oggi, l'istituto Daga ha continuato a lavorare sulla stessa lunghezza d'onda, nonostante le titubanze dell'amministrazione penitenziaria che, a giudizio degli interroganti, non ha provato a risolvere la problematica relativa alla mancanza di detenuti per questa struttura, non individuando un target di detenuti che consentisse una popolazione stabile con la quale potere continuare il lavoro trattamentale, caratteristica di tale istituto (la popolazione detenuta ha sempre oscillato tra i 15 ed i 30 detenuti contro i 68 che potrebbero essere accolti);
   in questo quadro, pur difficile sono stati raggiunti nuovi obiettivi: si è tenuto un corso di operatore per il legno qualificato che ha conseguito un solo giovane extracomunitario a fronte dei 18 ammessi in prima istanza (e ciò è dipeso dall'esiguo fine pena prescelto in fase iniziale per la custodia attenuata di tre anni e che ha agevolato un continuo turn over con gli effetti dannosi per la buona riuscita del corso interamente finanziato dalla provincia di Reggio Calabria), si è affidata ad una nuova cooperativa la sperimentazione di manufatti in vetroresina e i risultati sono stati soddisfacenti sia in termini di produzione e di commesse che in termini di assunzione dei detenuti (la cooperativa ha sempre assicurato una media di 4 detenuti assunti mensilmente);
   attualmente, avendo l'istituto registrato molte difficoltà a riaprire tanto il laboratorio di falegnameria quanto quello di ceramica per mancanza di commesse e di maestri d'arte idonei, si sta cercando di riattivare tali laboratori con l'aiuto di Cassa Ammende, così come le serre, che stanno per essere riavviate;
   chiudere una struttura con tali potenzialità rappresenterebbe un danno per la collettività anche in considerazione di quanto si è già speso. Corretto sarebbe invece studiare il modo per utilizzarla in tutte le sue potenzialità; come per esempio potrebbe essere un valido «ponte» tra il mondo minorile e quello degli adulti. Sarebbe quindi auspicabile che le custodie attenuate in genere, in linea con gli orientamenti della Unione europea venissero valorizzate, definendo dei criteri comuni e con margini più ampi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e di questa realtà penitenziaria;
   se il piano carceri 2015 preveda la chiusura e lo smantellamento di questa struttura per motivi di spending review, e quali iniziative di competenza, intenda assumere al fine di potenziare e valorizzare esperienze come quella dell'istituto a custodia attenuata «L. Daga», vista anche la costante urgenza strutturale determinata dal sovraffollamento del sistema nazionale delle carceri. (4-10911)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'itinerario Bradanico-Salentino unisce la Basilicata al Salento passando da Taranto;
   dell'itinerario Bradanico-Salentino fa parte la strada statale 7-ter Salentina che è un'arteria che collega i capoluoghi di Taranto e Lecce, attraversando il territorio di Brindi e rappresenta la dorsale appenninica dell'entroterra Salentino. Nel solo tratto da Manduria a San Pancrazio Salentino, si presenta a doppia carreggiata;
   dal sito web SILOS risultano propedeutiche al collegamento tra le città di Matera e Lecce passando da Taranto, con interventi inclusi tra le opere strategiche, le seguenti opere:
    a) collegamento Gioia del Colle (casello autostradale) – Matera: costo stimato di 1 milione di euro, ancora fermo alla progettazione definitiva e con ultimazione dei lavori prevista oltre il 2020. L'intervento è presente nel 12o allegato infrastrutture;
    b) strada statale 7 Appia tronco Matera/Taranto 1o lotto Taranto/Massa – lavori di completamento: costo stimato di 52,675 milioni di euro; l'opera è ancora ferma alla progettazione preliminare e non è prevista ancora la data di inizio e conclusione dei lavori. L'intervento non è presente nel 12o allegato-infrastrutture;
    c) strada statale 7 – strada statale 7-ter itinerario Bradanico Salentino adeguamento alla sezione ex tipo III CNR: costo stimato di 209,938 milioni di euro; non risulta pronta neanche progettazione preliminare tanto meno è prevista ancora la data di inizio e conclusione dei lavori. L'intervento non è presente nel 12o allegato infrastrutture. L'intervento si suddivide nei 3 sottointerventi di seguito riportati:
    1) strada statale 7-ter completamento del tronco Lecce-Manduria dall'innesto della variante di Lecce alla variante di S. Pancrazio Salentino: costo stimato di 107,423 milioni di euro; ancora ferma alla progettazione preliminare, ma non è prevista ancora la data di inizio e conclusione dei lavori. L'intervento non è presente nel 12o allegato infrastrutture;
    2) strada statale 7-ter completamento del tronco Manduria-Taranto: variante di Manduria innesto SSV Taranto Grottaglie; costo stimato di 95,545 milioni di euro; l'opera ancora ferma alla progettazione preliminare, ma non è prevista ancora la data di inizio e conclusione dei lavori. L'intervento non è presente nel 12o allegato infrastrutture;
   3) strada statale 7-ter – completamento del lotto III stralcio 2 e stralcio 3; costo stimato di 6,97 milioni di euro: l'opera è ancora ferma alla progettazione preliminare, ma non è prevista ancora la data di inizio e conclusione dei lavori. L'intervento non è presente nel 12o allegato infrastrutture;
   le opere strategiche sopra riportate costituiscono un'importante infrastruttura per unire Matera, – capitale europea della cultura 2019 – e Lecce – importante città pugliese che presenta una rilevante presenza turistica soprattutto nei mesi estivi – al porto di Taranto facente parte della rete «CORE» delle TEN-T e all'aeroporto di Grottaglie classificato come aeroporto di interesse nazionale per la funzione Cargo. Tuttavia, risultano ancora in fase di progettazione e non sono state finanziate –:
   se il Ministro possa chiarire lo stato attuale dei finanziamenti stanziati per gli interventi e i sottointerventi riportati in premessa e se possa fornire informazioni in merito ai tempi previsti per la realizzazione degli stessi e dai tipi di finanziamento previsti in merito. (5-06822)


   BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la nota situazione di disagio relativa al Porto di Gioia Tauro potrebbe complicarsi ulteriormente poiché il gruppo Maersk tramite APM Terminals ha raggiunto un accordo con Perez y Cia per l'acquisizione della relativa quota di maggioranza nel gruppo marittimo di Barcellona TCB, con le rispettive attività di servizi container in Europa e America Latina. Grup Maritim TCB controlla 11 terminal per container con una capacità annuale di 4,3 milioni di TEU. TCB ha concessioni a Barcellona, Valencia, Castellon, Isole Canarie, Izmir (Turchia), Yucatan (Messico), Quetzal (Guatemala), Buenaventura (Colombia) e Paranagua (Brasile);
   la MSC del gruppo Aponte ha manifestato un vivo interesse verso il terminal di Taranto, ormai fallito per l'addio dei coreani di Evergreen. Fonti di stampa hanno pubblicato la notizia dell'acquisto del 45 per cento del Trieste Marine Terminal, società del Gruppo «To Delta» che gestisce il terminal sul Molo VII;
   gli interessi dei maggiori operatori del porto di Gioia Tauro potrebbero deviare il proprio asse dall'importante porto calabrese ed, in effetti, la cessione delle quote azionarie del terminal Medcenter di Gioia Tauro da parte del Gruppo Maersk che ne deteneva il 33 per cento conferma l'ipotesi;
   l'alleanza tra i due colossi dello shipping Maersk ed MSC, denominata 2M, al momento non ha prodotto alcun incremento di volumi su Gioia Tauro, anzi, gli stessi sono in netta discesa (il terminal rispetto allo scorso anno ha avuto una contrazione del 15 per cento in termini di contenitori movimentati ed il mese di agosto appena trascorso si attesta come uno dei più drammatici dall'inizio della crisi con appena 120.645 container movimentati, livelli così bassi non si toccavano ormai dall'inizio del 2012);
   i volumi di traffico su rotaia non hanno avuto l'incremento sperato, nonostante sia stato dimostrato proprio nei mesi scorsi, in occasione degli scioperi a Napoli, come l'infrastruttura ferroviaria sia in perfetta efficienza. Il traffico contenitori da Napoli è stato dirottato, infatti, su Gioia Tauro che nel 2008 lavorava 200 treni ogni mese;
   è chiaramente solo una scelta commerciale quella di non utilizzare lo snodo ferroviario già esistente nello scalo gioiese. Una scelta dettata puramente da interessi economici e privati dell'unico cliente-proprietario-concessionario che ormai è MSC del gruppo Aponte (che detiene al momento il 50 per cento delle azioni del terminal di Gioia Tauro avendo acquisito anche quota parte delle azioni di Maersk);
   sul tema concessioni occorre, comunque, effettuare una riflessione specifica verificando quale sia il reale livello di utilizzo delle banchine e degli spazi concessi a Medcenter Container Terminal spa la quale, a fronte di una concessione cinquantennale che scadrà il 2043, attualmente ne sfrutta poco più del 60 per cento ed ha attivato, di conseguenza, la cassa integrazione straordinaria per oltre 350 unità lavorative;
   l'attività di verifica dovrebbe essere svolta dal presidente dell'autorità portuale di Gioia Tauro secondo quanto previsto dall'articolo 8, lettera h), della legge n. 84 del 1994 e dagli articoli da 36 a 55 e 68 del codice della navigazione il quale, sentito il comitato portuale di cui all'articolo 9 della legge n. 84 del 1994, potrà esercitare tutte le verifiche previste dalle norme sopra citate e gli spazi non adeguatamente utilizzati potrebbero essere dunque revocati per essere messi a gara internazionale ed in questo modo attrarre eventuali nuovi terminalisti nel porto di Gioia Tauro. Tutto ciò però non è possibile da realizzare perché è stata – ad avviso degli interroganti inspiegabilmente – commissariata l'autorità da oltre un anno e mezzo;
   lo stato di protratto commissariamento impedisce l'applicazione all'autorità portuale di Gioia Tauro delle norme in, materia di risanamento dei conti e di competitività previste dalle più recenti norme; ad esempio in avvio della XVII legislatura è intervenuto, in materia di autonomia finanziaria delle autorità portuali, l'articolo 22, del decreto-legge n. 69 del 2013;
   in materia, l'articolo 14 del decreto-legge n. 83 del 2012 ha previsto la destinazione su base annua, nel limite di 70 milioni di euro annui, dell'uno per cento del gettito dell'IVA relativa all'importazione di merci introdotte nel territorio nazionale per il tramite di ciascun porto rientrante nelle circoscrizioni delle autorità portuali;
   l'articolo 14 del decreto-legge n. 83 del 2012 è stato successivamente modificato dall'articolo 22 del decreto-legge n. 69 del 2013, prevedendo: a) l'innalzamento da 70 milioni di euro annui a 90 milioni di euro annui del limite entro il quale le autorità portuali possono trattenere la percentuale dell'uno per cento dell'IVA riscossa nei porti; b) la destinazione delle risorse anche agli investimenti necessari alla messa in sicurezza, alla manutenzione e alla riqualificazione strutturale degli ambiti portuali;
   l'articolo 22 ha inoltre consentito, stabilizzando e sviluppando la disciplina sperimentale introdotta anni 2010, 2011 e 2012 dall'articolo 5, comma 7-duodecies, del decreto-legge n. 194 del 2009, alle autorità portuali di diminuire, fino all'azzeramento, ovvero di aumentare, fino a un tetto massimo pari al doppio, le tasse di ancoraggio;
   successivamente, l'articolo 13 del decreto-legge n. 145 del 2013 (cosiddetto «decreto-legge destinazione Italia») ha consentito la destinazione della quota di IVA riscossa nei porti e trattenuta dalle autorità portuali anche a interventi cantierabili per la competitività dei porti italiani, interventi finanziati anche con risorse revocate dalla realizzazione di altre infrastrutture nonché erogate per interventi nelle aree portuali per i quali non si sia proceduto, entro due anni dall'erogazione del finanziamento, all'approvazione del bando di gara –:
   se quanto esposto in premessa trovi conferma e, nell'eventualità positiva, quali iniziative intenda assumere il Governo, alla luce di quanto sopra descritto, affinché si determino le condizioni per il superamento della situazione di commissariamento in cui versa l'autorità portuale di Gioia Tauro, posto che appare vitale l'istituzione di una «cabina di regia» non-emergenziale per rilanciare nel complesso l'area dei Porto di Gioia Tauro. (5-06831)


   MATARRESE, DAMBRUOSO, D'AGOSTINO, VARGIU e PIEPOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge 21 dicembre 2001, n. 443, di delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive ha previsto l'istituzione di un programma di infrastrutture strategiche da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese;
   con decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 è stata recepita tale delega con la previsione della possibile istituzione di una struttura di missione per l'attuazione della «legge obiettivo» e del programma delle infrastrutture strategiche;
   con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 356 del 10 febbraio 2003, è stata istituita la struttura di missione per l'attuazione della «legge obiettivo» e del programma delle infrastrutture strategiche;
   dal 2003, la struttura di missione ha svolto numerosi compiti gestionali relativi all'attuazione del programma delle infrastrutture strategiche;
   tra i compiti attribuiti alla struttura di missione figuravano: l'istruttoria delle richieste di finanziamento delle attività progettuali inerenti le infrastrutture strategiche; la promozione, l'acquisizione e la valutazione dei pareri istruttori sui progetti infrastrutturali, al fine di predisporre le proposte tecnico-amministrative da presentare al CIPE; la convocazione e la gestione delle conferenze di servizi; la predisposizione degli atti inerenti i contenziosi relativi alle infrastrutture strategiche; l'esame delle questioni di carattere giuridico-amministrativo ed economico-finanziario attinenti le varie fasi del procedimento realizzativo delle infrastrutture strategiche; l'individuazione delle criticità relative all'avanzamento realizzativo delle infrastrutture strategiche e relative proposte di soluzioni; l'attività di verifica sulla realizzazione degli interventi;
   secondo il rapporto 2014 sull'attuazione della «legge obiettivo», presentato a marzo 2015 presso la Camera dei deputati, il programma delle infrastrutture strategiche comprende 419 opere per 383,9 miliardi di costo totale;
   nel rapporto, viene indicato che le opere strategiche deliberate al 31 dicembre 2014 dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) sono 187 per 149 miliardi di euro, pari al 38,8 per cento del valore complessivo del programma; le risorse assegnate dal Cipe ammontano a 94,7 miliardi di euro, pari al 64 per cento del costo delle opere deliberate, di cui 58,7 miliardi relativi a risorse pubbliche e 36 miliardi di risorse private; infine, in merito allo stato di avanzamento del programma, il rapporto evidenzia che a 14 anni dal varo del programma, solo 40 opere risultano concluse e 69 sono in fase di realizzazione per un valore complessivo di 78,7 miliardi di euro pari al 20,5 per cento del costo totale del programma;
   dal rapporto emerge quindi che molte opere sono tuttora in corso di realizzazione ed appare quindi opportuno evitare stalli gestionali nell'attuazione degli interventi;
   il documento di economia e finanza (DEF) di aprile 2015, nel sottolineare la necessità di una razionalizzazione del programma delle infrastrutture strategiche, anche al fine di selezionare un ristretto elenco di opere sulle quali convogliare le — limitate — risorse pubbliche e private disponibili, indica un primo elenco di 25 opere prioritarie, per un costo totale di 70,9 miliardi di euro e coperture finanziarie pari a 48 miliardi di euro, da aggiornare successivamente nell'ambito della nota di aggiornamento del DEF da pubblicare a settembre 2015;
   nel corso dell'audizione sulle linee programmatiche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, tenutasi l'8 luglio 2015 presso la Commissione lavori pubblici del Senato della Repubblica, il Ministro ha confermato l'impegno a rivedere il programma delle infrastrutture strategiche della «legge obiettivo» al fine di definire un elenco di opere prioritarie, sulla base del confronto con le regioni. Ha, quindi, preannunciato che in autunno, sulla base di questo confronto, il Ministero stilerà un nuovo elenco delle opere valutando la loro effettiva utilità e la coerenza dei piani economico-finanziari, anche attraverso una revisione dei progetti risalenti nel tempo e ormai superati;
   con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 194 del 9 giugno 2015, è stata disposta la soppressione della struttura di missione relativa all'attuazione del programma delle infrastrutture strategiche;
   il decreto ha ripartito le soprarichiamate competenze gestionali, precedentemente esercitate dalla Struttura di Missione, tra molti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti: 2 dipartimenti, 9 direzioni generali e 15 divisioni –:
   quali siano le iniziative assunte dal Governo per assicurare la prosecuzione delle opere in corso di realizzazione e di quelle che dispongono già di un elevato livello di progettazione e di adeguate risorse finanziarie, garantendo l'appropriato svolgimento di tutte le attività precedentemente attribuite alla struttura di missione per l'attuazione del programma delle infrastrutture strategiche e, in particolare, il tempestivo espletamento delle pratiche ed i relativi pagamenti alle imprese. (5-06835)


   CERA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Governo ha fissato il principio della modalità di trasporto sostenibile, il che sta a significare che tutta la programmazione dei fondi europei è finalizzata allo spostamento, quanto più possibile, dei chilometri dalla gomma al ferro;
   la regione Puglia, con legge n. 16 del 2008, ha individuato nel trasporto su ferro il sistema rispetto al quale strutturare la rete portante del Trasporto/Pubblico locale, prevedendo la gerarchizzazione dei servizi ferroviari in ambito regionale, sulla base di tre categorie di servizi (regionali, provinciali e metropolitani in area barese), oltre al ricorso a nuove tecnologie quali il treno tram, al fine di rispondere al meglio alle caratteristiche della domanda, contenendo i costi di esercizio sulle linee secondarie a medio/scarso traffico;
   da notizie diffuse anche in rete, parrebbe che nella tratta ferroviaria Foggia-Bari-Foggia, con decorrenza 13 dicembre 2015, sarebbero soppresse le fermate dei treni regionali in diverse stazioni (in particolare, verrebbero soppresse le fermate di Incoronata ed Orta Nova);
   la necessità di mantenere la fermata ad Incoronata rinviene nel fatto che la stessa è a servizio della zona industriale di Foggia;
   il bacino di utenza della fermata di Orta Nova, comprensiva dello stesso comune nonché degli altri cinque reali Siti, ovvero Carapelle, Ordona, Stornara e Stornarella, ha un consistente numero di fruitori, in gran parte lavoratori pendolari e studenti, verso Foggia e verso Bari;
   Orta Nova ed i paesi vicini hanno necessità non solo di mantenere la fermata, ma di razionalizzare l'accesso alla stessa con il coordinamento treno-bus, le cui corse per orari ed intensità sono scarsamente fruibili –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa, con particolare riguardo ai motivi che hanno indotto alla scelta di sopprimere le fermate di Incoronata e Orta Nova sulla tratta ferroviaria Foggia-Bari-Foggia;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere nei confronti di Trenitalia affinché la popolazione ed i lavoratori delle comunità interessate alle citate fermate non siano penalizzati. (5-06839)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'Automobile Club Italia (ACI) è una federazione sportiva nazionale a carattere pubblico, istituita all'inizio del novecento, riconosciuta dal CONI e dalla Fédération Internationale de l'Automobile (FIA), con il compito di favorire lo sviluppo dello sport automobilistico, del comparto dell'auto, di associare e tutelare gli automobilisti e di organizzare manifestazioni sportive;
   inoltre, l'Automobile Club d'Italia è un ente pubblico non economico, sottoposto alla vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per quanto riguarda la gestione del pubblico registro automobilistico e l'acquisizione dei relativi tributi (la tassa di circolazione), del Ministero della giustizia;
   il decreto del Ministero delle finanze n. 514 del 2 ottobre 1992, disciplina le modalità e le procedure di funzionamento degli uffici del pubblico registro automobilistico, la tenuta degli archivi, la conservazione della documentazione prescritta, l'elaborazione e fornitura dei dati dei veicoli iscritti, la forma, il contenuto e le modalità di utilizzo della modulistica occorrente per il funzionamento degli uffici medesimi. In particolare, l'articolo 8 istituisce il certificato di proprietà e l'articolo 17, comma 5, stabilisce che il certificato di proprietà debba essere stampato dal sistema informatico;
   la legge 7 agosto 2015, n. 124, contenente «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» (nota come riforma Madia) stabilisce all'articolo 8, lettera d): «con riferimento alle amministrazioni competenti in materia di autoveicoli: riorganizzazione, ai fini della riduzione dei costi connessi alla gestione dei dati relativi alla proprietà e alla circolazione dei veicoli e della realizzazione di significativi risparmi per l'utenza, anche mediante trasferimento, previa valutazione della sostenibilità organizzativa ed economica, delle funzioni svolte dagli uffici del Pubblico registro automobilistico al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con conseguente introduzione di un'unica modalità di archiviazione finalizzata al rilascio di un documento unico contenente i dati di proprietà e di circolazione di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, da perseguire anche attraverso l'eventuale istituzione di un'agenzia o altra struttura sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica; svolgimento delle relative funzioni con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente»;
   con tale provvedimento si delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi, uno o più decreti legislativi al fine di operare il passaggio definitivo delle funzioni svolte dal pubblico registro automobilistico al Ministero delle infrastrutture e trasporti;
   il 24 settembre 2015 l'agenzia stampa Ansa ha diramato un comunicato dell'ACI con il quale si annunciava che, «a partire dal 5 ottobre, i proprietari di veicoli, motoveicoli e rimorchi potranno dire addio al certificato di proprietà (Cdp) nella sua versione cartacea» sostituito dal certificato di proprietà dematerializzato introdotto dall'Aci stessa;
   a tale comunicazione è seguita, il 25 settembre, un'intervista alla rivista «Quattroruote» del presidente dell'ACI, Angelo Sticchi Damiani, con la quale conferma quanto già annunciato dal comunicato stampa;
   il 28 settembre l'ACI con propria circolare ha informato ufficialmente gli studi di consulenza automobilistica (agenzie pratiche auto) dell'inizio del procedimento di dematerializzazione del documento di proprietà a partire dal 5 ottobre 2015;
   in un articolo del 26 ottobre, pubblicato on line sul sito www.ilfattoquotidiano.it, viene riportata un'intervista a Ottolino Pignoloni, segretario nazionale Studi UNASCA, aderente a Confcommercio, relativa alla digitalizzazione del certificato di proprietà introdotta dall'ACI;
   il segretario Pignoloni afferma che, a distanza di due settimane dall'avvio del nuovo sistema del certificato di proprietà digitale, gli operatori del settore non avrebbero ancora rilevato i vantaggi, in termini di risparmio di tempo, carta e denaro, derivanti dalla dematerializzazione, asserendo appunto che «L'Aci ha annunciato il risparmio, oltre che di tonnellate di inchiostro, di circa 30 milioni di fogli; tuttavia la realtà è che, da 14 giorni a questa parte, fare un passaggio di proprietà è diventato molto più complesso di prima»;
   infatti, constata che, per il passaggio di proprietà di un'auto, si debba utilizzare più carta di prima in quanto, in alcuni casi, siano necessari cinque fogli invece di uno; inoltre, i tempi di lavoro per gli operatori e di attesa per gli utenti si siano allungati e, soprattutto, gli automobilisti continuino a pagare 27 euro per un documento non più; consegnato;
   come riporta l'articolo, Pignoloni, riferendosi alla riforma della pubblica amministrazione e nella fattispecie all'accorpamento del pubblico registro automobilistico all'archivio veicoli della motorizzazione civile, avrebbe dichiarato: «Noi auspichiamo che l'automobilista italiano possa finalmente avere gli stessi diritti dei cittadini comunitari nel pagare un solo documento di circolazione come prevede la riforma Madia affinché si riducano i costi connessi alla gestione dei dati di proprietà e circolazione dei veicoli; (....) si sta parlando di oltre 300 milioni di euro di risparmio per gli automobilisti e di circa 150 milioni di risparmio strutturale per la spesa pubblica. L'accorpamento dei due sistemi e l'efficientamento della macchina pubblica, 1,5 miliardi» –:
   se i dati forniti da UNASCA corrispondano al vero;
   se sia in grado di fornire dei dati concreti sui reali benefici per gli utenti derivanti dalla dematerializzazione del certificato di proprietà;
   quale sia il costo sostenuto da ACI per l'attivazione delle procedure di dematerializzazione del certificato di proprietà;
   se, in vista dell'emanazione del decreto attuativo della riforma Madia, ritengano utile l'avvio del procedimento di digitalizzazione del certificato di proprietà promosso dall'ACI;
   come si concilino le disposizioni della circolare emanata dall'ACI in data 28 settembre possa modificare le disposizioni impartite dal decreto del Ministero delle finanze n. 514 del 2 ottobre 1992 che prevede la stampa del certificato di proprietà;
   se, come previsto dall'articolo 15 comma 2-bis del decreto legislativo n. 82 del 7 marzo 2005, nella valutazione del progetto si sia tenuto conto degli effettivi risparmi derivanti dal certificato di proprietà digitale, nonché dei costi e delle economie che ne derivano;
   se siano previste, unitamente alla digitalizzazione, anche l'eliminazione dell'imposta di bollo che attualmente deve venir corrisposta per l'emissione del Certificato cartaceo di proprietà e se siano previste delle riduzioni negli emolumenti al pubblico registro automobilistico corrispondenti al risparmio legato alla mancata emissione del certificato di proprietà;
   quali siano i costi che l'amministrazione dovrà sostenere per il trasferimento delle funzioni del pubblico registro automobilistico all'Agenzia per il trasporto stradale. (4-10921)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Augusto Di Meo è un testimone oculare dell'omicidio di don Peppe Diana avvenuto a Casal di Principe, nella chiesa di San Nicola di Bari, il 19 marzo del 1994;
   Di Meo, infatti, riconobbe la persona che aveva sparato quella mattina in uno dei killer del cartello De Falco – Caterino, all'epoca in guerra contro il gruppo camorristico degli Schiavone Bidognetti;
   dopo quella testimonianza, tuttavia, a Di Meo non è stata concessa alcuna protezione, tanto che, temendo probabili ritorsioni, egli fu costretto a chiudere la sua attività di fotografo a San Cipriano di Aversa ed a recarsi insieme con la moglie e i due figli piccoli in Umbria, dove tentò di trasferire la sua attività professionale;
   nonostante i tanti ostacoli Di Meo non ha mai fatto un passo indietro né ha deciso, come molti in terra di camorra, di ritrattare la propria testimonianza pur di vivere con maggiore serenità;
   egli si è, anzi, sempre recato a testimoniare a tutte le udienze del processo in cui erano necessarie le sue dichiarazioni, a sue spese e senza essere protetto;
   negli anni passati in Umbria Di Meo ha dovuto attingere a tutti i suoi risparmi per poter continuare l'attività di fotografo, unico sostentamento della sua famiglia;
   nel 2012 egli, versando in gravi difficoltà economiche dovute anche a quegli anni passati fuori dal suo territorio, ha inoltrato alla commissione centrale per la definizione e applicazione delle misure di protezione istituita presso il Ministero dell'interno una richiesta d'indennizzo economico per la collaborazione prestata con la giustizia;
   è stata anche avviata un'azione giudiziaria per stimolare gli organi competenti ad una decisione sulla richiesta d'indennizzo, ma l'Avvocatura dello Stato ha sollevato numerose eccezioni di merito e processuali contestando la richiesta in base ad un parere negativo espresso dalla Direzione nazionale antimafia;
   il contributo di Augusto Di Meo nel processo è stato riconosciuto come fondamentale dalla Corte di Cassazione, I sezione penale, che nella sentenza n. 15498/04 affermava che «al movente la Corte arriva dopo aver valutato l'assoluta credibilità del riconoscimento effettuato dal teste oculare estraneo all'ambiente, il Di Meo, che per caso si trovava in chiesa. Il suo riconoscimento, definito dubbio dal giudice del primo grado solo perché il teste aveva riferito che non era stato in grado di vedere le particolarità del volto dell'assassino, appariva in realtà assolutamente credibile perché egli aveva descritto caratteristiche fisiche dell'assassino troppo particolari per essere inventate e del tutto riferibili al Quadrano che ha una struttura fisica molto specifica. [...] Inoltre non si era provato alcun legame tra il teste Di Meo e le cosche che operavano nel territorio e pertanto non poteva ritenersi il teste indotto ad accusare il Quadrano per interesse degli Schiavone»;
   Augusto Di Meo è, ormai da 21 anni, un punto di riferimento per migliaia di giovani che arrivano a Casal di Principe e che vogliono sapere la storia di don Giuseppe Diana;
   inoltre egli è stato insignito, il 16 dicembre 2014, dell'alta onorificenza di Ufficiale della Repubblica dal Presidente della Repubblica per il suo contributo fondamentale fornito nel processo contro gli assassini di Don Diana;
   il comitato «Don Peppe Diana» e l'associazione «Libera» si sono fatte portatrici di una serie di appelli, rivolti anche ai Ministeri interrogati, affinché vengano avviate le procedure per il riconoscimento dello status di testimone di giustizia per Augusto Di Meo –:
   se non ritengano, per quanto di competenza, urgente e doveroso assumere ogni iniziativa di competenza per avviare finalmente le procedure per il riconoscimento dello status di testimone di giustizia per Augusto Di Meo. (5-06844)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella Valle d'Intelvi si registra un preoccupante incremento dei furti e dei reati contro il patrimonio, che sta generando un crescente allarme sociale, di cui la stampa locale non cessa di dare conto;
   aumentano soprattutto i tentativi di furto in abitazione compiuti mentre nelle case è presente chi vi abita;
   anche quando si riesce ad allontanare rapidamente i malviventi prima che abbiano realizzato il colpo, le forze di polizia non riescono mai a giungere sul luogo del tentativo di furto prima che i ladri si siano dileguati;
   effetto del crescente allarme sociale dei residenti nella Valle d'Intelvi è la mobilitazione degli abitanti che, mentre considerano l'allestimento di ronde, ricorrono anche a social media come Facebook per segnalare in tempo reale i movimenti sospetti alle forze di polizia stazionanti nel territorio, in particolare il personale delle stazioni dei carabinieri di Lanzo e Castiglione Intelvi e quello del nucleo radiomobile di Menaggio, peraltro costantemente impegnati;
   all'attivazione delle ronde si riconosce un elevato valore simbolico, mentre ai social media si affida anche il compito di disseminare consigli su come dissuadere i ladri;
   le amministrazioni locali nel frattempo hanno provveduto a potenziare le capacità delle loro polizie; in questo contesto, ad esempio, gli agenti della polizia locale del comune di San Fedele hanno recentemente ricevuto nuove pistole d'ordinanza;
   sono altresì in aumento in tutta la zona l'uso di sistemi di videosorveglianza, l'installazione di allarmi sonori ed il ricorso alle guardie giurate –:
   se, a fronte della situazione descritta in premessa, il Governo non ritenga opportuno incrementare le dotazioni in uomini e mezzi delle forze dell'ordine stazionanti nella Valle d'Intelvi. (4-10916)


   RICCIATTI, PELLEGRINO, ZARATTI, FERRARA, FRANCO BORDO, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO e COSTANTINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la testata Il Corriere Adriatico del 29 ottobre 2015 ha riportato la notizia del sequestro di una discarica abusiva di rifiuti pericolosi, effettuato dalla polizia stradale e dalla polizia provinciale il 26 ottobre a Piediripa (Macerata);
   sull'area, di circa 500 metri quadrati, sono stati rinvenuti 20 autocarri, sei automobili in avanzato stato di degrado, accumulatori esausti qualificabili come rifiuti speciali pericolosi, motori di automobili, refrigeratori, apparecchi televisivi e informatici, condizionatori, un alto numero di accumulatori al piombo esausti, oltre a ciclomotori, pneumatici e resti di demolizione di autovetture;
   dalle indagini effettuate è emerso che l'area era concessa in comodato d'uso ad un cittadino nigeriano –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire maggiori elementi sulla provenienza dei veicoli rinvenuti nella discarica abusiva indicata in premessa. (4-10918)


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 30 dicembre 2012, all'interno dei locali dello stabile CMM (Centro multimediale) sito in via D. Giovanni Bosco a Terni, veniva rinvenuto privo di vita il lavoratore Moreno Francesconi di anni 57 dipendente della Athena scrl, il quale stava prestando servizio di vigilanza con orario 20,00-8,00;
   il corpo senza vita veniva scoperto dal figlio la mattina del 30 dicembre, intorno alle ore 9,30, esclusivamente in conseguenza di una iniziativa personale dello stesso che, preoccupato per il mancato rientro del padre, si attivava al fine di verificare dove si trovasse;
   per accedere ai locali in cui si trovava il corpo del padre, il figlio doveva chiedere le chiavi dei locali del CMM a un collega del padre, il quale gliele avrebbe consegnate presso la propria abitazione;
   a seguito del decesso dell'uomo la divisione amministrativa della questura di Terni avviava nel luglio 2013 un'indagine sulla vicenda che, secondo quanto riportato dalla stampa on line (www.umbria24.it del 29 luglio 2013), portava alla denuncia per esercizio abusivo di attività di vigilanza ex articolo 134 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza: «Le contestazioni parlano di “esercizio abusivo dell'attività di vigilanza”. La legge (ex articolo 134 Tulps) prevede che, durante l'orario notturno o di chiusura al pubblico, l'attività di custodia di beni immobili e mobili sia affidata esclusivamente alle guardie giurate, ovvero personale qualificato, sottoposto a specifici controlli preventivi di polizia che ne accertino il requisito di buona condotta» (umbria24.it del 29 luglio 2013);
   il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza prevede che l'attività «di custodia beni immobili e dei beni mobili in esso contenuti» sia affidata «durante l'orario notturno o di chiusura al pubblico» esclusivamente alle guardie giurate, e che gli enti committenti del servizio sono tenuti ad accertare che chi svolge l'attività di vigilanza debba essere regolarmente in possesso di autorizzazione prefettizia;
   gli stabili del CMM sono di proprietà del comune di Terni ed erano gestiti, al momento dei fatti, dalla partecipata regionale U.S.I. Umbria Servizi Innovativi spa;
   sulla morte del lavoratore ha pesato fortemente la mancanza di soccorso tempestivo, un servizio di controllo di 12 ore in orario notturno senza centrale operativa;
   la vigilanza privata è l'attività di uomini e mezzi che operano per la sicurezza di beni e/o enti pubblici o privati, e non estende la propria tutela alle persone, funzione di esclusiva competenza delle forze di polizia;
   una prima regolamentazione all'attività di vigilanza privata fu quella relativa alle guardie particolari giurate, con la legge 21 dicembre 1890, n. 7321, che all'articolo 45 stabiliva: «I comuni, i corpi morali e i privati cittadini possono destinare guardie particolari alla custodia delle loro proprietà, le guardie particolari devono possedere i requisiti determinati dal regolamento, essere approvate dal Prefetto e prestare giuramento innanzi al Pretore. I loro verbali nei limiti del servizio cui sono destinate, faranno fede in giudizio sino a prova contraria»;
   le disposizioni legislative principali, pur con successive modifiche e chiarimenti, che regolano ancora oggi la vita ed i rapporti giuridici degli istituti di vigilanza privata italiani e delle guardie giurate sono: il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (articoli 133 a 141); il regio decreto-legge 26 settembre 1935, n. 1952, convertito dalla legge n. 508 del 1936 (articoli 1 a 6); il regio decreto-legge 12 novembre 1936, n. 2144, convertito dalla legge n. 526 del 1937 (articoli 1 a 6); il regolamento per l'esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 (articoli 249 a 260); il decreto-legge 8 aprile 2008, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 101 del 2008, che ha modificato l'articolo 138 del testo unico, per cui ora anche la guardia particolare giurata, che lavori alle dipendenze di un istituto di vigilanza privato, è qualificabile un «incaricato di pubblico servizio» (articolo 4); il decreto del Ministro dell'interno n. 269 del 2010;
   nonostante gli interventi legislativi, anche recenti, sono segnalate lacune nell'osservanza degli stessi;
   i servizi tipici offerti dagli istituti di vigilanza consistono principalmente nel piantonamento, servizio ispettivo, trasporto valori, custodia beni e valori, localizzazione satellitare, teleallarme, telesoccorso e videosorveglianza;
   gli agenti addetti all'attività di vigilanza privata, pur non essendo obbligati, vivono spesso situazioni di pericolo, rischiando la vita;
   risulta da fonti di stampa che le indagini condotte dalla divisione amministrativa della questura di Terni avrebbero portato alla denuncia dei titolari dell'agenzia di vigilanza per cui l'uomo lavorava, per presunte violazioni relative al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti;
   se sia vero che il signor Moreno Francesconi fosse privo della qualifica di guardia giurata;
   se sia vero che la società Athena scrl per la quale il dipendente deceduto prestava servizio e il dipendente medesimo fossero privi della licenza e del decreto prefettizio per esercitare l'attività di vigilanza privata e per quale motivo lo stesso si trovasse nei locali del CMM nella notte del 30 dicembre 2012;
   se non ritenga doveroso, alla luce dei fatti descritti in premessa, porre in essere le opportune iniziative di a competenza e verificare il rispetto della normativa di legge prevista dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, anche in tema di affidamento del servizio di vigilanza nel caso di specie, per accertare tutti gli aspetti di questa triste vicenda;
   se il Ministro interrogato non intenda verificare l'attuazione e il rispetto delle normative vigenti su tutto il territorio nazionale da parte degli organismi preposti. (4-10922)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione a risposta scritta del 5 agosto 2015, la n. 4-10195, si era rappresentata la situazione di disagio in cui era a venuto a trovarsi il comune di Chieve, in ragione della decisione della Prefettura di Cremona di inviarvi 43 migranti irregolari provenienti da Bangladesh, Eritrea, Ghana e Nigeria, approdati nel nostro Paese l'11 luglio precedente;
   con il medesimo atto di sindacato ispettivo si erano altresì evidenziate l'insoddisfazione manifestata dagli abitanti di Chieve a causa dell'arrivo degli irregolari e le particolari modalità di assegnazione alla Garbata Accoglienza, società a responsabilità limitata;
   l'interrogazione n. 4-10195 è tuttora rimasta senza risposta;
   nel frattempo, a Chieve ha avuto luogo una rissa tra migranti, riportata dal quotidiano La Provincia, in data 13 agosto 2015;
   sono altresì fortemente cresciute le adesioni al Comitato cittadini chievesi, costituitosi per reagire alle decisioni a giudizio dell'interrogante arbitrarie della prefettura di Cremona e alla passività dimostrata dall'amministrazione comunale locale nei confronti di quest'ultima;
   l'8 settembre 2015, la popolazione di Chieve ha inoltre dato vita ad una nuova manifestazione di protesta, scendendo in piazza;
   a causa di alcuni allontanamenti non autorizzati, i migranti irregolari gestiti dalla Garbata Accoglienza Srl sono scesi da 43 a 25, mentre gli altri hanno fatto perdere le proprie tracce;
   a quanto pare, in effetti, i migranti irregolari richiedenti tutela internazionale gestiti dalla Garbata Accoglienza Srl si allontano con modalità tali da rendere difficile l'accertamento del loro numero momento per momento, anche perché non sarebbe tenuto alcun registro delle loro presenze, entrate ed uscite;
   l'incertezza relativa al numero dei soggiornanti può estendersi anche alle loro condizioni sanitarie;
   in data 30 luglio 2015, in effetti, l'ufficio d'igiene prevenzione ambienti di vita della Asl Cremona ha effettuato un sopralluogo nella struttura gestita dalla Garbata Accoglienza Srl, rilevando la presenza di 43 persone a fronte di un numero massimo di utenti a norma pari a 18, prospettando sanzioni qualora il sovraffollamento fosse perdurato;
   le anomalie di questa situazione sono state oggetto di una denuncia presentata dall'interrogante al comando dei carabinieri di Bagnolo Cremasco, in provincia di Cremona, in data 14 settembre 2015 –:
   quanti siano effettivamente i migranti richiedenti protezione internazionale presenti nel comune di Chieve, quale sia la loro condizione sanitaria e cosa ne sia di quelli che hanno abbandonato volontariamente le strutture gestite dalla Garbata Accoglienza Srl;
   se le modalità con le quali la Garbata Accoglienza Srl svolge il servizio di accoglienza ed assistenza ai migranti irregolari richiedenti tutela internazionale siano conformi ai contenuti della convenzione stipulata con la prefettura di Cremona;
   a quali controlli di gestione sia sottoposta la Garbata Accoglienza Srl ed in base a quale documentazione riceva fondi pubblici per gestire a Chieve i migranti richiedenti asilo;
   se sia conforme alla legge che una società a responsabilità limitata che gestisce con fondi statali l'accoglienza dei migranti irregolari richiedenti asilo non abbia un registro delle presenze relativo ai suoi assistiti. (4-10926)


   NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giudice delle misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto, assieme a numerosi amministratori giudiziari, tra cui spicca il nome dell'avvocato Gaetano Cappellano Seminara, funzionari ed altri magistrati del tribunale di Palermo, risultano essere coinvolti nelle indagini della procura di Caltanissetta che hanno fatto luce su un presunto sistema criminale incentrato sulla gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata;
   questo sistema, di cui si discuteva già da vari mesi, sia grazie all'azione di alcuni organi di informazione, tra cui il Telegiornale di Telejato e il programma televisivo «Le Iene show», sia tramite la stessa Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, ha consentito la gestione in maniera clientelare dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, consentendo l'arricchimento spropositato e ingiustificato di pochi soggetti, portando ad una generalizzata mala gestione dei beni stessi e ad un sistematico fallimento della quasi totalità delle aziende sottoposte a misure di prevenzione;
   dalle indagini della procura di Caltanissetta, oltre a magistrati, funzionari e amministratori giudiziari, e loro parenti e amici, emergerebbe il coinvolgimento anche di altri esponenti istituzionali, tra i quali spicca il nome del prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo;
   in particolare emergerebbero raccomandazioni incrociate tra il prefetto Cannizzo e il magistrato Saguto, che condividono una cara amicizia, per l'assunzione o la nomina di soggetti a loro vicini: in particolare nelle intercettazioni emergerebbero le pressioni esercitate dai prefetto Cannizzo su richiesta della Saguto per la nomina del professor Carlo Provenzano, già amministratore giudiziario vicino al magistrato palermitano, a commissario del CARA di Mineo, lo stesso al centro dello scandalo di Mafia Capitale, il quale avrebbe inoltre inviato regalie allo stesso prefetto per ingraziarselo nonché le pressioni esercitate dal magistrato Saguto su richiesta del prefetto per l'assunzione di una persona da parte di un amministratore giudiziario;
   la stretta relazione tra queste due persone è confermata da altre intercettazioni: in particolare la cena organizzata nella residenza del prefetto di Palermo, Villa Pajno, per il compleanno del magistrato, ove vennero utilizzati, grazie all'azione di amministratori giudiziari, prodotti provenienti da aziende sequestrate; e la cena organizzata a casa del magistrato con il prefetto ove, con modalità molto similari, vennero recapitati alcuni chili di tonno provenienti da un'azienda sequestrata, con la connivenza dell'amministratore giudiziario;
   inoltre, come riportato in un articolo del giornale di Sicilia del 21 ottobre 2015 e ripreso da un articolo pubblicato su Telejato, «sembrerebbe emergere una complicità tra la Dott.ssa Saguto, l'Avv. Cappellano Seminara e, addirittura, l'attuale Prefetto Dott.ssa Cannizzo, allo scopo di neutralizzare il giornalista Giuseppe Maniaci e la sua emittente rea di avere alimentato e supportato le denunce successivamente riprese anche dal prefetto Giuseppe Caruso. Dal tenore dello stesso articolo sembrerebbe che la probabile denuncia per stalking presentata dall'avv. Cappellano Seminara contro Maniaci sia falsa e strumentale a tale diabolico disegno»;
   da quanto emergerebbe sinora dalle indagini, il comportamento tenuto dal prefetto di Palermo Cannizzo, secondo gli interroganti, collide pienamente con i dettami costituzionali contenuti in particolare agli articoli 97 e 98 della Costituzione ove si stabilisce che «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione» e che «I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione» –:
   se non intenda assumere iniziative per procedere alla revoca dell'incarico al prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo, ovvero ad una sua sospensione sino a quando le autorità giudiziarie non chiariranno la sua situazione in merito al coinvolgimento nello scandalo della gestione dei beni sequestrati e confiscati in provincia di Palermo;
   se non intenda procedere all'invio di ispettori ministeriali presso la prefettura di Palermo al fine di chiarire la posizione del prefetto medesimo e il suo coinvolgimento nello scandalo riguardante la gestione dei beni sequestrati e confiscati in provincia di Palermo. (4-10927)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Luigi Rossi, consigliere comunale di Quarto, in provincia di Napoli, ha denunciato il sindaco dello stesso comune, Rosa Capuozzo;
   il consigliere Rossi, esponente di una delle opposizioni consiliari, ha indicato nella denuncia di essere stato pubblicamente minacciato l'8 ottobre 2015 di quest'anno da una persona sino ad allora da egli sconosciuta per via di alcune questioni amministrative relative allo stadio comunale di Quarto e della partecipazione alla gestione dello stesso da parte dell'ASD Quartograd, locale squadra di calcio;
   in particolare, la persona in questione, un tesserato dell'ASD Quartograd, avrebbe scritto tali minacce in un commento pubblico su Facebook;
   in allegato ad un comunicato stampa diramato su Facebook il 18 ottobre 2015 l'ASD Quartograd ha pubblicato gli screenshots di una conversazione avvenuta oltre dieci giorni prima tra due soggetti, di cui uno risulterebbe essere il sindaco di Quarto Rosa Capuozzo;
   in tale conversazione il soggetto non identificato si riferisce al consigliere Rossi con toni palesemente minacciosi, ed in vista della seduta consiliare dell'8 ottobre 2015, in cui è prevista la risposta orale del sindaco ad un'interrogazione presentata dal consigliere Rossi sul campo sportivo locale, lo sconosciuto si offre di presenziare, evidentemente per incutere timore sull'esponente dell'opposizione;
   l'intento intimidatorio della proposta è del tutto evidente, tanto che il soggetto che sembrerebbe corrispondere al Sindaco Capuozzo risponde «non sarebbe male vedere Rossi spaventato»;
   si ricorda che le minacce ricevute, direttamente e indirettamente, dal consigliere Rossi sono arrivate dopo questa presunta conversazione –:
   se il Ministro interrogato sia già a conoscenza della vicenda e quali iniziative, per quanto di competenza, ritenga necessario assumere in merito, al fine di tutelare l'incolumità del consigliere comunale Rossi;
   se siano state inviate indagini a seguito dei fatti di cui in premessa. (4-10931)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARZANA, VACCA, D'UVA, SIMONE VALENTE, BRESCIA, DI BENEDETTO e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da quanto riportato dagli organi di stampa, sono ormai troppi i casi di alunni diversamente abili che frequentano le scuole italiane e che, nonostante abbiano diritto allo studio al pari degli altri, di fatto non hanno la possibilità di svolgere con regolarità e costanza le lezioni a causa della mancanza di un numero adeguato di insegnanti di sostegno;
   gli alunni con disabilità godono del diritto allo studio garantito dall'articolo 3 della Carta costituzionale e dall'articolo 38 che specifica: «Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale»;
   nonostante le recenti assunzioni di docenti sul sostegno, nelle scuole di ogni ordine e grado mancano all'appello ancora 30 mila docenti specializzati, così, anche quest'anno, fin dal primo giorno di scuola, si è presentato il problema della mancata assegnazione degli insegnanti di sostegno nelle classi in cui sono presenti alunni con disabilità, con gravi ricadute sugli studenti e sulle loro famiglie che, in alcuni casi si sono visti costretti a non poter mandare a scuola i propri figli oppure a rimanere a scuola con loro;
   il diritto allo studio degli alunni con disabilità si realizza attraverso l'integrazione scolastica che prevede l'obbligo dello Stato di predisporre adeguate misure di sostegno alle quali concorrono a livello territoriale, con proprie competenze, anche gli enti locali e il servizio sanitario nazionale;
   nello specifico la legge 5 febbraio 1992, n. 104, legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, nel fissare i principi della piena integrazione delle persone disabili, agli articoli 12 e 13 garantisce loro il necessario sostegno per mezzo di docenti specializzati, al fine della loro integrazione scolastica;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 970 del 1975, che istituisce giuridicamente tale figura professionale, poi meglio definita nella legge n. 517 del 1977, lo definisce un insegnante «specialista», dunque fornito di formazione specifica che, insieme ai docenti curricolari, sulla base del piano educativo individualizzato, definisce le modalità di integrazione dei singoli alunni con disabilità, partecipandovi attivamente;
   eppure nonostante il quadro normativo richiamato, è evidente che lo Stato, ancora oggi, non sia in grado di garantire il tanto ambito diritto allo studio per gli alunni diversamente abili;
   infatti, ad oggi continuano ad esserci numerose segnalazioni di famiglie che, ad anno scolastico iniziato, non hanno ancora visto riconosciuti i diritti richiamati, mediante l'assegnazione di un docente di sostegno per la classe dei loro figli;
   tra i vari casi si segnala la vicenda di una famiglia residente a Salice Salentino (LE), riportata dall'agenzia AdnKronos del 4 ottobre 2015, che ha sollevato il significativo pregiudizio al diritto all'educazione e all'istruzione subito per la mancata assegnazione dell'insegnante di sostegno sin dal primo giorno di scuola alla classe della figlia di nome Gaia. Gaia, è una bambina di 3 anni e mezzo, affetta da Sma tipo 1, una grave disabilità che comporta la ventilazione meccanica assistita per 24 ore al giorno, non cammina e comunica grazie a un puntatore oculare. Quest'anno nella sua classe non c’è più l'insegnante di sostegno che la supportava l'anno precedente;
   Gaia ha trascorso i primi 7 giorni di scuola con la madre al fianco, poi le hanno assegnato una docente, che però è priva di specializzazione per il sostegno, e che probabilmente sarà sostituita ancora da un'altra insegnante, a discapito della continuità scolastica;
   ciò dimostra che, anche nel nuovo anno scolastico 2015-2016, il primo di applicazione della nuova legge 13 luglio 5015, n. 107, il tanto decantato piano di assunzioni straordinario e la costituzione dell'organico dell'autonomia non hanno sanato la persistente mancanza di insegnanti di sostegno nelle scuole italiane;
   infatti, a fronte dei 120 mila docenti necessari a mantenere il rapporto di un docente ogni due alunni «certificati», continua a rimanere inalterato il numero a circa 90 mila insegnanti stabilizzati, restando fermi ad un organico dell'80 per cento rispetto alle effettive necessità; difatti, a fronte di 40 mila posti liberi, quelli effettivamente coperti da assunzioni in questo anno scolastico saranno circa 10 mila, con 30 mila posti destinati ancora ai precari;
   si aggiunga che in alcune province dove le graduatorie ad esaurimento (GAE) e le graduatorie di merito (GM) del sostegno sono esaurite, le supplenze sono conferite a docenti non specializzati;
   di contro nelle graduatorie di istituto di seconda fascia sono presenti insegnanti con il titolo di specializzazione per le attività di sostegno, conseguito attraverso il corso di laurea in scienze della formazione primaria o attraverso il corso di specializzazione a numero programmato per le attività di sostegno (TFA sostegno), che potrebbero essere assunti per ricoprire i posti di sostegno disponibili;
   la piena garanzia dei diritti delle persone disabili, nel mondo scolastico, passa anche attraverso la qualità formativa dei docenti e occorre superare una visione assistenzialista della scuola e valorizzare le potenzialità degli alunni, nonché valorizzare le competenze necessarie alla presa in carico del progetto inclusivo nelle singole classi e nell'intera comunità scolastica –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire il diritto allo studio a tutti gli alunni con disabilità per quanto riguarda la continuità e il numero degli insegnanti di sostegno necessari;
   se intenda con la massima urgenza assumere iniziative per l'immissione in organico dei docenti specializzati sul sostegno anche non presenti nelle graduatorie ad esaurimento o nelle graduatorie di merito e quindi l'assunzione dei docenti specializzati nel sostegno presenti nelle graduatorie d'istituto;
   quali iniziative intenda adottare al fine di garantire la continuità didattica per gli alunni affetti da disabilità grave e conseguentemente, nel caso di specie richiamato in premessa, se non si ritenga opportuno assicurare a Gaia l'insegnante di sostegno dello scorso anno. (5-06823)


   BORGHESI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è notizia pubblicata su Il Corriere della sera del 29 ottobre 2015 quella relativa al piano di assunzioni di insegnanti previsto dalla cosiddetta «Buona scuola» che sembra si stia rivelando un flop come già preannunciato dalla Lega Nord durante il suo esame parlamentare;
   l'articolo di stampa fa riferimento ai 55mila docenti in più (di cui circa 6.500 per il sostegno) che dal novembre 2015 entreranno nelle scuole non per coprire posti effettivi ma per rendere possibili i progetti di potenziamento dell'offerta formativa che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha chiesto alle scuole di mettere a punto, indicando ciascuna il proprio fabbisogno, dal miglioramento delle competenze matematiche alle attività di laboratorio, dalla valorizzazione delle competenze linguistiche allo sviluppo di quelle digitali;
   sembrerebbe, invece, che tali miglioramenti non potranno avere luogo perché i professori in arrivo sono quelli rimasti nelle graduatorie ad esaurimento dopo le prime tre fasi di assunzioni, le quali già comunque avevano lasciato scoperte, per mancanza di candidati, molte cattedre importanti, in specie matematica alle scuole secondarie di I grado (medie);
   a supporto della denuncia di discrepanza fra le reali esigenze della scuola e le competenze degli insegnanti che saranno assegnate, il predetto articolo richiama i decreti di ripartizione dei posti di potenziamento fra le diverse province comunicati a metà ottobre 2015 dai vari uffici scolastici regionali;
   con riguardo alle scuole medie, ritenuto l'ambito scolastico dove i ragazzi accumulano maggior ritardo rispetto ai coetanei di altri Paesi europei, eccedono i posti di musica, ginnastica e ed educazione artistica, a fronte di una carenza – quasi assenza – della matematica: nove in tutta Italia (5 a Torino, 2 a Cagliari, 1 a Sassari ed 1 ad Agrigento), seguiti dai 358 in italiano, storia e geografia contro i 1.903 nuovi posti di musica, 1.631 di educazione artistica e 1.198 di educazione fisica;
   senza nulla togliere all'importanza che anche la ginnastica, la musica e l'arte ricoprono per i ragazzi tra gli 11 ed i 13 anni, risulta comunque difficile pensare che questa ripartizione rispecchi il reale fabbisogno comunicato dalle scuole;
   sembrerebbe invece trattarsi, a giudizio degli interroganti, di uno svuotamento delle graduatorie ad esaurimento, attraverso il piano straordinario di assunzioni, per adempiere agli effetti della sentenza della Corte di giustizia europea, che aveva condannato l'Italia per abuso di contratti a tempo –:
   se e come intenda garantire ai giovani un effettivo e reale miglioramento del sistema di istruzione, fronteggiando il reale fabbisogno di competenze richiesto dagli istituti scolastici. (5-06836)


   CIMBRO, CHAOUKI, PAOLA BRAGANTINI, CAPONE, D'INCECCO, FOSSATI, IACONO, TIDEI e ZANIN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è sempre più necessario che le scuole con elevate percentuali di alunni con background migratorio siano poste al centro delle politiche e delle azioni di promozione dell'integrazione;
   dal 2006 al 2014, le scuole con tassi di incidenza del 30 per cento e più di alunni stranieri per istituto sono passate dall'1 per cento al 5 per cento del totale delle strutture educative italiane: 2,851 sedi scolastiche. È da rilevare poi come proprio gli istituti con elevate percentuali, 50 per cento e oltre, di allievi non italiani, siano quelli che abbiano avuto nelle ultimissime annate l'aumento più significativo, arrivando a toccare il numero di 510 scuole: l'1 per cento del totale;
   per queste ultime, in particolare, l'aumento si è registrato in modo sensibile nelle scuole dell'infanzia, il cui numero è passato dai 269 istituti, dell'anno scolastico 2012/13 ai 322 dell'annualità successiva: 53 in più, per una crescita del 20 per cento;
   è da segnalare anche la fascia comprendente scuole con percentuali di alunni stranieri tra il 40 per cento e il 50 per cento; incidenze comunque elevate. Là vi si trovano numeri significativi anche degli altri ordini scolastici: 200 scuole primarie, 35 secondarie di primo grado, 78 secondarie di secondo grado;
   è palese come tali istituti si trovino a gestire una realtà estremamente complessa; oltre al pesante dato quantitativo, impattante di per sé, e in costante crescita, vanno infatti considerate altre variabili. Vi sono differenze tra scuole dell'infanzia, e secondarie di secondo grado; tra istituti ordinari, e scuole in situazioni di sostegno da parte di enti locali e associazioni; tra bambini stranieri nati in Italia, e ragazzi neoarrivati;
   il quadro è poi ulteriormente complicato dalla variabile geografica: la distribuzione sul suolo nazionale dei ragazzi stranieri non è, ovviamente, uniforme. In rapporto al loro territorio, le province con la più alta percentuale di scuole ad elevata presenza di alunni con background migratorio sono Prato, Piacenza, Reggio Emilia, Brescia, Mantova. Guardando invece ai numeri assoluti, gli istituti considerati sono concentrati, con l'eccezione di Brescia, nelle province di grandi città: Roma, Torino, Milano. L'area metropolitana di quest'ultima da sola ne conta 65, di cui 19 sono scuole dell'infanzia;
   sempre considerando le scuole ad elevate percentuali stranieri, meritano una nota quelle secondarie di II grado. Sono 43, tutte statali, e in gran parte istituti professionali (35); gli istituti tecnici sono solo 7, e non c’è nessun istituto liceale. La maggioranza, ben 25 istituti, è poi costituita da scuole serali;
   è interessante la geografia territoriale che emerge da questo gruppo di scuole: ai primi posti, con percentuali che superano addirittura il 75 per cento, di presenze di studenti stranieri, ci sono scuole delle grandi città del nord del paese; ma nell'elenco si incontrano anche istituti di piccole città come Conegliano, Leno, lesi, Oderzo, Novellara;
   è evidente come gli istituti professionali ad elevata presenza di studenti stranieri costituiscano un segmento scolastico di particolare complessità e fragilità; è questo un settore che più di altri avrebbe bisogno di misure specifiche di sostegno, di risorse, di investimento in formazione del personale scolastico;
   a fronte di tutto questo, si rende ovvio perciò fornire al sistema educativo del nostro Paese strumenti adeguati ai tempi e al nuovo contesto sociale, oltre che alle specifiche variabili sopraelencate. Al riguardo, quindi, sarebbe grandemente utile prevedere almeno un centinaio di insegnanti distaccati per l'integrazione degli alunni con background migratorio, operanti nell'ambito delle reti di scuole del nostro territorio;
   tali nuove figure dovrebbero avere competenze glottodidattiche, in modo particolare quelle specifiche per predisporre percorsi di facilitazione dell'italiano come L2, nozioni di pedagogia interculturale ed un'esperienza professionale di progetti di integrazione linguistico – culturale. Tale bagaglio di conoscenze, competenze ed esperienze è necessario per dare un contributo fattivo non solo all'accoglienza degli studenti con background migratorio, ma anche per rimodellare l'offerta educativa – formativa del sistema scuola in uno scenario sempre più interculturale;
   sono varie le funzioni degli insegnanti distaccati: insegnamento dell'italiano L2 ad alunni il cui livello d'interlingua non è assimilabile a quello degli italofoni; allestimento e cura di centri risorse e di consulenza per le scuole e per gli insegnanti, in presenza e on line; segnalazione e diffusione di materiali e strumenti didattici innovativi ed efficaci; collaborazione con associazioni ed enti locali per iniziative di aiuto allo studio, doposcuola, orientamento, accompagnamento e tutoraggio in orario extrascolastico; momenti di coordinamento e confronto con i referenti delle scuole della rete –:
   quali iniziative intenda mettere in atto il Ministero circa il tema sollevato, e se intenda prevedere l'individuazione di un numero adeguato di insegnanti distaccati, specializzati nelle tematiche dell'inclusione e dell'integrazione, da dislocare nelle aree a più forte presenza di alunni stranieri, e in situazioni di particolare complessità e fragilità sociale. (5-06843)

Interrogazione a risposta scritta:


   PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO e NICCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 ottobre 2015 numerosi quotidiani della stampa nazionale hanno riportato la vicenda di Francesca (nome di fantasia), una bambina di 11 anni disabile e malata di AIDS, a cui da mesi viene negato il fondamentale diritto all'istruzione di cui all'articolo 34 della Costituzione;
   per comprendere l'entità della lesione di tale diritto, è sufficiente riportare l’incipit di uno dei succitati articoli: «La scuola è aperta a tutti»;
   a quanto viene riportato da numerosi quotidiani, tra cui L'Avvenire (Francesca e la scuola negata del 29 ottobre 2015) e il Corriere del Mezzogiorno (Bambina disabile e malata di AIDS esclusa da scuola nel Casertano), la vicenda di Francesca ha avuto inizio qualche mese fa, alla sua iscrizione presso la scuola media statale di Trentola Ducenta, in provincia di Caserta;
   in un primo momento, il dirigente scolastico si era dichiarato disponibile ad ospitare la bambina. Solo successivamente alla comunicazione della malattia da cui è affetta, l'istituto le ha precluso tale opportunità, con la motivazione ufficiale dell'assenza di posti;
   tale motivazione risulta però poco credibile, data l'autorizzazione dell'Ufficio provinciale scolastico per l'apertura di una nuova sezione nell'istituto, preso atto delle iscrizioni in esubero presenti;
   il professor Guarino, che segue Francesca presso la facoltà di medicina e chirurgia dipartimento di pediatria area funzionale di malattie infettive dell'università di Napoli Federico II, ha dichiarato che la sua patologia non è pregiudizievole per gli altri bambini;
   si ricorda, infatti, che il contagio dell'AIDS avviene tramite scambio di fluidi corporei infetti. Come si legge sul portale internet dell'UNICEF: «L'HIV non si contagia con comportamenti sociali quotidiani. È del tutto privo di rischi stringere la mano a una persona sieropositiva, abbracciarla, condividere con essa cibo, abiti o altri utensili (tranne quelli che possono avere avuto contatto occasionale con il sangue, come rasoi e spazzolini da denti). Una persona sieropositiva non trasmette il virus con la tosse, starnutendo, o nuotando nella stessa piscina»;
   il timore irrazionale nei confronti della malattia è ben altra cosa rispetto alle necessarie informazione e prevenzione, e non aiuta né il malato né la persona sana ad affrontare tale dramma;
   la storia di Francesca, tra l'altro, è costellata di rifiuti, come risulta evidente dalla lettera che i genitori affidatari hanno indirizzato al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini, che riporta come numerose comunità educative abbiano già rifiutato di accoglierla;
   la succitata lettera riporta anche come i dirigenti dell'Ufficio provinciale, nonché gli ispettori chiamati in causa, si siano dimostrati sordi alle richieste dei genitori affidatari di Francesca, che chiedono che la bambina possa crescere a contatti con individui della sua età, in un ambiente decisivo per lo sviluppo come quello scolastico;
   si riportano, in tal senso, le parole del dottor Guido Castelli Gattinara dell'ospedale Bambino Gesù di Roma, che, ne Il bambino e il ragazzo sieropositivo nella scuola, rileva come: «La scuola rappresenta per i bambini il momento principale di una crescita sociale e culturale “normale”, tanto più importante per coloro che sono affetti da una malattia cronica o che presentano situazioni familiari particolarmente problematiche»;
   è evidente, dunque, come l'invito ad accettare l'opzione dell'insegnamento a distanza comprometterebbe ulteriormente la possibilità per Francesca di affrontare la propria crescita, e costituirebbe un vulnus inaccettabile non soltanto al diritto di cui all'articolo 34 della Costituzione, ma al principio fondamentale di uguaglianza, che riconosce a tutti i cittadini pari dignità sociale, senza distinzioni di «condizioni personali», e di come sia «compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» –:
   se il Ministro sia conoscenza della drammatica e ingiusta condizione cui è sottoposta la bambina, privata del suo diritto all'istruzione;
   quali iniziative il Ministro intenda promuovere per risolvere la situazione di Francesca, consentendole l'accesso alla scuola ed impedendo che casi simili, che costituiscono una gravissima lesione alla dignità dell'individuo soprattutto nella sua fase di crescita, possano ripetersi in futuro. (4-10920)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MINNUCCI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la Intermetro spa era un'azienda specializzata nel campo della progettazione, realizzazione, ammodernamento, ricostruzione e straordinaria manutenzione delle linee metropolitane «A» e «B» e della Ferrovia Concessa Roma lido;
   fin dagli anni ‘90, con il progressivo esaurirsi dei contratti stipulati con il comune di Roma (in quel periodo relativi alla linea A della metropolitana) si era posto il problema occupazionale, al momento della chiusura dei cantieri, dei dipendenti della società sottoposti ai primi licenziamenti collettivi;
   in riferimento proprio ai predetti licenziamenti, grazie ad accordi intercorsi tra le organizzazioni sindacali di categoria, la rappresentanza sindacale unitaria, l'amministrazione di Roma Capitale e la giunta regionale, il personale interessato dalle procedure di licenziamento veniva assorbito in società municipalizzate, e operanti nel settore, quali ATAC, MET.RO, ROMA METROPOLITANE, ACEA e altro;
   tali assorbimenti, si rendevano necessari anche per salvaguardare, e non disperdere, un «patrimonio» umano e professionale altamente specializzato nel settore dei trasporti, e in particolar modo della metropolitana di Roma;
   contemporaneamente, gli accordi prevedevano la garanzia della salvaguardia occupazionale dei lavoratori rimasti in forza alla Intermetro per la chiusura delle commesse ancora in portafoglio;
   proprio a seguito della consegna di una di queste commesse (l'ammodernamento della stazione Manzoni) nel 2007 veniva annunciata la messa in liquidazione volontaria della società Intermetro, con conseguente riapertura delle procedure di licenziamento collettivo;
   nelle more, il comune di Roma siglava, con la rappresentanza sindacale unitaria e le organizzazioni sindacali di categoria, appositi verbali in cui veniva garantito il reintegro dei lavoratori Intermetro nelle aziende controllate del comune, quali ATAC spa e Roma Metropolitane srl, individuate quale naturale approdo dei lavoratori interessati, tenuto conto della loro professionalità ed esperienza;
   l'accordo veniva siglato effettivamente il 11 aprile 2011 e, nel dicembre dello stesso anno, veniva ribadita dalla società Roma Metropolitane la volontà di assumere 4 ex lavoratori Intermetro e di presentare, contestualmente, un piano di ricollocazione per tutti gli altri, mentre nel 2013 le organizzazioni sindacali venivano convocate dal comune di Roma per confermare gli impegni presi dallo stesso Comune durante le diverse amministrazioni succedutesi;
   nonostante tutti i predetti incontri e accordi, però, ad oggi la situazione degli ex lavoratori Intermetro rimane invariata e altamente critica, nonostante siano state più volte riconosciute e appurate la loro professionalità e la loro esperienza che risulterebbe molto utili alla aziende operanti per la realizzazione e la manutenzione della metropolitana;
   le organizzazioni sindacali hanno, peraltro, inoltrato un'ulteriore richiesta di incontro con l'assessorato alla mobilità del comune di Roma nel mese di maggio 2015, e vi sarebbe anche una formale richiesta di superamento del blocco delle assunzioni, depositata presso il Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, con particolare riguardo proprio ai lavoratori Intermetro –:
   se siano a conoscenza della vicenda che vede protagonisti i lavoratori della società Intermetro e quali siano, per quanto di competenza, le soluzioni che possono essere adottate, anche attraverso l'istituzione di un tavolo di confronto, affinché siano salvaguardati i diritti dei lavoratori interessati. (5-06824)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, DALL'OSSO, CHIMIENTI e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 183 del 2014, cosiddetto «Jobs act», ha introdotto la NASpI in sostituzione dell’«ASPI» e della «Mini ASPI», sussidio di disoccupazione universale erogato dall'INPS per eventi di disoccupazione involontaria successivi al maggio 2015, destinato ai lavoratori che perdono il lavoro ma hanno lavorato almeno 3 mesi;
   in data 15 ottobre 2015, sul quotidiano online «ilfattoquotidiano.it», veniva pubblicato un articolo riguardante i disservizi creati dalla NASpI nei confronti dei lavoratori stagionali e domestici;
   nell'articolo, veniva evidenziato che migliaia di persone sono a rischio di vedere l'indennità «NASpI» dimezzata o addirittura cancellata. Da una parte vi sono gli oltre 300mila lavoratori stagionali, il cui problema della durata dell'assegno ridotto è stato, a detta dell'INPS, risolto, benché secondo le associazioni di categoria, il rimedio non abbia trovato applicazioni. Dall'altra, ci sono i lavoratori domestici: le cui nuove regole sulla «NASpI», come spiegato dai sindacati, faranno perdere il sussidio a circa 300 mila lavoratori domestici, che rappresentano un terzo del totale;
   la confusione nell'erogare gli assegni di disoccupazione agli stagionale nasce dalla stessa formulazione del nuovo assegno di disoccupazione, che ha la durata di tre mesi per chi lavora sei mesi. Così strutturata, l'indennità chi svolge lavori solo per un determinato periodo dell'anno rimarrà tre mesi senza reddito. A luglio 2015, è però stata emessa dall'INPS la circolare numero 142, che ha riportato il sussidio alla durata originaria, almeno per l'anno corrente. I lavoratori hanno però accusato che l'istituto di previdenza stia ignorando le sue stesse direttive, penalizzandoli;
   secondo l'ANLA (Associazione nazionale lavoratori stagionali), gruppo di protesta nato nel social network Facebook contro la formulazione della «NASpI» e che ha superato in pochi mesi i 30 mila iscritti e che ora si è costituita come organizzazione di natura sindacale, il software INPS impostato per il calcolo della «NASpI» non ha recepito le direttive della circolare 142 dello stesso istituto. A detta del portavoce Giovanni Cafagna, il documento in prevede che, solo per il 2015, sia prevista una salvaguardia per i lavoratori stagionali storici, ossia quei soggetti che lavorano per sei mesi all'anno da almeno cinque anni. In diversi casi, però, i dipendenti stagionali hanno visto «saltare» la propria salvaguardia tornando ad un'indennità della durata di tre mesi a causa del software INPS che non è stato in grado di recepire le novità della direttiva;
   l'INPS, interpellato dalla redazione de «ilfattoquotidiano.it», considera destituito di ogni fondamento l'assunto che questo aspetto non sia trattato nelle attuali liquidazioni «NASpI». La stessa INPS evidenzia, tuttavia, che non sia possibile prevedere una durata identica per tutti i lavoratori compresi «gli stagionali storici» in quanto l'indennità «NASpI» è commisurata alla diversa storia contributiva di ciascun lavoratore;
   il portavoce dell'ANLA dichiara di avere le prove di quanto affermato, rappresentate da lavoratori che avevano diritto ai sei mesi di sussidio e che invece ne avranno tre. Cafagna aggiunge che ogni sede INPS presenta una risposta sempre diversa agli utenti. La stessa associazione, a causa delle ingiustizie a loro dire subite, è in procinto di preparare una manifestazione per il 12 novembre in piazza Montecitorio a Roma;
   anche per i lavoratori domestici, il problema è rappresentato dalla circolare INPS, n. 142. I sindacati di categoria, hanno denunciato che le nuove regole lasceranno senza sussidio 300 mila colf e badanti, che rappresentano circa un terzo del settore. Nel dettaglio, la legge n. 183 del 2014, prevede che accedano alla «NASpI» disoccupati con almeno 30 giornate lavorative nei 12 mesi precedenti. La circolare INPS, in questo caso, precisa che per i lavoratori domestici sono necessarie 5 settimane di almeno 24 ore lavorative ciascuna. Tale norma, secondo le sigle sindacali, toglierà il sussidio a quanti non raggiungono le 24 ore settimanali. Il sindacato Filcams Cgil, precisa che, stante così la situazione, si assisterebbe ad una situazione di evidente iniquità, nella quale una lavoratrice domestica part time, che lavori per 23 ore settimanali per 12 mesi continuativi, non ha diritto di accedere alla «NASpI», mentre una lavoratrice di un qualsiasi altro settore con identico contratto part time, anche con anzianità inferiore, può percepire regolarmente il sussidio –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per modificare la normativa vigente, riportando a sei i mesi di sussidio di disoccupazione universale erogato dall'INPS, estendendolo, oltre l'anno corrente, come intervento permanente ed applicandolo a tutti i lavoratori, come indicato nelle norme precedenti a quelle attualmente vigenti. (5-06834)


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo apparso sul IlFattoQuotidiano.it on line del 18 ottobre 2015 dal titolo «Alitalia, per risparmiare fa decollare personale in riposo. Il tribunale la blocca», a firma di Thomas Mackinson e Ferruccio Sansa, si apprende che: «Da sei anni, col benestare dei sindacati, la compagnia richiama in servizio il personale di riposo derogando le norme nazionali e comunitarie sulla sicurezza in volo. Nel 2011 un dipendente rifiuta di decollare nel suo giorno di riposo e viene sanzionato. Ora il giudice del lavoro gli dà ragione e dichiara illegittimi i riposi mensili “movibili”»;
   infatti, il dipendente della Alitalia Cai spa con mansioni di assistente di volo impugnava davanti al tribunale di Civitavecchia la sanzione disciplinare di un giorno di sospensione dal servizio e della retribuzione irrogata nei suoi confronti. La variazione, aveva sostenuto, non era in linea con le previsioni del contratto nazionale di settore. Peggio, era in contrasto con le prescrizioni europee sulla sicurezza in volo, nonché con le norme nazionali che le recepiscono;
   il tribunale con sentenza n. 444 del 15 ottobre 2015 (RG n. 435/2012 del tribunale di Civitavecchia, sezione lavoro) accoglie il ricorso del dipendente e afferma la illegittimità della clausola contenuta nel contratto collettivo nazionale della Cai Alitalia per gli assistenti di volo sottoscritto dalle sigle sindacali e per prassi aziendale già applicata dal 2009 – siccome contrastante con la normativa nazionale (decreto legislativo n. 185 del 2005), peraltro attuativa di principi comunitari e con le prescrizioni europee sulla sicurezza (circolare dell'Enac Opv -20, direttiva 2000/79/CEE e Regolamento, (Ue) n. 216/2008 del Parlamento europeo), poiché la distinzione tra riposi «movibili» e riposi «inamovibili», introdotta dalla contrattazione collettiva, legittimava una pratica aziendale che comporta una sostanziale riduzione del livello generale di protezione dei lavoratori del settore. «Così i giudici ribaltano i termini della questione. Non è il dipendente ad essersi illegittimamente sottratto a un dovere ma l'azienda. L'inadempimento datoriale ragiona il giudice è consistito nella pretesa della Cai di far lavorare il dipendente in un giorno che, invece, doveva per legge essere dedicato al riposo, al recupero delle energie psico-fisiche ed al soddisfacimento di esigenze familiari e sociali, di indubbio rilievo costituzionale» (da www.IlFattoQuotidiano.it del 18 ottobre 2015);
   la società ha fatto sapere che «la sentenza riguarda una vicenda riferibile alla passata gestione» e che «a differenza del passato il personale non è più costretto ad aderire ma lo fa su base volontaria» (IlFattoQuotidiano del 18 ottobre 2015);
   eppure nella nuova gestione Cai, la situazione riferita ai riposi appare identica alla precedente, sia come normativa sia come applicazione ed in contrasto con la normativa nazionale ed europea di sicurezza aerea, tanto che Cai, a quanto risulta agli interroganti, con una mail aziendale della gestione del personale («gestionepnc» personale navigante di cabina e «gestionepnt» personale navigante tecnico) diretta ai lavoratori del personale navigante, avrebbe affermato che: «Con riferimento alla programmazione e fruizione dei riposi ricordiamo che le procedure aziendali adottate sono pienamente coerenti con la legislazione vigente (decreto legislativo n. 185 del 2005), in quanto garantiscono la comunicazione e la fruizione del numero di riposi ivi previsti, e con la contrattazione collettiva applicata (rif. CCNL, articolo 20 riposi Personale Navigante di Cabina e articolo 22 riposi Personale Navigante di Condotta e Accordo Integrativo Aziendale Gruppo Alitalia – Riposi Personale navigante del 16 luglio 2014)»;
   il comitato di lavoratori ACC (Air Crew Committee) ha presentato anche una segnalazione all'ENAC, ente preposto alla sicurezza del volo, denunciando «l'atteggiamento aziendale di deliberata mal interpretazione dei concetti di “periodo di riposo” e di “membro d'equipaggio in operativo”, che conduce alla palese violazione delle norme dettate in materia di gestione dei riposi, frustrando inevitabilmente il perseguimento dello scopo, anche da parte dell'ENAC, di ottenere e garantire un sufficiente grado di sicurezza nello svolgimento delle operazioni di volo»;
   a parere degli interroganti, infine, appare paradossale il contestuale ricorso da parte dell'azienda a misure di ammortizzatori sociali (cassa integrazione guadagni e solidarietà) e l'assegnazione al lavoratore di turni di servizio durante i giorni in cui lo stesso è in periodo di riposo;
   grave è la vicenda: la società Cai Alitalia avrebbe seguito la prassi aziendale poi trasposta in un accordo integrativo (dichiarato illegittimo) sottoscritto anche dal sindacato, di assegnare dei turni di servizio durante i giorni in cui il lavoratore è in periodo di riposo, così minando la sicurezza aerea e in contrasto con la normativa nazionale ed europea in tema di diritto al riposo di rilievo costituzionale –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo, nell'ambito delle proprie competenze, allo scopo di favorire il legittimo esercizio del diritto di riposo di indubbio rilievo costituzionale spettante al personale di volo di Cai Alitalia in conformità ai principi stabiliti dalla pronuncia dell'autorità giudiziaria e alla normativa nazionale ed europea al fine di assicurare il rispetto delle norme di tutela della sicurezza aerea e del personale stesso;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere il Governo per favorire un accordo tra azienda e lavoratori per una riscrittura e/o revisione degli accordi sindacali e integrativi per la disciplina dei riposi del personale di Cai Alitalia rispettosa del pronunciamento dell'autorità giudiziaria, della normativa europea in materia e del godimento pieno ed effettivo del diritto al riposo spettante al personale di volo, anche al fine di garantire un livello adeguato della sicurezza aerea, coinvolgendo a tale scopo anche le associazioni e i comitati dei lavoratori che hanno segnalato tale problematica;
   quali iniziative, se del caso anche di ordine ispettivo, intenda intraprendere il Governo nei confronti di Alitalia Cai spa per far rispettare il diritto al riposo spettante al personale Alitalia Cai e, ove ne sussistano i presupposti, per sanzionare eventuali casi di mancato rispetto della normativa europea e nazionale in tema di diritto al riposo e di sicurezza aerea. (5-06840)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOSCATT e CURRÒ. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli strumenti agevolativi sono stati per decenni volano di sviluppo soprattutto per i territori del  Mezzogiorno, creando migliaia di imprese e, conseguentemente, aumentando i posti di lavoro reali in territori dove storicamente fare impresa è sempre stato difficoltoso;
   solo in Sicilia e solo, con le misure del Titolo II del decreto legislativo n. 185 del 2000 dal 2003 sono nate circa 9.000 nuove imprese, con più di 250.000 milioni erogati;
   vista la totale assenza di un facile aiuto da parte delle banche e in un momento di crisi economica e sociale così incisiva, gli sforzi dello Stato e degli enti locali dovrebbero essere concentrati a sostenere le imprese col mantenimento delle misure agevolative salvaguardando la possibilità per i giovani di creare la propria impresa;
   dal 9 agosto 2015 non è stato più possibile presentare richiesta di agevolazioni a Invitalia per l'accesso alle agevolazioni previste dal decreto legislativo 185 del 2000, Titolo II, (Gazzetta Ufficiale n. 183 dell'8 agosto 2015);
   ad oggi, solo nella regione giacciono oltre 600 domande inevase presentate prima del 9 agosto, di giovani e meno giovani che vogliono avviare attività imprenditoriali per cambiare il proprio destino lavorativo e contribuire allo sviluppo del territorio;
   ai richiedenti stanno pervenendo note in cui si comunica che, a causa della carenza dei fondi, le domande non possono essere esaminate e quindi di fatto vengono respinte;
   in nessuna parte dell'avviso relativo al programma di cui al Titolo II del decreto legislativo n. 185 del 2000 si faceva il riferimento alla possibilità che le domande non venissero valutate per carenza di fondi;
   a quanto descritto sia aggiunge il problema di chi, udendo usufruire della misura di sostegno per le micro imprese, si trova in uno stato di «limbo» dopo aver presentato domanda di ammissione alle agevolazioni di cui sopra – dal 25 marzo all'8 agosto 2015 – opzionando locali e versando caparre –:
   se intenda assumere iniziative per stanziare le risorse necessarie per coprire almeno le pratiche presentate antecedentemente alla data del 9 agosto 2015 e riavviare la valutazione;
   quali iniziative urgenti intenda assumere per trovare i mezzi finanziari necessari e riportare alla normalità questi importanti strumenti agevolativi per chi è in cerca di occupazione in regioni che necessitano di opportunità e facilitazioni;
   quali siano i tempi affinché possano essere date delle risposte ai tanti soggetti coinvolti nei vari territori. (4-10909)


   FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la crisi della cantieristica in Brasile, mercato nel quale opera la norvegese Valda, controllata da Fincantieri, ha riacutizzato la crisi in cui da tempo si trova il gruppo italiano, facendo registrare un drastico ribasso del titolo in borsa, con conseguenze anche sul fronte del bilancio consolidato;
   se nel 2014 il bilancio del gruppo si era chiuso con un fatturato di 4,3 miliardi di euro e un utile netto di 55 milioni, nel mese di giugno di quest'anno, nonostante il fatturato in crescita, si è invece registrato un utile negativo di 19 milioni; in cassa alla fine dello scorso anno vi erano 44 milioni, mentre ora figurano 220 milioni di passivo;
   il gruppo è entrato in borsa circa un anno fa e il titolo, soltanto negli ultimi sei mesi, ha perso il 37 per cento, mettendo seriamente in dubbio l'efficacia delle scelte strategiche compiute dalla Fincantieri stessa, nonostante il portafoglio degli ordini sia stimato per il 2015 a circa 16 miliardi, contro i 14,2 miliardi del 2014;
   da Fincantieri dipende, in particolare, il futuro di migliaia di famiglie liguri che vivono grazie al lavoro negli stabilimenti di Sestri Ponente, di Riva Trigoso e del Muggiano e che oggi sono coinvolte in una delicata trattativa sul rinnovo del contratto integrativo;
   in questo contesto le trattative per un accordo sugli stipendi sembrano destinate a durare a lungo; oltretutto, dato che l'incasso del valore delle navi avviene solo dopo la consegna, ciò produrrà un debito di circa 0,4 miliardi di euro; di cui 0,3 miliardi da assorbire nel corso di quest'anno, condizionando la liquidità del gruppo;
   da notizie di stampa, sembrerebbe che lo Stato, attraverso la Cassa depositi e prestiti, stia valutando di intervenire nell'eventuale aumento di capitale del gruppo Fincantieri, con un cospicuo finanziamento –:
   se i Ministri siano a conoscenza di quanto riportato nelle premesse e se corrispondano al vero le notizie relative ad un eventuale intervento dello Stato nel probabile aumento di capitale di Fincantieri, finalizzato ad immettere nel gruppo la liquidità necessaria al proseguo dell'attività;
   se e come intendano intervenire al fine di assicurare il buon esito delle trattative in corso per un accordo sugli stipendi, da cui dipende il futuro dei dipendenti degli stabilimenti di Sestri Ponente, di Riva Trigoso e del Muggiano. (4-10912)


   FAVA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Ethiopian Airlines è la compagnia di bandiera dell'Etiopia con 67 anni di attività alle spalle. È uno dei maggiori vettori del continente africano, come testimoniano profitti e utili conseguiti di anno in anno nonché i premi continui che la compagnia riceve da forum dei clienti, esperti di alto livello del settore, e partner, internazionali;
   dall'Italia operano voli giornalieri per/da Addis Abeba da Roma e da Milano Malpensa. Tutti i voli hanno coincidenze con le destinazioni nel network di scalo. I collegamenti dagli altri aeroporti italiani sono assicurati sia via Roma che via Francoforte grazie ad accordi con altri vettori, quindi, con una copertura molto ampia della domanda del mercato;

Ethiopian Airlines oltre a essere parte di Star Alliance ha anche accordi di code share con Air China, Air India, Asiana Airlines, ASKY Airlines, EgyptAir, Kuwait Airways, Lufthansa, Mozambique Airlines, Oman Air, Rwanda Air, Saudi Arabian Airways, Scandinavian Airlines, Singapore Airlines, South African Airways, Turkish Airlines e molti altri in corso di definizione;
   nonostante un bilancio ampiamente in attivo, l'Ethiopian Airlines Italia ha avviato una procedura di licenziamento collettivo tra personale italiano  –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda adottare alla luce di quanto descritto in premessa, considerata l'enorme contraddizione tra Io sviluppo del mercato del trasporto aereo della compagnia Ethiopian Aerlines in Italia e la gravissima situazione occupazionale che sta interessando i lavoratori italiani;
   se e quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire i livelli occupazionali dei lavoratori di Ethiopian Aerlines Italia. (4-10924)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, FERRARA, PIRAS, MELILLA, QUARANTA, DURANTI, ZARATTI, PELLEGRINO, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Acqualagna è un comune di 4.500 abitanti in provincia di Pesaro e Urbino; situato in area appenninica, vanta una secolare tradizione nella ricerca, nella produzione e commercializzazione del tartufo;
   la cittadina viene comunemente considerata la capitale del tartufo nelle Marche, ed una parte importante della sua economia, oltre che della cultura e della tradizione, ruota attorno alla commercializzazione del tartufo;
   il comune è di recente balzato agli onori delle cronache per aver denunciato lo Stato italiano alla Commissione europea, per non essersi adeguato alla normativa comunitaria in materia di tassazione sul tartufo (Ansa, 21 ottobre 2015; Il Messaggero, 21 ottobre 2015);
   in particolare, il comune contesta una situazione normativa contraddittoria, che persiste da diversi anni, che non riconosce il prodotto tartufo come prodotto agricolo, nonostante «la diretta applicabilità dei Regolamenti dell'Unione europea del 2013», che comporta una tassazione del 22 per cento anziché del 4 per cento; inoltre, la normativa attuale prevede l'indetraibilità assoluta dell'iva «sancita dalla Legge Finanziaria nel 2005, in contrasto con le regole e le procedure previste dalla Direttiva comunitaria»;
   l'indetraibilità dell'iva per ragioni evidenti costituisce un forte elemento di penalizzazione per la commercializzazione del prodotto sia nel mercato nazionale, ma soprattutto in quello internazionale, in quanto incide sensibilmente sul prezzo finale di vendita –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e se ritenga fondate le denunce del comune di Acqualagna;
   se non ritengano di intervenire sulla materia, considerato che il tartufo oltre a rappresentare un prodotto di altissima qualità culinaria, è un prodotto simbolo, in grado di veicolare anche diversi valori legati alla tradizione e all'eccellenza;
   quali iniziative, anche di carattere normativo, intendano adottare al fine di valorizzare la commercializzazione di questo prodotto soprattutto sui mercati internazionali. (5-06837)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   i dati dell'Istituto superiore di sanità pubblicati dal Ministero della salute indicano un tasso di vaccinazione al di sotto degli obiettivi minimi previsti. Scendono, infatti, al di sotto del 95 per cento le vaccinazioni per poliomielite, tetano, difterite ed epatite B. La percentuale scende ulteriormente per le vaccinazioni contro il morbillo, la parotite e la rosolia che raggiunge una copertura vaccinale dell'86 per cento, diminuendo di oltre 4 punti percentuali rispetto agli anni precedenti;
   il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Gualtiero Ricciardi, ha affermato che «la copertura vaccinale nel nostro Paese è al limite della soglia di sicurezza e diventa ormai improcrastinabile l'approvazione del nuovo Piano Nazionale per la Prevenzione Vaccinale proposto da Ministero della Salute, Consiglio Superiore di Sanità, Istituto Superiore di Sanità ed Agenzia Italiana del Farmaco al Tavolo di coordinamento per la prevenzione delle Regioni italiane. Questa situazione, che tende progressivamente a peggiorare, rischia di avere gravi conseguenze sia sul piano individuale, che collettivo, poiché scendere sotto le soglie minime significa perdere la protezione della popolazione nel suo complesso e aumentare contemporaneamente il rischio che bambini non vaccinati si ammalino, che si verifichino epidemie importanti, che malattie per anni cancellate dalla protezione dei vaccini non siano riconosciute e trattate in tempo. È necessario che, a fronte dei dubbi dei cittadini, gli operatori siano in grado di far comprendere che la mancata vaccinazione crea un rischio enormemente più alto rispetto a quello temuto di eventuali effetti collaterali»;
   nella sesta edizione del libro «Vaccini», scritto da Stanley A. Plotkin, Walter A. Orenstein, Paul A. Offit, gli autori elencano le soglie di sicurezza di copertura vaccinale affinché sia garantita «crude herd immunity» (immunità di branco) per le malattie comuni prevenibili con vaccini. In Italia, le soglie per le vaccinazioni obbligatorio sono le seguenti: difterite 83 per cento-85 per cento, poliomielite 50 per cento-95 per cento, tetano non applicabile;
   il Ministro della salute in un'intervista al Corriere della Sera del 18 ottobre 2015 ha affermato che «i genitori leggono su Internet informazioni terroristiche senza fondamento tipo il legame tra antimorbillo e autismo. Si lasciano condizionare da falsità. In questi giorni stiamo assistendo ad un allarme causato dall'abbassamento»;
   da uno studio del Censis dal titolo «La cultura della vaccinazione in Italia: un'indagine sui genitori», presentato a Roma ad ottobre 2014, emergerebbe che ”la scelta dei genitori sembra essere decisamente orientata in maniera favorevole alla vaccinazione: solo lo 0,5 per cento dichiara di non aver vaccinato i propri figli, mentre a dividere il campione in due blocchi è la scelta di sottoporli sia ai vaccini obbligatori che a quelli raccomandati o esclusivamente a quelli obbligatori. In particolare, il 40,4 per cento dichiara di aver sottoposto i propri figli solo alle vaccinazioni obbligatorie, mentre il 47,9 per cento ai vaccini obbligatori e raccomandati. L'esperienza della vaccinazione è in ogni caso fortemente connessa con l'informazione ricevuta. Si osserva che la quota di genitori che riconosce di aver avuto accesso a tutte le informazioni di cui aveva bisogno tende a diminuire passando dal Nord al Sud della penisola. In particolare a Nord Ovest è pari al 71,6 per cento, 68,2 per cento al Nord Est, 59,9 per cento al Centro, 50,4 per cento al Sud e Isole, a fronte di una media nazionale pari al 60,8 per cento. In quest'area del Pese, dunque, la metà dei genitori interpellati esprime un giudizio negativo sulle informazioni ottenute. Aumenta, infatti, passando dalla parte settentrionale a quella meridionale della penisola, la quota di rispondenti che avrebbero voluto saperne di più, insieme a quella di coloro che dichiarano di non essere stati informati sui rischi dei vaccini. Considerando le fonti attraverso cui i genitori si sono informati in funzione della scelta di sottoporre i figli alle vaccinazioni, il pediatra di libera scelta rappresenta la figura più consultata (54,8 per cento) in particolare dai genitori del Sud e Isole e tra i diplomati. Un'altra fonte di informazione che, dopo il pediatra, rappresenta la fonte più consultata è il Servizio vaccinale della ASL (37,5 per cento), un servizio cui si sono rivolti più frequentemente i genitori del Nord e i genitori con titolo di studio basso;
   i genitori che ricorrono al web per acquisire informazioni sulla salute sono il 32,1 per cento del campione. Considerando i canali attraverso cui i genitori hanno reperito le informazioni online relative alla vaccinazione, si osserva il ruolo prevalente dell'informazione ufficiale, vale a dire quella proveniente da siti istituzionali che risulta quella più frequentemente consultata e indicata dal 40,6 per cento dei genitori, così come le informazioni provenienti da siti specializzati o scientifici (37,2 per cento). Guardando ai social media, i forum o blog (27,2 per cento) sembrano essere preferiti ai social network (16,1 per cento) per reperire questo tipo di informazioni. La consultazione delle sezioni di salute di quotidiani e riviste online risulta invece la pratica meno di diffusa e indicata dal 12,2 per cento dei rispondenti. Guardando ai contenuti delle informazioni che i rispondenti hanno rintracciato su internet, si tratta più frequentemente di informazioni sui rischi dei vaccini (46,7 per cento), e sono in particolare i genitori più giovani ad indicarne la presenza sul web. Più ridotta e pari al 26,8 per cento è la quota di genitori che rintraccia informazioni sui vantaggi dei vaccini, e prossime al 20 per cento sono le quote di intervistati che indicano d'aver trovato informazioni scientifiche sui vaccini o storie di casi che hanno subito effetti negativi dei vaccini”;
   il calendario vaccinale in Italia prevede a 3 mesi di età la vaccinazione esavalente, tale vaccino comprende i vaccini contro la poliomielite, la difterite, il tetano, l'epatite B (obbligatorie) insieme a quelle contro la pertosse e l’haemophilus influenzae di tipo B (facoltative). In molte regioni è praticata in contemporanea la vaccinazione contro lo pneumococco (sono sette vaccini inoculazione). I richiami sono eseguiti a 5 mesi e a 11 mesi (siamo a 21 vaccinazioni, che diventano 22 se si decidesse di somministrare anche la vaccinazione antimeningococco). A 15 mesi viene consigliata l'immunizzazione contro morbillo, parotite, rosolia, e anche varicella (per ora tocchiamo quota 26, ma diventano 27 se si aggiunge la vaccinazione antinfluenzale). Con i richiami dei 6 anni (per poliomielite, difterite, tetano, pertosse, morbillo, parotite, rosolia) si arriva a 34 vaccinazioni, che possono diventare 36, a 12 anni (ancora difterite e tetano) o 38 se si accolgono i suggerimenti di un ulteriore richiamo per varicella e pertosse. Con il vaccino antipapillomavirus per le ragazze di 12 anni saranno 41 (sono 3 somministrazioni). Per toccare quota 42 basterà aspettare poco tempo: è alle porte il vaccino anti-rotavirus (diarrea infettiva). Nessuno studio scientifico può affermare che somministrare un numero così elevato di vaccinazioni ad un bambino, iniziando a tre mesi di età, non provochi delle profonde alterazioni dell'equilibrio immunitario, con il rischio di sviluppare malattie importanti e persistenti per tutta la vita;
   la Corte Costituzionale con la sentenza n. 258 del 20-23 giugno 1994 ha infatti affermato che: «È necessario porre in essere una complessa e articolata normativa di carattere tecnico che individui esami chimico-clinici idonei a prevedere e prevenire possibili complicanze da vaccinazione»; la circolare ministeriale del 7 aprile 1999 ha decretato che non si prevedono esami chimico-clinici da eseguire prima della somministrazione dei vaccini;
   con la legge 25 febbraio 1992, n. 210, recante «Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni, trasfusioni e somministrazione di emoderivati», il Parlamento, ammettendo una responsabilità pubblica, ha riconosciuto un sostegno economico a quei cittadini resi fisicamente o psichicamente menomati –:
   se sia a conoscenza dei dati relativi l'andamento della copertura vaccinale dal 1997 ad oggi;
   su quali dati scientifici sia stata stabilita la soglia del 95 per cento della copertura vaccinale;
   quale sia la percentuale di pazienti effettivamente immunizzati o che comunque hanno un tasso anticorpale adeguato a renderli immuni dal contagio a seguito della vaccinazione per le seguenti patologie: pertosse, difterite, tetano, epatite B, poliomielite, haemophilus influenzae di tipo B e meningite da pneumococco;
   se siano stati eseguiti studi sulle reazioni avverse ai vaccini e quali e come siano stai monitorati tali effetti e per quanti giorni successi all'inoculazione del vaccino;
   quali siano i laboratori di ricerca che hanno eseguito tali studi;
   quali siano gli studi clinici indipendenti sulla sicurezza ed efficacia dei vaccini, e se essi siano sufficienti per formulare un giudizio obiettivo;
   se siano disponibili dati scientifici sugli effetti a distanza di tempo delle numerose vaccinazioni oggi proposte ai bambini;
   se esistano ampi studi clinici che confrontino lo stato di salute di bambini vaccinati e non vaccinati, e quali;
   se siano eseguiti dalle strutture sanitarie competenti esami pre-vaccinali al fine di valutare lo stato di salute e l'eventuale immunizzazione già esistente rispetto alla vaccinazione richiesta, per tutti i pazienti ed in particolare per bambini e, nel caso siano previsti, quali siano;
   se i genitori o tutori legali dei bambini sottoposti a vaccinazione possano segnalare, in modo diretto, gli eventi avversi registrati dopo l'inoculazione del vaccino, in caso affermativo, quale sia la procedura prevista per tale tipologia di segnalazioni;
   quali siano e con quale frequenza si manifestino gli eventi avversi a seguito di vaccini esavalenti e meningite da pneumococco;
   quali siano le percentuali di casi di malattia in Italia derivati dal vaccino e non dal virus selvaggio dal 1997 ad oggi;
   quale sia il costo annuale per il Servizio sanitario nazionale dell'immunizzazione attraverso il vaccino esavalente e il costo della singola dose di vaccino esavalente;
   se siano disponibili in commercio i vaccini singoli;
   se sia disponibile in commercio il vaccino tetravalente obbligatorio per legge composto da difterite, poliomielite, tetano ed epatite B;
   quale sia la curva di morbilità e di mortalità nel ventennio precedente all'introduzione del vaccino fino ad oggi delle seguenti malattie: pertosse; morbillo; tetano; poliomielite; epatite B; haemophilus influenzae di tipo B; meningite da pneumococco;
   dopo l'introduzione del vaccino quanti casi di morbilità e mortalità siano stati registrati tra gli individui vaccinati e non per le seguenti patologie: pertosse; morbillo; tetano; poliomielite, epatite B; haemophilus influenzae di tipo B; meningite da pneumococco;
   se esistano delle statistiche di morbilità e mortalità per i singoli vaccini esavalenti e per il vaccino per la meningite da pneumococco di tipo B divise per singole regioni;
   quale sia l'esatta mappatura dei casi di contagio per i sei vaccini che compongono l'esavalente, più il vaccino per la meningite da pneumococco in Italia;
   quale sia il numero totale delle posizioni/pratiche di indennizzo ex legge n. 210 del 1992 per danni da vaccinazioni obbligatorie attualmente gestite dalla competente direzione ministeriale attraverso la banca dati NSIS;
   se la competente direzione ministeriale provveda alla catalogazione delle posizioni di indennizzo ex legge n. 210 del 1992 per danni da vaccinazioni obbligatorie anche in base alle patologie diagnosticate, in sede di verifica della Commissione medico-ospedaliera o in sede di ricorso ministeriale, al soggetto beneficiario dell'indennizzo e, in caso affermativo, se possa indicare quali esse siano e i relativi dati statistici;
   quante domande di indennizzo ex legge n. 210 del 1992 per danni da vaccinazioni obbligatorie lo Stato abbia riconosciuto dall'entrata in vigore della legge ad oggi e per quale ammontare complessivo, quante siano state invece rigettate per mancato riscontro del nesso causale, e quante ancora siano al vaglio della competente direzione ministeriale;
   quali siano e a quanto ammontino le attuali posizioni di bilancio destinate agli indennizzi nonché ai risarcimenti dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie ex legge n. 210 del 1992.
(2-01140) «Silvia Giordano, Colonnese, Grillo, Mantero, Baroni, Cecconi, Lorefice, Di Vita, Dall'Osso».

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   l'energia, in termini di disponibilità e costi, è un elemento essenziale per la competitività del Paese e del suo sistema industriale;
   come fonte energetica, a livello globale, si consumano quantità enormi di combustibili fossili (ogni secondo 1050 barili di petrolio, 105.000 metri cubi di gas, 250 tonnellate di carbone) immettendo nell'atmosfera, oltre alle sostanze inquinanti che causano numerose malattie, 36 miliardi di tonnellate l'anno di anidride carbonica, gas serra che ha raggiunto la concentrazione di 400 parti per milione. Causa principale del progressivo riscaldamento del pianeta che sta già causando conseguenze catastrofiche;
   gli scienziati del Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), sotto l'egida dell'ONU, nel Fifth Assessment Report 2014 hanno sottolineato l'urgenza di intervenire con iniziative immediate: «senza un'azione decisa, è molto probabile che le temperature superino il limite di 2o C, limite per cui si sono impegnati i Governi nazionali. La combustione delle fonti energetiche “fossili” è la principale causa dell'aumento di temperatura. Superare il limite porterà a estreme conseguenze: innalzamento del livello dei mari, onde di calore, scioglimento delle calotte polari, distruzione dell'agricoltura e perdita di cibo, aumento della frequenza di tempeste e siccità»;
   uno studio del novembre 2014, commissionato dalla Commissione europea per approfondire l'entità dei sussidi diretti e indiretti e i costi delle esternalità negative di tutte le fonti energetiche fossili e rinnovabili nella produzione dell'energia elettrica, ha evidenziato come i costi delle esternalità negative – danni determinati da riscaldamento globale (innalzamento temperature e aumento frequenza fenomeni meteorologici estremi) e incremento spesa sanitaria per patologie legate ad inquinamento – generati dall'utilizzo di fonti fossili per la produzione di energia elettrica vadano da oltre 90 euro/MWh per le centrali a carbone a quasi 40 euro/MWh per le centrali a cogenerazione alimentate da gas naturale (a fronte di un prezzo all'ingrosso dell'energia elettrica di 52 euro/MWh per tutte le fonti energetiche fossili e rinnovabili). Tali costi sono oggi essenzialmente a carico del bilancio pubblico, finanziati quindi dalla fiscalità generale. Si può affermare che i costi di estrazione, stoccaggio e dispacciamento sommati ai costi delle esternalità negative prodotti dall'impiego dei combustibili fossili sono tali da rendere più conveniente l'utilizzo di energia elettrica da fonti rinnovabili, nonostante il maggior costo e la minore efficienza delle tecnologie di produzione;
   la conferenza CFCC15 (Common Future under Chinate Change), organizzata dall'UNESCO il 10 luglio 2015 in preparazione della Paris COP21, ha sollecitato ancora una volta tutti gli Stati a rendersi consapevoli della gravità della sfida per contrastare i cambiamenti climatici e ad agire di conseguenza;
   le agenzie di rating, tra cui Standard & Poor's mettono in guardia contro i rischi finanziari legati ai cambiamenti climatici e affermano che la limitazione delle emissioni è conveniente anche dal punto di vista dei profitti industriali;
   la produzione di energia da fonti rinnovabili non è più residuale: con le fonti rinnovabili oggi si produce il 22 per cento dell'energia elettrica su scala mondiale e il 40 per cento in Italia, dove il fotovoltaico da solo genera energia pari a quella prodotta da due centrali nucleari. Poiché i combustibili fossili sono in via di progressivo esaurimento, il processo di transizione alle energie rinnovabili è già avanzato in tutti i Paesi del mondo: in particolare, l'Unione europea ha messo in atto una strategia (il «Pacchetto clima energia 20 20 20», l’Energy Roadmap 2050) che nel 2050 porterà gli Stati dell'Unione a produrre almeno l'80 per cento dell'energia da fonti rinnovabili;
   di recente, l’Energy outlook 2015 dell'agenzia Bloomberg ha stimato che entro il 2040 il 56 per cento delle sorgenti energetiche primarie su scala mondiale sarà composto da fonti a emissioni zero. I sussidi alle fonti energetiche rinnovabili sono uno strumento efficace per favorire lo sviluppo e l'implementazione di nuove tecnologie e, il loro elevato costo, pari a 6.7 miliardi di euro all'anno, interamente a carico delle tariffe energetiche, è giustificato, sia dalla riduzione di esternalità, sia dalla riduzione dei costi complessivi dell'energia, cui sicuramente ha contribuito anche la maggiore disponibilità di fonti energetiche rinnovabili a costo ridotto. Con il successo e la diffusione delle fonti rinnovabili il prezzo medio dell'energia è passato da circa 100 euro/MWh a 50 euro/MWh;
   i combustibili fossili richiedono ingenti investimenti per l'estrazione, la raffinazione e la distribuzione; gran parte di questi costi – per sussidi diretti e indiretti – sono a carico dei Governi nazionali. Il Fondo monetario internazionale, in un working paper del maggio 2015, ha stimato che i sussidi ai combustibili fossili per il 2015 hanno raggiunto un nuovo record: 5.300 miliardi di dollari, ovvero oltre il 6 per cento del prodotto interno lordo mondiale, una spesa maggiore della spesa mondiale per la sanità;
   la BP Statistical Review del giugno 2015 (British Petroleum, BP Statistical Review of World Energy 2015), in accordo con i dati pubblicati dal Ministero dello sviluppo economico (riserve di idrocarburi in Italia al 31 dicembre 2014) segnala che le «total proved reserves» di petrolio in Italia ammontano a 100 milioni di tonnellate, a fronte di un consumo annuale di petrolio di 56,6 milioni di tonnellate. Le riserve accertate coprono, pertanto, meno di due anni di consumi di petrolio: se queste vengono estratte dai giacimenti nell'arco di 20 anni, sono in grado di coprire meno del 9 per cento del consumo annuale. Per il gas naturale, le «total proved reserves» ammontano a circa 50 miliardi di metri cubi, insufficienti a coprire il consumo di 1 anno che è di 56,8 miliardi di metri cubi. In 20 anni, coprirebbero il 4,4 per cento del consumo annuale. È evidente che anche lo sfruttamento integrale delle esigue riserve italiane non renderebbe il Paese indipendente da altri Paesi, dai quali si dovrebbe continuare ad importare gran parte delle esigue risorse energetiche necessarie sotto forma di combustibili costosi ed inquinanti;
   il Ministero dello sviluppo economico ha reso noto che nel 2014 lo Stato italiano ha incassato 70 milioni di euro e le regioni 182 milioni di euro di royalty. La Basilicata, a fronte di introiti per 159 milioni di euro, ha esternalità negative per inquinamento dell'aria e delle falde acquifere, con effetti devastanti sull'agricoltura e diminuzione del prodotto interno lordo regionale. Nelle altre regioni 29 milioni di euro sono andati ai comuni, di cui 450.000 euro al comune di Ravenna, una cifra decisamente inferiore ai danni causati dalle esternalità, fra le quali vanno considerati la subsidenza e i rischi per l'ecosistema marino. Nella migliore delle ipotesi, supponendo cioè che dopo esplorazioni preliminari e messa in opera degli impianti l'estrazione abbia inizio fra 5 anni e continui per i successivi 20 anni fino ad esaurimento delle riserve estraibili, a partire dal 2020 lo Stato incasserebbe 70 milioni di euro di nuove royalty all'anno;
   una recente ricerca del UK Energy Research Centre rileva che investimenti nella efficienza energetica ed energie rinnovabili generano più posti di lavoro rispetto ad investimenti in sistemi energetici intensive; secondo autorevoli studiosi, che hanno ricoperto posizioni di primo piano nell'industria petrolifera, questa non è in grado di dare risposte alle necessità impellenti di occupazione, perché, per sua natura, è ad alta intensità di capitale, ma a bassa intensità di lavoro (L. Maugeri, L'era del petrolio, Feltrinelli, 2006);
   la strategia energetica nazionale è stata definita da un decreto interministeriale dell'8 marzo 2013 e ha visto, ad avviso degli interpellanti, un coinvolgimento meramente formale del Parlamento;
   la richiesta, depositata presso la Corte di cassazione il 30 settembre 2015 dai rappresentanti di dieci regioni italiane, di referendum nazionale abrogativo per alcune parti dell'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 cosiddetto «dl sviluppo», e dell'articolo 38 del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014 detto «Sblocca Italia» –:
   se non ritenga doveroso assumere iniziative per escludere dalla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza finalizzata alla valorizzazione di risorse energetiche nazionali la prospezione e il sondaggio di idrocarburi liquidi e gassosi in mare e in terra;
   se, in base a quanto esposto in premessa, non ritenga necessario adottare iniziative volte a prevedere la sospensione delle attività sia di esplorazione che di ricerca in zone ad elevato rischio sismico, vulcanico, tettonico, accertato da indagini scientifiche preventive effettuate dagli enti di ricerca Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, Consiglio nazionale delle ricerche e Agenzia per la protezione ambientale, nonché a prevedere il blocco del rilascio di autorizzazioni in zone di particolare ripopolamento ittico, così come opportunamente indicato da indagini scientifiche preventive di supporto effettuate da Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, Consiglio nazionale delle ricerche e Agenzia per la protezione ambientale, prevedendo altresì adeguate compensazioni economiche nel caso di danni arrecati agli stock ittici esistenti;
   se non ritenga opportuno adottare iniziative per prevedere il blocco del rilascio di future autorizzazioni sia di esplorazione che di ricerca in prossimità di aree di particolare interesse turistico;
   se non ritenga opportuno, in accordo con le autorità dei Paesi che si affacciano sul mare Adriatico e in applicazione della direttiva 2013/30/UE, promuovere una conferenza congiunta dell'Adriatico per la prospezione e lo sfruttamento di giacimenti petroliferi offshore, al fine di adottare criteri analoghi per tutelare le spiagge e i territori;
   se intenda attivare un tavolo di confronto con i rappresentanti dei comuni interessati, individuati da ANCI e delle regioni, in vista della partecipazione degli enti locali e territoriali alla conferenza congiunta dell'Adriatico, nonché promuovere una revisione delle procedure di ispezione e sondaggio di idrocarburi liquidi e gassosi in mare e in terra, al fine di prevedere la valorizzazione e il rafforzamento del ruolo degli enti locali e territoriali e l'integrale e tempestiva pubblicizzazione dell’iter autorizzativo;
   se, in base a quanto esposto, non ritenga necessario e urgente integrare e modificare in tempi brevi la strategia energetica nazionale, al fine di promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili, riducendo, nel contempo, la produzione di energia da fonti fossili, in accordo con la prevista conferenza congiunta dei Paesi che si affacciano sul Mare Adriatico e in coerenza con l'esito delle indagini scientifiche preventive effettuate dagli enti di ricerca Istituto nazionale di geofisica e vulcanologica, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, Consiglio nazionale delle ricerche e Agenzia per la protezione ambientale che rilevino elevato rischio sismico, vulcanico e tettonico dei siti individuati;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per rivedere completamente gli articoli 37 e 38 del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014 detto «Sblocca Italia», recependo le richieste di cui al secondo, terzo e sesto quesito dell'interpellanza.
(2-01141) «Bratti, Zanin, Giovanna Sanna, Vico, Giuseppe Guerini, Ginefra, Miotto, Culotta, Pes, Bargero, Boccuzzi, Bonaccorsi, Paola Bragantini, Cenni, Fontanelli, Giacobbe, Incerti, Lenzi, Mariano, Marroni, Massa, Mazzoli, Miccoli, Mongiello, Morassut, Portas, Rostan, Tullo, Marrocu, Bolognesi, Villecco Calipari, Ferranti».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZAPPULLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia Bloomberg, pubblicato e commentato da diversi autorevoli organi di informazione, l'attuale vertice dell'ENI starebbe valutando l'ipotesi di cedere il comparto della chimica costituito dalla Società Versalis, rivolgendosi all’advisor Barclays al fine di individuare il percorso migliore per raggiungere tale obiettivo;
   secondo gli analisti finanziari, il valore della ex Enichem, con 6.000 dipendenti e 7 stabilimenti produttivi solo in Italia e joint venture in tutto il mondo, sarebbe stato indicato in un solo miliardo di euro. Una stima che sembrerebbe più orientata dall'urgenza di una rapida realizzazione di cassa, piuttosto che ad una valutazione della strategicità per l'intero sistema industriale italiano di una società che rappresenta un colosso chimico mondiale;
   Versalis è infatti la più grande azienda italiana per assetto industriale complessivo, fatturato e volumi di produzione, con un range di prodotti che vanno dai polimeri alle gomme, ma anche resine e prodotti di altissima specialità chimica per varie industrie, da quella dell’automotive a quella del packaging alimentare a quella dei giocattoli. Una società che nel primo semestre del 2015 ha registrato un utile operativo prima degli, oneri finanziari e delle imposte rettificato di 95 milioni, il primo dato positivo dopo anni di lacrime e sangue e che comporterà una chiusura dell'anno con un attivo;
   a puro titolo esemplificativo, il solo valore del ferro, del rame e del bronzo delle tubazioni che si snodano all'interno degli impianti italiani di Versalis, (Brindisi, Marghera, Priolo, Mantova, Ferrara, Ravenna, Brindisi, Ragusa e Porto Torres), sul mercato dell'usato potrebbe comportare introiti di parecchie volte superiori alla sopraindicata cifra;
   tali rivelazioni hanno suscitato la preoccupazione dei lavoratori del gruppo, che ragionevolmente temono gli effetti occupazionali di un'operazione che non sembra ispirata da una strategia industriale e che non è escluso che possa rappresentare l'ennesimo caso di cessione a gruppi stranieri dei nostri campioni industriali;
   come è purtroppo noto, il settore della chimica italiana ha visto in passato operazioni di cessione e fusione che si sono rivelate fallimentari dal punto di vista industriale e fonte di speculazioni finanziarie e manovre corruttive;
   la eventuale paventata vendita, totale o parziale, del Comparto della chimica di Eni cancellerebbe il settore non solo dal core business dell'ENI ma dalla stessa politica industriale del Paese con Ripercussioni pesantissime per le stesse produzioni siciliane e in particolare per lo stabilimento di Priolo –:
   quali siano le notizie a disposizione dei Ministri interrogati con riferimento ai fatti sommariamente indicati in premessa;
   quali siano gli orientamenti del Governo relativamente alle prospettive industriali del nostro Paese per un settore strategico come la chimica, un comparto per il quale sarebbero necessari invece ulteriori investimenti in ricerca, in qualità dei prodotti e in sostenibilità ambientale. (5-06821)


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, SANNICANDRO, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA, KRONBICHLER e FRANCO BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'associazione di imprese Agis Europe, che rappresenta le istanze di trenta settori industriali, ha pubblicato uno studio indipendente realizzato dall'istituto di ricerca americano Economic Policy Institute dal titolo «Unilateral Grant of Market Economy Status to China Would Put Millions of EU Jobs at Risk»;
   tale studio analizza gli effetti per l'Europa del possibile riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina, designazione tecnica che permetterebbe di rimuovere una serie di ostacoli alle esportazioni e agli investimenti cinesi in Europa;
   il Governo della Repubblica popolare cinese sta esercitando da diversi anni pressioni sull'Europa, per il suo ruolo di rilievo nell'ambito della regolamentazione del commercio in sede WTO, per ottenere il riconoscimento di tale status (si veda ad esempio l'intervento del premier Wen Jiabao al World Economic Forum di Dalian; Agi China, 14 settembre 2011);
   secondo lo studio citato, presentato negli scorsi giorni ai gabinetti di sei commissari europei e del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, le importazioni cinesi potrebbero aumentare, a seguito del riconoscimento dello status, per un valore compreso tra i 70 e i 140 miliardi di euro nell'arco di un periodo 3-5 anni;
   secondo il professor Scott, uno degli estensori dello studio, «L'aumento del deficit commerciale europeo comporterebbe un calo della domanda e una perdita di prodotto interno lordo dell'Unione di 1-2 punti percentuali, sempre su tre anni» (Il Sole 24 Ore, 19 settembre 2015);
   sempre secondo le stime dello studio richiamato, il riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina metterebbe a rischio un numero di posti di lavoro tra 1,7 è 3,5 milioni, colpendo principalmente i Paesi europei caratterizzati da una alta presenza di economia manifatturiera, come la Germania, l'Italia ed il Regno Unito;
   per quanto riguarda l'Italia la proiezione dei posti di lavoro a rischio è compresa tra i 208 mila e i 416 mila;
   tra i settori più esposti si annoverano quello della componentistica nell'automobile, l'acciaio, il tessile, il calzaturiero, la ceramica, il vetro e l'alluminio;
   quello che preoccupa maggiormente le imprese europee è che il riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina possa penalizzare pesantemente molte imprese del continente anche a causa della duratura e perdurante concorrenza sleale, operata da molte aziende cinesi ai danni dei competitor economici di altri Paesi;
   nella stessa direzione si è espressa, di recente, la presidente di Assocalzaturifici Annarita Pilotti che ha sollevato la preoccupazione per il «possibile riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina» e per la «debole attenzione su questo tema dimostrata finora dalle Istituzioni italiane ed europee» (AdnKronos 27 ottobre 2015) –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire maggiori informazioni sulla questione illustrata in premessa;
   se non intenda illustrare la posizione del Governo italiano, riferendo sui tempi e sulle modalità con le quali tale posizione verrà portata nelle deputate sedi comunitarie;
   considerato il pregiudizio che deriverebbe alle imprese italiane dall'ipotesi di riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato, in particolare modo per quelle del settore manifatturiero e del made in Italy, quali iniziative intenda promuovere presso le competenti sedi europee per tutelare il settore produttivo italiano. (5-06829)


   AIRAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane la società Dr.Fiscer Italy s.r.l. di Alpignano (TO), ex Philips, ha dichiarato alla rappresentanza sindacale, la volontà di voler procedere al licenziamento di tutti i 62 dipendenti, avviando a tal fine la procedura di mobilità;
   si tratta di un'azienda storica che opera sul territorio torinese da oltre vent'anni prima con il marchio Philips e successivamente con quello Fisher Italy;
   la responsabilità della chiusura della storica azienda è da attribuire alla Philips, società che fino al 2008 risultava proprietaria dello stabilimento e che fino a qualche anno fa comprava oltre il 50 per cento dell'intera produzione sul territorio, e che oggi acquista direttamente dalla Cina;
   il vertiginoso calo di vendite registrato dal luglio del 2009 al 2014, passato dai 60 milioni di lampade a poco più di 30.000, faceva già presagire una crisi successivamente aggravatasi dal mancato rinnovo da parte delle Philips, che comunque restava uno dei principali clienti, di una commessa da 12 milioni di pezzi e che ha fatto ulteriormente diminuire la produzione;
   nonostante questi trascorsi si tratta di uno stabilimento che, con esegui investimenti in macchinari e tecnologia, può sperare in un futuro sviluppo in una nicchia di mercato come quella della produzione di lampade per elettrodomestici;
   i lavoratori e le lavoratrici stanno resistendo contro ogni ipotesi di chiusura occupando lo stabilimento e chiedendo alla proprietà di aprire una trattativa che eviti la chiusura e dia loro garanzie e prospettive occupazionali;
   i suddetti lavoratori sono affiancati nelle loro rivendicazioni anche dalle istituzioni locali. L'11 ottobre 20105, infatti, davanti allo stabilimento di Alpignano (TO) a titolo di solidarietà e al fine di scongiurare lo smantellamento dell'azienda si è svolta una seduta del consiglio comunale;
   nei giorni di martedì 20 e giovedì 22 ottobre 2015 si è tenuto l'esame congiunto previsto dal decreto legislativo n. 223 1991 sulla procedura di licenziamento collettivo per chiusura aziendale della Dr.Fiscer Italy s.r.l, sede in cui le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie dello stabilimento hanno richiesto alla proprietà di ritirare la procedura di licenziamento collettivo e di attivare un contratto di solidarietà difensivo, considerato anche il fatto che durante l'incontro lo stesso amministratore delegato e socio unico Dietman Kegler ha dichiarato che, nonostante il mercato delle lampade a incandescenza sia in difficoltà, esiste un business per lo stabilimento di Alpignano della durata minima di almeno 5 o 6 anni;
   la proprietà della società ha respinto le suddette dichiarazioni dell'amministratore delegato, dichiarando che la stessa non è più interessata alla produzione di lampade a incandescenza;
   nella stessa sede la proposta avanzata dalla direzione è stata quella di un contributo di carattere economico di esigua entità finalizzato ad attenuare l'impatto sociale della perdita del lavoro per 61 famiglie;
   in tale scenario le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie si sono già attivate per la convocazione del tavolo istituzionale a, livello regionale, supportate in questo anche da quanto dichiarato nel suddetto consiglio comunale dell'11 ottobre 2015 dall'Assessore al lavoro della regione Piemonte, Giovanna Pentenero, che in quella sede ha espresso tutta la solidarietà della regione alle lavoratrici e ai lavoratori, rassicurandoli che l'azienda non avrebbe chiuso;
   la situazione finanziaria della Dr.Fiscer Italy s.r.l. di Alpignano parla di un bilancio in attivo, anche se di poco, anche a causa del fatto che l'anno scorso fu firmata l'intesa per un piano di investimenti a cui l'azienda non ha poi tenuto fede: sarebbero bastati anche solo 50 mila euro per modificare una macchina e adeguare così la produzione al mercato;
   la possibilità di continuare a produrre per il territorio è reale, pertanto per scongiurare la chiusura dello stabilimento sarebbe necessario ricorrere agli ammortizzatori sociali –:
   quali iniziative concrete e urgenti il Governo intenda intraprendere per sollecitare uno sblocco positivo della situazione Dr.Fiscer Italy s.r.l. di Alpignano e se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano di convocare le parti sociali al fine di salvaguardare i livelli occupazionali. (5-06832)


   VICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la bozza del decreto sui meccanismi di incentivazione per le rinnovabili elettriche (escluso il fotovoltaico) inviata dal Ministero dello sviluppo economico alle regioni e alle province autonome per l'espressione del parere di competenza, in Conferenza unificata, rischia di introdurre notevoli limitazioni alla possibilità di miglioramento e di ottimizzazione delle concessioni idroelettriche esistenti, a vantaggio degli impianti costruiti ex novo;
   questa condizione può portare criticità nelle azioni di mitigazione dei rischi idrogeologici ed ambientali che sono strettamente connesse alla concessioni di derivazione e di utilizzo delle acque;
   il mantenimento del valore del tetto massimo di energia incentivabile, già previsto dal precedente meccanismo incentivante (pari a 5,8 miliardi di euro), e la recente impennata del contatore gestito dal GSE (Gestore dei servizi energetici), che ha raggiunto i 5,713 miliardi di euro, rischiano, infatti, di vanificare la stessa efficacia del decreto e l'obiettivo di disciplinare la transizione verso un nuovo modello di sostegno compatibile con la disciplina europea degli aiuti di Stato;
   è condivisibile l'indirizzo politico adottato, di non gravare ulteriormente i costi dell'energia elettrica, limitando gli oneri accessori che sono utilizzati per lo sviluppo delle rinnovabili; le limitate risorse disponibili impongono scelte precise e trasparenti nei criteri di priorità di assegnazione delle risorse, privilegiando gli impianti che presentano impatti ambientali ridottissimi e che al contempo consentono di migliorare la gestione delle acque e il controllo del rischio idrogeologico;
   la categoria di impianti idroelettrici già identificata nel decreto in parola, che riguarda gli interventi di sfruttamento della acque sulle derivazioni e sui canali già esistenti, senza variazione di portata derivata e per il recupero energetico del deflusso minimo vitale;
   come confermato dalle associazioni di categoria e dagli esperti del settore, le modalità di calcolo sul totale degli incentivi per controllare il limite massimo di 5,8 miliardi di euro eseguite dal Gestore dei servizi energetici (GSE) non risultano essere trasparenti alla lettura da parte degli operatori di settore; inoltre, il metodo di calcolo dovrebbe essere ulteriormente modificato a valle dell'approvazione del decreto in parola. In particolare, si evidenziano le seguenti criticità: non risulta disponibile con dettaglio analitico l'entità degli incentivi effettivamente in corso di erogazione;
   non è nota l'entità degli incentivi temporaneamente assegnati agli impianti idonei e in posizione utile nelle graduatorie di aste e registri del decreto ministeriale 6 luglio 2012, ma non ancora erogati; non è stata resa disponibile l'incidenza degli incentivi assegnati mediante il meccanismo del cosiddetto accesso diretto, assegnabili ad esempio agli impianti idroelettrici di taglia inferiore ai 250 kW per il miglioramento delle concessioni esistenti senza variazione della portata derivata già disponibile;
   la trasparenza delle informazioni, in un contesto di limitate risorse, è infatti un requisito essenziale a garantire una corretta politica governativa; in alternativa, qualsiasi intervento del legislatore, può essere fonte di facili critiche e strumentazioni;
   in un settore così delicato e strategico per il nostro Paese, questo rischio deve essere preventivamente evitato;
   lo sfruttamento idroelettrico risulta essere la tecnologia che presenta una integrazione con l'ambiente particolarmente sensibile e spesso con notevoli ricadute positive sul controllo delle acque: si pensi all'importanza della manutenzione dei canali, delle sponde fluviali e alle opere di sbarramento, con evidenti miglioramenti nella gestione nel controllo del rischio idrogeologico eseguito direttamente da parte dei concessionari. L'energia idroelettrica è inoltre l'unica fonte a contribuire con elevate risorse alle difficoltà economiche locali, delle regioni e dei bacini imbriferi montani, tramite il pagamento di onerosi canoni annuali di concessione (le altre fonti rinnovabili sono infatti escluse da questa forma di tassazione);
   il meccanismo di assegnazione dell'incentivo agli impianti previsto nella bozza di decreto può avvenire tramite accesso diretto (piccoli impianti su concessioni esistenti di taglia inferiore ai 250 kW) oppure previa iscrizione ai registri secondo una procedura gestita dal Gestore dei servizi energetici;
   la nuova bozza di decreto prevede inoltre che gli impianti subordinati ad accesso diretto possano optare di accedere agli incentivi attraverso l'iscrizione a registro (comma 8 dell'articolo 4). Previsione evidentemente motivata dalla considerazione secondo cui il meccanismo di accesso diretto agli incentivi crea incertezza sulle tempistiche di raggiungimento del tetto massimo (potrebbe ad esempio verificarsi che un concessionario inizi a costruire un impianto per il recupero energetico del deflusso minimo vitale, ma che al momento della messa in servizio si sia raggiunta la quota limite dei 5,8 miliardi di euro, rendendo impossibile l'assegnazione degli incentivi);
   le soglie limite indicate nel decreto dimostrerebbero che la quantità di megawatt assegnabili dai prossimi registri potrebbero soddisfare circa il 30 per cento delle domande di impianti idroelettrici, già in possesso di autorizzazione, e che sono stati esclusi per insufficienza di risorse già nell'ultimo registro emanato nell'anno 2014, per cui non si riuscirebbero a sanare nemmeno tutte le istanze idonee, ma non ammesse ai registri precedenti;
   se il decreto fosse approvato nella forma nella quale è stato diffuso, l'assegnazione degli incentivi alle centrali idroelettriche avverrebbe solo in base all'anteriorità dell'iscrizione al registro del 2014, pertanto qualsiasi iniziativa ulteriore sarebbe di fatto esclusa;
   agli attuali costi dell'energia collocabile sul mercato, qualsiasi impianto idroelettrico di piccola taglia non sarebbe economicamente competitivo in assenza di un meccanismo premiante, cosa che comporterebbe nel tempo l'abbandono delle vecchie piccole concessioni, con conseguenze ambientali disastrose per l'intera comunità e per il controllo del rischio idrogeologico. Per cui sarebbe necessario aumentare le risorse disponibili per soddisfare un numero di domande coerente con le attuali autorizzazioni e concessioni già in essere, oppure assegnare le limitate risorse non secondo un criterio cronologico, ma in base alle ricadute sul miglioramento ambientale dell'esistente –:
   quali iniziative urgenti intenda mettere in atto per rivedere il testo dell'emanando decreto ministeriale per l'incentivazione delle fonti rinnovabili elettriche non fotovoltaiche, onde evitare le criticità che si verrebbero a creare nel settore idroelettrico, in ordine al ridimensionamento del drastico taglio degli incentivi con l'obiettivo di evitare il sostanziale arresto di iniziative nel settore idroelettrico, eventualmente recuperando risorse riducendo i contributi previsti per iniziative che sembrano non coerenti con lo sviluppo delle rinnovabili, con particolare riferimento ai rilevanti incentivi previsti per la riconversione degli ex zuccherifici che sembrano orientati a garantire la continuità occupazionale e i costi di bonifica dei siti industriali, obiettivi certo condivisibili, ma non coerenti con lo spirito del decreto in parola e per i quali il Governo dovrebbe recuperare risorse con altri strumenti;
   se intenda, a parità di risorse disponibili, introdurre come primo criterio di priorità per l'assegnazione delle risorse quello relativo alla realizzazione di interventi di miglioramento delle concessioni esistenti, senza aumento della portata derivata e per il recupero energetico dei deflussi minimi vitali e definire, come secondo criterio di priorità per l'assegnazione degli incentivi, l'esclusione dai registri aperti ai sensi del decreto ministeriale 6 luglio 2012 e quindi in base alla anteriorità della data di iscrizione a tali registri;
   quali iniziative intenda assumere nei confronti del Gestore dei servizi energetici affinché siano rese disponibili al più presto le modalità di computo delle risorse assegnate ed assegnabili per controllare il raggiungimento del limite dei 5,8 miliardi di euro e garantire la trasparenza e la verificabilità, da parte di soggetti terzi, del processo di incentivazione. (5-06833)


   LACQUANITI, REALACCI, ALBANELLA, CHAOUKI, DALLAI, NARDUOLO, VILLECCO CALIPARI, MARCO DI MAIO, PIAZZONI, IACONO e TIDEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 23 gennaio 2015, il tribunale di Brescia ha condannato per maltrattamenti e uccisione di animali il responsabile, il direttore e il veterinario dell'allevamento di cani beagle per la sperimentazione «Green Hill» di Montichiari (Brescia), disponendo anche una serie di sanzioni accessorie;
   i reati nei confronti della società «Green Hill 2001 srl» sono stati denunciati nel giugno 2012;
   nel corso del dibattimento, la difesa della società «Green Hill 2001 srl» ha prodotto il certificato emesso dall'organismo di certificazione – UNI Ente italiano di normazione – «Italcert srl» di Milano n.458SGQ00 emesso il 12 aprile 2010 e valido fino all'11 aprile 2013 con la quale attestava la conformità al sistema di gestione per la qualità UNI EN ISO 9001:2008 «per i processi di produzione, allevamento e vendita di cani razza beagle (colonia Marshall Farms) a scopo scientifico e tecnologico» firmato dal professore dottore Carlo Tribuno;
   sul sito della società www.italcert.it si legge che «la Società è contraddistinta da serietà e competenza, grazie anche alla forte valenza tecnica dei principali Soci universitari che sono il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino e l'Università degli Studi di Salerno, uniti alla imprenditorialità dei soci privati Nortec S.r.l., Associazione Esperti di Sicurezza AES e Laboratori Protex S.A.»;
   in considerazione delle rilevanti funzioni di certificazione svolte da Italcert Srl, con autorizzazione delle competenti autorità italiane, si chiede come sia possibile per la «Italcert srl» certificare la conformità di un'azienda che, in ambito penale, è stata ritenuta colpevole di violazioni tali che non possono essere certo annoverate nel capitolo «qualità» –:
   quali iniziative si intendano intraprendere nei confronti di Italcert Srl, società operante con autorizzazione delle competenti autorità italiane;
   quali azioni si intendano intraprendere per evitare che possa ripetersi un caso del genere, al fine di non minare l'autorevolezza degli organismi di certificazione e dei sistemi di gestione per la qualità, vista anche la preannunciata uscita dell'edizione 2015 di ISO 9001. (5-06838)


   FERRARA e RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi si è appresa da notizie di stampa l'intenzione di ENI di procedere alla vendita della propria società Versalis, impegnata nelle produzioni dell'industria chimica realizzate attraverso importanti stabilimenti in Italia;
   questa notizia ha creato grande preoccupazione presso le lavoratrici e i lavoratori del settore e le loro organizzazioni sindacali;
   il destino di Versalis chiama in causa i destini dell'intera industria chimica italiana, in considerazione del «peso» di Versalis nelle produzioni di chimica di base e commodity che alimentano ulteriori filiere industriali e cicli produttivi: la chimica, infatti, per la sua capacità di fornire beni intermedi a tutti gli altri settori produttivi rappresenta uno dei comparti essenziali per la tenuta di un sistema industriale nel suo complesso;
   nel documento «Versalis Seminar» del 18 aprile 2013, venivano illustrate le linee strategiche di Versalis per il triennio 2013-2016, configurando un vero e proprio piano industriale;
   gli obiettivi di detto piano, inerente I settore chimico, erano ambiziosi e prevedevano importanti investimenti sugli stabilimenti italiani di Porto Torres, Priolo e Porto Marghera. Il piano prevede riconversione dei siti, investimenti sugli impianti per sviluppare nuovi prodotti, interventi per sviluppare il settore della chimica verde; presentando il nuovo piano strategico 2015-2018 di ENI, l'amministratore delegato di Versalis ha confermato il piano quadriennale di investimenti per 1,2 miliardi di euro a livello di gruppo, il 60 per cento dedicati a nuove iniziative di espansione e potenziamento della piattaforma produttiva. Nello specifico sono stati presentati interessanti investimenti per gli stabilimenti di Mantova, Ferrara, Priolo e Porto Marghera. Tutti questi obiettivi hanno trovato conferma nei documenti del Bilancio 2014 di Eni, approvati dall'Assemblea Soci del 2015;
   aldilà dei progetti di riconversione e chimica verde, anche il settore della chimica di base ha continuato a rappresentare un settore importante per la società chimica del gruppo ENI;
   quel che rimane della petrolchimica nel nostro Paese necessita di un'immediata inversione di tendenza per non aggravare ulteriormente l'apparato industriale del Paese e contemporaneamente abbisogna di una riflessione sulla possibilità di una ricollocazione delle produzioni per restituire senso, economico e sociale, al settore;
   i risultati del settore chimico, per Eni, sono in fase di miglioramento: il Ceo di Eni presentando i risultati di Versalis agli analisti finanziari, ha riconosciuto che nei primi sei mesi dell'anno, l'utile operativo adjusted della chimica ENI ha toccato 226 milioni di euro, con un miglioramento di 795 milioni rispetto alla perdita di 569 milioni registrata nel primo semestre 2014, con un utile netto realizzato nello stesso periodo di 175 milioni, ovvero 618 milioni in più rispetto al corrispondente periodo del 2014. Le attività nella chimica raggiungeranno il breakeven dell'Ebit già nell'esercizio 2015, con un anno di anticipo rispetto ai piani di Eni;
   si tenga inoltre presente che molti siti che ospitano gli stabilimenti di Versalis sono classificati come siti di interesse nazionale da bonificare;
   una eventuale cessione di Versalis da parte di Eni potrebbe far venire meno il ruolo del Governo in questo delicato settore con rischi per:
    a) la tenuta degli attuali assetti industriali e occupazionali;
    b) la concreta realizzazione degli investimenti programmati da Eni nel settore chimico con evidenti e negative conseguenze per l'occupazione;
    c) la possibilità di discutere anche di ulteriori impegni di Eni, a partire dal mantenimento, rafforzamento e ammodernamento degli impianti dedicati alla chimica di base;
    d) i progetti di bonifica dei siti inquinati e loro riutilizzo per interventi di nuova industrializzazione –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per conoscere le reali volontà del gruppo in merito ad una eventuale cessione della società Versalis;
   se il Governo non ritenga di dover intervenire per evitare l'ennesimo disimpegno di Eni dal settore dell'industria chimica;
   se il Governo non intenda intervenire, e con quali strumenti, per garantire che gli obiettivi occupazionali, industriali e ambientali esposti in premessa, vengano raggiunti nei tempi stabiliti;
   se il Governo non intenda intervenire e con quali strumenti, al fine di garantire la concreta attuazione degli investimenti industriali e ambientali già programmati da Eni-Versalis a prescindere dai futuri assetti societari. (5-06842)


   COLLETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con atto di sindacato ispettivo n. 4-01809 del 10 luglio 1996 venivano denunciati dal deputato Antonio Saia all'allora competente Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato i seguenti fatti;
   con deliberazione della giunta regionale del Molise n. 2095 del 16 giugno 1988, è stato concesso, nonostante pareri negativi, alla ditta Gim 86 Coop s.r.l. corrente in Termoli (CB), il nulla-osta regionale di cui alla legge n. 426 del 1971 per l'apertura nel comune di Termoli di un esercizio commerciale;
   il provvedimento, che peraltro non specificava la superficie di vendita, si riferiva alla vendita al dettaglio di generi di cui alla Tabella merceologica VIII;
   nel dicembre 1989, nonostante non fosse stata rilasciata alcuna autorizzazione né l'esercizio commerciale fosse stato attivato, la Gim 86 avrebbe venduto la propria azienda a «La Fontana s.r.l.»;
   in data 9 luglio 1990 il comune di Termoli rilasciava l'autorizzazione commerciale n. 54 per la tabella merceologica VIII e per la superficie di 5.500 metri quadri a «La Fontana s.r.l.», persona giuridica diversa dal richiedente il nulla osta regionale;
   in data 8 febbraio 1991, lo stesso comune di Termoli consentiva (ad avviso dell'interrogante con modalità di dubbia legittimità) a «La Fontana» la ripartizione dell'autorizzazione n. 54 in molteplici autorizzazioni: veniva ridotta la superficie e, per i restanti 860 metri quadri, si rilasciavano otto autorizzazioni di vendita al dettaglio per tabelle merceologiche diverse dall'originale, totalizzando in ogni caso la stessa superficie di vendita dell'autorizzazione originale;
   in data 2 agosto 1991, la giunta regionale del Molise, al fine di sanare l'irregolare ripartizione della autorizzazione n. 54 operata dal comune di Termoli, riconosceva con delibera n. 4254 all'esercizio commerciale «La Fontana» la qualifica di centro commerciale al dettaglio (le nuove autorizzazioni insistono su una superficie di 860 metri quadri, inferiore dunque ai 5.500 soggetti a rilascio del nulla osta regionale), ritenendo il nulla osta rilasciato a suo tempo alla Gim 86 riferito al centro commerciale «La Fontana»;
   detto riconoscimento consentiva a «La Fontana s.r.l.» di accedere a fondi pubblici, regionali, statali ed europei;
   nell'aprile 1993, in esubero rispetto alla superficie di vendita concessa, «La Fontana s.r.l.» consentiva l'apertura di un nuovo negozio: «Albos» della Dari s.n.c. di Di Giorgio Isolina & C. per la vendita al dettaglio di prodotti di abbigliamento;
   la ditta Raimondi, titolare sin dall'apertura del centro commerciale di un negozio di abbigliamento (denominato «Giulietta e Romeo»), sentendosi danneggiata dalla concorrenza – peraltro non prevedibile al sorgere del proprio rapporto contrattuale con «La Fontana» – con raccomandata del 5 luglio 1993 chiedeva al comune di Termoli se fossero state emesse nuove autorizzazioni o ampliamenti di superfici relativi alla tabella merceologica VIII;
   i primi di agosto il capo settore Finanze e Sviluppo Economico, dottor Mastrobernardino, rispondeva negativamente, precisando che il comune di Termoli non aveva rilasciato nessuna autorizzazione per l'apertura della «Dari», disponendo conseguentemente con ordinanza n. 159 la chiusura immediata del nuovo esercizio (Albos);
   l'11 agosto 1993 uno dei titolari dell'esercizio abusivo, signor Di Giorgio Daniele da Guglionesi, minacciava il Raimondi di agire contro la legge se non avesse smesso di richiedere chiarimenti al comune di Termini sulla vicenda in oggetto. Per queste minacce, il Raimondi presentava atto di querela presso il commissariato P.S. di Termoli;
   l'ordinanza n. 159 veniva, peraltro, tardivamente notificata a «La Fontana s.r.l,», ossia soltanto in data 17 agosto 1993. Ciò consentiva nelle more a «La Fontana s.r.l.» di attivarsi comunicando il 6 agosto 1993 (vale a dire 11 giorni prima di venire ufficialmente a conoscenza dell'ordinanza di chiusura) una nuova disposizione di vendita, presentando il successivo 18 agosto delle piantine planimetriche dalle quali emergeva che, a dispetto delle clausole dei contratti tra «La Fontana s.r.l.» e gli operatori, non tutta la superficie dei locali loro affidati in gestione veniva considerata superficie di vendita, con la conseguenza che una parte di essa risultava non impiegata;
   alla luce di ciò, in data 19 agosto 1993, il comune di Termoli emetteva un provvedimento (ordinanza n. 171) con cui disponeva a favore del negozio «Albos» la revoca dell'ordinanza di chiusura immediata (peraltro mai eseguita). In questa seconda occasione, diversamente dalla prima, la notifica del provvedimento avveniva in tempo reale;
   a seguito delle segnalazioni del Raimondi, che peraltro a suo dire sarebbe stato sottoposto a minacce e pressioni di ogni tipo, le autorità di pubblica sicurezza acquisivano carteggi privati e amministrativi relativi al centro commerciale, rimettendo il tutto alla procura della Repubblica di Larino che apriva il fascicolo recante il numero 2223/1993 R.g.n.r;
   in data 5 luglio del 1994, a distanza di un anno dalla raccomandata del 5 luglio 1993 con cui il Raimondi chiedeva al comune di Termoli chiarimenti, si recavano presso l'esercizio commerciale del Raimondi due vigili urbani che si allontanavano dopo aver rivolto al Raimondi Romeo (figlio di Angelo) alcune domande;
   a distanza di poche settimane, il 22 luglio 1994, veniva al Raimondi Angelo notificato verbale di contravvenzione n. 85 ai sensi degli articoli 9 e 39 della legge 426 del 1971 poiché nel corso di un controllo verificavano la sua assenza dal negozio di abbigliamento. Multavano il Raimondi, nonostante al momento del controllo fosse presente suo figlio, Romeo Raimondi, che nell'occasione si qualificava come parte dell'impresa familiare;
   in data 5 agosto 1994, con ordinanza n. 148 veniva notificata al Raimondi ordinanza di sospensione dell'attività commerciale per due giorni «visto il verbale n. 85 del 5 luglio 1994» con effetto immediato; sospensione, questa volta, prontamente eseguita;
   il Raimondi, ritenendo ingiustificati i provvedimenti che lo avevano attinto, presentava contro gli stessi al comune di Termoli ricorso che, a tutt'oggi, è rimasto privo risposta. Denunciava, altresì, i descritti fatti al quotidiano «Il Tempo» del Molise che provvedeva, allo loro pubblicazione in data 13 agosto 1994;
   nel 1994, la depenalizzazione con decreto legislativo 13 luglio 1994, n. 480, dell'articolo 665 del codice penale, travolgeva anche il procedimento relativo al negozio «Albos»; tuttavia, non si ha notizia dell'applicazione delle sanzioni sostitutive previste a carico dei responsabili;
   nel mese di ottobre 1995, nel silenzio di risposte dalle sedi legittimamente adite, il Raimondi chiedeva ed otteneva un primo colloquio con il comandante della guardia di finanza di Termoli per ottenere la chiusura del suo esercizio commerciale in quanto illegale. Successivamente ne otteneva anche un secondo con nel corso del quale il medesimo ufficiale riferiva che trovava ostacoli ad agire (dei richiamati colloqui il Raimondi narra nel corso dell'interrogatorio reso in data 5 dicembre 1998 presso la stazione dei carabinieri di Palmoli e disposto dopo l'interrogazione parlamentare n. 4-20836 presentata dall'onorevole Antonio Saia);
   il 29 novembre 1995, il signor Raimondi inoltrava al Presidente della Repubblica, al Presidente della Camera dei deputati, al Presidente della Commissione Antimafia presso la Camera dei deputati, al Ministro di grazia e giustizia, al Ministro dell'interno; al Ministro dell'economia e delle Finanze, al Comandante del comando regione carabinieri di Chieti, al Comandante del comando regione guardia di finanza di Bari, al Comandante del comando generale della Guardia di finanza, un invito ad accertare la verità dei fatti;
   in data 27 ottobre 1997 il deputato Saia Antonio, non avendo ancora ottenuto alcuna risposta al precedente atto di sindacato ispettivo n. 4-01809 del 10 luglio 1996 in apertura richiamato – e con cui chiedeva «se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa; in caso affermativo, se non ritenga che gli organi comunali abbiano ripetutamente violato al riguardo precise disposizioni di legge; in tal caso, quali conseguenti iniziative intenda assumere in proposito» – presentava una seconda interrogazione a risposta scritta n. 4-13378, in cui chiedeva nuovamente all'allora competente Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato di fare piena luce sulla medesima vicenda già oggetto di una precedente interrogazione. Nell'occasione, il deputato deduceva come a lui risultasse che il Governo pro tempore avesse avviato delle indagini nel merito delle questioni denunciate e, tuttavia, che delle stesse non si conoscessero le risultanze. Ragione questa «per cui risulta legittimo dubitare che possano essere emerse significative irregolarità» (...) e «soprusi a danno di altri cittadini». Per queste ragioni, l'interrogante chiedeva che fosse reso noto l'esito delle indagini nonché gli eventuali provvedimenti che il Ministero intendesse adottare nel merito;
   in data 18 novembre 1998, il deputato Saia si interessava ancora una volta della situazione del cittadino Raimondi, presentando l'interrogazione n. 4-20836 ai Ministri di grazia e giustizia e dell'interno con cui – dopo aver ricordato che con precedente atto di sindacato ispettivo del luglio 1996 (n. 4-01809) era stata dettagliatamente descritta la vicenda di Romeo Raimondi – chiedeva ai Ministri interrogati quali risposte si intendessero dare al cittadino Romeo Raimondi in merito alle questioni rappresentate nella denuncia inoltrata in data 18 marzo 1995 e inviata per conoscenza al Ministro di grazia e giustizia, in relazione alla quale non avendo avuto risposta dalla magistratura, ha rivolto anche un esposto al Consiglio superiore della magistratura in data 14 maggio 1998. L'interrogante chiedeva, altresì, «se, qualora siano accertate ripetute violazioni di legge da parte degli organi comunali nel caso della vicenda ricordata, il Ministro dell'interno non intenda assumere le conseguenti iniziative di sua competenza»;
   il Raimondi Romeo veniva sentito in data 15 dicembre 1998 dai carabinieri della stazione di Palmoli (NR. 6055/5-1d prot. Rif.f n. 036171/51-1 D prot. 12/12/98). Nell'occasione ricostruiva l'intera vicenda, lagnandosi del fatto che le numerose richieste formulate nelle opportune sedi per l'ottenimento della copia del fascicolo processuale, nelle more archiviato per intervenuta depenalizzazione, dell'articolo 665 codice penale, erano rimaste senza risposta;
   in data 18 luglio 2002, sulla medesima vicenda, veniva presentata al Ministro delle attività produttive pro tempore dal deputato Maura Cossutta un'interrogazione a risposta scritta n. 4-03554 con cui, richiamando i precedenti atti di sindacato ispettivo presentati dal deputato Saia e specificando che entrambi erano a distanza di molti anni rimasti privi di risposta governativa, insisteva sull'urgenza di una risposta del Governo ai quesiti posti nelle interrogazioni menzionate, nelle quali si paventano possibili irregolarità e soprusi a danno di altri cittadini;
   nel 2007, in assenza di qualsivoglia riscontro da parte delle sedi adite, i signori Raimondi, si rivolgevano persino alla procura nazionale antimafia non ottenendo, anche in questo caso, alcuna risposta;
   in data 9 settembre 2014, Raimondi Angelo, sentito presso la stazione dei carabinieri di Palmoli in qualità di persona informata dei fatti circa la querela precedentemente sporta da suo padre (Raimondi Angelo) contro l'avvocato Artese Nicola, suo legale di fiducia, rappresentava ulteriori circostanze circa comportamenti di dubbia correttezza dei propri difensori che nel corso del tempo lo avevano assistito nella causa civile sorta fra lo stesso Raimondi e La Fontana, del giudice titolare del procedimento, nonché avvocato di controparte;
   a tutt'oggi i signori Raimondi, nonostante le querele sporte a carico dei soggetti in precedenza individuati, non risultano all'interrogante essere stati denunciati da alcuno per calunnia;
   da oltre 25 anni la famiglia Raimondi attende, nonostante i ripetuti solleciti avanzati per le vie legali e istituzionali, riscontro circa la definizione della descritta vicenda –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati in relazione ai gravi fatti esposti in premessa;
   se i Ministri interrogati intendano, per quanto di competenza, assumere iniziative al riguardo per far luce su tutta la vicenda;
   se risulti agli atti quali esiti abbiano avuto le verifiche avviate dalle strutture amministrative dell'epoca, in particolare la prefettura di Campobasso e l'allora Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, verifiche alle quali si fa riferimento anche nell'interrogazione n. 4-13378 del 27 ottobre 1997;
   se risulti agli atti in che cosa consistessero gli «ostacoli ad agire» riferiti dal comandante della guardia di finanza di Termoli nel colloquio avvenuto con il signor Raimondi nel 1995;
   se non si ritenga di valutare la sussistenza dei presupposti per avviare iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari sopra individuati. (5-06845)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli ultimi dati Unioncamere-Infocamere diffusi dall'ufficio studi di Confartigianato evidenziano un andamento negativo dello 0,8 dell'artigianato ligure che nel terzo trimestre del 2015 registra 365 micro e piccole imprese in meno rispetto allo stesso periodo del 2014;
   secondo tali dati il Trentino Alto Adige è l'unica regione a mostrare un andamento positivo (+0,1 per cento), mentre le aree che registrano valori inferiori al punto percentuale sono il Friuli Venezia Giulia (-0,5 per cento), la Lombardia (-0,7 per cento); la Valle d'Aosta, insieme appunto alla Liguria (-0,8 per cento) e la Toscana (-0,9 per cento). Fanno di peggio Basilicata (-2,9 per cento), Abruzzo (- 2,5 per cento) e Sardegna (-2,4 per cento), a fronte di un andamento medio nazionale del –1,4 per cento, pari a circa 19 mila microimprese in meno;
   per quanto concerne la sola regione Liguria, la provincia che risente maggiormente della crisi nel settore dell'artigianato è La Spezia con un saldo negativo di –1,5 per cento tra terzo trimestre 2015 e stesso periodo del 2014 (82 imprese in meno sulle 5.428 totali), seguita da Savona con –1,2 per cento (110 microimprese in meno su un totale di 9.340), Imperia con –1 per cento (73 imprese in meno su un totale di 7.176 realtà), Genova con –0,4 per cento (100 imprese meno su un totale di 23.241 realtà presenti in provincia); 
   il settore manifatturiero e le costruzioni in Liguria hanno registrato un andamento particolarmente negativo: in un anno il primo settore (7.454 microimprese attive) è calato dell'1,7 per cento, mentre il comparto costruzioni (21.707 realtà) dell'1,2 per cento;
   se si considerano le singole province, il peggior calo manifatturiero si registra a Genova che, con 3.898 imprese attive, ha subito un –2,2 per cento rispetto al terzo trimestre 2014, a La Spezia si registra –1,9 per cento con 1.040 realtà attive, a Imperia –1,1 per cento, con 1.053 microimprese del settore, a Savona –0,7 per cento, con 1.463 imprese artigiane manifatturiere;
   per quanto concerne il settore delle costruzioni, un vero crollo si è registrato a La Spezia con –4,4 per cento e 2.291 microimprese, mentre Savona registra –1,8 per cento con 4.756 microimprese e Imperia –1,3 per cento con 3.716 realtà del comparto. Leggero calo invece c’è stato a Genova, dove il settore regge con un –0,2 per cento e conta 10.944 microimprese artigiane –:
   quali iniziative intenda adottare per rimettere in moto l'economia interna, in particolare della regione Liguria, partendo da misure agevolative a favore delle microimprese che rappresentano uno dei principali fattori di sviluppo locale e che sono già fortemente colpite dalla crisi economica in atto. (4-10910)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Quintarelli e altri n. 1-01031, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Palese.

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Polverini e Russo n. 7-00813, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catanoso.

  La risoluzione in Commissione Benamati e altri n. 7-00819, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Impegno.

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Bratti e altri n. 2-01113, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Salvatore Piccolo, Manfredi, Palma, Sgambato, Capozzolo.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cimbro e Giancarlo Giordano n. 5-05982, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pannarale.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Mongiello e altri n. 5-06797, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dalle deputate: Antezza e Valeria Valente.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Polverini n. 7-00813, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 503 del 15 ottobre 2015.

   Le Commissioni XI e XIII,
   premesso che:
    l'agricoltura è un argomento troppo importante per l'economia del Mezzogiorno per non essere affrontato in ogni suo aspetto a partire da alcune questioni che si possono definire strutturali e che ne minano alla radice le potenzialità;
    recenti drammatici episodi di cronaca hanno riportato l'attenzione dell'opinione pubblica sul fenomeno del caporalato, in particolare nell'agricoltura e nel Mezzogiorno;
    il caporalato in agricoltura è un fenomeno da combattere come la mafia e per batterlo occorre la massima mobilitazione di tutti: istituzioni, forze dell'ordine, imprese, associazioni e organizzazioni sindacali; non ci si può rassegnare allo sfruttamento dei braccianti, alla morte per fatica di numerosi lavoratrici e, lavoratori, come è purtroppo avvenuto questa estate, tantomeno ci si può arrendere al triste retaggio del caporalato; alcune iniziative prese dalle Organizzazioni sindacali, in particolare, si segnala quella dell'Unione generale del lavoro nelle province di Foggia e di Barletta, Andria, Trani, hanno ulteriormente evidenziato la pervasività di un fenomeno sicuramente complesso e che sfugge ad ogni forma di controllo e repressione per una serie di motivi, il primo dei quali è la carenza di uomini, mezzi e risorse finanziarie in capo agli ispettorati del lavoro, ma probabilmente anche la mancanza di un indirizzo preciso da parte della dirigenza degli enti preposti, primo fra tutti l'INPS, ad effettuare contatti più frequenti e mirati;
    sui recenti episodi di quest'estate sono in corso accertamenti da parte della magistratura che dovrà chiarire cause e responsabilità, cosa assolutamente urgente e necessaria anche per scongiurare un indiscriminato e generalizzato discredito, anche sul piano internazionale, sull'intero settore agricolo e su alcune produzioni di eccellenza (pomodori, uva) che rischia di danneggiare pesantemente la credibilità del sistema agricolo italiano e delle sue produzioni, anche a livello commerciale;
    va infatti dato atto e voce alle centinaia di migliaia di imprenditori agricoli onesti che rispettano le regole (non solo quelle sul lavoro) e che, oltre a subire la concorrenza sleale da parte di coloro che operano in modo scorretto, subiscono anche i riflessi negativi della «sfiducia» che ha colpito l'intero settore;
    le organizzazioni agricole, peraltro, sono state tra le prime a riconoscere che la presenza del lavoro nero e del caporalato in agricoltura rappresenta un problema, oltre che per lo Stato, anche per le imprese in regola, che adempiono puntualmente agli obblighi burocratici ed economici connessi ai rapporti di lavoro dipendente. Dette imprese, infatti, si trovano costrette a competere con aziende «sommerse», che operano con costi di produzione notevolmente inferiori;
    l'ampiezza del fenomeno, stimato da alcune fonti in almeno 400 mila unità, è corroborato dai dati dell'Inail sull'incidenza infortunistica: nel Mezzogiorno, come del resto in tutta Italia, non vengono denunciati gli infortuni sul lavoro in assenza di menomazioni, mentre sono denunciati quelli con conseguenze gravi o che portano al decesso della persona;
    il fenomeno del caporalato oltre ad essere devastante per le persone coinvolte, che lavorano in condizioni di assoluta insicurezza fisica ed economica, penalizza fortemente le aziende sane che rischiano di essere espulse dal mercato da chi opera in maniera scorretta e al di fuori di ogni norma;
    altrettanto grave appare il fenomeno del lavoro «fittizio», ossia del lavoro mai prestato ma denunciato agli enti previdenziali al solo fine di far percepire prestazioni indebite, sul quale pure dovrebbe concentrarsi l'attenzione ispettiva, anche per i costi e le distorsioni che esso provoca sul sistema previdenziale;
    la massima attenzione contro il deprecabile fenomeno del lavoro sommerso è stata dimostrata, tra le altre cose, dalla sottoscrizione di ben quattro avvisi comuni (nel 2004, nel 2007, nel 2009 e nel 2012) con le organizzazioni sindacali dei lavoratori agricoli, finalizzati a favorire l'azione di contrasto al lavoro sommerso, irregolare e fittizio, nonché a definire interventi mirati a salvaguardare i livelli occupazionali e a promuovere una migliore occupazione nel settore agricolo;
    per combattere i preoccupanti fenomeni sopra indicati, anche l'Unione europea ha fornito da tempo precise indicazioni, a cui sostanzialmente non è stato dato seguito. Con diversi provvedimenti, infatti, la Commissione europea (da ultimo con comunicazione Com/2007/0628) ha indicato quali sono le misure necessarie per combattere efficacemente il lavoro sommerso: ridurre i vantaggi finanziati del lavoro sommerso, alleggerendo la pressione fiscale sul lavoro; riformare e semplificare le procedure amministrative (segnatamente, in termini di costi); migliorare i meccanismi di sorveglianza e i sistemi sanzionatori. Si tratta degli obiettivi prospettati anche dalle parti sociali agricole, da ultimo nel citato avviso comune del gennaio 2012;
    purtroppo, nonostante le indicazioni dell'Unione europea e delle parti sociali, la pressione fiscale e contributiva sul lavoro rimane alta, gli adempimenti amministrativi numerosi e complessi, la vigilanza scarsamente selettiva e più attenta alle violazioni formali che sostanziali;
    per cercare di risolvere queste criticità, occorre sicuramente una migliore attività di intelligence da parte degli organi di vigilanza nella selezione delle aziende da ispezionare, cercando di concentrare l'attenzione su quelle imprese agricole che operano in modo completamente o parzialmente sommerso, a volte contigue alla criminalità organizzata (sull'argomento, e senza confusione di ruoli, i sistemi di bilateralità territoriale potrebbero senz'altro fornire il proprio contributo di conoscenza della realtà locale); una maggiore attenzione alle violazioni più gravi (lavoro nero, sfruttamento dei lavoratori, occupazione di clandestini ed altro); un altro aspetto che senz'altro influisce negativamente sulla complessiva azione ispettiva, e sulla qualità della stessa, è la circostanza, ormai innegabile, che gli ispettori di vigilanza sono visti dalle proprie amministrazioni più come soggetti che debbono «fare cassa», piuttosto che soggetti chiamati a promuovere ed imporre il rispetto delle regole sul lavoro. Questa circostanza spinge gli ispettori a rilevare comunque qualcosa di irregolare quando effettuano una visita ispettiva anche per raggiungere gli obiettivi minimi in termini di accertamento che gli vengono imposti;
    oltre ai segnalati problemi nel sistema di vigilanza, si sconta un grave ritardo del sistema di collocamento pubblico che non è mai stato in grado di garantire alle imprese agricole un efficace reclutamento di ingenti quantitativi di manodopera in brevi periodi nel corso delle grandi campagne di raccolta;
    il problema riguarda dunque più la vigilanza e l'organizzazione della domanda/offerta di lavoro che non una carenza normativa, dato che nell'ordinamento esiste da tempo un piano sanzionatorio importante che prevede pesanti conseguenze anche di carattere penale: reato di intermediazione illecita (caporalato), maxisanzione per il lavoro sommerso, sospensione dell'attività aziendale per lavoro non dichiarato, sfruttamento di lavoratori clandestini;
    da ultimo, non si può sottacere che la questione in alcuni territori e contesti economico/sociali è prevalentemente di ordine pubblico e come tale va trattata dalle istituzioni competenti al fine di tutelare i lavoratori ma anche le imprese da ingerenze da parte della criminalità organizzata;
    in ragione di ciò, si è proposto presso la Commissione lavoro della Camera di assumere ogni iniziativa possibile per approfondire questo fenomeno ed indagare i motivi e le responsabilità del mancato controllo del territorio, così come è stato fatto in passato in analoghe indagini conoscitive,

impegnano il Governo:

   a rafforzare l'azione ispettiva e di controllo da parte delle Istituzioni preposte, assumendo iniziative per riconoscere penalmente la responsabilità delle imprese che accettano di sfruttare manodopera irregolare;
   ad assumere iniziative per prevedere forme di tutela per i lavoratori migranti che denunciano i caporali e/o i datori di lavoro, estendendo anche ai lavoratori agricoli il diritto al permesso di soggiorno per motivi giudiziari;
    ad implementare il sistema di tracciabilità dei prodotti aumentando l'attenzione sulla qualità dell'occupazione, così da orientare le scelte del consumatore e, di conseguenza, i comportamenti delle aziende; ad assumere iniziative per introdurre degli sgravi contributivi per le aziende che regolarizzano la forza lavoro.
(7-00813)
«Polverini, Russo, Catanoso».

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Massimiliano Bernini n. 7-00826, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 507 del 21 ottobre 2015.

   Le Commissioni XI e XIII,
   premesso che:
    con il termine «caporalato» si tende ad indicare una complessa gamma di fenomeni criminali all'interno dei quali si individua il lavoro nero, l'evasione contributiva e fiscale, il trasporto abusivo, il lavoro minorile, il mercato delle «braccia straniere» e dello sfruttamento sessuale, fenomeni ascrivibili alla più ampia categoria dello sfruttamento del lavoro, purtroppo, sempre più spesso attigui a forme di vero e proprio neoschiavismo;
    numerose indagini hanno confermato la presenza del fenomeno in tutta Italia, da Nord a Sud e nelle aree di alta produzione agricola con uso intensivo di manodopera sia italiana che straniera, molto spesso «stipata» in veri e propri ghetti, organizzati in squadre e capisquadra. Si tratta di donne e uomini altamente ricattabili a causa dello status giuridico e dell'assenza dell'applicazione dei diritti riconosciuti, con situazioni abitative al di sotto degli standard minimi della dignità umana, e luoghi e condizioni di lavoro estremi, con violenze endemiche quali mancati pagamenti e sempre più spesso aggressioni fisiche, anche a sfondo sessuale);
    nel corso di questa legislatura l'Esecutivo è stato più volte sollecitato ad agire sulla questione del caporalato e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, con numerose interrogazioni ed atti presentati dal Movimento 5 Stelle, tra questi, il 7 agosto 2013, durante l'esame della «conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», è stato accolto l'ordine del giorno (9/1458/54) a prima firma Lupo che impegna il Governo a valutare l'opportunità di prevedere incentivi ad hoc per la manodopera agricola così da abbassare il costo del lavoro e disincentivare il ricorso al lavoro nero da parte degli imprenditori agricoli, mentre il 25 novembre 2014, durante l'esame della «Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro», è stato accolto l'Ordine del Giorno (9/2660-N77) a prima firma Gagnarli, che impegna il Governo ad adoperarsi al fine di prevedere agevolazioni per la manodopera agricola;
    sebbene le precedenti premesse, la stagione estiva appena trascorsa (2015) ha fatto registrare una serie di eventi tragici e luttuosi collegati allo sfruttamento del lavoro nei campi durante le attività di raccolta ortofrutticola e al mancato rispetto delle regole di sicurezza nei luoghi di lavoro molto spesso a seguito della carenza di controlli da parte degli organi di vigilanza, in modo particolare dell'Ispettorato del lavoro e delle Asl, dovuti probabilmente alla mancanza di risorse economiche, strumentali ed umane che se implementati consentirebbero di prevenire il proliferare di tali fenomeni;
    di fronte alle necessità tecniche legate alla tipicità della produzione agricola, a parere dei firmatari del presente atto le istituzioni hanno fatto un passo indietro lasciando campo aperto alle organizzazioni criminali che in vario modo hanno preso il controllo della situazione. Il caporalato nella sua accezione più ampia risponde alle esigenze specifiche dei territori e per questo si è diffuso ed è ben radicato nella aree dov’è presente, tanto che non sono da escludere casi nei quali gli accordi raggiunti siano il risultato di una vera e propria contrattazione consensuale tra le parti (contratto di strada, vietato per legge);
    lo stretto legame tra il fenomeno del caporalato e la criminalità organizzata si evince anche dal documento finale della «Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare» della XV legislatura (2007-2008);
    accanto a contesti di evidenti manifestazioni di illegalità, criminalità mafiosa e sfruttamento schiavistico, vivono anche situazioni che pur rientrando nella fattispecie del caporalato si muovono all'interno di un quadro di parziale o apparente legalità, rendendo la situazione complessa e stratificata, nonché varia a seconda dei territori, delle colture specifiche e delle regioni nei quali si è sviluppata nel tempo;
    nel gennaio del 2010 a Rosarno (Reggio Calabria), i violenti scontri tra residenti e lavoratori migranti, quest'ultimi oggetto di gravi forme di sfruttamento durante la raccolta degli agrumi, hanno portato per la prima volta all'attenzione dell'opinione pubblica italiana, la questione delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini stranieri nelle nostre campagne;
    il fenomeno del caporalato non è nuovo alle istituzioni democratiche del nostro Paese e, come emerge da varie indagini, è parte integrante del sistema economico agroalimentare nazionale da diversi decenni. Tra questi approfondimenti si ricorda la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno del cosiddetto «Caporalato» che svolse i suoi lavori nel corso della XII Legislatura (1995-1996), e «l'indagine conoscitiva su taluni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera)» della XI commissione, durante la XVI legislatura (2009-2010);
    come evidenziato anche nell'ambito dell'indagine conoscitiva su taluni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera) della XI commissione, la situazione nel suo complesso si inserisce nel più ampio scenario della globalizzazione dei mercati che ha sancito la diffusione del pensiero e delle pratiche neoliberiste che pongono in primo piano il profitto a discapito dei diritti delle persone e dei lavoratori, condizioni generali che hanno generato una «guerra» sui prezzi di alimenti e materie prime senza esclusione di colpi che di fatto ha portato miseria e forme di neoschiavismo in ampie parti del globo;
    nel corso della predetta indagine, i rappresentanti dell'Eurispes, del Censis, del CNEL e di MSF (Medici Senza Frontiere) hanno evidenziato, ognuno nei propri settori di competenza la gravità della situazione e la necessità di apportare urgenti modifiche sia in ambito normativo che sul piano dei controlli;
    secondo il rapporto «Agromafie» e «caporalato» (2014) pubblicato dalla Flai CGIL (mentre si scrive è in corso di stesura del III Rapporto) si tratta di non meno di 400 mila lavoratori sfruttati dai caporali (di cui più dell'80 per cento stranieri), di cui 100 mila in condizioni di grave assoggettamento, definite nel rapporto «paraschiavistiche», concentrati in circa 80 epicentri (distretti agricoli a rischio) dello sfruttamento in Italia; dei quali più della metà registrano condizioni generali indecenti. Più del 60 per cento dei lavoratori sotto caporale non ha accesso a servizi igienici né all'acqua corrente, mentre il 70 per cento presenta malattie (non segnalate prima dell'inizio della vita nei campi), mentre è di 25/30 euro la paga media per una giornata «lavorativa» anche di 12 ore, esattamente il 50 per cento in meno rispetto alla paga prevista dai contratti nazionali che è di circa 8 euro/ora per un massimo di 6,5 ore di lavoro al giorno, mentre in altre aree del nostro, come in prossimità del CARA di Mineo (Catania), la paga è di molto inferiore, circa 10 euro al giorno. Dal suddetto salario il «caporale» sottrae 5 euro/lavoratore per il trasporto sul posto di lavoro, 1,5 euro per una bottiglia d'acqua, 3,5 euro per un panino, ingenerando perciò un trattamento economico col quale nessun essere umano è in grado di condurre una vita dignitosa e sicura;
    sempre secondo il rapporto di cui prima, il «caporalato» ha un costo per le casse dello Stato in termini di evasione contributiva non inferiore a 600 milioni di euro l'anno, in un contesto dove l'economia sommersa nel settore sottrae un flusso di denaro all'economia legale superiore a 9 miliardi di euro l'anno, mentre nella relazione della direzione nazionale Antimafia del gennaio 2014, la criminalità organizzata nel settore agroalimentare oggi controlla direttamente o condiziona l'intera filiera, con un fatturato di 12,5 miliardi di euro l'anno;
    il caporalato ovvero l'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, è stato inserito tra i reati perseguibili penalmente solo nel 2011 (decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, in vigore dal 13 agosto 2011, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148) essendo considerato un «reato spia» di infiltrazioni criminali nel settore agricolo: si stima che il giro d'affari connesso alle agromafie (Primo Rapporto su caporalato e agromafie realizzato da Flai Cgil) sia compreso tra i 12 e i 17 miliardi di euro, il 5-10 per cento di tutta l'economia mafiosa, per la maggior parte «giocato» tra la contraffazione dei prodotti alimentari e il caporalato. Dall'approvazione della suddetta norma fino alla fine del 2013, per il reato in questione sono state arrestate o denunciate 355 persone, 63 nel 2012 e 281 nel 2013;
    ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014 n. 116, è istituita dal 1o settembre 2015 la «Rete del lavoro agricolo di qualità» l'organismo autonomo nato per rafforzare le iniziative di contrasto dei fenomeni di irregolarità e delle criticità che caratterizzano le condizioni di lavoro nel settore agricolo. Possono fare richiesta le imprese agricole in possesso dei seguenti requisiti:
     a) non avere riportato condanne penali e non avere procedimenti penali in corso per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto;
     b) non essere stati destinatari, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative definitive per le violazioni di cui alla lettera a);
     c) essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi. Le aziende potranno così registrarsi ed essere valutate dalla cabina di regia della rete presieduta dall'INPS di cui ne fanno parte le organizzazioni sindacali, le organizzazioni professionali agricole, insieme ai rappresentanti dei Ministeri delle politiche agricole, alimentari e forestali, del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze e della Conferenza delle regioni, che presenterà un piano organico complessivo per il contrasto stabile al lavoro nero e per intensificare ancora gli sforzi;
    le aziende agricole possono aderire alla «Rete del lavoro agricolo di qualità» in modo volontario e senza un'intensificazione dei controlli da parte degli organi preposti in materia di vigilanza del lavoro, addirittura facendo presagire un vero e proprio «allentamento» del controllo, e per questo appare del tutto evidente come la misura assuma solamente un mero carattere «promozionale», che fornisce un blando contributo al contrasto dello sfruttamento agricolo e all'intermediazione illecita che necessità bensì di azioni cogenti;
    non può esserci una produzione di qualità senza la qualità del lavoro, ovvero senza il rispetto dei diritti, dei contratti, delle leggi e della dignità delle persone coinvolte nella filiera della produzione-raccolta, trasformazione e commercializzazione del prodotto e, per questo, è necessario che la popolazione sia informata al massimo sulle condizioni di filiera dell'agroalimentare, al fine di operare una scelta di consumo più critica e consapevole, e possibilmente premiando le buone produzioni valorizzandole rispetto a quelle che contengono fenomeni di caporalato e affini. Sarebbe necessario quindi predisporre una strategia complessiva che faccia leva sulla vigilanza, su interventi di semplificazione della normativa, di incentivazione e, soprattutto, su politiche di sviluppo locale, attraverso l'azione congiunta di tutti gli attori impegnati su questo fronte, siano essi soggetti istituzionali, forze sociali, scuola, università, enti di formazione e di ricerca,

impegnano il Governo:

   ad incrementare i controlli su tutto il territorio nazionale ed in particolare nelle aree dove il caporalato è più diffuso, al fine di contrastare e reprimere l'intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, anche attraverso lo stanziamento di maggiori risorse economiche in favore degli organi di vigilanza tra cui gli ispettorati del lavoro;
   ad attivare un coordinamento nazionale dei controlli per quanto attiene la sicurezza e l'igiene nei luoghi di lavoro, l'applicazione della legislazione sociale e tributaria, la regolarità contrattuale e contributiva e la prevenzione dei fenomeni di sfruttamento, al fine di rendere più efficaci i servizi ispettivi espletati dall'ispettorato del lavoro, dall'INPS e dalle forze dell'ordine, prevedendo anche la creazione di una banca dati unica nazionale dei controlli o mettendo a sistema le diverse banche dati esistenti, quali quelle del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, quelle dei centri per l'impiego, dell'INPS (CISOA), dell'INAIL, della guardia di finanza, dell'Agenzia delle entrate e di AGEA;
   ad intraprendere ogni utile iniziativa, anche normativa, al fine di disciplinare la responsabilità solidale delle aziende committenti nel caso di constatazione di sfruttamento del lavoro anche attraverso la predisposizione di un indice di congruità definito a livello nazionale, che indichi il rapporto tra la produzione in campo e la manodopera impiegata nella lavorazione;
   ad attivare un «numero rosso» nazionale in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al quale potranno rivolgersi tutti i cittadini italiani e stranieri, che subiscano sfruttamenti, maltrattamenti, condizioni di vita disumane o altre vessazioni durante il lavoro, assicurando parallelamente, una tutela specifica a chi denuncia tali situazioni, facendo si che l'attivazione del servizio sia pubblicizzata a «mezzo stampa», nonché presso i centri di identificazione, tenendo conto di tutte le differenze linguistiche e che le denunce siano trasmesse agli organi ispettivi competenti del luogo da cui provengono, per gli immediati accertamenti;
   a relazionare periodicamente alle Camere, sul numero e sulla tipologie di denunce pervenute;
   a realizzare una comunicazione sociale per informare e sensibilizzare l'opinione pubblica sul valore del lavoro, sul vergognoso fenomeno del caporalato, che viola i diritti inalienabili dell'uomo stabiliti dalla Costituzione e riconosciuti a livello internazionale, e sugli strumenti di denuncia che possono essere fin dal subito adottati, facendo sì che tale comunicazione, al fine di essere fruibile dalla stragrande maggioranza della popolazione possa necessariamente superare ogni tipo di ostacolo linguistico e culturale, oltre che coinvolgere le organizzazioni imprenditoriali, i sindacati, gli enti locali, in modo da stimolare la crescita di una cultura collettiva che sanzioni tali comportamenti;
   in accordo con le regioni, ad assumere iniziative per potenziare la Borsa continua nazionale del lavoro, in modo da renderla più congruente alle esigenze del settore primario caratterizzato da una notevole «stagionalità» delle lavorazioni e a tal fine prevedere una sezione apposita per la domanda e l'offerta di «lavoro agricolo», nella quale inserire i nominativi dei lavoratori stagionali con tutte le informazioni necessarie per l'identificazione professionale e che sia immediatamente e facilmente fruibile da parte dei datori di lavoro e dei centri per l'impiego pubblici e, contestualmente, a promuovere lo sviluppo di apposite applicazioni installabili sui dispositivi portatili, di facile utilizzo che consentano, di informare rapidamente i lavoratori stagionali delle offerte di lavoro sopraggiunte (insieme alle caratteristiche del lavoro, durata, mansione richiesta, paga, e altro), e previa accettazione del lavoratore, di fornire un'immediata disponibilità di manodopera ai datori di lavoro;
   a promuovere l'utilizzo delle liste di lavoratori inseriti nella BCNL o presso i centri dell'impiego pubblici, da parte dei datori di lavoro, attraverso sgravi fiscali, assicurativi (riduzione dell'aliquota contro gli infortuni sul lavoro), previdenziali o burocratici, in quest'ultimo caso, facendo sì che, attraverso apposite convenzioni con le ASL locali, i medici del lavoro, gli organismi paritetici, tutti gli iscritti alle liste di collocamento, abbiano eseguito la visita medica preventiva, come stabilito dal «Testo unico salute e sicurezza nei luoghi di lavoro», senza ulteriori oneri per i datori di lavoro, nonché ad adottare iniziative per favorire semplificazioni nella stipula dei contratti di lavoro;
   in accordo con le regioni, a promuovere in via sperimentale, l'istituzione della figura del «garante del lavoro agricolo», inquadrato nell'ambito dei centri per l'impiego provinciale o degli assessorati regionali del lavoro che fornisca il servizio d'intermediazione tra lavoratori e datori del lavoro nell'ambito del settore primario;
   ad assumere iniziative per prevedere, nell'ambito della «Rete del lavoro agricolo di qualità», un periodo transitorio di due anni durante il quale gli organi di vigilanza intensifichino i controlli ispettivi presso le aziende aderenti, in materia di sicurezza, igiene sul lavoro e assunzione della manodopera, superato il quale, senza l'aver riscontrato irregolarità, si avrà pieno accesso alla «rete», prevedendo per queste realtà virtuose, agevolazioni o corsie preferenziali;
   ad assumere iniziative normative affinché il permesso di soggiorno del lavoratore sia prolungato fino alla scadenza dell'indennità di disoccupazione, facendo decorrere il termine della proroga, ai fini della ricerca di una nuova occupazione, dalla scadenza naturale del permesso di lavoro e non dalla data di licenziamento;
   ad emanare, entro e non oltre il mese di gennaio 2016 il decreto attuativo, previsto ai sensi dell'articolo 49, comma 1, del decreto legislativo del 15 giugno 2015, n. 81;
   ad assumere ulteriori iniziative per garantire meccanismi che consentano l'utilizzo legittimo del voucher, rispetto alla quantificazione oraria della prestazione lavorativa, al fine di impedire l'eventuale sfruttamento della manodopera agricola, assunta per lo svolgimento di attività occasionali di tipo accessorio anche attraverso l'applicazione permanente della procedura sperimentale FastPOA, rendendola obbligatoria per tutti i soggetti interessati;
   al fine di vigilare sulla regolarità delle attività dei datori di lavoro del settore agricolo, a valutare l'opportunità di fissare la cadenza degli adempimenti connessi con la presentazione delle denunce di manodopera agricola.
(7-00826)
«Massimiliano Bernini, Chimienti, Lupo, L'Abbate, Gagnarli, Gallinella, Benedetti, Parentela, Cominardi, Lorefice».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Micillo n. 4-09441, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 440 dell'11 giugno 2015.

   MICILLO, LUIGI DI MAIO, COLONNESE, FICO, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, PISANO e TOFALO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 31 maggio 2015 si sono svolte, in Campania, le elezioni regionali ed in molti comuni anche le elezioni amministrative;
   nella giornata elettorale ci sono stati numerosi interventi delle forze dell'ordine a seguito di altrettanti episodi segnalati che hanno riguardato irregolarità nell'espressione del voto;
   nel comune di Ercolano (Napoli), all'interno del seggio di via Cuparelle, due persone sono state identificate dalle forze dell'ordine per aver comprato il voto di due elettori per una cifra di 20 euro l'uno;
   a Sorrento (Napoli), all'interno della scuola Vittorio Veneto, un uomo di circa 80 anni è stato denunciato, a seguito della sollecitazione del presidente, per aver fotografato la scheda elettorale dopo il voto;
   a Cardito (Napoli) il presidente di un seggio è stato denunciato dalle forze dell'ordine per avere fotografato il proprio voto all'interno dell'istituto Gianni Rodari;
   a Macerata Campania (CE) un uomo di 47 anni è stato sorpreso dai carabinieri all'esterno di un seggio mentre distribuiva materiale elettorale;
   a Casavatore (Napoli) un uomo di 21 anni è stato denunciato per avere tentato di votare due volte, la seconda volta al posto di un'altra persona. Inoltre due donne di 26 e 40 anni, presidenti di seggio, avrebbero consentito il voto a due giovani, di 22 e 32 anni. Tali giovani, dopo aver votato, si accingevano a votare nuovamente con tessere elettorali di altre persone nel seggio n. 9 di via Campanariello;
   anche nel comune di Crispano (NA) i carabinieri hanno denunciato elettori che avevano fotografato con il cellulare la scheda elettorale (http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it);
   nel comune di Giugliano in Campania (Napoli) nelle immediate vicinanza del quinto circolo didattico di Giugliano in Campania, sito in via Pigna, alle ore 17,10, il candidato sindaco del Movimento 5 Stelle ha pubblicamente denunciato, attraverso un video, una presunta compravendita di voti che stava avvenendo nelle immediate vicinanze della scuola;
   il video è stato immediatamente ripreso da diversi organi di informazione;
   sempre nel comune di Giugliano in Campania 29 presidenti di seggio sorteggiati hanno rinunciato ad espletare la funzione di presidente di seggio il giorno prima delle elezioni. Diverse nomine a presidente sarebbero state eseguite senza il sorteggio ed in maniera diretta dai dirigenti. Come se non bastasse le schede elettorali consegnate sarebbero insufficienti a coprire il numero degli elettori;
   ancora nel detto comune, alla data del 9 giugno 2015, il numero dei presidenti di seggio rinunciatari arriva a quasi il 50 per cento dei totali;
   nel comune di Napoli, quartiere Bagnoli, all'interno dell'istituto comprensivo di piazza Neghelli è stato denunciato un uomo per aver fotografato il voto con il telefono cellulare. Sul posto si sono recati gli agenti del commissariato San Paolo di Fuorigrotta che lo hanno identificato e denunciato. Caso simile, sempre all'interno del comune di Napoli, nel quartiere Piscinola, in un seggio elettorale posto all'interno di una scuola di via dell'Abbondanza;
   sempre nel comune di Napoli si sono registrate irregolarità nella redazione dei verbali da parte di circa 170 seggi, per un totale di circa 70.000 schede. Tanti, infatti, i verbali che sono stati rispediti indietro dal Viminale ed ora sono all'esame del Tribunale –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione sopra descritta;
   quali misure di competenza intenda adottare per prevenire e contrastare condotte illecite ed illegittime nelle procedure di voto in occasione delle consultazioni elettorali;
   quali misure intenda attuare affinché nessuno possa fotografare il proprio voto. (4-09441)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Dallai n. 5-06297 dell'8 settembre 2015;
   interrogazione a risposta scritta Camani n. 4-10367 del 16 settembre 2015;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione Matarrese n. 5-06735 del 21 ottobre 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   Interrogazione a risposta scritta Lacquaniti e altri n. 4-08629 del 31 marzo 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06838;
   Interrogazione a risposta in Commissione Vallascas e Cancelleri n. 5-06773 del 23 ottobre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01803.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Massimiliano Bernini e altri n. 5-06559 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 495 del 2 ottobre 2015.

  Alla pagina 29245, dalla riga decima alla riga undicesima deve leggersi: «il decreto del Presidente della Repubblica 1o agosto 2011, n. 151 «Regolamento» e non come stampato.

  Alla pagina 29245, dalla riga trentaduesima alla riga trentaquattresima deve leggersi: «di prevenzione incendi ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011, è» e non come stampato.

  Interrogazione a risposta in Commissione Crivellari e Culotta n. 5-06815 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 512 del 28 ottobre 2015.

  Alla pagina 30321, seconda colonna, dalla riga prima alla riga seconda deve leggersi: «CRIVELLARI e CULOTTA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. —» e non come stampato.

  Alla pagina 30322, prima colonna alla riga quarantottesima deve leggersi: «quale sia lo stato dell'arte della procedura,» e non come stampato.