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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 16 novembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni VI e X,
   premesso che:
    l'industria nautica è una componente importante dell'economia del Paese. Il surplus commerciale colloca la produzione di imbarcazioni ai vertici del «made in Italy», al 13o posto su oltre 5.000 prodotti censiti, con un valore superiore a quello di produzioni quali l'occhialeria, la pasta, i mobili in legno;
    è anche un simbolo dell'Italia, che detiene un terzo del a produzione mondiale surclassando USA, Germania e Regno Unito, e trova nelle regioni Lombardia, Piemonte, Liguria, Toscana, Emilia Romagna, Campania, Sicilia, Marche, Veneto e Friuli Venezia Giulia i suoi massimi centri di eccellenza;
    l'indotto derivante dall'uso turistico della barca generava un contributo al prodotto interno lordo che, sempre secondo il Censis, nel 2009 si aggirava sui 4,55 miliardi di euro e che oggi a causa della crisi, ma anche di politiche recessive, vale 1,5 miliardi di euro (Osservatorio nautico nazionale);
    il turismo nautico dà lavoro a circa 85.000 persone (ufficio studi UCINA Confindustria nautica);
    la spesa media del diportista sul territorio è circa il doppio di quella effettuata dal turista cittadino (Osservatorio nautico nazionale);
    secondo il Censis ogni 3,8 imbarcazioni si genera un posto di lavoro in attività turistiche e nei servizi. Una marina turistica genera complessivamente novanta posti di lavoro, di cui 12 direttamente alle dipendenze del porto, 55 occupati in attività inserite nell'area portuale e 23 occupati nel territorio (Osservatorio nautica nazionale);
    basti pensare alla posizione centrale del nostro Paese nel bacino mediterraneo, gli oltre 7.500 chilometri di coste marine, la bellezza dei mari e l'unicità dell'offerta turistica, culturale e naturalistica per comprendere che il nostro Paese può esercitare un ruolo di assoluto protagonista per uno sviluppo ulteriore della nautica da diporto. Ciò però non è avvenuto sia per un erroneo approccio culturale, che ha portato a considerare la nautica questione di una ristretta élite, sia, da ultimo, per interventi legislativi di precedenti Governi che hanno provocato la fuoriuscita dal nostro Paese di circa 40.000 barche, ma, soprattutto, hanno scoraggiato l'arrivo di diportisti esteri, facendo la «fortuna» dei diretti competitor quali Francia, Croazia, Grecia e Turchia;
    è necessario intervenire per invertire questo trend anche in considerazione del significativo impatto che ha la nautica da diporto nell'economia del Paese;
    un segnale in controtendenza rispetto al passato è arrivato con la legge di stabilità 2015 che ha riconosciuto i cosiddetti «Marina resort» (le porzioni dei porti turistici destinate all'ormeggio a breve per il pernotto a bordo) equiparandoli alle strutture turistiche all'aria aperta, rendendo applicabile l'iva turistica al 10 per cento (gli ormeggi a medio e lungo termine e tutte le attività connesse, manutenzione, refitting, ricovero, alaggio e varo, ecc. continuano invece a scontare l'aliquota ordinaria);
    purtroppo la norma è coperta solo fino al 31 dicembre 2015;
    un ulteriore segnale importante è arrivato con il progetto cosiddetto «Signa Maris» promosso dall'Organismo intermedio POIn Turismo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo attraverso i fondi del programma «Attrattori culturali, naturali e turismo» Linea II.2.1 risorse FESR 2007/2013;
    il progetto, partendo dall'assunto che ogni porto è «porta d'accesso al territorio», mira a creare interconnessione tra patrimonio culturale italiano e mondo diportistico, andando a valorizzare e promuovere le bellezze uniche del territorio come plus dell'offerta di turismo nautico che il nostro Paese può mettere in campo. Questo in quanto la promozione del sistema turistico integrato «mare-terra» e la rete della portualità da diporto, sono elementi che, per la loro unicità, possono rendere vincenti i territori italiani sui mercati internazionali;
    Signa Maris, in questo primo step, ha coinvolto 38 porti delle quattro regioni convergenza (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) rappresentando una best practice che dal Sud Italia può essere sviluppata sull'intero territorio nazionale;
    il progetto seppur operativo da solo 5 mesi ha ottenuto grande attenzione sia dal mondo della nautica e del turismo che dai media nazionali ed internazionali, ma, soprattutto, è stato apprezzato da diportisti internazionali per la facilità di approcci all'offerta turistica italiana che offre anche grazie alla declinazione del sito in 5 lingue e alla presenza costantemente aggiornata nei contenuti sui principali social. La relativa «APP» è stata concepita offline proprio per consentirne l'uso anche in mare in assenza di campo. Successivamente il progetto è stato implementato con la declinazione di nuovi itinerari che vedono come porta di accesso 4 aeroporti regionali minori;
    i fondi del programma «attrattori culturali, naturali e turismo» linea II.2.1 risorse FESR 2007/2013 con i quali è stato realizzato il progetto scadono nel mese di dicembre 2015;
    appare fondamentale non interrompere il progetto, pena il vanificarsi delle attività e delle risorse sin qui impegnate e la perdita totale degli effetti positivi dell'azione di marketing e di promozione sviluppati,

impegnano il Governo

a intervenire in tempi celeri per verificare la possibilità di procedere a stabilizzare l'IVA al 10 per cento per i cosiddetti «Marina resort» e a individuare risorse aggiuntive che permettano di completare il progetto cosiddetto «Signa Maris» ed estenderlo a tutto il territorio nazionale.
(7-00844) «Arlotti, Fragomeli, Benamati, Tullo, Montroni, Camani, Vico, Cani, Martella, Impegno, Basso, Donati, Bargero, Senaldi, Bini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   a partire dal 31 ottobre 2015, una forte ondata di maltempo ha colpito la regione Calabria, in particolare nelle sue zone montane e nell'area ionica della provincia di Reggio Calabria e nell'acquedotto della città capoluogo;
   si considera che in due giorni si sia riversata una quantità di pioggia che mediamente in quel territorio si riversa in quasi un anno (600 millilitri d'acqua);
   sono stati spazzati interi tratti della linea ferroviaria che va da Roccella Jonica a Monasterace (esondato il torrente Ferruzzano che ha interrotto non solo la linea ferroviaria, ma anche la circolazione sulla strada statale 106, isolando di fatto interi paesi); è morto un uomo, Salvatore Comandé, di 43 anni, travolto dalla piena di un torrente mentre si trovava nella sua auto a Taurianova, in provincia di Reggio Calabria;
   Anas ha fatto sapere che, a causa di alcune frane prodotte dalle forti precipitazioni, è stato necessario chiudere momentaneamente al traffico quattro diversi tratti della strada statale 106 Jonica: in entrambe le direzioni, dal chilometro 50 al chilometro 65 è chiuso il tratto compreso tra Palizzi Marina e Brancaleone Marina, il secondo tratto interessato va dal chilometro 65,8 al 67,20 in località Marinella di Ferruzzano, poi dal chilometro 83 al 92 tra Bovalino e Ardore. Il quarto tratto chiuso è compreso fra chilometro 121 e il chilometro 122 tra Marina di Caulonia e Riace Marina; nella città di Reggio Calabria i vigili del fuoco hanno effettuato 200 interventi di soccorso, sono intervenuti anche per la messa in sicurezza di alcune case a Vibo Valentia. Centocinquanta in totale gli interventi effettuati nella provincia, 110 quelli nel territorio di Catanzaro. Il torrente Catona è esondato nel comune di Laganadi, nel comune di Reggio Calabria, provocando forti danni. Cinque famiglie che abitavano a poca distanza dal luogo dell'esondazione sono state evacuate;
   ancora una volta, in presenza di forti e insistenti piogge, il nostro Paese si trova a dover fare i conti con frane, cedimenti di infrastrutture, argini che non riescono più a trattenere l'impatto con le acque; le forti piogge hanno devastato ampi tratti del litorale e impedito il regolare deflusso delle piene dei fiumi, causando ingenti danni alle infrastrutture pubbliche e private e alle attività produttive localizzate sulla costa;
   in una regione in cui il rischio idrogeologico riguarda praticamente il suo intero territorio, già profondamente penalizzato da una forte carenza di infrastrutture e investimenti, emerge con ancora più forza la necessità di spostare l'asse degli interventi di messa in sicurezza dei territori da una logica emergenziale ad una logica di lungo periodo –:
   se non si ritenga di deliberare quanto prima lo stato di emergenza per le province calabresi e per i territori colpiti dalla forte ondata di maltempo iniziata il 31 ottobre 2015, stanziando le prime risorse volte al ristoro dei danni subiti dai privati e dalle attività produttive, per la messa in sicurezza delle aree colpite, e più in generale per il contrasto al dissesto idrogeologico dell'intero territorio nazionale, anche attraverso la previsione per le aree colpite di cui in premessa, dell'esclusione dal patto di stabilità interno delle risorse necessarie per gli interventi post-calamità provenienti dallo Stato, nonché delle spese sostenute dagli enti locali a valere su risorse proprie o provenienti da donazioni di terzi.
(2-01166) «Costantino, Zaratti, Pellegrino, Scotto, Ricciatti, Duranti».

Interrogazioni a risposta scritta:


   FURNARI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o maggio 2014 ha preso l'avvio il piano nazionale «Garanzia Giovani», piano attuativo del programma europeo — Youth Guarantee — istituito con raccomandazione del Consiglio europeo del 22 aprile 2013, diretto a fronteggiare con misure straordinarie il fenomeno della disoccupazione giovanile, mediante il Fondo sociale europeo (FSE 2014-2020) e i 6 miliardi di euro dell'iniziativa per l'occupazione giovanile di cui possono beneficiare 20 Stati membri con regioni in cui la disoccupazione supera il 25 per cento;
   nell'ambito di tale programma l'Italia si è impegnata a mobilitare 1,5 miliardi di euro (da spendere nel biennio 2014-2015), risorse derivanti da diverse fonti, tra cui 1,1 miliardi di euro a valere sul bilancio europeo (iniziativa a favore dell'occupazione giovanile e Fondo sociale europeo), oltre al co-finanziamento nazionale posto al 40 per cento. L'Italia è il secondo maggiore destinatario di finanziamenti per l'occupazione giovanile, con più di 530 milioni di euro che dovranno confluire in una strategia unitaria condivisa tra Stato, regioni e altri soggetti pubblici e privati. La quasi totalità delle risorse sarà direttamente gestita dalle regioni, nell'ambito della cornice nazionale, definita dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, garante della strategia europea;
   l'obiettivo della «Garanzia Giovani» è quello di supportare iniziative, a livello nazionale e territoriale, volte a favorire l'occupazione giovanile e a offrire a coloro che non studiano, non lavorano e che non sono impegnati in attività di formazione (cosiddetti neet), opportunità di orientamento, formazione, apprendistato, tirocinio, autoimprenditorialità, mobilità professionale in Italia e all'estero, inserimento nel mercato del lavoro e nel servizio civile;
   in considerazione delle peculiari caratteristiche del mercato del lavoro italiano, l'Italia ha scelto, mediante il piano nazionale di attuazione approvato dalla Commissione europea, di estendere tali interventi alle persone fino a 29 anni di età (il programma europeo prevede fino a 25 anni);
   a un primo bilancio del piano di attuazione della «Garanzia Giovani» si evidenziano luci ed ombre;
   è di questi giorni la notizia, apparsa sul quotidiano, «Barionline», che tale programma è un vero e proprio fallimento per la politica e per migliaia di giovani pugliesi e baresi;
   decine di ragazzi, riporta la notizia, hanno partecipato, a Bari, all'incontro pubblico organizzato dalla segreteria territoriale della CISL in seguito ai solleciti sui social network con mail di centinaia di giovani, che hanno denunciato la situazione anomala che sta interessando l'attuazione del programma «Garanzia Giovani» in questa provincia e in tutta la regione;
   «Garanzia Giovani ? – sono le parole del segretario generale della CISL – in Italia e in particolare in Puglia si sta rivelando fallimentare»;
   si ricorda che alla Puglia per l'attuazione del Piano è stato assegnato un fondo di 120 milioni di euro. L'assegno di tirocinio che dovrebbero percepire i giovani è pari a 50 mensili, erogato dalla regione Puglia attraverso l'INPS per un periodo massimo di 6 mesi, dodici per i diversamente abili per un impegno di 30 ore settimanali;
   stessa identica situazione si sta verificando anche in altre regione italiane, nelle Marche, nel Lazio, in Basilicata, in Sardegna e ora anche in Puglia; la situazione è purtroppo simile con numerosi ritardi nei rimborsi;
   così risulta anche da un focus di approfondimento svolto da la «Repubblica degli Stagisti», testata giornalistica on line, relativamente alla questione del rimborso in diverse regioni –:
   alla luce delle considerazioni sopra esposte, quali iniziative concrete il Governo, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di verificare, con il supporto dell'INPS, le cause che hanno determinato i ritardi;
   quali iniziative, anche di natura normativa, intendano assumere affinché i giovani che partecipano al programma non debbano subire ulteriori aggravi dovuti a ritardi nei rimborsi dei tirocini. (4-11140)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 93 della Costituzione stabilisce che il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri, prima di assumere le loro funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica;
   all'articolo 10, comma 1 della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante la disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, è previsto che «i sottosegretari di Stato sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro che il sottosegretario è chiamato a coadiuvare, sentito il Consiglio dei ministri»;
   il comma secondo dell'articolo 10 delle legge 23 agosto 1988, n. 400, stabilisce altresì che «prima di assumere le funzioni i sottosegretari di Stato prestano giuramento nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri con formula di cui all'articolo 1». L'articolo 1, comma 3, stabilisce infatti che il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica con la seguente formula: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione»;
   quanto espresso precedentemente è utile per verificare il comportamento e la dichiarazione resa al Sole 24 Ore dal sottosegretario Enrico Zanetti, pubblicata in data 30 ottobre 201 a pagina 51. Il sottosegretario, intervenendo sulla validità degli atti sottoscritti dai funzionari con incarichi dirigenziali conferiti ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo n. 65 del 2001 e successivamente revocati, ha espressamente dichiarato le seguenti parole: «da sottosegretario auspico che sia riconosciuta la legittimità di tutti gli atti, perché, diversamente ci troveremo di fronte ad un problema gigantesco rispetto al quale credo si aprirebbero dei profili evidenti di interesse nella Corte dei Conti. Mentre da tributarista è del tutto evidente che, per non saper né leggere né scrivere, lo inserirei nel ricorso»;
   a giudizio dell'interrogante, la dichiarazione del sottosegretario mette in evidenza che il ruolo di sottosegretario di Stato, attualmente svolto, sarebbe da ritenere giuridicamente compatibile con la professione di tributarista, ciò tanto sul piano formale che sostanziale fino al punto di consentirgli di affermare pubblicamente la sua opinione favorevole circa l'opportunità di inserire nel ricorso tributario «per non sapere né leggere né scrivere» l'eccezione di nullità dell'atto sottoscritto dal funzionario incaricato;
   a prescindere dalla sussistenza della compatibilità fra le due funzioni svolte dal dottor Zanetti, di rango istituzionale e professionale, v’è da chiedersi se quest'ultima espressione «per non sapere né leggere né scrivere», possa ritenersi compatibile con il dovere del Sottosegretario di agire ed esercitare le sue funzioni sempre nell'interesse esclusivo della Nazione. Ciò non sembra, a giudizio dell'interrogante;
   i colleghi commercialisti e tributaristi, non potranno che dare il giusto rilievo alla «autorevole» affermazione del sottosegretario di Stato che, benché da un lato auspichi che la questione si risolva favorevolmente (ma solo per gli scenari devastanti che si aprirebbero sul piano giurisdizionale della Corte dei Conti), dall'altro, concede un «assist» ai contribuenti ed ai loro difensori a che «in ogni caso» l'eccezione è opportuno che venga inserita nel ricorso, indipendentemente dall'esito processuale del ricorso, non costando comunque nulla al contribuente;
   a questo punto, di conseguenza, v’è da chiedersi anche se tale «assist» fornito ai destinatari di atti tributari firmati da funzionari con incarichi dirigenziali revocati, confligga o meno con il dovere di fedeltà, e di svolgere le sue funzioni di Sottosegretario dello Stato nell'interesse esclusivo della Nazione –:
   quali iniziative o provvedimenti intendano adottare nei riguardi del sottosegretario Zanetti, visto quanto descritto in premessa. (4-11147)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dalla scorsa estate sono state diffuse, dagli organi di stampa siciliani, una serie di indiscrezioni sulle indagini effettuate dalla Sogin spa (Società di gestione impianti nucleari che si occupa dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e smaltimento di rifiuti radioattivi) e sull'individuazione di possibili siti su cui costruire il futuro deposito nazionale, inseriti nella carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI), che dovrà essere approvata dai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico e la cui pubblicazione, prevista per settembre 2015 è slittata a data da destinarsi;
   secondo quanto riportato dalla stampa i giacimenti di Assoro-Agira, Salinella e Resuttano nel territorio ennese, sono candidati ad ospitare le scorie nucleari a bassa radioattività provenienti dalle attività mediche di tutto il territorio nazionale, e quelle ad alta media e bassa attività provenienti dal «decommissioning» delle centrali nucleari non più in funzione;
   le indiscrezioni diffuse dalla stampa partono da dichiarazioni (rese pubbliche e facilmente consultabili sul web) del presidente della commissione miniere dismesse dell'Unione regionale province siciliane (Urps), che ha affermato di aver preso visione del documento preparatorio redatto dalla Sogin, dove risulta che le regioni sotto esame sarebbero Basilicata, Calabria e Sicilia. La prima versione dello studio esaminava 45 siti, tutti giacimenti salini di cui ben 36 in Sicilia, mentre una successiva revisione, che integrava i requisiti d'isolamento, avrebbe ridotti a tre: Salinella, Resuttano e Assoro-Agira;
   secondo il presidente dell'Urps, proprio quest'ultima avrebbe le caratteristiche migliori per la conformazione del sottosuolo e la presenza di vasti strati di salgemma e argilla, ideali per lo stoccaggio per le proprietà isolanti e quindi resistenti in caso di eventi sismici. Al contrario di quanto ipotizzato in passato, non verrebbero sfruttate miniere di salgemma preesistenti, ma sarebbe realizzato un nuovo scavo per ospitare i 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi presenti in tutta Italia;
   la scelta appare quantomeno contraddittoria poiché, nello «Studio per la localizzazione di un sito per il deposito nazionale centralizzato per i rifiuti radioattivi» realizzato nel novembre 2003 dalla Sogin, che individuò come territorio idoneo ad ospitare tale deposito il sito di Scanzano Ionico in Basilicata, i giacimenti della provincia di Enna furono allora considerati «Siti depositi salini esclusi per caratteristiche geomorfologiche e giaciturali»;
   per il sito di Scanzano Ionico furono tali le proteste che il progetto venne prima abbandonato e poi rinviato a data da destinarsi. La critica maggiore che fu rivolta allora a Sogin fu quella di aver deciso senza il coinvolgimento della popolazione locale;
   in seguito a questo avvenimento, nel 2009 il Ministero dello sviluppo economico dette incarico all'Enea di redigere un rapporto tecnico «Deposito nazionale per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi: linee guida per la definizione di un piano di azioni per informare, coinvolgere e ottenere consenso del pubblico»;
   medesime azioni sono contenute nel decreto 31 del 2010, in parte superato dagli effetti del referendum abrogativo del 2011 (che ribadisce e conferma la ferma intenzione, della popolazione italiana di non sfruttare l'atomo come fonte di energia), con il quale la Sogin venne incaricata di effettuare i lavori di studio e quindi di realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi». Qualora i vari passaggi previsti per il coinvolgimento della popolazione dovessero fallire, sarà il Consiglio dei ministri ad avere l'ultima parola sulla scelta del sito;
   nonostante la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee e i relativi studi sulle aree potenzialmente idonee effettuati dalla Sogin siano ancora coperti da segreto di Stato e la popolazione siciliana sia allarmata sulla base solo di indiscrezioni trapelate tramite organi di stampa, molti comuni dei territori interessati si sono preventivamente dichiarati comuni denuclearizzati –:
   se trovi conferma la notizia di cui in premessa e quali chiarimenti intendano fornire riguardo al cambio di orientamento sulle caratteristiche geo-morfologiche e giaciturali dei siti ennesi, e se non ritengano opportuno tranquillizzare la popolazione e gli amministratori locali informandoli sullo stato procedurale reale della costruzione del deposito nazionale centralizzato per i rifiuti radioattivi.
(4-11132)


   GIGLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il ritardo dell'Italia nel ciclo del rifiuto urbano costa caro: si tratta di una grande opportunità che rischia di andare persa non solo sul fronte dell'ambiente, ma anche per quanto riguarda la crescita economica e occupazionale;
   questo e l'allarme lanciato da uno studio, pubblicato nell'aprile 2015, del Laboratorio Spl (Servizi pubblici locali) di Ref Ricerche-Confesercenti, il quale precisa, altresì, che da un miglioramento del ciclo di trattamento dei rifiuti urbani si possono attendere 10 miliardi di euro di risparmi di costo all'anno e la creazione di 60 mila posti nel riciclo e nel trattamento. Il solo recupero energetico dei rifiuti smaltiti in discarica vale un miliardo di euro all'anno;
   nel confronto europeo il Paese, secondo lo studio citato, non è tra i virtuosi: ad esempio, nell'Unione europea a 28 membri a fronte di una produzione di rifiuti pari a 489 chilogrammi/abitante, l'Italia si situa a quota 505 chilogrammi. Inoltre riesce a trattarne solo 476 chilogrammi/abitante, ossia il 94 per cento (davanti solo a Bulgaria, Slovenia, Romania, Polonia ed Estonia), mentre una dozzina di Paesi arriva al 100 per cento. Ma c’è di peggio: il 41 per cento delle frazioni trattate va a finire ancora in discarica (contro una media dell'Unione europea del 34 per cento e una Germania a zero) ed è fermo al 18 per cento il ricorso al trattamento termico, contro un valore medio del 27 per cento nell'Unione europea a 28, con Danimarca e Olanda al 52 e al 49 per cento;
   questi dati spiegano anche il perché delle numerose procedure di infrazione relative alla normativa comunitaria a carico dell'Italia in materia ambientale, mentre è chiaro che se oltre il 40 per cento dei rifiuti urbani viene smaltito in discarica non si favorisce alcuna iniziativa verso soluzioni in grado di generare qualità, crescita e valore per la collettività. Tutto questo nonostante che la direttiva del 1999 abbia imposto la chiusura delle discariche non a norma e abbia vietato di smaltire in discarica i rifiuti urbani non trattati;
   l'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 (cosiddetto «Sblocca Italia»), prevede la realizzazione di una rete nazionale integrata di impianti di trattamento, la cui individuazione è stata affidata alla Presidenza del Consiglio, superando in tal modo i problemi di coordinamento tra gli attori in campo (regioni, enti locali, gestori);
   dal punto di vista geografico la situazione attuale è molto eterogenea: dei 44 impianti di incenerimento attivi, 28 sono al Nord, 9 al Centro e 8 al Sud. In parallelo, con lo sviluppo infrastrutturale cala il ricorso alla discarica: vi è conferito il 20 per cento dei rifiuti urbani al Nord, contro il 56 per cento al Sud e il 44 per cento al Centro. Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Veneto sono le aree più virtuose (rispettivamente 10 per cento, 7 per cento e 9 per cento). Sul lato opposto finiscono in discarica il 93 per cento e il 71 per cento dei rifiuti in Sicilia e in Calabria;
   tale disomogeneità si riflette anche sul piano degli oneri medi di raccolta e smaltimento rifiuti urbani, passando dai 34 ai 33 centesimi/chilogrammo al Sud e al Centro, mentre il Nord resta sotto i 29;
   se la discarica resterà la modalità di trattamento più conveniente, questo significherà l'invio di segnali tariffari che non incentiveranno gli operatori (gestori e utenti) a prendere altre direzioni, in grado di generare qualità, crescita e valore per la collettività, come testimoniano alcune aziende già esistenti, eccellenze in ambito nazionale e internazionale. Per un Paese che è la patria del bello, della buona alimentazione e del turismo, l'ambiente deve essere il centro di una strategia industriale, un volano di sviluppo –:
   quali tempestive iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di promuovere l'ottimizzazione del ciclo del rifiuto urbano dando seguito – altresì – a quanto previsto dal citato articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, così come convertito dalla legge n. 164 del 2014, in un'ottica di tutela dell'ambiente ma anche di crescita occupazionale ed economica. (4-11137)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   SANTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 gennaio 2013, con nota prot. 15488/siar, la Regione Calabria – dipartimento 11, settore 4, beni culturali – comunicava che, con delibera della giunta regionale, del 16 novembre 2011, aveva approvato l'intervento di restauro della chiesa di San Domenico del comune di Badolato, per un importo pari a 350.000,00 euro;
   con la stessa nota la regione Calabria richiedeva al comune di Badolato, nel termine perentorio di 45 giorni, di inviare un progetto preliminare comprensivo della relazione tecnica, che veniva trasmesso alla stessa con nota prot. 1524 del 14 marzo 2013;
   in data 21 ottobre 2013 l'Assessore della regione Calabria ai beni culturali professor Mario Caligiuri convocava i rappresentanti dei comuni interessati agli interventi ammessi a finanziamento da parte della regione Calabria e, con la presenza del soprintendente per i beni culturali e paesaggistici, sollecitava a redigere con estrema urgenza le progettazioni necessarie per addivenire nel più breve tempo possibile all'aggiudicazione dei lavori;
   con determina n. 29 del 14 febbraio 2014 il comune di Badolato approvava in via definitiva il progetto di manutenzione straordinaria e restauro conservativo della Chiesa di San Domenico di Badolato;
   successivamente, il segretariato regionale per i beni culturali e paesaggistici della Calabria avocava a sé sia l’iter della progettazione che l'espletamento della gara di appalto e, in data 13 novembre 2014, veniva pubblicata sul sito del segretario regionale dei beni culturali paesaggistici della Calabria, con scadenza alle ore 12 del 10 dicembre 2014;
   nel mese di giugno 2015 veniva aggiudicata la gara di appalto, ma i lavori, a distanza di cinque mesi, non sono mai iniziati;
   in data 29 ottobre 2015, a causa di forti piogge torrenziali, il crollo del tetto della chiesa di San Domenico del Comune di Badolato (CZ) – una delle Chiese più importanti di tutto il territorio, per la sua particolare architettura, per i suoi affreschi e per la sue antiche tradizioni – ha causato ingenti danni –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda adottare:
    a) al fine di acquisire elementi in ordine alla causa del mancato inizio dei lavori di ristrutturazione, se l'aggiudicazione della gara medesima da parte della regione Calabria è avvenuta nel mese di giugno 2015;
    b) al fine di garantire l'espletamento dei lavori di ristrutturazione della chiesa di San Domenico di Badolato, resi ancora più urgenti a seguito del crollo del tetto causato dalle forti piogge;
    c) al fine di evitare ulteriori oneri a carico del comune di Badolato per i danni alla chiesa causati dalle forti piogge. (4-11138)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   TONINELLI e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
    con l'articolo 87 della legge finanziaria 2003 (legge 289 del 2002) il legislatore aveva riconosciuto ai possessori di banconote e monete in lire il diritto di convertirle in euro, presso ciascuna delle sedi della Banca d'Italia, fino al 28 febbraio 2012;
   l'articolo 26 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 2141 prevede che, in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 3, commi 1 ed 1-bis, della legge 7 aprile 1997, n. 96, e all'articolo 52-ter, commi 1 ed 1-bis, del decreto legislativo 24 giugno 1998, n. 213, le banconote, i biglietti e le monete in lire ancora in circolazione si prescrivono a favore dell'erario con decorrenza immediata ed il relativo controvalore è versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. La richiamata disposizione ha previsto una deroga al limite temporale di conversione delle banconote, biglietti e monete in lire fissato per il 28 febbraio 2012. La stima delle banconote, biglietti e monete ancora in circolazione era fissata in circa 2 miliardi di euro, così composta: 640.620.000,00 euro iscritti al 31 dicembre 2010 nel bilancio di Banca d'Italia e complessivi 662.000.000,00 di euro a titolo di acconti già versati all'erario (il 28 febbraio 2003 e il 31 gennaio 2008), per un totale di banconote in lire ancora in circolazione pari 1.302.620.000,00 di euro, a cui aggiungere il controvalore di tutte le monete circolanti aventi corso legale, coniate dalla Zecca di Stato, e teoricamente iscritte nel bilancio dello Stato. Tali monete non convertite in euro sembrerebbero però non figurare in alcuna voce del bilancio dello Stato del 2010;
   con la sentenza n. 216 del 2015 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 26 del citato decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201. A giudizio della Corte la norma violerebbe gli articoli 3 e 97 della Costituzione in quanto in contrasto con il principio di affidamento e di certezza del diritto. Inoltre, la norma contrasterebbe anche gli articoli 42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione in relazione all'articolo 1 addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), in quanto realizzerebbe de facto una espropriazione ai danni dei possessori delle banconote in lire ed a favore dello Stato per il connesso trasferimento del relativo controvalore al fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato, nonché a favore dei titolari dei titoli di debito pubblico (per lo più banche ed investitori istituzionali) che vedrebbero così rafforzata la garanzia dei loro crediti;
l'articolo 26 del decreto-legge «Salva Italia» (decreto-legge 201 del 2011) prevedeva che il controvalore delle lire (banconote e monete) ancora in circolazione fosse trasferito immediatamente al «fondo di ammortamento dei titoli di Stato», per un valore quindi di 1.302.620.000,00 euro da parte della Banca d'Italia. Ciò non è avvenuto che in parte. I trasferimenti infatti dalla Banca d'Italia al Fondo di ammortamento titoli di Stato risultano i seguenti:
    euro 600.000.000,00 di euro il 28 giugno 2012 (iscritti in bilancio dello Stato nel 2011 e trasferiti sul conto 552 nel 2012);
    euro 7.070.914,70 di euro l'11 settembre 2013 (iscritti in bilancio dello Stato nel 2012 e trasferiti sul conto 552 nel 2013);
   non si conoscono ancora i tempi e le modalità con le quali avverrà l'esecuzione della sentenza e la conversione delle banconote da parte della Banca d'Italia ed in particolar modo non è stata fatta ancora chiarezza sulla possibilità di procedere alla conversione delle banconote anche da parte di coloro i quali: a) non abbiano attivato un'azione giudiziaria per ottenere il diritto alla conversione; b) non siano nelle condizioni di provare di avere tentato di convertire le lire in euro presso Banca d'Italia, entro il termine del 28 febbraio 2012 –:
   in considerazione dell'immediata esecutività della sentenza della Corte costituzionale come intenda reperire le risorse finanziarie necessarie a garantire la conversione lira-euro, valutando l'opportunità di estendere la facoltà anche a coloro i quali non abbiano presentato un ricorso giurisdizionale e non siano nelle condizioni di provare di avere tentato di convertire le lire in euro presso la Banca d'Italia, entro il termine del 28 febbraio 2012, e se reputi idoneo assumere iniziative anche per indennizare coloro i quali abbiano subito un danno, in conseguenza dalla mancata tempestiva conversione lira-euro;
   come siano state contabilizzate, in termini di date e valori partite di bilancio dello Stato, le monete ancora circolanti in lire, della Zecca di Stato;
   se l'articolo 26 della legge finanziaria per il 2012 stabiliva che tutto il controvalore delle lire ancora in circolazione doveva essere trasferito immediatamente al fondo ammortamento titoli di Stato, per quali motivi solo una parte (euro 607.070.914,70) dei 640.000.000,00  sia stato poi effettivamente trasferito e a che titolo la differenza sia stata eventualmente trattenuta. (4-11126)


   SIBILIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come riportato anche in un articolo pubblicato sull'edizione on line del «Fatto quotidiano» il 5 novembre 2015 e intitolato «Consulta boccia ancora Monti: “illegittima la prescrizione anticipata della lira del Salva Italia”», la Corte Costituzionale (sentenza, 216 del 2015) ha stabilito che la norma contenuta nell'articolo 26 del decreto-legge n. 201 del 2011 (il cosiddetto «Salva Italia») emanato dal Governo Monti in deroga alla legge del 2002 è illegittima;
   secondo la sentenza della Consulta, relatrice la giudice Daria de Pretis, la scelta di anticipare la prescrizione della lira viola i principi di tutela dell'affidamento e di ragionevolezza di cui all'articolo 3 della Costituzione;
   mentre per la legge del 2002 il diritto di convertire in euro le banconote e le monete metalliche in lire poteva essere esercitato fino alla scadenza del termine decennale di prescrizione stabilito, in via generale, a favore dell'erario, e cioè fino al 28 febbraio 2012, il decreto del dicembre del 2011 ha invece disposto la prescrizione anticipata, con effetto immediato, delle lire ancora in circolazione, stabilendo, inoltre, che il relativo controvalore fosse versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato;
   la ratio della prescrizione anticipata della lira risiedeva nel fatto che lo Stato avrebbe risparmiato circa un miliardo e 300 milioni di euro versati poi dalla Banca d'Italia in tre rate nella casse statali per concorrere alla riduzione del debito pubblico;
   per la Corte, come si legge nella sentenza, «nemmeno la sopravvenienza dell'interesse dello Stato alla riduzione del debito pubblico (...) può costituire adeguata giustificazione di un intervento così radicale in danno ai possessori della vecchia valuta»;
   secondo Adusbef e Federconsumatori a fine 2010 non erano stati convertiti in euro circa 2.600 miliardi di vecchie lire in banconote, pari a un miliardo e 300 milioni di euro;
   a seguito della decisione della Consulta si è aperta «una finestra» di tre mesi per convertire la vecchia moneta in euro e gli italiani detentori della lira si stanno rivolgendo alla Banca d'Italia per il cambio. Tuttavia, la Banca d'Italia ha comunicato che «subito dopo aver appreso dell'emanazione della sentenza della Corte, sono stati avviati con il MEF gli approfondimenti necessari per definire le modalità con le quali darvi esecuzione. Le richieste di conversione saranno esaminate non appena esauriti questi approfondimenti»;
   ad oggi, quindi, non si sa come e dove cambiare le lire ancora in circolazione. Una delle soluzione ipotizzate per dare esecuzione alla sentenza della Corte potrebbe essere un decreto attuativo da parte del Ministero dell'economia e delle finanze –:
   come e in quanto tempo il Governo intenda dare attuazione, per quanto di competenza, alla sentenza della Corte costituzionale e consentire ai cittadini italiani ancora in possesso delle lire di convertirle in euro. (4-11131)


   RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel rapporto «Unhappy Meal» pubblicato nel febbraio 2015 da una coalizione di sindacati del settore pubblico europeo (Epsu) e statunitense (Seiu), del turismo e del settore alimentare (Effat) e della organizzazione non governativa «War on Want» vengono rivelati i dettagli della strategia che la multinazionale McDonald's avrebbe adottato per eludere le tasse in Europa, e principalmente in Francia, Italia, Spagna e Regno Unito, nei cinque anni tra il 2009 e il 2013;
   le organizzazioni che hanno realizzato il dossier di cui sopra hanno chiesto alle autorità competenti di chiarire la situazione dei conti della multinazionale McDonald's chiedendo alla Commissione europea, alla Commissione speciale del Parlamento sui tax rulings e alla autorità tributarie dei singoli Paesi di indagare sulle pratiche fiscali di McDonald's e di intraprendere misure appropriate;
   infatti, come risulta dal suddetto dossier a seguito di una riorganizzazione del gruppo realizzata nel 2009, McDonald's ha messo a punto un sistema per il trasferimento delle royalty generate dai suoi ristoranti europei (per lo sfruttamento dei diritti relativi al marchio) verso una società del gruppo con sedi in Lussemburgo e Svizzera;
   si tratta una strategia che permette di godere dei vantaggiosissimi regimi di tassazione dei redditi derivanti dallo sfruttamento dei cosiddetti «beni immateriali», come la proprietà intellettuale. Una pratica fiscale già portata all'attenzione della speciale Commissione Taxe del Parlamento europeo – istituita per combattere le pratiche fiscali sleali – e della Commissione europea per violazione delle regole sulla concorrenza nel mercato unico comunitario;
   in seguito alla pubblicazione del suddetto rapporto le associazioni italiane Codacons, Cittadinanzattiva e Movimento Di- fesa del Cittadino hanno presentato un esposto contro McDonald's per presunta violazione delle norme fiscali e tributarie italiane. Nell'esposto le associazioni chiedono alle istituzioni italiane di indagare su una possibile elusione fiscale a vantaggio di una società del gruppo con sede principale in Lussemburgo e sede secondaria in Svizzera realizzata fra il 2009 e il 2013;
   come si legge nel comunicato stampa del Codacons del 1o ottobre 2015, se accertati, questi comportamenti, potrebbero aver generato un'evasione di imposte ai danni dell'erario italiano stimabile in circa a 74,7 milioni di euro. Oltre al pagamento di quanto dovuto la multinazionale riceverebbe una sanzione compresa tra il 100 e il 200 per cento dell'imposta accertata. Dunque, McDonald's potrebbe dover versare nelle casse dello Stato fino a 224 milioni di euro;
   inoltre, si potrebbero anche configurare reati tributari penali previsti dal decreto legislativo n. 74 del 2000 che darebbero avvio a un'indagine penale;
   sul tema il Commissario europeo alla concorrenza Margrethe Vestager sta valutando l'avvio di un'indagine per un'evasione stimata in oltre 1 miliardo di euro. In Francia, invece, l'inchiesta è già in corso;
   come si apprende dal comunicato di cui sopra, in Italia, McDonald's ha circa 510 ristoranti e 17.500 dipendenti. Nel 2013, McDonald's ha fatturato in Italia più di 1 miliardo di euro;
   le vendite dei ristoranti italiani sono aumentate più del 90 per cento negli ultimi 10 anni, facendo del mercato italiano il quarto mercato più profittevole in Europa e del gruppo McDonald's una delle catene con crescita più costante in Italia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se, a seguito della pubblicazione del dossier e dell'esposto presentato dalle associazioni italiane di cui in premessa, abbia avviato, anche attraverso l'Agenzia delle entrate, i doverosi accertamenti fiscali in merito, considerato il grave danno che si potrebbe configurare ai danni dello Stato qualora la violazione venisse confermata;
   quale sia lo stato delle indagini avviate in merito dalla Commissione europea;
   nel caso in cui la violazione sia accertata, quali sanzioni e iniziative di competenza intenda adottare, alla luce dell'ingente danno ricevuto e delle violazioni delle norme sull'abuso del diritto e sulla disciplina del transfer pricing.
(4-11139)


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   lo schema di decreto legislativo n. 209 recante recepimento della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (cosiddetta BRRD, Bank Recovery and Resolution Directive), sul quale la Commissione politiche dell'Unione europea della Camera dei deputati ha espresso parere favorevole con condizione e osservazione il 10 novembre 2015, affronta il tema della crisi delle banche, e delle imprese di investimento, attraverso l'introduzione di una molteplicità di strumenti aventi carattere preventivo e di intervento immediato;
   in particolare, le nuove regole che introducono a partire dal prossimo 1o gennaio 2016 il ricorso al bail-in, che pone a carico degli azionisti, obbligazionisti e dei creditori, i costi di salvataggio della banca in crisi, prevedono che, nell'ipotesi di dissesto dell'istituto di credito, interverranno i titolari dei conti correnti superiori a cento mila euro, per casi eccezionali e, in ogni caso, dopo soci e obbligazionisti;
   la nuova normativa, a giudizio dell'interrogante, rischia di determinare un impatto, sui risparmiatori e sulle piccole e medie imprese, ignoto e tuttavia con ogni probabilità estremamente rischioso, soprattutto nei confronti dei possessori di titoli obbligazionari bond subordinati Tier 2 non quotati, con conseguenze che possono determinare una riduzione o addirittura l'azzeramento del valore;
   al riguardo, l'interrogante evidenzia come il nuovo impianto normativo, giunge nel momento in cui sono in corso le procedure per risolvere il dissesto di quattro istituti creditizi, come ad esempio la banca delle Marche (commissariata dalla Banca d'Italia), la quale, il 22 dicembre 2005, è stata beneficiaria del finanziamento di 65 milioni di euro da parte di migliaia di risparmiatori, che hanno sottoscritto il suindicato bond, la cui scadenza è prevista tra cinque settimane;
   per le banche commissariate c’è chi ritiene che la conversione dei bond subordinati in azioni, con il loro deprezzamento o azzeramento, scatterà sia che l'Unione europea accetti il salvataggio del fondo interbancario di tutela dei depositi (Fitd), sia che lo rigetti, innestando un piano alternativo con la creazione di una holding finanziata dai grandi gruppi bancari che rilevi gli istituti in crisi;
   i decreti legislativi approvati dal Consiglio dei ministri, il 13 novembre 2015, modificati per accogliere alcune delle osservazioni proposte dalle commissioni parlamentari competenti e che in particolare, rinviano al 2019 l'applicazione delle norme concernenti l'estensione della cosiddetta depositor preference ai depositi diversi, da quelli protetti e di quelli delle persone fisiche e delle piccole e medie imprese (comunque superiori ai 100 mila euro), a giudizio dell'interrogante non sembrano essere sufficienti per garantire un adeguato sistema informativo e di tutela, nei confronti di molti risparmiatori, i quali hanno sottoscritto bond subordinati bancari, anche dieci anni fa, quando il bail-in non esisteva e attualmente detengono con ogni probabilità, senza esserne informati, titoli rischiosi in alcuni casi illiquidi o non quotati, che possono essere inclusi all'interno del bail-in e che non sono o non erano sin dalla sottoscrizione più allineati al loro profilo di rischio;
   al riguardo, l'interrogante evidenzia la necessità di integrare le informazioni e le comunicazioni come prevede la direttiva «MiFID» sulla profilatura dei clienti, anche in considerazione del fatto che altri clienti potrebbero detenere i medesimi titoli per via indiretta: o perché i bond sono sottostanti ad altri strumenti (ad esempio, i pronti contro termine) o perché sono compresi nei panieri di fondi e polizze indicizzate;
   le suindicate osservazioni, a giudizio dell'interrogante, richiedono, a tal fine, un intervento affinché anche la Consob sia coinvolta nella gestione delle crisi bancarie di cui ai decreti delegati approvati il 13 novembre 2015, all'interno del quadro armonizzato a livello dell'Unione europea in tema di risanamento e di risoluzione delle crisi degli enti creditizi e delle imprese di investimento, attraverso una più rigorosa attività di informazione nei confronti dei risparmiatori possessori di titoli obbligazionari coinvolti nel bail-in –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto e se, in considerazione dei rischi finanziari che potrebbero coinvolgere i risparmiatori di titoli azionari e obbligazionari, nell'ambito degli effetti derivanti dall'introduzione del nuovo strumento e delle procedure di bail-in, non ritenga urgente e necessario intervenire, per quanto di competenza, al fine di potenziare le campagne informative in relazione alle emissioni subordinate dei bond a rischio di bail-in, già sottoscritte. (4-11142)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 19 febbraio 2014, nel corso di una conferenza stampa, l'allora direttore del quotidiano L'Ora della Calabria, Luciano Regolo, dichiarava: «Ieri notte si è consumato un fatto gravissimo per la libertà di stampa, la violazione delle più elementari regole della democrazia e del vivere civile»;
   «Ultimata la lavorazione del giornale, a tarda ora – continuava Regolo – l'Editore (Alfredo Citrigno, nda) mi ha chiesto se non fosse possibile ritirare dalla pubblicazione l'articolo relativo all'indagine in corso sul figlio» di un parlamentare calabrese, Antonio Gentile, «al quale sono contestati i reati di abuso d'ufficio, falso ideologico e associazione a delinquere nell'ambito del caso Azienda sanitaria provinciale di Cosenza. Di fronte alla mia insistenza, nella difesa del diritto di cronaca, ho minacciato all'Editore stesso le mie dimissioni qualora fossi stato costretto a modificare il giornale, vanificando il mio lavoro e quello dei miei colleghi». «Mentre discutevamo di questo, in mia presenza», prosegue Regolo, «e in viva voce, l'editore ha ricevuto la telefonata del nostro stampatore Umberto De Rose, il quale, ponendosi come “mediatore” della famiglia (...), faceva ulteriori pressioni per convincerlo a non pubblicare la notizia, ricordandogli che “il cinghiale, quando viene ferito, ammazza tutti”»;
   quel giorno, com’è noto, il quotidiano L'Ora della Calabria non arrivò nelle edicole;
   Umberto De Rose, ex presidente di Fincalabra e stampatore del quotidiano, disse che si era verificato un guasto alla rotativa. Ma il motivo della mancata uscita pare proprio non sia stato quello, almeno per la procura di Cosenza, dato che De Rose è indagato per tentata violenza privata e, dopo la chiusura delle indagini (giugno 2014), nello scorso dicembre la procura di Cosenza ha deciso di ricorrere alla citazione diretta a giudizio;
   come riportato su Il Velino del 20 ottobre 2015, «questa mattina, il giudice Manuela Gallo del tribunale di Cosenza, ha nuovamente rinviato l'udienza per un difetto di notifica proprio a De Rose. Come era già accaduto lo scorso aprile. È da un anno che il processo non riesce a partire. Se ne dovrebbe riparlare quindi dopo le vacanze di Natale quando è previsto di sentire già i primi testimoni, tra i quali l'ex direttore della testata Luciano Regolo e l'ex editore Alfredo Citrigno, parti offese»;
   secondo quanto si legge sul verbale firmato dal giudice Manuela Gallo e riportato da Il Quotidiano del Sud del 12 novembre 2015, «i carabinieri di Rende si sono rifiutati di eseguire la notifica a Umberto De Rose con nota in atti» e dunque si dispone «che la cancelleria curi la notifica a mezzo degli ufficiali giudiziari di Cosenza poiché i carabinieri non sono disponibili ad effettuarla»;
   sulla questione l'ex presidente della commissione speciale di vigilanza del consiglio regionale della Calabria, onorevole Aurelio Chizzoniti, ha presentato un esposto «chiedendo la punizione dei colpevoli per i reati di omissione in atti di ufficio e falso ideologico omissivo nei confronti degli ufficiali giudiziari procedenti (i carabinieri di Rende, nda)»;
   come riportato da La Gazzetta del Sud del 13 novembre 2015, la notifica e finita nel mirino della magistratura bruzia dato che la procura della Repubblica di Cosenza ha aperto un fascicolo d'inchiesta, in mano al procuratore Dario Granieri, per omissione in atti d'ufficio;
   preme sottolineare in questa sede che, stando a dati e fatti oggettivi e insindacabili, dal momento della citazione diretta a giudizio per Umberto De Rose si è assistito, ad avviso dell'interrogante, ad un inspiegabile e illogico rallentamento dei tempi: la prima udienza era stata fissata per il dicembre dello scorso anno, ma di fatto il processo non è mai partito visti i 4 rinvii, sempre perché, prima gli ufficiali giudiziari e poi i carabinieri di Rende, non riuscivano a consegnare e notificare l'atto al diretto interessato –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere per garantire il corretto funzionamento del tribunale di Cosenza, anche verificando eventuali cause di rallentamento delle attività. (4-11134)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 24 febbraio 2015, la DIGOS, l'Interpol e la polizia spagnola hanno arrestato a Roma Carlos Garcia Preciado, cittadino spagnolo che è stato accusato, in Spagna, di aver lanciato una bomba molotov contro la sede di una banca, nella notte del 6 agosto 1997 e di appartenere alla organizzazione terroristica ETA;
   l'ordigno lanciato nel 1997 ha colpito tubature di gas che, esplodendo, hanno provocato un incendio all'interno del palazzo; fortunatamente vi sono stati solo danni materiali e nessuno è stato ferito;
   nel 2000 Carlos Garda Preciado è stato riconosciuto colpevole e condannato a 16 anni di reclusione dalla terza sezione penale del tribunale di Madrid;
   il signor Preciado ha sempre professato la sua innocenza;
   numerosi aspetti del processo sollevano dubbi, come la dichiarazione della testimone-chiave del processo, la quale, successivamente, ha rinnegato la sua testimonianza e addirittura ha smesso di essere presente nella fase conclusiva del giudizio di primo grado;
   pur ammettendo la correttezza del giudizio di colpevolezza, peraltro, l'entità della pena per il fatto descritto appare all'interrogante decisamente sproporzionata;
   al momento del suo arresto in Italia, il signor Preciado è stato detenuto nel carcere romano di Rebibbia e, sebbene si trovasse in condizione di isolamento, durante i colloqui settimanali ha avuto modo di incontrare la moglie e il figlio di sette anni, suoi conviventi prima dell'arresto a Roma;
   il 20 ottobre 2015, il signor Preciado è stato trasferito, senza alcun preavviso, nel carcere di Rossano in Calabria e, questo, nonostante il 25 novembre 2015 sia fissata l'udienza in Cassazione per l'estradizione –:
   quali siano le ragioni che hanno indotto ad adottare il provvedimento di trasferimento nei confronti del signor Preciado;
   anche in considerazione del fatto che l'udienza in Cassazione è imminente, come si concili il trasferimento del signor Preciado con il diritto del figlio minore a poter avere colloqui con lui;
   se, in generale, nel caso del signor Preciado, i diritti ad un trattamento equo e rispettoso delle norme del diritto internazionale siano stati effettivamente e pienamente tutelati. (4-11146)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 novembre 2015 il giornale Nuovo Quotidiano di Puglia ha posto pubblicamente undici domande rivolte all'attuale amministratore di ferrovie sud est Luigi Fiorillo. Le domande sono le seguenti:
    «1) In che modo si spiega il buco da 250 milioni?
    2) Perché ha disertato la commissione in Regione?
    3) Che fine ha fatto l'annunciato piano di risanamento?
    4) Oltre al debito c’è il nodo tfr: cosa farete?
    5) Stipendi in ritardo per 1.300 lavoratori: di chi è la colpa?
    6) La politica boccia l'attuale gestione: come replica?
    7) Cosa pensa del passaggio di Fse alla Regione?
    8) Acquistati 28 treni: perché si usano quelli vecchi?
    9) Quei mezzi sono fermi perché inadatti alla rete?
    10) La Regione in 10 anni ha investito 500 milioni: che fine hanno fatto?
    11) Perché nonostante le inchieste nessun passo indietro»;
   queste domande sopra riportate sono attualmente cadute nel vuoto a causa del comportamento dell'amministratore Fiorillo che, a quanto consta all'interrogante, non si è presentato neppure all'incontro in regione organizzato dalla commissione di riferimento, privando quindi gli amministratori regionali, i lettori del giornale e i cittadini pugliesi di risposte che ormai non possono più essere ritardate visto i gravi problemi in cui si trovano le FSE;
   FSE è di proprietà del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e possa, per quanto di propria competenza, rispondere alle domande poste dal Nuovo Quotidiano di Puglia;
   quale sia la ragione per cui l'amministratore Luigi Fiorillo sia ancora amministratore di FSE, nonostante quelle che appaiano all'interrogante evidenti responsabilità nella gestione di Fse che ha provocato gravi problemi, ed enormi disagi alla cittadinanza. (5-07000)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE GIROLAMO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 novembre 2015, nella piana di San Lorenzello Maggiore (BN), intorno alle 7 del mattino, un convoglio partito da Benevento e diretto a Caserta ha arrestato d'improvviso la marcia dopo che il macchinista si è prontamente reso conto che le barriere del passaggio a livello erano alzate;
   nello stesso momento, essendosi accorti del sopraggiungere del treno, i molti automobilisti presenti hanno anch'essi dovuto arrestare la corsa. Il macchinista è poi ripartito solo quando si è reso conto dei binari liberi;
   l'episodio risulta essere ancora più grave e preoccupante, alla luce di quanto accaduto nella medesima provincia di Benevento solo dieci giorni prima, quando un ragazzo di 25 anni ha perso la vita mentre stava attraversando il passaggio a livello senza barriere di contrada Pantano: un attraversamento ferroviario «protetto» dalla cosiddetta croce di Sant'Andrea, e da un segnale luminoso e sonoro che avvisa i residenti e gli automobilisti dell'arrivo del treno –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa, se intenda avviare le opportune verifiche di competenza volte ad accertare le responsabilità del grave episodio, e quali iniziative intenda intraprendere al fine di garantire le misure di sicurezza necessarie per l'attraversamento dei binari, fondamentali per prevenire qualsiasi tipo di rischio che coinvolga cittadini ed addetti ai lavori.
(4-11130)


   LABRIOLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della XIII giornata dell'economia, tenutasi il 21 luglio 2015 ed organizzata dalla camera di commercio di Taranto, è stato presentato il «Rapporto Taranto 2015», predisposto dal servizio studi camerale insieme all'Istituto Tagliacarne;
   l'incontro di luglio rappresenta dal 2003 un momento fondamentale di analisi e lettura delle dinamiche statistico-economiche relative all'andamento dell'economia del territorio, utile sia per interpretare la reale situazione, sia per fornire spunti e valutazioni per i soggetti chiamati ad operare delle scelte per il settore;
   dal rapporto, che utilizza stime dell’International Monetary Fund (IMF) e dati ISTAT, si evince che la crescita del prodotto a livello globale si attesti, nel 2014, al +3,4 per cento e che le economie avanzate mostrino segni di ripresa meno intensi (+1,8 per cento) rispetto a quelli registrati per i mercati emergenti e le economie in fase di sviluppo (+4,6 per cento), come quelli delle economie emergenti dell'Asia (+6,8 per cento);
   entrando nello specifico dell'area euro, si registra che la crescita sia rimasta piuttosto contenuta con un aumento, di solo (+0,95 per cento), e che a livello nazionale il prodotto sia confermato in area positiva per la Francia (+0,6 per cento), in crescita per la Germania (+1,6 per cento) ed in calo per l'Italia (-0,4 per cento);
   in particolare, per l'Italia si registrano dati, relativi all'attività economica nel 2014, scoraggianti che descrivono esattamente lo stallo del ciclo economico: il livello di fatturato registrato è peggiorato per il 44,7 per cento delle imprese e a soffrirne maggiormente, con percentuali maggiori del 50 per cento, sono soprattutto le imprese di costruzioni, del commercio e del turismo; anche il tasso di disoccupazione nella classe tra i 15 e i 24 anni sale al 43,3 per cento nel periodo riferito al IV trimestre del 2014, in flessione di 0,4 punti percentuali rispetto al dato relativa al IV trimestre dell'anno precedente;
   sempre in base al rapporto, sembra che il 2014 sia caratterizzato da una marcata flessione della ricchezza prodotta in provincia di Taranto, tanto che la dinamica recessiva ha assunto una dimensione maggiore rispetto sia alle altre province pugliesi, sia alle altre province italiane, infatti, la provincia di Taranto è risultata la peggiore area in Italia per andamento del valore aggiunto prodotto con una flessione, rispetto al 2013, del –3,2 per cento;
   inoltre, la perdurante fase recessiva avrebbe prodotto effetti negativi anche sull'occupazione nel 2014 con la riduzione del numero degli occupati in provincia di Taranto del —6,2 per cento rispetto all'anno precedente. La riduzione degli occupati ha colpito entrambi i sessi, ma in modo più accentuato ha, – interessato la componente femminile: gli occupati maschi in provincia di Taranto si sono ridotti del 4,3 per cento, mentre per le femmine la variazione negativa ha raggiunto il 9,4 per cento: ancora più increscioso è il dato relativo alla disoccupazione giovanile (15-24 anni) che è cresciuto di 14 punti percentuali in un anno arrivando al 54,2 per cento;
   come si legge dal sito della camera di commercio di Taranto, il presidente cavalier Luigi Sportelli, durante l'incontro di luglio 2015, illustrando il rapporto, avrebbe rimarcato l'importanza di un piano di sviluppo integrato nel quale tutte le componenti pubbliche, economiche e sociali ritrovino «equilibrio e colmino nel medio e lungo termine il gap di ricchezza che ore sembra irrimediabilmente persa»;
   avrebbe anche sostenuto come sia di fondamentale importanza affrontare in maniera concreta la questione delle infrastrutture, che giocano un ruolo chiave nella ripresa economica dell'area. Attualmente, infatti, le infrastrutture sono fortemente deficitarie e impediscono all'area tarantina di uscire da un isolamento internazionale attestato, che è anche la causa principale della rigidità della sua economia al ciclo economico generale;
   strade, ferrovia, porto ed aeroporto andrebbero sanati, potenziati e modernizzati. In particolare, l'aeroporto Taranto-Grottalie è una infrastruttura che potrebbe essere utilizzata per fini commerciali e turistici, migliorando anche l'accessibilità alla regione Puglia ed alla provincia di Taranto, soprattutto in vista di Matera 2019;
   l'aeroporto di Grottaglie fu costruito, agli inizi del secolo scorso, principalmente per difendere il porto di Taranto, e durante la seconda guerra mondiale servì da base per i velivoli da guerra italiani e tedeschi; nel 1943 subì pesanti bombardamenti e nel dopoguerra fu ricostruito divenendo la base per una nuova scuola di pilotaggio. Nel 1964 divenne aeroporto civile, ma, a seguito del rapporto Lino sulla sicurezza degli aeroporti italiani, fu chiuso e successivamente riaperto nel 1985 ed adibito principalmente ad uso militare. Attualmente è utilizzato in parte dalla Marina militare, guardia di finanza e vigili del fuoco e dal gruppo Alenia Aeronautica, che nel 2006 è divenuta partner della Boeing per la costruzione delle fusoliere e del piano di coda del nuovo Boeing 787. Per facilitare il trasporto dei materiali nel 2006 venne inaugurata la nuova pista di atterraggio, la più lunga d'Italia, ed utilizzata per i voli cargo. L'aeroporto Arlotta di Grottaglie del 2010 è aeroporto doganale e nel 2013 è stato inserito nella lista degli aeroporti di rilevanza nazionale dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   negli ultimi anni sono state numerose le proposte di attivazione di voli passeggeri, tra cui quella effettuata dall'Air Italy nel maggio 2011 e dalla CityLine Swiss nel Gennaio 2014;
   inoltre, la stessa camera di commercio di Taranto e numerose associazioni del territorio fonico continuano a richiedere alla società di gestione Aeroporti di Puglia di accogliere le richieste di voli passeggeri da parte delle compagnie aeree per incentivare il rilancio dell'economia della provincia;
   l'aeroporto, infatti risulterebbe funzionante per i voli passeggeri, ma attualmente destinato ad uso esclusivamente cargo, destinazione che pone la società di gestione Aeroporti di Puglia al centro di numerose polemiche. Diverse associazioni cittadine, come risulta da stampa locale, sosterrebbero che la società di gestione Aeroporti di Puglia voglia impedire l'avvio dei voli passeggeri per non ostacolare il bacino di utenza degli aeroporti di Bari e Brindisi;
   la questione dei voli passeggeri dall'Aeroporto di Taranto-Grottaglie ha portato a diverse manifestazioni di piazza e ad una delibera del consiglio comunale di Grottaglie che impegna la società di gestione a far ripartire i voli passeggeri. Nell'aprile del 2014 anche il consiglio comunale di Statte ha approvato una identica delibera, mentre nel settembre 2013 l'associazione «Taranto Futura» ha presentato una denuncia presso la procura della Repubblica di Taranto;
   da un recente articolo dell'11 novembre, pubblicato da «La Gazzetta del Mezzogiorno.it», si apprende che alcuni consiglieri regionali di minoranza abbiano presentato un ordine del giorno, votato all'unanimità, con cui avrebbero chiesto alla giunta regionale di attivarsi nei confronti di ENAC «per cogliere le proposte avanzate dalla provincia ed operatori privati» ed utilizzare le risorse, destinate «per altre esigenze», ricevute da Aeroporti di Puglia per riaprire l'aeroporto anche ai voli civili –:
   se non ritengano, da quanto espresso in premessa, che sia indispensabile potenziare le infrastrutture per dare agli operatori economici della provincia di Taranto la possibilità di uscire dall'isolamento economico attuale;
   in che modo intendano attivarsi, anche di concerto con gli enti territoriali, al fine di mettere in essere strategie comuni per il potenziamento infrastrutturale;
   quali iniziative urgenti, anche normative, intendano adottare per rilanciare l'Aeroporto Taranto-Grottaglie e destinarlo anche al trasporto passeggeri.
(4-11144)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come emerso da diverse inchieste condotte sia da parte dell'autorità giudiziaria che dalla Commissione parlamentare antimafia, nel litorale sud di Roma è stata accertata la presenza di gruppi criminali facenti capo a tutte le organizzazioni del Sud Italia quali la camorra la ‘ndrangheta e la mafia;
   tra i centri maggiormente colpiti dalla malavita organizzata spicca il comune di Ardea, nella quale sono stati messi in atto diversi sequestri e confische di beni in attuazione della legge antimafia in danno di esponenti di spicco della Banda della Magliana, della ‘ndrangheta e della camorra;
   inoltre, negli ultimi due anni ad Ardea si sono verificati numerosi atti intimidatori in danno di esponenti politici locali, giornalisti e addirittura appartenenti alle forze dell'ordine;
   se a questo si aggiunge anche la presenza di una diffusissima microcriminalità, perlopiù ad opera di soggetti provenienti dai Paesi dell'Est, che annovera frequenti furti in abitazioni e di autovetture, rapine ad esercizi pubblici e banche, nonché aggressioni, risse e accoltellamenti, appare facile comprendere lo stato di paura nel quale vivono i cittadini, ormai timorosi anche di uscire dalle proprie abitazioni;
   Ardea non ha un commissariato, e il più vicino posto di polizia, che dista circa venticinque chilometri, è sotto organico oltre il cinquanta per cento e, nonostante gli impegni presi sia dal sindaco che dall'assessorato regionale alla sicurezza, non si è ancora provveduto all'installazione di telecamere o altri dispositivi di sorveglianza –:
   se non ritenga di assumere con urgenza le iniziative necessarie a garantire la sicurezza dei cittadini nelle località di cui in premessa, potenziando l'organico delle forze di polizia e istituendo un commissariato in loco. (4-11128)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Alienazione parentale (AP), nuova definizione dell'ex PAS, (sindrome di alienazione parentale) è ad avviso degli interroganti uno strumento di pura invenzione di chi vuole paralizzare le scelte di vita delle donne che desiderano separarsi da un uomo violento;
   il Governo pro tempore, a seguito dell'interpellanza parlamentare n. 2-01706 del 16 ottobre 2012, seduta n. 704, ha chiarito che «sebbene la Pas sia stata denominata arbitrariamente dai suoi proponenti con il termine disturbo, l'Istituto superiore di sanità non ritiene che tale costrutto abbia né sufficiente sostegno empirico da dati di ricerca, né rilevanza clinica tali da poter essere considerata una patologia e, dunque, essere inclusa tra i disturbi mentali nei manuali diagnostici»;
   la Corte di Cassazione stessa nel 2013 è ritornata sulla questione precisando che la PAS non ha nessuna validità scientifica e pertanto «nei giudizi in cui sia stata esperita c.t.u. medico-psichiatrica [...] il giudice di merito è tenuto a verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale e che risulti, sullo stesso piano della validità scientifica, oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale, dovendosi escludere la possibilità, in ambito giudiziario, di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare» (Cassazione penale n. 7041 del 20 marzo 2013);
   il Comitato CEDAW (Onu) nel 2011 ha invitato le autorità italiane ad arginare l'utilizzo nei tribunali di riferimenti alla «discutibile teoria della PAS» per limitare la genitorialità materna (Comitato CEDAW, 2011, paragrafo 51); la Società Italiana di Psichiatria non riconosce la Pas come patologia come la ritengono infondata il Ministero Italiano della Salute, gli assessorati alla Sanità dell'Emilia Romagna e della Toscana, l'associazione spagnola di psichiatria, l'associazione psichiatrica americana e quella degli psicologi americani;
   eppure da alcuni giorni sui canali televisivi privati nazionali va in onda uno spot che chiede di donare due euro con un sms per combattere l'AP, sindrome a giudizio degli interroganti falsa, inesistente e sicuramente utilizzata per criminalizzare le madri e difendere padri abusanti o mariti violenti a dispetto della salute e della sicurezza dei minori che hanno visto il padre maltrattare la propria madre;
   lo spot in questione è stato realizzato da Doppia Difesa, associazione onlus che ha sempre dichiarato di lottare contro la violenza esercitata dagli uomini nei confronti delle donne;
   nel comunicato di Doppia Difesa, si legge che le donazioni «saranno impiegate per sostenere le attività progettuali della Fondazione: consulenza e assistenza legale e psicologica alle vittime di violenza, sensibilizzazione dell'opinione pubblica»;
   grazie al lavoro svolto volontariamente dalle associazioni a difesa della donna e dai centri antiviolenza è risaputo che a parità di violenza intra-familiare spesso assistita da minori, la percentuale di uomini maltrattati è circa il 2 per cento rispetto al 98 per cento di donne. Questo accade perché sono di solito gli uomini a non accettare la scelta della donna di allontanarsi dalle violenze subite, usando molto spesso lo «strumento» dei figli per perpetrare la violenza e il diniego alla libertà sulla propria moglie o compagna;
   il triste ricatto messo in atto dai padri che compiono atti di violenza in famiglia ricade in maniera strumentale nei confronti dei figli anche con il ricorso frequente alla minaccia di portarli via all'ex compagna e di farla passare per una madre inadeguata ha lo scopo di protrarre azioni di disturbo nei confronti della donna, madre dei figli, rendendole la vita angosciosa, colpendola negli affetti più profondi con il solo obiettivo di ottenere la sottomissione su aspetti personali ed economici della nuova organizzazione di vita da separata;
   lanciare e diffondere una campagna contro una sindrome inesistente (AP) al fine di sostenere un progetto di legge che vorrebbe introdurre il reato di alienazione parentale, significa secondo gli interroganti esporre a rischi e oltraggiare tutte le donne che hanno figli e vogliono separarsi da un uomo violento e tutte le vittime morte ammazzate per mano dell'uomo che con la scusa di far visita ai propri figli mette in atto azioni omicide;
   inoltre, il 30 ottobre 2015, il progetto, gli spot e l'iniziativa di raccolta fondi venivano presentati alla scuola di perfezionamento delle forze di polizia e nell'ambito di un mirato convegno al Viminale;
   tale iniziativa va indubbiamente a inficiare tutti i percorsi messi in atto sino a oggi per tutelare le donne vittime di violenza;
   la normativa in materia di affidamento e regolamentazione di visita ai figli minori da parte del maltrattante non può essere lasciata all'interpretazione dai servizi sociali, CTU, giudici, avvocati o associazioni onlus;
   in base all'articolo 31 della Convenzione di Istanbul, ratificata dallo Stato italiano con la legge n. 77 del 2013, si afferma che nella scelta in ordine alla custodia dei figli il giudice deve tener conto degli episodi di violenza accaduti in famiglia e della sicurezza di chi tale violenza l'ha subita;
   lo stesso Ministero dell'interno con risposta a diverse interrogazioni parlamentari ha più volte affermato che la Pas ora AP non può essere utilizzata nei tribunali –:
   quali siano i motivi che hanno portato il Ministero dell'interno a ospitare un convegno sull'alienazione parentale, convengo nondimeno pubblicato sul sito internet del dicastero;
   quali siano i motivi per i quali il Ministero abbia permesso la presentazione dello spot pubblicitario dell'associazione Onlus Doppia Difesa presso la scuola di perfezionamento delle forze di polizia;
   se si intenda quindi con tali azioni istituzionali avallare e sostenere l'iniziativa di Doppia Difesa relativamente alla Pas o AP, a giudizio degli interroganti priva di qualsiasi fondamento giuridico e scientifico. (4-11141)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NICOLETTI, GHIZZONI e NARDUOLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il sistema universitario e della ricerca italiano deve essere sottoposto a una procedura sistematica e rigorosa di valutazione sulla base di parametri internazionalmente riconosciuti e che, più in generale, si deve sviluppare, dentro e fuori le università, una «cultura della valutazione e dell’accountability» che superi l'idea che vi possano essere settori e istituzioni pubbliche o finanziate da denaro pubblico sottratte a una verifica puntuale della loro qualità;
   il sistema universitario svolge all'interno della società funzioni diverse (in particolare, quelle relative alla didattica e quelle relative alla ricerca) ed ognuna di queste è assolutamente necessaria per il Paese e dunque deve essere valutata e valorizzata in modo specifico e adeguato alla sua importanza;
   l'introduzione di meccanismi premiali di finanziamento svolge la sua funzione positiva di incentivazione al miglioramento del sistema laddove essa si accompagna e non sostituisce i meccanismi ordinari di finanziamento che devono consentire ad ogni parte vitale del sistema di svolgere la propria funzione;
   le migliori pratiche di valutazione del sistema universitario e della ricerca di incentivazione all'innovazione si basano sul coinvolgimento attivo e positivo degli operatori;
   i meccanismi di valutazione adottati fino a questo momento a livello italiano e i finanziamenti premiali ad essi legati non sono stati accompagnati da un'azione di recupero delle risorse tagliate nell'ultimo quinquennio al sistema universitario come richiesto con forza dalla CRUI per consentire non solo l'innovazione ma la sopravvivenza stessa di una seria offerta formativa diffusa, un effettivo diritto allo studio, un significativo reclutamento delle più giovani leve di ricercatori;
   in concomitanza con la nuova procedura di valutazione della ricerca (VQR 2011-2014) si stanno manifestando nella comunità universitaria dei docenti, ricercatori e studenti da un lato forme diffuse di protesta tra docenti e ricercatori, dall'altro minacce di ricorso a provvedimenti sanzionatori da parte di rettori e senati accademici;
   tali forme di protesta talvolta sono espressione di resistenze al cambiamento, talvolta di sincera preoccupazione per il complessivo impoverimento del sistema e per la penalizzazione dei più giovani –:
   quali iniziative il Ministro stia intraprendendo per assicurare che la quota premiale di finanziamento sia realmente aggiuntiva rispetto al finanziamento ordinario del sistema universitario e della ricerca;
   quali dimensioni stia assumendo la protesta di docenti e ricercatori e come sia distribuita sul territorio nazionale;
   quali sanzioni siano state annunciate da rettori e senati accademici e quali iniziative il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca intenda intraprendere per garantire, nel rispetto dell'autonomia universitaria, un'eventuale equità di trattamento dei docenti coinvolti;
   quali iniziative di competenza il Ministro abbia messo in atto per promuovere il dialogo e il coinvolgimento dei soggetti attivi e motivati del sistema universitario e della ricerca che soli possono garantire processi efficaci di valutazione e di innovazione e se non preveda di istituire presso il Ministero un tavolo di confronto su questi argomenti. (5-06998)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIGLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la libertà di circolazione e soggiorno delle persone all'interno dell'Unione europea costituisce la pietra angolare della cittadinanza dell'Unione europea, introdotta dal trattato di Maastricht nel 1992;
   essa ha comportato innanzitutto la graduale abolizione delle frontiere interne in virtù degli accordi di Schengen, inizialmente in un numero limitato di Stati membri. Le disposizioni in materia di libera circolazione delle persone sono attualmente stabilite dalla direttiva 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, benché l'attuazione di tale direttiva continui a incontrare considerevoli ostacoli;
   la principale motivazione dei cittadini dell'Unione per avvalersi della libera circolazione è data dal lavoro, seguita dalle ragioni familiari. Di tutti i cittadini dell'Unione che nel 2012 soggiornavano in uno Stato membro diverso dal proprio («cittadini mobili dell'Unione»), oltre tre quarti dei quali (78 per cento) erano in età attiva (15-64 anni) rispetto al circa 66 per cento che la fascia rappresenta fra i cittadini del Paese. Il tasso medio di occupazione dei cittadini mobili dell'Unione (67,7 per cento) era superiore a quello di coloro che risiedevano nello Stato membro di cui avevano la cittadinanza (64,6 per cento). Tra i cittadini mobili dell'Unione, gli inoccupati (tipicamente studenti, pensionati, persone in cerca di occupazione, familiari inattivi) costituiscono soltanto una percentuale limitata del totale; inoltre, il 64 per cento di essi ha già lavorato in precedenza nel paese in cui soggiorna e il 79 per cento appartiene a un nucleo familiare in cui almeno una persona è occupata. Tra il 2005 e il 2012 il tasso complessivo di inattività è sceso tra i cittadini mobili all'interno dell'UE;
   nel quadro del mercato unico la libera circolazione dei lavoratori ha effetti positivi sulle varie economie e sui diversi mercati del lavoro, e le quattro libertà fondamentali (la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali), indissolubilmente legate tra loro, creano i presupposti di una destinazione più efficiente delle risorse all'interno dell'Unione europea. La libera circolazione dei cittadini dell'Unione stimola la crescita economica in quanto permette alle persone di viaggiare, studiare e lavorare oltre frontiera e mette a disposizione dei datori di lavoro che intendono assumere personale un bacino più ampio di talenti cui attingere. Dati i notevoli squilibri esistenti tra i diversi mercati del lavoro europei e il calo della popolazione in età attiva nel continente, la mobilità del lavoro contribuisce a colmare il divario tra competenze offerte e posti di lavoro disponibili;
   la libera circolazione delle persone, tuttavia non riguarda esclusivamente i lavoratori. Mentre si afferma sempre più la nozione di cittadinanza europea nell'Unione, infatti, è opportuno garantire tale libertà alle persone che ancora non lavorano. Malgrado un quadro legislativo in materia di libera circolazione dei lavoratori e di riconoscimento delle qualifiche professionali, accanto ai numerosi programmi europei di scambi, permangono ostacoli che rendono ancora difficile la mobilità effettiva degli studenti, delle persone in fase di formazione, dei giovani volontari, degli insegnanti e dei formatori;
   a questo proposito la citata direttiva 2004/38/CE chiarisce lo status di lavoratori dipendenti e autonomi, studenti e persone che non hanno un lavoro retribuito e specifica, altresì, che i cittadini dell'Unione europea in possesso di carta d'identità o passaporto in corso di validità possono vivere in un altro paese dell'Unione europea per un periodo superiore a tre mesi a determinate condizioni, in base al loro status nel Paese ospitante. I lavoratori, dipendenti o autonomi, non devono soddisfare condizioni aggiuntive. Gli studenti e coloro che non hanno un lavoro retribuito, come ad esempio i pensionati, devono disporre di risorse sufficienti per sé e per la propria famiglia, in maniera tale da non gravare sul sistema di assistenza sociale del paese ospitante, nonché di un'assicurazione malattia che copra tutti i rischi;
   in Europa i sistemi di istruzione hanno radici profonde e sono molto variegati. L'Unione europea non ha quindi una politica di istruzione comune, ma il suo ruolo è invece quello di favorire la mobilità e gli scambi, creando una reale cooperazione fra gli Stati membri attraverso: programmi multinazionali in materia d'istruzione, di formazione e di giovani, programmi di scambio e opportunità di apprendimento all'estero, progetti innovativi di insegnamento e apprendimento, nonché reti di competenze in campo accademico e professionale;
   in Italia le università, che si muovono in autonomia in base alla loro struttura amministrativa, sono promotrici di numerose iniziative e programmi nel campo della mobilità e degli scambi;
   nell'Unione europea vige il principio fondamentale di non discriminazione in base alla cittadinanza tra gli studenti di uno Stato membro e quelli dello stesso Stato che frequentano corsi in un altro Stato membro. Questo principio vale anche per le condizioni d'ammissione ad un istituto d'insegnamento o di formazione, in materia di tasse d'iscrizione o di condizioni per la concessione di una borsa di studio, destinata a coprire l'importo di queste tasse d'iscrizione;
   tutti gli Stati dell'Unione prevedono, nella loro legislazione, un'assistenza finanziaria agli studenti universitari e in alcuni Stati membri, se uno studente decide di seguire un corso in un altro Stato membro, la legislazione consente anche il trasferimento della borsa di studio concessa. Questo significa che lo studente può continuare a beneficiare dell'aiuto finanziario concesso dal proprio Paese anche quando frequenta un corso in un altro Stato membro;
   la mobilità degli studenti nel mondo dell'istruzione è uno dei punti forti dell'Unione europea che si impegna a favorire lo «spostamento temporaneo» di giovani al fine di facilitare l'acquisizione degli strumenti culturali adeguati alle esigenze del contesto europeo, e di migliorare la trasparenza ed il riconoscimento dei titoli conseguiti. Cambiare Paese, metodo e cultura apre la mente e forma un carattere universale. Questo potrebbe essere il futuro dell'istruzione e del mondo del lavoro, che cerca giovani versatili, creativi, in grado di comunicare con l'altro a 360 gradi. Sta crescendo, infatti, sempre più la consapevolezza che i processi educativi abbiano un ruolo determinante nella costruzione del cittadino europeo, una persona capace di capire e conciliare la propria storia con quelle diverse dalla propria;
   numerosi sono i programmi dell'Unione europea per la mobilità degli studenti: Erasmus, Erasmus Mundus, Lifelong Learning (all'interno dei quali si trovano quattro programmi settoriali: Comenius, Erasmus, Leonardo da Vinci, Grundtvig) Azione Jean Monnet, Tempus e altri ancora;
   tutto quanto sopra esposto rischia di essere vanificato nel momento in cui in alcuni Stati membri si verificano casi, riferiti all'interrogante, del negato riconoscimento a studenti europei della validità dei titoli conseguiti nel Paese di origine ai fini dell'ammissione a corsi o facoltà universitarie di un altro Stato membro;
   è il caso di quanto avviene in Portogallo, dove — come riferito all'interrogante — la Direcao — General do Ensino Superior(DGES) del Ministero dell'educazione e della scienza ha negato ad uno studente italiano l'ammissione al corso di biologia marina della facoltà di scienza e tecnologia dell'università dell'Algarve;
   la DGES ha sostenuto in proposito che l'esame finale sostenuto al termine del ciclo di studio della scuola secondaria di secondo grado che nel nostro Paese è titolo di accesso a tutte le facoltà universitarie, ad eccezione di quelle che prevedono un numero limitato di posti (facoltà a numero chiuso) e nelle quali si accede previo superamento di un test di ammissione specifico, non avrebbe la medesima validità dell'omologa prova che deve essere sostenuta e superata dagli studenti portoghesi per frequentare il citato corso di biologia marina;
   tale obiezione avrebbe avuto senso se allo studente italiano fosse stato permesso di partecipare al concorso nazionale di accesso previsto per gli studenti portoghesi, risultando altrimenti impossibile accedere ai corsi di biologia marina;
   la convenzione sul riconoscimento dei titoli di studio relativi all'insegnamento superiore nella regione europea (nota anche come «Convenzione di Lisbona») approvata l'11 aprile 1997, ratificata dall'Italia con legge 11 luglio 2002, n. 148, nel quadro più ampio del riconoscimento del diritto allo studio e del riconoscimento dei titoli di studio, annovera tra i suoi principali obiettivi quello di consentire ai diplomati della scuola secondaria superiore di accedere alle università e agli altri istituti di istruzione superiore di tutti i Paesi;
   l'autoreferenzialità di molti atenei e docenti, le barriere difensive elevate dalle corporazioni professionali nazionali, nonché il pregiudizio circa la qualità dell'istruzione superiore degli altri Paesi sono atteggiamenti e comportamenti che rischiano di coagularsi in una pericolosa miscela di protezionismo e di infettare il corpo sociale europeo con il virus dell'autarchia –:
   quali tempestive iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare al fine di garantire la mobilità internazionale di studenti e laureati e la libera circolazione dei professionisti, anche con riferimento al caso citato in premessa, attuando altresì quanto previsto dalla citata convenzione di Lisbona.
(4-11136)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIGLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo uno studio di Ref Ricerche — Confesercenti del giugno 2015, l'applicazione della legge 28 giugno 2015, n. 92, recante cosiddetta legge Fornero di riforma della previdenza ha portato ad un rapido aumento dei lavoratori compresi tra i 55 ed i 65 anni: rispetto al 2010, oggi ce ne sono quasi un milione in più. Un ulteriore ostacolo all'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, che si somma alle difficoltà dovute alla crisi;
   la ridotta domanda di lavoro, infatti, ha sicuramente limitato molto le opportunità di ingresso per i giovani. Ma anche la rallentata uscita dei lavoratori più anziani ha comportato un aggravio della situazione. Simulazioni per il quadriennio 2011-2014 effettuate «al netto della riforma», ovvero partendo dalle tendenze osservate fino al 2010, evidenziano come anche senza la «riforma Fornero» si sarebbe osservato comunque un incremento non trascurabile del tasso di attività per la classe matura (55-64 anni), pari a 4 punti percentuali in un quadriennio;
   tuttavia, i dati effettivi, osservati ex-post e che includono quindi gli effetti della riforma, hanno evidenziato come invece il tasso di attività per questa classe di età si sia bruscamente innalzato di oltre 11 punti in quattro anni. I numeri assoluti sono impressionanti: si tratta, infatti di quasi un milione (919 mila) attivi in più rispetto al 2010 e 815 mila occupati nella classe 55-64. Tale incremento ha in parte spiazzato l'occupazione giovanile, dato il periodo di domanda di lavoro in flessione per effetto della crisi, e quindi insufficiente ad assorbire l'offerta aggiuntiva;
   già prima della crisi, infatti, per i giovani l'ingresso nel mercato del lavoro risultava particolarmente difficoltoso; stime dell'Ocse indicano come in Italia fossero mediamente necessari 25,5 mesi per trovare un primo impiego (contro i 18 della Germania, i 19 del Regno Unito e i 14 della Danimarca). La situazione è però nettamente peggiorata con la crisi. Secondo i dati più recenti diffusi dall'Istat, a inizio 2015 tra i giovani tra i 18 e i 29 anni il tasso di disoccupazione è pari al 32 per cento, un livello più che raddoppiato rispetto alla situazione pre-crisi (15 per cento nel 2008);
   anche in questo caso hanno inciso le riforme previdenziali pregresse. Se durante gli anni ottanta e novanta il tasso di partecipazione (e di conseguenza quello di occupazione) è, infatti, andato calando per la classe d'età compresa tra i 55 e i 64 anni, a fronte di un andamento invece stabile nella media europea, con il primo decennio degli anni duemila si è registrata un'inversione di tendenza. Si è infatti osservato un progressivo innalzamento del tasso di partecipazione e in quello di occupazione nelle classi di età più matura, da ricondurre a effetti dell'innalzamento dell'età di pensionamento conseguenza delle riforme degli anni novanta. In questo quadro hanno inciso anche la maggiore diffusione di lavori mediamente più qualificati e meno usuranti, che si associa anche ad una maggiore propensione a restare più a lungo al lavoro;
   la situazione dell'occupazione giovanile nel nostro Paese sembra essere migliorata nella seconda parte del 2015: a partire dal mese di luglio, infatti, dati dell'Istat e di Intesa Sanpaolo certificano come l'incipiente ripresa del ciclo economico (sia pur modesta) abbia, accanto agli effetti delle misure governative, cominciato ad avere un impatto tangibile sulla disoccupazione;
   la volatilità dei dati e la lentezza della ripresa hanno, tuttavia, stimolato il dibattito relativo alla necessità di rendere meno rigidi i paletti fissati dalla «riforma Fornero» in materia di accesso alle pensioni, nella convinzione — espressa anche dal Ministro interrogato — che l'uscita anticipata dei lavoratori avrebbe agevolato l'accesso nel mondo del lavoro dei giovani;
   valutata in un primo momento la possibilità di inserire la flessibilità utile all'uscita anticipata dal posto di lavoro nella legge di stabilità per il 2016, il Governo ha rinviato qualsiasi decisione sull'argomento ai prossimi provvedimenti in materia;
   l'introduzione di una flessibilità in uscita, ottenuta attraverso un ammorbidimento delle regole previdenziali, è un'ipotesi molto importante, anche in considerazione del fatto che nel 2020 l'Italia avrà l'età pensionabile più alta d'Europa e che questo dato, combinato con l'invecchiamento generale della popolazione, renderebbe la situazione sopradescritta relativa al mercato del lavoro ancora più preoccupante –:
   quali tempestive iniziative intenda adottare in materia di flessibilità in uscita al fine di realizzare quella «staffetta» intergenerazionale tra lavoratore anziano e neoassunto che, nel quadro di una riforma previdenziale più organica, potrebbe risultare di grande beneficio nel promuovere l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. (4-11135)


   PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'INAIL ha rilevato che l'aumento del numero dei lavoratori deceduti per infortunio nel periodo gennaio-settembre 2015, rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente, si attesta al 13,5 per cento, in controtendenza rispetto alla riduzione registratasi dal 2002 al 2014. Tale incremento è stato pari, in termini assoluti, a 102 decessi in più rispetto al 2014. Tali dati sono stati resi noti dalla Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Teresa Bellanova, rispondendo a una interpellanza il 30 ottobre 2015;
   i numeri forniti dall'INAIL non sono onnicomprensivi, ovvero non comprendono tutti gli infortuni sul lavoro, tanto con riferimento ai decessi, tanto agli incidenti non mortali. Infatti, l'INAIL monitora soltanto i suoi assicurati, da cui restano fuori numerose categorie, come quella delle partite Iva individuali, quella dei vigili del fuoco, dei poliziotti, dei carabinieri, dei «lavoratori in nero» e dei pensionati in agricoltura, solo per citarne alcuni;
   i numeri degli infortuni sui luoghi di lavoro sono pertanto molto più alti. Secondo l'Osservatorio di Bologna, dall'inizio dell'anno al 13 novembre 2015, sono morti sui luoghi di lavoro 621 lavoratori; con le morti sulle strade e in itinere si superano i 1280 morti complessivi (stima minima);
   secondo i dati forniti dall'INAIL, ma confermati sostanzialmente dall'Osservatorio di Bologna, l'incremento degli infortuni mortali nel 2015 è ascrivibile, principalmente, a quelli in itinere, aumentati del 24 per cento rispetto al 2014, mentre l'incremento dei casi di infortunio mortale in occasione del lavoro è pari al 10 per cento;
   la stessa situazione si ha guardando i dati relativi all'anno precedente. L'INAIL ha riconosciuto nel 2014 complessivamente 662 morti sul lavoro; di questi, il 52 per cento sono morti in itinere e sulle strade, sebbene le denunce per infortuni mortali sono state 1107. Secondo l'Osservatorio di Bologna, che ha documentato 661 vittime del lavoro, nel 2014, il numero delle vittime sale a oltre 1300 se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere;
   i dati degli ultimi anni sembrano confermare che la prima causa di morte sul lavoro – in aumento – è data dagli incidenti stradali, siano essi avvenuti durante il lavoro stesso o in itinere (cioè durante gli spostamenti fatti per andare da casa al lavoro e viceversa);
   da una ricerca statistica effettuata da Ornella Pezzotta, sulla base di dati INAIL, si ricava un dato che colpisce molto: mediamente, negli ultimi 5 anni il 45 per cento degli infortuni mortali sul lavoro sono legati ad un incidente stradale: il 20 per cento «in occasione di lavoro» e il 25 per cento «nel tragitto casa-lavoro-casa»;
   mentre per troppi anni si discuteva solo delle «stragi del sabato sera», pochi o nessuno notava che le statistiche collocano il maggior numero di incidenti stradali nelle prime ore del mattino e nella fascia oraria tra le 16 e le 20, proprio in coincidenza con l'inizio e la fine dell'orario di lavoro;
   in questo contesto, è necessario prendere consapevolezza che gli enti e le istituzioni preposte alla promozione della sicurezza e della salute dei lavoratori devono porre una specifica attenzione al tema degli spostamenti su strada dei lavoratori per cercare di invertire il trend negativo;
   è necessario sviluppare interventi e progetti rivolti specificamente alla questione degli spostamenti su strada, soprattutto in collaborazione con i datori di lavoro ed i responsabili aziendali; così come occorre valutare la possibilità di sviluppare veri e propri sistemi di gestione per la riduzione del rischio stradale e integrare e migliorare il sistema dei trasporti pubblici in funzione delle esigenze delle aziende e dei lavoratori;
   sarebbe opportuno indagare anche un dato singolare riferito alla differenza di genere negli infortuni in itinere. Guardando ai dati del 2013, infatti, emerge che tra le lavoratrici, un decesso su due è legato al rischio strada, mentre tra i lavoratori solo un incidente mortale su cinque avviene in itinere;
   in caso di infortunio in itinere, l'ordinamento prevede l'indennizzabilità se ricorrono le ipotesi previste dall'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 1124 del 1965, come integrato dall'articolo 12 del decreto legislativo 38 del 2000. Tale disciplinata fu introdotta sulla scia di una giurisprudenza trentennale, che aveva ampliato il numero delle situazioni rientranti nella fattispecie concettuale di infortunio «in itinere»; tuttavia, sono ancora molte le tipologie di infortuni in itinere che rimangono non indennizzabili;
   ad esempio la Federazione italiana amici della bicicletta Onlus, fin dal 2007, ha elaborato una bozza di proposta di legge, sulla quale erano state raccolte oltre 10.000 firme, consegnate nel 2010 al gruppo parlamentare «Amici della Bicicletta». La bozza di proposta di legge prevedeva che l'infortunio occorso al lavoratore che si reca in lavoro in bicicletta sia sempre riconosciuto, mentre tutt'oggi lo è solo in alcuni casi –:
   quali specifiche iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nonché promuovere d'intesa con le regioni, per quanto di competenza, per contrastare il fenomeno delle vittime sul lavoro dovute ad infortuni in itinere;
   se non ritenga opportuna la costituzione di una commissione di studio del fenomeno degli infortuni in itinere, che possa analizzare i dati e avanzare proposte d'intervento, ponendo attenzione anche alla differenza di genere delle vittime;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per la revisione della disciplina dell'indennizzabilità degli infortuni in itinere al fine di ampliare le ipotesi contemplate dalla fattispecie normativa. (4-11145)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   LOSACCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la stagione della raccolta delle olive si annuncia molto positiva in Puglia e la produzione dopo i pessimi risultati dell'anno scorso farà segnare un importante incremento sia in termini di qualità che di quantità;
   la minaccia all’«oro verde» di Puglia non arriva solo dalla concorrenza sleale e dalla contraffazione ma anche dai predoni delle campagne, dove si registrano raid di squadre organizzate, che in un'ora riescono a raccogliere oltre un quintale di olive;
   rapinare una cisterna piena di olio può fruttare anche oltre 200 mila euro;
   i tentativi di furti sono ripresi anche quest'anno, tanto da aver spinto alcuni agricoltori ad organizzarsi con ronde, mentre altri si sono affidati ad istituti di vigilanza;
   molti comuni sono corsi ai ripari predisponendo delle squadre di intervento per contrastare furti e ciò riguarda le campagne di Bitonto, Andria, Barletta, Bisceglie, Minervino Murge, Ruvo, Palo del Colle, Terlizzi, Canosa, Molfetta, Noicattaro, Rutigliano, Conversano, Gioia Turi, Acquaviva, Sammichele, Casamassima, Locorotondo, Putignano, Castellana Grotte, Monopoli;
   le olive rubate alimentano una filiera illegale nella quale si inseriscono grossisti spesso «improvvisati» che rivendono a prezzo maggiorato (anche 20 euro in più al quintale) ai frantoi del Centro e Nord Italia dove la produzione olivicola è stata scarsa per diversi fattori, ma dove la richiesta di olio e la presenza di impianti di trasformazione è comunque alta;
   le forze dell'ordine hanno già arrestato numerose persone dedite a furti di olive e di olio trasformato;
   occorre rafforzare la vigilanza e la presenza delle forze dell'ordine, anche utilizzando strumenti tecnologici –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale fenomeno e quali iniziative intenda adottare non solo per il rafforzamento della vigilanza da parte delle forze dell'ordine ma anche per prevedere misure di sostegno fiscale per l'installazione di strumenti tecnologici, come ad esempio videocamere e sistemi di allarme, o detrazioni per le spese sostenute per pagare istituti di vigilanza privati, al fine di contrastare un fenomeno purtroppo in crescita che penalizza un comparto che vive già non poche difficoltà, quale quello olivicolo. (3-01851)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MONGIELLO e OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4 del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, recante «Disposizioni urgenti per il recupero del potenziale produttivo e competitivo del settore olivicolo-oleario», ha previsto l'istituzione, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di un fondo per sostenere la realizzazione del piano di interventi nel settore olivicolo-oleario con una dotazione iniziale pari a 4 milioni di euro per l'anno 2015 e a 14 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017. Il piano è finalizzato a contribuire alla ristrutturazione del settore olivicolo-oleario, alla luce delle particolari criticità produttive del settore e in relazione alle crescenti necessità di recupero e rilancio della produttività e della competitività delle aziende olivicole, nonché per perseguire il miglioramento della qualità del prodotto, anche ai fini della certificazione e della lotta alla contraffazione;
   la norma ha previsto che, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, adottato previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, fossero definiti i criteri e le modalità di attuazione del piano di interventi;
   il decreto interministeriale deve prevedere, in particolare, il conseguimento dei seguenti obiettivi:
    a) incrementare la produzione nazionale di olive e di olio extravergine di oliva, senza accrescere la pressione sulle risorse naturali, in modo particolare sulla risorsa idrica, attraverso la razionalizzazione della coltivazione degli oliveti tradizionali, il rinnovamento degli impianti e l'introduzione di nuovi sistemi colturali in grado di conciliare la sostenibilità ambientale con quella economica, anche con riferimento all'olivicoltura a valenza paesaggistica, di difesa del territorio e storica;
    b) sostenere e promuovere attività di ricerca per accrescere e migliorare l'efficienza dell'olivicoltura italiana;
    c) sostenere iniziative di valorizzazione del made in Italy e delle classi merceologiche di qualità superiore certificate dell'olio extravergine di oliva italiano, anche attraverso l'attivazione di interventi per la promozione del prodotto sul mercato interno e su quelli internazionali;
    d) stimolare il recupero varietale delle cultivar nazionali di olive da mensa in nuovi impianti olivicoli integralmente meccanizzabili;
    e) incentivare e sostenere l'aggregazione e l'organizzazione economica degli operatori della filiera olivicola, in conformità alla disciplina delle trattative contrattuali nel settore dell'olio di oliva, prevista dal regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013;
   con la norma approvata, il Governo ed il Parlamento hanno inteso creare i presupposti per far raggiungere all'Italia l'obiettivo di produrre almeno 650 mila tonnellate di olio d'oliva annue;
   in particolare, gli interventi puntano al recupero del potenziale produttivo e competitivo, con aumento del 25 per cento delle quantità prodotte a livello nazionale nei prossimi 5 anni, arrivando a quota 650 mila tonnellate. Gli interventi si dovrebbero concentrare sulla struttura della singola azienda per elevare la capacità quantitativa di produzione, come indicato prioritariamente dal piano per l'olio presentato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali alla filiera olivicola-olearia;
   l'Italia è il principale produttore mondiale di olio di oliva dopo la Spagna, ma a differenza di tutti gli altri produttori, solo il nostra Paese ha la capacità di poter collocare positivamente tutto il prodotto oleario su ogni mercato internazionale a prezzi remunerativi. Ciò grazie alla consolidata buona reputazione di cui gode il marchio made in Italy, specialmente quello associato all'olio extravergine di oliva;
   anche durante i lavori svolti dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale si è ribadito da parte di tutte le autorità giudiziarie e di polizia udite, oltre che dalle organizzazioni commerciali che, per vendersi bene, l'olio extravergine di oliva deve possedere inderogabilmente un riferimento italiano, ovvero una relazione con le sue regioni o il proprio territorio tradizionale olivicolo;
   di conseguenza si sono verificate anche numerose frodi che alcuni produttori industriali, spesso stranieri – parte dei quali hanno anche acquisito marchi commerciali italiani per poter beneficiare dei vantaggi che tali segni nazionali offrono – compiono sull'olio extravergine di oliva, sia indicando falsamente l'origine italiana del loro olio, sia producendo falso olio di oliva, tramite tecniche di raffinazione di oli scadenti o miscelando tra di loro oli di differenti categorie o di diverse origini vegetali;
   l'Italia deve urgentemente recuperare il proprio deficit di produzione olivicola e riprendere un ruolo guida anche nel comparto rurale dell'olivicoltura, il più ampio nel mondo in quanto a varietà di cultivar e di biodiversità ambientali;
   sono trascorsi ormai oltre 4 mesi dalla data di entrata in vigore della norma che ha finanziato il piano olivicolo nazionale e sono quindi già trascorsi inutilmente più di due mesi da quando si sarebbe dovuto approvare il decreto ministeriale necessario per la sua attuazione –:
   quale sia lo stato di attuazione dell'articolo 4 del decreto-legge n. 51 del 2015 nel testo consolidato;
   in quali tempi si preveda l'emanazione del decreto previsto dal comma 1 del predetto articolo 4 del decreto-legge n. 51 del 2015;
   quali iniziative intenda intraprendere per evitare la perdita dei finanziamenti che la norma in questione dispone per l'anno 2015. (5-06999)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROBERTA AGOSTINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sulla base della relazione del Ministro della salute sull'attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (legge n. 194 del 1978) del 26 ottobre 2015, si può affermare che per la prima volta in Italia il numero delle interruzioni di gravidanza è inferiore a 100.000: nel 2014 sono state notificate dalle regioni 97.535 interruzioni volontarie di gravidanza (dato provvisorio), con un decremento del 5,1 per cento rispetto al dato definitivo del 2013 (102.760 casi), e un dimezzamento rispetto alle 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia;
   il tasso di abortività (numero delle interruzioni volontarie di gravidanza per 1.000 donne tra 15-49 anni) nel 2014 è risultato pari a 7,2 per 1000, con un decremento del 5,9 per cento rispetto al 2013 (7,6 per 1000) e un decremento del 58,5 per cento rispetto al 1982 (17,2 per 1000). Il valore italiano rimane tra i più bassi di quelli osservati nei Paesi industrializzati;
   se è vero che diminuiscono gli aborti, è altrettanto vero che intere strutture non garantiscono il servizio. I valori di obiezione riscontrati dalla relazione nel 2013 restano elevati soprattutto tra i ginecologi — a obiettare sono il 70,0 per cento cioè più di due su tre — un dato che tende a stabilizzarsi dopo il notevole aumento degli ultimi anni. Il rapporto ha osservato poi un ulteriore incremento di obiettori tra il personale non medico, con valori che sono passati dal 38,6 per cento nel 2005 al 46,5 per cento nel 2013. Le maggiori differenze si riscontrano a livello regionale. I picchi sono al centro sud, con percentuali di obiezione tra i ginecologi superiori all'80 per cento: in Molise (93,3 per cento), nella provincia autonoma di Bolzano (92,9 per cento), in Basilicata (90,2 per cento), in Sicilia (87,6 per cento), in Puglia (86,1 per cento), in Campania (81,8 per cento), nel Lazio e in Abruzzo (80,7 per cento). Quattro ospedali pubblici su dieci non applicano la legge n. 194: dalla relazione emerge infatti che nel 2013 a livello nazionale il numero totale delle strutture che effettuano le interruzioni volontarie di gravidanza corrisponde solo al 60 per cento del totale delle strutture con reparto di ostetricia e ginecologia (era il 64 per cento nel 2012);
   gli aborti clandestini in Italia sono numerosi: l'Istituto superiore di sanità ne ha fatto una stima inclusa tra i 12.000 e i 15.000 casi per il 2012, riscontrando una sostanziale stabilizzazione del fenomeno negli ultimi anni. È ormai diffusa la vendita online di farmaci per l'interruzione di gravidanza con immani rischi per la salute delle donne;
   un terzo delle interruzioni volontarie di gravidanza totali in Italia (il 34 per cento nel 2013) si registra a carico di donne straniere, con un tasso di abortività del 19 per 1000, corrispondente a una tendenza tre volte maggiore in generale, e quattro volte per le più giovani –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per garantire alle donne di accedere al servizio di interruzione volontaria di gravidanza in ogni struttura e su tutto il territorio nazionale, nella piena applicazione della legge n. 194 del 1978, nonché per favorire il potenziamento dell'azione di contrasto del fenomeno degli aborti clandestini, soprattutto tra le donne di origine straniera e tra le giovani.
(5-06996)


   SBROLLINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Veneto ha sospeso, a giudizio dell'interrogante in maniera del tutto discrezionale e senza nessun preavviso, il pagamento degli indennizzi a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di trasfusioni previsto dalla legge n. 210 del 1992. Il blocco degli indennizzi è tale ormai a decorrere dal 1o luglio 2015 e la regione Veneto intende non corrispondere ai cittadini l'indennizzo previsto fino al trasferimento di fondi da parte dello Stato per il 2015;
   per i cittadini danneggiati della regione Veneto la situazione sta diventando insostenibile a causa delle gravi condizioni in cui essi si trovano alle quali, troppo spesso, devono far fronte con costose cure sanitarie;
   con la legge di stabilità del 2014 si è raggiunto un accordo tra Stato e regione per il trasferimento di fondi, circa settecento milioni di euro in quattro anni (2015-2018) che vanno a coprire quanto anticipato dalle regioni e per il pagamento delle rivalutazioni, articolo 1, comma 186, legge 23 dicembre 2014, n. 190;
   con il decreto della Ragioneria dello Stato, n. 74997 del 1o ottobre 2015, è stata trasferita alle regioni la prima parte di questi fondi, circa cento milioni di euro, per il pagamento delle rivalutazioni arretrate e il ristoro di quanto anticipato dalle regioni –:
   come intenda agire il Governo, per quanto di competenza, per tutelare la salute di chi ha subito danni irreversibili in seguito a trasfusioni come previsto dalle legge n. 210 del 1992;
   se e quando i trasferimenti monetari previsti dalla legge n. 210 del 1992 con le corrette rivalutazioni aggiornate per l'anno 2015 saranno devoluti alla regione Veneto. (5-06997)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MICILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in via G.B. Basile n. 25 a Giugliano in Campania (Napoli) è allocato l'ospedale civile «San Giuliano» che serve un'area locale di oltre 109 mila abitanti;
   si tratta di un punto di emergenza e ricovero fondamentale per il territorio napoletano e per i residenti e domiciliati dell'intero comprensorio della ex USL 23 ora ASL 2 Napoli nord (Villaricca, Calvizzano, Qualiano, Marano, Mugnano e Melito);
   in data 13 novembre 2015 il noto sito partenopeo internapoli.it pubblicava un video choc contenente delle immagini in cui si vedono chiaramente alcuni prodotti alimentari ad uso colazione rivestiti da involucri di plastica oggetto di deiezioni da parte di ratti ed accompagnati da un articolo sottostante il video che, riferendosi a tali alimenti, segnala essere «destinati  ai pazienti» (http://www.internapoli.it);
   il servizio, video con articolo, è stato letto ben 1.264 volte, segno dello sgomento che la notizia ha suscitato in poche ore sul web e di conseguenza nella cittadinanza;
   l'articolo 32 della Costituzione italiana recita che: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
   il fatto, così rappresentato dalle immagini, rilanciate sui social network, desta preoccupazione nei cittadini, pazienti e familiari dei ricoverati –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa ed intenda promuovere in tempi brevi una verifica, anche per il tramite del comando Carabinieri per la tutela della salute, al fine di accertare eventuali carenze igienico-sanitarie sussistenti presso la struttura indicata e di tutelare la salute pubblica. (4-11127)


   LOREFICE, GRILLO, MANTERO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, COLONNESE e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'Organizzazione mondiale della sanità le cure palliative si occupano in maniera attiva e totale dei pazienti colpiti da una malattia che non risponde più a trattamenti specifici e la cui diretta evoluzione è la morte;
   obiettivo principale delle suddette cure è dare senso e dignità alla vita del malato fino alla fine, alleviando prima di tutto il suo dolore, e aiutandolo con i supporti non di ambito strettamente medico che sono altrettanto necessari, ma anche con assistenza psicologica e sociale anche per la famiglia. Offrono, altresì, la possibilità di ricevere a casa le cure adeguate grazie ad équipe specializzate con un risparmio significativo sui costi della sanità data la diminuzione di ricoveri ospedalieri e accertamenti diagnostici inappropriati;
   Luca Moroni, presidente della Fedcp (Federazione cure palliative), ha dichiarato durante la conferenza tenutasi in Senato l'11 novembre 2015 che nonostante le cure palliative siano ormai riconosciute come un modello di assistenza necessaria per le persone affette da patologie inguaribili, ad oggi solo il 30 per cento dei malati che muoiono di tumore può accedervi. Resterebbero esclusi i bambini, le persone colpite da patologie evolutive non oncologiche e i malati che risiedono in alcune parti d'Italia;
   secondo il presidente della Fedcp, l'Italia «vanta un quadro normativo esemplare a livello europeo e un impegno straordinario da parte delle organizzazioni che operano nelle cure palliative. Ma oggi ci sono ancora aree in cui questa forma di assistenza è praticamente inaccessibile». Infatti, a cinque anni dalla sua emanazione devono ancora essere attuati i contenuti della legge 15 marzo 2010, n. 38, «Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore»;
   il rapporto al Parlamento 2015 mostra che nel 2013, a soli 3 anni dall'emanazione della legge n. 38 del 2010, erano già stati risparmiati 145 milioni di euro grazie a una diminuzione del 23 per cento delle giornate di degenza per le persone che muoiono di cancro in ospedale –:
   se sia in grado di indicare come mai nonostante l'ottima formulazione della legge n. 38 del 2010 a cinque anni dalla sua entrata in vigore siano così poco diffuse nel territorio nazionale le cure palliative;
   come intenda attivarsi al fine di garantire la piena e omogenea applicazione della legge n. 38 del 2010 su tutto il territorio nazionale e il potenziamento delle reti delle cure palliative e delle cure domiciliari. (4-11133)


   NESCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con delibera del commissario straordinario dell'azienda ospedaliera di Reggio Calabria, n. 783 del 15 ottobre 2015, è stata approvata l'indizione di un avviso pubblico per titoli e colloquio per il conferimento di incarico quinquennale di direttore di struttura complessa della disciplina di cardiochirurgia nella corrispondente unità operativa complessa della suddetta azienda;
   nell'avviso è precisato che l'incarico «sarà conferito in conformità alle disposizioni previste dall'articolo 15-ter comma 2 del decreto legislativo 502 del 1992 e successive modificazioni, dal decreto del Presidente della Repubblica 484 del 1997, dalla legge 189 del 2012»;
   nel medesimo avviso è stabilito, in ordine al «fabbisogno», che sotto il profilo oggettivo, esso è «declinato sulla base del Governo clinico e delle caratteristiche organizzative e tecnico-scientifiche», mentre, sotto il profilo soggettivo, esso è declinato «sulla base delle competenze professionali e manageriali, delle conoscenze scientifiche e delle attitudini ritenute necessarie per assolvere in modo idoneo alle relative funzioni»;
   inoltre, è scritto nel prefato avviso, «la definizione del profilo professionale che caratterizza la struttura, sotto il profilo oggettivo e soggettivo è allegata quale parte integrante e sostanziale al presente bando, pubblicato sul sito internet aziendale www.ospedalerc.it»;
   tra i requisiti di ammissione risulta dirimente il «curriculum professionale ai sensi dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 484 del 1997, in cui sia documentata una specifica attività professionale ed adeguata esperienza, ai sensi dell'articolo 6 del suddetto decreto del Presidente della Repubblica »;
   stando alla lettera del citato avviso «il curriculum dovrà essere redatto secondo il modello allegato ed i suoi contenuti, ai sensi dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 484 del 1997 devono far riferimento a tutta una serie di elementi, partitamente enumerati, da cui si desuma il livello di conoscenza specifica, professionalità ed esperienza raggiunto dal singolo candidato, di cui vengono considerate anche, per come previsto dal bando, «le pubblicazioni scientifiche»;
   a fronte dell'intento, desumibile dalle riferite prescrizioni dell'avviso in argomento, quali strumenti di giudizio per la commissione figurano la valutazione del curriculum con un massimo di 40 punti e la valutazione del colloquio con un massimo di 60 punti;
   nell'avviso in questione si precisa che «il colloquio sarà diretto alla valutazione delle capacità professionali del candidato nella specifica disciplina con riferimento anche alle esperienze professionali documentate, nonché all'accertamento delle capacità gestionali, organizzative, di direzione, dell'aspirante stesso, con riferimento all'incarico da svolgere, e della conoscenza delle disposizioni normative vigenti relative alla prevenzione della corruzione (legge 190 del 2012)»;
   per quanto previsto dall'avviso è evidente che «l'accertamento delle capacità gestionali, organizzative, di direzione, dell'aspirante stesso», «con riferimento all'incarico da svolgere, e della conoscenza delle disposizioni normative vigenti relative alla prevenzione della corruzione» viene compiuto con assoluta discrezionalità dall'apposita commissione e sulla scorta di un mero colloquio, da cui può derivare finanche un maggiore punteggio rispetto al curriculum professionale del singolo candidato, addirittura aumentato del 50 per cento rispetto al valore del corrispondente massimale;
   tali criteri valutativi che privilegiano la discrezionalità dell'organo di valutazione non consentono, ad avviso dell'interrogante, di determinare oggettivamente la migliore professionalità per la direzione a concorso;
   l'azienda ospedaliera regionale «San Carlo» di Potenza ha stabilito, in analoghi, recenti avvisi in attuazione della DGR n. 1104 del 15 settembre 2014, la proporzione del 50 per cento dei punti per il curriculum e del 50 per cento per il colloquio, rispettivamente 40 e 40 sugli 80 punti complessivi;
   la specifica ripartizione adottata dall'azienda ospedaliera di Reggio Calabria ricalca pedissequamente quella dell'analogo avviso dell'ospedale Niguarda di Milano, pubblicato sul bollettino ufficiale della regione Lombardia del 27 maggio 2015;
   nell'interrogazione n. 4-10161 del 5 agosto 2015, la prima firmataria del presente atto ha ricordato che il 17 febbraio 2015, insieme a tutti i parlamentari M5s calabresi (Nicola Morra, Paolo Parentela, Federica Dieni), la medesima ha presentato un nuovo esposto sulla cardiochirurgia pubblica a Reggio Calabria e sull'organizzazione della specialità sul territorio regionale;
   nell'interrogazione n. 4-10829 del 21 ottobre, la prima firmataria del presente atto ha evidenziato che non è stato ancora attivato il reparto di cardiochirurgia dell'azienda ospedaliera di Reggio Calabria, a fronte di un danno erariale stimato in 40 milioni di euro dalla guardia di finanza, come più volte denunciato;
   come riportato in un esposto del 17 febbraio 2015 alle procure di Reggio Calabria e Catanzaro dei parlamentari M5s della Calabria Dalila Nesci, Nicola Morra, Parentela e Federica Dieni, il direttore generale dell'azienda ospedaliera di Reggio Calabria – Carmelo Bellinvia – avrebbe omesso, per oltre tre anni, l'attivazione del reparto cardiochirurgico di Reggio Calabria, per il quale, dal dicembre 2011, l'azienda sta pagando mensilmente una rata di leasing di 152.000 euro;
   ancora, come evidenziato nel medesimo atto, la suddetta omissione avrebbe di fatto avvantaggiato l'Università di Catanzaro, per via del mantenimento illecito di n. 10 p.l. di cardiochirurgia, invece azzerati dal decreto commissariale n. 136 del 2011 e peraltro, la moglie del Rettore del suddetto Ateneo risulterebbe, fra gli altri, socia maggioritaria di una s.r.l. (C.R.M. di Reggio Calabria) che opera in ambito sanitario ed il cui amministratore unico risulta essere lo stesso soggetto che ha ricoperto l'incarico di direttore generale dell'azienda ospedaliera di Reggio Calabria dal 2010 al settembre 2014;
   come riportato in un esposto del 18 giugno 2015, alle procure di Reggio Calabria e Catanzaro, il nuovo presidente della regione, Mario Oliverio, «preso atto della gravità della vicenda, ha nominato l'attuale Commissario straordinario dell'azienda, dottor Frank Benedetto, assegnandogli l'obiettivo prioritario dell'attivazione della cardiochirurgia e dopo qualche giorno dal suo insediamento lo stesso Commissario ha manifestato l'intenzione di realizzare, in tempi brevi, l'attivazione di tale unità operativa»;
   successivamente il commissario e sub-commissario per il rientro dal disavanzo sanitario calabrese, rispettivamente l'ingegner Massimo Scura e il dottor Andrea Urbani, hanno lavorato per un'intesa con l'università di Catanzaro (già concordata da loro con il rettore Aldo Quattrone), per cui la cardiochirurgia di Reggio Calabria sarebbe stata assegnata ad una équipe scelta e dipendente dall'università in un regime di convenzione tra azienda ospedaliera reggina «Bianchi-Melacrino-Morelli» ed università «Magna Graecia»;
   tale percorso per l'intesa è stato abbandonato in considerazione della rinuncia del professor Giulio Pompilio, indicato per la direzione dell'unità cardiochirurgica reggina da attivare pur se più rinomato per la ricerca sulle cellule staminali per il cuore, piuttosto che per l'attività operatoria cardiochirurgica;
   i ricordati episodi indicano una storia di ostacoli all'attivazione della predetta unità operativa e una serie, a parere degli interroganti, di ingerenze indebite non giustificabili in alcun modo;
   pertanto, alla luce di quanto riassunto, è fondamentale che la direzione della ricordata unità operativa sia assegnata con una valutazione rigorosa, che risponda a criteri il più possibile oggettivi, anche per la credibilità dell'azienda ospedaliera in questione e, più in generale, del sistema sanitario della regione Calabria;
   nell'interrogazione a risposta in commissione del 30 ottobre 2015, i deputati M5S Dalila Nesci e Giulia Grillo hanno partitamente argomentato l'illegittimità del commissariamento della regione Calabria per il rientro dal disavanzo sanitario, per violazione, da parte del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, delle norme di cui al decreto-legge n. 159 del 2007 – convertito, con modificazioni dalla legge n. 222 del 2007 – e di cui alla legge n. 191 del 2009 nella nomina del commissario Scura e del sub-commissario ad acta Urbani;
   in conseguenza di quanto appena rammentato, le competenze in tema di sanità devono essere, a parere degli interroganti, integralmente restituite alla regione Calabria –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali urgenti iniziative di competenza ritengano di assumere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, per garantire che il direttore della precisata unità cardiochirurgica dell'azienda ospedaliera di Reggio Calabria sia individuato con i migliori criteri oggettivi meritocratici e di trasparenza, che devono prevalere sui margini di discrezionalità della commissione atta a valutare i candidati, considerato che la selezione dei dirigenti medici assume rilevanza ad avviso dell'interrogante, anche ai fini della corretta gestione finanziaria delle strutture sanitarie. (4-11143)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CANI e MARROCU. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 31 dicembre 2015 giungerà a scadenza il secondo triennio di applicazione della norma che prevede per le due isole maggiori, Sicilia e Sardegna, lo strumento comunemente noto come Super interrompibilità;
   così come verificatosi per il servizio d'interrompibilità istantanea, rafforzato dopo il black out generale del settembre 2003, anche il servizio insulare ha acquisito nel tempo la doppia valenza di strumento essenziale di difesa della rete e di strumento di politica industriale a sostegno dell'attività produttiva di siti di consumo la cui competitività sarebbe certamente compromessa dal venir meno dei ricavi associati alla sua prestazione;
   le imprese che beneficiano dello strumento sono infatti principalmente classificabili come energy intensive con una incidenza elevata dei costi per l'acquisto dell'energia elettrica sul totale dei costi sostenuti dall'impresa per lo svolgimento della propria attività;
   nel caso della principale società che presta il servizio in Sardegna, la Portovesme S.r.l., il costo dell'energia supera il 50 per cento dei costi complessivi di trasformazione del prodotto;
   le due imprese che hanno prestato il servizio in misura più rilevante nelle due isole hanno registrato nel 2013 (ultimo anno per cui si dispone pubblicamente del bilancio) una perdita complessiva di poco meno di 70 milioni di euro. Senza i ricavi associati al servizio prestato al gestore di rete le perdite sarebbero state superiori di oltre il 50 per cento, con grave pregiudizio per tali imprese;
   il duplice inquadramento della misura si sostanzia come atto che serve sia a garantire la sicurezza della rete che a garantire la remunerazione di un servizio che permette alle imprese energy intensive di mantenere costi di approvvigionamento energetico in linea con quelli sostenuti dai principali operatori di mercato che operano nelle altre realtà europee e mondiali;
   la sicurezza della rete viene garantita sia in maniera diretta grazie alla funzione principale del servizio e cioè alla possibilità di escludere dalla rete i carichi interrompibili in maniera quasi istantanea sia in virtù dell'impegno che le aziende sottoscrivono di prelevare l'energia dalla rete stessa;
   i dati ufficiali pubblicati da TERNA confermano che le società che prestano il servizio di riduzione istantanea dei prelievi rappresentano in Sardegna una base fondamentale di utilizzo dell'energia elettrica;
   la sola Portovesme s.r.l. rappresenta il 10 per cento degli usi di energia elettrica complessivi della Sardegna (il 20 per cento degli usi industriali) e garantisce in molte ore dell'anno un livello di prelievo che limita la fermata degli oltre 1700 megawatt di potenza installata tra impianti fotovoltaici ed eolici;
   lo strumento della «super interrompibilità» non è però limitato alla sola Portovesme s.r.l., ma permette il mantenimento di molte attività produttive che compensano, con i ricavi derivanti dalla prestazione del servizio di interruzione istantanea dei prelievi, le storiche debolezze legate alla carenza di infrastrutture energetiche (quale una rete efficiente di distribuzione del gas) e di trasporto;
   in sostanza, il venir meno della misura avrebbe come effetto una ulteriore riduzione degli utilizzi di energia elettrica nell'isola con un incremento dello squilibrio fra energia prodotta ed energia utilizzata (nel 2014 a fronte di una produzione netta di 13'024'300 MWh vi è stato un utilizzo complessivo di soli 8'377'900 MWh con una esportazione dall'isola di 4'083'500 MWh);
   questo comporterebbe un importante aumento del numero di ore di mancata produzione da fonti rinnovabili per carenza di impianti utilizzatori con un costo relativo per l'intero sistema;
   si comprende quindi come il servizio di riduzione istantanea dei prelievi sia un importante strumento di politica industriale che serve a preservare sia i livelli minimi di sicurezza della rete sia l'esistenza di attività produttive che non avrebbero altrimenti costi di approvvigionamento energetico adeguati alla tipologia di lavorazioni che eseguono –:
   quali iniziative di competenza intenda porre in atto per prorogare il regime di «Super interrompibilità». (5-06995)

Interrogazione a risposta scritta:


   DE GIROLAMO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 15 ottobre 2015 la città di Benevento e tutto il territorio del Sannio sono stati colpiti da una grave alluvione in cui sono morte due persone e che ha causato l'esondazione del fiume Calore straripato in città, con pesanti conseguenze che hanno interessato tantissimi comuni delle Valli Vitulanese, Telesina, del Tammaro e del Fortore;
   a distanza ormai di un mese dai tragici eventi richiamati, numerosi sindaci della provincia di Benevento hanno segnalato un black out totale delle trasmissioni dei canali generalisti Raiuno, Raidue e Raitre, nei comuni del Sannio;
   proprio a seguito dei violenti nubifragi che hanno interessato il Sannio è completamente «saltata» la ricezione del segnale radiotelevisivo della tv pubblica in moltissimi comuni dell'Alto Sannio e della Valle Telesina, contribuendo, in tal modo ad isolare ulteriormente, i territori colpiti;
   risulta all'interrogante che RaiWay non abbia rinnovato un contratto di fitto per un ripetitore che serve un bacino del Sannio con 35 mila abitanti (comuni dell'Alto Sannio e della Valle Telesina) canale 25 – che è stato assegnato ad una emittente privata; in altri termini, una parte della popolazione della zona alluvionata potrebbe risultare scoperta rispetto al servizio pubblico radiotelevisivo, pur dovendo continuare a pagare il canone, in particolare alla luce delle nuove disposizioni contenute nel disegno di legge di stabilità 2016 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare per ripristinare una situazione di regolarità e superare i disagi della popolazione del Sannio, con particolare riferimento alla garanzia di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo fronte dell'obbligo di pagamento del canone. (4-11129)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Bratti e altri n. 2-01141, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capodicasa.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Liuzzi n. 4-11056, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Costantino n. 2-01158 del 10 novembre 2015.