XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Mozione:
La Camera,
premesso che:
è stata da pochi giorni presentata al Parlamento la relazione annuale sull'attuazione della legge 194 del 1978, relativa allo «Stato di attuazione delle norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria della gravidanza»;
nella suddetta relazione, vengono presentati i dati definitivi relativi all'anno 2013 e quelli preliminari per l'anno 2014;
per quanto riguarda il 2014, sono state notificate dalle regioni 97.535 interruzioni volontarie di gravidanza, con una riduzione del 5,1 per cento rispetto al 2013. Anche riguardo al tasso di abortività (numero delle interruzioni volontarie di gravidanza per 1000 donne fra 15-49 anni) nel 2014 è risultato pari a 7,2 per 1000, con una diminuzione del 5,9 per cento rispetto al 2013. Se si considerano le sole donne straniere, emerge che rappresentano il 34 per cento delle interruzioni volontarie di gravidanza, con un tasso di abortività del 19 per 1000, pari a una tendenza tre volte superiore di quelle italiane, in generale, e quattro volte per le più giovani;
con riguardo alla quantificazione degli aborti clandestini in Italia, la suddetta relazione riporta che l'Istituto superiore di sanità ha effettuato una stima degli aborti clandestini per il 2012, utilizzando lo stesso modello matematico applicato nel passato. La stima del numero di aborti clandestini per le donne italiane è compreso in un intervallo tra 12 mila e 15 mila casi, cifre che indicherebbero una stabilizzazione del fenomeno negli ultimi anni;
questo dato è però molto probabilmente sottostimato, e si basa sostanzialmente su una ricognizione ferma al 2005. Peraltro, a far pensare che invece si sia di fronte ad un fenomeno in crescita, è il preoccupante aumento del ricorso a farmaci utili a provocare l'aborto, acquistabili sul mercato clandestino e su internet. Farmaci molti dei quali, per la loro vendita in Italia, è necessaria la presentazione di ricetta medica, e che vengono utilizzati per scopi diversi rispetto alla loro funzione originaria: farmaci per l'ulcera, il Cytotec e altro;
sotto questo aspetto è indispensabile avviare un serio ed efficace monitoraggio e studio del fenomeno dell'aborto clandestino per arrivare a una stima credibile e aggiornata circa l'effettiva dimensione del fenomeno, nonché mettere in atto tutte le iniziative, sia legislative che di informazione e sensibilizzazione, sulle gravi conseguenze legate ad un uso «fai da te», clandestino e fuori controllo, di farmaci utilizzati per interrompere una gravidanza indesiderata;
la relazione al Parlamento, conferma ancora una volta, valori molto elevati di obiezione di coscienza nel 2013: il 70 per cento tra i ginecologi, il 49,3 per cento tra gli anestesisti, e un aumento tra il personale non medico, con valori che sono passati al 38,6 per cento nel 2005 al 46,5 per cento nel 2013;
la medesima relazione dice che «il numero di non obiettori risulta congruo, anche a livello sub-regionale, rispetto alle IVG effettuate, e non dovrebbe creare problemi nel soddisfare la domanda di IVG»;
non viene però evidenziato, come evidente criticità, che si tratta di percentuali medie che inevitabilmente «nascondono» le tante realtà di strutture sanitarie dove la legge n. 194 non viene di fatto applicata, o solo parzialmente. Così come quelle stesse percentuali ripropongono inevitabilmente il ruolo «penalizzante» che viene svolto dai pochi medici non obiettori, ossia quei 30 medici che si devono far carico del lavoro che gli altri 70 medici non sono disposti a fare, e degli squilibri territoriali nel garantire il pieno rispetto della legge 194 del 1978. Basti pensare che il tasso di ginecologi obiettori di coscienza, in alcune aree del Paese arriva a percentuali veramente inaccettabili: nell'Italia meridionale l'obiezione di coscienza arriva all'83,2 per cento con punte del 90,2 in Basilicata e dell'87 per cento in Sicilia. E tutto questo diventa ancora di più inaccettabile alla luce del fatto acclarato che i dati ufficiali riportati nell'annuale relazione al Parlamento sull'attuazione della n. 194, sono da sempre sottostimati;
a livello nazionale, la principale conseguenza di un numero così elevato di obiettori di coscienza è quella di rendere sempre troppo difficoltosa la piena applicazione della legge 194 del 1978, con effetti negativi sia per la funzionalità dei vari enti ospedalieri e quindi del sistema sanitario nazionale, sia per le donne che ricorrono all'interruzione volontaria di gravidanza;
una valida alternativa all'aborto chirurgico, è data dal ricorso ad un approccio farmacologico con Mifepristone (RU486) e prostaglandine per l'interruzione della gravidanza, come raccomandato per gli aborti precoci nelle linee guida elaborate dall'Organizzazione mondiale della sanità e da altre Agenzie internazionali;
dal 2009 l'AIFA ha autorizzato l'immissione in commercio della Ru486, per le interruzioni volontarie di gravidanza farmacologica, nel rispetto dei precetti normativi previsti dall'articolo 8 della legge n. 194 del 1978; tale articolo prevede che le interruzioni volontarie di gravidanza possa essere praticata in ospedali pubblici generali e specializzati, e «case di cura autorizzate e presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati»;
riguardo all'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, questa rappresenta il 9,7 per cento di tutte le interruzioni volontarie di gravidanza nel 2013. Una metodica, che seppur impiegata in tutte le regioni tranne le Marche, è in realtà ancora troppo sottoutilizzata. Vale peraltro la pena evidenziare, come ai fini della redazione della relazione ministeriale, per il 2013 tutte le regioni, tranne la Lombardia, sono state in grado di fornire l'informazione dettagliata del tipo di intervento effettuato per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica;
è interessante evidenziare, come riporta la medesimo relazione al Parlamento, che «sebbene la gran parte delle Regioni e delle strutture avessero adottato come regime di ricovero quello ordinario con l'ospedalizzazione della donna, molte di loro (76 per cento) hanno richiesto la dimissione volontaria dopo la somministrazione di Mifcpristone o prima dell'espulsione completa del prodotto abortivo, con successivi ritorni in ospedale per il completamento della procedura e nel 95 per cento dei casi le donne sono tornate al controllo nella stessa struttura. Inoltre nel 96,9 per cento dei casi non vi era stata nessuna complicazione immediata. Anche al controllo post dimissione nel 92,9 per cento dei casi non era stata riscontrata nessuna complicanza»;
è al riguardo indispensabile che l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia maggiormente e più diffusamente proposta su tutto il territorio nazionale come valida opzione alle donne, mettendole così in condizione di poter scegliere liberamente quale percorso intraprendere, garantendo e favorendo la sua somministrazione nell'ambito della stessa rete lei consultori;
la citata relazione del Ministero della salute, conferma peraltro proprio la necessità di un reale rafforzamento dei consultori familiari, e questo anche in quanto strumento essenziale per le politiche di prevenzione e promozione della maternità e della paternità libera e responsabile;
si ricorda che il progetto obiettivo materno infantile (POMI) assegna un ruolo strategico centrale ai consultori familiari nella promozione e tutela della salute della donna, ma anche la relazione al Parlamento del Ministero della salute, conferma tutte le criticità nell'attuale rete di consultori. La relazione sottolinea come «nel 2013 il tasso di presenza dei consultori familiari pubblici è risultato pari a 0,7 per 20 mila abitanti, valore stabile dal 2006, mentre la legge 34/96 ne prevede 1 per lo stesso numero di abitanti. Nel POMI sono riportati organico e orari di lavoro raccomandati ma purtroppo i 2061 consultori familiari censiti nel 2013 rispondono solo in parte a tali raccomandazioni e ben pochi sono organizzati nella rete integrata dipartimentale, secondo le indicazioni strategiche, sia organizzative che operative raccomandate dal POMI stesso. L'assenza della figura medica o la sua indisponibilità per il rilascio del documento e della certificazione, la non integrazione con le strutture in cui si effettua l'IVG, oltre alla non adeguata presenza del consultorio sul territorio, riducono il ruolo di questo fondamentale servizio»;
la situazione critica dei consultori, così come il costante aumento dell'acquisto, anche on line, di farmaci utilizzati per interrompere una gravidanza, è fortemente e inevitabilmente acuita dall'altissimo tasso di obiettori di coscienza,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per valorizzare e ridare piena centralità a consultori, quale servizio per la rete di sostegno alla sessualità libera e alla procreazione responsabile, anche attraverso un adeguamento delle risorse, della rete di servizi, degli organici, delle sedi;
ad attivarsi perché l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia sempre più offerta nell'ambito della rete dei consultori, come valida opzione a tutte le donne, che, entro i limiti di età gestazionale imposti dalla metodica, devono poter liberamente e consapevolmente scegliere le modalità di interruzione della gravidanza;
ad avviare un serio ed efficace monitoraggio e studio del fenomeno dell'aborto clandestino per arrivare a una stima credibile e aggiornata circa l'effettiva dimensione del fenomeno;
a mettere in atto tutte le iniziative normative per il contrasto del commercio on-line di medicinali per i quali è necessaria la presentazione di ricetta medica, nonché idonee iniziative di informazione e sensibilizzazione, circa le gravi conseguenze legate ad un uso «fai da te», clandestino e fuori controllo, di farmaci utilizzati incautamente per interrompere una gravidanza indesiderata;
ad avviare un serio e capillare programma di informazione e di promozione dei metodi contraccettivi, di conoscenza riguardo al libero accesso alla contraccezione d'emergenza, e di educazione sessuale nelle scuole;
a garantire, per quanto di competenza, il rispetto e la piena applicazione della legge 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale nel rispetto del principio di libertà delle donne in materia di procreazione responsabile e del riconoscimento della libera scelta e del diritto alla salute delle donne, assumendo tutte le iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, finalizzate anche all'assunzione di personale non obiettore al fine di garantire il servizio di interruzione volontaria di gravidanza;
ad attivarsi, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di assicurare, come prevede la legge, il reale ed efficiente espletamento da parte di tutti gli enti ospedalieri e delle strutture private accreditate, delle procedure e gli interventi di interruzione della gravidanza chirurgica e farmacologica;
ad assumere iniziative per garantire in ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio) l'applicazione della legge facendo si che solo a fronte di questo impegno possa essere concesso l'accreditamento.
(1-01066) «Nicchi, Fratoianni, Gregori, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Carlo Galli, Marcon, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Scotto, Zaccagnini».
Risoluzione in Commissione:
Le Commissioni VI e X,
premesso che:
nel regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento, così si legge al considerando (44): «Le piccole e medie imprese (PMI) sono uno dei pilastri dell'economia dell'Unione, tenuto conto del ruolo fondamentale da esse svolto nel creare crescita economica e garantire occupazione. La ripresa e futura» crescita dell'economia dell'Unione dipendono in larga misura dalla disponibilità di capitali e finanziamenti che permettano alle PMI stabilite nell'Unione di realizzare gli investimenti necessari all'adozione delle nuove tecnologie e attrezzature occorrenti per accrescerne la competitività. Il numero limitato di fonti alternative di finanziamento ha reso le PMI stabilite nell'Unione ancora più sensibili all'impatto della crisi bancaria. Risulta pertanto importante provvedere a colmare l'attuale lacuna in materia di finanziamento delle PMI e garantire un adeguato flusso di crediti bancari alle PMI nell'attuale contesto. Le coperture patrimoniali verso le esposizioni verso le PMI dovrebbero essere ridotte mediante l'applicazione di un fattore di sostegno pari allo 0,7619 in modo da consentire agli enti creditizi di aumentare i prestiti alle PMI. Per conseguire tale obiettivo, gli enti creditizi dovrebbero utilizzare efficacemente l'alleggerimento dei requisiti patrimoniali, derivante dall'applicazione del fattore di sostegno, allo scopo esclusivo di assicurare un adeguato flusso di crediti alle PMI stabilite nell'Unione. Le autorità competenti dovrebbero monitorare periodicamente l'importo totale delle esposizioni degli enti creditizi verso le PMI e l'importo totale della detrazione di capitale»;
l'introduzione, nell'ambito del citato regolamento, dello «SMEs SF» (small and medium enterprises supporting factor, fattore di supporto per le piccole e medie imprese) è stata il risultato degli approfondimenti richiesti, nel 2012, dalla Commissione europea all'EBA (European Banking Authority) circa la possibile adozione di un fattore di correzione applicabile alle esposizioni verso le piccole e medie imprese;
tali approfondimenti – anche sulla scorta delle sollecitazioni congiuntamente formulate dall'ABI e da tutte le principali associazioni imprenditoriali italiane – hanno condotto – in ragione del minor rischio sistemico delle suddette esposizioni – alla definizione di un fattore di ponderazione compensativo degli incrementi dei requisiti patrimoniali richiesti alle banche, da cui è risultata la conferma – per i crediti fino a 1,5 milioni di euro alle micro piccole e medie imprese con fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro – del coefficiente patrimoniale dell'8 per cento di cui alle già vigenti regole di «Basilea 2» in luogo dell'incrementato coefficiente del 10,5 per cento secondo le nuove disposizioni di «Basilea 3»;
sempre secondo le previsioni del regolamento (UE) n. 575/2013, la Commissione europea provvederà – entro il 2 gennaio 2017 – a trasmettere al Parlamento europeo ed al Consiglio una relazione – accompagnata da eventuale proposta legislativa – sull'impatto dello «SMEs SF», previo rapporto dell'EBA alla Commissione medesima circa: «a) l'analisi dell'evoluzione delle tendenze e delle condizioni relative ai prestiti per le PMI ...; b) l'analisi dell'effettiva rischiosità delle PMI dell'Unione nel corso di un intero ciclo economico; c) la coerenza dei requisiti in materia di fondi propri stabiliti nel presente regolamento per il rischio di credito sulle esposizioni verso le PMI, con i risultati dell'analisi di cui alle lettere a) e b)»;
nel corso dello «Stakeholder Meeting» del mese di giugno 2015, l'EBA ha avviato un'analisi preliminare delle «non compliances europee rispetto a Basilea 3», e successivamente – il 31 luglio 2015 – ha aperto una procedura di consultazione sullo «SMEs SF» ai fini della predisposizione di un report finale da presentare – nel prossimo mese di febbraio – alla Commissione europea;
nel position paper del mese di ottobre 2015 – predisposto in risposta alla consultazione avviata dall'EBA – l'ABI conclude sottolineando che, nel loro insieme, le evidenze analitiche supportano: a) la richiesta di mantenimento dello «SMEs SF»; b) la conferma del fatto che la misura non ha impedito la desiderata crescita degli indici di capitalizzazione ed ha invece determinato un impatto di 20 basis points in termini di minore assorbimento di capitale regolamentare di migliore qualità (circa 10,5 miliardi di euro a vantaggio di maggiori finanziamenti potenziali per oltre 150 miliardi di euro, con benefici più rilevanti in Italia, Francia e Spagna); c) l'evidenziazione, in un ancor breve periodo di applicazione della misura, di effetti positivi che hanno mitigato le conseguenze di una recessione profonda e prolungata; d) la registrazione della convergenza, a supporto della misura, di ragioni macroeconomiche e di ragioni strutturali, poiché la minore rischiosità dei portafogli di prestiti alle piccole e medie imprese rispetto ai portafogli di prestiti alle grandi imprese è dovuta ad un effetto di diversificazione che rende il tasso di default dei primi meno volatile;
il position-paper si conclude con l'estratto della condivisione delle altre associazioni imprenditoriali espressa nei seguenti termini: «I commenti di ABI sono condivisi dalle associazioni imprenditoriali italiane Alleanza delle cooperative italiane, Casartigiani, CIA, Coldiretti, CNA, Confagricoltura, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, Confindustria, che rappresentano le PMI in tutti i settori economici: agricoltura, artigianato, industria, turismo, servizi e commercio. L'introduzione dello “SME Supporting Factor” (SME SF) è stata fortemente sostenuta da queste associazioni insieme all'ABI. Dopo il primo periodo di applicazione, le associazioni imprenditoriali italiane sono soddisfatte dei risultati della misura. Le evidenze fornite dall'ABI sottolineano l'importanza dello SME SF nel compensare – senza accrescere il rischio dei portafogli bancari – l'incremento quantitativo dei requisiti minimi di capitale, evitando così il rischio di un'ulteriore riduzione nella fornitura di prestiti alle piccole e medie imprese. In considerazione di queste evidenze e delle persistenti restrizioni nell'erogazione del credito alle PMI, le associazioni imprenditoriali italiane supportano la richiesta di ABI per il mantenimento dello SME SF»;
sembrerebbe comunque emergere, da parte dell'EBA, una posizione dubitativa circa la possibilità di mantenere il «fattore di supporto per le PMI» oltre la fase temporanea che si concluderà nel 2016, e tale posizione – se confermata – costituirebbe ragione di forte preoccupazione, posto che – dalla sua entrata in vigore nel gennaio 2014 – lo «SMEs SF» ha mostrato di agire efficacemente – attraverso i minori accantonamenti di capitale di vigilanza richiesti alle banche a fronte di prestiti erogati alle piccole e medie imprese a sostegno di una classe dimensionale di imprese, che svolge un ruolo determinante nell'intera Unione europea;
va infatti ricordato che – secondo dati EBA – il nostro Paese produce il 79,9 per cento dell'occupazione e il 67,6 per cento del valore aggiunto attraverso l'operato delle piccole e medie imprese; valori simili si registrano in Spagna – il 74,2 per cento dell'occupazione ed il 63,3 per cento dell'occupazione – e valori significativi si registrano, comunque, anche in Paesi con maggior presenza di big corporate – Francia, Finlandia, Germania e Gran Bretagna – con tassi di occupazione derivanti dalle piccole e medie imprese compresi tra il 63 e il 53 per cento e con un tasso di partecipazione alla formazione del valore aggiunto tra il 58,5 ed il 50,3 per cento;
secondo quanto emerge dal già citato position paper ABI, va inoltre segnalato che – nei primi 19 mesi di operatività dello «SMEs SF» – il credito alle piccole e medie imprese e aumentato in Europa mediamente del 2 per cento e, in Italia, dell'1,8 per cento, mentre l'erogato alle grandi imprese è diminuito in media europea del 7 per cento e, in Italia, del 2,9 per cento; quanto alle condizioni di accesso al credito, l'indice registra – nei 20 mesi precedenti l'introduzione del fattore di supporto – un miglioramento di 4 punti base per le imprese con meno di 50 addetti, di 9 punti base per le imprese tra 50 e 250 addetti, di 10 punti base per le imprese con oltre 250 addetti, mentre – nei 20 mesi successivi all'introduzione del fattore di supporto – il miglioramento delle condizioni risulta di 27 punti per le piccole imprese, di 25 punti per le medie imprese, di 11 punti per le grandi imprese;
il fattore di supporto per le piccole e medie imprese assume particolare rilevanza per il nostro Paese, ove si stima che la sua mancata conferma metterebbe in discussione – in termini di volumi e condizioni – un ammontare di prestiti pari a circa 20 miliardi di euro;
il tema va altresì affrontato nell'ambito di uno scenario in cui «la correzione degli squilibri nella struttura finanziaria delle imprese italiane richiede – come ha scritto il Governatore Visco – l'attivazione prolungata nel tempo di diversi strumenti di politica economica in un quadro coerente di riforme» ed in cui «la soluzione del problema della scarsa accessibilità al credito da parte delle aziende – come si legge nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2015 – è un tema di primaria importanza che coinvolge diversi attori e richiede un intervento su diversi fronti», nonché alla luce di quanto si evidenzia nel Rapporto sulla stabilità finanziaria – pubblicato da Banca d'Italia nel mese di novembre 2015 – ove, tra l'altro, così si osserva: «In Italia l'uscita dalla recessione favorisce un graduale ritorno alla crescita del credito al settore privato; se valutato in rapporto al prodotto, tale credito rimane tuttavia assai inferiore ai valori medi di lungo periodo»;
la conferma dell'applicazione dello «SMEs SF» rientra dunque – concorrendo alla costruzione delle – condizioni di un mercato del credito fluido, efficiente ed accessibile da parte delle micro, piccole e medie imprese, tra gli strumenti necessari – in Europa e, in particolare, in Italia – per il sostegno della ripresa,
impegnano il Governo
a sviluppare ogni iniziativa utile all'avanzamento – in sede di Commissione europea e di Consiglio – del confronto e, dell'approfondimento sulle ragioni del mantenimento dello strumento del «fattore di supporto delle piccole e medie imprese» (SMEs Supporting Factor), sulla scorta di quanto delineato all'articolo 501 del regolamento UE n. 575/2013 in materia di requisiti prudenziali di capitale regolamentare per enti creditizi ed imprese di investimento e nell'ambito della valutazione d'impatto di cui al paragrafo 4 dello stesso articolo.
(7-00851) «Taranto, Causi, Benamati, Pelillo, Arlotti, Zoggia, Becattini, Martella, Scuvera, Senaldi, Bargero, Cani, Petrini, Lodolini, Ginefra, Tidei, Peluffo, Vico, Montroni, Galperti, Bini».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazione a risposta in Commissione:
PESCO, ALBERTI, VILLAROSA, RUOCCO e CARIELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
all'interrogazione Camera n. 5-06816 del 28 ottobre 2015, il Sottosegretario di Stato Pier Paolo Baretta per conto del Ministero dell'economia e delle finanze, ha asserito: «Le operazioni scadute nel 2015 comprendevano otto cross currency swap e due interest rate swap collegati a sei prestiti internazionali nelle medesime valute straniere e due interest rate swap in euro, di cui si forniscono ulteriori dettagli:
7) due swap di tasso di interesse fisso-variabile su un nozionale di 1.000 milioni di euro ciascuno, entrambi decennali con partenza nel 2005, che hanno generato in occasione della scadenza un pagamento complessivo dell'ultima semestralità di 91,862 milioni di euro;
in relazione all’interest rate swap soggetto a clausola di estinzione anticipata nel 2016, con nozionale 2.000 milioni di euro e valore di mercato negativo per circa 849 milioni di euro, va fatto presente che tale valore negativo dipende dalla durata della posizione (scadenza nel 2036) e dal tasso di interesse fisso da corrispondere (3,8125 per cento), disallineato rispetto a quelli vigenti attualmente sul mercato» –:
se l'IRS con clausola di «early termination» nel 2016 per un contratto con scadenza naturale nel 2036, nozionale pari a 2 miliardi di euro e valore mark-to-market negativo di 849 milioni di euro, appartenga alla categoria di IRS di duration come definita dal dirigente generale della direzione II dottoressa Maria Cannata nel corso delle audizioni del 10 e 26 febbraio 2015 presso la Commissione finanze della Camera dei deputati e quali sia la controparte di tale operazione;
considerato che una simile operazione, sulla base di alcune stime di lavoro quantitative effettuate dagli interroganti, potrebbe aver generato un incasso per il Ministero dell'economia e delle finanze compreso tra 100 e 600 milioni di euro quale premio della swaption e che l'approssimazione di tale stima risente della mancata conoscenza delle caratteristiche del contratto, delle quali se ne chiede l'ostensione, e deriva da mere ipotesi di lavoro che gli interroganti hanno dovuto svolgere, quale sia l'importo del premio effettivamente incassato all'atto della stipula da parte del Ministero dell'economia e delle finanze e quali siano le motivazioni economiche finanziarie alla base di tale operazione stante la sua natura speculativa;
se i due interest rate swap per un controvalore totale di 2 miliardi di euro stipulati nel 2005 e giunti a scadenza nel 2015, per i quali il Ministero dell'economia e delle finanze ha pagato 91,8 milioni di euro solo per l'ultima rata semestrale, appartengano alla categoria di interest rate swap cosiddetti di duration, come definiti dal dirigente generale della direzione II dottoressa Maria Cannata nel corso delle audizioni del 10 e 26 febbraio 2015 presso la Commissione finanze della Camera dei deputati e quali siano le controparti di tali operazioni;
considerato che una simile operazione, sulla base di alcune di stime di lavoro quantitative effettuate dagli interroganti, potrebbe aver generato pagamenti per lo Stato durante la vita del contratto compresi tra 1 e 1,5 miliardi di euro e aver generato un incasso per il Ministero dell'economia e delle finanze al momento della stipula tra i 500 milioni e 1 miliardo di euro, quale upfront, e che l'approssimazione di tale stima risente della mancata conoscenza delle caratteristiche del contratto, delle quali se ne chiede l'ostensione, e deriva dalle ipotesi di lavoro che gli interroganti hanno dovuto svolgere quali siano gli importi pagati ed incassati dal Ministero dell'economia e delle finanze e quali siano le motivazioni economiche finanziarie alla base di tali operazioni stante la loro natura speculativa;
per tutti gli interest rate swap di duration (che sulla base di quanto dichiarato dal dirigente generale della direzione II dottoressa Maria Cannata nel corso delle audizioni del 10 e 26 febbraio 2015 presso la Commissione finanze della Camera dei deputati dovrebbero ammontare a circa 100 miliardi di euro dei quali si chiede conferma) a quanto ammonti il saldo tra i pagamenti e gli incassi che il Ministero dell'economia e delle finanze ha regolato nel corso dell'anno 2015 e quale sia la previsione di tale saldo, a tassi di interesse invariati, per l'anno 2016.
(5-07057)
Interrogazioni a risposta scritta:
FANUCCI e BINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 10 del decreto-legge n. 104 del 2014, recante misure urgenti in materia di istruzione università e ricerca, prevede che, al fine di favorire interventi straordinari di ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza di immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica, nonché di costruzione di nuovi edifici scolastici pubblici, le regioni interessate possano essere autorizzate dal Ministero dell'economia e delle finanze a stipulare appositi mutui trentennali, con oneri di ammortamento a totale carico dello Stato, con la Banca europea per gli investimenti, con la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, con la società Cassa depositi e prestiti spa e con i soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività bancaria ai termini del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385;
il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 23 gennaio 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 3 marzo 2015, n. 51, individua i criteri e le modalità di attuazione del sopra citati articolo 10 del decreto-legge; in particolare, l'articolo 2, comma 3, del decreto del 23 gennaio 2015, prevede che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca provveda, con proprio decreto, a ripartire su base regionale le risorse previste, riportando per ciascuna regione la quota di contributo annua assegnata; il decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, pubblicato sul supplemento ordinario n. 59 alla Gazzetta Ufficiale n. 250 del 27 ottobre 2015, assegnata alla regione Toscana una quota annuale (dal 2014 al 2044) pari a euro 2.498.217,80 e lo stesso decreto, elenca, nell'allegato A, gli interventi suddivisi per singolo comune con i relativi importi;
per il comune di Massa e Cozzile, in provincia di Pistoia, è individuato un importo complessivo pari a euro 1.384.725,78, necessario alla costruzione della nuova Scuola dell'Infanzia;
l'attivazione del mutuo da parte della regione con Cassa depositi e prestiti relativamente ai lavori di edilizia scolastica del comune di Massa e Cozzile, risulta, ad oggi, in attesa del parere positivo del Ministero dell'economia e della finanze –:
quali siano i tempi e i termini, previsti dal Governo, per il parere positivo, da fornire alla regione Toscana, sullo schema di contratto di mutuo, affinché la regione possa approvare il conseguente decreto di impegno e consentire al comune di Massa e Cozzile di avviare i lavori di realizzazione della scuola dell'infanzia, e se non si ritenga opportuno consentire una rapida concessione delle risorse. (4-11188)
CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il 22 ottobre 2015 è stato siglato presso il Ministero dell'economia e delle finanze l'accordo nazionale integrativo tra il capo dipartimento dell'amministrazione generale del personale e i rappresentanti delle organizzazioni nazionali del personale dirigente per la costituzione del fondo di produttività finalizzato a disciplinare la retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti di 2a fascia;
l'accordo ha riguardato circa 516 alti dirigenti della sola amministrazione del Ministero dell'economia e delle finanze che grazie all'accordo siglato nell'ottobre 2015 hanno ottenuto un premio medio pari a 82 mila euro lordi annuali;
l'accordo assegna le risorse relative alla retribuzione di risultato 2014 nonché, nell'ambito delle risorse disponibili, ha disposto il finanziamento della retribuzione di posizione di parte variabile «per remunerare il notevolissimo impegno della dirigenza MEF per l'accrescimento della qualità e della quantità dei servizi erogati» (come si legge nel comunicato della Unadis Unione Nazionale dei Dirigenti dello Stato del 23 ottobre 2015) e per una spesa complessiva pari a ben 42 milioni di euro complessivi;
come si apprende da un articolo della stampa on line dal titolo: «Buttati 42 milioni per scrivere la manovra. I dirigenti del ministero dell'Economia hanno minacciato di bloccare la stesura del documento se il governo non avesse firmato il contratto integrativo. Il risultato è un premio medio di 82 mila euro per 516 alti funzionari», il raggiungimento dell'accordo è stato tutt'altro che facile: «La vicenda si apre con la clamorosa, e assolutamente inedita, protesta dei dirigenti della Ragioneria dello Stato, che si rifiutano di fare gli straordinari nel fine settimana per tradurre in un disegno di legge le slide sulla finanza pubblica presentate da Matteo Renzi al Cdm di due giorni prima. Il tempo stringe. Il 15 ottobre, stando alle normative nazionali e comunitarie, la manovra doveva già essere sul tavolo di Bruxelles e su quello del Parlamento. A bloccare la stesura del documento c’è il contratto integrativo dei dirigenti del Mef, solitamente firmato a inizio autunno. Quest'anno, però, il governo l'ha presa un po’ alla larga, nel tentativo di razionalizzare i costi affidando la gestione dei fondi al ministero della Funzione pubblica... I giorni passano. E nulla emerge, tranne l'imbarazzante ritardo della legge di stabilità, che arriva sul tavolo del Capo dello Stato solo il 25 ottobre». (www.liberoquotidiano del 14 novembre 2015);
il braccio di ferro tra sindacati dei dirigenti e Governo finirà con il suddetto accordo e il plauso del sindacato dei dirigenti dello Stato che ottengono euro 29.820.027,30 destinate al finanziamento della retribuzione di posizione di parte fissa e di parte ed euro 12.067.962,22 a titolo di retribuzione di risultato;
a parere degli interroganti appare difficilmente comprensibile e giustificabile – anche per ragioni di equità – la destinazione di ben 42 milioni di euro a soli 516 «mandarini» di Stato del Ministero dell'economia e delle finanze per retribuzione di risultato e di posizione laddove nella recente legge di stabilità per il 2016 il Governo ha stanziato – per il rinnovo contrattuale – per gli oltre 3 milioni di pubblici dipendenti appena 300 milioni di euro di cui 74 milioni di euro riservati al personale delle Forze armate e dei Corpi di polizia e 7 milioni di euro al restante personale statale in regime di diritto pubblico. È evidente che le risorse per pagare gli alti burocrati ci sono, mentre marginali sono le risorse stanziate per gli altri pubblici dipendenti per il rinnovo contrattuale cui il Governo è stato obbligato per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 2015;
eppure lo stipendio medio di un dipendente ministeriale raggiunge, invece, a stento 25.000 euro lordi e per effetto del blocco economico della contrattazione dal 2010 ad oggi i dipendenti pubblici hanno visto non solo il congelamento della propria retribuzione ma anche una sensibile perdita del potere di acquisto;
infine desta perplessità la circostanza riferita dalla stampa secondo la quale i 516 dirigenti siano riusciti a paralizzare l'attività del Governo tanto da far ritardare la presentazione del disegno di legge di stabilità al Parlamento tanto che la stampa si chiedeva: «Stabilità, il giallo della legge che non c’è. Fra ritardi e dietrofront perché il testo ancora non è arrivato» (www.ilfattoquotidiano.it del 23 ottobre 2015); se è pur vero che è fondamentale avere una dirigenza pubblica autorevole ed indipendente dalla politica, è altrettanto vero che a norma dell'articolo 98 della Carta costituzionale «I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione» e che i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore –:
se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta;
se il Governo sia a conoscenza dell'entità degli emolumenti percepiti dai suddetti dirigenti e se li ritenga coerenti con la situazione economica generale e le pubblicizzate necessità di risanamento del bilancio dello Stato nonché con gli altri provvedimenti in materia di spending review che hanno interessato tutto il personale del pubblico impiego;
quali siano le ragioni che hanno impedito la presentazione tempestiva alle Camere del disegno di legge di stabilità per l'anno 2016 entro i termini previsti dalla legge. (4-11200)
MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
con l'articolo 45, comma 1, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, è stato inserito nell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), il comma 2-bis, in base al quale l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia comunitaria, funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica del territori, è a carico del titolare del permesso di costruire e non trova applicazione il codice dei contratti;
con deliberazione n. 1117 del 10 giugno 2013, la giunta comunale di Milano ha approvato le linee guida per la realizzazione delle opere di urbanizzazione e dei servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, nell'ambito dei procedimenti urbanistici ed edilizi, precisando nel capitolo 2, punto 5 – in merito all'applicazione del comma 2-bis dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 – che «le opere di urbanizzazione primaria si considerano funzionali se necessarie per dare autonomia ad un insediamento urbano»;
nel successivo capitolo 6, punto 2 delle stesse linee guida, in merito alla determinazione dell'importo globale delle opere e delle attrezzature da considerare ai fini dell'applicazione del codice dei contratti – così come già messo in rilievo nell'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04648 del 5 febbraio 2015 ancora pendente – si stabilisce che, dall'importo globale delle opere e delle attrezzature, sono escluse le opere di urbanizzazione primaria funzionali all'intervento sotto soglia ai sensi dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380, nonché le attrezzature private realizzate su aree oggetto di cessione al comune, su aree private asservite all'uso pubblico, su aree private, che non sono ammesse a scomputo e che non concorrono nella dotazione territoriale dovuta; le opere e le attrezzature pubbliche in immobili privati e le opere aggiuntive realizzate con risorse private;
l'articolo 29, comma 7, del codice dei contratti – in merito ai metodi di calcolo del valore stimato dei contatti pubblici – stabilisce, invece, che per i contratti relativi a lavori, opere, servizi, quando un'opera prevista o un progetto di acquisto di servizi possono dare luogo ad appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti distinti, il valore complessivo da considerare è quello dato dalla totalità di tali lotti, e che quando quest'ultimo valore è pari o superiore alle soglie comunitarie, le norme dettate per i contratti di rilevanza comunitaria si devono applicare all'aggiudicazione di ciascun lotto;
la Commissione europea, interpellata in merito alla compatibilità con il diritto comunitario del citato comma 2-bis dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, con nota dell'11 febbraio 2013 Ref. Ares (2013)170639, che l'Italia non si trova, di nuovo, in una condizione di violazione del diritto comunitario in materia, dal momento che il problema – per il quale era stata censurata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, con la sentenza 21 febbraio 2008 (Causa C-412/04) – «non sembra presentarsi con riferimento alla normativa oggi vigente, in quanto l'articolo 29 comma 7, lettera a) del Codice dei Contratti prevede per i contratti di lavori, opere e servizi, che quando un'opera prevista o un progetto di acquisto di servizi può dare luogo ad appalti aggiudicati contemporaneamente per lotti distinti, è computato il valore complessivo stimato della totalità di tali lotti, riproducendo letteralmente il testo dell'articolo 9 comma 5 lettera a) della Direttiva 2004/18/CE»;
con riferimento alla stessa segnalazione, in una successiva nota del 22 maggio 2013 Ref. Ares(2013)12570000, la Commissione europea ha, altresì, precisato che «per quanto infine riguarda l'applicazione dei metodi di calcolo dell'articolo 29 del Codice dei Contratti, la specifica natura strumentale della norma fa sì che essa si applichi a tutti gli appalti pubblici, nel senso che è proprio grazie ad essa che è possibile stabilire il valore di un appalto e dunque il superamento o meno della soglia comunitaria» aggiungendo che «nel caso specifico, è possibile qualificare l'importo delle opere di urbanizzazione primaria come rientranti nella disciplina della norma in oggetto (riferendosi all'articolo 16 comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) unicamente attraverso l'applicazione dei metodi di calcolo dell'articolo 29 del Codice degli appalti; solo in seguito a tale qualificazione le altre norme del Codice non si applicano alle fattispecie concrete.»;
le indicazioni fornite nelle citate linee guida adottate dalla giunta comunale di Milano non sembrano agli interroganti essere pienamente rispettose delle disposizioni contenute nell'articolo 29 del codice dei contratti e dei vincoli derivanti dal diritto comunitario, in considerazione dal fatto che offrono la possibilità di frazionare le opere e le attrezzature realizzate nell'ambito dello stesso intervento urbanistico, con lo scopo di sottrarre queste ultime, ovvero anche solo parti di queste ultime, alla piena applicazione delle disposizioni vigenti nel caso in cui il loro importo globale superi la soglia comunitaria;
la Commissione europea, il 5 ottobre 2015, ha informato i presentatori di una denunci per violazione del diritto comunitario – avente come oggetto proprio l'articolo 16, comma 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e la sua applicazione con le modalità previste dalle ricordate linee guida della giunta di Milano – che la loro denuncia è stata trasferita all'applicazione EU-Pilot con numero di riferimento 7994/15/GROW;
come è noto, nell'ambito delle procedure EU-Pilot, la Commissione contatta le autorità dello Stato membro interessato, affinché forniscano informazioni supplementari o adottino soluzioni che consentano di scongiurare il rischio di dover avviare una procedura di infrazione comunitaria –:
se, quali informazioni e/o che tipo di misure correttive la Commissione abbia richiesto alle autorità italiane in seno alla procedura EU-Pilot 7994/15/GROW;
se e quali iniziative normative intenda assumere affinché sia assicurata, sempre e in ogni caso, la piena applicazione dell'articolo 29, comma 7, del codice dei contratti per la determinazione del valore stimato dei contratti pubblici.
(4-11205)
RONDINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
le notizie di stampa ci riportano di nuove morti di giovani a causa dell'uso di stupefacenti;
nel 2008, sotto l'egida della Presidenza del Consiglio dei ministri, fu istituito il dipartimento per le politiche antidroga (Dpa);
si tratta di un fiore all'occhiello, anche se confrontato con altri organismi delle istituzioni europee, delle Nazioni Unite e di altri referenti istituzionali; tra i progetti del dipartimento per le politiche antidroga, in particolare, vi è quel sistema di allerta integrato, voluto per intercettare le nuove droghe vendute via internet;
da mesi il sistema è sospeso, tra cui in particolare il monitoraggio della rete, che pure aveva permesso di segnalare ai Nas oltre 500 siti in cui si vendeva droga (poi oscurati), di intercettare oltre un centinaio di rave party, che sono l'occasione per lanciare sul mercato nuove sostanze;
il sistema d'allerta segnalava, tempestivamente, alle autorità sanitarie e alle forze dell'ordine, il pericolo di nuove droghe, affinché si potessero attivare strumenti di prevenzione per evitare le morti di overdose;
da più di un anno, il dipartimento per le politiche antidroga non ha posto in essere alcun intervento, ovvero adottato misure adeguate ed effettive dirette a prevenire o comunque limitare tale emergenza sociale, soprattutto per i minorenni;
nessun progetto è stato realizzato al fine di promuovere la definizione e la diffusione di linee guida esistenti sulla prevenzione e la cura basate sulle evidenze scientifiche;
il giorno 20 novembre 2015 si è tenuto a Milano il convegno intitolato «Da Genova a Milano, sulle orme di Don Gallo. Cambiamo verso sulle droghe. ADESSO», il cui programma è palesemente orientato, secondo gli interroganti, ad una legalizzazione delle droghe e, tra i relatori vi è stata la partecipazione della dottoressa Patrizi De Rose, responsabile del dipartimento per le politiche antidroga –:
se il Governo sia a conoscenza della situazione e se non intenda intervenire al più presto, al fine di ripristinare una congrua dotazione dei fondi per il funzionamento del suddetto dipartimento, garantendo predisposizione di progetti che possano rendere il dipartimento per le politiche antidroga di nuovo un'eccellenza internazionale, e valutando l'opportunità della premessa della dottoressa De Rose ad un convegno il cui spirito sia da considerare in contrasto con la legislazione antidroga vigente. (4-11207)
PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il 21 novembre 2015, presso la Reggia di Venaria in Piemonte, si terrà il cosiddetto «Italian digital day», un'iniziativa nella quale, da quanto si apprende da fonti di stampa, il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi lancerà «[..] un nuovo patto con il Paese», un digital action plan «di un centinaio di punti, con obiettivi, tempi e responsabili»;
tale iniziativa, da quanto risulta dal sito web ufficiale accessibile all'URL www.italiandigitalday.it, appare organizzata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri come emerge, peraltro, dall'utilizzo del logo della Presidenza che campeggia ben visibile sulla home page del sito;
in merito a tale iniziativa organi di stampa hanno sollevato dubbi sul chi sia l'effettivo promotore e finanziatore dell'evento poiché sul sito non è data alcuna informazione in tal senso;
l'Associazione Digital Champion, promotore di «Italian digital day», è un'associazione privata costituita il 20 novembre 2014 a Roma attualmente guidata da, Riccardo Luna, nominato nel settembre 2014, consigliere del Presidente del Consiglio dei ministri per la carica di Digital Champion per l'Italia, e di cui è sociofondatore Giuseppe Recchi, attuale Presidente di Telecom Italia –:
se il Governo intenda chiarire il proprio ruolo nell'organizzazione dell'iniziativa denominata «Italian Digital Day» promossa dall'associazione Digital Champion e, in particolare, se siano state assegnate alla stessa risorse finanziarie e o strumentali di carattere pubblico. (4-11208)
AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
Interrogazioni a risposta scritta:
CORDA, BASILIO, FRUSONE, RIZZO e TOFALO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
nella località di Domusnovas ha la sua sede operativa dal 2010 lo stabilimento della Rwm Italia munitions Srl, costola della Rheinmetall Defence, colosso tedesco degli armamenti;
stando alle autorizzazioni rilasciate dalla provincia di Carbonia-Iglesias e dalla regione, la «Rwm munitions Italia srl» è subentrata nel 2010 alla «Società esplosivi industriali spa», che dal 2001, dopo aver prodotto per anni esplosivi da cava e per altri usi civili, era stata convertita a fabbrica per ordigni militari;
in merito alle attività della Rwm munitions Italia srl, il 9 luglio 2015 è apparso su diversi siti giornalistici sardi un articolo alquanto sconcertante. Nello specifico viene rivelato che nella località sarda di Domusnovas vengono fabbricati ordigni destinati allo Yemen con l'utilizzo di materiale radioattivo. Si parla addirittura di uso di uranio impoverito per la fabbricazione delle bombe;
un carico da Genova, trasportato dalla nave Jolly Cobalto, ha viaggiato a maggio 2015. Ordigni italiani esportati in Arabia Saudita. Ora in Yemen i sauditi stanno utilizzando le stesse tipologie di ordigni, compresi quelli all'uranio impoverito (che come è noto libera particelle fortemente cancerogene);
le bombe, secondo un'inchiesta del sito Reported.ly (tradotta in italiano da ilPost.it) sono arrivate via Genova in Arabia Saudita proprio dalla fabbrica sarda. Da settimane vengono usate dall'esercito degli Emirati Arabi Uniti per radere al suolo San'a, capitale dello Yemen;
come sarebbero finiti gli ordigni prodotti dalla Rwm munitions sugli aerei degli Emirati Arabi è un mistero per tutti. Ad acquistarle sarebbe stata una società di Abu Dhabi che assembla le bombe e le rivende agli eserciti della penisola araba. Ma non è dato sapere null'altro con certezza poiché si incontrano reticenze ovunque;
la Rwm ha dal 2013 l'autorizzazione per esportare bombe Blu-109, che contengono uranio impoverito. Un esplosivo «insensibile» alle temperature e alle detonazioni accidentali. Proprio quello in cui sono specializzati nella fabbrica di Domusnovas. Impossibile sapere se nello stabilimento vengano prodotti i componenti per questo tipo di bombe –:
se il Governo sia a conoscenza di questo report e se abbia disposto tutte le verifiche per andare a fondo della questione, considerata la gravità di un operato del genere e soprattutto se le bombe utilizzate adesso in Yemen siano le bombe italiane e perché l'Italia esporti questo tipo di materiale bellico verso un Paese in guerra. (4-11199)
PALAZZOTTO, MARCON, DURANTI, PIRAS, FAVA, CARLO GALLI e SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
il giorno 19 novembre 2015, poco prima delle 19 è atterrato in Arabia Saudita un cargo carico di bombe MK-80, fabbricate in Sardegna e partito dall'aeroporto di Cagliari. È la seconda spedizione nel giro di tre settimane, da un aeroporto civile e che avviene secondo gli interroganti in modo non conforme a quanto disposto dalla legge n. 185 del 1990 sull’export di armi. Queste armi sono probabilmente destinate a finire in Yemen;
dalla rotta (non si riesce a tracciare completamente la fase finale del percorso), sembra proprio che la destinazione sia Ta'if, città sede di una base militare saudita, esattamente come già successo il 29 ottobre 2015. Si tratta di ordigni prodotti a Domusnova dalla RWM Italia, inviati a un Paese che è evidentemente in guerra e viola i diritti civili e quindi, secondo quanto previsto dalla legge n. 185 del 1990 le armi all'Arabia Saudita non potrebbero essere vendute;
secondo quanto risulta agli interroganti questa è la terza volta, dopo la spedizione via mare di maggio, su cui è stata presentata una interrogazione – la numero 4-09775 – che non ha ricevuto ancora nessuna risposta, e quella aerea, sempre dall'aeroporto civile di Cagliari, della notte del 29 ottobre 2015;
le Nazioni Unite, da mesi riferiscono che in Yemen è in corso una «catastrofe umanitaria» senza precedenti, con oltre 6 mila morti di cui più della metà tra la popolazione civile, 21 milioni di persone, pari all'80 per cento della popolazione, che necessitano di aiuti umanitari e 6 milioni di persone bisognose di assistenza di primo soccorso immediata. Nelle zone abitate da civili in Yemen sono stati ritrovati ordigni inesplosi esportati proprio dalla RWM Italia e sganciati dalla Royal Saudi Air Force;
in Yemen, è in corso un conflitto senza alcun mandato delle Nazioni Unite e proprio il 16 novembre 2015 il Consiglio europeo si è dichiarato estremamente preoccupato per l'impatto delle ostilità in corso, inclusi i bombardamenti e gli attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili, in particolar, le strutture sanitarie e le scuole;
questo nuovo carico di bombe, dopo quello partito a fine ottobre 2015, dimostra l'urgenza dell'Arabia Saudita di ricevere forniture da impiegare prontamente in Yemen. Infatti se a maggio (si veda interrogazione 4/09775) gli ordigni potevano viaggiare per mare (con costi inferiori ma tempi maggiori), queste ultime due spedizioni estremamente ravvicinate sono state fatte via aereo, con costi maggiori ma una velocità di consegna estrema;
la spedizione pare fosse in programma, già per alcuni giorni fa a sembra essere stata rinviata per non farla coincidere con il viaggio del Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, in Arabia Saudita;
il Governo era stato informato della spedizione in data 18 novembre 2015 durante il dibattito sulla conversione in legge del cosiddetto «decreto missioni» –:
per quale ragione il Governo pur essendo a conoscenza della spedizione, non sia intervenuto su una spedizione di armi che a giudizio degli interroganti appare non conforme con le disposizioni della legge n. 185 del 1990;
quali iniziative urgenti il Governo intenda approntare affinché si fermino immediatamente queste spedizioni di armi, soprattutto in relazione ai Paesi che violano i diritti umani e siano in conflitto, quindi che avvengano in modo non conforme a quanto disposto dalla legge n. 185 del 1990;
se il Governo non intenda fornire dettagli riguardo a queste spedizioni e se sia a conoscenza delle regioni dove verranno realmente impiegate le armi.
(4-11204)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazioni a risposta in Commissione:
FICO, SIBILIA, MICILLO e COLONNESE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
a Procida, nella zona del porto di Marina Grande e di via Roma, sono in corso i lavori di «riqualificazione del Waterfront dell'asse storico di Marina Grande», un progetto che prevede una pluralità di interventi architettonici, fra i quali la sostituzione dei basoli, la pavimentazione storica dell'isola;
il progetto esecutivo è stato approvato con delibera della giunta municipale n. 5 del 9 gennaio 2014 ed interamente ammesso ai finanziamenti del Por Campania Fesr 2007-2013, per un importo di 6,9 milioni di euro circa, nell'ambito delle «Iniziative di accelerazione della spesa» di cui alla deliberazione della giunta della regione Campania n. 148 del 2013;
la pavimentazione storica in basoli è stata parzialmente rimossa e sostituita con una moderna pavimentazione di «finti basoli». Il rischio di un simile intervento è quello di sottrarre alla collettività un bene pubblico di grande valore per sostituirlo con un bene deteriore dal punto di vista sia della qualità del materiale sia della resa estetica;
i basoli, infatti, si presentavano integri e in ottimo stato – come riportato anche nell'articolo «Procida, non toccate quei basoli pregiati» di Tomaso Montanari, pubblicato il 3 novembre 2015 sul quotidiano «La Repubblica» – sebbene in alcuni punti un lieve avvallamento richiedesse il rifacimento del massetto;
tuttavia, piuttosto che procedere ad una mirata manutenzione dei basoli, si è preferito rimuoverli nella loro totalità e sostituirli con una pavimentazione moderna la cui tenuta non appare affatto garantita dal momento che le reti elettrosaldate a sostegno dei nuovi basoli non sono zincate e, a quanto risulta agli interroganti, sarebbero anche in cattivo stato;
in via Marina Corricella, nell'ambito del medesimo progetto di riqualificazione, è in corso la sostituzione con basoli nuovi della pavimentazione di cemento (anche questa, tuttavia, appariva in perfetto stato). La rimozione della pavimentazione, peraltro, sta producendo fortissime vibrazioni che alimentano il disappunto degli abitanti del posto, già contrariati da questo inutile, inspiegabile intervento di restyling;
l'intero territorio dell'isola di Procida, e in particolare l'area della Marina di Sancio Cattolico e della Corricella, o Marina Grande, è stato sottoposto a vincolo paesaggistico-ambientale con decreto ministeriale 26 marzo 1956, ai sensi della legge n. 1497 del 1939;
il vincolo paesaggistico-ambientale è stato definito con il piano territoriale paesistico (PTP) approvato dal Ministro della pubblica istruzione, di concerto con il Ministro per la marina mercantile, con decreto del 1o marzo 1971;
con il riordino delle competenze in materia derivante dall'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, nonché in seguito all'accordo Stato-regioni del 19 aprile 2001, il piano territoriale paesistico di Procida è stato rimesso alla regione Campania e successivamente trasfuso nell'allegato D – testo integrale degli strumenti di pianificazione – della legge della regione Campania n. 13 del 2008, avente ad oggetto il piano territoriale regionale;
ai sensi dell'articolo 145, comma 3, del decreto legislativo n. 42 del 2004, le disposizioni dei piani paesaggistici prevalgono sugli strumenti di pianificazione degli enti locali;
nel dicembre del 2013 la Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etno-antropologici per Napoli e provincia, avrebbe espresso parere favorevole all'attuazione del progetto ai sensi dell'articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004, nonostante la dubbia compatibilità dell'opera con i limiti posti dalla disciplina vincolistica a tutela del territorio di Procida –:
se e sulla base di quali precise motivazioni la Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etno-antropologici per Napoli e provincia abbia autorizzato gli interventi progettati nell'area vincolata di Marina Grande, con particolare riferimento alla sostituzione della pavimentazione storica in basoli, nonostante la dubbia compatibilità i tali interventi con il vincolo paesaggistico-ambientale a cui è sottoposto il territorio dell'isola di Procida ai sensi della normativa richiamata in premessa. (5-07050)
MAZZOLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
la necropoli di Norchia, situata nei pressi di Vetralla in provincia di Viterbo, è un rilevante complesso di tombe etrusche rupestri disposte su gradoni di tufo rosso. Sebbene debba la sua fama alla dominazione etrusca tra il IV e il II secolo a.C., il sito testimonia anche l'impronta romana, evidente nei resti della via Clodia che attraversa la città e quella medioevale, riscontrabile nei ruderi del castello della famiglia Di Vico e della Chiesa di S. Pietro (XIII secolo d.C.);
la zona del viterbese è internazionalmente riconosciuta quale depositaria dei più prestigiosi siti archeologici degli Etruschi, come la necropoli di Tarquinia, inserita dal 2004 nel World Heritage List dell'UNESCO;
il sito di Norchia, al quale spetterebbe la medesima considerazione, purtroppo versa in un'incuria diffusa che contraddistingue da anni l'intera area di circa 20 ettari;
a determinare tale stato è in larga parte l'azione infestante della vegetazione spontanea non arginata che va a sottoporre il tufo a progressivo degrado;
nonostante i ripetuti reclami ai proprietari delle terre sui quali sorge il complesso, i reperti sono ad oggi abbandonati alla mercé di rovi e sterpaglie che ne impediscono la fruibilità e la messa in sicurezza di visitatori e archeologi;
la necropoli, oltre all'assenza di un organizzato percorso espositivo per il pubblico, non dispone di idonee strutture di accoglienza né tantomeno di controlli da parte di personale addetto –:
se il Ministro interrogato non intenda assumere impegni di natura economica al fine di garantire interventi urgenti per il recupero del sito in questione, che comprendano il restauro conservativo, la manutenzione e un adeguato iter di visita;
se, in considerazione dell'eccezionale interesse artistico di Norchia, non ritenga necessario predisporre di un più ampio progetto di valorizzazione, anche in vista di un futuro riconoscimento nell'ambito del patrimonio dei beni culturali italiani. (5-07052)
Interrogazioni a risposta scritta:
BASILIO, MASSIMILIANO BERNINI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
la necropoli etrusca di Norchia, in provincia di Viterbo, ricadente sul territorio amministrato dal comune di Viterbo, è un sito archeologico preistorico, etrusco, romano e medievale situato lungo l'antica Via Clodia;
la zona fu già abitata a partire dall'epoca preistorica. Le prime tracce risalgono infatti al Paleolitico superiore e si intensificano nell'Età del Bronzo, con resti di capanne. Con l'arrivo degli Etruschi sorsero l'abitato e la vicina necropoli, già a partire dagli inizi del VI o del V secolo a.C.;
in epoca medievale, la città tornò ad essere frequentata in epoca longobarda, quando la zona faceva da confine con il Ducato romano, per essere poi fortificata nel XII secolo da papa Adriano IV. Tra il XII e il XIII secolo vennero eretti le chiese di S. Pietro e S. Giovanni e il castello, passato nel XIII alla famiglia Di Vico;
la città, definitivamente abbandonata nel 1435, rappresenta attualmente una delle necropoli etrusche più importanti della regione Lazio, testimonianza fondamentale e di notevole valore storico-culturale dell'intera civiltà etrusca;
come si evince da un articolo a firma del giornalista Daniele Camilli, pubblicato su giornale on line «Tuscia Web» il 2 novembre 2015, il sito archeologico di Norchia versa oggi in uno stato di totale ed intollerabile abbandono;
l'intera area, infatti, risulta completamente invasa dalla vegetazione che ha nuovamente «sepolto» la necropoli etrusca, rischiando di danneggiare irrimediabilmente le importantissime tombe presenti e la zona è piena di pericoli che potrebbero arrecare gravi danni all'incolumità delle persone che volessero visitare la necropoli;
come è noto, ai sensi dell'articolo 18 del codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), la vigilanza sui beni culturali compete al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, unitamente ai poteri di ispezione, protezione e conservazione dei ben sottoposti alla sua tutela;
al fine di evitare il rischio di un disastro archeologico, con gravi ripercussioni anche sul turismo del territorio, è necessario che il sito di Norchia, già oggetto negli anni precedenti di dichiarazione di interesse culturale di cui all'articolo 13 del codice dei beni culturali, possa ricevere in tempi rapidi adeguata protezione e conservazione da parte delle autorità competenti –:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quale sia l'assetto delle competenze in merito alla vigilanza del sito archeologico in questione e se siano state delegate funzioni amministrative anche alla regione Lazio;
quale sia l'assetto delle competenze in merito alla tutela del sito archeologico in questione da parte della Soprintendenza e dell'amministrazione comunale di Viterbo sul cui territorio la necropoli etrusca di Norchia ricade;
quali siano i terreni ancora di proprietà privata ricadenti all'interno della necropoli etrusca di Norchia e quali gli obblighi e le responsabilità dei privati, così previsti dalla normativa vigente;
quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare – e che tempi siano previsti – per tutelare, salvaguardare e valorizzare l'importantissimo patrimonio archeologico e culturale rappresentato dalla necropoli etrusca di Norchia. (4-11193)
ZANIN e GHIZZONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
le commissioni di sorveglianza sugli archivi degli uffici periferici dello Stato svolgono attività specificamente rivolta agli archivi correnti e di deposito delle amministrazioni dello Stato. Ogni ufficio periferico dello Stato (sia organo giudiziario che amministrativo) ha l'obbligo di istituire, sul proprio archivio, una commissione di sorveglianza, ovvero un organo collegiale misto formato da quattro componenti: due funzionari dell'ufficio di appartenenza, uno del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Archivio di Stato) e uno del Ministero dell'interno (prefettura). La costituzione delle commissioni di sorveglianza sugli archivi è prevista dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, mentre la loro composizione e il loro funzionamento sono disciplinati dal decreto del Presidente della Repubblica 8 gennaio 2001, n. 37;
tali commissioni hanno il compito di vigilare sulla corretta tenuta degli archivi correnti e di deposito, collaborare alla definizione dei criteri di organizzazione, gestione e conservazione dei documenti, proporre gli scarti che devono essere autorizzati dalla direzione generale per gli archivi del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, curare i versamenti all'archivio di Stato competente per territorio ed identificare gli atti di natura riservata;
la commissione si riunisce periodicamente per valutare quali atti siano destinati alla conservazione perenne e quali possano essere eliminati; inoltre, può intervenire anche sull'organizzazione dell'archivio corrente e di deposito. Svolge dunque funzioni fondamentali al fine di assicurare la giusta tenuta degli archivi, tra i quali anche quelli notarili, assumendo le opportune iniziative al fine di risolvere problemi temporanei e/o strutturali;
preso atto, infine, che l'archivio notarile di Pordenone versa da tempo in condizioni di elevata precarietà, al punto che già dal 2009 sono state avviate le pratiche per la realizzazione di una nuova apposita sede. Una operatività interrotta a seguito di un parere negativo espresso dall'Avvocatura Generale di Stato nel 2011 e che, perciò, ha lasciato il problema irrisolto, nonostante ad oggi la procedura sia in fase avanzata. Problema che ora si è sostanzialmente aggravato dal recente accorpamento del tribunale di Portogruaro (in provincia di Venezia) con quello di Pordenone (in regione Friuli Venezia Giulia) –:
se il Governo sia in possesso di informazioni aggiornate sullo stato di attivazione delle commissioni di sorveglianza a livello nazionale e più nello specifico se una tale commissione risulti attiva a Pordenone;
se, vista la delicata condizione dell'archivio notarile di Pordenone, il Governo non ravveda l'opportunità di assumere iniziative di verifica, per quanto di competenza, anche attivando i poteri della suddetta commissione di sorveglianza.
(4-11212)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazione a risposta in Commissione:
PESCO, RUOCCO, ALBERTI, VILLAROSA, FICO e COLONNESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
la segreteria regionale dell'Agenzia delle entrate Campania di Dirpubblica, nell'ambito delle sue prerogative, ha inoltrato il 22 ottobre 2015, a firma del segretario regionale, dottoressa Assunta Franzese, una richiesta di chiarimenti, al direttore regionale dell'Agenzia delle entrate della Campania Carlo Palumbo, in merito al provvedimento di delega protocollo n. 54552 del 2 ottobre 2015. Dalla comunicazione si apprende che risulterebbero «riconfermate deleghe di firma a funzionari non dirigenti ex incaricati di funzioni dirigenziali, dichiarati decaduti con sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 17 marzo 2015, e nominati “illo tempore” senza l'espletamento di legittime e adeguate procedure selettive». Comportamento, sempre a detta del segretario regionale, che consente ai funzionari in questione l'espletamento di maggiori responsabilità rispetto a dirigenti competenti già regolarmente retribuiti e in forza all'Agenzia delle entrate. Nella lettera, pubblicata poi sul sito di Dirpubblica.it, si apprendono i nomi di diversi casi di funzionari, nuovamente delegati a svolgere mansioni dirigenziali, nonostante l'organico della direzione regionale Campania già possa fare affidamento su 10 dirigenti di ruolo. Il segretario regionale concludeva la missiva sottolineando come «questa situazione appare preoccupante atteso che l'ordinamento non consente a un dirigente generale di contornarsi di collaboratori soltanto “di fiducia ma occorre che gli stessi risultino legittimati da trasparenti procedure di selezione”, come ben definito dal decreto legislativo 165 del 2001 richiamato dalla Corte Costituzionale, concludendo con la preghiera di «assicurare a tutti i dirigenti di ruolo, in servizio presso la DR della Campania, il libero ed integrale esercizio delle funzioni previste dall'articolo 17 del decreto-legge 165/200» (n. 165 del 2001);
a questa legittima richiesta il direttore Palumbo pubblica una nota sul sito nazionale «intranet» dell'Agenzia delle entrate, dal titolo «Comunicazione – Il Direttore Regionale risponde al Segretario Regionale di Dirpubblica – La nota del Direttore Palumbo in riscontro alla lettera del Segretario Regionale Assunta Franzese, pubblicata sul sito di Dirpubblica» nella quale si legge «... con riguardo alla Sua lettera del 22 ottobre 2015... Le rappresento, sinteticamente, i motivi per i quali la ritengo priva di qualsiasi fondamento, oltre che del tutto erronea nelle considerazioni svolte sulla conduzione delle attività presso questa Direzione Regionale. Le evidenzio, in primo luogo, come la attribuzione di delega di firma a funzionari in servizio presso questa Direzione cui Lei si riferisce ha per oggetto provvedimenti rientranti nella mia esclusiva competenza, e costituisce strumento indicato anche dalla sentenza della Corte Costituzionale che Lei cita quale modalità di gestione delle attività amministrative di questa Agenzia. Le rappresento altresì, al riguardo, che – secondo valutazione che la legge assegna in via esclusiva al sottoscritto, quale titolare del potere di firma delegato – la attribuzione di deleghe a funzionari risulta adeguata per garantire la migliore gestione delle attività di competenza di questa Direzione. Per quanto appena detto, Le dovrebbe essere chiaro che il conferimento di delega avente ad oggetto firma di provvedimenti rientranti nella mia competenza non coinvolge né comprime competenze di altre figure dirigenziali di questa Direzione, che non limitano le prerogative connesse agli incarichi che ricoprono. I dirigenti in servizio presso la Direzione Regionale ricoprono già incarichi con piene responsabilità ad interim, anche plurimi, di altri uffici. Dunque, quanto da Lei prospettato nella lettera non ha il pregio di descrivere con esattezza la realtà operativa in essere presso questa Direzione Regionale. Le comunico che la presente nota, unitamente alla lettera riscontrata, viene indirizzato anche ai cinque funzionari da Lei menzionati, al fine di consentire a costoro di assumere, anche a titolo personale, le determinazioni ritenute opportune, in particolare alle modalità espressive utilizzate nei loro riguardi nella lettera medesima, nonché ai contenuti ivi esposti, non corrispondenti alla reale conformazione amministrativa e gestionale che connota le attività di questa Direzione»;
l'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica n. 266 del 1987 stabilisce quali sono gli incarichi e i ruoli, tra cui la reggenza e la sostituzione del dirigente, in caso se ne verificasse l'assenza, riservati ai dipendenti della pubblica amministrazione inquadrati della fascia funzionale più alta (all'epoca la nona) ora confluita nella terza area senza che sia stato specificato quali funzionari della stessa area terza possano essere considerati al pari degli ex in area nona legittimati a ricevere deleghe dirigenziali;
in merito al principio di buon andamento della pubblica amministrazione, un
dirigente in ruolo nella pubblica amministrazione vincitore di pubblico concorso dovrebbe svolgere mansioni di maggior rilievo rispetto a un funzionario investito da delega di firma;
inoltre, seppur la Corte Costituzionale nella citata sentenza abbia definito essenziali, a fini funzionali, «le regole organizzative interne all'Agenzia delle entrate e la possibilità di ricorrere all'istituto di delega, anche a funzionari, per l'adozione di atti di competenza dirigenziale», la sentenza n. 22803 del 9 novembre della Corte di Cassazione afferma come «non appaia decisiva la modalità di attribuzione della delega che può essere conferita o con atto proprio o con ordine di servizio, purché venga indicato, unitamente alle ragioni della delega (ossia le cause che ne hanno resa necessaria l'adozione, quali carenza di personale, assenza, vacanza, malattia, eccetera) il termine di validità e il nominativo del soggetto delegato. Non è sufficiente, in entrambe le tipologie di deleghe (di firma o di funzione) l'indicazione della sola qualifica professionale del dirigente destinatario della delega, senza alcun riferimento nominativo alla generalità di chi effettivamente rivesta tale qualifica. Devono, quindi, ritenersi illegittime le deleghe “impersonali”, anche “ratione officii”, senza indicare nominalmente il soggetto delegato e tale illegittimità si riflette sulla nullità dell'atto impositivo» –:
se, per quanto di competenza non si ritenga di valutare se le modalità della risposta, con particolare riferimento all'ultimo periodo dai toni, a giudizio degli interroganti a dir poco aggressivi, nei confronti della rappresentante/rappresentanza sindacale (considerato che la risposta è palesemente pubblica e a disposizione di chiunque all'interno dell'Agenzia delle entrate voglia entrarne nel merito, anche di causa), siano consone ed opportune in relazione al ruolo di dirigente della pubblica amministrazione e dell'Agenzia delle entrate;
se e quali iniziative il Governo intenda assumere in merito alla vicenda, in tempi rapidi, al fine di evitare nuovi contenziosi, dispendiosi in termini di tempo denaro ed efficacia nella lotta all'evasione fiscale, già duramente compromessa dalle vicende legate alla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 37 del 2015 e alla legge 186 del 2014. (5-07056)
GIUSTIZIA
Interrogazioni a risposta orale:
COVELLO e MAGORNO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
presso l'istituto penitenziario di Rossano in provincia di Cosenza sono detenuti nella sezione speciale del carcere 21 stranieri accusati di terrorismo alcuni dei quali appartengono alla cellula di Al Qaeda e sono considerati soggetti attivi del terrorismo di matrice islamica;
in occasione dei tragici attentati di Parigi come riportato dagli organi di stampa alcuni di questi detenuti avrebbero esultato, appresa la notizia, al grido di «Viva la Francia libera»; grido di gioia misto a sfida, secondo quanto si apprende da fonti interne al carcere, per «liberato» la Francia dai cosiddetti «infedeli»;
misure di controllo sono scattate immediatamente dopo gli attentati di Parigi anche nell'istituto di Rossano, considerato «obiettivo sensibile»;
oltre alla videosorveglianza, già attiva nel carcere, è stato attivato un pattugliamento esterno con agenti specializzati e armati, che 24 ore su 24 controlla le mura di cinta dell'istituto di pena;
si è svolta a Cosenza una riunione del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica per fare il punto sulle misure di prevenzione del terrorismo islamico;
la procura distrettuale antimafia di Catanzaro ha avviato «accertamenti preliminari» su quanto avvenuto nel carcere di Rossano venerdì sera, dopo le prime notizie sugli attentati di Parigi;
non va creato allarmismo ma è del tutto evidente che vanno potenziati organici e misure di sicurezza interne ed esterne alla struttura penitenziaria anche per la sicurezza degli stessi operatori di polizia penitenziaria e degli altri lavoratori della struttura –:
in considerazione di quanto espresso in premessa, quali ulteriori iniziative specifiche intenda adottare il Governo per rafforzare la sicurezza della struttura penitenziaria di Rossano. (3-01859)
COVELLO e MAGORNO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
presso l'istituto penitenziario di Rossano, in provincia di Cosenza, sono detenuti, nella sezione speciale del carcere, 21 stranieri accusi di terrorismo, alcuni dei quali appartengono alla cellula di Al Qaeda e sono considerati soggetti attivi del terrorismo di matrice islamica;
in occasione dei tragici attentati di Parigi come riportato dagli organi di stampa, alcuni di questi detenuti avrebbero esultato, appresa la notizia, al grido di «Viva la Francia libera»;
un grido di gioia misto a sfida, secondo quanto si apprende da fonti interne al carcere, per aver «liberato» la Francia dai cosiddetti «infedeli»;
misure di controllo sono scattate immediatamente dopo gli attentati di Parigi anche nell'istituto di Rossano, considerato «obiettivo sensibile»;
oltre alla videosorveglianza, già attiva nel carcere, è stato attivato un pattugliamento esterno, con agenti specializzati e armati, che 24 ore su 24 controllano le mura di cinta dell'istituto di pena;
si è svolta a Cosenza una riunione del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica per fare il punto sulle misure di prevenzione del terrorismo islamico;
la procura distrettuale antimafia di Catanzaro ha avviato «accertamenti preliminari» su quanto avvenuto nel carcere di Rossano venerdì 13 novembre 2015, dopo le prime notizie sugli attentati di Parigi;
non va creato allarmismo, ma è del tutto evidente, ad avviso degli interroganti, che vanno potenziati organici e misure di sicurezza interne ed esterne alla struttura penitenziaria, anche per la sicurezza degli stessi operatori di polizia penitenziaria e dei lavoratori della struttura penitenziaria –:
in considerazione di quanto espresso in premessa, quali ulteriori misure specifiche intenda adottare il Governo per rafforzare la sicurezza della struttura penitenziaria di Rossano. (3-01860)
GELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in data 29 novembre 2014 l'interrogante ha depositato una interrogazione, la n. 3-01190 con la quale facendo riferimento ad una puntata di «Report» andata in onda su Rai 3 in data 23 novembre 2014, in merito ad alcune vicende del Monte dei Paschi di Siena, si chiedeva al Ministro del interno di verificare alcune circostanze che vedevano coinvolto il dottor Davide Rossi, ex capo dell'area comunicazione dell'istituto di credito, deceduto per presunto suicidio il 6 marzo 2013;
al suddetto atto di sindacato ispettivo non è ancora pervenuta risposta ad ormai un anno dalla presentazione dello stesso;
in questi giorni importanti testate giornalistiche hanno attenzionato nuovamente il caso;
il procuratore della Repubblica di Firenze, Salvatore Vitello, in accordo con il sostituto Andrea Boni, ha deciso di riaprire le indagini ed il 6 novembre 2015 è stata depositata richiesta di riapertura delle indagini presentata, a mezzo del proprio difensore, da Tognazzi Antonella, la vedova di Rossi –:
quali iniziative il Governo, anche alla luce delle nuove ed importanti notizie di cui in premessa intenda assumere per verificare se quanto riferito, in via anonima, nella trasmissione televisiva «Report», un anno fa e vista da milioni di telespettatori, corrisponda al vero e cioè che il dottor Davide Rossi fosse titolare di un incarico, con ufficio, e a quale titolo, presso il Ministero dell'interno, anche al fine di contribuire a fare chiarezza su una vicenda dai tratti inquietanti e su un decesso che presenta ad oggi tante zone d'ombra. (3-01861)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
RICCIATTI, DANIELE FARINA, SANNICANDRO, FERRARA, SCOTTO, PALAZZOTTO, PIRAS, FRANCO BORDO, QUARANTA, MELILLA e DURANTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
in data 9 aprile 2015 Claudio Giardiello, un imprenditore imputato per il reato di bancarotta ha introdotto nel tribunale di Milano una pistola con la quale ha ucciso il giudice Fernando Ciampi, l'avvocato Lorenzo Claris Appiani e l'imprenditore Giorgio Erba;
il fatto ha avuto grandissimo rilievo ed ha messo in evidenza diverse criticità nei sistemi di sicurezza non solo ne tribunale di Milano, ma anche in quelli di altre città;
a seguito dell'evento citato, il Ministro della giustizia, nel corso dell'informativa tenutasi al Senato della Repubblica in data 16 aprile 2015, ha evidenziato come il quadro normativo relativo alle misure di vigilanza sugli uffici ed edifici giudiziari presenti profili di disorganicità e frammentarietà, per la stratificazione delle norme e la complessità delle competenze, rassicurando sulla centralizzazione della gestione della sicurezza presso il Ministero della giustizia, prevista per l'autunno, quando la competenza sul funzionamento degli uffici giudiziari sarebbe passata al Ministero della giustizia (ai sensi della legge 23 dicembre 2014, n. 190);
in data 27 agosto 2015 veniva siglata la convenzione quadro – prevista dall'articolo 21-quinquies del decreto 27 giugno 2015, n. 83, recante «misure urgenti in materia fallimentare civile e processuale civile di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria», convertito, con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132 (Gazzetta Ufficiale n. 192 del 20 agosto 2015) – tra Anci e Ministero della giustizia, che dà attuazione alla stesso articolo 21-quinquies, che prevede: «Al fine di favorire la piena attuazione di quanto previsto dall'articolo 1, commi 526 e seguenti, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, fino al 31 dicembre 2015, per le attività di custodia, telefonia, riparazione e manutenzione ordinaria in precedenza svolte dal personale dei comuni già distaccato, comandato o comunque specificamente destinato presso gli uffici giudiziari, i medesimi uffici giudiziari possono continuare ad avvalersi dei servizi forniti dal predetto personale comunale, sulla base di accordi o convenzioni da concludere in sede locale, autorizzati dal Ministero della giustizia, in applicazione e nei limiti di una convenzione quadro previamente stipulata tra il Ministero della giustizia e l'Associazione nazionale dei comuni italiani»;
ai sensi di tale convenzione quadro dalle attività di «custodia» sono espressamente esclusi «i servizi di sorveglianza armata e, comunque, volti ad assicurare la sicurezza degli uffici giudiziari»; ad oggi la sicurezza di molti tribunali è garantita anche dalla stipulazione di accordi, a livello territoriale, con società che erogano servizi di vigilanza privata;
in diversi tribunali tali contratti scadranno al 31 dicembre 2015;
non si hanno, ad oggi, informazioni univoche, circa il piano di riorganizzazione che prevede la centralizzazione presso il Ministero della giustizia della gestione del sistema di sicurezza, che dovrebbe portare all'uniformazione delle procedure e degli standard qualitativi per tutti i tribunali italiani, come annunciato dal Ministro all'indomani dell'episodio di cronaca riportato;
la sicurezza continua ad essere un problema rilevante per molti tribunali, anche piccoli, dove si verificano sovente tentativi di introdurre armi o oggetti atti ad offendere;
presso il tribunale di Pesaro, ad esempio, dal 9 aprile 2015 ad oggi il servizio di vigilanza, posto all'ingresso dell'edificio, ha provveduto a sequestrare e segnalare 21 casi di tentato accesso alla struttura con armi da taglio (Il Resto del Carlino, ed. Pesaro, 17 novembre 2015);
a seguito dei recenti attentati di Parigi (13 novembre 2015) e del conseguente innalzamento dell'emergenza al secondo livello, come annunciato dal Ministro dell'interno (La Repubblica, 14 novembre 2015), resta di primaria necessità garantire, se non rafforzare, i presidi di sicurezza dei tribunali, considerato il loro status di obiettivi sensibili –:
se il Ministro interrogato sia in grado di fornire chiarimenti sullo stato della annunciata riorganizzazione del sistema di sicurezza per i tribunali e sulla sua centralizzazione presso il Ministero dell'interno;
se non ritenga opportuno, nelle more di tale processo, assumere le iniziative di competenza per rendere possibile la proroga o il rinnovo delle convenzioni con le società di vigilanza privata, incaricate fino al 31 dicembre 2015 di garantire i servizi di controllo e sicurezza;
quali iniziative intenda attuare il Governo al fine di implementare i dispositivi di sicurezza per i tribunali, a seguito dell'innalzamento al secondo livello di emergenza. (5-07045)
ROSTELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
l'ordinamento penitenziario italiano prevede che le madri detenute con prole inferiore ai tre anni debbano usufruire di trattamenti alternativi alla detenzione finalizzati a non traumatizzare eccessivamente i figli, che fino a quell'età devono in ogni caso rimanere sotto la tutela del genitore di sesso femminile se è quest'ultima a chiederlo espressamente. Questi trattamenti alternativi riguardano ad esempio il soggiorno in reparti particolari, a custodia attenuata, meno duri rispetto al carcere vero e proprio: l'ambiente deve essere accogliente e più simile ad una vera casa, proprio per evitare che i bambini soffrano l'esperienza della carcerazione forzata;
in Italia, esistono attualmente pochi centri a custodia attenuata. Uno di questi è l'I.C.A.M. di Milano, luogo ove le «recluse» possono soggiornare con i loro figli sino al compimento del terzo anno di età;
l'I.C.A.M. è una struttura che non ricorda in alcuna maniera il carcere, essendo simile ad un asilo nido in cui i bambini possono trascorrere serenamente il periodo di «carcerazione» insieme alle loro madri: camere confortevoli e luminose, ambienti personalizzati, infermeria, ludoteca, biblioteca e aula formativa per le donne, cucina attrezzata e soggiorno sono stati appositamente concepiti per consentire alle madri detenute con bambini piccoli una vita più dignitosa;
secondo l'ultimo rapporto datato 30 giugno 2015, pubblicato sul sito del Ministero della giustizia, gli istituti a custodia attenuata risultano essere, su tutto il territorio nazionale, solo 4;
nello stesso report si legge che vi sono complessivamente 15 asili nido funzionanti e 4 non funzionanti. Il numero delle detenute madri con bambini in istituto sono 33, il numero dei bambini risulta essere 35 e le detenute in gravidanza risultano essere 19 in totale –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati esposti in premessa;
quante e quali siano le strutture che accolgono anche i bambini con più di tre anni e come intenda agire nei casi in cui non sia prevista tale possibilità. (5-07051)
Interrogazioni a risposta scritta:
PIRAS, DURANTI, RICCIATTI e QUARANTA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il Ministero della giustizia ha assunto come obiettivo, sin dal 2014, quello «primario di procedere anche alla razionalizzazione della geografia dei distretti delle corti d'appello e di incidere su ulteriori assetti della originaria geografia giudiziaria, così superando alcuni angusti confini della legge di delega originaria e, nel contempo, ponendosi così le premesse per dare soluzione ai casi problematici che finora non hanno ricevuto adeguata considerazione»;
con decreto ministeriale del 12 agosto 2015 è stata istituita la Commissione per la riforma dell'ordinamento giudiziario. Come primo obiettivo assegnato all'organismo in questione quello di progettare: «lo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria, attraverso una riorganizzazione della distribuzione sul territorio delle corti di appello e delle procure generali presso le corti di appello, dei tribunali ordinari e delle procure della Repubblica ed una collegata promozione del valore della specializzazione nella ripartizione delle competenze»;
in data 21 giugno 2013 la «CEPEJ – European Commission for the Efficiency of Justice – Commissione europea per l'efficienza della giustizia» ha pubblicato le «Linee guida per favorire le condizioni di accesso a un sistema giudiziario di qualità». Nel documento in oggetto si evince come i fattori da considerare preminenti nella definizione delle mappe giudiziarie siano divisi in due categorie: i «fattori chiave» – di primaria importanza – ed i «fattori aggiuntivi» che sono di rilevanza secondaria e che, se utilizzati in aggiunta ai primi, migliorano la completezza e la robustezza della analisi;
i «fattori chiave» di predetto documento sono individuati in: densità di popolazione; dimensione dell'ufficio giudiziario; flussi di procedimenti e carichi di lavoro; ubicazione geografica; infrastrutture e trasporti. Per quanto invece riguarda i «fattori aggiuntivi» si può tenere conto di: informatizzazione; tecnologie audio/video disponibili e della cultura generale; industrializzazione del territorio; disponibilità di procedure alternative di risoluzione delle controversie (ADR/mediazione); disponibilità di avvocati; opportunità di assunzione di personale e di assegnazione di giudici nel territorio; cooperazione con sistemi e istituzioni esterne come il sistema penitenziario, le procure e la polizia;
l'Unione regionale delle curie sarde ha ritenuto di interloquire con Governo e Parlamento al fine di scongiurare che la nuova iniziativa di riassetto territoriale della geografia giudiziaria incida sulla esistenza della sezione distaccata della Corte d'appello di Sassari oltre che degli stessi tribunali circondariali del distretto, che hanno già giustamente e positivamente superato indenni la prima fase del riassetto della geografia giudiziaria;
nello specifico, infatti, a giudizio degli interroganti, nel caso della sezione di corte d'appello di Sassari, sono pienamente riscontrabili sia i cosiddetti «fattori chiave» che quelli «aggiuntivi», con particolare riferimento a:
1) densità di popolazione: in quanto la sezione della corte d'appello in oggetto soddisfa l'esigenza di giustizia di utenti di oltre 650000 abitanti (ISTAT 2015), al netto dei numerosi flussi turistici che gravitano sul territorio stesso;
2) dimensioni dell'ufficio giudiziario – flussi di procedimenti e carichi di lavoro: in quanto 1a corte in oggetto, pur classificabile di «piccole dimensioni» (ovvero con un bacino di utenza inferiore al milione di abitanti), presenta dei flussi di procedimenti superiori a talune sezioni autonome di corti di appello (come Trento e Campobasso e sostanzialmente equiparabili a quelli della sede centrale di Cagliari. Oltremodo, in caso di ridefinizione dell'assetto territoriale, il carico di lavoro di Sassari (che ha una media durata di procedimento calcolata in 458 giorni) andrebbe a gravare sulla corte d'appello di Cagliari, che già presenta un grado di performance peggiore (quantificabile in 540 giorni), con prevedibili e nefaste conseguenze per tutto il sistema giudiziario sardo, in termini di durata dei procedimenti, di efficienza del sistema e di amministrazione della giustizia;
3) ubicazione geografica, infrastrutture e trasporti: dal punto di vista geografico, il territorio coperto dalla sezione distaccata di Sassari è estremamente vasto comprendendo i circondari dei tribunali di Sassari, Nuoro e Tempio Pausiana e si estende su oltre 11.600 chilometri. Considerando inoltre le distanze chilometriche fra le sezioni citate e la corte d'appello di Cagliari, che risultano fra le più alte d'Italia, data anche la particolare conformazione geografica della Sardegna, un'eventuale accentramento del servizio andrebbe quindi a porsi in contrasto con le richiamate linee guida, nella esplicita previsione della «accessibilità della sede» come uno dei «fattori critici» per la permanenza della sezione distaccata. Il tutto aggravato dalla grave carenza infrastrutturale e del sistema di trasporti, che rende oltremodo difficoltoso il raggiungimento del capoluogo di regione;
Lanusei è un centro di circa 7000 abitanti, capoluogo dell'Ogliastra, area collocata nella Sardegna centro meridionale (fra le province di Cagliari, Nuoro ed Olbia), geograficamente e culturalmente omogenea e storicamente segnata da un forte isolamento, poco densamente popolata (circa 58000 abitanti su di un territorio che si estende per 1854 chilometri quadrati, diviso in 22 comuni), scarsamente collegata ai centri più popolosi dell'isola, stante una rete viaria che non consente lo scorrimento veloce. Si tratta di un territorio segnato da, forti problemi economici, che sconta in maniera pesante una politica di tagli e spending review, totalmente centrata sulla legge dei grandi numeri, invece che sul rispetto dei diritti della persona;
il rischio della perdita del tribunale (che fra le altre cose risulta essere tra i primi 27 tribunali italiani in termini statistici e di definizione dei procedimenti) per le ragioni di riorganizzazione espresse in premessa, denunciato oltremodo dall'assemblea degli iscritti all'albo degli avvocati del foro di Lanusei, che ha deliberato l'astensione da tutte le udienze civili, penali ed amministrative per il periodo 16-24 novembre 2015, avrebbe ripercussioni sociali non indifferenti. La soppressione del tribunale, infatti, implicherebbe un ulteriore violento impatto economico sul territorio, con la perdita stimata di circa 500 posti di lavoro fra dipendenti e indotto, senza considerare le difficoltà che emergerebbero nella concreta amministrazione del territorio;
per quanto espresso, quindi, la soppressione della sezione distaccata di corte d'appello di Sassari e del tribunale di Lanusei non solo sarebbe in contrasto con le linee guida comunitarie in materia di geografia giudiziaria, ma non comporterebbe ad avviso degli interroganti alcun risparmio per le finanze dello Stato, se non addirittura un paradossale aumento di costi sia in termini economici, che funzionali, oltre che arrecare un grave pregiudizio per i cittadini utenti di giustizia del territorio –:
se, nell'ottica della ulteriore razionalizzazione degli uffici giudiziari, il Ministro interrogato non intenda tenere adeguato conto delle condizioni sopra espresse, con particolare riferimento alle specificità del territorio sardo, al fine di non precedere con la soppressione della sezione distaccata di corte d'appello di Sassari e del tribunale di Lanusei. (4-11187)
FEDRIGA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
al tribunale di Tolmezzo, inizialmente soppresso dalla riforma della geografia giudiziaria, non è stata concessa una proroga al fine di smaltire l'arretrato dei procedimenti civili ordinari e delle controversie in materia di lavoro, di previdenza e assistenza obbligatoria, pendenti alla data della soppressione del tribunale in parola;
dal 13 settembre 2013, dunque, le nuove cause, prima di competenza del tribunale di Tolmezzo, centro più importante della Carnia e ne è quindi considerato il capoluogo, ora vengono incardinate presso il tribunale di Udine con conseguenti disagi e costi sia per i cittadini ed operatori della giustizia e sia in termini di dilatazione dei tempi dei processi;
benché il tribunale di Tolmezzo sia costato allo Stato ed al comune della cittadina friulana, ora non viene più utilizzato; il 6 agosto 2015 è stata stabilita, attraverso un protocollo tra la regione Friuli-Venezia Giulia ed il Ministero di giustizia, l'apertura di un «presidio di giustizia» nella sede dell'ex tribunale di Tolmezzo. Tale accordo consentirà alla regione di organizzare in quella sede un ufficio presidiato da proprio personale che consenta agli utenti di depositare gli atti e di poter seguire l’iter dei procedimenti mediante collegamenti telematici dell'ufficio locale con il tribunale di Udine, evitando loro le relative trasferte. Costi che sono stati «ribaltati» sulla regione a fronte poi di un ufficio che, pur costando, non sopperisce alla grave decisione di aver soppresso un tribunale;
i dati forniti dal Ministero della giustizia riguardo alla attività del tribunale di Tolmezzo ne testano l'efficienza e la produttività anche rispetto ad altri tribunali;
confrontando tali dati con quelli del tribunale di Udine, si rileva che la produttività di quello di Tolmezzo era certamente in linea, o, per lo più maggiore, rispetto a quello a cui è stato accorpato;
a fronte di tali numeri, è evidente che, nel caso di specie, non si sono realizzati quei «risparmi di spesa e incremento di efficienza» che avrebbero dovuto ispirare la riforma della geografia giudiziaria –:
se il Ministro interrogato, alla luce anche dei dati sopra esposti e delle numerose istanze provenienti dal territorio, non reputi più opportuno assumere iniziative per ripristinare e mantenere la funzionalità del tribunale di Tolmezzo e così evitare gravi disagi per i cittadini e gli operatori della giustizia, posto che tale soppressione, ad avviso dell'interrogante, dà luogo a un non proficuo utilizzo di denaro pubblico. (4-11190)
VENTRICELLI, GIUDITTA PINI, CULOTTA, MARCHI, PORTA, CHAOUKI, VALERIA VALENTE, MAZZOLI, COCCIA, D'OTTAVIO, CAMANI, BARGERO, GIOVANNA SANNA, PARIS, MOSCATT, MINNUCCI, D'ARIENZO, BOCCUZZI, MISIANI, ROSSOMANDO, GRIBAUDO, MASSA, RIBAUDO e GIULIANI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
è cronaca recente, riportata in questi giorni dai maggiori quotidiani nazionali, il grave fatto che ha visto protagonista una donna di Genova che non avrà diritto a un indennizzo e nemmeno a un assegno di mantenimento dal marito che l'avrebbe picchiata per 24 anni. Secondo i giudici, l'ormai ex moglie ha sopportato troppo a lungo le violenze dando luogo al sospetto che ci fosse una sorta di passiva rassegnazione;
secondo la sentenza, riportata dal quotidiano La Stampa: «Per un quarto di secolo ha subito percosse e violenze, ha visto un figlio finire in galera e una figlia portata via dai servizi sociali perché non poteva crescere con un padre così. Ha sopportato: per debolezza, per paura, perché non aveva scelta. Ma alla fine se ne è andata via: ha chiesto la separazione e ha chiesto che ciascuno fosse considerato responsabile delle sue colpe. Lei, di aver tollerato (forse) troppo a lungo. Lui, di averla spedita un'infinità di volte al pronto soccorso»; e, ancora, sempre a quanto riportato «non esiste un rapporto di causa evidente tra le ripetute violenze subite nel corso degli anni e la rottura del matrimonio, avendo peraltro essa stessa ammesso che tali condotte sono iniziate nell'anno 1991, subito dopo la celebrazione del matrimonio», scrivono i giudici. E aggiungono: «La signora ha dunque di fatto tollerato tali condotte»;
la violenza contro le donne resta una delle forme più gravi di violazione strutturale dei diritti umani a livello mondiale, ed è un fenomeno che coinvolge vittime e aggressori di ogni età, livello d'istruzione, reddito e posizione sociale, e che costituisce sia una conseguenza che una causa della disuguaglianza tra donne e uomini;
il Governo è fortemente impegnato, su impulso costante del Parlamento, a dotare forze dell'ordine, inquirenti, strutture di assistenza di tutte le risorse e gli strumenti necessari a combattere la violenza contro le donne e ad assistere le vittime di tali odiosi crimini –:
se il Ministro non intenda valutare se sussistano i presupposti per avvalersi dei propri poteri ispettivi nei confronti degli uffici giudiziari interessati;
quali iniziative il Governo intenda intraprendere per rafforzare l'importante lavoro in atto per contrastare il fenomeno della violenza nei confronti delle donne;
se il Ministro intenda intraprendere iniziative di sensibilizzazione culturale nei confronti degli operatori del settore miranti a creare una maggiore comprensione della gravità di fenomeni come la violenza contro le donne, lo stalking, il femminicidio. (4-11210)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
GALGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
l'intervento riguardante il «Raddoppio della linea ferroviaria Orte-Falconara», nella tratta Terni-Spoleto, consiste nella realizzazione di una nuova linea ferroviaria a semplice binario, con tracciato diverso da quello della linea attuale, che costituisce un collegamento «diretto», quasi interamente in galleria, tra le stazioni di Terni e Spoleto, di lunghezza pari a circa 22 chilometri. La galleria principale, di 19 chilometri circa, è dotata di un «posto di servizio» intermedio ed è affiancata da una galleria di soccorso. Sono previste inoltre 2 gallerie lato Spoleto, di cui una artificiale, un viadotto di 65 metri e «opere d'arte» per la risoluzione di interferenze con la rete di viabilità e la rete idrografica;
lo stato di attuazione dell'opera è il seguente: progettazione definitiva conclusa il 31 luglio 2009 ed approvata, in fase di invio al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE). L'ultimazione dei lavori è prevista oltre il 2020; per quanto concerne i dati storici, il progetto «Raddoppio Spoleto-Terni e nodo Falconara» è inizialmente compreso tra i progetti di investimento del Contratto di programma RFI 2001-2005 tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e RFI Spa;
nella delibera CIPE n. 121/2001, la «Trasversale ferroviaria Orte-Falconara» è inclusa tra i sistemi ferroviari dei «corridoi trasversali e dorsale appenninica», per un costo di 1.926,384 milioni di euro ed una disponibilità di 273,72 milioni di euro;
l'opera è altresì compresa nell'Intesa Generale Quadro tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Marche, sottoscritta il 24 ottobre 2002;
nel 2003, il comune di Spoleto richiede al soggetto aggiudicatore, RFI Spa, di rivedere il progetto preliminare, presentato in ordine alle infrastrutture stradali, interferite nella zona di imbocco della galleria principale. Il comune di Terni richiede opere complementari al progetto. Il 2 dicembre dello stesso anno la regione Marche esprime parere favorevole, con prescrizioni e raccomandazioni, tenendo conto dei pareri espressi dai comuni di Spoleto e Terni, nonché dal «Servizio programmi per l'assetto del territorio» e dal «Servizio geologico» della regione;
nel 2004, il Ministero per i beni culturali esprime parere favorevole, con prescrizioni, in ordine alla contabilità ambientale. Il progetto «Raddoppio Spoleto-Terni e nodo Falconara» viene incluso nel Piano delle priorità degli investimenti (PPI) di RFI Spa, edizione aprile 2004, con un costo a vita intera di 799,9 milioni di euro, per il quale risultano disponibili 69,7 milioni di euro, a carico della legge finanziaria 2001, mentre 526,2 milioni di euro sono inclusi nel fabbisogno 2005, espresso nel 4oaddendum al contratto di programma 2001-2005. Il 27 maggio del medesimo anno, la Commissione VIA esprime parere favorevole, con prescrizioni e raccomandazioni, sul progetto preliminare dell'opera. Il CIPE con delibera n. 91 del 2004 approva il PPI di RFI Spa, edizione aprile 2004;
il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con nota del 10 maggio 2005, trasmette al CIPE la relazione istruttoria relativa alla «Direttrice Orte-Falconara – Raddoppio della tratta ferroviaria Spoleto-Terni». Il CIPE, con delibera n. 68 del 27 maggio 2005, approva con prescrizioni, ai soli fini tecnico-amministrativi, il progetto preliminare della «Direttrice Orte-Falconara – Raddoppio della tratta ferroviaria Spoleto-Terni», incluso nell'infrastruttura strategica «trasversale ferroviaria Orte-Falconara». L'intervento risulta finanziato dal contratto di programma RFI 2001-2005 per 52 milioni di euro. I maggiori oneri derivanti dalle prescrizioni, ammontanti a 3,34 milioni di euro, troveranno, probabilmente, copertura nei prossimi PPI o verranno riassorbiti in sede di progettazione definitiva;
nell'allegato 2 alla delibera CIPE n. 130 del 2006, di rivisitazione del PIS, figura il «Raddoppio della tratta ferroviaria Spoleto-Terni» quale sub intervento della trasversale ferroviaria Orte-Falconara per il quale è intervenuta deliberazione del CIPE;
nel contratto di programma RFI 2007-2011, aggiornamento 2008, sottoscritto tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e RFI Spa in data 18 marzo 2008, l'intervento «Raddoppio Spoleto-Terni» è inserito tra le «opere prioritarie da avviare», con un costo di 532 milioni di euro e un fabbisogno di 3 milioni di euro. Il 1o agosto dello stesso anno viene sottoscritto il 2o Atto aggiuntivo all'intesa generale quadro tra Governo e regione Umbria. Con tale Atto le parti decidono, tra l'altro, di ribadire l'inserimento, tra gli interventi della legge n. 443 del 2001, del raddoppio della ferrovia Orte-Falconara e di confermare la realizzazione del tratto Terni-Spoleto, aggiornando il finanziamento già stanziato di 532 milioni di euro, in relazione all'esito della progettazione in corso;
nel 2009 l'intervento è contemplato dalla delibera CIPE n. 10 di ricognizione sullo stato di attuazione del PIS. L'Organismo di Ispezione interno della RFI convalida il progetto definitivo dell'intervento, che è stato completato al 30 aprile 2008 e che necessita di ulteriori approvazioni;
il CIPE, con delibera n. 27 del 13 maggio 2010, esprime parere favorevole sullo schema di aggiornamento 2009 del contratto di programma RFI 2007-2011;
nell'allegato infrastrutture al documento di economia e finanza (DEF) 2011-2013, l'opera «Raddoppio Spoleto - Terni» è riportata nelle tabelle: «1: Programma delle Infrastrutture Strategiche – Aggiornamento 2010»; «3: Programma Infrastrutture Strategiche – Opere non comprese nella tabella 2»; «4: Opere di valenza regionale realizzabili entro il 2013»; «5: Stato attuativo dei progetti approvati dal CIPE 2002-2010». Nella seduta del 4 novembre 2010 la Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997 sancisce l'accordo sull'allegato infrastrutture;
nel contratto di programma RFI 2007-2011, aggiornamento 2009, sottoscritto il 23 dicembre 2010, sono compresi gli interventi: «Potenziamento itinerario Orte-Falconara (Fase prioritaria: Progettazione raddoppi Spoleto-Campello, Fabriano-PM 228, Castelplanio-Montecarotto e Spoleto-Terni; Realizzazione raddoppi Spoleto-Campello, Fabriano-PM 228 e Castelplanio-Montecarotto)» tra le opere in corso, tabella A03-Sviluppo infrastrutturale rete convenzionale, con un «Costo a Vita Intera» di 347 milioni di euro, interamente disponibili al 2008, di cui 185 contabilizzati al 2009; «Potenziamento itinerario Orte-Falconara (Progettazione raddoppi Foligno-Fabriano e PM 228-Castelplanio, Realizzazione raddoppi Spoleto-Terni, Foligno-Fabriano e PM 228-Castelplanio» tra le opere programmatiche, A03-Sviluppo infrastrutturale rete convenzionale, con un «Costo a Vita Intera» di 3.006 milioni di euro interamente da reperire (2.492 da risorse della Legge obiettivo e 515 da altre risorse dello Stato) a seguito del definanziamento, ai sensi della delibera CIPE 10/2009 e per gli effetti del DPCM del 11/09/2008, delle risorse disponibili al 2008 pari a 511 milioni di euro;
in data 21 marzo 2011, le regioni Umbria, Abruzzo, Lazio, Toscana e Marche, sottoscrivono un documento congiunto, sottoposto all'attenzione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il quale manifestano l'esigenza del completamento del sistema ferroviario centrale, con il potenziamento delle trasversali che mettono in comunicazione il Tirreno e l'Adriatico, in particolare con il raddoppio della linea Orte-Falconara ed il collegamento della stessa con la linea Adriatica nel «Nodo ferroviario di Falconara». L'attenzione è anche focalizzata sulla predisposizione di interventi infrastrutturali per la velocizzazione dei servizi sulle altre linee convenzionali, come la Foligno-Terontola-Arezzo, l'adeguamento della linea ferroviaria Roma-Pescara, il miglioramento e il completamento della rete regionale interconnessa alla rete statale;
nell'allegato infrastrutture al DEF 2012-2014, l'opera «Raddoppio Spoleto – Terni» è riportata nelle tabelle: «1: Programma delle Infrastrutture Strategiche – Aggiornamento aprile 2011»; «3: Programma Infrastrutture Strategiche – Opere non comprese nella tabella 2»; «4 Opere di valenza regionale realizzabili entro il 2013»; «5: Stato attuativo dei progetti approvati dal CIPE 2002-2011 (marzo)». Nell'Allegato Infrastrutture al DEF 2011 (aggiornamento settembre 2011) l'opera è riportata nelle stesse tabelle di aprile. Dalla rilevazione 2011 dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (AVCP) sullo stato di attuazione delle opere comprese nel PIS, che si basa sui dati comunicati dal RUP al 31 dicembre 2011, risulta che il progetto definitivo è in fase di approvazione interna, per il successivo invio al CIPE;
l'opera è riportata nell'allegato infrastrutture del Rapporto intermedio di aprile 2012: allegato 5, quadro riepilogativo degli interventi del PIS. Nel contratto di programma RFI 2007-2011, aggiornamento 2010/2011, sottoscritto tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e RFI Spa il 21 maggio 2012, sono compresi gli interventi: «Potenziamento itinerario Orte-Falconara (Fase prioritaria)», tra le opere in corso, Tabella A03/A04 - sviluppo infrastrutturale, con un «Costo a Vita Intera» di 347 milioni di euro, di cui 198 contabilizzati al 2010; «Potenziamento itinerario Orte-Falconara (Completamento)» tra le opere programmatiche, 03/04 Sviluppo infrastrutturale, con un «Costo a Vita Intera» di 3.006 milioni di euro da reperire. L'opera è riportata nel 10o allegato infrastrutture al DEF 2012 (aggiornamento di settembre 2012): Tabella 0, programma infrastrutture strategiche; Tabella 2, Opere in fase di progettazione del PIS. Dalla rilevazione dell'AVCP sullo stato di attuazione delle opere comprese nel PIS, che si basa sui dati comunicati dal RUP al 30 settembre 2012, non risultano variazioni rispetto al precedente monitoraggio;
nella seduta del 6 dicembre 2012, la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 281 del 1997, sancisce l'intesa sul programma delle infrastrutture, allegato alla Nota di aggiornamento del DEF 2012 – 10o Allegato infrastrutture. Il CIPE, con delibera n. 136 del 21 dicembre 2012, esprime parere favorevole sull'allegato infrastrutture al DEF 2012;
l'opera è riportata nell'Allegato infrastrutture al DEF 2013: tabella 2 – Le opere in progettazione del deliberato CIPE. Il progetto è altresì riportato nell'XI allegato infrastrutture al DEF 2013 (aggiornamento di settembre 2013), Tabella 0 – programma infrastrutture Strategiche (PIS), avanzamento complessivo. Dalla rilevazione dell'AVCP sullo stato di attuazione delle opere comprese nel PIS, che si basa sui dati comunicati dal RUP al 31 ottobre 2013, non risultano variazioni rispetto al precedente monitoraggio;
l'opera è riportata nel XII Allegato infrastrutture al DEF 2014, Tabella A.1-1 Tabella 0 – Avanzamento Programma Infrastrutture Strategiche. Nella seduta del 16 aprile 2014, la Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997 sancisce l'intesa sul Programma delle infrastrutture strategiche allegato alla Nota di aggiornamento del DEF 2013 – 11o allegato infrastrutture;
il CIPE, con delibera n. 26 del 1o agosto 2014, esprime parere favorevole sull'allegato infrastrutture alla Nota di aggiornamento del DEF 2013. Nel contratto di programma RFI 2012-2016, sottoscritto tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e RFI SpA, l'8 agosto 2014, con riferimento all'opera «Raddoppio Orte-Falconara» tratta Spoleto-Terni è riportata nella Tabella A – Portafoglio investimenti in corso e programmatici – A04 – Potenziamento e sviluppo infrastrutturale Rete Convenzionale/Alta Capacità, con un costo di 572 milioni di euro, una copertura finanziaria, al netto del definanziamento di 6 milioni di euro di risorse MIT, di 11 milioni di euro da risorse MEF e un fabbisogno di 561 milioni di euro. L'opera è riportata nel XII Allegato Infrastrutture al DEF 2014 (aggiornamento di settembre 2014): Tabella 0 – stato dell'arte e degli avanzamenti del programma infrastrutture strategiche; Tabella 0.1 – Il programmatico: le opere in progettazione;
l'intervento di raddoppio della linea ferroviaria Orte-Falconara permetterà di migliorare la qualità e le potenzialità del collegamento ferroviario a entrambe le due linee longitudinali fondamentali del Paese: 1) alla linea ferroviaria adriatica e, conseguentemente, al Nord-Est e al sistema logistico adriatico (porto di Ancona, area logistica di Ravenna, interporto di Jesi); 2) alla linea ferroviaria tirrenica e, conseguentemente, alla linea AV/AC Milano-Napoli, e quindi ai due nodi strategici, Roma e Firenze;
la realizzazione dell'opera consentirà, quindi, un incremento della capacità di circolazione, un'ottimizzazione delle prestazioni, in termini di tempi di percorrenza, una maggiore coesione tra i territori interni e tra questi e quelli limitrofi;
tali opportunità hanno una doppia valenza, dal momento che la linea ferroviaria attraversa sia alcuni dei distretti industriali tra i più importanti dell'Italia centrale, sia alcuni territori umbri a forte valenza turistica –:
quali iniziative intenda mettere in atto il Governo per arrivare alla realizzazione di un'opera, i cui lavori sono stati oggetto di continui rinvii, nonostante le pressanti esigenze ottimizzazione della circolazione ferroviaria dell'Umbria, legate al raddoppio del tratto in questione, rinvii che, tra l'altro, hanno fatto lievitare i costi passati dai 532 milioni iniziali agli attuali 572. (5-07054)
COVELLO e BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
da tempo si registrano criticità per quanto concerne l'attività di due stazioni di servizio, lungo il tratto lucano della A3 compreso tra Lagonegro e Lauria;
si tratta delle stazioni di servizio Galdo Est e di Galdo Ovest, dove attualmente lavorano circa 40 persone;
l'Anas, sulla base di accordi siglati nel 2013, aveva previsto una serie di compensazioni per permettere ai gestori di salvaguardare i livelli occupazionali, e il servizio reso non solo agli automobilisti ma anche alle aree limitrofe;
questo è dovuto ai lavori di ammodernamento del tratto autostradale, che hanno determinato minori introiti e minore fatturato per le due stazioni e per questo avrebbero dovuto ricevere in base al citato accordo una sorta di «ristoro» nel periodo di apertura dei cantieri, ed era anche previsto un bando per individuare gli affidatari (ovvero le aziende che forniscono i carburanti), indicando, nella fine del 2015, il termine per la conclusione dei lavori sull'autostrada;
secondo gli esercenti e i sindacati, tra il 2013 e oggi «ci sono stati passi indietro dell'Anas rispetto agli accordi»;
i gestori da un lato, non hanno ricevuto ancora una parte del «ristoro» economico e dall'altro, il termine dei lavori (indicato negli accordi alla data del 31 dicembre 2015) sarebbe «virtuale», poiché difficilmente secondo gli interroganti i lavori termineranno per quella data, necessitando di una proroga dell'accordo in questione;
il tratto è chiuso attualmente per i mezzi pesanti e c’è stato un calo del 70 per cento del fatturato senza ignorare che «i progetti per le nuove aree di servizio non sono nemmeno partiti»;
ci sono state diverse manifestazioni da parte di esercenti e lavoratori preoccupati per il proprio futuro –:
se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere nei confronti dell'Anas, affinché vengano rispettati gli accordi del 2013 e si proceda alla attivazione di un nuovo tavolo di confronto, sempre con Anas, per una proroga dei suddetti accordi fino al termine dei lavori e per il futuro delle due aree di servizio, in considerazione del numero degli occupati e della strategicità di un servizio nel tratto appenninico dell'autostrada che si trova in prossimità di località turistiche (Maratea, Parco del Pollino) e per l'intero comprensorio. (5-07055)
Interrogazioni a risposta scritta:
PASTORINO, CIVATI, BRIGNONE e ANDREA MAESTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
a seguito delle ripetute aggressioni che, nel corso del 2015, si sono verificate contro i capi treno in Liguria, le organizzazioni sindacali e Trenitalia avevano concordato una serie di azioni per affrontare il problema, tra cui l'impiego di una squadra anti-evasione, pure non formata per gestire casi di assalto al personale, la quale nei fatti è stata per lo più dedicata ad altre mansioni anche a causa dell'ottimo afflusso di turisti alle Cinque Terre;
un'altra squadra con specifiche mansioni di tutela del personale non è mai arrivata in Liguria, perché assorbita da altre mansioni durante l'Esposizione universale di Milano;
il timore è che il prossimo Giubileo a Roma possa nuovamente distogliere personale da compiti di sicurezza e tutela sulle tratte ferroviarie in Liguria, a discapito dei lavoratori di Trenitalia e dei passeggeri che affollano le linee –:
se il Governo sia a conoscenza del problema e intenda intervenire per affrontarlo, in particolare assumendo iniziative per l'immediato rispetto da parte di Trenitalia degli impegni assunti e aprendo un tavolo di confronto con l'impresa, la regione Liguria, le organizzazioni sindacali e le associazioni dei pendolari e degli utenti per monitorare l'evolvere della situazione e valutare ulteriori soluzioni valide nel medio periodo. (4-11196)
MARTI, CHIARELLI, CIRACÌ, ALTIERI, FUCCI, DISTASO e PALESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
è nota la grave nonché difficile situazione del territorio salentino, come chiaramente di tutte le regioni del centro-sud, relativamente alle infrastrutture ed ai trasporti;
nei primi mesi del 201 dal responsabile di Trenitalia per la flotta Freccia Bianca in un incontro con le organizzazioni sindacali regionali per la Puglia si comunicavano i programmi per l'organizzazione degli impianti manutentivi che prevedeva un investimento pari a parecchi miliardi di euro, per l'area di manutenzione dello scalo merci di Surbo che geograficamente risultava in una posizione strategica per tutto il trasporto della dorsale adriatica;
in una prima fase d'informativa sugli accordi sindacali per lo scalo di Surbo, l'azienda comunicava al tavolo sindacale la volontà di creare una struttura di manutenzione IMC Surbo/Lecce per Freccia Bianca, a Lecce;
la struttura per la manutenzione dei treni avrebbe avuto nel piano d'impresa 2014/2017 un finanziamento per il rifacimento e l'ampliamento dello scalo con binari atti alla manutenzione programmata e attrezzature e macchinari vari per la manutenzione delle semipilota e locomotive;
i nuovi programmi prevedevano, inoltre, il progressivo spostamento della manutenzione di tutta la flotta Freccia Bianca da Milano/Venezia a Lecce;
il processo è, allo stato dell'arte, realmente iniziato attraverso la cessione-trasferimento di tutte le vetture Freccia Bianca da Milano a Lecce (l'impianto manutentivo di Milano era stato individuato come impianto manutentivo per le carrozze assegnate al servizio base);
in data 11 febbraio 2014 si registrava la separazione dell'impianto di Lecce dall'IMC Bari, con un impiego di risorse, già approvate nel piano d'impresa, di circa 43 milioni di euro che avrebbe portato entro il 2017 l'impianto IMC Lecce, ad essere qualificato come impianto di manutenzione a ciclo completo dei convogli ferroviari Freccia Bianca, alimentando una forte aspettativa di nuove assunzioni e, più complessivamente, la giustificata sensazione di un rilancio dell'impianto di Surbo;
l'impianto di Venezia, a sua volta avrebbe dovuto cedere la manutenzione di tutti i convogli Freccia Bianca a suo carico, trasferendo e concentrando tutta la manutenzione degli stessi sull'impianto Freccia Bianca di Lecce;
al tavolo sindacale veniva comunicata una modifica del piano d'impresa per cui solo la manutenzione programmata era assegnata a Lecce ed in questa misura: circa 200 carrozze che garantivano l'occupazione e la produzione per la consistenza del personale attualmente in forza all'impianto (130 ferrovieri e 100 operai per i lavori ricadenti sulle stesse);
lo stato dell'arte evidenzia, di fatto, un significativo ritardo nell'attuazione di quanto comunicato e, da quanto appreso da indiscrezioni aziendali, il reticolo manutentivo che prevedeva l'assegnazione per la manutenzione programmata di tutte le vetture Freccia Bianca sarà addirittura assegnato all'IMC di Venezia Mestre e l'impianto di Milano Martesana sarà riconvertito ad impianto di manutenzione treni servizio base e impianto Freccia Bianca con assegnazione di alcuni treni; a Lecce avverranno solo piccole manutenzioni (MCE);
orbene, stando a quanto sopra riportato l'impianto di Lecce sarà lasciato senza alcun treno/carrozza assegnato e sarà destinato a svolgere manutenzione residuale alle carrozze per conto dell'impianto di Venezia, con gravissime ripercussioni occupazionali, determinando esuberi non solo tra i dipendenti di Trenitalia, ma anche nel personale di tutto l'indotto;
in questo contesto di emergenza tale decisione di Trenitalia, peraltro, andrebbe ad avvalorare la sensazione di una politica di investimento e di sostegno alla mobilità ferroviaria del 4, scarsamente propensa a rispondere positivamente alle istanze territoriali, con evidenti rallentamenti e ricadute anche nel settore turistico del territorio –:
se siano a conoscenza della grave situazione rappresentata;
se la decisione ufficiale assunta da Trenitalia sia quella evidenziata ovvero se siano a conoscenza di un differente progetto di investimenti;
se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative affinché Trenitalia adempia quanto comunicato, garantendo che gli investimenti diretti allo scalo merci di Surbo vengano attuati;
se e quali iniziative intendano adottare per affrontare tale grave situazione e se ritengano di valutare la necessità di intervenire in relazione alle decisioni prese, atteso l'evidente mancato raggiungimento degli auspicati obiettivi. (4-11198)
INTERNO
Interrogazione a risposta in Commissione:
DI BENEDETTO, MANNINO, DI VITA, LUPO e NUTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
i terribili attentati di Parigi del 13 novembre, hanno determinato, nel nostro Paese, l'innalzamento dello stato di allerta al livello 2, e la fissazione del livello di prevenzione al massimo grado. Ciò ha comportato anche l'intensificazione dei controlli negli aeroporti e nelle stazioni ferroviarie;
tale grado di allerta sembra essere disatteso alla stazione di Palermo: nel 2007 fu installato un sistema di videosorveglianza, composto da ben 80 telecamere collegate a un video wall che permettevano una visione globale e accurata sia dell'interno che dell'esterno della stazione;
i lavori rientravano nel programma operativo nazionale (PON) «sicurezza per lo sviluppo – obiettivo convergenza» 2007-2013, che stabiliva la spesa di 33 milioni di euro con la finalità di garantire la sicurezza delle città, in particolare nelle regioni dell'obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, per l'appunto); la Società Grandi Stazioni s.p.a., controllata al 60 per cento da Ferrovie dello Stato, si occupò dell'esecuzione dei lavori;
attualmente, però, a quanto consta agli interroganti, le telecamere, seppur visibili e apparentemente non danneggiate, rimangono spente;
in tal modo la sicurezza di coloro che lavorano presso la stazione, nonché dei passeggeri è compromessa: le immagini catturate dalle telecamere, infatti, assumono valore probatorio in caso di indagini avviate a seguito di denunce e segnalazioni; Il problema è rilevante se si considera che i passeggeri ogni anno presso la stazione sono 19 milioni;
la Confederazione sindacale autonoma di polizia (Consap) ha rilevato che vi sono stati episodi di aggressione all'interno della stazione, accaduti anche ai danni degli stessi poliziotti, e relativamente ai quali non è stato possibile reperire alcun immagine che facesse luce sull'accaduto;
nel PON 2007-2013 si legge chiaramente che, nell'ambito dello sviluppo urbano, l'utilizzo ottimale degli spazi pubblici, e la fruizione degli stessi da parte dei cittadini, soprattutto nei grandi centri metropolitani, sono certamente correlati al livello di sicurezza che accompagna lo sviluppo dei centri abitati;
la sicurezza passa anche attraverso la garanzia del libero e sicuro utilizzo delle vie di comunicazione di natura infrastrutturale, si parla di implementazione e sviluppo di sistemi di controllo per innalzare le capacità di contrasto di traffici illeciti, con particolare riferimento a porti, aeroporti, stazioni ferroviarie; rientra in ciò sicuramente la videosorveglianza che è uno strumento efficace di prevenzione del crimine che, insieme ad altre e mirate politiche, determina il miglioramento della qualità del tessuto urbano;
al fine del raggiungimento degli obiettivi su elencati, il Ministero dell'interno può avvalersi della figura dei prefetti coordinatori e dei prefetti delle province, che garantiscono un costante coordinamento tra i livelli di Governo centrale e territoriale, assicurando il perseguimento della necessaria sinergia tra le istanze territoriali e le linee strategiche definite a livello centrale;
ulteriore strumento di raccordo è il comitato di indirizzo e di attuazione, composto dai rappresentanti delle regioni dell'obiettivo convergenza, oltre che dai rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI, che garantisce una costante condivisione del processo unitario di programmazione e attuazione delle iniziative di carattere territoriale;
l'articolo 159 del decreto legislativo n. 112 del 1998 chiarisce che le funzioni e i compiti amministrativi relativi all'ordine pubblico e la sicurezza pubblica riguardano le misure preventive, oltre che repressive, dirette al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come quel complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza, nonché la sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni;
tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi all'ordine pubblico e sicurezza pubblica permangono in capo all'organo amministrativo centrale, e non sono delegati alle regioni e agli enti locali, come sancito dall'articolo 1, comma 3 lettera a), della legge 15 marzo 1997 n. 59 –:
se il Governo intenda assumere iniziative finalizzate a provvedere ai lavori per il ripristino della funzionalità del sistema di videosorveglianza della stazione di Palermo e con quale tempistica.
(5-07047)
Interrogazioni a risposta scritta:
RICCARDO GALLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
i recenti tragici avvenimenti di Parigi, causati dal terrorismo islamico legato alle milizie jihadiste dell'Isis, che hanno provocato oltre cento vittime, tra le quali una giovanissima connazionale e centinaia di feriti, moltissimi dei quali in gravissime condizioni, coinvolgono direttamente il nostro Paese, sia in quanto confinante con la Francia, sia in virtù della presenza del Vaticano a Roma, minacciato continuamente dagli estremisti dell'Isis, attraverso dichiarazioni deliranti di incitazione alla distruzione e all'odio;
il Ministro interrogato, nel corso dell'informativa urgente del Governo in relazione ai gravissimi attentati di Parigi, ha evidenziato come subito dopo gli eccidi, la risposta da parte del sistema di sicurezza nel nostro Paese è stata immediata, in quanto ha consentito fin dalle prime ore successive a quegli eventi, di adottare ogni misura di prevenzione considerata adeguata all'evoluzione in atto della minaccia;
il responsabile del Viminale ha altresì aggiunto che la mattina del 14 novembre 2015 è stata convocata una riunione del Comitato di analisi strategica antiterrorismo, (il CASA), che ha proceduto a una prima analisi degli eventi parigini, stabilendo di anticipare l'utilizzazione a Roma del contingente ulteriormente di mille uomini delle Forze armate il cui impiego, finalizzato alle specifiche esigenze del Giubileo, è stato esteso anche ad altre specifiche esigenze territoriali;
le operazioni di dispiegamento immediato di settecento militari a cui, nei prossimi giorni, si aggiungeranno le altre unità che completeranno questo dispositivo supplementare secondo quanto evidenziato dal Ministro interrogato costituiscono un nucleo aggiuntivo, e rappresentano un incremento di forze di sicurezza proprio in ragione delle maggiori esigenze di controllo derivanti dal Giubileo straordinario della misericordia, che richiamerà l'attenzione del turismo religioso, il quale con l'anno giubilare alle porte, vedrà sicuramente incrementati i flussi di pellegrini da ogni parte del mondo;
l'interrogante al riguardo evidenzia come, a fronte delle misure di sicurezza e di vigilanza, adottate dal Governo ed in particolare dal Ministro interrogato, nei riguardi di città importanti come Roma o Milano, considerate obiettivi sensibili, le cui decisioni appaiono indubbiamente condivisibili, occorre tuttavia considerare anche altre realtà territoriali nazionali, fortemente a rischio di attentati o di transito i terroristi jihadisti appartenenti all'Isis, come la Sicilia, le cui distanza dalla Libia in cui sono presenti migliaia di miliziani islamici, non è certamente rassicuranti;
a giudizio dell'interrogante, nel quadro delle misure di recente adottate dal Governo, finalizzate ad innalzare i livelli di attenzione e di sorveglianza del territorio italiano, a seguito dei gravissimi attentati di Parigi, risultano carenti le decisioni d'intensificazione dei controlli e delle verifiche delle forze dell'ordine e di sicurezza lungo la fascia di confine, proprio come la Sicilia, il cui territorio, come in precedenza richiamato, anche a causa dei continui sbarchi di clandestini provenienti dalla Libia, fra i quali potrebbero infiltrarsi anche foreign fighters dell'Isis, risulta essere particolarmente a rischio attentati –:
quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
se ritenga condivisibili le analisi in precedenza richiamate, che evidenziano anche per la regione Sicilia, gravi rischi per la sicurezza del territorio, legato ad eventuali attacchi terroristici o alla presenza di criminali jihadisti appartenenti all'Isis che giungono nell'isola dalla limitrofa Libia;
in caso affermativo, quali iniziative urgenti e necessarie il Ministro interrogato, intenda assumere al fine di tutelare la regione Sicilia e l'intera popolazione che, a giudizio dell'interrogante, risulta essere esposta ai pericoli legati al terrorismo internazionale, sia per la sua posizione geografica, al centro del Mediterraneo, che a seguito delle note e gravissime vicende parigine e delle minacce di attentati rivolte ancora una volta al nostro Paese. (4-11191)
CIVATI, BRIGNONE, PASTORINO e ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
i vigili del fuoco detti «discontinui» sono parte del personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e sono chiamati a svolgere interventi di soccorso sul territorio alla pari dei loro colleghi con un contratto a tempo indeterminato. Sono tuttavia chiamati in servizio per brevi periodi che si prevede non vadano a superare le due settimane e per un massimo di circa cinque mesi in un anno; non ricevono inoltre la stessa preparazione di base e formazione continua dedicata ai vigili professionisti. Si calcola che nel 2012 siano state effettuate oltre 70.000 singole chiamate, che hanno coinvolto un massimo di 40.000 vigili discontinui; la chiusura prevista di numerosi distaccamenti del Corpo dovrebbe comportare la perdita del posto di lavoro per almeno 15.000 di questi vigili precari;
tutte queste condizioni non garantiscono un efficiente soccorso pubblico né assicurano la stabilità e dignità del lavoro di chi svolge un servizio indispensabile alla collettività;
il Governo sembra manifestare la volontà di superare la figura del vigile discontinuo, fatto che desta preoccupazione sul futuro in migliaia di volontari che hanno acquisito professionalità e competenze e hanno servito con abnegazione –:
se il Governo intenda confermare l'intenzione di superare la figura del vigile discontinuo e, nel caso, quale strategia abbia intenzione di mettere in campo, con quali fondi e in quali tempi, per assicurare la tutela dei precari iscritti negli elenchi dei comandi provinciali, in particolare provvedendo a stabilizzarli, anche tramite forme di priorità nei prossimi bandi pubblici, e a ricollocarli presso altre amministrazioni oppure nel personale non operativo, nonché provvedendo a sostenere, anche tramite appositi incentivi e corsi di formazione, percorsi di occupazione nel settore privato presso imprese che possano avvalersi delle competenze acquisite negli anni di servizio. (4-11197)
CRIVELLARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nei giorni scorsi è stato segnalato da fonti sindacali di polizia che in una vasta zona dell'Alto Polesine, compresa tra le province di Rovigo e Verona, le radio di servizio della polizia e delle forze dell'ordine non trasmettono o non ricevono. Esisterebbe cioè in questa zona una vasta sacca di «silenzio radio»;
la vicenda ha avuto particolare risalto sulla stampa locale, mentre è stato ugualmente segnalato che i poliziotti sarebbero oggi costretti a pagarsi le telefonate, anche urgenti, contattando con il proprio cellulare personale la centrale operativa di riferimento;
il problema interesserebbe attualmente anche le pattuglie in servizio lungo l'autostrada A31, recentemente inaugurata (l'autostrada A31 detta «della Valdastico» attraversa da sud a nord la provincia di Rovigo, la provincia di Padova e la provincia di Vicenza, partendo dalla SS 434 Transpolesana e terminando a Piovene Rocchette);
in seguito agli attentati di Parigi del 13 novembre 2015, il Ministro interrogato ha dichiarato l'innalzamento dell'emergenza sul territorio nazionale al «secondo livello» –:
se il Ministro sia conoscenza della situazione venutasi a creare in questa zona del Veneto;
in che modo si intenda intervenire per risolvere il problema segnalato, ormai a più riprese, dalle forze di polizia.
(4-11201)
DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in sede di svolgimento dell'interrogazione a risposta immediata in I Commissione n. 5-05347 a prima firma Cozzolino la sottoscritta ha chiesto al Ministro interrogato se le autorità di pubblica sicurezza siano in possesso di elementi atti ad ipotizzare come possibili o attualmente in corso contatti tra organizzazioni terroristiche di matrice islamica e la criminalità organizzata italiana;
il viceministro Filippo Bubbico, nella seduta del 16 aprile 2015, rispondeva all'interrogante che «le risultanze investigative non evidenzieranno, al momento, elementi tali da confermare l'esistenza di saldature tra le due realtà criminali» garantendo tuttavia che sarebbe stata mantenuta alta l'attenzione sul possibile rischio di saldature;
il procuratore generale di Roma Giovanni Salvi, in un convegno svolto il 16 novembre 2015 all'indomani dei tragici attentati di Parigi su «terrorismo e traffici illeciti», sosteneva che «le organizzazioni terroristiche fanno ampio uso di traffici illeciti e viene costruito un apparato ideologico per giustificare e rendere accettabili quelle attività», come il traffico di droga o lo sfruttamento della prostituzione, che l'Islam vieta;
d'altra parte, il procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho ha dichiarato all'agenzia Agi «al momento non emergono collegamenti tra ’ndrangheta e terroristi, ma ritengo che questo sia un campo investigativo da approfondire per la Dda di Reggio Calabria», anche a seguito dei primi segnali di penetrazione di soggetti collegati al terrorismo di matrice islamica in Calabria;
il ministro Angelino Alfano, tuttavia, alla trasmissione radiofonica Radio Anch'io, il 17 novembre 2015 interrogato da un ascoltatore sui rapporti tra Isis e ’ndrangheta, ha così risposto: «Siamo aperti a tutte le ipotesi, ma mente fredda e non facciamo il fantacalcio. Non abbiamo nessuna evidenza. Dovessimo nel lavoro trovarne evidenza, lo diremmo pubblicamente» –:
se, rispetto alle evidenze in possesso delle forze dell'ordine, sussistano indizi circa contatti tra gruppi terroristici jihadisti e gruppi criminali operanti sul suolo italiano. (4-11203)
FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in un atto di sindacato ispettivo presentato nell'estate 2015, l'interrogazione a risposta scritta 4-09653, annunciata il 2 luglio 2015, si è già chiesto al Governo per quali ragioni l'Amministrazione dell'interno negasse, di fatto, l'applicazione ai propri dipendenti dei benefici previsti dall'articolo 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104;
nell'atto di sindacato ispettivo sopra menzionato si precisava come, fino al dicembre 2013, il Ministero dell'interno aveva sempre soddisfatto le richieste di trasferimento fatte dai propri dipendenti in applicazione delle previsioni della legge 104 del 1992;
i trasferimenti erano cessati nel 2014;
malgrado le esplicite previsioni della normativa sopra richiamata, il 5 agosto 2015, il Ministero dell'interno ha emanato una circolare che sottopone a limiti quantitativi il godimento del diritto previsto dalla legge 104 del 1992;
nella predetta circolare, tra l'altro, si legge che è permesso di procedere al «trasferimento dei dipendenti che assistono familiari con disabilità grave, il cui profilo professionale è presente con una copertura pari almeno al 60 per cento al netto dell'uscita, della dotazione organica di sede, e con una consistenza di organico complessiva dell'Ufficio, riferita al personale contrattualizzato, non inferiore al 60 per cento sempre al netto dell'uscita»;
l'intero settore pubblico è interessato da un blocco totale o parziale del turn over che dura da anni e sta riducendo il personale in assenza di una parallela riduzione delle piante organiche;
tale blocco opera anche dentro l'Amministrazione dell'interno;
si stanno conseguentemente determinando, di fatto, con uno strumento amministrativo, i presupposti per quello che appare all'interrogante una disapplicazione delle norme previste dalla legge 104 del 1992 e la negazione di diritti basilari riconosciuti da una legge ordinaria dello Stato;
disposizioni non meno draconiane limitano altresì il diritto al trasferimento dei dipendenti disabili –:
come si concili la circolare del Ministero dell'interno datata 5 agosto 2015, che sottopone a limiti quantitativi l'esercizio di un diritto riconosciuto dall'ordinamento, con quanto previsto dalla legge n. 104 del 1992;
quali iniziative il Governo ritenga di assumere per sanare il vulnus prodottosi nell'ordinamento in conseguenza del varo della circolare appena richiamata. (4-11211)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazione a risposta in Commissione:
MALISANI, D'OTTAVIO e GHIZZONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il dirigente scolastico Livio Bearzi – all'epoca del sisma preside del Convitto nazionale dell'Aquila, accusato di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, successivamente condannato a una pena di quattro anni di reclusione, sentenza confermata in via definitiva a ottobre 2015 dalla Corte di cassazione – è stato arrestato martedì 10 novembre 2015;
sono numerosi gli atti di solidarietà nei confronti del dirigente, tra cui quella dell'Associazione nazionale presidi che chiede siano concessi gli arresti domiciliari per motivi umanitari «che riguardano sia lui che, soprattutto, i suoi incolpevoli familiari», e una petizione per la concessione della grazia;
sistema di sicurezza delle scuole s'impernia sull'articolo 18, comma 3 del decreto legislativo n. 81 del 2008 con cui è stabilito che «Gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal presente decreto legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico»;
tali norme stabiliscono, nel settore delle scuole, una duplice posizione di garanzia: quella facente capo alla scuola in quanto datrice di lavoro; e la posizione di garanzia facente capo all'ente proprietario, l'amministrazione tenuta;
l'amministrazione tenuta ha «gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del citato decreto legislativo, la sicurezza dei locali e degli edifici»;
numerose sono le sentenze della Corte di cassazione che si sono espresse sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, e in particolare sugli edifici scolastici, a testimonianza della frequente necessità di risolvere alcune problematicità interpretative;
la dimensione qualitativa e quantitativa della situazione dell'edilizia scolastica presenta un quadro degno ila massima attenzione –:
se non ritenga opportuno – dopo una attenta analisi delle problematiche evidenziate in premessa che rendono in qualche modo comprensibile, a giudizio degli interroganti, la richiesta della grazia nel caso citato – assumere iniziative per una revisione delle norme sulla responsabilità della sicurezza degli edifici scolastici, in particolare con riferimento a quanto previsto dal decreto legislativo 81 del 2008 che attribuisce ai dirigenti scolastici, in qualità di datori di lavoro la responsabilità diretta nella gestione della sicurezza delle scuole. (5-07053)
Interrogazioni a risposta scritta:
DI LELLO e D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
le modalità di attuazione del piano di assunzioni di docenti a tempo indeterminato, indicate dalla «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione per il riordino delle disposizioni legislative vigenti», stanno rivelando una serie di criticità con la creazione di situazioni di disparità tra i diversi docenti tra cui quella che penalizza i docenti immessi in ruolo dalle graduatorie di merito 2012 in fase B, quindi fuori regione;
in particolare, si segnala la stortura che si è venuta a creare a seguito della separazione delle due fasi, B e C. I docenti immessi in ruolo da graduatorie di merito 2012 in fase B, quindi fuori regione pur avendo prodotto domanda di partecipazione al piano straordinario di immissioni in ruolo disciplinato dalla legge 107 del 2015 simultaneamente a tutti gli altri colleghi entro il 14 agosto 2015, si sono visti, nonostante un punteggio più alto o il possesso di una specializzazione in più come quella sul sostegno, destinati al ruolo fuori dalla regione in cui hanno sostenuto e superato il concorso a cattedra del 2012, a ricoprire i posti residuati dalle fasi O ed A di organico di diritto. Invece, a soli due mesi di distanza si è verificato che docenti con punteggio inferiore restano in regione in virtù della creazione dei posti di potenziamento destinati alla fase C;
a titolo esemplificativo, vale citare quanto accaduto in regione Campania in relazione a due delle graduatorie del concorso a cattedra 2012, la A019, discipline giuridiche ed economiche, e la A017, discipline economico-aziendali. Solo dopo essersi conclusa la fase B, nel mese di ottobre 2015, i posti di potenziamento da assegnare con la fase C, vengono divisi per provincia e per ambiti disciplinari:
a) A019: alla Campania vengono assegnati 460 posti per il potenziamento, intanto i candidati presenti in GM con titolo di sostegno sono già stati arruolati nella fase B fuori regione, dove residuavano posti di sostegno dalle fasi 0 ed A. Di conseguenza, dei 312 candidati presenti in GM A019 2012, circa il 20 per cento va fuori regione in fase B, nel nord dell'Italia, il restante 80 per cento circa si colloca in regione Campania, pur essendo costituito in gran parte da candidati con punteggio inferiore rispetto a coloro che sono stati arruolati in fase B fuori regione;
b) A017: alla Campania vengono assegnati 183 posti per il potenziamento, intanto più di 80 candidati presenti in GM con titolo di sostegno sono già stati arruolati nella fase B fuori regione, dove residuavano posti di sostegno dalle fasi O ed A. Di conseguenza, su 314 candidati ancora presenti in GM 2012, circa il 35 per cento viene arruolato fuori regione in fase B mentre, due mesi dopo, il 65 per cento si colloca in regione Campania sui posti di potenziamento creati per la fase C. Anche in questo caso si tratta di docenti molti dei quali con punteggio inferiore rispetto a colleghi individuati quali destinatari di proposta di immissione in ruolo in fase B in virtù o meglio a causa del titolo di sostegno posseduto;
è necessario chiarire che le percentuali sopra ricordate sono state calcolate considerando che tutti i presenti in GM abbiano prodotto domanda e che, a questi posti riconosciuti in fase C alle classi A017 e A019, si aggiungono ben 459 posti assegnati sul sostegno all'area disciplinare in cui le 2 classi di concorso confluiscono;
da quanto sopra descritto deriverebbe che aver ottenuto un punteggio più alto, avere conseguito una specializzazione aggiuntiva al titolo di abilitazione (sostegno), aver superato egregiamente il concorso a cattedra non agisce come titolo di merito, ma, al contrario, viene a caratterizzarsi quale causa di allontanamento dalla regione per la quale si è scelto di partecipare al concorso a cattedra;
ulteriore elemento di disparità di trattamento per i docenti immessi in ruolo in fase B, è costituito dall'aver reso nota solo nel mese di ottobre la ripartizione dei posti di potenziamento in fase C per provincia e per classe di concorso. Dato questo non di secondaria importanza per chi, presente anche in graduatorie ad esaurimento, avrebbe potuto operare una scelta di sicuro più consapevole, disponendo di tali informazioni già al momento dell'invio della domanda di partecipazione al piano di immissioni in ruolo;
né dai docenti in questione può essere considerato compensativo dei disagi di operare fuori regione, l'essere stati immessi in ruolo su organico di diritto e quindi su cattedra, poiché, in base alla legge 107 del 2015, tra i docenti assunti in fase B e quelli in fase C in futuro non ci sarà alcuna differenza; essi non sono titolari di cattedra, pur avendo quest'anno ricoperto posti in organico di diritto, dal momento che dal prossimo anno rientreranno nell'organico dell'autonomia e le loro sorti dipenderanno dalle scelte del dirigente scolastico;
dalle considerazioni sopra esposte sembrerebbe, dunque, che il meccanismo di attuazione della disposizione prevista al comma 108 dell'articolo 1 della legge 107 del 2015 presenti delle evidenti distorsioni per quanto attiene le modalità della mobilità straordinaria 2016/2017. Sembrerebbe infatti, che se da un lato la mobilità sia prevista con obbligatorietà per gli immessi in ruolo da graduatorie ad esaurimento con piano straordinario, nulla sia detto per gli immessi in ruolo con lo stesso piano straordinario ma da GM 2012 –:
quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di prevedere una parità di trattamento per i docenti in graduatorie di merito affinché, in caso di mobilità, possano, come i colleghi della fase C rientrare nella regione in cui abbiano superato il concorso, questo anche attraverso la previsione di una quota di riserva riferita al maggior punteggio nelle graduatorie utili per le immissioni in ruolo, cioè le GM 2012, in modo da evitare che un punteggio attribuito esclusivamente in base alle tabelle di valutazione dei titoli utilizzate solitamente nelle operazioni mobilità, possa far preferire docenti che nelle graduatorie concorsuali occupavano posizioni più basse. (4-11189)
GIGLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
quanto scrivono vari organi di stampa, tra cui La Nazione di Firenze, il consiglio di interclasse della scuola elementare «Giacomo Matteotti» di Firenze avrebbe deciso di vietare la visita degli allievi alla mostra «Bellezza divina», allestita a Palazzo Strozzi, a Firenze, e dedicata alla visione del sacro da parte di artisti quali Van Gogh, Chagall, Fontana, Picasso, Matisse e Munch;
a quanto si apprende, motivo del divieto sarebbe quello di non urtare «la sensibilità delle famiglie non cattoliche visto il tema religioso della mostra»;
il preside della scuola, che ricorda di non aver partecipato alla riunione del consiglio d'interclasse, ha affermato che la decisione non dipenderebbe da motivi religiosi, ma ha anche ricordato il clima difficile avvertito nelle discussioni sulla opportunità di portare i bambini della scuola alla mostra;
la decisione, comunque, ha provocato molti malumori nei genitori dei piccoli allievi della scuola i quali hanno giustamente osservato, a quanto consta all'interrogante, che, se fosse vero il motivo addotto per non andare alla visita sarebbe di fatto impossibile conoscere qualunque forma d'arte ai bambini, dato che la Firenze – e non solo – essa è soprattutto arte religiosa;
tra l'altro gli stessi organizzatori di Palazzo Strozzi si sono sentiti in dovere di precisare la laicità della mostra: il direttore Galansino, infatti, ha precisato che «è in esposizione la storia dell'arte, non una mostra confessionale o connotata in senso religioso»;
il direttore dell'ufficio scolastico della Toscana ha, comunque, ritenuto necessario annunciare un invio di ispettori nella scuola per chiarire la situazione –:
se trovi conferma quanto sopra esposto e, in caso affermativo, quali ulteriori iniziative di competenza intenda intraprendere per impedire che un malinteso «laicismo» danneggi la formazione culturale di giovani che hanno» la fortuna di vivere in un luogo di arte – soprattutto religiosa – quale è Firenze. (4-11206)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazione a risposta scritta:
ANDREA MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la tanto attesa riforma delle pensioni risulterebbe slittata al 2016;
sono tante le anomalie legate al sistema pensionistico italiano da risolvere, ma quella dei cosiddetti «contributi silenti» continua a non essere affrontata seriamente e quindi risolta definitivamente;
il problema dei contributi versati all'Inps, che non sono sufficienti a maturare alcun trattamento, è una questione molto attuale e costantemente dibattuta: in poche parole, sono fondi che l'Inps incamera, senza darci indietro alcunché e senza nemmeno restituire il capitale versato;
sono ormai numerosi gli atti di sindacato presentati da deputati di varie formazioni politiche ai quali non è mai stata risposta come, a titolo di esempio, l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-03020;
è dal 2011 che i Radicali Italiani promuovono iniziative per chiedere all'Inps la restituzione dei contributi silenti. Si tratta di una battaglia che continua a essere tra le loro priorità e riscuote vasti consensi tra i lavoratori. Il ragionamento dei radicali è molto semplice, logico e facilmente condivisibile: se si versano dei fondi per avere una pensione, ma in realtà non si avrà diritto a percepirla, è giusto che questi fondi siano restituiti;
nel 2013, l'allora direttore generale dell'Inps Mauro Nori dichiarò che «i lavoratori interessati sarebbero diversi milioni e se l'ente dovesse restituire i contributi silenti, rischierebbe il default». Alcune fonti di stampa quantificarono l'impatto in circa 10 miliardi di euro da restituire spalmati su una platea di circa 7 milioni di cittadini;
le conseguenze di una gestione ad avviso dell'interrogante ottusa e fallimentare di questi accantonamenti, pretesi per legge dai lavoratori e non restituiti in alcuna forma, hanno ripercussioni gravi, in caso di decesso del lavoratore, soprattutto sulla sua famiglia;
la situazione lavorativa e la composizione del nucleo familiare, purtroppo, in questi casi è ininfluente, mentre conta il legame con il defunto, ovvero l'essere sposati regolarmente e conta anche la quantità di contributi versata dall'estinto. Attualmente, se un lavoratore non raggiunge il minimo di contributi versati, previsto per il conseguimento della pensione, e non ha lavorato negli ultimi 5 anni almeno 1 anno, non sono utilizzabili dal coniuge superstite, vanno dunque perduti;
è necessario che il legislatore intervenga per sanare le ingiustizie sociali nei confronti dei lavoratori monoreddito che lasciano mogli e/o figli minori senza nessun reddito, né la possibilità di riscatto di quello che il congiunto ha versato nel corso degli anni, che garantirebbe loro un piccolo sostegno economico. Un'altra ipotesi potrebbe anche essere che quei contributi possano essere aggiunti ai contributi del superstite consentendo di raggiungere una pensione leggermente superiore –:
se il Governo preveda di assumere iniziative per affrontare e risolvere definitivamente la discutibile acquisizione da parte dell'Inps, dei «contributi silenti» di milioni di lavoratori e, in particolare, come intenda salvaguardare i loro familiari in caso di morte prematura. (4-11209)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta scritta:
CIRACÌ, ALTIERI, CARELLA, CHIARELLI, DISTASO, FUCCI, MARTI, PREZIOSI e LATRONICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
l'olivicoltura in Puglia rappresenta una realtà fondamentale sia in termini economici che sociali ed anche una specifica caratterizzazione ambientale importante e trainante per il settore turistico locale e nazionale. Volendo snocciolare velocemente alcuni dati numerici relativi al suo potenziale agricolo, il valore della produzione olivicola pugliese rappresenta il 30,1 per cento di quella nazionale, forte delle sue 267.580 imprese agricole ed inoltre contribuisce per circa il 30 per cento al patrimonio arboreo olivicolo nazionale (58.106.613 piante di olivo), di cui ben 17.066.000 in alberi secolari. Questi monumenti, arborei hanno in Puglia una caratteristica particolare, cioè quella di avere una «densità d'impianto» mediamente pari a 200 piante per ettaro, con sesti di circa 7x7 metri, mentre gli impianti olivicoli intensivi hanno sesti di 6x6 metri o anche di 5x5 metri, rappresentando in Puglia poco meno del 10 per cento della superficie in produzione;
la Xylella Fastidiosa è il batterio da quarantena iscritto nella lista A1 della European and Mediterranean Plant Protection Organisation (Eppo) responsabile di un quadro sintomatologico fitosanitario che vede, almeno per il momento, colpire gravemente gli alberi di ulivo. Infatti, questo agente patogeno è il principale responsabile del «complesso del disseccamento rapido dell'olivo» (Co.Di.Ro), presente nella regione Puglia, in particolar modo nell'area geografica del Salento che comprende le province di Lecce, Brindisi e Taranto, territori e paesaggi che si caratterizzano proprio per essere culla millenaria di alberi di olivo monumentali. Nello specifico, benché la malattia fosse già presente da diversi anni nella forma sub-clinica del «deperimento della pianta d'olivo», solo a partire dall'ottobre 2013, con il progressivo «disseccamento delle piante» e grazie all'attività di ricerca del CNR e dell'università degli studi di Bari, è stato possibile identificarne la causa nella Xylella fastidiosa; il ceppo pugliese di questo agente patogeno, oltre a colpire le piante di olivo, manifesta la sua azione nefasta anche sul mandorlo, ciliegio, rosmarino, oleandro, mirto, vite, ovvero flora e piante tipiche dell'ambiente mediterraneo. L'Efsa da parte sua, ribadisce come questo sommario elenco non può essere considerato assolutamente esaustivo, ma soggetto a continue variazioni ed aggiornamenti, anche grazie all'intensificata azione di ricerca svolta nel Salento, al fine di identificare eventuali ed ulteriori piante ospiti e sensibili al patogeno. A questo punto, giova a tutti ricordare come la Xylella fastidiosa (patogeno alieno, sconosciuto all'ecosistema del continente europeo, sia giunta in Italia e quindi in Puglia. Infatti, questo insidioso parassita è endemico delle Americhe, Costa Rica, Brasile ed il suo ingresso nell'ambito dell'Unione europea è avvenuto attraverso il porto di Rotterdam (notoriamente principale scalo marittimo comunitario nell'approdo di merci provenienti da tutto il mondo), con il commercio di piante o parti vegetali già infette dal patogeno; quasi certamente, il commercio di oleandri e piante ornamentali di caffè provenienti dal Costa Rica sono la causa principale della diffusione della fitopatia. Essa si propaga grazie all'azione di un insetto vettore Philaenus Spumarius, la cosiddetta sputacchina, ovvero una cicalina, nel cui sistema retro boccale si annida il batterio della Xylella fastidiosa. L'agente vettore, inoculando il batterio nello stroma dell'albero, lo contamina attraverso una colonizzazione dello xilema (il sistema di vasi mediante i quali la linfa si irradia nella pianta) causandone il blocco dei vasi e quindi della nutrizione della pianta: in pratica la Xylella fastidiosa con la produzione di una sorta di gel, finisce con l'ostruire i vasi provocando la morte progressiva dell'albero (processo di disseccamento). Da tenere presente tra l'altro, che l'agente patogeno ha la caratteristica non comune di muoversi e compiere la propria azione devastante, migrando contro corrente linfatica, cioè è capace di raggiungere l'apparato radicale delle piante nonostante il punto d'inoculazione sia nella porzione aerea della pianta;
in data 10 febbraio 2015 il Consiglio dei ministri, dopo le oggettive difficoltà nell'applicazione del piano di contenimento previsto dalla Unione europea ovvero l'esecuzione della decisione 2014/497/UE del 23 luglio 2014 e le conseguenti sollecitazioni comunitarie, delibera lo stato di emergenza fitosanitario per la Xylella fastidiosa; in data 11 febbraio 2015 viene designato quale commissario all'emergenza il comandante della regione Puglia del Corpo Forestale dello Stato dottor Giuseppe Silletti. Già a partire dal 19 marzo 2015 il dipartimento della protezione civile adotta il piano degli interventi relativi alla lotta al batterio redatto proprio dal commissario che prevedono fondamentalmente l'identificazione delle aree in zona di profilassi, zona cuscinetto ed una zona infetta comprendente l'area di contenimento ed anche, una serie di misure di contrasto alla fitopatia, a partire dalle buone pratiche agricole (aratura, erpicatura, trinciatura, trattamenti fitosanitari mirati), volte a distruggere sia le larve che i vettori ovvero le cicaline prevedendo anche l'abbattimento degli alberi colpiti dal terribile patogeno. Quest'ultima opzione, sarà attuata solo nelle zone «geografiche» di eradicazione, aree già individuate e comunque in continua evoluzione per via della propagazione della malattia. Gli stanziamenti messi a disposizione del commissario da parte del Governo nazionale ammontano a circa euro 13.600.000, mentre l'Unione europea ha impegnato la «modica» cifra di euro 1.050.000 di cui euro 750.000 per i controlli ed euro 300.000 per i monitoraggi;
successivamente, l'Unione europea nell'intento di rafforzare le misure di protezione atte ad ostacolare sia l'introduzione che la diffusione nell'ambito comunitario della Xylella fastidiosa, in data 18 maggio 2015 emana l'ennesima decisione di esecuzione, la 2015/789/UE, che prevede sostanzialmente una differente delimitazione della zona cuscinetto e della zona infetta, la creazione di una zona di sorveglianza con nuove e più stringenti misure di contenimento compresa ed applicabile anche nella zona infetta della provincia di Lecce, in quanto ritenuta area ove non è più possibile eradicare l'agente patogeno. Quindi il MiPAAF recependo la direttiva comunitaria, provvede in data 19 giugno 2015 ad emanare un nuovo decreto Ministeriale avente come finalità «Misure di emergenza per la prevenzione, il controllo ed il Contenimento di Xylella fastidiosa (Well e Raju) nel territorio della Repubblica Italiana» che entra in vigore a partire dal 30 giugno 2015 abrogando così i decreti precedenti, attuativi della decisione di esecuzione n. 2014/497/UE. Infine, il 3 luglio 2015 con deliberazione del Consiglio dei ministri e del capo del dipartimento di protezione civile, viene emanata l'ordinanza n. 265 con cui il commissario delegato è incaricato di predisporre l'aggiornamento del piano degli interventi nel rispetto del piano esecutivo redatto dalla Unione europea in data 18 maggio 2015, ovvero quello di cui alla decisione 2015/789/UR;
il commissario delegato nel redigere l'aggiornamento del piano di intervento, ha evidentemente seguito pedissequamente, a giudizio degli interroganti, la decisione di esecuzione 2015/789/UE i cui articoli 6, 7 e 8, prevedono una serie di misure restrittive quali: l'eradicazione sistematica di piante di olivo anche prive di evidenti e manifesti segni clinici riconducibili alla Xylella fastidiosa, purché ricadano in un raggio di 100 metri di distanza da una pianta affetta dal batterio «alieno». È palese che l'Unione europea, obbligando lo Stato italiano a compiere ogni sforzo per contrastare la propagazione della fitopatia, dimostra, ad avviso degli interroganti, di ignorare quanto siano importanti il patrimonio di valori e tradizioni che legano il territorio pugliese alle colture arboree dell'ulivo e le caratteristiche orografiche, ambientali e sociali proprie del Salento dove prevale una «densità d'impianto» mediamente pari a 200 piante per ettaro e che quindi, l'applicazione sconsiderata dell'eradicazione di piante integre dal batterio che ricadono in un raggio di 100 metri da una pianta malata, porterebbe nel breve al «disboscamento di olivi» di intere aree delle province salentine;
a detta degli interroganti, il piano del commissario delegato dottor Silletti mostra alcune criticità dovute probabilmente dall'aver accettato passivamente le disposizioni imposte dai burocrati comunitari; esempio lampante è la delimitazione dell'area infetta che coincide con il confine amministrativo della provincia di Lecce. Così le aziende agricole, le cui proprietà si estendono a cavallo fra le province di Lecce e Brindisi, si ritrovano a dover estirpare la pianta infetta se questa ricade nell'ambito territoriale della provincia di Lecce, mentre se la pianta di olivo colpita dalla Xylella fastidiosa si trova nel territorio della provincia di Brindisi, il paradosso è che non solo si estirpa giustamente l'albero malato, ma anche quelli ricadenti nel raggio di 100 metri, cioè circa 300 olivi, proprio in virtù di quella caratteristica «densità d'impianto» tipica del territorio. Pertanto, sarebbe stato più utile verificare realmente in campo l'infestazione e non sulla «carta geografica» evitando tale aberrazione; infatti nello specifico, il territorio del comune di Torchiarolo (Brindisi), confina a sud con la provincia di Lecce, mentre a nord con Brindisi dove le piantagioni di olivi hanno una densità più bassa e di conseguenza, si sarebbe potuta creare una migliore zona cuscinetto molto meno invasiva, anche per l'esistenza di una pianura posta fra l'agro di Cerano e Mesagne, in cui sussistono pochissime piante di olivo;
a detta degli interroganti, occorrerebbe provvedere nel considerare l'indennizzo per le piante estirpate, come un «contributo» e non come un risarcimento: tale differenza è fondamentale e discriminante, in quanto il «risarcimento» rientra nella regola del de minimis, che impedisce erogazioni di contributi superiori ad euro 15.000/00 (euro quindicimila), in tre anni. Dato che, secondo il piano Silletti, la quotazione di un albero di olivo è mediamente di euro 150/00 (euro centocinquanta), sarà sufficiente abbattere 100 ulivi, per raggiungere il limite del de minimis. Quindi, considerando che in realtà, la «densità di impianto» tipico dell'agro salentino è quella di oltre 200 olivi per ettaro, risulta evidente che l'agricoltore subirebbe un grave danno economico, una vera e propria beffa, perché se sul suo uliveto vengono estirpate un numero superiore di 100 piante, quelle in esubero non verrebbero economicamente contabilizzate. Pertanto, si ribadisce la necessità di considerare gli aiuti economici nei confronti degli olivicoltori, come indennizzi al fine di non cadere nella tagliola del de minimis;
a detta degli interroganti, occorre promuovere ogni azione di sostegno per tutte le colture biologiche del territorio del Salento, che, obbligate allo specifico regime di conduzione colturale, sarebbero maggiormente esposti agli attacchi della fitopatia con il drammatico rischio che le stesse diventino «bacino» di cultura dell'agente patogeno e, pertanto, prevedere modalità e deroghe mirate per la conduzione agronomica dei terreni in biologico senza incappare in gravose multe per i conduttori;
a detta degli interroganti, è necessario prevedere sin da subito l'implementazione di un «piano agricolo speciale» da attuare nei territori ricadenti nell'area di calamità. Detto piano, dovrà essere realizzato anche con il contributo del territorio e delle associazioni agricole, stabilendo quali colture o piante debbano essere ricollocate (privilegiando ovviamente l'olivo nelle specie più resistenti ed adeguate al territorio), nelle aree desertificate dalle estirpazioni, tenendo ben a mente di non stravolgere né le tradizioni, usi e costumi, né tanto meno il tipico skyline salentino. Il piano agricolo potrà essere implementato grazie alle risorse comunitarie del piano di sviluppo rurale, potenziandolo economicamente: la Unione europea, non lo si dimentichi, è comunque responsabile dell'emergenza Xylella fastidiosa, venutasi a creare in Puglia, perché non ha saputo vigilare ed ottemperare a quelle stesse norme da essa emanate, come la direttiva 2000/29/CE, articolo 20, relativa alle «certificazioni fitosanitarie obbligatorie di cui all'articolo 13, paragrafo 1, punto ii», riguardo all'importazione e movimentazione di piante, o alla direttiva 2004/103/CE, articolo 21 che impone controlli ufficiali nei punti di entrata nei territori della Unione europea;
con interrogazione e risposta scritta n. 4-08670 dell'8 aprile 2015, erano stati sottoposti all'attenzione dei Ministri interrogati una serie di quesiti che a tutt'oggi non hanno ricevuto risposta come, la necessità di provvedere alla sospensione dei contributi INPS settore agricolo, la moratoria sui pagamenti dei prestiti agrari stipulati con gli istituti di credito, relativamente alle aree definite come zona infetta, zona di eradicazione, zona di cuscinetto e zona di contenimento. Tali interventi di sostegno devono essere estesi, in virtù dello stato di calamità, indiscriminatamente, a tutti i proprietari dei terreni agricoli che presentano colture olivicole, indipendentemente dall'essere coltivatori diretti e/o imprenditori agricoli professionali;
a detta degli interroganti, è necessario promuovere la ricerca scientifica coinvolgendo e stimolando anche le aziende farmacologiche (specializzate nella produzione di fitofarmaci), attraverso adeguati e motivati incentivi fiscali, de-contributivi per l'assunzione di giovani e validi ricercatori, al fine di creare un ben definito network consortile di unità di ricerca a «cabina di regia unica» composta dalle stesse unità. In questo modo gli stanziamenti economici nazionali e soprattutto comunitari, saranno indirizzati e convogliati in un'unica struttura che sarà responsabile del monitoraggio sia dei costi della ricerca che degli inevitabili stadi di avanzamento e dei risultati degli studi applicativi per il contenimento e risoluzione della fitopatia –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intendano adottare non solo per contrastare la diffusione della fitopatia Xylella fastidiosa, che produce gravi danni economici agli olivicoltori e che mortifica anche l'ambiente e il turismo della regione Puglia, ma soprattutto per rimediare alle norme, ad avviso degli interroganti aberranti, che prevedono l'abbattimento indiscriminato di olivi integri dal batterio, creando vaste aree desertificate e deturpando l'ambiente circostante, e quali iniziative intendano intraprendere per il recupero del territorio agricolo;
se i Ministri interrogati, alla luce di quanto in premessa, intendano adottare iniziative normative sia di natura economica che fiscale per il ristoro degli olivicoltori del Salento. (4-11195)
SALUTE
Interrogazione a risposta in Commissione:
RIZZETTO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
dal 18 novembre 2015 gli infermieri del 118 e dell'area di emergenza del personale di Latisana (Ud) sono in stato di agitazione poiché dopo mesi di appelli e di proteste per la grave carenza di personale, il sindacato delle professioni infermieristiche (Nursind) ha imposto il blocco degli straordinari e dei richiami in servizio. Per supplire all'insufficienza di personale, gli infermieri svolgevano turni aggiuntivi in orario straordinario tali da non consentire il recupero psico-fisico e ciò, di conseguenza, pregiudicava i livelli di sicurezza per i dipendenti e per i pazienti;
tale assurda situazione poteva essere evitata, considerando che ai diversi tavoli di confronto organizzati nei mesi precedenti con i vertici aziendali era stato segnalato che il personale infermieristico era composto da un numero inferiore a quello previsto e, solo per evitare interruzioni di servizio, gli infermieri si erano sacrificati, assumendosi carichi di lavoro eccessivi, concedendo una soglia di impegno e presenza ben oltre il limite. A fronte di tale situazione, i vertici aziendali avevano riferito che sarebbero state disposte nuove assunzioni. Tuttavia, nel tempo, non si è proceduto a tali provvedimenti, generando una situazione di emergenza che ha comportato la sospensione sia degli straordinari, che del rientro in servizio in caso di necessità;
ebbene, è già nota la generale carenza di infermieri nelle strutture ospedaliere d'Italia, che in alcuni casi assume aspetti allarmanti, soprattutto, nelle stagioni estive in occasione delle dovute ferie dei dipendenti;
l'organico infermieristico non può sostenere carichi di lavoro eccessivi, con turni più lunghi e meno retribuiti, a causa dell'esiguo numero di infermieri in servizio. Tale situazione, oltre a limitare il decoro dell'esercizio professionale dell'infermiere, rappresenta un enorme rischio, sia per i pazienti che per gli infermieri, costretti lavorare sotto pressione e mettendo a rischio la propria incolumità psico-fisica;
ma vi è di più: addirittura risulta, in base a quanto denuncia la Fp Cgil Nazionale, che nel nostro Paese vi sono ben sessantamila infermieri in meno rispetto al fabbisogno. Al riguardo, l'Italia rischia l'ennesima procedura di infrazione da parte dell'Unione europea sul giusto orario di lavoro. Nello specifico, la direttiva europea in materia prevede il rispetto delle 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore e di non poter superare le 48 ore lavorative settimanali. Il predetto standard, a causa della carenza di organico, attualmente non può essere garantito in Italia;
dal 2010, anno del blocco del turnover, si è progressivamente aggravata la carenza del personale occupato. Gli infermieri sul territorio nazionale risultano oltre 270 mila, un dato gravemente inferiore al «giusto» rapporto indicato dall'Ocse, tra il numero degli infermieri e quello della popolazione totale, che dovrebbe essere pari a sette infermieri su mille abitanti;
dunque, è necessario intervenire urgentemente per assicurare una concreta soluzione a quella che è una inammissibile problematica che reca danno al personale infermieristico ed ai pazienti, ai quali non si garantisce un'assistenza che rispecchi almeno i livelli minimi essenziali –:
quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, rispetto ai fatti esposti in premessa e se e quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare per ovviare alla carenza di personale sanitario, al fine di tutelare quest'ultimo, garantire idonei livelli di assistenza ai pazienti, nonché scongiurare una nuova procedura di infrazione da parte dell'Unione europea, come specificato in premessa. (5-07046)
Interrogazioni a risposta scritta:
ZACCAGNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
a seguito della segnalazione inviata da «Il Fatto Alimentare» al Ministero della salute sulla vendita in Italia di olio di palma vergine contaminato da un colorante cancerogeno e genotossico (Sudan IV), il sistema di allerta rapido europeo (RASFF) ha allettato le autorità sanitarie regionali, invitandole a fare accertamenti per ritirare i prodotti interessati;
il livello d'allarme è alto perché c’è un precedente simile che avvenne nel 2003-2004, in cui centinaia di prodotti italiani furono ritirati perché contaminati dal Sudan I, un colorante simile al Sudan IV;
secondo le informazioni rese note da Bruxelles, si tratterebbe di olio di palma proveniente dal Ghana, importato dall'Olanda. I Paesi interessati sono 10, ossia: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Ghana, Irlanda, Olanda e Spagna;
i valori di contaminante oscillano da 596 a 1210 μg/kg – ppb;
il caso è scoppiato quasi un mese fa, il 21 ottobre 2015, quando la Food and Drugs Authority del Ghana ha invitato i consumatori a non utilizzare l'olio di palma, dopo che le analisi condotte dall'Autorità per la sicurezza alimentare su 50 campioni venduti nei maggiori mercati della regione della capitale Accra hanno rilevato la presenza, nel 98 per cento dei casi, del colorante genotossico e potenzialmente cancerogeno Sudan IV, di solito usato per dare una certa tonalità rossastra a solventi, cere, oli e lucido per scarpe;
il problema coinvolge anche l'Europa e l'Italia, perché confezioni di olio di palma rosso sono esportate e vendute via internet e nei negozi etnici. In Gran Bretagna, ad aprile, è stato ritirato dal commercio un olio di palma senza etichetta del Ghana venduto da Kemtoy Miyan Cash & Carry. A luglio 2015, la stessa sorte ha interessato un altro lotto proveniente dal Ghana, marchiato Zdomi, commercializzato da Fovitor International, per la presenza di Sudan IV. Un'inchiesta avviata dalle autorità del Ghana sul Fovitor Zdomi Palm Oil ha scoperto che il fornitore, Miva Lifeline Limited, non aveva chiesto l'autorizzazione per esportare nella Unione europea, dove è richiesta l'assenza del Sudan IV;
su internet sono acquistabili diverse marche di prodotti con olio di palma: pochi giorni fa c’è stato un altro caso. Il 30 ottobre 2015 il sistema rapido di allerta europeo (Rasff) ha segnalato in Francia la vendita di olio di palma del Ghana proveniente dall'Olanda, con il colorante Sudan IV;
«Il Fatto Alimentare» ha segnalato al Ministero della salute, Direzione generale per l'igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione, la presenza di diverse marche di olio di palma provenienti dal Ghana acquistabili da siti internet in lingua italiana, chiedendo in via precauzionale la sospensione delle importazioni di olio di palma dal Ghana. L'invito a non utilizzarlo dovrebbe essere rivolto anche a industrie, ristoratori e consumatori sino a che non saranno disponibili i risultati delle analisi di questi prodotti, per verificare l'eventuale presenza del colorante Sudan IV –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e, in caso affermativo, quali iniziative hanno posto o intenderanno porre in essere per salvaguardare la salute pubblica;
se in Italia siano stati importati quantitativi di olio di palma contaminato dal Sudan IV proveniente dal Ghana e, nel caso ciò sia avvenuto, quali siano stati i controlli avviati finora al fine di determinare la presenza dell'olio di palma vergine sia in purezza, che come ingrediente, nei preparati delle industrie agroalimentari;
se i Ministri interrogati non ritengano urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, per bloccare, in via precauzionale, le vendite on line di olio di palma vergine proveniente dal Ghana e comunque anche da quei Paesi che non garantiscono gli stessi standard di qualità e sicurezza alimentare del sistema italiano, finché non sia stato preventivamente appurato la presenza del Sudan IV o altri prodotti genotossici nell'olio di palma utilizzato nella nostra filiera di produzione e consumo. (4-11194)
FAENZI e SANDRA SAVINO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
le immagini trasmesse recentemente nel corso della trasmissione televisiva «Servizio pubblico» e riprese anche da numerosi organi di stampa, relative ai maltrattamenti subiti dalle mucche all'interno dello stabilimento Italcarni di Ghedi in provincia di Brescia, destano a giudizio degli interroganti, sconcerto e preoccupazione, sia con riferimento alle torture inflitte, che alle pratiche illegali utilizzate che a seguito della macellazione hanno causato anche la contaminazione della carne;
la gravità della violenza inflitta nei confronti degli animali, tale da determinare l'avvio di un'indagine della magistratura e il successivo sequestro degli impianti, all'interno dei quali venivano spinte le mucche ferite e dove le loro carni finivano contaminate con le feci, il sangue e lo sporco del suolo proprio a causa del maltrattamento, hanno indotto la Lega antivivisezione, a chiedere al Ministro interrogato una commissione d'inchiesta per conoscere quali siano le condizioni d'igiene e di legalità dei macelli a livello nazionale, non solo per individuare maltrattamenti che secondo l'associazione sono «pratica diffusissima», ma anche per evitare che gli animali arrivino già morti alla fase finale della macellazione, pregiudicando dunque la qualità della carne;
secondo la procura che ha effettuato una serie di accertamenti effettuati su prodotti destinati alla vendita, la carne aveva una carica batterica importante, i cui livelli di gravità sono stati confermati anche dall'Istituto zooprofilattico di Torino, che ha trovato cariche batteriche cinquanta volte superiori a quelle consentite dalla legge;
sono numerosi i reati contestati dalla procura agli indagati titolari dello stabilimento Italcarni, dal maltrattamento all'adulterazione di prodotto alimentare destinato alla vendita con conseguente pericolo per la salute del consumatore, dalla gestione illecita dei rifiuti con inquinamento delle rogge, al falso in atto pubblico, evidenziando, a giudizio degli interroganti, una situazione di estrema gravità esistente all'interno dell'azienda di macellazione di carni, che coinvolge anche il sistema di controllo e di vigilanza dei servizi veterinai dell'asl, che a giudizio degli interroganti evidentemente hanno dimostrato un'assoluta inefficienza nel proprio operato, se nel corso delle verifiche non hanno riscontrato nessuna irregolarità;
la suesposta vicenda, a giudizio degli interroganti, evidenzia la necessità di potenziare l'attività di monitoraggio e di sorveglianza sul territorio italiano, fermo restando che, nel nostro Paese, la macellazione è regolata da tutta una serie di norme sanitarie e legislative stringenti ed è soggetta a rigorosi controlli sanitari, soprattutto al fine di garantire la sicurezza e l'idoneità della carne all'alimentazione umana –:
se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritengano doveroso e necessario, per quanto di competenza, acquisire ogni elemento utile per verificare e chiarire la situazione determinatasi all'interno dello stabilimento di Ghedi Italcarni e, di conseguenza, intensificare le attività di ispezione, vigilanza e controllo in forma straordinaria, anche su scala nazionale, presso tutte le aziende presenti sul territorio nazionale che operano nel settore dell'allevamento, del trasporto e della macellazione degli animali.
(4-11202)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazione a risposta orale:
RIBAUDO e CULOTTA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
ad oggi Poste italiane possiede il 20 per cento di Italiacamp srl, società che si occupa di progetti ed innovazione. Partecipano alla società anche RCS/FS ed Invitalia. Il socio di maggioranza di Italiacamp è l'associazione Italiacamp il cui presidente è Antonio De Napoli;
in corso d'anno Poste ha acquisto il 10,32 per cento di ANIMA Holding da Banca MPS (costo 210 milioni di euro) e a breve dovrebbe collocare, con larga probabilità, tramite la rete degli sportelli postali, un nuovo prodotto di risparmio ad un buon tasso di rendimento. Poste aveva già, tra le società del gruppo, una società di gestione di risparmio, Bancoposta Fondi SGR, che gestisce un patrimonio di circa 67 miliardi quindi addirittura superiore a quello di Anima. Non si capisce, dunque per quale motivo Poste ha investito in Anima; quali saranno le sinergie e, soprattutto, quali prodotti saranno collocati con il brand di Poste italiane, tradizionalmente legato a prodotti di investimento a basso rischio;
recentemente Poste ha anche acquisito, tramite Postevita, il 100 per cento del capitale di SDS Sustem Data Software srl che, a sua volta, detiene il 100 per cento del capitale sociale di SDS Nuova Sanità srl. SDS e la società da essa detenuta svolgono attività di gestione dei servizi e liquidazione delle prestazioni per conto, tra gli altri, di fondi sanitari privati per l'assistenza sanitaria integrativa e si occupano di progettazione di software gestionali e dell'erogazione di servizi informatici professionali in ambito salute ed assistenza oltre che della de materializzazione di documenti, costando 20 milioni. Considerato che il gruppo ha già una società di Information Technology che è Postecom e Postel si occupa della gestione documentale, ci si chiede come mai si è proceduto all'acquisto della società;
in termini di investimenti, Poste (Bancoposta) al 30 giugno 2015 detiene titoli di Stato italiano del valore nominale di euro 38.732 milioni di euro. Una parte di questi (euro 5.601 milioni) al 30 giugno 2015 è indisponibile in quanto consegnata o concessa in garanzia a controparti principalmente nell'ambito di operazioni di pronti contro termine o asset swap. Invece il valore (fair value) degli strumenti finanziari derivati ammonta ad uro 470 milioni di cui 353 detenuti da Bancoposta e 117 da Banca del mezzogiorno-MCC spa. considerato ciò, a parere dell'interrogante, si tratta di investimenti a rischio;
SDA express courier è controllata al 100 per cento da Poste italiane. Sona già avvenute tre ricapitalizzazioni. Al 30 dicembre 2014 SDA aveva una perdita di 28,5 milioni di euro a fronte di un capitale sociale di 30 milioni di euro e di riserve di patrimonio di 1,4 milioni. Incorrendo nella fattispecie di cui all'articolo 2446, comma primo, del codice civile ha dovuto ricorrere alla riduzione del capitale sociale; al 30 giugno 2015 ulteriore perdita di 14,9 milioni che ha obbligato a ridurre ulteriormente il capitale sociale. Si sono palesati i presupposti dell'articolo 2447 del codice civile: si è dunque azzerato il capitale sociale e Poste ha apportato 40 milioni, di cui 10 per aumento del capitale e 30 per costituire una riserva straordinaria. Oggi il patrimonio netto di SDA è di 28 di milioni, di cui 10 di capitale sociale e 18 di riserve straordinarie. A questo si aggiunge che ne 2011 Poste aveva versato 107 milioni nelle Casse di SDA –:
quale sia stata la logica di tale operazione, in un momento in cui si procede ad una riorganizzazione della divisione che si occupa di recapito e logistica, nel tentativo (almeno dichiarato dall'amministratore unico Caio) di recuperare segmenti di mercato proprio sulla lavorazione e consegna dei pacchi;
perché si continui a ricapitalizzare una società del gruppo (SDA) che, evidentemente, non è in grado di sostenersi da sè (e sarebbe opportuno capire come mai è in continuo deficit) e, ad avviso dell'interrogante, non brilla neppure per qualità di servizio, nonostante lo stato dell'organico di SDA sia di 1595 dipendenti e 2463 corrieri indipendenti;
quali iniziative intenda assumere il Ministro nei confronti della società POSTE italiane spa, al fine di impedire che operazioni di mercato nel far mutare la natura stessa della società POSTE, mettano a rischio sia la solidità patrimoniale di una delle più importanti società di servizi europee, sia il centenario rapporto fiduciario instaurato con la clientela di POSTE, costruito sin dall'unità d'Italia ad oggi, sia il mantenimento dei livelli occupazionali persino nelle stesse società satellite;
se non ritenga opportuno intervenire a tutela della società e dei risparmiatori, e assumere iniziative, per quanto di competenza, per rendere trasparenti le operazioni finanziarie poste in essere da POSTE ITALIANE;
quale sia la mission industriale delle società partecipate dal gruppo;
se non sia opportuno e doveroso chiarire i futuri assetti societari del gruppo Poste e la ragione delle acquisizioni societarie recentemente effettuate, che sembrano essere all'interrogante ridondanti rispetto alle competenze consolidate delle società già appartenenti al gruppo, e chiedere conto dei progetti industriali che motivano le acquisizioni societarie in essere. (3-01858)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
CRIVELLARI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
con atto stipulato in data 3 dicembre 2013 la società Costa Bioenergie srl di Chioggia è stata acquisita e sottoposta al controllo da parte del gruppo Socogas spa e quest'ultima intende ampliare il costruendo impianto di stoccaggio e travaso di oli minerali con l'aggiunta di n. 3 serbatoi per lo stoccaggio GPL di capacità 3000 metri cubi cadauno e complessivamente di 9000 metri cubi, oltre le opere di collegamento per il travaso, scarico nave e carico mezzi gommati;
l'intervento si colloca in località Vai da Rio di Chioggia (VE), in zona «D2» del PRG del comune di Chioggia, all'inizio quindi di un'area portuale e all'interno della laguna sud di Venezia;
ad oggi è già stato depositato un grosso quantitativo di sabbia nell'area individuata per la realizzazione dell'opera;
il progetto di ampliamento del deposito di stoccaggio combustibili con l'inserimento del GPL ha suscitato forti preoccupazioni nei residenti della zona, ma anche nei pescatori e nelle imprese portuali che vi operano;
le norme di sicurezza avranno un impatto sui trasporti sia marittimi sia di terra;
da quanto si conosce l'impianto di stoccaggio di GPL in Val Da Rio a poche centinaia di metri dal centro storico, nell'area denominata «Punta Colombi» è frutto di un investimento di 20 milioni di euro e potrà vedere la luce nel giro di un anno;
si tratta di un intervento complesso, che genererà un traffico di almeno 15 autobotti al giorno sul versante strada e con esternalità paragonabili a circa 15 dipendenti;
nelle presentazioni in sede di commissioni consiliari del comune di Chioggia (VE), il nuovo impianto non sembra aver riscosso riconoscimenti positivi;
all'amministrazione locale sono stati richiesti solo dei permessi di natura urbanistica, difficili da negare;
la popolazione ha espresso giudizi di forte preoccupazione sull'impianto, anche in forma pubblica e con manifestazioni contrarie all'insediamento dell'impianto di stoccaggio –:
quale sia lo stato dell’iter autorizzativo dell'impianto di stoccaggio di combustibili minerali e della successiva richiesta di ampliamento con l'ingresso dello stoccaggio e della movimentazione del GPL;
se siano state verificate le fonti di rischio data la forte vicinanza all'impianto di attività commerciali marittime e portuali ma soprattutto di un'area residenziale ad alta densità abitativa;
se siano state verificate le implicazioni che un simile impianto ha nei confronti di un territorio particolare come la laguna veneta;
in che modo il Governo considererà il parere e le preoccupazioni manifestate dalla popolazione residente. (5-07048)
CULOTTA e RIBAUDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
dal 1o ottobre 2015 sono entrate in vigore le nuove tariffe di Poste Italiane e parallelamente, anche in corrispondenza della quotazione di borsa della società è scattata la sperimentazione del nuovo sistema di consegna della posta a giorni alterni;
tale obiettivo è in linea con l'obiettivo di risparmio che Poste Italiane si è data;
la delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che da il via libera a Poste Italiane di implementare il recapito a giorni alterni, a seguito della concentrazione dei volumi postali, specifica che ciò può avvenire, in via principale, solo in ambiti provinciali con una popolazione inferiore ai 200 abitanti per chilometro quadrato, e in via subordinata, in ambiti comunali con una popolazione sempre inferiore ai 200 abitanti per chilometro quadrato;
il modello di recapito a giorni alterni è articolato nelle seguenti fasi:
I fase – ottobre 2015;
II fase – aprile 2016;
III fase – febbraio 2017;
nel febbraio 2017, andrebbe a coinvolgere complessivamente il 25 per cento della popolazione su tutto il territorio nazionale;
il recapito sarà organizzato su base bisettimanale, dal lunedì al venerdì;
le nove città su cui sarebbe effettuato il servizio di recapito giornalieri e pomeridiano sono le seguenti: Milano, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Bari;
tra le stesse, come si apprende da un articolo di stampa pubblicato il 12 novembre 2015 da Live Sicilia, noto quotidiano on line, non risulta la città di Palermo;
questa scelta appare strana se si considera che Palermo oltre ad essere il capoluogo della regione siciliana è anche la quinta città d'Italia per numero di abitanti;
le conseguenze di questa decisione potrebbero anche ricadere sui livelli occupazionali –:
qualora tale notizia dovesse essere confermata, quali siano le motivazioni che hanno spinto verso tale scelta;
se il Governo intende tale assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché tale decisione sia rivista in sinergia con Poste Italiane con l'intento di salvaguardare i livelli occupazionali e la qualità del servizio alla luce delle caratteristiche della città di Palermo. (5-07049)
Interrogazione a risposta scritta:
MARCO DI MAIO, DONATI, COPPOLA, MORETTO, PARRINI, GADDA, IORI, GALPERTI e PATRIARCA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
con la legge di delegazione europea 2014 l'Italia ha avviato la procedura per il recepimento della direttiva 2014/94/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, sullo sviluppo dell'infrastruttura per i combustibili alternativi (DAFI);
la direttiva DAFI dà mandato agli Stati membri di adottare un quadro strategico nazionale per lo sviluppo di tale mercato e l'installazione di un numero minimo di punti di ricarica, da inviare alla Commissione europea, entro il 18 novembre 2016;
per la direttiva DAFI i combustibili alternativi sono quelli utilizzati, almeno parzialmente, per la sostituzione dei carburanti fossili nel settore dei trasporti e che hanno una reale potenzialità di contribuire alla decarbonizzazione ed al miglioramento delle prestazioni ambientali di questo settore. Quindi, la direttiva rappresenta un tassello importantissimo per la riduzione delle emissioni, la limitazione al ricorso dei combustibili fossili e per l'abbattimento delle barriere tecnologiche e regolatorie tra gli Stati membri. Inoltre, crea le condizioni per lo sviluppo di un mercato unico e di economie di scala;
tra i combustibili alternativi ricompresi dalla direttiva che gli Stati membri possono includere nel quadro strategico nazionale per lo sviluppo del mercato dei combustibili alternativi nel settore dei trasporti e la realizzazione della relativa infrastruttura figura l'idrogeno. Al pari di ogni altro combustibile, l'impiego dell'idrogeno per autotrazione è ampiamente consolidato in ambito automobilistico e gestito in totale sicurezza. Oltre ad essere una tecnologia matura, è estremamente pulita: la sua combustione produce vapore acqueo e piccole quantità di ossido di azoto (emissioni zero di CO2). Può essere prodotto da fonti rinnovabili (energia solare ed eolica) e/o da materiali di recupero. Se adeguatamente compresso, l'idrogeno è facile da raccogliere e trasportare, il che consente all'idrogeno diversi ambiti di applicazione che esulano anche da quello dei trasporti;
l'idrogeno, così come altre tecnologie alternative applicate alla mobilità — rispetto alle quali non si colloca in una posizione di concorrenza ma di complementarietà — rappresenta il futuro della mobilità contribuendo fortemente a soddisfare quell'esigenza, mondiale prima ancora che europea, di decarbonizzazione del settore dei trasporti e di riduzione della dipendenza dall'Europa dalle importazioni di combustibile fossile;
sono numerosi i Paesi, extra europei ed europei, che hanno deciso di investire in programmi di sviluppo di questa preziosa tecnologia. Tra questi il Giappone — che conta di raggiungere le 1.000 stazioni di rifornimento entro il 2025 — la Corea del Sud e gli Stati Uniti, Paese che vanta il virtuoso caso della California, dove sono state rese operative 13 stazioni nell'ambito del programma California Fuel Cell Partnership, California Hydrogen Net (CaH2Net) e che ha in programma, per i prossimi anni, il completamento della rete di distribuzione fino al raggiungimento di 100 punti di rifornimento a idrogeno entro il 2024;
in Europa, Germania, Regno Unito, Francia, Danimarca, Svezia e Norvegia, grazie anche al sapiente uso dei finanziamenti europei, stanno già implementando ambiziosi programmi di infrastrutture ad idrogeno attraverso partenariati pubblico-privati. Ad esempio, in Danimarca le stazioni di servizio che erogano l'idrogeno hanno già superato i livelli minimi di copertura del territorio. In Germania ve ne sono già 18 (una delle quali anche nel centro di Amburgo), che diventeranno 50 entro il 2016, per raggiungere le 400 entro il 2023;
in Italia non vi è, allo stato attuale, alcuna strategia sull'idrogeno e l'unica esperienza rilevante si trova sulla A22 a Bolzano dove ha preso vita il progetto H2 Alto Adige. In quella sede si produce idrogeno tramite energie rinnovabili, si stocca e si utilizza per rifornire veicoli elettrici a cella a combustibile (autobus utilizzati per il trasporto pubblico urbano ed un parco vetture destinate al noleggio). Qui si ferma, per l'Italia, il progetto europeo Hy-Five, che è il più importante e ambizioso progetto europeo che riguarda il lancio e la promozione di veicoli elettrici a celle a combustibile in Europa;
lo sviluppo della filiera dell'idrogeno, altamente tecnologica, rappresenterebbe, inoltre, un'occasione unica per attrarre investimenti nazionali ed esteri capaci di sostenerne il potenziamento nel medio-lungo termine. In Italia ci sono delle eccellenze pionieristiche, che rimarranno tali a causa della mancata adozione di una visione strategica che ne sostenga la crescita, ad esempio: l’Hidrogen Park di Marghera, la centrale termoelettrica di Fusina (VE) la prima centrale ad idrogeno al mondo di livello industriale, H2U — The Hydrogen University di Monopoli (BA) con la «cittadella dell'idrogeno», dove ingegneri e ricercatori ne studiano le possibili applicazioni industriali;
l'assenza infrastrutturale rischia, nel medio/lungo periodo, di isolare l'Italia escludendola dallo sviluppo di una mobilità sostenibile transfrontaliera che passa attraverso l'implementazione di tecnologie innovative e pulite;
il sintomo più evidente dell'ingiustificato ritardo dell'Italia nello sviluppo di questa tecnologia è rappresentato dalla sua normativa di riferimento che risale a quasi 10 anni fa: il decreto del Ministero dell'interno del 31 agosto 2006 «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti di distribuzione di idrogeno per autotrazione»;
il provvedimento rappresenta per molti aspetti un ostacolo alla realizzazione di distributori a idrogeno. Il principale è costituito dalla pressione di erogazione che non deve essere superiore a 350 bar (35MPa), laddove invece i serbatoi a bordo delle moderne autovetture garantiscono una conservazione in totale sicurezza a 700 bar (70MPa) — come previsto dagli standard internazionali SAE J2601, SAE J2799, ISO 17268, ISO 20100;
non si ravvisano ragioni per le quali il Governo non debba far ricadere la propria scelta anche sull'idrogeno e permettere all'Italia di partecipare in prima linea ad una rivoluzione culturale della mobilità sostenibile –:
se siano già in corso i lavori per la predisposizione del quadro strategico nazionale, passaggio chiave dell'implementazione della direttiva 2014/94/UE sulla realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativi;
quali siano gli orientamenti del Governo in merito all'inclusione dell'idrogeno all'interno del quadro strategico in modo da assicurare la disponibilità di un numero minimo di punti di rifornimento per consentire la circolazione di veicoli a motore alimentati a idrogeno;
se il Governo intenda modificare il decreto del Ministero dell'interno del 31 agosto 2006 «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti di distribuzione di idrogeno per autotrazione», allineandolo ai nuovi standard internazionali. (4-11192)
Apposizione di firme ad una mozione.
La mozione Falcone e altri n. 1-01058, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Amoddio, Scuvera.
Apposizione di una firma ad una risoluzione.
La risoluzione in Commissione Ferro e Marroni n. 7-00845, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Minnucci.
Apposizione di firme ad interrogazioni.
L'interrogazione a risposta in Commissione Vacca e Tofalo n. 5-02750, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marzana.
L'interrogazione a risposta orale Zaccagnini n. 3-01722, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Kronbichler, Pellegrino.
L'interrogazione a risposta in Commissione Zaccagnini n. 5-06485, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Kronbichler, Pellegrino.
L'interrogazione a risposta in Commissione Dadone n. 5-06912, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Chimienti.
L'interrogazione a risposta scritta Scagliusi n. 4-11093, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Spadoni, Lupo, Del Grosso, Manlio Di Stefano, Colonnese, Lorefice, Cecconi, D'Ambrosio.
Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.
Si pubblica il testo ulteriormente riformulato della risoluzione in Commissione Massimiliano Bernini n. 7-00826, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 507 del 21 ottobre 2015.
Le Commissioni XI e XIII,
premesso che:
con il termine «caporalato» si tende ad indicare una complessa gamma di fenomeni criminali all'interno dei quali si individua il lavoro nero, l'evasione contributiva e fiscale, il trasporto abusivo, il lavoro minorile, il mercato delle «braccia straniere» e dello sfruttamento sessuale, fenomeni ascrivibili alla più ampia categoria dello sfruttamento del lavoro, purtroppo, sempre più spesso attigui a forme di vero e proprio neoschiavismo;
numerose indagini hanno confermato la presenza del fenomeno in tutta Italia, da Nord a Sud e nelle aree di alta produzione agricola con uso intensivo di manodopera sia italiana che straniera, molto spesso «stipata» in veri e propri ghetti, organizzati in squadre e capisquadra. Si tratta di donne e uomini altamente ricattabili a causa dello status giuridico e dell'assenza dell'applicazione dei diritti riconosciuti, con situazioni abitative al di sotto degli standard minimi della dignità umana, e luoghi e condizioni di lavoro estremi, con violenze endemiche quali mancati pagamenti e sempre più spesso aggressioni fisiche, anche a sfondo sessuale;
nel corso di questa legislatura l'Esecutivo è stato più volte sollecitato ad agire sulla questione del caporalato e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, con numerose interrogazioni ed atti presentati dal Movimento 5 Stelle, tra questi, il 7 agosto 2013, durante l'esame della «conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», è stato accolto l'ordine del giorno (9/1458/54) a prima firma Lupo che impegna il Governo a valutare l'opportunità di prevedere incentivi ad hoc per la manodopera agricola così da abbassare il costo del lavoro e disincentivare il ricorso al lavoro nero da parte degli imprenditori agricoli, mentre il 25 novembre 2014, durante l'esame della «Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro», è stato accolto l'Ordine del Giorno (9/2660-N77) a prima firma Gagnarli, che impegna il Governo ad adoperarsi al fine di prevedere agevolazioni per la manodopera agricola;
sebbene le precedenti premesse, la stagione estiva appena trascorsa (2015) ha fatto registrare una serie di eventi tragici e luttuosi collegati allo sfruttamento del lavoro nei campi durante le attività di raccolta ortofrutticola e al mancato rispetto delle regole di sicurezza nei luoghi di lavoro molto spesso a seguito della carenza di controlli da parte degli organi di vigilanza, in modo particolare dell'Ispettorato del lavoro e delle Asl, dovuti probabilmente alla mancanza di risorse economiche, strumentali ed umane che se implementati consentirebbero di prevenire il proliferare di tali fenomeni;
di fronte alle necessità tecniche legate alla tipicità della produzione agricola, a parere dei firmatari del presente atto le istituzioni hanno fatto un passo indietro lasciando campo aperto alle organizzazioni criminali che in vario modo hanno preso il controllo della situazione. Il caporalato nella sua accezione più ampia risponde alle esigenze specifiche dei territori e per questo si è diffuso ed è ben radicato nella aree dov’è presente, tanto che non sono da escludere casi nei quali gli accordi raggiunti siano il risultato di una vera e propria contrattazione consensuale tra le parti (contratto di strada, vietato per legge);
lo stretto legame tra il fenomeno del caporalato e la criminalità organizzata si evince anche dal documento finale della «Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare» della XV legislatura (2007-2008);
accanto a contesti di evidenti manifestazioni di illegalità, criminalità mafiosa e sfruttamento schiavistico, vivono anche situazioni che pur rientrando nella fattispecie del caporalato si muovono all'interno di un quadro di parziale o apparente legalità, rendendo la situazione complessa e stratificata, nonché varia a seconda dei territori, delle colture specifiche e delle regioni nei quali si è sviluppata nel tempo;
nel gennaio del 2010 a Rosarno (Reggio Calabria), i violenti scontri tra residenti e lavoratori migranti, quest'ultimi oggetto di gravi forme di sfruttamento durante la raccolta degli agrumi, hanno portato per la prima volta all'attenzione dell'opinione pubblica italiana, la questione delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini stranieri nelle nostre campagne;
il fenomeno del caporalato non è nuovo alle istituzioni democratiche del nostro Paese e, come emerge da varie indagini, è parte integrante del sistema economico agroalimentare nazionale da diversi decenni. Tra questi approfondimenti si ricorda la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno del cosiddetto «Caporalato» che svolse i suoi lavori nel corso della XII Legislatura (1995-1996), e «l'indagine conoscitiva su taluni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera)» della XI commissione, durante la XVI legislatura (2009-2010);
come evidenziato anche nell'ambito dell'indagine conoscitiva su taluni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera) della XI commissione, la situazione nel suo complesso si inserisce nel più ampio scenario della globalizzazione dei mercati che ha sancito la diffusione del pensiero e delle pratiche neoliberiste che pongono in primo piano il profitto a discapito dei diritti delle persone e dei lavoratori, condizioni generali che hanno generato una «guerra» sui prezzi di alimenti e materie prime senza esclusione di colpi che di fatto ha portato miseria e forme di neoschiavismo in ampie parti del globo;
nel corso della predetta indagine, i rappresentanti dell'Eurispes, del Censis, del CNEL e di MSF (Medici Senza Frontiere) hanno evidenziato, ognuno nei propri settori di competenza la gravità della situazione e la necessità di apportare urgenti modifiche sia in ambito normativo che sul piano dei controlli;
secondo il rapporto «Agromafie» e «caporalato» (2014) pubblicato dalla Flai CGIL (mentre si scrive è in corso di stesura del III Rapporto) si tratta di non meno di 400 mila lavoratori sfruttati dai caporali (di cui più dell'80 per cento stranieri), di cui 100 mila in condizioni di grave assoggettamento, definite nel rapporto «paraschiavistiche», concentrati in circa 80 epicentri (distretti agricoli a rischio) dello sfruttamento in Italia; dei quali più della metà registrano condizioni generali indecenti. Più del 60 per cento dei lavoratori sotto caporale non ha accesso a servizi igienici né all'acqua corrente, mentre il 70 per cento presenta malattie (non segnalate prima dell'inizio della vita nei campi), mentre è di 25/30 euro la paga media per una giornata «lavorativa» anche di 12 ore, esattamente il 50 per cento in meno rispetto alla paga prevista dai contratti nazionali che è di circa 8 euro, ora per un massimo di 6,5 ore di lavoro al giorno, mentre in altre aree del nostro, come in prossimità del CARA di Mineo (Catania), la paga è di molto inferiore, circa 10 euro al giorno. Dal suddetto salario il «caporale» sottrae 5 euro/lavoratore per il trasporto sul posto di lavoro, 1,5 euro per una bottiglia d'acqua, 3,5 euro per un panino, ingenerando perciò un trattamento economico col quale nessun essere umano è in grado di condurre una vita dignitosa e sicura;
sempre secondo il rapporto di cui prima, il «caporalato» ha un costo per le casse dello Stato in termini di evasione contributiva non inferiore a 600 milioni di euro l'anno, in un contesto dove l'economia sommersa nel settore sottrae un flusso di denaro all'economia legale superiore a 9 miliardi di euro l'anno, mentre nella relazione della direzione nazionale Antimafia del gennaio 2014, la criminalità organizzata nel settore agroalimentare oggi controlla direttamente o condiziona l'intera filiera, con un fatturato di 12,5 miliardi di euro l'anno;
il caporalato ovvero l'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, è stato inserito tra i reati perseguibili penalmente solo nel 2011 (decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, in vigore dal 13 agosto 2011, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148) essendo considerato un «reato spia» di infiltrazioni criminali nel settore agricolo: si stima che il giro d'affari connesso alle agromafie (Primo Rapporto su caporalato e agromafie realizzato da Flai Cgil) sia compreso tra i 12 e i 17 miliardi di euro, il 5-10 per cento di tutta l'economia mafiosa, per la maggior parte «giocato» tra la contraffazione dei prodotti alimentari e il caporalato. Dall'approvazione della suddetta norma fino alla fine del 2013, per il reato in questione sono state arrestate o denunciate 355 persone, 63 nel 2012 e 281 nel 2013;
ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014 n. 116, è istituita dal 1o settembre 2015 la «Rete del lavoro agricolo di qualità» l'organismo autonomo nato per rafforzare le iniziative di contrasto dei fenomeni di irregolarità e delle criticità che caratterizzano le condizioni di lavoro nel settore agricolo. Possono fare richiesta le imprese agricole in possesso dei seguenti requisiti:
a) non avere riportato condanne penali e non avere procedimenti penali in corso per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto;
b) non essere stati destinatari, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative definitive per le violazioni di cui alla lettera a);
c) essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi. Le aziende potranno così registrarsi ed essere valutate dalla cabina di regia della rete presieduta dall'INPS di cui ne fanno parte le organizzazioni sindacali, le organizzazioni professionali agricole, insieme ai rappresentanti dei Ministeri delle politiche agricole, alimentari e forestali, del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze e della Conferenza delle regioni, che presenterà un piano organico complessivo per il contrasto stabile al lavoro nero e per intensificare ancora gli sforzi;
le aziende agricole possono aderire alla «Rete del lavoro agricolo di qualità» in modo volontario e senza un'intensificazione dei controlli da parte degli organi preposti in materia di vigilanza del lavoro, addirittura facendo presagire un vero e proprio «allentamento» del controllo, e per questo appare del tutto evidente come la misura assuma solamente un mero carattere «promozionale», che fornisce un blando contributo al contrasto dello sfruttamento agricolo e all'intermediazione illecita che necessità bensì di azioni cogenti;
non può esserci una produzione di qualità senza la qualità del lavoro, ovvero senza il rispetto dei diritti, dei contratti, delle leggi e della dignità delle persone coinvolte nella filiera della produzione-raccolta, trasformazione e commercializzazione del prodotto e, per questo, è necessario che la popolazione sia informata al massimo sulle condizioni di filiera dell'agroalimentare, al fine di operare una scelta di consumo più critica e consapevole, e possibilmente premiando le buone produzioni valorizzandole rispetto a quelle che contengono fenomeni di caporalato e affini. Sarebbe necessario quindi predispone una strategia complessiva che faccia leva sulla vigilanza, su interventi di semplificazione della normativa, di incentivazione e, soprattutto, su politiche di sviluppo locale, attraverso l'azione congiunta di tutti gli attori impegnati su questo fronte, siano essi soggetti istituzionali, forze sociali, scuola, università, enti di formazione e di ricerca,
impegnano il Governo:
ad incrementare i controlli su tutto il territorio nazionale ed in particolare nelle aree dove il caporalato è più diffuso, al fine di contrastare e reprimere l'intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, anche attraverso iniziative per lo stanziamento di maggiori risorse economiche in favore degli organi di vigilanza, in modo particolare gli ispettorati del lavoro;
in relazione ai requisiti necessari per accedere all'iscrizione alla «Rete del Lavoro agricolo di qualità», ad assumere iniziative per inserire tra questi la dichiarazione aziendale con la quale si dichiara di essere in regola con l'applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro e dei contratti provinciali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
ad attivare un coordinamento nazionale dei controlli per quanto attiene alla sicurezza e all'igiene nei luoghi di lavoro, all'applicazione della legislazione sociale e tributaria, alla regolarità contrattuale e contributiva e alla prevenzione dei fenomeni di sfruttamento, al fine di rendere più efficaci i servizi ispettivi espletati dall'ispettorato del lavoro, dall'INPS e dalle forze dell'ordine, prevedendo anche la creazione di una banca dati unica nazionale dei controlli o mettendo a sistema le diverse banche dati esistenti, quali quelle del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, quelle dei centri per l'impiego, dell'INPS (CISOA), dell'INAIL, della guardia di finanza, della motorizzazione civile, dell'agenzia delle entrate e di AGEA;
avvalendosi di una task force di informatici, agronomi, esperti nel settore della privacy ed altre figure professionali, ad elaborare un algoritmo «anti-caporalato» che, incrociando i dati delle banche dati di cui sopra con quanto stabilito dal CCNL o CPP, allerti gli organi di vigilanza qualora emergano incongruenze tra il reale fabbisogno di lavoro delle aziende agricole, calcolato con le tabelle ettaro-colturali, e la manodopera effettivamente assunta;
ad assumere ogni iniziativa di competenza al fine di garantire per i lavori stagionali stranieri luoghi di residenza ove sia possibile il rispetto delle norme igienico sanitarie e di vita civile;
ad intensificare i controlli, per quanto di competenza, nelle cosiddette «impresa senza terra» o «cooperative senza terra» al fine di verificare che queste non svolgano di fatto intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro;
ad assumere iniziative per intensificare l'attività di vigilanza e controllo finalizzata alla repressione dell'utilizzo illegittimo dei voucher in agricoltura e rendere obbligatoria per tutti i soggetti interessati la procedura sperimentale FastPOA;
ad attivare un numero telefonico nazionale di pubblica utilità presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, attraverso il quale tutti i cittadini italiani e stranieri possano denunciare i fenomeni di sfruttamento, maltrattamento, condizioni di vita disumane o altre vessazioni durante il lavoro o la conduzione dell'azienda, che garantisca l'anonimato e la tutela da ogni atto ritorsivo, le cui denunce vanno immediatamente trasmesse agli organi di vigilanza per gli immediati accertamenti;
a pubblicizzare su tutti gli organi d'informazione, tenendo conto delle diversità linguistiche, l'attivazione e i riferimenti del numero telefonico nazionale di pubblica utilità;
a realizzare una comunicazione sociale per informare e sensibilizzare l'opinione pubblica, sul vergognoso fenomeno del «caporalato» e sugli strumenti di denuncia attivati che superi ogni ostacolo linguistico e culturale;
in accordo con le regioni, ad assumere iniziative per potenziare la borsa continua nazionale del lavoro (BCNL), in modo da renderla più congruente alla stagionalità del settore primario, anche attraverso lo sviluppo di applicazioni informatiche che consentano ai datori di lavoro di reperire facilmente e rapidamente la manodopera necessaria;
a promuovere l'utilizzo delle liste di lavoratori inseriti nella BCNL o presso i centri dell'impiego pubblici, da parte dei datori di lavoro, attraverso sgravi fiscali, assicurativi previdenziali o burocratici;
in accordo con le regioni, a promuovere, mediante l'attivazione di apposite convenzioni, iniziative che garantiscano a tutti i lavoratori iscritti lo svolgimento della visita medica preventiva, ai sensi del «Testo unico salute e sicurezza nei luoghi di lavoro»;
in accordo con le regioni, a promuovere in via sperimentale, l'istituzione della figura del «garante del lavoro agricolo», inquadrato nell'ambito dei centri per l'impiego provinciale o degli assessorati regionali del lavoro che fornisca «in campo» il servizio d'intermediazione tra lavoratori e datori del lavoro nell'ambito del settore primario;
ad assumere iniziative normative affinché il permesso di soggiorno del lavoratore sia prolungato fino alla scadenza dell'indennità di disoccupazione, facendo decorrere il termine della proroga, ai fini della ricerca di una nuova occupazione, dalla scadenza naturale del permesso di lavoro e non dalla data di licenziamento;
a riferire periodicamente ai competenti organi parlamentari, sui risultati ottenuti nell'azione di prevenzione e repressione del fenomeno dell'intermediazione illecita e sfruttamento di manodopera.
(7-00826)
«Massimiliano Bernini, Chimienti, Lupo, L'Abbate, Gagnarli, Gallinella, Benedetti, Parentela, Cominardi, Lorefice».
Pubblicazione di un testo riformulato.
Si pubblica il testo riformulato della mozione Falcone n. 1-01058, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 516 del 6 novembre 2015.
La Camera,
premesso che:
il mondo della risicoltura attraversa una fase di cambiamento di notevole portata, recenti studi sul comparto del riso, sulle prospettive e sugli sviluppi tanto del mercato interno quanto di quello estero evidenziano una tendenza all'accorpamento della proprietà e all'aumento delle proporzioni delle superfici a disposizione delle singole aziende;
il comparto del riso, tuttavia, appare per certi versi vulnerabile a causa di un paventato e progressivo venir meno della protezione offerta dalle politiche integrative della Politica agricola comune e per l'aumento progressivo delle importazioni a dazio zero dai Paesi che hanno aderito all'accordo EBA, Everything But Arms;
nel contempo gli scenari internazionali confermano un quadro molto fluido e di grandi trasformazioni, il mercato tende a farsi ancora più globale, livellato e allo stesso tempo aperto. Questo processo reca con sé rischi, difficoltà e importanti opportunità: all'interno di un mercato senza confini, sempre secondo gli analisti, si consolida e si definisce un'area di mercato ampia che chiede qualità;
l'Italia è il primo produttore nell'Unione europea con oltre il cinquanta per cento della produzione e più di 14 milioni di quintali l'anno. Il primato nazionale nella produzione spetta al Piemonte, con più di 120 mila ettari di risaia e una produzione totale di 8 milioni e 500 mila quintali;
quanto all’export l'Italia è il sesto tra i principali Paesi esportatori al mondo e per oltre dieci anni la filiera risicola italiana ha rafforzato la propria leadership nell'Unione europea, passando dalla vendita del prodotto primario alle industrie del nord alla consegna del prodotto confezionato direttamente alle catene commerciali;
dopo anni di recessione, nel 2015, si è invertita la tendenza e le risaie italiane sono tornate a crescere: da settembre 2014 a marzo 2015, in base agli ultimi aggiornamenti dell'Istat, le esportazioni italiane di risi, tra greggi, semilavorati e lavorati, hanno sfiorato le 455.000 tonnellate, facendo segnare una crescita del 9 per cento su base annua. Nell'Unione europea, con 370.000 tonnellate circa, le spedizioni sono però cresciute a un tasso più contenuto del 5,2 per cento, così come, nell'Unione europea dei 28 Paesi, l’export che dall'84 per cento della scorsa campagna è sceso nei primi mesi dell'anno all'81 per cento;
le importazioni a dazio zero da Cambogia e Myanmar, nonché le ultime concessioni sul Vietnam e nell'ambito del TTIP avrebbero come conseguenza quella di una possibile limitazione del nostro export su determinate categorie di prodotto (riso indica);
i risicoltori italiani temono anche un'altra minaccia che richiede una maggiore difesa del riso made in Italy: le importazioni dall'estero di prodotto spacciato come italiano, attività di contraffazione rese possibili dalla mancanza di un sistema trasparente di etichettatura che obblighi ad indicare la provenienza del prodotto; il prodotto importato è meno controllato dal punto di vista sanitario e gode pertanto di una notevole facilitazione competitiva sui prezzi rispetto alle produzioni italiane;
il sistema di preferenze generalizzate – istituito fin dal 1971 per aiutare la crescita dei Paesi in via di sviluppo – è lo strumento con il quale l'Unione europea accorda un accesso preferenziale al proprio mercato ad alcuni Paesi mediante la concessione di una tariffa preferenziale dei dazi, o a dazio zero, applicabili all'atto dell'importazione;
il riso è uno dei prodotti che stanno maggiormente risentendo degli effetti di questo sistema; in particolare, le importazioni di riso a basso prezzo dai Paesi asiatici stanno schiacciando i produttori nazionali, che devono invece affrontare costi che superano ampiamente i ricavi per alcune varietà di riso;
inoltre, il Sistema rapido di allerta per gli alimenti e i mangimi europeo (RASFF) – istituito in ambito europeo per la notifica in tempo reale dei rischi diretti o indiretti per la salute pubblica connessi al consumo di alimenti o mangimi – ha registrato nel primo semestre del 2014 quasi una notifica a settimana per riso e prodotti derivati di provenienza asiatica per la presenza di pesticidi non autorizzati o che superano i limiti ammessi di residui e assenza di certificazioni sanitarie;
il Sistema delle preferenze tariffarie generalizzate prevede in ogni caso meccanismi di sorveglianza e di salvaguardia, che consentono anche di ripristinare i normali dazi della tariffa doganale comune qualora un prodotto originario di un Paese beneficiario di uno dei regimi preferenziali sia importato in volumi o a prezzi tali da causare o rischiare di causare gravi difficoltà ai produttori dell'Unione europea di prodotti simili o direttamente concorrenti. In particolare, nel regime ora vigente, sono considerati anche i prezzi tra i fattori tali da causare o da minacciare di causare serie difficoltà ai produttori comunitari e anche il deterioramento della condizione economica e finanziaria delle imprese dell'Unione europea costituisce causa efficiente per configurare la «seria difficoltà». Ulteriori disposizioni di salvaguardia sono poi specificamente dettate per i prodotti agricoli;
l'Italia, già nel 2014, ha avviato un'iniziativa a Bruxelles, insieme ad altri Paesi europei, per l'attivazione della clausola di salvaguardia nei confronti dell'importazione di riso greggio cambogiano del tipo indica ed ha inviato un documento tecnico sull'impatto delle importazioni a dazio zero alla Commissione europea;
rispetto alle nuove sfide del mercato, per quanto riguarda la filiera del riso, prendono forma i primi tentativi di creare rapporti tra gli attori della filiera; il comparto sembra puntare, anche se per ora con molta prudenza, sulla filiera corta e sulla produzione biologica certificata che rappresenta un'opportunità per le aziende di straordinario valore dal punto di vista del mercato e una necessità per ridurre l'impatto ambientale dei processi colturali nell'ambito della cura del territorio;
alla necessità di conoscere la provenienza della materia prima si aggiunge la richiesta, da parte del consumatore, di una serie di informazioni che determinano l'identità del prodotto e i contenuti di cui il prodotto stesso è portatore; questo processo è ormai avviato e in fase di consolidamento e costituisce uno strumento di fondamentale importanza per l'accesso al target di livello alto e medio-alto che premia l'eccellenza e la qualità, tipiche delle produzioni italiane;
la visione più suggestiva di quale potrebbe essere il rapporto tra consumatore e distribuzione nei prossimi anni è stata fornita dal Future Food District di EXPO 2015, dove Coop ha aperto un supermercato nel quale i visitatori possono esplorare e conoscere una catena alimentare più etica e trasparente, resa possibile dall'uso delle nuove tecnologie;
una delle eredità più significative di Expo 2015 è proprio la diffusione, nel mercato globale e in quello interno, della consapevolezza che i temi della sostenibilità ambientale – sia per quanto concerne la salvaguardia dei suoli e della risorsa idrica, sia per quanto concerne la qualità e la salubrità delle produzioni – sono una sfida competitiva globale sulla quale il made in Italy può esercitare un'influenza importante promuovendo ed incoraggiando una nuova cultura di impresa;
nel comparto del riso sia l'indicazione della varietà, sia, più in generale, la tracciabilità del prodotto sono limitate alla certificazione dell'approvvigionamento del seme e di poche fasi del conferimento del prodotto al trasformatore, generando uno squilibrio tra risaia e risiera, cioè tra produttore e trasformatore;
la tracciabilità del riso non è riducibile alla sola indicazione del seme e non può essere confinata all'autocertificazione nella maggior parte delle fasi del processo produttivo; occorre quindi incentivare metodi scientifici e tecnologie per dare supporto, coerenza e continuità alla ricerca che si sta facendo in questi settori;
per quanto riguarda l'indicazione varietale del riso essa è un primo fondamentale passo verso la tutela dell'eccellenza e del made in Italy; tale indicazione deve essere estesa a tutti gli altri attori della filiera, nel processo che porta dal produttore al consumatore finale, garantendo a quest'ultimo l'accessibilità alle notizie riguardanti tutte le fasi del processo di produzione, dal campo alla grande o piccola distribuzione;
l'Ente nazionale risi ricopre un ruolo di grande valore per quanto riguarda la tutela, la ricerca e il supporto alla filiera; tuttavia, in questa stagione è quanto mai necessario concentrare il massimo degli sforzi su scala europea ed internazionale per comunicare e promuovere la qualità delle produzioni italiane anche in relazione agli alti livelli di tutela ambientale, della salute, del lavoro e dei processi produttivi garantiti dalle produzioni di riso nazionale;
il Parlamento è già impegnato nella riforma della legislazione vigente sul mercato interno del riso con l'articolo 25 del collegato agricolo (A.C. 3119) che reca una delega al Governo per il sostegno del settore del riso,
impegna il Governo:
a continuare ad intervenire nelle competenti sedi comunitarie a tutela del mercato italiano del riso, in particolare affinché sia attivata la clausola di salvaguardia prevista dal Sistema delle preferenze tariffarie generalizzate in ragione della delicata situazione determinatasi con l'aumento progressivo delle importazioni a dazio zero dai Paesi aderenti all'accordo EBA, Everything But Arms;
ad intervenire a livello europeo per l'attivazione di adeguate misure di controllo e di garanzia in relazione ai modelli di produzione dei Paesi terzi con particolare riguardo al rispetto dei diritti sociali, alla salvaguardia ambientale ed alla sicurezza e salubrità dei prodotti;
ad adottare le iniziative necessarie in sede europea per rendere immediatamente applicabile al riso e ai prodotti a base di riso la normativa sull'etichettatura di origine dei prodotti agroalimentari;
ad assumere iniziative per innovare la normativa nazionale vigente disciplinando sistemi di etichettatura volti ad indicare la varietà del riso e dei prodotti a base di riso e, più in generale, ad identificare tali prodotti attraverso una vera e propria «carta di identità», anche incentivando l'adozione di tecnologie informatiche e telematiche da parte degli operatori;
ad adottare idonee iniziative normative volte ad introdurre sanzioni accessorie affinché siano resi noti e pubblici i riferimenti degli operatori eventualmente coinvolti in pratiche commerciali ingannevoli, fraudolente o scorrette, finalizzate ad immettere sui mercati finti prodotti made in Italy, nonché i dati dei traffici illeciti accertati;
ad avviare un programma di comunicazione, su scala europea ed internazionale, sulla qualità del riso italiano valorizzando le peculiarità di sostenibilità ambientale e di salubrità delle produzioni italiane.
(1-01058)
«Falcone, Lavagno, Taricco, Fiorio, Ferrari, Oliverio, Sani, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cova, Dal Moro, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Tentori, Terrosi, Venittelli, Zanin, Miotto, Amoddio, Scuvera».
Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.
Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-06443 del 23 settembre 2015.
ERRATA CORRIGE
Mozione Simonetti e altri n. 1-01060 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 517 del 9 novembre 2015. Alla pagina 30724, seconda colonna, alla riga quarantacinquesima deve leggersi: «entrato in vigore il 13 dicembre 2014, ha» e non come stampato.
Interrogazione a risposta in Commissione Scuvera n. 5-06603 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 498 del 8 ottobre 2015. Alla pagina 29479, seconda colonna, alla riga settima sostituire la parola: «Pizzardi» con «Piazzardi».