XVII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 608 di lunedì 18 aprile 2016
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI
La seduta comincia alle 14.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 13 aprile 2016.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Bellanova, Bergamini, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Blazina, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Centemero, Antimo Cesaro, Cimbro, Cirielli, Costa, Costantino, D'Alia, D'Uva, Dambruoso, Del Basso De Caro, Dell'Orco, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Fava, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Galati, Garofani, Gelli, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, Kronbichler, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Naccarato, Nicoletti, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Santerini, Scalfarotto, Scotto, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente novantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).
Richiesta di referendum popolare ai sensi dell'articolo 138, secondo comma, della Costituzione (ore 14,05).
PRESIDENTE. Comunico all'Assemblea che il deputato Toninelli, in data odierna, ha presentato una richiesta al fine di dare corso alla procedura per la richiesta di referendum da parte di un quinto dei componenti della Camera dei deputati – prevista dall'articolo 138, secondo comma, della Costituzione e disciplinata dagli articoli 4 e 6 della legge 25 maggio 1970, n. 352 – sul testo di legge costituzionale recante: «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione», approvato dal Senato della Repubblica, in seconda deliberazione – a Pag. 2maggioranza assoluta, inferiore ai due terzi, dei suoi componenti – nella seduta del 20 gennaio 2016 e dalla Camera dei deputati, in seconda deliberazione – a maggioranza assoluta, inferiore ai due terzi, dei suoi componenti – nella seduta del 12 aprile 2016, come comunicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016, ai sensi dell'articolo 3 della legge 25 maggio 1970, n. 352.
Nella richiesta sono indicati, ai sensi dell'articolo 6, secondo comma, della citata legge n. 352 del 1970, come delegati a cura dei quali la richiesta di referendum sarà depositata presso la cancelleria dalla Corte di cassazione, i deputati Roberto Occhiuto, Stefano Quaranta e Cristian Invernizzi.
Come già anticipato ai gruppi per le vie brevi, ai fini degli adempimenti previsti dall'articolo 6, primo comma, della legge n. 352 del 1970, i deputati che intendano sottoscrivere la suddetta richiesta di referendum possono recarsi presso l'aula delle Giunte (Servizio prerogative e immunità, secondo piano, Palazzo dei gruppi), dal lunedì al venerdì, dalle ore 10 alle ore 19.
Una volta raggiunto il quorum costituzionale di un quinto dei componenti della Camera, i fogli recanti le firme saranno consegnati ai deputati delegati, su richiesta degli stessi, ai fini dei successivi adempimenti previsti dalla citata legge n. 352 del 1970.
Discussione della proposta di legge: Pes ed altri: Dichiarazione di monumento nazionale della Casa Museo Gramsci in Ghilarza (A.C. 3450) (ore 14,06).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 3450: Pes ed altri: Dichiarazione di monumento nazionale della Casa Museo Gramsci in Ghilarza.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto inoltre che alla componente politica del gruppo Misto-FARE !-Pri, costituitasi dopo la pubblicazione del contingentamento, sarà attribuito, per la discussione sulle linee generali del provvedimento, un tempo pari a 2 minuti e altrettanto per il seguito dell'esame.
(Discussione sulle linee generali – A.C. 3450)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari del MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Carocci.
MARA CAROCCI, Relatrice. Grazie, Presidente, onorevoli colleghi, Antonio Gramsci fu arrestato, da deputato in carica, l'8 novembre 1926. Questo evento storico, che la memoria comune solitamente trascura, è, invece, molto importante per capire la genesi della proposta di legge che la VII Commissione propone alla Camera.
Come correttamente è stato osservato in sede referente dal collega Carlo Galli, se c’è un caso in cui la dichiarazione di monumento nazionale spetta al Parlamento è proprio questo; occorre la parola di quello stesso Parlamento di cui Gramsci faceva parte, allorquando, in palese violazione dell'immunità parlamentare, venne imprigionato e infilato nel tunnel di disumane privazioni fisiche e spirituali che lo avrebbero portato a morte prematura nel 1937, a soli 46 anni.
L'oggetto della dichiarazione di monumento nazionale è la Casa Museo Gramsci, nella città sarda di Ghilarza, in provincia di Oristano, che appartiene a un ente senza fini di lucro.
Tale dichiarazione riposa su una molteplicità di ragioni storiche, politiche e culturali. Si tratta di un tributo, più che alla memoria, all'esempio che ne può scaturire.Pag. 3
Egli fu un intellettuale a tutto campo; per esempio, fu un promettente e lungimirante studioso di glottologia che volle applicare all'apprendimento il metodo dello strutturalismo linguistico nella convinzione, più che mai attuale, in tempi di massiccia immigrazione, che maggiore è il numero delle lingue apprese, più è facile impararne di nuove. Un uomo della società civile, come ci piace dire oggi, che studiò con enorme sofferenza a causa delle precarie condizioni fisiche, aggravate dalla povertà, che non gli consentiva di nutrirsi, vestirsi e scaldarsi a sufficienza.
Fu un uomo che rinunciò a una tranquilla vita di studioso e padre di famiglia per lottare al fianco degli oppressi; fu condannato dal tribunale speciale, su ordine di Mussolini, con il dichiarato intento di impedire al suo brillante intelletto di funzionare per almeno venti anni.
Il rilievo di Gramsci nel Novecento italiano va quindi ben oltre la dimensione per la quale è specialmente ricordato: uomo politico, fondatore del Partito Comunista d'Italia e antifascista. Proprio per questo, l'opera intellettuale di Gramsci non è patrimonio di un singolo partito politico, ma della storia civile del nostro Paese e della cultura internazionale, come è documentato, del resto, dalla fitta serie di traduzioni nelle principali lingue del mondo, sia delle «Lettere» sia dei «Quaderni dal carcere».
È giusta usanza, quando si tratti di personalità di tale spessore, attribuire un rango specifico e simbolico al luogo fisico dove mossero i primi passi e lasciarono durevoli tracce di affetti. È appunto questo lo scopo della dichiarazione di monumento nazionale. La Casa Museo rappresenta il luogo dove il nostro Paese riconosce il punto di inizio di una vicenda esistenziale che ha lasciato il segno, oltre e al di là della sua durata effettiva. In tempi remoti, luoghi del genere diventavano oggetto di culto; in tempi moderni, un culto laico si sviluppa in relazione al rilievo, al significato e all'eredità della persona. Il legame di Gramsci con la Sardegna e con Ghilarza, in particolare, è uno spesso filo rosso che attraversa in profondità tutta la sua vita e la sua opera. Ghilarza, pur contando poco più di 2.000 abitanti, era un centro vivace dell'alto cagliaritano, aveva scuole, la pretura, la società di mutuo soccorso e il gabinetto di lettura. Qui si conobbero e si sposarono i genitori nel 1883; nell'anno successivo Francesco Gramsci, il padre di Antonio, fu trasferito all'ufficio del registro di Ales e qui, nel 1891, Giuseppina diete alla luce Antonio, il quarto di sette figli. Nel 1897, però, Francesco fu accusato di peculato e sospeso dal servizio, a seguito di una denuncia che aveva come movente ritorsioni politiche. La famiglia, ritrovatasi improvvisamente senza mezzi di sostentamento, tornò a Ghilarza, dove Giuseppina tirò su i sette figli in mezzo a notevoli difficoltà economiche, tanto che Antonio stesso, a soli 12 anni e dopo aver conseguito brillantemente la licenza media, si impiegò anch'egli all'ufficio del registro di Ghilarza. Nel 1904 la vicenda penale di Francesco si concluse ed egli tornò a casa, sicché Antonio poté fare ritorno a scuola, prima, a Santu Lussurgiu, poi, a Cagliari. Riuscì a proseguire gli studi a Torino con una borsa di studio per studenti poveri e meritevoli. Indebolito dai troppi pasti saltati per mancanza di soldi, non ne ebbe per vestirsi, scaldarsi e mangiare, si iscrisse alla facoltà di lettere. Matteo Bartoli, docente di glottologia, lo prese a benvolere. L'università influì molto su di lui, dandogli l'abito – come lui stesso dice – di severa disciplina filologica, il metodo e la passione per la ricerca.
La Casa Gramsci, che qui si propone di dichiarare monumento nazionale, è, pertanto, il luogo delle tribolazioni di una famiglia e di un ambiente entro cui ha preso forma il carattere di un uomo che ha dato al patrimonio politico e culturale del mondo intero un contributo innegabile. Il vincolo di Antonio Gramsci con Ghilarza è, inoltre, testimoniato dalla sua copiosissima produzione epistolare, sia precedente all'arresto, sia successiva. Non è ovviamente questa la sede per un'esegesi completa della presenza di Ghilarza Pag. 4nell’«Epistolario» o nelle «Lettere dal carcere», basterà un esempio per rendere l'idea.
Si tratta della lettera alla madre Giuseppina del 6 giugno del 1927, che così recita: «Carissima mamma, ho ricevuto la tua lettera del 23 maggio. Ti ringrazio perché mi hai scritto a lungo e mi hai mandato tante notizie interessanti. Dovresti sempre scrivermi così e mandarmi sempre tante notizie sulla vita locale, anche se a te non sembrano di grande significato. Per esempio: mi scrivi che a Ghilarza aggregheranno altri 8 comuni; intanto, quali sono ? E poi: che significato ha questa aggregazione e quali conseguenze ? Ci sarà un solo podestà e una condotta municipale, ma le scuole, per esempio, come saranno organizzate ? Lasceranno in ogni attuale comune le prime scuole elementari, oppure i bambini di Narbello o di Domusnovas dovranno ogni giorno venire a Ghilarza anche per la prima classe ? Metteranno un dazio comunale unico ? Le imposte che i ghilarzesi proprietari di terra in questi comuni pagheranno saranno spese nelle singole frazioni o saranno spese per abbellire Ghilarza ? Questa è la questione principale, mi pare, perché nel passato il bilancio comunale di Ghilarza era poverissimo perché i suoi abitanti possedevano nel territorio dei comuni vicini e a questi pagavano la maggior parte delle imposte locali. Ecco di che cosa devi scrivermi, invece di pensare sempre alla mia posizione critica, triste ecc. ecc.».
Vale la pena osservare, altresì, che il legame di Gramsci con Ghilarza e la Sardegna è evidente anche nelle ultime battute della sua vita, dopo che la violenza fascista lo aveva ormai fisicamente sfinito. Tania, la sorella della moglie Giulia, ci dà notizie che, quando era in stato di libertà condizionata presso le cliniche prima di Formia e poi di Roma, espresse la volontà di chiedere il trasferimento in Sardegna in lettere alle di lei sorelle Giulia ed Eugenia. Per questo, il 18 maggio del 1936 Tania scrive a Teresina, la sorella di Antonio, incaricandola di cercare un appartamento da affittare a Santu Lussurgiu e il 1o agosto la sollecita a concludere l'affitto, così che Gramsci possa indicare la dimora nella domanda di trasferimento.
Gramsci, sulla sua volontà di ritirarsi in Sardegna, scrive a Giulia: «Sarebbe l'inizio di un nuovo ciclo della mia vita», mentre prima gli aveva scritto: «Se rientro in Sardegna, tutto un ciclo della mia vita si chiuderà definitivamente». Anche la nipote, Mea Gramsci, testimonia al biografo Giuseppe Fiori che lo zio aveva scritto alla famiglia per chiedere che gli fosse cercato un alloggio a Santu Lussurgiu. Trovata la casa, aspettavano tutti che egli rientrasse da un giorno all'altro, alla scadenza della pena. Una vicina entrerà però in casa e riferirà di aver sentito alla radio della morte di Antonio.
Il vecchio Francesco, nella casa di Ghilarza, gli sopravvivrà meno di un mese. Aggiungo che, conformemente all'articolo 79 del Regolamento della Camera, durante l'esame in sede referente è stato affrontato il tema se l'intervento legislativo fosse necessario. La conclusione è stata affermativa sulla base sia dell'orientamento espresso dal Governo nella seduta del 1o marzo 2016 sia sulla base del precedente attinente alle ville palladiane in Veneto, dichiarate monumento nazionale con legge n. 64 del 2014. A ciò si aggiunga che già la commissione regionale per il patrimonio culturale per la Sardegna, con decreto n. 16 del 26 gennaio 2016, ha dichiarato la Casa Museo Gramsci in Ghilarza bene di interesse storico, culturale e artistico ai sensi dell'articolo 10, commi 1 e 3, lettera d) del codice dei beni culturali.
In definitiva, Presidente, è per questi motivi che, a seguito della seduta del 30 marzo 2016, la VII Commissione ha concluso, con un'ampia condivisione da parte dei gruppi, di riferire favorevolmente sul testo del progetto di legge n. 3450, Pes ed altri, recante dichiarazione di monumento nazionale della Casa Museo Gramsci in Ghilarza.
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.Pag. 5
È iscritta a parlare l'onorevole Pes. Ne ha facoltà.
CATERINA PES. Grazie, Presidente. «La casa dove una volta stavano i Gramsci, di pietra lavica rossastra, a un piano, è nel centro di Ghilarza, gioioso paese a mezza via tra Oristano e Macomer»: così Giuseppe Fiori raccontava casa Gramsci nella celebre biografia che scrisse nel 1966. Un luogo della memoria, di storia, nel quale le vicende personali ed esistenziali di Antonio Gramsci si intrecciarono, negli anni della sua formazione, con quelle della storia del nostro Paese.
Dalla campagna, dall'identità di uno nato nell'isola, con una cultura, quindi, fortemente identitaria, egli giunse ad elaborare un pensiero universale, travalicando il proprio tempo e guardando al presente. Gramsci, appunto, l'italiano più letto e conosciuto al mondo dopo Dante, certamente il cervello più forte, l'uomo di più vasta cultura che io abbia mai conosciuto nel mio cammino, disse di lui, una volta, Sandro Pertini.
In Sardegna, a Ghilarza, Nino, così come lo chiamavano in famiglia, Gramsci trascorse la parte più lunga e duratura della sua breve e tormentata vita, e con la Sardegna e con le sue radici egli mantenne sempre un rapporto molto stretto, e non solo per motivi affettivi. È stato già citato: in una lettera del 1936 alla moglie Julka, quando forse inizia a sentire l'imminenza della fine e lo attraversa il pensiero di ritornarvi, così scrive: «ti ringrazio delle notizie che mi mandi, che tu stia meglio e anche i ragazzi. Io non so cosa scriverti, non so come scriverti, non so neanche cosa farò. Mi pare che, se rientro in Sardegna, tutto un ciclo della mia vita si chiuderà forse definitivamente». Non ne avrà il tempo, perché morirà l'anno dopo. «Tu, Nino, sei stato molto più che un sardo, ma senza la Sardegna è impossibile capirti»: così Eric Hobsbawm, il grande storico inglese autore de Il secolo breve, in un'ipotetica lettera del 2007 gli si rivolse.
Come Emilio Lussu, Gramsci appartenne alla Sardegna profonda, a quel paesaggio ricco di greggi, di uomini, di querce, come ebbe a dire Umberto Cardia, nel quale Gramsci sentì abitare il senso della storia politica e civile di quel popolo che aveva così lungamente vissuto la lotta per la sua peculiare identità. L'isola divenne così l'archetipo di ogni luogo: dall'esperienza di una Sardegna povera e rurale partì un'elaborazione per una riflessione politica universale, travalicando, come ho detto prima, lo spazio e il tempo, a cominciare dalla sua ribellione giovanile, quella che per la prima volta sentì quando a Ghilarza, bambino e scolaro intelligente e curioso, dovette abbandonare la scuola perché troppo povera la sua famiglia, mentre i figli dei ricchi notabili del paese, magari, a volte, vi andavano svogliati.
Divenne socialista con la forza dell'esperienza e della cultura della sua terra, senza mai dimenticare la vita miserabile delle campagne, le ristrettezze e la povertà vissute, il clima culturale e sociale vissuto nell'isola dopo i morti di Buggerru nel 1904, le vittime del Sulcis o i morti di Cagliari nel 1906. Le sue riflessioni sulla questione meridionale si innestarono così con la questione sarda, come ebbero a dire per primi, ma non solo, Togliatti e Gobetti, e si incontrarono con l'esperienza degli anni a Torino, la città con maggiore presenza operaia in Italia, nell'Italia del primo dopoguerra e dell'avvento del fascismo e dell'evoluzione del socialismo in Italia, ma anche nell'Italia dell'epica Rivoluzione d'ottobre.
Più della metà della sua vita Gramsci abitò in Sardegna; il resto, a parte brevi periodi, dunque, fu Torino. Solo la sua casa di Ghilarza, però, come ha scritto Nereide Rudas, storica presidente dell'Istituto Gramsci della Sardegna, fu per lui il luogo del suo vero abitare, dell'avere, del possedere, del suo partecipare, perché abitare è sempre abitare con, è appartenere ad una famiglia, servire una comunità e condividere. Ghilarza fu uno dei più forti fattori di integrazione per i suoi pensieri, per i suoi ricordi e persino per i suoi progetti.
L'abitazione dove Nino visse con la sua famiglia è oggi un piccolo accogliente museo; riconosciuta recentemente come edificio Pag. 6di interesse culturale, è oggi centro di documentazione e di ricerca. Chi viene a visitarla non vi capita certo per caso: Ghilarza, infatti, è il luogo gramsciano per eccellenza. Si ritrovano in questi ambienti atmosfere ed emozioni che raccontano la sua vita attraverso i suoi scritti e le sue lettere. Non si può dimenticare – qui voglio sottolineare – l'instancabile opera delle nipoti, Diddi e Mimma Paulesu, e della loro madre, Teresina Gramsci, nel custodirne la memoria, né l'ostinata opera di tanti intellettuali, artisti ed ex partigiani, che, negli anni, ne hanno fatto un luogo di memoria e insieme di conoscenza; un luogo avvolto da una sacralità semplice. Esercitare la memoria è un diritto e anche un dovere per qualunque società che voglia chiamarsi civile.
Nutrirla è un atto necessario, come lasciare la giusta eredità alle generazioni che verranno, come rivoltare il terreno per la semina. È troppo alto il rischio che in questo tempo veloce, e a volte troppo leggero, il pensiero di quanti hanno fatto la cultura politica del nostro Paese si disperda nel tempo e nello spazio. È come se guardandoci indietro ci riscoprissimo senza riferimenti, senza radici, senza origini.
Lo dobbiamo ad un uomo che in direzione ostinata e contraria scrisse i suoi memorabili Quaderni dal carcere, come fosse questo un modo per sopravvivere, ma che è tornato a noi con l'opera di un intellettuale puro. C’è la sua casa che racchiude come in un focolare domestico la parabola della sua esistenza personale e pubblica, la storia che lui ha lasciato nel luogo che ha abitato e l'eco che rimane per essere sentito da chi entra a vedere dove le cose sono accadute. In questo, e in queste righe, sta il senso del riconoscimento di Casa Gramsci come monumento nazionale, perché appartiene all'Italia intera, perché è il riconoscimento di un luogo che custodisce e testimonia una vicenda nel contempo personale e universale, la storia di un grande italiano che ha dato la vita per la libertà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Simone Valente. Ne ha facoltà.
SIMONE VALENTE. Grazie, Presidente. La proposta di legge in esame consta di un solo articolo contenente la «Dichiarazione di monumento nazionale della Casa Museo Gramsci in Ghilarza». Come premessa è importante premettere che le criticità che andremo a sollevare non vogliono in alcun modo mettere in discussione il personaggio di cui siamo parlando, Antonio Gramsci, la sua importanza storica, che è stata sottolineata anche da alcune colleghe in precedenza, che hanno citato anche peraltro Sandro Pertini, personaggio che personalmente conosco molto bene perché la mia famiglia viene dal paese di Stella San Giovanni, che ha visto nascere e crescere Sandro Pertini; questa è una premessa molto importante.
Mi limiterò solamente a sollevare alcune criticità, alcune tecniche, molto tecniche, che peraltro ho già evidenziato anche in Commissione, e queste criticità si possono sollevare anche avendo un approccio che vada più a fondo di questo testo di legge. Infatti, nel nostro ordinamento non vi è alcuna definizione di monumento nazionale, né tanto meno è rinvenibile una disciplina agli stessi applicabile. Da ciò deriva l'impossibilità di far discendere dalla dichiarazione che si propone alcun effetto giuridico, non ci sarebbe alcun effetto giuridico approvando questo testo di legge. L'unico effetto della proposta sarebbe un mero riconoscimento, un'onorificenza come appunto evidenziato anche nel dossier del Servizio studi. I monumenti nazionali italiani sono stati dichiarati tali per lo più da norme molto risalenti nel tempo e poi dopo queste queste norme non si è più provveduto a creare una disciplina equa e uniforme. Nel vigente quadro normativo non risulta ragionevole la scelta di impegnare le Camere del Parlamento ad adottare un atto normativo dalla portata tanto limitata. Questo è un concetto che spesso solleviamo anche in Commissione cultura. La proposta di legge in esame rientra tra quelle, infatti, considerate «leggi provvedimento». In merito Pag. 7deve segnalarsi che le cosiddette «leggi provvedimento» seppur prevalentemente ammesse nel nostro ordinamento, per l'assenza di una formale riserva di amministrazione, sono oggetto di uno scrutinio stretto di costituzionalità. Dalla giurisprudenza costituzionale si ricava che se non è configurabile in Costituzione una riserva di amministrazione, il legislatore, qualora addotti leggi a contenuto provvedimentale, deve rispettare con particolare rigore il canone della ragionevolezza affinché il ricorso a tale tipo di legislazione non si risolva in una modalità per aggirare i principi di eguaglianza e imparzialità. Altro punto fondamentale è questo che solleviamo spesso soprattutto sull'erogazione a pioggia ad associazioni, enti culturali, istituti, da parte del Ministero. In altri termini, secondo la Corte, la mancata previsione costituzionale di una riserva di amministrazione e la conseguente possibilità per il legislatore di svolgere un'attività a contenuto amministrativo, non può giungere fino a violare l'eguaglianza tra i cittadini. Ne consegue, continua la Corte, che qualora il legislatore ponga in essere un'attività a contenuto particolare e concreto, devono risultare i criteri ai quali sono ispirate le scelte e le relative modalità di attuazione. In base alle considerazioni riportate la Corte dichiarò l'illegittimità di una norma per violazione dell'articolo 3 della Costituzione, in quanto la norma denunciata si risolve in un percorso privilegiato per la distribuzione di contributi in denaro. Il caso non appare così dissimile da una legge che è già stata approvata nella VII Commissione alla Camera, la legge n. 64 del 2014, con cui si è dichiarato monumento nazionale la Basilica Palladiana di Vicenza, guarda caso monumento situato proprio nella regione da cui proveniva l'ex presidente Giancarlo Galan. In seguito a questa approvazione si sono susseguite sulla stampa le dichiarazioni dell'assessore sull'importanza del riconoscimento come una possibilità di drenare fondi pubblici, per finanziare questo monumento. Quindi, non vorremmo che, anche in questo caso, si prendesse una via privilegiata per finanziare un sito culturale in Italia piuttosto che un altro. Questo è un punto molto importante che abbiamo sempre criticato e sempre denunciato. La richiesta che continuiamo a fare, e che sta anche trovando applicazione in un testo di legge che a breve presenteremo, è quella di individuare dei criteri oggettivi con cui il Ministero dei beni culturali ogni anno finanzi associazioni, istituti culturali e fondazioni.
Un'altra proposta che si potrebbe fare è quella invece di definire esattamente cosa si intende per monumento nazionale e quali peculiarità questi monumenti debbano avere.
Queste sono le criticità che abbiamo sollevato in Commissione e che solleviamo qua, per cui sembra chiaro che questa proposta di legge, secondo noi, così come è, non possa andare avanti.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Malpezzi. Ne ha facoltà.
SIMONA FLAVIA MALPEZZI. Grazie, Presidente. Oggi noi siamo qui a ribadire la volontà di trasformare la Casa Museo di Antonio Gramsci in monumento nazionale. Ora questo è il momento del dibattito e del confronto, in cui raccontare, anche negli interventi delle colleghe precedenti, qualora ce ne fosse ancora bisogno, sottolineare, l'importanza della figura di Gramsci. Forse sarebbe il caso in questo momento di ricordare anche che cosa intendiamo oggi, non tanto per monumento nazionale (l'ha spiegato prima il collega Valente, si tratta solo ed esclusivamente forse di una onorificenza oltretutto, lo ribadisco, a costo zero), ma su quale è l'azione che ha la casa natale di Gramsci, che è quella di casa museo. Che cosa sono le case museo ? Ce ne sono tante in Italia, e per fortuna, e sono case che di norma raccolgono, perché sono dei luoghi tali, i luoghi, gli oggetti, i dettagli che hanno contribuito e costellato una parte della vita, non tutta, di un personaggio particolarmente significativo per la cultura italiana. Dicevo, non semplicemente gli oggetti proprio di stretta appartenenza, perché spesso questi luoghi hanno visto Pag. 8succedersi altre famiglie, altre storie, ma hanno mantenuto in sé quella che poteva essere la loro identità. Quindi, la casa museo è il luogo che mantiene in sé, il significato simbolico di monumento nel senso più vero della parola, monumento degno di memoria, che non è solo ed esclusivamente il memoriale, ma è un luogo dove la memoria lì può essere rinnovata. È una testimonianza unica e preziosa che resiste al trascorrere del tempo, ma che anche lo racconta, lo narra, ne è sempre presente, in una presenza che è continua e costante. Io non so se qualcuno qui ha letto quel bellissimo romanzo di Sebastiano Vassalli Cuore di pietra, in cui questo grandissimo romanziere racconta il passaggio di una società, e tutta una vicenda storica, attraverso le evoluzioni di una casa, dal momento del massimo splendore, al momento della decadenza; la casa, quelle pietre, come simbolo, come simbolo e nello stesso tempo come testimonianza.
Ma, oltre a questo, c’è di più: le case museo, e in modo particolare la Casa di Gramsci, rappresentano lo spirito del luogo. Gramsci sarebbe stato lo stesso se fosse nato in un altro luogo ? Qui c’è stata raccontata, seppur brevemente, quella parte di biografia strettamente legata a quella casa; e allora ci viene da chiederci se il suo attaccamento al riscatto sociale, al principio saldo dell'educazione del popolo, non nasca forse in quei primi anni di vita, vissuti proprio in quella casa, in quel particolare contesto, in quel momento. Perché è vero, è a Torino che Gramsci dà forma e vita, incanala quelle riflessioni che nascono però proprio nel cuore della Sardegna, anche in quella casa; perché se è vero che tutta la sua produzione è legata ai Quaderni del carcere, è pur vero che la sua vita fu completamente e sempre laboratorio di idee continue, e non possiamo non pensare che quelle idee, elaborate, riviste, rilette, partano da lì, da quel patrimonio che oggi non è solamente italiano, ma è fortunatamente di tutti, proprio a partire anche da quella sua concezione di vita come partecipazione politica: una politica vissuta integralmente.
Gramsci rinnovatore, attento ai cambiamenti della società, tanto da non aver paura anche in anni bui a parlare di un nuovo progetto politico, che fosse in grado davvero, in un momento in cui la partecipazione non c'era, di coinvolgere tutti: una nuova progettualità politica che nasce dall'acquisizione dell'autonomia intellettuale come premessa necessaria alla politica, come umanesimo integrale. Quindi una casa che testimonia, una casa che racconta, e ci racconta di quei semi che poi si sono trasformati in frutti negli anni successivi.
Oggi le case museo rientrano sempre più in quella nozione di patrimonio immateriale, perché l'elemento caratterizzante non è tanto la collezione, ma proprio il valore simbolico ed evocativo di luogo natale, diventando una sorta di programma educativo e di comunicazione culturale grazie alla convergenza tra patrimonio immateriale, luogo fisico, i diversi contenuti digitali, i siti carichi di valori e significati simbolici, ambienti, paesaggi. In fondo lo diceva proprio Gramsci, quando rifletteva sul folklore come rivelatore di quel senso comune popolare: bisogna prima conoscerlo in tutte le sue espressioni, perché frutto di terra, di radici, di storia, di tradizioni che vanno studiate, respirate, vissute. Si può conoscere Gramsci senza respirare l'aria che Gramsci ha respirato lì, nelle sue origini ?
Luoghi come la casa natale di Gramsci – ma potremmo dire di altri, come De Gasperi, Paolo VI, Sturzo e altri fondatori della coscienza civile italiana – possono diventare, devono diventare, molti di loro lo stanno diventando, anche creando una rete, nodi di una rete davvero divulgativa, dove la finalità didattica esce dagli schemi dell'educazione formale, fornendo esperienze interessanti e nuove per tutti. E perché questo avvenga, però, sono necessari dei segnali forti: è necessario incoraggiare un percorso evolutivo, che metta in condizioni queste istituzioni di operare in modo nuovo; forse anche un riconoscimento, e un riconoscimento – lo ricordiamo Pag. 9– che è a costo zero, ma che le riconosce come patrimonio di tutti, come patrimonio nazionale.
Vede, Presidente, io ho sentito dire che bisogna utilizzare il canone della ragionevolezza, ed è vero. Ma se non è ragionevole dire che ciò che è appartenuto a Gramsci deve appartenere alla nazione intera, e deve essere riconosciuto come tale, io preferisco a questo punto essere considerata irragionevole.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carlo Galli. Ne ha facoltà.
CARLO GALLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 26 gennaio di quest'anno la Casa Museo di Antonio Gramsci in Ghilarza è stata dichiarata della Commissione regionale per il patrimonio culturale della Sardegna di interesse culturale storico-artistico, ai sensi degli articoli 10 e 13 del codice dei beni culturali. Dunque la Casa è un bene culturale, con gli obblighi e con i diritti per i proprietari che ne conseguono. La dichiarazione di monumento nazionale è altra cosa, e dev'essere attuata attraverso una fonte legislativa di rango primario, i cui effetti giuridici forse sono non ancora ben definiti (ce lo rammenta anche una circolare del Ministero del 5 giugno 2012), ma in ogni caso – si è detto, e giustamente – non devono passare attraverso un procedimento irragionevole.
Ora, si tratta di capire perché mai non è irragionevole che la Casa Museo di Antonio Gramsci venga dichiarata monumento nazionale: una dichiarazione che, se avverrà in questi giorni, rammento prima di tutto a me stesso, potrebbe essere considerata l'inizio delle celebrazioni dell'ottantesimo anniversario della morte, che cadrà il 27 aprile del prossimo anno.
Monumento, dunque: monumento significa etimologicamente memoria, ricordo, in senso tanto oggettivo quanto soggettivo. Monumento è un manufatto che reca la memoria, qualche cosa che è degno di essere ricordato; e la memoria è evidentemente una nozione che ha a che fare con un soggetto che ricorda. In questo caso il soggetto che ricorda è la nazione: monumento nazionale. La nazione, italiana in questo caso, ricorda un personaggio che l'ha fatta grande; non soltanto perché egli stesso era grande: naturalmente Gramsci è stato grande, insieme a Dante e a Machiavelli è l'autore italiano più letto, tradotto e commentato al mondo, su di lui c’è una bibliografia che al momento è probabilmente intorno ai 20.000 titoli; ma è stato grande anche perché ha dato modo all'Italia, alla nazione italiana, di pensare a se stessa: Gramsci è stato uno dei mediatori dell'autocoscienza nazionale. Il suo pensiero è una cultura storico-politica che si è formata attraverso la riflessione che tutti conosciamo, su Machiavelli, sul Risorgimento, sul Meridione, sul fascismo, sul ruolo degli intellettuali. Una cultura storico-politica, certamente una fra le possibili; e tuttavia una cultura storico-politica di straordinaria importanza, grazie alla quale l'Italia ha appreso ad essere se stessa.
Gramsci è un monumento, ma non è una statua: voglio dire che il suo pensiero non è immobile, pietrificato, è un pensiero vivente. Lo dimostra il fatto che è stato, ed è conteso, conteso da mille scuole di pensiero; che la sua lunga, elaborata, drammatica riflessione filosofico-politica, storico-politica, economico-politica, è stata ed è terreno centrale di confronto e di scontro in merito al rapporto fra politica e cultura, fra teoria e prassi, fra strutture e soggettività
Gramsci è stato presentato alla nazione, che non lo aveva ancora imparato a conoscere, negli anni immediatamente seguenti la fine della seconda guerra mondiale, come il grande intellettuale politico nazional-democratico sulla linea Spaventa-De Sanctis-Labriola-Gramsci; come padre di un marxismo italiano, di un marxismo anti-dogmatico che si voleva porre come espressione ultima di una vicenda nazionale che la continuava e la portava a compimento; come il grande teorico e pratico della via nazionale al socialismo: come colui che operava la traduzione – come si espresse Togliatti –, che convertiva in italiano gli insegnamenti della rivoluzione russa, adattandoli all'Italia, facendo sì che l'Italia stessa rivoluzionasse Pag. 10sé stessa, che sostituiva dunque la classe con la nazione. È stato però anche presentato come il grande leninista, cioè non tanto come il grande intellettuale ma come il grande politico, come l'uomo che ha fondato il partito dei lavoratori italiani; ma è stato presentato anche come il grande consiliarista di sinistra, cioè come il teorico di una politica che nasce all'interno dei processi produttivi e che non ha bisogno di organizzarsi in partito, dato che dentro il processo produttivo esprime da sé la potenza della politica.
È stato presentato poi da Norberto Bobbio come colui che ha superato la rigida distinzione meccanica fra struttura e sovrastruttura, attraverso il concetto di egemonia e di società civile. È stato criticato, come ancora troppo filosofo, dai teorici dell'operaismo; è stato presentato, invece, come filosofo – in questo stava la sua grandezza – durante di anni Settanta, Ottanta e Novanta, come il filosofo gentiliano, secondo la lettura di Del Noce, come un filosofo capace di relativizzare e storicizzare lo stesso storicismo; addirittura con un filosofo liberaldemocratico, adatto alla nostra epoca, che si voleva e che si presumeva post-statuale; come l'uomo del mercato o al contrario come colui che ribadiva il primato della politica.
Ancora oggi Gramsci è oggetto di studio, non soltanto perché sono state recentemente organizzate nuove edizioni anastatiche dei quaderni; non soltanto perché è in corso l'edizione nazionale degli scritti, ma perché il suo pensiero oggi è il veicolo di una buona parte del pensiero critico a livello mondiale. Gramsci oggi giunge quasi a sostituire la stessa fonte marxista del pensiero critico; la sua enorme diffusione nel mondo anglofono, attraverso i cultural studies, lo ha reso un patrimonio mondiale della cultura politica. Gramsci non muore con la scomparsa del Partito Comunista ed è autore e pensatore di tutti gli italiani e di tutte le Italie. Ogni tempo ha il suo Gramsci o può averlo, se si impegna a pensare la politica in modo coerente, alto e serio.
Il pensiero di Gramsci è un organismo vivente, mobile, ancora interpretabile grazie al suo spessore e alla sua complessità. È ancora traducibile dalla grande riflessione intorno al XX secolo a una serie di intuizione relative al XXI. Non è necessariamente, quello di Gramsci, lo strumento privilegiato per comprendere la politica di oggi, ma è certamente, come pensiero e come azione, uno fra i più grandi esempi di esercizio impegnato, di un rapporto costante, di un rapporto imprescindibile fra la cultura e il sapere e l'azione politica. Non vi è alcun bisogno di essere gramsciani in senso ideologico per trovare ragionevole questo provvedimento di legge che fa della Casa Museo un monumento nazionale. È giusto, è ragionevole, è necessario che una nazione rifletta su se stessa attraverso la riflessione su ciò che vi è di vivente dei suoi grandi uomini. È giusto, ragionevole e necessario che una nazione si ricordi di se stessa, faccia memoria di se stessa; ed è giusto che la politica, cioè noi, il Parlamento italiano, sia promotrice di questa riflessione e sia promotrice anche di un'azione politica che, benché non sia, come voleva Gramsci, la sostanza della filosofia della storia, si sforzi almeno di essere qualche cosa di più di un disinvolto pragmatismo che ogni tanto opera qualche generico riferimento a valori (Applausi dei deputati dei gruppi Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà e Partito Democratico).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche della relatrice e del Governo – A.C. 3450)
PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice rinuncia alla replica.
Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo.
DORINA BIANCHI, Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo. Presidente, dico soltanto una cosa velocemente, cioè che il codice dei beni culturali prevede che la dichiarazione di Pag. 11monumento nazionale avvenga con un provvedimento tipico ma non ne specifica la natura, quindi non ci sono motivi ostativi nel procedere a questo provvedimento. Tra l'altro, vorrei ricordare che sia la I Commissione (Affari costituzionali) sia la V (Bilancio) hanno espresso parere favorevole. Però, naturalmente abbiamo ascoltato con interesse anche le osservazioni che ci sono state fatte dai colleghi, e sicuramente il Ministero, da questo punto di vista, si impegnerà a rendere il più chiaro possibile quello che è il codice dei beni culturali, quindi ringrazio anche i colleghi che hanno mosso delle critiche.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione congiunta del disegno di legge e del documento: Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2015 (A.C. 3540-A); Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2015 (Doc. LXXXVII, n. 4) (ore 14,50).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta del disegno di legge n. 3540-A: Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2015; e della Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2015 (Doc. LXXXVII, n. 4).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 13 aprile 2016 (Vedi resoconto stenografico).
(Discussione congiunta sulle linee generali – A.C. 3540-A e Doc. LXXXVII, n. 4)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, presidente della Commissione Politiche dell'Unione europea, sul disegno di legge di delegazione europea 2015, onorevole Michele Bordo.
MICHELE BORDO, Relatore sul disegno di legge n. 3540-A. Signor Presidente, colleghi, per la quarta volta in questa legislatura la Camera dei Deputati affronta l'esame della legge di delegazione europea, che insieme alla legge europea rappresenta uno degli strumenti legislativi più importanti per assicurare il periodico adeguamento del nostro ordinamento a quello dell'Unione europea. Vorrei fare osservare che nei tre anni successivi all'approvazione della legge n. 234, il Parlamento italiano ha proceduto all'approvazione di sei leggi ordinarie di attuazione del diritto europeo. Nell'attuale legislatura abbiamo accelerato il percorso di recepimento della normativa dell'Unione europea, superando gli ostacoli che in passato in alcuni casi avevano rallentato e reso particolarmente arduo e difficile l'iter di adeguamento delle nostre norme alla legislazione comunitaria.
In questa legislatura il forte impegno del Governo e del Parlamento per giungere ad una rapida approvazione delle leggi di delegazione europea ha consentito di garantire, ad oggi, l'attuazione in via legislativa di oltre cento direttive (sono 117 le deleghe conferite al Governo, di cui oltre 70 già attuate); ad esse andranno aggiunte le 14 direttive che formano l'oggetto del provvedimento oggi in discussione. Siamo di fronte ad una vera e propria inversione di tendenza rispetto al passato. La rapida approvazione delle leggi europee, infatti, non solo ha ridato credibilità al nostro Paese a livello comunitario, ma ha anche Pag. 12permesso la chiusura di decine di procedure di infrazione aperte nei confronti dell'Italia.
Prima di procedere all'illustrazione dei contenuti del disegno di legge di delegazione europea segnalo che nei giorni scorsi al Senato si è concluso anche l'esame, in Commissione, del disegno di legge europea 2015, a conferma della sostanziale contestualità dell'esame dei due provvedimenti da parte delle Camere. Il disegno di legge di delegazione europea per il 2015, come previsto dalla cosiddetta sessione comunitaria, è stato sottoposto all'esame in sede consultiva delle Commissioni parlamentari sulla base della rispettiva competenza. Nel corso dell'esame in Commissione il testo originariamente presentato dal Governo è stato modificato e ampliato, sia con riguardo agli articoli del disegno di legge, che sono passati da quattordici a diciannove, sia in relazione al numero di direttive e di atti legislativi dell'Unione europea oggetto di delega (da otto a quattordici direttive, più una decisione quadro).
A seguito delle modifiche e delle integrazioni apportate nel corso dell'istruttoria in sede referente in Commissione, il contenuto iniziale del provvedimento è stato ampliato con riferimento a specifiche materie. L'articolato reca disposizioni di delega e relativi principi e criteri direttivi riguardanti il recepimento di tredici direttive, una raccomandazione, una decisione quadro, nonché l'adeguamento della normativa nazionale a dodici regolamenti europei. Il Governo è stato inoltre autorizzato al recepimento di una direttiva in via regolamentare in materia di equipaggiamento marittimo. Le novità introdotte consistono sostanzialmente nella previsione dei principi e criteri specifici di delega per il recepimento di direttive e nell'inserimento di ulteriori direttive ed atti dell'Unione europea da attuare nell'ordinamento nazionale.
In particolare, in materia ambientale sono stati fissati principi e criteri specifici di delega per il recepimento di tre direttive: la direttiva sulla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero; la direttiva sulla qualità della benzina e dei combustibili diesel; la direttiva sulle emissioni in atmosfera di inquinanti originati da impianti di combustione medi.
In ambito fiscale-finanziario è stato soppresso l'originario articolo 12, relativo alla direttiva sui contratti di credito ai consumatori su beni immobili residenziali, in quanto la delega legislativa conferita con la legge di delegazione europea 2014 è stata già esercitata dal Governo. Segnalo, inoltre, che il decreto legislativo relativo è in corso di pubblicazione. Sono state inoltre inserite due nuove direttive: la direttiva relativa allo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale e la direttiva riguardante la distribuzione assicurativa.
Nel settore della giustizia è stata conferita al Governo la delega per l'attuazione della decisione quadro relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato, mentre in tema di cultura sono stati introdotti principi e criteri specifici di delega per il recepimento della direttiva sulla gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per uso online nel mercato interno, che era già inserita nel disegno di legge originario. Infine, il Governo è stato autorizzato a recepire in via regolamentare la direttiva sull'equipaggiamento marittimo, mentre è stata inserita in allegato A la direttiva in materia di polizia sanitaria.
Tra le direttive che formano l'oggetto del disegno di legge segnalo che otto direttive risultano pubblicate nel 2015 e tre fanno riferimento al 2014. Una soltanto è stata pubblicata nel 2016 mentre altre due rispettivamente nel 2009 e il 2011, anche se non prevedevano un termine di recepimento. Con riferimento ai termini previsti per il recepimento, evidenzio che per cinque direttive il termine scadrà entro la fine dell'anno in corso; quattro direttive dovranno essere recepite nel corso del 2017, mentre una andrà recepita nel 2018. Segnalo, invece, che è da Pag. 13poco giunto a scadenza il termine di recepimento della direttiva in materia di diritto d'autore e diritti connessi.
Ricordo che, ai sensi dell'articolo 32 della legge n. 234 del 2012, il disegno di legge di delegazione europea 2015 stabilisce specifici principi e criteri direttivi cui il Governo deve attenersi nell'esercizio della delega, in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare e a quelli generali di delega. In particolare, il provvedimento, oltre a conferire deleghe, intende orientare l'attività normativa del Governo, fissando specifici principi e criteri direttivi cui l'Esecutivo dovrà attenersi nel delineare i contenuti degli atti di recepimento della disciplina europea. Tali orientamenti sono stati fissati con riferimento a otto direttive, che riguardano i seguenti settori normativi: riduzione dell'utilizzo di borse di plastica; etichettatura dei prodotti alimentari; tutela consolare dei cittadini dell'Unione non rappresentati nei Paesi terzi; comparabilità delle spese al trasferimento e all'accesso al conto di pagamento; prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio; qualità della benzina e dei combustibili diesel; emissioni da impianti di combustione medi e, come ricordato appunto, la direttiva relativa alla gestione collettiva dei diritti d'autore.
Ricordo infine – e concludo – che negli allegati A e B del disegno di legge risultano inserite dodici direttive da recepire in via legislativa e che le Camere saranno chiamate ad esprimere un parere parlamentare al Governo sugli schemi di decreto legislativo limitatamente alle dieci direttive dell'allegato B.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore sulla Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2015, onorevole Bergonzi.
MARCO BERGONZI, Relatore sul Doc. LXXXVII, n. 4. Grazie, Presidente. Sulla relazione consuntiva io farò esercizio di sintesi, essendo il documento in distribuzione (la relazione della XIV Commissione è a disposizione), e tratteggerò, diciamo, quelli che sono alcuni aspetti qualificanti. Vale la pena sottolineare che la relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea è il principale strumento per l'esercizio della funzione di controllo ex post del Parlamento sulla condotta del Governo nelle sedi decisionali dell'Unione europea. In particolare, dovrebbe consentire di verificare se e in quale misura il Governo si sia attenuto all'obbligo di rappresentare a livello europeo una posizione coerente con gli indirizzi espressi dalle Camere. Inoltre, dovrebbe recare un rendiconto dettagliato delle attività svolte e delle posizioni assunte dall'Italia nell'anno precedente. Il documento, in particolare, deve indicare gli sviluppi del processo di integrazione europea alle questioni istituzionali, alla politica estera e di sicurezza comune nonché alle relazioni esterne dell'Unione europea; poi, la partecipazione dell'Italia al processo normativo e l'attuazione in Italia delle politiche di coesione economica, sociale e territoriale, l'andamento dei flussi finanziari verso l'Italia e il loro utilizzo, il seguito dato alle iniziative assunte in relazione ai pareri, alle osservazioni e agli atti di indirizzo delle Camere.
La relazione 2015 si articola in cinque parti, dove sono illustrate le realizzazioni delle due Presidenze semestrali del Consiglio UE, Lettonia e Lussemburgo, e le questioni istituzionali, con particolare riferimento al negoziato UE-Regno Unito, la cosiddetta «Brexit», ai rapporti con le istituzioni dell'Unione europea, le politiche per il mercato unico e la competitività, il mercato unico digitale, l'energia e il mercato dei capitali. La relazione si focalizza poi sull'azione governativa in materia di politica estera e di sicurezza comune nonché in materia di allargamento. La parte quarta concerne, poi, l'attività di comunicazione e di informazione sull'attività dell'Unione europea, dà conto delle iniziative assunte in materia di comunicazione sulle attività dell'Unione e illustra le attività svolte dal Governo nella fase di formazione della posizione italiana su progetti e atti dell'Unione europea.
La relazione consuntiva 2015 presenta una struttura complessivamente coerente Pag. 14con le previsioni legislative. Sono inoltre richiamati gli atti di indirizzo adottati da Camera e Senato con riferimento a specifici progetti o questioni. La relazione è più completa delle precedenti e agevola la verifica della coerenza complessiva dell'azione europea del Governo. Possiamo considerarla una positiva evoluzione delle relazioni presentate dal Governo negli ultimi anni, sia per quanto attiene alla tempestività della presentazione, sia per quanto riguarda l'esaustività dei contenuti. Consente, quindi, di operare una valutazione accurata dell'azione condotta dal nostro Paese a livello europeo nel 2015. A tale analisi offrono un contributo i pareri forniti dalle Commissioni di settore che hanno esaminato la relazione per gli ambiti di rispettiva competenza, evidenziando l'esito del dibattito in alcuni specifici temi: in tema di politiche economiche, di politiche culturali, di politica estera. È stato altresì espresso apprezzamento per l'impegno dell'Italia diretto a favorire la stabilizzazione e la democratizzazione del proprio vicinato strategico, a promuovere un approccio integrato per i fenomeni migratori in atto nonché a proseguire l'azione italiana in tema di cooperazione allo sviluppo e di aiuto umanitario. Vi è, poi, attenzione alla politica di sicurezza e di difesa comune, in merito al progetto di integrazione europea e per le politiche istituzionali nonché attenzione a ridurre ancora il numero di infrazioni comunitarie pendenti nei confronti dell'Italia.
In conclusione, Presidente, con riferimento all'esame del documento, la XIV Commissione ha affrontato lo specifico tema delle politiche di diffusione della conoscenza della struttura e del funzionamento delle istituzioni europee, come anche della storia comparata dei Paesi dell'Unione. In tal senso si è ritenuto opportuno invitare il Governo, poiché solo un'adeguata e costante attenzione su questi aspetti, cui peraltro è dedicato il Titolo XIII del Trattato sul funzionamento dell'UE, può consentire di contrastare le spinte populiste che rischiano di mettere in pericolo il progetto europeo.
La XIV Commissione auspica pertanto che il Governo possa farsi promotore presso le istituzioni europee di specifiche azioni mirate ad incentivare la formazione della coscienza e della cittadinanza europea e, sempre con riguardo al tema della cittadinanza comune, è stata inoltre sottolineata la necessità di destinare adeguate risorse al programma Erasmus nella convinzione che costituisca uno strumento culturale fondamentale per lo sviluppo dell'identità europea.
PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare l'onorevole Kronbichler. Ne ha facoltà.
FLORIAN KRONBICHLER. Grazie, Presidente. Gentile signor Viceministro, cari colleghi, il disegno di legge in discussione trova fondamento nella legge n. 234 del 2012. Negli articoli 29 e 30 di detta legge si definisce come la legge di delegazione europea sia l'atto normativo deputato, come ascoltato già dal presidente della Commissione, a conferire al Governo la delega legislativa per dare attuazione alle direttive europee e alle decisioni quadro nonché agli obblighi direttamente riconducibili al recepimento degli atti legislativi europei. Faccio appello a tutti i colleghi affinché riflettano su quale sia stata fino ad oggi la ragione principale per la quale questo Parlamento ha ideato la legge di delegazione europea: è pensata per applicare meglio – dico «meglio» – le direttive comunitarie. Il Parlamento le dovrebbe considerare quali norme condivise che conseguentemente contribuirebbero ad un miglioramento dello spirito europeista dell'Italia e nell'intera Unione europea. Questo sarebbe stato lo spirito della legge di delegazione. Poi sappiamo – dobbiamo essere sinceri – che la approviamo piuttosto per evitare delle sanzioni europee; lo facciamo per evitare di pagare un prezzo per non aver applicato direttive così come è successo negli anni passati che, comunque, anche se purtroppo marginalmente, con un ruolo certo non di Pag. 15primo piano, abbiamo concorso a creare in fase ascendente e non certamente attraverso la libera volontà popolare. Conferiamo al Governo deleghe importanti, alcune delle quali più controverse come l'articolo 6 che riguarda il problema del dual use e altre decisamente attese come l'articolo 4 che concerne una migliore informazione nelle etichette per i prodotti alimentari. Sono argomenti che le Commissioni hanno affrontato ma mi chiedo se hanno davvero approfondito le questioni o se il recepimento sia invece un atto vissuto più passivamente dal Parlamento italiano, quasi fosse una tirata d'orecchie al nostro ordinamento e noi, vergognandoci anche un po’, ce le prendiamo e ci sbrighiamo a liberarcene. Dico questo perché dovremmo affrontare gli emendamenti alla legge di delegazione europea con la laicità delle questioni toccate e non con preconcetti schieramenti politici.
Mi permetto di fare alcuni esempi forse addirittura contraddittori fra loro. L'articolo 3 prevede una delega per l'adozione di uno o più decreti legislativi per l'attuazione del regolamento n. 1143 del 2014 volto a prevenire e gestire l'introduzione e la diffusione di specie esotiche invasive tra i principi e i criteri a cui si dovranno attenere i futuri decreti legislativi. Noi riteniamo che ne dovremmo introdurre altri due: primo che venga sviluppato e applicato un controllo incruento e della fertilità delle specie destinatarie delle misure di controllo ed eradicazione e, secondo, che vengano sviluppate e applicate azioni volte a ridurre al minimo l'impatto sulle specie non destinatarie di misure di controllo ed eradicazione. A tal fine, segnalo che nelle premesse dello stesso regolamento n. 1143 del 2014, al punto 25, si dice (cito): «È opportuno prendere in considerazione metodi non letali e tutte le azioni adottate dovrebbero ridurre al minimo l'impatto sulle specie non destinatarie di misure».
Tutt'altro tenore hanno invece le riflessioni sull'articolo 6 che reca la delega al Governo per l'adozione di un decreto legislativo che provveda a riordinare e semplificare le procedure di autorizzazione all'esportazione di prodotti e di tecnologie a duplice uso – dual use – e ad applicare le sanzioni in materia di embarghi commerciali nonché per tutte le operazioni di esportazione di materiali proliferanti. Noi proponiamo che lo schema di decreto legislativo corredato di dettagliata relazione tecnica sia trasmesso alle Camere e alle Commissioni competenti per materia e profili finanziari affinché esse possano esprimere pareri da rendere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Le Commissioni – questa è la nostra proposta – dovrebbero poter chiedere al Presidente della rispettiva Camera di prorogare di venti giorni il termine per esprimere il parere qualora ciò si renda necessario per la complessità o la delicatezza della materia e, nel caso in cui la proroga sia concessa, il termine per l'emanazione del decreto legislativo sarà prorogato di venti giorni. Decorso il termine previsto per l'espressione del parere o quello prorogato, il decreto potrà essere comunque adottato. Il Governo, qualora non intendesse conformarsi ai pareri parlamentari, trasmetterà nuovamente il testo alle Camere con le sue osservazioni. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia saranno poi espressi entro il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, il decreto sarà comunque adottato.
Vorremmo anche espungere qualsiasi riferimento nel testo al principio della semplificazione delle procedure di autorizzazione all'esportazione di prodotti e tecnologie a duplice uso. Una considerazione a parte merita il regime sanzionatorio applicabile alle violazioni in materia di cosiddetti prodotti e tecnologie a duplice uso, il commercio di determinati merci che potrebbero essere utilizzate per la pena di morte, per la tortura, specialmente attuale, per dir così, nell'ambito della discussione anche sul caso Regeni, nonché per ogni tipo di operazione di esportazione dei materiali proliferanti. Il criterio direttivo di cui alla lettera f) precisa che tali sanzioni devono essere «efficaci, proporzionate e dissuasive». Noi proponiamo di eliminare le parole «proporzionate Pag. 16e dissuasive» perché le misure in questo caso devono essere solo efficaci.
Infine l'articolo 8 prevede una delega per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento n. 305 del 2011 che fissa condizioni per la commercializzazione dei prodotti da costruzione. Tra i principi e i criteri direttivi a cui si dovrà attenere il futuro decreto legislativo aggiungiamo quello di individuare criteri e modalità di favore per l'utilizzo di materiali ecosostenibili secondo i criteri della bioedilizia e, in particolare, per materiali biocompatibili certificati. Peraltro proprio l'allegato 1 del suddetto regolamento dell'Unione europea fa riferimento all'uso sostenibile delle risorse naturali e all'uso nelle opere di costruzione di materie prime e secondarie ecologicamente compatibili, quindi dei combustibili.
Presidente, concludendo noi di SEL-Sinistra italiana lavoriamo perché l'Europa ci sia e perché sia più forte e più concreta. Noi, per parte nostra, e il Parlamento per tutti introduciamo quelle condizioni che servono affinché quelle norme siano pienamente a sostegno delle popolazioni di tutti gli Stati membri e del nostro in specie e in primis.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bonomo. Ne ha facoltà.
FRANCESCA BONOMO. Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, onorevoli colleghi, l'Assemblea della Camera svolge oggi la discussione sulle linee generali sulla relazione consultiva della partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2015 e sul disegno di legge di delegazione europea 2015. Come ben illustrato dai due relatori, si tratta di due provvedimenti molto articolati che investono tantissimi temi. Per questo mi limiterò a dare una visione di insieme e a richiamare quelli che ritengo essere gli aspetti più importanti, in particolare quelli oggetto di un significativo lavoro della Commissione politiche dell'Unione europea.
Quanto al disegno di legge di delegazione, ricordo, innanzitutto, che quella in esame è la quarta legge di delegazione europea che il Parlamento esamina nell'ultimo biennio, confermando l'impegno assunto dal Governo e dalle Camere di procedere con un ritmo sostenuto nel recepimento della normativa dell'Unione. Il risultato di questo sforzo è il calo del numero delle procedure di infrazione a carico dell'Italia, con i conseguenti benefici derivanti da un adeguamento più tempestivo alla normativa europea.
Il disegno di legge che siamo chiamati ad esaminare si compone di quattordici articoli e di due allegati ed è stato in parte modificato dagli emendamenti approvati dalle Commissioni di merito. Gli allegati A e B contengono l'elenco delle direttive da recepire con decreto legislativo ed elencano, rispettivamente, uno una direttiva e l'altro dieci direttive. Nell'articolato, invece, il disegno di legge stabilisce specifici principi e criteri direttivi cui il Governo dovrà attenersi nell'esercizio della delega, che si aggiungono a quelli contenuti nelle direttive da attuare e ai principi generali di delega per l'attuazione del diritto dell'Unione europea, richiamati all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012.
Il lavoro svolto dalle Commissioni, in particolare dalla XIV in sede referente, non ha stravolto l'articolato del disegno di legge, ma ne ha arricchito il contenuto in vista di una più completa operazione di recepimento della normativa europea. Si provvede, così, a dettare criteri specifici, ad esempio, per la direttiva UE n. 1513 del 2015, che modifica la direttiva del 1998, relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel, nonché per la direttiva n. 28 del 2009, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, con l'obiettivo di massimizzare la produzione di biocarburanti e di far sì che questi concorrano al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. Penso, inoltre, all'introduzione di principi di delega per l'attuazione della decisione quadro GAI, relativa alla lotta contro la corruzione nel settore privato, tema importantissimo, sul quale si richiede al Governo di disciplinare specifiche forme di responsabilità per chi compie Pag. 17atti corruttivi nell'esercizio di funzioni dirigenziali o di controllo presso società o enti privati.
Tra le molte disposizioni di rilievo contenute nel provvedimento, voglio sottolineare poi l'importanza del recepimento della direttiva n. 26 del 2014 sulla gestione collettiva dei diritti d'autore. La necessità di un esame attento e ponderato per recepire l'indirizzo europeo, sottolineata anche in sede consultiva dalla Commissione cultura, è stata soddisfatta, in particolare, attraverso un ciclo di audizioni degli operatori del settore, del Ministro dei beni e delle attività culturali nonché con l'esame della documentazione pervenuta alla Commissione politiche dell'Unione europea. Siamo di fronte a un tema molto complesso, ma fondamentale per la realizzazione di un mercato unico europeo anche digitale. Da qui la necessità di armonizzare le discipline nazionali sul funzionamento degli organismi di gestione collettiva del diritto d'autore e dei diritti connessi, facendo fronte alla necessità di tutela di tali diritti nell'ambito della libera circolazione dei beni e dei servizi. La direttiva intende, inoltre, favorire la concessione di licenze multiterritoriali per lo sfruttamento online di opere musicali, in un'ottica sempre più transfrontaliera.
Assicurare l'efficienza, la trasparenza e il buon funzionamento delle cosiddette società di collecting significa investire nello sviluppo culturale del nostro Paese, sapendo sfruttare le nuove modalità di diffusione delle nostre opere d'ingegno nell'ormai ineludibile contesto globale. In particolare, la direttiva stabilisce il principio, già introdotto dalla Commissione europea con la raccomandazione n. 737 del 2005, per cui i titolari dei diritti dovranno essere liberi di affidare la tutela delle proprie opere agli organismi di gestione collettiva che ritengono più opportuni, indipendentemente dallo Stato membro di nazionalità, di residenza o di stabilimento dell'organismo di gestione o dei titolari dei diritti. Tali organismi saranno, quindi, tenuti a gestire le licenze dei titolari dei diritti aderenti e dei relativi proventi agendo nel migliore interesse dei soggetti rappresentati. Questi ultimi avranno diritto ad essere remunerati adeguatamente per l'uso dei loro diritti con tariffe ragionevoli nonché il diritto di partecipare alla gestione della collecting society.
La direttiva irrigidisce i controlli sui conflitti di interesse e pone nuovi obblighi in capo alle organizzazioni di gestione collettiva e a quelle di gestione indipendente, quali, ad esempio, la distribuzione dei compensi ai titolari dei diritti entro nove mesi dalla fine dell'anno finanziario in cui sono stati raccolti e l'obbligo di mettere a disposizione dei titolari dei diritti meccanismi di reclamo e di risoluzione alternativa delle dispute. Si ridefinisce, inoltre, la governance di questi organismi, stabilendo specifici requisiti di trasparenza e di informazione imposti in capo ad essi e concedendo ai titolari dei diritti maggiori poteri di controllo e di sorveglianza sulle loro attività.
Per quanto concerne i diritti sulle opere musicali online, la direttiva richiede che gli organismi che concedono licenze multiterritoriali siano idonei a trattare per via elettronica e in modo efficiente e trasparente i dati necessari per la gestione di tali licenze e che garantiscano la correttezza delle informazioni sui repertori multiterritoriali nelle dichiarazioni sull'uso, nella fatturazione, nel pagamento dei titolari dei diritti.
Da questa breve ricognizione dei principi posti dal legislatore europeo è evidente la necessità di un intervento normativo con cui garantire il corretto bilanciamento tra l'interesse ad una fruizione delle opere di ingegno sempre più globale ed immediata, da un lato, e un'adeguata tutela dei titolari dei diritti, dall'altro. Ritengo questa la convinzione che mi aveva portato all'elaborazione di un'apposita proposta di legge e di proposte emendative al presente disegno di legge: il nostro Paese deve essere pronto a raccogliere la sfida che le nuove tecnologie hanno lanciato alla comunità globale, nell'interesse dell'intera filiera della creazione, produzione, distribuzione e utilizzo dei contenuti creativi.Pag. 18
Le proposte, dunque, avevano mirato ad un intervento nel segno di una liberalizzazione del mercato dell'intermediazione del diritto d'autore, in particolare attraverso la presenza di un'agenzia, che poteva esercitare le funzioni pubblicistiche oggi affidate alla collecting italiana. Si sarebbe creato un organo di controllo sul buon funzionamento tanto del mercato dei diritti d'autore quanto di quello dei diritti connessi.
È vero che la recente esperienza relativa al mercato dell'intermediazione di diritti connessi ci conferma che una liberalizzazione senza regole acuisce i problemi invece di risolverli. Al tempo stesso, tuttavia, non si può ignorare che il legislatore europeo ha stabilito appunto la libertà del titolare dei diritti di scegliere l'organismo cui affidare la gestione dei propri diritti, nonché la necessità di garantire efficacia e trasparenza nella distribuzione dei compensi.
È, dunque, positivo quanto previsto dall'emendamento del relatore Bordo, che, introducendo nell'articolato del disegno di legge specifici criteri direttivi per il recepimento della direttiva sulle collecting, richiede una serie di azioni per adeguare il funzionamento della SIAE ai contenuti della direttiva. Si impongono, infatti, una migliore e più celere ed equa distribuzione dei proventi incassati di spettanza dei titolari, una più equa partecipazione dei titolari dei diritti alla gestione dell'organismo e, soprattutto, una maggiore rappresentatività dei diversi settori, una maggiore informazione e una maggiore trasparenza in merito al funzionamento e alla struttura delle tariffe.
Penso, poi, in particolare ad alcune modifiche che anche noi richiedevamo da tempo, soprattutto con il lavoro fatto sulla musica dal vivo. Mi limito a ricordare anche la misura più recente, attraverso la quale si vuole favorire la fruizione culturale soprattutto dei giovani: il decreto che attua la norma della legge di stabilità sul bonus cultura, che i diciottenni potranno spendere per gli spettacoli dal vivo. Si tratta di una bella forma di promozione della cultura e di un settore in piena ripresa, centro di grandi investimenti, forma importante di sostentamento per gli artisti. Se nel 2011, infatti, il settore live produceva incassi per 181 milioni di euro, nel 2014, secondo i dati di Assomusica, questa cifra è arrivata a 212 milioni di euro, con una crescita costante anche nel 2015.
Quindi, mi riallaccio a quanto previsto fra i criteri di recepimento della direttiva, soprattutto alla previsione di casi in cui la corresponsione di diritti d'autore sia ridotta o esclusa. È importante che su questo punto la normativa sia ben ponderata. Da un lato, infatti, ridurre la quota porterà benefici alla regolarità dei pagamenti e all'emersione del sommerso e soprattutto agirà come moltiplicatore di opportunità, facilitando locali e organizzatori di eventi. Dall'altro, però, l'esenzione dovrà essere limitata a casi specifici, come, ad esempio, gli eventi di beneficenza, perché il pagamento dei diritti d'autore, ancorché di una cifra simbolica nei concerti minori, è il doveroso corrispettivo di un'attività intellettuale.
Con riferimento ai mandatari territoriali, sono convinta che la maggior parte di loro, che opera con professionalità e competenza, sarà soddisfatta dall'introduzione di modalità trasparenti di selezione pubblica e dal rafforzamento dei controlli sul loro operato. Queste previsioni, in linea con quanto previsto dalla normativa europea, sono anzitutto il modo migliore per tutelare i più da chi, invece, non svolge correttamente il proprio lavoro e soprattutto per garantire una parità e un'uniformità di condizioni su tutto il territorio nazionale.
Ringrazio, dunque, il Governo per il confronto avviato con il Parlamento nella ricerca delle migliori soluzioni e per non aver assunto tale responsabilità solo come una responsabilità governativa.
Concludo con un apprezzamento per il lavoro svolto sulla Relazione consultiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2015. Si tratta davvero di una positiva evoluzione delle relazioni presentate dal Governo negli ultimi anni, sia relativamente alla tempestività della Pag. 19sua presentazione, sia con riguardo all'esaustività dei contenuti. La maggior chiarezza e la migliore organizzazione interna del documento rendono più agevole il giudizio politico che il Parlamento è chiamato ad esprimere e consentono una valutazione accurata dell'azione condotta dal nostro Paese a livello europeo nel 2015 concernente tutte le politiche dell'Unione.
In particolare, va apprezzato l'impegno dell'Italia diretto a favorire la stabilizzazione e la democratizzazione del nostro vicinato strategico e a promuovere un approccio integrato per i fenomeni migratori in atto, nonché a proseguire l'azione italiana in tema di cooperazione allo sviluppo e di aiuto umanitario.
In tema di politica di sicurezza e di difesa comune, il documento pone in risalto la complessità del quadro geopolitico internazionale, nonché la necessità di migliorare le capacità di pianificazione e di condotta a livello strategico, integrando le componenti civili e militari per la gestione delle crisi e segnalando l'esigenza di un incremento dell'efficacia degli attuali strumenti a disposizione della politica di sicurezza e di difesa comune. Questo è un tema particolarmente importante per l'attualità che stiamo vivendo e non soltanto con riferimento appunto all'anno cui si riferisce la relazione.
L'Europa fa ancora fatica a concepirsi come un unico soggetto giuridico all'interno e all'esterno nelle relazioni con i Paesi terzi, ma le emergenze della minaccia del terrorismo internazionale e della criminalità organizzata, sino a quella delle tragedie umane legate all'immigrazione – un'ultima, purtroppo, avvenuta proprio ultimamente a Lesbo, con oltre quattrocento dispersi – ci impongono un'assunzione collettiva di responsabilità. Costruire strumenti comuni è l'unica risposta possibile per non rimanere vittime del terrore e della paura dell'altro, per non ritrovarci, come purtroppo la cronaca di questi giorni ci mostra, di fronte a nuovi muri. E in questo forse dovremmo ripartire dai principi fondativi della nostra Europa: pace, libertà e sicurezza, in uno spazio libero e senza barriere.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Buttiglione, che, però, non vedo in Aula e, quindi, si intende che vi abbia rinunziato.
È iscritto a parlare l'onorevole Petraroli. Ne ha facoltà.
COSIMO PETRAROLI. Grazie, Presidente. Per quanto riguarda la legge di delegazione europea, condivido le osservazioni che ha fatto il deputato Kronbichler sull'articolato. Invece, per quanto riguarda la relazione consuntiva annuale, la critica del MoVimento è in primo luogo di carattere generale e ricomprende l'impostazione e le priorità scelte dal Governo in sede europea.
Nell'arco del 2015 si è assistito ad un'ulteriore perdita di incisività da parte del nostro Paese. A fronte di alcune prese di posizione del Presidente del Consiglio, infatti, non vi è stata nessuna risposta o presa in carico da parte delle istituzioni europee di quelle richieste e delle politiche che più appaiono pressanti per il nostro Paese. Si pensi in primis alle politiche sull'immigrazione o alla revisione delle regole di bilancio, il cosiddetto fiscal compact.
Uno dei principali elementi di criticità sull'operato del Governo in sede europea è l'unione economica e monetaria in primis. Il MoVimento ha espresso la totale contrarietà al report dei cinque Presidenti. La posizione patrocinata dal Governo italiano e la connessa proposta relativa al report non sono minimamente condivisibili, non tenendo in alcuna considerazione la necessità di modificare profondamente le regole economiche di natura macroeconomica, evidentemente troppo restrittive ed inefficaci. Al contempo, il Governo appoggia proposte, quali un Ministro del tesoro europeo, che non apportano alcun beneficio all'Unione europea, ma comportano unicamente la cessione di sovranità nazionale.
Poi ci sono i punti che riguardano il TTIP e vari negoziati. Il MoVimento 5 Stelle non condivide l'importanza data al proseguimento e alla chiusura dei negoziati appunto sul TTIP. I testi negoziali Pag. 20continuano ad essere segreti e a nulla sono di fatto valse le reiterate richieste della sala di lettura promessa dalla stessa commissaria per il commercio, la Malmström.
Poi ci sono questioni riguardanti il FEIS e le PMI, insufficienti e inefficaci rispetto ai reali bisogni dell'Italia. Infatti, i finanziamenti gestiti tramite il FEIS, sia per ciò che concerne questo piano, che in linea generale le politiche per il sostegno della piccola e media impresa, appaiono una pura mistificazione degli intenti, ma non corrispondono ad alcuna politica attiva realmente efficace e condivisa.
Poi c’è la questione riguardante l'unione bancaria e finanziaria. Come descritto dal Governo nella relazione consuntiva, nel corso del 2015 sono state approvate svariate misure volte a completare l'unione bancaria e finanziaria. Ci si continua, però, a concentrare sull'implementazione delle misure richieste dai Paesi più forti, quali, ad esempio, la Germania, mentre l'Italia continua a non essere in grado di far progredire le norme realmente necessarie per la nostra economia, come, ad esempio, la condivisione del rischio e il terzo pilastro della stessa unione bancaria, l'assicurazione unica sui depositi.
Poi c’è la questione che riguarda l'immigrazione e la politica estera. Sul tema della difesa, si ribadisce la contrarietà ai metodi e ad alcuni degli obiettivi della missione EUNAVFOR MED che, con l'attivazione delle misure legate a Sophia, è diventata una vera e propria azione di attacco, condannando il fatto che non vi siano progressi in tema di moratoria sulla vendita di armi da fuoco.
Ancora più rilevante, in un periodo in cui l'emergenza immigrazione diventa pressante, la risposta dell'UE, avvallata dall'Italia, di stipulare accordi con la Turchia contrari ai diritti umani nel diritto internazionale. Al contempo, nonostante le decisioni della ricollocazione dei richiedenti asilo, queste decisioni non sono state affatto implementate.
Infine, ricordiamo che il Governo sta provando a richiedere la modifica del regolamento di Dublino, ma anche in questo contesto appare evidente l'irrilevanza dell'Italia nelle decisioni europee.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Elvira Savino. Ne ha facoltà.
ELVIRA SAVINO. Grazie, signor Presidente. La legge di delegazione europea, congiuntamente alla legge europea, rappresenta lo strumento attraverso cui l'Italia, in qualità di Stato membro dell'Unione europea, recepisce e adatta all'ordinamento interno gli atti emanati dagli organi dell'Unione nel rispetto della fase cosiddetta discendente.
Nello specifico, la legge di delegazione europea è costituita da un insieme di deleghe legislative che il Parlamento conferisce al Governo al fine di modificare la legislazione interna in conformità con gli atti europei. Pertanto, il provvedimento che stiamo affrontando assume enorme importanza, perché crea le premesse per dare attuazione nel territorio nazionale a numerose disposizioni dell'Unione che regolano i più diversi settori dell'economia e della società.
A partire da questo elemento, desidero innanzitutto richiamare l'attenzione sulla necessità di superare alcune criticità che questo processo presenta. Il procedimento attraverso il quale le disposizioni comunitarie entrano nel nostro quadro normativo richiede, infatti, l'urgente attivazione di modalità di semplificazione e razionalizzazione e soprattutto richiede una maggiore capacità di valutazione dell'impatto che il recepimento delle direttive comunitarie comporta sulle diverse realtà che i cittadini e le imprese vivono nella loro quotidianità. Lo dico perché spesso si assiste ad un recepimento di norme dell'Unione europea quasi in maniera ordinaria e spesso con ritardo e con il relativo timore dell'attivazione di procedure di infrazione, senza considerare adeguatamente come questo comporti generalmente e quasi automaticamente un aumento di complessità normativa per gli operatori del settore interessato, nonché un notevole impatto sui vari fronti, che Pag. 21non va assolutamente sottovalutato. Spesso sembra quasi che sia più importante onorare gli impegni verso l'Europa, il cosiddetto «ce lo chiede l'Europa», che ormai è divenuto uno stanco ritornello, che non migliorare le condizioni di imprese, famiglie e persone.
Si ha la piena certezza di questo aspetto non appena ci si confronta con gli altri Paesi dell'Unione europea, Francia, Germania e Spagna, con la sconsolante conclusione che altri riescono a semplificare nella stessa materia in cui da noi si complica, a volte anche pesantemente e con inevitabili conseguenze negative sulla competitività del Paese e sull'assetto sociale.
Si pensi al recepimento della direttiva Bolkestein, relativa ai servizi del mercato interno, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 59 del 2010, che ha coinvolto il settore delle imprese balneari e che ancora oggi rischia di rendere vani i sacrifici e gli investimenti fatti da piccoli e grandi attività imprenditoriali, gettando sul lastrico moltissimi nuclei familiari che dalla spiaggia e sulla spiaggia traggono da generazioni il loro sostentamento.
L'impatto della direttiva Bolkestein per il nostro Paese è stato devastante, perché non è stata fatta alcuna attenzione alla specificità di ogni singolo Paese quando è stata redatta e soprattutto del nostro Paese e all'impatto che le nuove stringenti norme avrebbero avuto in un territorio come quello italiano, fatto da 8 mila chilometri di coste e da un'innata vocazione marittima, che coinvolge l'intera struttura socio-economica nazionale. Tale tipo di impatto è stato gestito, invece, in altra maniera da un Paese interessato allo stesso modo, come la Spagna, che alla fine del 2012 ha redatto la riforma della legge costiera, centrata sulla salvaguardia di circa 3 mila imprese che operano sulle spiagge spagnole e migliaia di case di proprietà privata che insistono sul territorio del demanio pubblico, cristallizzando il loro insediamento per 75 anni e riducendo a 20 metri la zona demaniale marittima.
Stesso discorso vale per il recepimento della direttiva sul bail-in, avvenuta nel corso dell'approvazione della legge di delegazione europea del 2014. Lo scorso mese di giugno, nell'ambito dell'esame della legge di delegazione, Forza Italia denunciò con forza gli effetti devastanti che avrebbe avuto il recepimento di una simile direttiva. Gli avvertimenti delle opposizioni rimasero, però, inascoltati e, in una fase immediatamente successiva, a partire dallo scorso autunno, l'impatto si è sentito forte e chiaro, con le conseguenze che abbiamo visto tutti. Nell'introdurre i delicati cambiamenti a livello europeo sul tema delle crisi bancarie, non si è infatti prestata sufficientemente attenzione alla fase di transizione.
È evidente infatti come in quel caso il nostro Governo in Europa avrebbe dovuto sostenere con forza che un'applicazione immediata e soprattutto retroattiva dei meccanismi del bail-in avrebbe potuto comportare rischi per la stabilità finanziaria, oltre che un aumento del costo e una rarefazione del credito all'economia. Sarebbe stato quindi preferibile un passaggio graduale e meno traumatico, tale da permettere ai risparmiatori di acquisire piena consapevolezza del nuovo regime e di orientare le loro scelte di investimento in base al mutato scenario.
Il disegno di legge al nostro esame recepisce ad esempio, tra le diverse direttive, anche quella sull'etichettatura dei prodotti alimentari, ovvero una questione che incide su un asset – quello dell'agroalimentare – che è strategico per il nostro Paese. Il processo di produzione e distribuzione di prodotti agroalimentari coinvolge infatti una rilevante porzione dell'economia italiana, rappresentando il 13,2 per cento degli occupati e l'8,7 per cento del PIL.
La centralità della filiera è immediatamente percepibile anche in ragione dei 76 miliardi di euro di retribuzioni annualmente sostenute, dei 23 miliardi di euro di investimenti e di un contributo erariale che, al netto dei contributi ricevuti dalle imprese, supera i 20 miliardi di euro. Le imprese che operano nei diversi anelli della filiera sono tante e fortemente integrate: aziende agricole, imprese di trasformazione Pag. 22alimentare, grossisti, grandi superfici distributive, piccoli negozi al dettaglio, operatori della ristorazione.
Su un tema così delicato per il futuro della nostra economia non possiamo continuare a non essere incisivi in Europa. È essenziale, infatti, battersi per tutelare i nostri prodotti dall’italian sounding e dalla deriva quasi omologatrice che sta prendendo piede in Europa, che troppo spesso non privilegia i prodotti dalla filiera agricola nazionale e non difende l'agricoltura di qualità.
È bene chiarire che nessuno di noi può essere contrario evidentemente agli adempimenti degli obblighi che discendono dalla nostra appartenenza all'Unione europea, ma noi di Forza Italia siamo altrettanto convinti che questi obblighi vadano a volte discussi e cosparsi di maggior protagonismo del nostro Governo nella fase cosiddetta ascendente, soprattutto quando incidono su diritti intangibili e costituzionalmente garantiti come il diritto al risparmio.
È quindi indispensabile un cambio di passo, in modo che la ricerca delle soluzioni più adatte per lo sviluppo non sia condizionata dalla preoccupazione di un'ipotetica apertura di una procedura di infrazione, ma dall'esigenza di dare risposte specifiche ed efficaci a cittadini e imprese, ovviamente all'interno di un ragionevole insieme di regole comuni e con interventi mirati sin dalla fase di formazione delle direttive.
Se non riusciamo come Paese ad essere protagonisti nella fase ascendente del processo, il recepimento delle disposizioni comunitarie continuerà ad essere una fase ordinaria di cui avvertiremo le conseguenze e l'impatto in fasi successive, con il rischio che sia troppo tardi per difendere i nostri cittadini e le nostre imprese da norme che finiscono col danneggiare irrimediabilmente importanti settori dell'economia e della società. Si deve invece trovare il modo di far sentire la propria voce e cercare di adattare la normativa comunitaria ai diversi contesti territoriali e locali, perché, se non lo facciamo, il rischio è quello di continuare ad imporre sulla testa dei nostri cittadini e delle imprese soltanto una serie infinita di obblighi, voluti dall'Europa si dice, che non porteranno altro che ulteriori penalizzazioni per i nostri territori – penso in particolare al Mezzogiorno – per i quali è necessario rimuovere progressivamente ogni situazione di svantaggio competitivo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 3540-A e Doc. LXXXVII, n. 4)
PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori rinunciano alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, ringrazio i relatori e tutti i colleghi che sono intervenuti in questo dibattito. Brevemente, vorrei sottolineare alcuni punti e rispondere anche ad alcuni degli interventi che sono stati fatti. Il primo è il dato che il relatore ha voluto sottolineare e che è frutto del buon lavoro di cooperazione che dall'inizio di questo Governo abbiamo instaurato tra Governo e Parlamento, tra Governo, Camera e Senato, tra Governo e Commissioni politiche dell'Unione europea di Camera e Senato e stiamo mantenendo gli impegni e la tabella di marcia che ci eravamo dati. Credo che questo debba essere un motivo per spronarci a proseguire su questa via, perché i risultati stanno arrivando, il relatore ha ricordato come il lavoro in parallelo che c'eravamo impegnati insieme a fare sta procedendo, perché veramente la tempistica è quasi identica tra l'esame della delegazione europea da parte vostra e l'esame della legge europea da parte del Senato, quindi io sono fiducioso che potremo mantenere anche il nostro impegno Pag. 23nel secondo semestre di quest'anno di discutere una nuova legge europea qui alla Camera e una nuova legge di delegazione europea al Senato. Cominciamo, per quanto riguarda la legge europea – lo anticipo già – a dover affrontare le questioni più politicamente e finanziariamente rilevanti delle infrazioni e credo che quindi la prossima legge europea sarà un lavoro molto più delicato di quello che abbiamo fatto sinora, ma proprio per questo dobbiamo mantenere la tabella di marcia. I risultati cominciano a venire, perché l'inversione di tendenza è netta. Sono le parole del relatore Bordo, che io sottoscrivo. Avevamo trovato una situazione con 119 infrazioni avviate ad inizio legislatura, adesso sono 83 e io credo che nei prossimi giorni potremo ulteriormente vedere una diminuzione del numero di infrazioni dell'Italia. C’è anche un lavoro importante, un'accelerazione che il relatore ha voluto sottolineare da parte del Governo, nell'attuazione poi delle direttive che abbiamo recepito, quindi dobbiamo procedere su questa direzione, dobbiamo procedere su questa direzione perché è una direzione che è giusta, è doverosa, ci permette di attuare meglio delle norme che – questa legge di delegazione lo dimostra – mirano molto a migliorare la qualità della vita – penso alle norme in materia ambientale, alla tutela dei consumatori e dei risparmiatori, penso alle norme in materia di risparmio che sono state invocate – e ci permette di dare un contributo importante a quella grande sfida del mercato unico digitale, che passa certamente dal tema dei diritti d'autore on line, su cui si è voluta soffermare la collega Bonomo. Quindi il dato non è semplicemente quantitativo, non è che ci interessi unicamente ridurre le infrazioni. Certo che ci interessa ridurre le infrazioni, perché ridurre le infrazioni vuol dire pagare meno sanzioni economiche, vuol dire acquisire più credibilità e più influenza come sistema Paese, come Italia nelle sedi europee, ma ci interessa anche potere lavorare nel ritmo giusto per adattare e cogliere il massimo del potenziale delle norme europee nel momento in cui introduciamo delle innovazioni importanti nella legislazione e quindi nella vita dei cittadini italiani.
Le direttive che ci accingiamo a recepire attraverso la delega di questa legge di delegazione lo dicono esattamente. Su questo volevo rispondere alla collega Savino. Ricordo innanzitutto che noi cominciamo adesso a recepire le prime direttive negoziali da questo Governo, quindi, se ci fosse stato un problema di fase ascendente nel negoziare le direttive, i problemi di fase ascendente avrebbero riguardato i Governi precedenti perché penso che, con queste leggi di delegazione, recepiamo forse una delle prime direttive che questo Governo ha negoziato. Quindi, può darsi che lei abbia ragione e che sia stato un problema in fase ascendente di disattenzione da parte dei Governi nel negoziato di queste direttive – io non lo so: sono parole sue –, ma certamente le confermo e le assicuro che, se questo problema c’è stato, non è stato un problema di questo Governo perché riguarda i Governi precedenti e soprattutto, per quanto riguarda la direttiva che lei ha citato, in particolare riguarda un Governo di un periodo in cui lei era parte della maggioranza, quando lei ha lamentato la cattiva applicazione della direttiva Bolkenstein in Italia. Benissimo: la direttiva Bolkenstein in Italia può darsi che sia stata applicata in passato in maniera cattiva – come dice lei –, può darsi anche che io avrei dovuto occuparmene meno in questi due anni, se in passato fosse stata negoziata meglio e, quando quel Governo doveva recepirla, potesse essere recepita meglio e, se magari quando quel Governo l'ha recepita, anziché negoziare una proroga molto ridotta, avesse negoziato una proroga più ampia, quando si poteva fare, cioè prima che la direttiva entrasse in vigore, forse oggi avremmo meno problemi da affrontare con quelle 30.000 imprese che lei ha citato. Però, attenzione perché il tema deve essere un tema che deve riguardarci tutti dal punto di vista dell'interesse generale, cioè noi dobbiamo impegnarci, a prescindere da chi ha sbagliato in passato a votare quella legge in Parlamento europeo, senza magari Pag. 24accorgersi che le specificità del settore balneare in quella sede potevano essere meglio tutelate, da chi ha sbagliato a negoziare una proroga troppo ridotta, quando magari la proroga c'era. Attenzione, però adesso a non farne sempre tra di noi un motivo di polemica perché noi siamo fortemente impegnati con le associazioni di settore e con le associazioni di categoria in un dialogo importante per risolvere positivamente la situazione, ma lei sa anche che c’è un tribunale amministrativo regionale, non finlandese, non spagnolo, non portoghese, ma della regione Sardegna, che ha anche rinviato in giudizio alla Corte di giustizia europea il tema dei balneari. Il Governo è impegnato – e gli atti sono accessibili – con la sua posizione a difendere la tutela del settore di fronte alla Corte ed è anche impegnato a prepararsi, qualunque sia la sentenza della Corte, per dare una risposta in via definitiva.
Credo che non dobbiamo fare di questo un oggetto di polemica tra maggioranza e opposizione; dobbiamo invece impegnarci per dare una soluzione definitiva alla situazione che, in passato, prima di questo Governo, non è stata affrontata evidentemente nel modo efficace, altrimenti non avremmo avuto una procedura di infrazione aperta, non avremmo avuto un ricorso alla Corte di giustizia e non avremmo ancora le incertezze che riguardano il settore.
Così come, per quanto riguarda l'adattamento alle esigenze italiane, lei sa che proprio nella legge n. 234 – non è del tutto estraneo alla vicenda, nella sua qualità di parlamentare – c’è un divieto cosiddetto di gold plating, cioè c’è un divieto di utilizzare il recepimento delle norme europee per creare ulteriori oneri burocratici che vanno al di là di quanto richiesto dalla direttiva, nel momento in cui questa viene recepita. Se lei dubita che ci sia questo divieto, la invito a leggere la legge n. 234 e, da questo punto di vista, è esattamente questo l'impegno del Governo, non solo in sede italiana, ma anche in sede europea, perché anche in sede europea va posto il tema di direttive che evitino di chiedere eccessivi oneri burocratici rispetto allo specifico obiettivo che dobbiamo perseguire. Lei guardi gli atti del Consiglio «Competitività» e vedrà quanto il Governo italiano si sta impegnando proprio nella direzione da lei auspicata.
Il collega Kronbichler è andato via, ma gli ho risposto: non è solo questione di non pagare il prezzo delle sanzioni, ma di utilizzare pienamente le norme europee in tutto il loro potenziale.
Concludo ricordando sulla relazione consuntiva – passo dalla legge di delegazione alla relazione consuntiva – che in questa relazione il Governo ha fatto il massimo sforzo per rafforzare il dialogo tra il Governo e il Parlamento.
Ricordo che per la prima volta sono indicati in maniera sistematica tutti gli indirizzi politici che il Parlamento, in Aula e nelle Commissioni parlamentari, ha dato al Governo su iniziative specifiche, quindi, punto per punto, voi ritroverete in questa relazione gli indirizzi politici che voi avete dato al Governo in sede di Commissione, ma anche il modo in cui abbiamo dato seguito agli indirizzi politici delle risoluzioni adottate in Aula – e questa è la prima volta che si fa questo lavoro nelle relazioni consuntive –, così come abbiamo dato indicazioni dettagliate sulle risposte fornite dal Governo alle consultazioni pubbliche lanciate dalla Commissione europea e anche l'elenco di tutti gli incontri dei rappresentanti istituzionali del Governo con quelli delle istituzioni europee; questo per permettere al Governo di esercitare quel lavoro di verifica, di controllo e anche di orientamento politico dell'azione europea del Governo italiano, che è pienamente nelle prerogative del Parlamento, ma anche nello spirito e nel modo in cui noi abbiamo organizzato e instaurato i nostri rapporti in questa legislatura.
Ultimo punto, Presidente – e concludo – riguarda le attività di informazione. Il relatore Bergonzi affermava che nella risoluzione verranno date delle indicazioni al Governo per rafforzare l'attività di informazione; io vi ricordo – ho avuto già occasione di parlarne in quest'Aula nell'ultimo dibattito che abbiamo Pag. 25svolto – che noi siamo fortemente impegnati in occasione di Roma 2017, cioè del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati europei a Roma, 25 marzo 2017, e in previsione di questa data, noi stiamo già lavorando per rafforzare le azioni di informazione e di formazione in Italia, e non solo sulle questioni europee, cioè vogliamo utilizzare questa commemorazione dei sessant'anni per stimolare ancora di più l'attività di informazione. Abbiamo avviato un'azione che riguarderà le scuole, tra il Dipartimento politiche europee della Presidenza del Consiglio e il MIUR, e lavoreremo perché nelle scuole, nell'anno scolastico che si aprirà dopo l'estate, si dia un'attenzione particolare al tema dei sessant'anni del Trattato di Roma e al tema anche delle nuove sfide europee e chiederemo ai ragazzi, se dovessero loro scrivere il Trattato di Roma, che cosa scriverebbero oggi, tanto per capire il tipo di approccio. Abbiamo siglato un accordo di partenariato con l'ufficio di rappresentanza del Parlamento europeo e lo stiamo facendo anche con quello della Commissione europea, per lanciare delle attività di dibattito e di informazione attraverso tutte le reti esistenti nel Paese su questo tema, e abbiamo anche siglato un protocollo con l'ANCI per lavorare, sia con gli amministratori locali, e soprattutto con i giovani amministratori locali, sia per impegnare e per incoraggiare i comuni a attivarsi in occasione dei sessant'anni con delle attività di informazione e di dibattito che vanno esattamente nel senso da lei auspicato.
Allo stesso modo, il Governo italiano sta spingendo e sta organizzando in Italia e anche in altri Stati membri dell'Unione europea, con tutti i Governi che lo vogliono, delle iniziative pubbliche di dibattito – come quella che abbiamo svolto alla Camera lo scorso 11 aprile – proprio per ampliare la mobilitazione, rafforzare la mobilitazione e il dibattito, in vista proprio dei sessant'anni del Trattato di Roma e continueremo a farlo in Italia, ma anche in altri Paesi, come ad esempio in Svezia o in Portogallo, e con tutti i Governi che sono disponibili e interessati a promuovere delle iniziative di dibattito politico, di rilancio del processo di integrazione in vista dei sessant'anni, ma anche di informazione e di formazione soprattutto dei giovani. Noi siamo assolutamente interessati e disponibili a lavorare con questi Governi.
(Annunzio di risoluzioni – Doc. LXXXVII, n. 4)
PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Bergonzi, Sberna, Capua ed altri n. 6-00232, Occhiuto e Elvira Savino n. 6-00233, Ciracì ed altri n. 6-00234 e Battelli ed altri n. 6-00235, riferite alla Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2015 (Vedi l'allegato A – Doc. LXXXVII, n. 4).
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione delle mozioni Lupi ed altri n. 1-01195, Carfagna ed altri n. 1-01187, Roccella ed altri n. 1-01218 e Spadoni ed altri n. 1-01223 concernenti iniziative, in ambito nazionale e sovranazionale, per il contrasto di tutte le forme di surrogazione di maternità (ore 15,53).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Lupi ed altri n. 1-01195, Carfagna ed altri n. 1-01187, Roccella ed altri n. 1-01218 e Spadoni ed altri n. 1-01223 concernenti iniziative, in ambito nazionale e sovranazionale, per il contrasto di tutte le forme di surrogazione di maternità (Vedi l'allegato A – Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Dellai ed altri n. 1-01225, Rondini ed altri n. 1-01226 e Vezzali e Monchiero n. 1-01227 (Vedi l'allegato A – Mozioni), Pag. 26che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritta a parlare l'onorevole Binetti, che illustrerà anche la mozione Lupi ed altri n. 1-01195, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
PAOLA BINETTI. Presidente, vorrei premettere al mio intervento in discussione sulle linee generali, su un tema così delicato come quello che stiamo affrontando, la mozione presentata al CNB, il Comitato nazionale di bioetica, pochi giorni fa e da questo approvata all'unanimità. Il CNB si è espresso più volte contro la mercificazione del corpo umano nella mozione sulla compravendita di organi a fini di trapianto e nella mozione sulla compravendita di ovociti, dando il proprio parere sul traffico illegale di organi umani tra viventi. In questi documenti il CNB ha ricordato e fatto proprio il disposto dell'articolo 21 della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina: «Il corpo umano e le sue parti non devono essere, in quanto tali, fonte di profitto», principio che, ribadito dall'articolo 3 della Carta europea dei diritti fondamentali, costituisce uno dei principi etici dell'Unione europea.
Il CNB ricorda che la maternità surrogata è un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto, come un oggetto, a un atto di cessione. Si ritiene, infatti, che la sola ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, sia in netto contrasto con i principi bioetici fondamentali che emergono anche dai documenti sopra citati. Il Comitato nazionale di bioetica si riserva di trattare l'argomento della surrogazione di maternità anche senza corrispettivo economico in uno specifico parere più ampio ed articolato.
Vengo al nostro obiettivo. In questi giorni stiamo discutendo del problema del contratto di maternità nell'ambito del dibattito sulle unioni civili e la stepchild adoption. Nel nostro Paese il contratto di maternità è vietato dalla legge n. 40 del 2004 e anche la Corte costituzionale, pur avendo dato il via libera all'eterologa, ha confermato che questo tipo di contratto è illecito. A oltre dieci anni da quando mi ero occupata del problema, inserito in una riflessione più ampia sulla procreazione medicalmente assistita e dove già allora era emersa una ferma condanna per la commercializzazione del corpo della donna e del bambino, è diventato urgente riesaminare questa problematica, per mandare un segnale e prendere una posizione nei confronti della maternità surrogata, sia essa a titolo oneroso o solo pretestuosamente non oneroso. Resta l'ipotesi della gestazione per conto di altri a titolo gratuito; è, infatti, una modalità con la quale, secondo alcuni, sarebbe il gesto di generosità di una donna verso un'altra donna che renderebbe la vicenda lecita. L'esempio classico è quello della donazione di un rene, che si basa sul principio – quello della cosiddetta «donazione samaritana» – di aiutare persone in difficoltà. La surrogazione della maternità consiste nella cessione a terzi e per sempre di un neonato da parte della donna che lo ha partorito. La cessione del neonato è puntualmente regolata da un contratto stipulato tra gestante e committenti in un momento precedente al concepimento del nato. Il contratto, che regola la gestazione e la successiva cessione del bambino, non può che essere intrinsecamente vessatorio nei confronti della gestante, considerando che l'obiettivo è quello di far consegnare ai committenti il neonato e imponendo alla donna di portare avanti la gravidanza secondo modalità che i committenti arbitrariamente decidono essere le migliori per il nascituro. Oltre a regolare dettagliatamente la vita della gestante per tutto il periodo della gravidanza, vengono Pag. 27quindi imposti esami clinici e comportamenti personali della madre surrogata che includono anche importanti restrizioni della libertà personale e prevedono sia l'aborto, in caso di malformazioni del feto, sia la cosiddetta «riduzione fetale», in presenza di gravidanze gemellari non richieste.
Lorenzo D'Avack, presidente vicario del CNB, ricorda che è arduo pensare che vi sia effettiva gratuità nella prestazione. Vi sono Paesi in cui apparentemente si pone questa differenza, ma poi si prevedono rimborsi così rilevanti che il profitto è solo mascherato. Inoltre, l'autodeterminazione della donna prevede la possibilità di dire «si» o «no» senza pressioni economiche o sociali.
Ma se fossero davvero nelle condizioni di farlo, questo è uno scambio che probabilmente rifiuterebbero. Nessuna trasparenza ed equità possono essere garantite; c’è il rischio che si venga a creare una classe di venditori poveri e di acquirenti ricchi. Dobbiamo quindi chiederci: si dona che cosa ? Si donano le cose che si possiedono, non le persone. Le persone non sono un bene che si possiede; tutto al più, le persone sono un bene di cui ci si prende cura. Si ragiona in una visione individualistica relativa solo a chi corrisponde e a chi dà, ma c’è un terzo che non viene contemplato: il bambino, e questo implica un'ulteriore riflessione eticamente molto delicata.
Il contratto di maternità surrogata, per sua stessa natura, ha un contenuto patrimoniale e carattere oneroso. Abbiamo sentito in questi giorni addirittura dei costi; abbiamo sentito di chi ha pagato 80 mila euro, chi ha pagato 100 mila, chi 120 mila. A che titolo, quindi, si può parlare, come dire, di un dono gratuito, di un gesto di magnanimità e non, piuttosto, di un'operazione commerciale, in cui molte persone si siedono a quel tavolo, in cui ci si spartiscono profitti e non è affatto detto, oltretutto, che questi profitti vadano a vantaggio della donna e non si disperdano veramente in un rivolo di veri e propri mercenari.
Il dramma è che il bambino che nasce in questo caso viene ad avere due madri biologiche: una genetica e gestazionale, di solito la madre legalmente riconosciuta e ancora una terza quando, come ben sappiamo, in molti casi non esiste la terza madre, cioè non esiste la donna che si prenderà cura del bambino. Questo passaggio, dell'utero in affitto, corre il rischio di archiviare come un paradigma superato proprio quello che costituisce uno dei temi più nobili della cultura di tutti i tempi, che è quello della nascita come relazione di uomo a uomo – in questo caso dovrei dire di donna a bambino –, come relazione che prende in carico ciò che è più caratteristico della natura umana, cioè la ricchezza del rapporto di cura, la gratuità di un rapporto di cura.
Noi ci troviamo davanti a condizioni che conosciamo perfettamente e che sono commercializzabili anche sotto forma di un catalogo, il che determina un'inquietante frammentazione della figura materna e associa la maternità surrogata alla compravendita di gameti, con tutti gli aspetti economici, antropologici e sociali connessi, primo di tutti la scelta del donatore su appositi cataloghi di biobanche in base al fenotipo: colore della pelle, degli occhi, dei capelli, l'aspetto fisico e sappiamo che conta pure l'assetto intellettuale e che contano pure le credenze, le credenze religiose, le credenze ideologiche, le credenze culturali.
Una donna che cede a terzi, dietro corrispettivo in denaro, il proprio neonato, a prescindere dalla presenza di un contratto di diritto privato vincolante tra le parti, compie un gesto perseguito come reato in gran parte del mondo. Noi stiamo assistendo ad un'allucinante perdita di contenuti di quello che è il senso del diritto, che sappiamo bene essere un corrispettivo di un dovere. Una donna che cede quel figlio, pensando che sia suo diritto poterlo cedere, viene meno a quello che è il dovere più grave di una donna, quello che ne definisce il paradigma della femminilità e della maternità. Siamo tutti d'accordo – e lo risentiremo in quest'Aula – che la femminilità non si riduce alla Pag. 28maternità. Ma, certamente, che non vi sia maternità senza femminilità è un fatto contundente e noi stiamo correndo il rischio di cancellare la dimensione più umana e più profonda del femminile, nella misura in cui stiamo cercando di schiacciare verso un anonimato relazionale quella che è la dimensione propria della maternità.
Il legittimo desiderio di avere bambini non è un diritto esigibile. Il contratto di surrogazione di maternità è evidentemente una nuova forma di mercato di esseri umani e rientra, per i presentatori del presente atto, nella tratta degli esseri umani, così come definita dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, quando indica che il reclutamento di persone con l'abuso della condizione di vulnerabilità a fini di sfruttamento comprende pratiche simili alla schiavitù e specifica che in questi casi il consenso della vittima allo sfruttamento è irrilevante. È tale la disparità delle posizioni, è tale la condizione di indigenza rispetto, potremmo dire, alla sopraffazione economica che la libertà di quel soggetto è veramente una libertà confinata ai minimi termini.
La surrogazione di maternità viola altresì, ad avviso di noi che abbiamo firmato questa mozione, la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 quando, all'articolo 1, recita: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti». In questo caso abbiamo una mortificazione radicale della dignità della madre e del figlio, dei diritti della madre e del figlio visto che per i nati da maternità surrogata, a differenza di tutti gli altri bambini del mondo, si decide fin da prima del concepimento che non cresceranno con la donna che li ha partoriti, cioè la madre, ma con persone che con essa hanno stipulato un contratto commerciale e, quindi, che hanno ridotto il bambino ad oggetto, a prodotto, e l'hanno indotta ad abbandonarlo alla nascita.
La surrogazione di maternità viola altresì l'articolo 4, dove si afferma che nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù e che la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma, considerando le condizioni vessatorie contrattuali che stabiliscono i minimi dettagli della vita della gestante e ne definiscono gli obblighi, primo tra tutti la cessione del neonato alla nascita. Vorrei far riferimento al fatto che questa sembra a tutti gli effetti una pratica emancipativa che permette di diventare mamma anche a chi, per vari motivi, non potrebbe diventarlo – pensiamo al «mammo» di turno – se non fosse che si omette, guarda caso, di specificare l'aspetto fondamentale, cioè che a regolare questo passaggio per cui la donna cede il proprio utero a un'altra o a un altro, ipotesi ancora più delicata, è la logica del do ut des, tipica del mercato. Presidente, se lei mi autorizza vorrei consegnare il testo integrale del mio intervento (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 16).
PAOLA BINETTI. Prima di concludere, vorrei far riferimento ad una vicenda che è successa 15 anni fa. In un articolo di 15 anni fa, peraltro al di sopra di ogni sospetto perché è un articolo riportato da La Repubblica e anche da un'agenzia di stampa riportata dall’Adnkronos, si faceva riferimento al caso di coniugi romani che intendono realizzare l'intervento di «utero in affitto» all'estero. Questo dovrebbe sollecitare il Parlamento ad intervenire con urgenza sulla materia. È urgente, infatti, che le Camere vietino per legge l'affitto o la vendita di pezzi del corpo. Signori, era Ministro Rosy Bindi ed era presidente del Comitato nazionale di bioetica Giovanni Berlinguer: due culture, due posizioni che certamente non possono essere in qualche modo assorbite in quello che è il vissuto di cui sono orgogliosa di essere portatrice, di una visione cattolica della vita in cui la vita è dono sacro...
PRESIDENTE. Concluda.
Pag. 29PAOLA BINETTI. ...e la relazione di cura è la più grande responsabilità che tocca ad ogni uomo.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Elvira Savino che illustrerà anche la mozione Carfagna ed altri n. 1-01187, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.
ELVIRA SAVINO. Grazie, Presidente. Come è stato già detto con il termine «maternità surrogata», o come più comunemente si sente dire con l'espressione «utero in affitto», si indica quella pratica basata sulla disponibilità del corpo di una donna per realizzare un progetto di genitorialità altrui: si intraprende una gravidanza con l'intento di affidare il nascituro a terzi all'atto della nascita. Si tratta di un tema delicato che interroga tutti, non solo le donne, e di cui si è maggiormente discusso soprattutto nel nostro Paese negli ultimi mesi. La pratica della maternità surrogata viene realizzata da imprese che si occupano di riproduzione umana in un sistema fortemente organizzato che comprende cliniche, medici, avvocati e agenzie di intermediazione. Questo sistema ha bisogno di donne considerate unicamente come mezzi di produzione in una cornice di globalizzazione dei mercati in cui il corpo umano è uno degli oggetti di mercificazione. A dispetto di quanto viene veicolato dai media e anche rispetto a quanto si potrebbe erroneamente pensare, sono ancora oggi numerosi i Paesi nel mondo in cui non vige un divieto generalizzato di tale pratica. Da alcuni dati del Parlamento europeo resi pubblici a maggio del 2013 è emerso che in quasi più della metà degli Stati membri dell'Unione non vi è un espresso divieto di tale pratica: è il caso del Belgio, della Danimarca, della Grecia, del Regno Unito, dei Paesi Bassi (solo per citarne alcuni). Così come in quasi nessuno degli Stati esiste una legge specifica che disciplini il fenomeno.
Se la situazione in ambito europeo presenta ancora oggi numerose disomogeneità, altrettanto variegata e complessa sembra essere la situazione nel resto del mondo, dove la maternità surrogata è ammessa e praticata in Paesi estremamente diversi tra loro per cultura e ricchezza. Si pensi alla Thailandia, al Messico, all'India, al Nepal, rispetto agli USA o al Canada; evidentemente Paesi diversissimi per cultura e per ricchezza e dove altrettanto diversi sono sia gli orientamenti giuridici che le leggi in materia. In Canada e negli Stati Uniti, ad esempio, la materia è regolamentata in modo dettagliato affrontando la questione soprattutto da un punto di vista commerciale e creando dei distinguo tra gestazione altruistica e gestazione lucrativa. Così, se nel caso canadese è permesso solo il primo tipo, c’è solo quell'altruistica, in alcuni degli otto Stati degli USA in cui tale pratica è ammessa si può ricorrere ad entrambe le formule, ad esempio in California e Florida. Le differenze tra i Paesi quindi sono molte. In generale possiamo affermare che nei Paesi in cui la maternità surrogata è chiaramente normata, le regole sono piuttosto chiare e stringenti per la selezione delle madri surrogate, per evitare che la loro scelta sia legata al bisogno economico. Si richiede, ad esempio, che queste donne abbiano un certo livello salariale o che abbiano già dei figli. I compensi servono soprattutto a coprire le spese legate alla gravidanza stessa e comunque non sono molto alti. In molti casi, infine, la rinuncia ai diritti di madre da parte della portatrice può avvenire solo dopo che il parto è avvenuto.
Ci sono, però, Paesi che non rientrano nel ricco Occidente in cui, invece, quella della surrogazione di maternità è una pratica molto redditizia e che viene intrapresa da molte donne, non tanto come una libera scelta ma per necessità evidentemente economica. In India la pratica è illegale dal 2002 anche se ha subito delle limitazioni nel 2013 ed ha costi molto bassi. A differenza di altri Paesi non è previsto che, una volta firmato l'accordo, le madri naturali possano rivendicare alcun diritto rispetto al nascituro. Quindi, dietro una narrazione tutta sentimentale e incentrata sull'amore, sia esso materno o paterno, senza condizioni di sorta, si scopre Pag. 30molto più realisticamente che c’è un vero e proprio mercato della maternità surrogata.
La pratica della maternità surrogata non è solo una tecnica riproduttiva, ma tocca molti diritti umani e temi etici: in gioco, infatti, c’è la vita e la dignità delle donne, secondo il principio della indisponibilità del corpo umano. L'acquisto, la vendita o l'affitto dello stesso, dunque, sono fondamentalmente contrari al rispetto della sua dignità. La mercificazione del bambino e la strumentalizzazione del corpo della donna sono anch'essi contrari alla dignità umana e perciò evidentemente inaccettabili. Tuttavia, alcune donne acconsentono ad impegnarsi in un contratto che aliena la loro salute e la loro dignità a vantaggio dell'industria e dei mercati della riproduzione sotto la spinta di molteplici pressioni, spesso di natura esclusivamente economica. In particolare, in quei Paesi dove vige una regolamentazione molto dettagliata di questa pratica si è sviluppato un fiorente mercato della riproduzione, che vanta un fatturato annuo di svariati miliardi di dollari.
La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 ha affermato il principio della difesa della dignità umana come obiettivo primario da perseguire, oltre che nel perimetro di sovranità dei singoli Stati anche nello spazio delle relazioni internazionali, escludendo quindi la legittimità di ogni pratica mercantile di scambio che abbia come oggetto esseri umani. La Convenzione sui diritti dell'infanzia, approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ha impegnato gli Stati ad adottare tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi necessari per attuare i diritti riconosciuti dalla stessa Convenzione e, in particolare, il diritto dei bambini a non essere privati degli elementi costitutivi della loro identità e il diritto ad essere protetti contro ogni forma di sfruttamento economico. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea ha sancito all'articolo 3 il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti, in quanto tali, una fonte di lucro. La Convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo e la biomedicina, sottoscritta il 4 aprile 1997, all'articolo 21, stabilisce che il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonti di profitto. La risoluzione del Parlamento europeo sulla definizione di un nuovo quadro politico dell'Unione europea in materia di lotta alla violenza contro le donne, del 5 aprile del 2011, impegna gli Stati membri a riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili. Il 17 dicembre scorso il Parlamento europeo ha discusso e approvato la risoluzione per la Relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'Unione europea in materia.
Al paragrafo 115 di questa risoluzione approvata, il Parlamento europeo condanna la pratica della surrogazione, che compromette la dignità umana della donna, dal momento che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usati come una merce. Ritiene che la pratica della gestazione surrogata, che prevede lo sfruttamento riproduttivo e l'uso del corpo umano per un ritorno economico o di altro genere, in particolare nel caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba essere proibita e trattata come questione urgente negli strumenti per i diritti umani.
A tutt'oggi, nel diritto internazionale e nella normativa europea non è comunque prevista alcuna disposizione giuridica che vieti in maniera universale la maternità surrogata. In Italia, come è ben noto, è la legge n. 40 del 2004 a prevedere il divieto di pratiche riconducibili al cosiddetto «utero in affitto». Tale legge, però, viene puntualmente disattesa, specialmente per quanto riguarda la pubblicizzazione della maternità surrogata, che viene, infatti, effettuata, in barba alle disposizioni di legge, attraverso diversi canali, tra i quali evidentemente spicca la rete Internet.
Per questo è sempre più necessario l'intervento del Governo che, ad onor del vero, ha già dimostrato una certa rilevante attenzione su questo tema in tutte le sedi opportune, per riconoscere e tutelare in Pag. 31maniera omogenea, negli ordinamenti nazionali e internazionali, il diritto delle donne e dei bambini oggetto di sfruttamento e di mercificazione e per porre fine a questa forma di moderna schiavitù.
Vorrei anche dire che il mio essere donna e madre mi consente di sperare – anzi, direi di spingere e di sperare fortemente – che la gente e che tutti comprendano subito che questa attuale modernità è la più bieca forma di relativismo culturale e antropologico che si possa immaginare, è una aberrazione che, paradossalmente, nel ricercarla, nega la vita come concetto assoluto. Commissionare un figlio e cancellare ogni forma di identità soggettiva dell'individuo è rendere un soggetto, in maniera automatica, oggetto. Non tutto si può comprare, evidentemente, e ci deve essere il rifiuto collettivo e, a mio avviso, universale, come appunto stiamo dicendo, a legittimare una pratica così disgustosa ed eticamente deplorevole e contro natura.
Ecco perché, con questa mozione, Forza Italia chiede il preciso impegno del Governo affinché si faccia portavoce, in tutte le sedi internazionali, al fine di richiedere il rispetto da parte dei Paesi firmatari delle convenzioni internazionali per la protezione dei diritti umani e del bambino e perché promuova la messa al bando universale di tutte le forme di legalizzazione della maternità surrogata, attraverso l'adozione di un'apposita convenzione internazionale, per sancire definitivamente i principi di indisponibilità del corpo umano e della protezione della vita e dell'infanzia.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Roccella, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01218. Ne ha facoltà.
EUGENIA ROCCELLA. Grazie, Presidente. Sulla maternità surrogata, in questo periodo, per fortuna c’è un'attenzione molto più acuta a livello internazionale, perché è un fenomeno in espansione e perché porta con sé le trasformazioni più significative della rivoluzione antropologica in atto, oltre a enormi problemi di armonizzazione delle diverse legislazioni nazionali. Se scavalchiamo il tentativo di addolcire o di velare la sostanza della procedura e cerchiamo di descrivere in che cosa effettivamente consiste, dobbiamo ammettere che si tratta semplicemente di una forma di cessione di un neonato, a seguito di un contratto, in cambio di una somma di denaro, ovvero di una compravendita. Eppure, quella che a tutti gli effetti si configura come una compravendita di un neonato, in questo caso viene considerata diversamente e chiamata in modi differenti: maternità surrogata, utero in affitto, gravidanza per conto terzi, gravidanza di sostegno, eccetera.
La forma più diffusa del fenomeno è la surroga gestazionale, cioè quando l'ovocita viene fornito da una donna diversa da quella che porta avanti la gravidanza e, quindi, il bambino che nasce non ha alcun legame genetico con chi lo ha partorito. Per la prima volta nella storia dell'umanità si trovano a coesistere due figure materne di tipo biologico, in realtà tre con la nuova sperimentazione in atto in Inghilterra sulla manipolazione dell'ovocita. Comunque, si tratta della madre genetica, che ha fornito gli ovociti, e di quella gestazionale, che porta avanti la gravidanza e partorisce.
E solo un contratto stipulato fra tutte le parti in causa stabilisce chi è la madre legale, che può essere anche una terza persona senza alcun legame biologico con il bimbo. È evidente che questa scissione avviene perché così nessuna delle due donne potrà rivendicare per sé il neonato.
L'assurdità di questa frammentazione si rivela soprattutto quando non c’è un contratto e, quindi, si è rivelata, per esempio, in modo clamoroso nel caso dello scambio degli embrioni all'ospedale Pertini di Roma. In quel caso si trattava di un errore, quindi non c'era un contratto che potesse sciogliere il dilemma etico su chi fosse la madre, quindi la palla è passata al giudice: è stato il giudice a dover decidere chi era la madre. L'ha deciso in base alla legislazione italiana, che è molto chiara e dice che la madre è quella che ha partorito. Però, in realtà, è una legislazione che è data da prima delle nuove forme di Pag. 32procreazione assistita e dell'introduzione dell'eterologa e ha lasciato un sapore amaro in bocca, un qualcosa di non compiuto. Infatti, tanti giuristi hanno criticato la sentenza, che però era in qualche modo inevitabile. Infatti, in quel caso il problema era: qual è la madre ? Qual è ? Nessuna delle due rinunciava al proprio diritto di genitore e nessuna delle due era disposta, in realtà, alla compravendita. Qual è più madre ? Esiste una possibilità di dire chi è più madre fra chi ha fornito il patrimonio genetico, cioè la mamma a cui probabilmente il bambino assomiglierà, e quella, invece, che è madre perché ha tenuto per nove mesi in grembo un bambino ? Questo dilemma, che si è posto con grande evidenza in quel caso, è il dilemma reale di questa nuova frammentazione della maternità.
Soltanto l'assenza di un rapporto sessuale, di una relazione personale, permette di stabilire una distinzione fra il commercio di neonati, sanzionato ovunque, e una pratica come l'utero in affitto, che, invece, è sempre più diffusamente consentita o comunque tollerata e che si differenzia dalla compravendita di minori solo per via dell'intervento medico in sostituzione del concepimento naturale. Se, invece di un utero in affitto, fosse semplicemente frutto di una relazione sessuale, sarebbe una compravendita e questo sarebbe sicuramente sanzionato. La fecondazione asessuata, infatti, sia mediante inseminazione che per formazione di embrioni in laboratorio, separa il concepimento del nuovo essere umano dalla relazione fra un uomo e una donna, interrompendo anche la dipendenza dell'embrione, nei primi giorni della propria esistenza, dal corpo di ciascuna delle madri biologiche.
Mediante queste tecniche, quindi, è possibile realizzare una sorta di autonomia, di solitudine se vogliamo, dell'embrione, separandolo dal corpo della donna. In questo modo diventa un mero prodotto manipolato e tenuto in vita mediante l'intervento di un tecnico specializzato. In sostanza, viene reificato e considerato oggetto, quindi è possibile renderlo merce grazie a un'azione legale. L'embrione ridiventa figlio solo quando è commissionato da qualcuno, non ha qualità umana in sé, non è inserito in un tessuto di relazioni, ma torna a essere umano solo quando un adulto lo riconosce come proprio e lo vuole come figlio.
Quindi, la prima caratteristica della surroga è quella di introdurre un nuovo concetto di genitorialità: si è genitori quando si ha l'intenzione di avere un bambino. Io credo che il problema sia proprio il nuovo paradigma della filiazione. Sono certa che altri colleghi e colleghe parleranno, invece, del nuovo sfruttamento delle donne povere, assai spesso di Paesi terzi, nei contratti di utero in affitto. Si tratta di donne che firmano contratti capestro, mettendo a disposizione di altri il proprio corpo per motivi di sopravvivenza economica. Ma penso che il punto fondamentale, il meno esplorato, è quello del nuovo paradigma della filiazione, che cambia in modo radicale. Il figlio ormai è un oggetto, anche prezioso, ma reperibile sul mercato; un oggetto che risponde a requisiti di mercato, cioè deve esserne garantita la buona qualità ed è commissionato su richiesta e a misura dei desideri di chi ci mette i soldi.
Ecco, credo che il legislatore e chi, come noi, ha la responsabilità di rappresentare il popolo italiano abbiamo il dovere di riflettere e di aprire un dibattito su questo punto prima di legiferare e soprattutto nel momento in cui si toccano, in questo Parlamento, temi come le unioni civili, le adozioni, la fecondazione eterologa, quindi gli aspetti della nuova filiazione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rondini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01226. Ne ha facoltà.
MARCO RONDINI. Grazie, Presidente. Il legislatore, già nel 2004, con l'approvazione della legge n. 40, aveva fissato il divieto della pratica della maternità surrogata. L'articolo 12, comma 6, della legge del 2004 ha sancito che chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione dei gameti Pag. 33o degli embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600 mila a un milione di euro.
Fa riflettere, però, che comunque queste sanzioni previste dalla legge non siano applicate e che le coppie italiane che fanno ricorso all'utero in affitto all'estero non siano sanzionate in alcun modo.
Fa riflettere ancora di più che personaggi pubblici noti anche per i loro incarichi di responsabilità politica istituzionale abbiano reso palese, attraverso i canali mediatici, di aver violato la legge, avallando così la tesi di una impunità di fatto. Appare irragionevole come il Parlamento e il Governo, al fine di chiarire l'appartenenza della materia alla sfera tipica della discrezionalità legislativa, non abbiano mai sollevato un conflitto di attribuzione nei confronti di sentenze dove l'autorità giudiziaria ha proceduto all'autoproduzione della disposizione normativa, introducendo di fatto il riconoscimento della stepchild adoption, anche in casi di ricorso alla maternità surrogata.
Avvertiamo che sta accadendo qualcosa di poco chiaro, che ci sono forze che utilizzano strategie articolate per giungere al proprio obiettivo. L'obiettivo è quello di sempre, quello antico, di scardinare le tradizioni e l'identità culturale, sociale e religiosa della nostra comunità. Una strategia più volte collaudata, che si fonda sulla reiterazione della menzogna, sullo sfruttamento di singoli casi che non possono non colpire la sensibilità umana, sul bombardamento mediatico e sull'imposizione di uno standard culturale che si vorrebbe imporre.
L'accelerazione dei fenomeni di degenerazione nell'educazione sfocia oggigiorno in un vero e proprio allarme educativo. Sempre più in modo repentino si diffonde un pensiero unico laicista, che trova sostegno anche in iniziative legislative irragionevoli. Alcune amministrazioni comunali, ad esempio, hanno approvato proposte finalizzate a cancellare dai documenti ufficiali la definizione di padre e madre, per sostituirla con espressioni quali «genitore 1» e «genitore 2», oppure «genitore richiedente» e «altro genitore». Ecco, rientrano in questa strategia anche iniziative legislative di questo tipo.
Fa riflettere pensare che coloro che sostengono che sia giusto anteporre la libertà di scelta della donna rispetto alla tutela della vita nascente siano gli stessi che, da un lato, magari si impegnano affinché, ad esempio, si preveda anche per legge che i cuccioli di animali non debbano essere separati dalle proprie madri, e, dall'altro lato, vogliono che il desiderio alla genitorialità sia riconosciuto senza alcun limite e che si possa realizzare anche attraverso la compravendita dell'utero di donne disperate.
Ecco, con l'ampliamento, poi, determinato dal Trattato di Maastricht, delle competenze e degli obiettivi comunitari anche al di là di quelli strettamente mercantilistici, sono però apparse evidenti e non più trascurabili le interferenze tra la realizzazione del mercato unico e la disciplina dello status delle persone e dei rapporti di famiglia. Così, pur sempre difettando di una diretta competenza comunitaria a regolare sul piano sostanziale tale tipo di rapporti, l'azione delle istituzioni ha assunto una crescente incidenza sul diritto di famiglia, sino a condizionare pesantemente la disciplina vigente nei singoli Stati membri.
Ad una prima fase contrassegnata dall'emanazione di atti non vincolanti, specialmente del Parlamento europeo, quali, ad esempio, le numerose risoluzioni in materia di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali degli individui, tra cui quelle sulla parità dei diritti per gli omosessuali, è seguita una seconda fase in cui l'impatto del processo di integrazione europea è andato facendosi sempre più pregnante, sia per la natura degli atti, che hanno assunto la forma di strumenti comunitari vincolanti, sia per le finalità perseguite.
In questa Europa, dove prevalgono esclusivamente la ragione economica, una politica interna occasionale e una politica estera ondivaga, la difesa della sovranità nazionale su temi di tale rilevanza politica deve essere considerata per noi una priorità. Le decisioni prese in Europa non Pag. 34possono condizionare in alcun modo il diritto alla sovranità nazionale di ogni Stato membro di legiferare in piena autonomia in ambiti etici di tale importanza. Notizie che apparentemente possono essere colte come segnali positivi vanno considerate sempre nel loro complesso come vere e proprie ingerenze su tematiche che non devono essere affrontate da questa Europa, incapace ad oggi di riconoscere le sue stesse radici.
La pratica disumana della maternità surrogata o utero in affitto, che rappresenta la mercificazione dei bambini e lo sfruttamento del corpo delle donne, deve essere condannata come un crimine nei confronti dell'umanità. E noi è quello che chiediamo nei nostri impegni.
In questa occasione, però, riteniamo che sia necessario anche con coerenza ricordare come qualsiasi intervento legislativo volto a garantire il rispetto delle donne nell'esercizio dei loro diritti, al fine di raggiungere una piena pari opportunità, non è nulla se si contrappone nei fatti ad un totale disinteresse delle istituzioni dinanzi a casi di recrudescenza di una violenza sistematica e sistemica nei confronti delle donne, umiliate e sfruttate attraverso pratiche orribili, come il ricorso alla maternità surrogata.
E, quindi, noi abbiamo posto in calce a queste brevi premesse alcuni impegni che, nella versione originale, avevamo sviluppato in quattro impegni: a farsi promotore, il Governo, in tutte le sedi competenti, di una moratoria internazionale della pratica disumana della maternità surrogata; ad assumere tutte le iniziative di propria competenza per far sì che possano essere applicate le sanzioni previste dalla legge n. 40 del 2004 per la surrogazione di maternità; a promuovere una maggiore consapevolezza e a sottolineare l'importanza della salute riproduttiva come uno strumento chiave in materia di salute globale e sviluppo negli incontri e nei forum internazionali di alto livello politico; a rivendicare, nel rispetto della sovranità nazionale, la propria autonomia decisionale, non recependo in alcun modo condizionamenti dall'Europa in contrasto con l'interesse del concepito e del minore ad avere una famiglia, che in nessun modo può essere contrapposto al desiderio di genitorialità.
Ebbene, cosa succede ? Succede che poi i nostri quattro impegni diventano tre. Diventano tre perché, per prassi, il parere dell'ufficio del sindacato ispettivo, supportato naturalmente dalla Presidenza, decide che la nostra mozione non sarebbe stata abbinabile se avessimo mantenuto gli ultimi due impegni. Ecco, noi crediamo che questa sia in realtà una scusa. Dietro questioni di prassi e questioni tecniche si nasconde, secondo noi, una direzione politica ben chiara data da questa Presidenza della Camera. Noi riteniamo che sia una cosa inaudita. Al potere discrezionale della Presidenza bisogna secondo noi porre un freno, porre dei limiti oltre i quali non può andare. La Presidenza della Camera non dovrebbe incidere sulla direzione politica degli atti presentati dai singoli parlamentari, impedendo di affrontare punti importanti e fondamentali come quelli che erano riassunti negli ultimi due nostri impegni.
Noi riteniamo che questa sia veramente una cosa inaudita e troviamo ancora più inaudito promuovere iniziative come questa, che di fatto censurano la possibilità del nostro gruppo parlamentare di poter chiedere il parere del Governo su una questione importante come quella riassunta, come dicevo prima, in particolare nel nostro ultimo impegno. Noi riteniamo che, su materie che hanno un profondo significato etico, l'Europa non possa assolutamente condizionare le scelte dei singoli Stati.
Invece, naturalmente, come dicevo prima, una questione tecnica, una questione di prassi diventa strumento di una volontà politica ben precisa e, cioè, quella, sì, magari di impegnare il Governo a promuovere una moratoria nei confronti di questa pratica aberrante qual è l'utero in affitto, ma magari non volendo prendere posizione su una questione più delicata e, cioè, ribadendo ancora una volta che su questioni etiche così importanti la sovranità nazionale dovrebbe essere salvaguardata.Pag. 35
La Presidenza della Camera è espressione di una sinistra, ma di una sinistra che, secondo noi, si è smarrita completamente perché espressione di una sinistra che naturalmente vorrebbe agevolare nei fatti le pratiche dell'utero in affitto. Infatti, vale la pena ribadire e sottolineare che il politicamente corretto è riuscito anche a cambiare le carte in tavola e a far sì che si parlasse di maternità surrogata in luogo di un più chiaro riferimento alla pratica che dovrebbe essere definita «utero in affitto», che nella sua crudezza ci fa capire quale incredibile cosa invece si vorrebbe avallare.
La Presidenza della Camera fa parte di quell'ambiente che di fatto vorrebbe agevolare pratiche di questo tipo: basti pensare a chi ha fatto ricorso a questa pratica aberrante e poi è riuscito anche a vantarsene sui giornali, l'amico della Presidenza della Camera, Nichi Vendola. A una sinistra che ha smarrito la propria ragione sociale e che in questi giorni promuove il riconoscimento, come monumento nazionale, della Casa Museo Gramsci, vale la pena ricordare quello che diceva Gramsci proprio riferendosi alla mercificazione dei corpi: «Il dottor Voronoff ha già annunziato la possibilità dell'innesto delle ovaie. Una nuova strada commerciale aperta all'attività esploratrice dell'iniziativa individuale. Le povere fanciulle potranno farsi facilmente una dote. A che serve loro l'organo della maternità ? Lo cederanno alla ricca signora infeconda che desidera prole per l'eredità dei sudati risparmi maritali. Le povere fanciulle guadagneranno quattrini e si libereranno di un pericolo. Vendono già ora le bionde capigliature per le teste calve delle cocotte che prendono marito e vogliono entrare nella buona società. Venderanno la possibilità di diventar madri: daranno fecondità alle vecchie gualcite, alle guaste signore che troppo si sono divertite e vogliono ricuperare il tempo perduto». Bene, questo era il richiamo che faceva Antonio Gramsci contro...
PRESIDENTE. Concluda.
MARCO RONDINI. ... la mercificazione dei corpi e contro la pratica sicuramente aberrante dell'utero in affitto. La sinistra di oggi non ritrova più sicuramente in Antonio Gramsci un punto di riferimento, perché ha smarrito la propria ragione sociale e anche il senno.
PRESIDENTE. Onorevole Rondini, mi corre l'obbligo, a nome della Presidenza, di fare due precisazioni. La prima intanto, di carattere generale: ella può argomentare quello che crede e sostenere le più profonde convinzioni che ritiene di dover partecipare in quest'Aula, ma non può permettersi di attaccare la Presidenza e di attaccare la Presidenza dicendo che la Presidenza ha un atteggiamento fazioso. La Presidenza è garanzia di imparzialità per tutti, sia rappresentata dalla Presidente Boldrini, che è Presidente di quest'organo, sia quando a rappresentare la Presidenza ci siamo noi, Vicepresidenti.
In particolare, il perimetro di determinazione del tema che riguarda le mozioni è dato dalla mozione madre e la Presidenza, non in un caso specifico, ma sempre, si attiene a questo principio e ai precedenti che ci sono. Anche in questa circostanza si è attenuta al principio base e ai precedenti che ci sono. Come lei ben sa, la riformulazione che è stata chiesta al suo gruppo è stata accolta dal suo gruppo ed è proprio in relazione alle questioni relative all'abbinabilità che non ci possono essere temi diversi da quelli stabiliti dal perimetro della mozione madre.
In relazione ad altri argomenti che non sono stati considerati abbinabili, chiaramente il suo gruppo ha facoltà di presentare mozioni di tipo diverso, su temi diversi e di chiederne la calendarizzazione all'interno della Conferenza dei presidenti di gruppo.
Questo, però, non le permette, onorevole Rondini, né a lei né a nessun altro, di poter accusare la Presidenza di un atteggiamento politico, perché la Presidenza non è soltanto rappresentata dalle idee personali della Presidente Boldrini, la Presidenza è rappresentata esattamente da chiunque sia qui a garantirla e dagli uffici che, per loro definizione, sono imparziali.Pag. 36
Di fronte a questo atteggiamento e ai precedenti, lei può polemizzare con posizioni personali di singoli componenti che volta per volta siedono su questo scranno, ma non può accusare la Presidenza in quanto tale di avere un atteggiamento parziale o addirittura obliquo rispetto a certi temi, né accusare altri esponenti politici di essere più o meno amici della Presidenza, perché la Presidenza in quest'Aula, per fortuna, è amica di tutti o, se si vuole, per altri aspetti, amica di nessuno, ma non fa discriminazioni tra un gruppo e l'altro, tra un tema e l'altro, ma si attiene semplicemente ai precedenti.
È iscritta a parlare l'onorevole Giuliani. Ne ha facoltà.
FABRIZIA GIULIANI. Signor Presidente, colleghi – ho scelto il microfono meno adatto – vorrei intervenire per dare il mio contributo a una discussione su una materia che so molto delicata e complessa. Non è retorica e credo infatti che per poterla affrontare in modo adeguato sia necessario accostarsi ad essa con il rispetto e la conoscenza necessari – mi rivolgo all'uscente Rondini – evitare toni impropri e tante polemiche alle quali abbiamo assistito nei mesi scorsi e dei quali non avevamo davvero nessuna nostalgia. Soprattutto ritengo che questa materia vada distinta da questioni alle quali è stata, anche per ragioni politiche se vogliamo, sovrapposta la questione delle unioni civili, la cosiddetta polemica relativa al gender, perché appunto questo porta solo a mancare di rispetto alla qualità della questione stessa e soprattutto al filo che si deve ritrovare. Non ci dobbiamo stupire, ogni volta che la bioetica irrompe nel dibattito politico, portando all'attenzione del legislatore questioni inedite, che attengono a nuovi modi di nascere, di crescere, di curarsi e di morire, il rischio è di perdere l'equilibrio e per equilibrio intendo la razionalità necessaria a sostenere il confronto che dovrebbe precedere ogni azione legislativa, che è necessariamente accordo e sintesi. Occorre tenere l'equilibrio, lo ricordava a proposito la senatrice Finocchiaro nel corso di una discussione su un'analoga materia al Senato, quando il Partito Democratico ha presentato appunto una mozione tesa a contrastare la legalizzazione della maternità surrogata a livello sovranazionale. Io credo che appunto per arrivare nel modo migliore a una discussione come questa occorra in prima istanza misurarsi con le proprie convinzioni più profonde. Le riflessioni che io porto posso dire che nascono dallo scambio e dal dialogo su terreni politici, dallo studio certamente ma soprattutto da un'elaborazione profonda della mia esperienza privata e pubblica della maternità. Pronunciarsi sulla maternità surrogata richiede in primis che se ne dia una definizione, non solo perché la lingua può coprire, storpiare, o rendere giustizia delle questioni, che siano cose o concetti, alle quali rinvia, ma perché occorre anche intendersi sui concetti stessi. Per maternità surrogata si intende una pratica fondata sulla disponibilità di una donna, è una pratica che presuppone la sua disponibilità a perseguire e realizzare progetti di genitorialità decisi da altri, impegnandosi prima dell'inizio della gestazione a consegnare il neonato a un genitore o una coppia di genitori committenti. Questa tecnica – non è un dettaglio medico – si attua mediante l'impiego di un embrione prodotto con fecondazione in vitro, i gameti che generano l'embrione possono appartenere sia agli individui coinvolti nella pratica che a donatori esterni. Nei casi più ricorrenti, l'ovocita non appartiene alla donna incaricata di portare a termine la gravidanza, in ragione dell'esigenza propria del contratto di rescindere i legami tra la gestante e il nascituro. Le ragioni della mia contrarietà alla maternità surrogata, contrarietà condivisa dai pronunciamenti di molti dei vertici più alti del Partito Democratico, a cominciare dal suo segretario, ed è una condivisione che non deve in alcun modo meravigliare dato il DNA politico e culturale del Partito Democratico – ma su questo voglio tornare in chiusura – poggiano sulla convinzione che questo fenomeno configuri un arretramento profondo Pag. 37sul terreno della dignità della persona umana e dei diritti di ciascuna bambina e di ciascun bambino, in altre parole un arretramento di civiltà. Dico cosa intendo per civiltà: intendo lo spirito che ha portati i padri costituenti dell'Europa ad evocare il rifiuto kantiano di ridurre gli esseri umani, tutti, uomini e donne, a mezzo, ma per civiltà intendo il riconoscimento, l'assunzione del cammino della libertà femminile, le conquiste di cittadinanza fatte dalle donne che hanno modificato così profondamente e positivamente i nostri equilibri democratici. La democrazia dei nostri Paesi avanzati è tale grazie all'emancipazione delle donne da una distinzione funzionale che per secoli le ha condannate alla funzione domestica, sessuale e procreativa, emancipazione intesa come possibilità di affrancarsi da una condizione di disponibilità incondizionata, disponibilità a realizzare i bisogni e i desideri degli altri, per proseguire, come donne, i propri disegni di vita e soprattutto per partecipare alla vita pubblica, progettarla e costruirla.
Poi c’è un secondo aspetto che non può essere ignorato per chi viene da una storia come la mia, come quella della nostra forza politica, da una storia di sinistra, ossia che con la maternità surrogata il mercato entra, con tutti e due i piedi, in modo molto prepotente – a meno che la politica non sia in grado di contrastarlo con efficacia, non sia più forte delle pressioni di questo gigantesco giro di affari e dico che io sono e noi siamo qui per questo – in una zona delicatissima, scomponendo l'unità della relazione materna, costituita dai momenti scanditi dalla gravidanza, dal parto e dal bambino, in segmenti indipendenti. Porta alla perdita di senso affettivo, culturale e simbolico di quell'evento umano, che è la maternità, e della nascita e consente così la loro mercificazione come cose. E aggiungo che le donne ci hanno messo millenni per non ridurre la maternità a un puro fatto biologico. Questo comunque consente la riduzione dei corpi a merce, l'uso del potere procreativo femminile per generare i bambini, destinati allo scambio, assai spesso economico, uno scambio che si gioca su scala mondiale. Non si tratta mai di un gioco paritario: le donne non mettono a disposizione un organo, ma la loro vita. Non c’è contratto che non esiga l'assoggettamento ad una disciplina specifica che riguarda l'alimentazione di queste donne, la loro vita sessuale, la qualità della loro vita sessuale, la mobilità, che non contempli appunto la richiesta persino di interrompere la gravidanza, se qualcosa va storto. Tutto questo è inserito in un sistema globalizzato di produzione, che comprende cliniche, avvocati e intermediazione. Il rapporto tra le donne e i committenti non è mai un rapporto uguale, non è, fuor di metafora, uno scambio tra signori e benestanti – non parliamo di chi vive a Manhattan sulla Quinta Strada – ma di una domanda che preme dove c’è bisogno e spesso dove c’è miseria. Parlare di diritti o di espansione di diritti in un mercato dove girano centinaia di migliaia di euro io lo trovo francamente surreale.
C’è un altro punto poi che a mio avviso è decisivo: io credo che il corpo non sia qualcosa di cui si può disporre in toto, vendendone o comprandone parti: la conoscenza dei progressi della scienza, la psicoanalisi, la cultura propria delle società più avanzate e pluraliste ci dicono che il corpo non è una cosa, qualcosa che ci portiamo dietro, ma è ciò che siamo, è la condizione della nostra esistenza e qui nella fattispecie non è in gioco un organo alienabile, ma una relazione che consente a una vita di svilupparsi; non è mistica, ma è scienza, esperienza e cultura.
Non ci deve stupire quindi – e vengo così ai riferimenti giuridici e ai pronunciamenti europei – che la pratica sia vietata in larga parte dei Paesi dotati dei più avanzati quadri giuridici, come la Germania, la Francia, la Spagna e il Portogallo, consentita se gratuita, con un articolato livello di restrizioni in un numero di Paesi, come il Canada, l'Inghilterra e altri, in alcuni Paesi degli Stati Uniti, e largamente assunta in Paesi segnati da profonde diseguaglianze sociali, come l'India, il Nepal o la Thailandia. Non Pag. 38è un caso che relazioni recenti abbiano mostrato un incremento diffuso di tale pratica, documentando il flusso della domanda verso i Paesi che ne consentono l'attuazione a condizioni economiche e giuridiche più avanzate – ci si affida insomma al buon cuore di chi lo fa – e più vantaggiose per i committenti, ivi inclusi accordi che valicano i confini nazionali. Credo che sia per queste stesse ragioni che lo scorso 15 marzo 2016 la Commissione affari sociali del Consiglio d'Europa ha respinto la relazione cosiddetta De Sutter, «Diritti umani e problemi etici legati alla surrogacy», volta a legalizzare la maternità surrogata nei 47 Stati membri. Questa richiesta è stata respinta, del resto il voto del Consiglio d'Europa segue quello del Parlamento europeo, che in assemblea plenaria, il 15 dicembre del 2015, aveva condannato la pratica della maternità surrogata all'interno del rapporto annuale sui diritti umani.
Vado a concludere. Voglio ricordare ancora che, a sostegno di questi pronunciamenti, c’è una larga mobilitazione internazionale, guidata da uomini e donne, che gira un po'in tutto il mondo. Dicevo a proposito del Partito Democratico che non bisogna stupirsi che il Partito Democratico abbia queste posizioni: la cultura politica che ispira il PD è frutto di una originale elaborazione di tradizioni diverse che hanno costruito l'ossatura della storia della democrazia italiana e sono state alla base della scrittura della Carta costituzionale e anche di quelle che sono venute dopo.
Si è affermata, e anzi spicca tra queste, la cultura delle donne, oltre a quella ambientalista. Il principio ispiratore che ha orientato queste mescolamento e rielaborazione è l'affermazione e la difesa della dignità della persona umana, non in astratto, ma nella sua storica e determinata situazione, a cominciare dalla sua appartenenza sessuale, oltre che l'affermazione di un'idea di libertà non schiacciata sul mercato.
È evidente che con la maternità surrogata ci troviamo davanti a una pratica che mette in discussione questi pilastri. Per questo, auspico che il Partito Democratico si impegni in una mozione che impegni il Governo ad invocare, nelle forme e nelle sedi più opportune, il pieno rispetto da parte dei Paesi che ne sono firmatari, delle convenzioni internazionali per la protezione dei diritti umani e del bambino, contrastando, sia sul piano interno, che sovranazionale, qualunque forma di legalizzazione della maternità surrogata.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bergonzi. Ne ha facoltà.
MARCO BERGONZI. Grazie, Presidente, colleghi. Per maternità surrogata, altrimenti detta gestazione per altri, si intende una pratica fondata sulla disponibilità di una donna a perseguire e realizzare un progetto di genitorialità altrui, impegnandosi prima dell'inizio della gestazione a consegnare il neonato a un genitore o a una coppia di genitori committenti. La pratica è vietata in larga parte dei Paesi europei, quali Svezia, Norvegia, Finlandia, Germania, Austria, Francia, Spagna e Portogallo, consentita se gratuita e con un articolato livello di restrizioni, in un numero limitato di Paesi occidentali, come Canada, Inghilterra, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca, Australia e alcuni Stati USA e dell'est Europa, come Armenia, Georgia, Ungheria, Bielorussia, Ucraina e Russia, ammessa in Asia, India, Nepal, Thailandia e Hong Kong e in Sudafrica.
Tale documentazione evidenzia l'inserimento della maternità surrogata in un sistema di produzione, gestito da agenzie di intermediazione, in cui il processo della gestazione del neonato è oggetto di sfruttamento. La maternità surrogata e tutte le implicazioni che questa pratica comporta sono temi certamente complessi e delicati, sia da un punto di vista etico, che da un punto di vista giuridico, ma dobbiamo lavorare insieme perché si prenda una posizione netta e in un'unica direzione: la messa al bando di tale pratica, proprio mediante un trattato internazionale.
Lo dico, dopo che i nostri colleghi del PD in Commissione affari sociali, presso il Pag. 39Consiglio d'Europa, con il loro voto, hanno affossato il «rapporto De Sutter» sulla regolamentazione della maternità surrogata, poiché in palese contraddizione con le direttive dell'Unione europea in fatto di diritti umani e dopo che, nello stesso gruppo Socialista europeo, sono state avanzate perplessità da parte di numerosi membri sull'impostazione data.
Il 5 aprile 2011 è stata infatti approvata la risoluzione sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico nell'Unione europea in materia di lotta alla violenza contro le donne, in considerazione delle disposizioni e degli strumenti giuridici dell'ONU in materia di diritti umani, in particolare quelli concernenti i diritti delle donne, quali la Carta dell'ONU, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. In questa risoluzione viene espressamente condannata la pratica della maternità surrogata e questo concetto è ribadito nella relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo del 2014, adottata dall'Unione europea lo scorso novembre.
Vi sono poi le risoluzioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 12 dicembre 1997, dal titolo «Misure in materia di prevenzione dei reati e di giustizia penale per l'eliminazione della violenza contro le donne», del 18 dicembre 2002, dal titolo «Misure da prendere per l'eliminazione dei diritti contro le donne commessi in nome dell'onore», e del 22 dicembre 2003, intitolate «Eliminazione della violenza domestica nei confronti delle donne» e le relazioni dei relatori speciali e dell'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, nonché la raccomandazione generale n. 19, adottata dalla Commissione per l'eliminazione della discriminazione contro le donne.
Le dichiarazioni adottate alla piattaforma di Pechino, durante la quarta Conferenza mondiale sulle donne (15 dicembre 1995) e le risoluzioni del Parlamento del 18 maggio 2000 sul seguito dato alla piattaforma d'azione di Pechino e del 10 marzo 2005 sul seguito della quarta Conferenza mondiale sulle donne hanno richiesto ufficialmente agli Stati membri di riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili. Il principio della non commercializzazione del corpo umano e delle sue parti è inoltre espressamente sancito dall'articolo 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che stabilisce letteralmente il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti, in quanto tali, una fonte di lucro.
Preso atto della letteratura giuridica in materia, partiamo dal presupposto che la maternità non è un diritto, tanto più a tutti i costi, e credo che questa espressione debba essere presa alla lettera.
Perfino la relazione parte da questo presupposto, salvo poi legittimare la sua regolamentazione in nome della tutela dei diritti dei bambini nati da questa forma di maternità. Questo approccio, a mio modo di vedere, trasla il focus del problema sul piano di una logica consequenziale che, in nome di un approccio realista alla questione – il fenomeno esiste e sta diventando sempre più massiccio –, non tiene conto del paradosso giuridico e ontologico a cui va incontro: la maternità non è un diritto assoluto da rivendicare ad ogni costo, nella misura in cui, come nota Michel Onfray, filosofo francese ateo, anarchico e di sinistra, in una recente intervista contro la maternità surrogata dice: «La nascita di un bambino è quella dell'essere più vulnerabile, perché il bambino non ha mai chiesto di nascere. È proprio su questo, come già osservava Immanuel Kant nella sua Metafisica dei costumi, si fonda il suo diritto. I corpi in questione non sono solo quelli dei genitori committenti e quelli dell'eventuale madre surrogata ma, anche e soprattutto, quello del bambino, che diviene, scientemente e in maniera del tutto programmata, oggetto di un contratto di produzione e scambio».
Lui sostiene che in un mondo ideale degli amici, senza mai farne una questione di denaro, potrebbero portare in sé il bambino altrui non in una logica contrattuale ma obbligatoriamente affettiva. Ma per farne questo le parti in gioco in questa Pag. 40avventura dovrebbero conoscersi prima, durante e dopo; dovrebbe esserci un legame affettivo e sentimentale tra tutte le persone coinvolte – bambino compreso, ovviamente –, ma la realtà è molto diversa e i progetti di legge sulla maternità surrogata ignorano l'affettività, il sentimento, la costruzione della personalità e della soggettività del bambino, a partire dall'ambiente che lo vuole e lo costituisce e io aggiungo che la realtà della mercificazione del vivente non può essere ridotta alla semplice monetizzazione del corpo di una madre e dell'eventuale bambino. Le motivazioni vanno ben oltre la monetizzazione dei corpi, che pure esiste vuoi anche per il risarcimento di eventuali danni al corpo della madre gestante o come rimborso spese. La reificazione del corpo e della psiche del bambino vanno di pari passo alla reificazione del corpo e della psiche della madre surrogata, anche nell'ipotesi della volontarietà della prestazione – definire aprioristicamente la relazionalità genitoriale tra bambino e madre –, come del resto è abominevole l'eventuale rinuncia dei genitori committenti a farsi carico di un neonato disabile o, ancor peggio, costringere la donna ad un aborto terapeutico, con tutto quel che ne consegue, perché la responsabilità sul bambino è ceduta completamente ai genitori committenti.
Troppe sono le componenti e le variabili che fanno decisamente propendere a non considerare l'esperienza della gestazione materna come un processo meramente meccanico, passibile di contrattualizzazione prioritaria. Dunque, mi sento di sposare la tesi di Onfray quando afferma: «Essere libertari non va confuso con essere liberali o liberisti. Il libertario vuole che il regno della libertà sia più esteso possibile, ma la libertà non è la licenza. La libertà resta banalmente la possibilità di ciò che non nuoce agli altri, nella misura in cui gli altri non abbiano però deciso che io nuoccio a loro per il semplice fatto di esistere. La licenza è il fatto di fare ciò che vogliamo, quando vogliamo, come vogliamo. La licenza è liberticida».
Cari colleghi, su questo tema si sono saldati tanti mondi fino a costituire un fronte del no che dai movimenti femministi ai movimenti cattolici ritiene giustamente che non è che siccome questo fenomeno esiste debba essere regolamentato. Noi siamo qui oggi a prendere consapevolezza rispetto al percorso che va fatto per mettere al bando a livello internazionale questa pratica e per evitare di trovarci a dover tutelare i minori che, del tutto a loro insaputa e senza nessuna responsabilità, si trovano a vivere un'esperienza paradossale, non di ciò che può accadere nella vita di ciascun uomo e di ciascuna donna ma frutto di un percorso di produzione e scambio. Come la nostra collega, Anna Finocchiaro, ha ben detto, «si tratta di bambini destinati ad essere prodotti da madri surrogate su commissione per essere destinati allo scambio». Questo è il punto.
Per questo credo che sia utile e doveroso che il Parlamento prenda una posizione netta di condanna di questa aberrante pratica e si faccia promotore, in tutte le sedi nazionali e internazionali, di iniziative volte a sostenere la creazione di un percorso per la messa al bando di questa pratica.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Michela Marzano. Ne ha facoltà.
MICHELA MARZANO. Grazie, Presidente. In questo dibattito abbiamo sentito definire questa pratica – dico questa pratica perché cercherò poi di spiegare che si tratta di pratiche e non di una pratica al singolare – come immorale, aberrante, disumana, abominevole, contraria alla dignità umana, una pratica in cui ci sarebbe la disponibilità incondizionata da parte della donna del proprio corpo, una pratica di sfruttamento del corpo umano, l'inserzione del mercato all'interno della genitorialità, della maternità e della paternità.
Ebbene, signor Presidente, di cosa stiamo parlando esattamente ? E faccio questa domanda non perché sia retorica ma perché, avendo ascoltato i colleghi e le colleghe, mi viene veramente da chiedermi Pag. 41di che cosa stiamo parlando. Tutte queste mozioni presentate e quelle che saranno ancora presentate parlano di una serie di pratiche: si parla di maternità surrogata, si parla di «utero in affitto», si parla di gestazione per altri. Termini diversi, che rinviano anche a pratiche leggermente diverse. Quindi, noi dovremmo forse anche intenderci su cosa esattamente parliamo quando parliamo di gestazione per altri, di «utero in affitto», di maternità surrogata. È necessario, quindi, distinguere per non aumentare la quantità di confusione e di sofferenza che c’è nel mondo, come avrebbe detto Albert Camus, il quale ha ben spiegato che prima di affrontare qualunque tipo di problema le cose del mondo andrebbero nominate in maniera chiara, proprio perché altrimenti non si fa altro che aumentare la quantità di disordine e di sofferenza.
Iniziamo, allora, con il distinguere ciò che è distinguibile; per esempio, distinguere la gestazione per altri lucrativa dalla gestazione per altri altruistica. E per quale motivo parto da questa distinzione fondamentale ? Perché un conto è parlare di remunerazione, di alta remunerazione, di commerciabilità del corpo umano, come effettivamente accade in alcuni Paesi, altro conto è parlare di questa pratica che permette a una coppia di poter avere un bambino, laddove si sia in presenza di sterilità o di un'impossibilità. Le impossibilità – io lo ricordo ai colleghi – talvolta nella vita sono molteplici e non è la semplice capacità biologica che si trasforma automaticamente in capacità genitoriale (ma questo era un inciso). Dunque, dicevo che esistono anche altri Paesi in cui la gestazione per altri avviene in maniera altruistica, in cui ci si è confrontati solo rispetto a un rimborso spese. Quindi, se dico questo è molto importante, perché siamo confrontati a pratiche diverse. Si può essere confrontati a forme di sfruttamento laddove non c’è un quadro giuridico chiaro, ma si può anche essere confrontati a pratiche all'interno delle quali le regole sono chiare, all'interno delle quali viene dato un libero consenso da parte della donna, all'interno del quale la donna porta avanti una gravidanza per conto di terzi e lo fa per motivazioni altruistiche.
Questa prima distinzione mi permette di introdurne un'altra molto importante a livello di principi. Io ho sentito parlare, in maniera indistinta, di principio di non commerciabilità e di principio di non disponibilità. Per quale motivo è importante chiarire ? Perché quando ci si riferisce al celebre articolo 21 della Convenzione di Oviedo del 1997 viene chiaramente citata la necessità di riconoscere il principio di non commerciabilità del corpo umano, ma la non commerciabilità del corpo umano non ha niente a che vedere con la non disponibilità. Il nostro corpo è, certo, ciò che siamo, ma il nostro corpo è anche ciò che abbiamo e, se noi abbiamo qualcosa, vuol dire che noi possiamo anche donare questo qualcosa che noi abbiamo. Se il corpo fosse veramente indisponibile non sarebbe nemmeno possibile e legittima la donazione degli organi. Ora, noi sappiamo che non solo è legittima questa pratica, ma viene anche considerata una pratica altamente etica, altamente altruistica, che permette di salvare la vita di molte persone. Quindi, non intangibilità del corpo ma non commerciabilità, punto essenziale per distinguere – poi, distinzione che viene direttamente da quella della gestazione lucrativa e della gestazione altruistica – e che ci permette di far chiarezza. Se noi vogliamo contrapporci alla commerciabilità, al mercato e a tutti gli argomenti che sono stati detti, dobbiamo anche stare molto attenti a non confondere la commerciabilità con l'intangibilità.
Poi c’è un altro punto fondamentale che deriva sempre da questa distinzione. La collega Giuliani ha parlato della necessità di uscire dalla disponibilità incondizionata del corpo femminile. Io sono perfettamente d'accordo, ma nel momento in cui siamo confrontati a una gestazione peraltro altruistica, nel momento in cui abbiamo chiarito la differenza che esiste tra principio di non commerciabilità del corpo umano e intangibilità, noi dobbiamo anche riconoscere, a questo punto, il principio Pag. 42di autonomia femminile. Nel momento in cui una donna decide in maniera chiara, in maniera autonoma, in maniera altruistica di aiutare una coppia a diventare genitori, essendo stata già lei madre, avendo già portato avanti una gravidanza, non avendo bisogni economici particolari, in nome di cosa dobbiamo vittimizzarla e dobbiamo considerare che non ha capacità di esprimere liberamente il proprio consenso ?
Ultimo punto, Presidente – perché ovviamente in dieci minuti toccare queste distinzioni e far riferimento a vari punti non è semplice e bisogna andare in maniera molto schematica – ultimo punto essenziale, la questione della maternità e della paternità. Inviterei il collega a non citare Onfray laddove non c’è bisogno: non c’è bisogno di citare Michel Onfray per capire che ogni bambino che viene al mondo è una creatura vulnerabile che non ha chiesto di venire al mondo. Questo è capitato a te, è capitato a me, è capitato a Fabrizia, è capitato a tutti noi. Tutti noi siamo venuti al mondo senza averlo chiesto, tutti noi siamo venuti al mondo come creature vulnerabili ed è per questo che si scrive l'importanza di capire che cosa si intende per maternità e per paternità, a meno di non tornare indietro di secoli e immaginare che la maternità e la paternità siano identificabili con gli aspetti biologico-genetici. Infatti, cari colleghi e care colleghe, Presidente, la maternità e la paternità non sono riducibili all'aspetto biologico-genetico: sono dei ruoli. Ogni bambino ha diritto a paternità e maternità: sono perfettamente d'accordo e non lo dico in quanto Michela Marzano ma lo dico in quanto persona che ha letto tutti i dibattiti portati avanti dai filosofi, dagli eticisti, dagli psicanalisti cioè da chi raccoglie la parola dei bambini e delle bambine che talvolta sono stati confrontati all'assenza di maternità e di paternità. Sono ruoli di cui si ha bisogno ma che cosa sono questi ruoli ? Ebbene, signor Presidente, la maternità è quel ruolo necessario che consiste nel raccogliere la vita, raccogliere la vita per evitare che scivoli nel vuoto del non-senso e noi abbiamo tutti bisogno di maternità altrimenti la nostra vita scivola nel vuoto del non-senso. Ma questa capacità, signor Presidente, lo capisce chiunque, non dipende dalle caratteristiche biologiche o genetiche: ci possono essere donne perfettamente capaci di raccogliere la vita per evitare che scivoli nel vuoto del non-senso ma ci possono anche essere delle donne che non sono capaci di raccogliere la vita. Ci possono essere uomini capaci di raccogliere la vita – raccoglierla, io insisto – cosa di cui non abbiamo bisogno per «tenerci su», come direbbe il pedo-psichiatra Winnicott, e ci sono uomini che non ne sono capaci laddove la paternità, di cui pure i bambini hanno bisogno e hanno diritto, è quella capacità che consiste a coniugare il desiderio con il senso del limite perché noi dobbiamo anche imparare quando siamo piccoli, proprio perché vulnerabili, che non siamo tutto e non abbiamo tutto e questo è il senso del limite ed è questo che ci viene comunicato attraverso la paternità, ancora una volta ruolo che non può coincidere naturalmente con l'aspetto biologico-genetico: uomini capaci di comunicare il senso del limite e uomini che non sono capaci.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MICHELA MARZANO. E chiudo, signor Presidente, perché tiro semplicemente le fila di tutto questo discorso e di tutte queste distinzioni che ho fatto. Ripeto velocissimamente: gestazione per altri lucrativa, gestazione per altri altruistica; principio di non commerciabilità; principio di indisponibilità; principio di autonomia, espressione del libero consenso versus disponibilità incondizionata; maternità e paternità biologica versus maternità e paternità simbolica. Se voglio veramente tirare le fila e concludere direi che se noi abbiamo veramente a cuore il futuro, il destino e il benessere dei bambini e delle bambine dobbiamo limitarci a proteggerli dando loro un quadro giuridico che non li discrimini, riconoscendo le differenze che esistono tra le pratiche nei vari Paesi e forse ispirarci anche a quei Paesi in cui Pag. 43queste pratiche sono legalizzate in maniera tale che non permettono né sfruttamento né alienazione incondizionata dell'autonomia personale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Micaela Campana. Ne ha facoltà.
MICAELA CAMPANA. Grazie Presidente, Colleghi, ho ascoltato con attenzione il dibattito che ha preceduto il mio intervento e il tema in oggetto è sicuramente un tema che divide, che ha acceso in passato e accende anche le varie sensibilità in campo. Tuttavia, la discussione è stata sviscerata profondamente solo poche settimane fa al Senato, mentre i colleghi senatori erano impegnati nell'esame del disegno di legge sulle unioni civili. Molto accesa è stata anche la discussione e il dibattito pubblico sui media in cui peraltro il tema che oggi discutiamo è stato confuso con l'essenza stessa del disegno di legge sulle unioni civili.
La maternità surrogata era e rimane vietata dalla legge n. 40, del 2004, una legge – dobbiamo però ricordarlo – scritta male e che proprio per questo è stata oggetto di numerose pronunce della Corte costituzionale che hanno dichiarato l'illegittimità di molte sue parti, rendendola oggi un mostro giuridico monco e pieno di dubbi. Non possiamo dimenticare, in particolare, che la Corte ha sottolineato più e più volte come la legge n. 40 non prendesse in adeguata considerazione la dignità della scelta di diventare genitore e riconducesse la procreazione assistita alla mera applicazione di tecniche a corpi nei più diversi motivi impossibilitati a procreare.
L'Italia ha scelto legittimamente di vietare la pratica della gestazione per altri. Il nostro Paese, attraverso un dibattito parlamentare serrato, anche allora ha mostrato distanze e visioni contrapposte spesso dettate dall'ideologia e, tuttavia, la scelta del divieto della pratica, tanto più se assistita da sanzioni di carattere penale come nel nostro caso, non rappresenta l'unica soluzione possibile nel diritto comparato. Molti colleghi lo hanno già detto: vi sono infatti Paesi che nulla dispongono in merito, lasciando la questione all'autonomia dei privati; vi sono Paesi che dettano la disciplina minima e insufficiente della gestazione per altri e vi sono infine, altri Paesi che hanno deciso di regolamentare la pratica della gestazione per altri alla fine dello stesso percorso democratico, con l'obiettivo di tutelare adeguatamente le posizioni di tutti i soggetti coinvolti, la donna e soprattutto i bambini. La California, il Canada, il Belgio, la Grecia, la Danimarca, il Regno Unito e moltissimi altri hanno stabilito la legalità di questa pratica in cui una donna, atta a portare a compimento una gravidanza, lo fa a favore di altri soggetti per portare un bambino nella famiglia a cui voleva dare la vita.
Molti dei Paesi che ho citato hanno stabilito che la donazione debba avvenire a titolo completamente gratuito: è il caso del Regno Unito, della Grecia, della Danimarca e del Canada e l'elenco potrebbe anche continuare. La ragione è chiara: alla base non devono esserci condizioni di disagio della donna e non devono esserci ragioni meramente commerciali. Aiutare chi non può avere i figli, superando i problemi fisici, deve essere un atto ispirato da ragioni solidali, un atto che investe situazioni ed esperienze di vita complesse che il diritto non può ignorare o reprimere.
Siamo sicuri che gli Stati che hanno regolato la materia legalizzando queste pratiche hanno affrontato probabilmente gli stessi interrogativi e questioni che le mozioni in discussione sollevano, facendosene carico e risolvendoli in un senso. Penso, in modo particolare, a quegli ordinamenti che prevedono un coinvolgimento forte del giudice, ad esempio nell'autorizzazione del ricorso alla pratica e nell'attribuzione dello status di genitori alla coppia. È il caso della Grecia, ma segnali in questo senso provengono anche dal Regno Unito e dalla California, ad esempio.
Discorso certamente diverso vale per i contesti in cui ci sono chiare pratiche di Pag. 44sfruttamento: ad oggi l'accesso alla maternità surrogata a titolo commerciale resta possibile per gli italiani solo in Georgia, in Russia, in Ucraina e Uganda, dove è vietata alla coppia dello stesso sesso. Lascio da parte il caso della California, che pure viene ricompensata per il servizio solidale che presta alla coppia intenzionale. Questo non avviene negli altri Paesi: in quei contesti per alcune sfumature le donne coinvolte non vengono informate adeguatamente, ricevono un'assistenza medica del tutto insufficiente, affrontano talvolta un violento stigma socioculturale, subiscono pressioni e ricatti di vario genere dettati dal disagio economico e da una legislazione punitiva, dalla volontà del marito e dei genitori.
Simili situazioni di sfruttamento si configurano come una riprovevole violazione dei diritti umani e del principio universale di rispetto della dignità umana. In questi casi la condanna del PD è unanime e condividiamo che si debbano trovare degli strumenti per intervenire a livello internazionale, con efficaci strumenti di disciplina e controllo ma anche per scoraggiare ed eventualmente punire chi vi si rivolge, sempre però salvaguardando l'interesse del bambino. In questo senso, credo, ad esempio, che la riforma delle adozioni sia sempre più urgente e che, ove riesca a sanare i meccanismi farraginosi che la rendono talora impraticabile, possa costituire un deterrente per molti.
In ogni caso, non sarà facendo ricadere sui bambini le scelte degli adulti che troveremo la soluzione ai problemi di cui ci stiamo occupando. Il bambino è soggetto di diritti, non oggetto. Il minore e i bambini hanno il diritto al benessere superiore, a prescindere dalle scelte degli adulti che dovrebbero tutelarlo. Il contributo e il combinato disposto della giurisprudenza, della Carta costituzionale italiana, della Carta dei diritti dell'uomo su questo punto segnano un punto illuminante: i bambini non possono, una volta nati, essere il campo di battaglie ideologiche, il campo dello scambio di idee. Il senso morale di una società si misura su ciò che si fa sui bambini.
Anche la giurisprudenza internazionale ci viene in aiuto. Nel 2014 la Corte europea dei diritti umani, nei due casi contro la Francia, è intervenuta sulla questione dei figli nati da gestazione per altri. Alle due coppie genitoriali, entrambe eterosessuali, la Francia aveva negato, in un caso, la trascrizione del certificato di nascita dei figli e, nell'altro, la trascrizione di un provvedimento del giudice francese che riconosceva l'esistenza di una relazione di fatto tra genitore e figlio. La Corte, pur riconoscendo che il rifiuto di trascrivere l'atto di nascita costituisce una misura legittima da parte dello Stato che, nell'esercizio della sua discrezionalità, punisce penalmente il ricorso alla maternità per altri, ha tuttavia concluso affermando che, quando sono in gioco gli interessi dei minori, il margine di discrezionalità dello Stato si riduce e una previsione pur legittima non può essere bilanciata con l'incertezza giuridica in cui i figli vengono a trovarsi. Tali conclusioni sono state confermate dalla Corte EDU, nella sentenza Paradiso e Campanelli contro l'Italia del 27 gennaio 2015, nella quale la Corte ha condannato l'Italia per aver sottratto e poi dato in adozione il figlio di nove mesi di una coppia di eterosessuali, che aveva fatto ricorso in Russia alla fecondazione eterologa e alla maternità per altri.
Le indicazioni che provengono dal quadro che ho descritto fin qui sono molto chiare: il tema della gestazione per altri deve essere affrontato tenendo in mente la grande diversità di modelli di disciplina che ci sono negli altri Paesi e non può essere ridotto alle semplificazioni che troppo spesso abbiamo ascoltato. Quello che è sicuro è che l'Italia, il suo Governo, il Partito Democratico non possono tollerare né in alcun modo legittimare situazioni di sfruttamento della donna come del bambino. Su questo fronte l'impegno deve essere chiaro, con l'individuazione delle realtà e dei contesti che non rispondono ad adeguati standard di protezione. Ma quello che soprattutto non può essere tollerato è che le conseguenze ricadano su chi non ha voce, sui più deboli, sui bambini.Pag. 45
Abbiamo assistito, Presidente, ad una discussione feroce in questi mesi, dai toni spesso violenti contro adulti più o meno noti. Abbiamo assistito a una discussione sulla gestazione per altri come argomentazione fuorviante sul tema dei diritti civili, come passaggio antidiscriminatorio fondamentale che questo Paese aspetta da trent'anni. Abbiamo ascoltato messaggi e parole spesso violenti verso quei bambini e io ho sempre pensato che questi bambini un giorno cresceranno e probabilmente ascolteranno queste parole e saranno anche loro colpiti dalla stessa violenza. Diceva Ginott che i bambini sono come il cemento umido: tutto quello che li colpisce lascia un'impronta. Ecco, quei bambini, che un giorno saranno adolescenti, che saranno i cittadini futuri, uomini e donne di questo Paese, noi abbiamo il diritto e il dovere di farli sentire parte di una comunità che mette tutti sullo stesso piano, fruitori di diritti e donatori di doveri.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Marisa Nicchi. Ne ha facoltà.
MARISA NICCHI. Grazie, Presidente. La gestazione per altri, la maternità surrogata è una pratica sociale antica quanto il mondo patriarcale. Oggi ha fatto irruzione nella discussione pubblica e parlamentare, assimilata impropriamente alle tecniche di riproduzione assistita, ed è rappresentata da un'espressione, «utero in affitto», che connota la pratica e i soggetti coinvolti in essa solo negativamente. Come si sa, il linguaggio non è neutrale, lo ricordava l'onorevole Marzano, che ci richiamava alla distinzione.
È indubbio che questa pratica sociale delinei dilemmi antichi e anche nuovi intorno alla nascita, alla luce di quelli che sono i mutamenti straordinari che, nel corso di questi decenni, sono avvenuti nel rapporto tra sessualità, procreazione e genitorialità. Sono dilemmi che interrogano e attraversano la politica, attraversano gli schieramenti, perché discutiamo anche all'interno degli schieramenti, attraversano l'opinione pubblica, attraversano il movimento delle donne da tempo, non è una discussione che cade dal cielo improvvisamente. Ma non potrebbe non essere così, perché si tocca il significato di chi decide e di come si viene al mondo. Purtroppo, nel nostro Paese questa discussione è sempre affrontata come un'occasione di scontro su valori assoluti da imporre, al di sopra della pluralità delle posizioni e al di sopra della vita reale dei soggetti coinvolti.
Il mutamento sociale in atto è registrato anche dalla giurisprudenza in numerose sentenze e ha alla base un dato di fondo, cioè il fatto che si sta diffondendo la non sempre coincidenza tra maternità e paternità genetica e biologica e genitorialità. Non sempre c’è questa coincidenza e questo perché sono cambiati i soggetti, che, nel loro cambiamento, hanno trasformato anche le relazioni umane, in primis le donne, che si sono conquistate la titolarità di decisione nella procreazione, e dopo anche con il superamento, che stiamo registrando, del modello unico di famiglia in favore di famiglie plurali, con tanti colori come l'arcobaleno, per ricordare un'immagine che abbiamo conosciuto nelle piazze di questi giorni.
È in questo volere, in questo desiderare, in questo amore che la nascita è umana, fuori dal determinismo delle tecniche di riproduzione e sicuramente ben lontana dalle scomuniche sociali, quelle che dicono che quello va bene e quello va male, che quella maternità è giusta e quella non è giusta, che quella è idonea e quell'altra non lo è.
Padri, madri, famiglia, genitorialità, corpo sono parole che non hanno più un senso univoco, semmai l'abbiano avuto, perché sono cambiate le soggettività. Sono cambiamenti inarrestabili, che nessuna imposizione, con il ritorno di una presunta famiglia naturale, potrà arrestare, perché sessualità, filiazione, famiglia sono per eccellenza costruzioni sociali e mutevoli, come le donne hanno dimostrato mettendo in discussione il patriarcato.
Tuttavia, in questo cambiamento rimane un punto fermo. Lo ribadisco perché questo è propedeutico all'impostazione che noi presentiamo. Ancora per nascere e Pag. 46venire al mondo è insostituibile il corpo femminile. È dal «sì» di una donna che si instaura il legame tra madre e figlio o figlia, è con questo «sì» che tutti coloro che vogliono diventare genitori si devono confrontare, sia che si ricorra alle tecniche di riproduzione assistita sia che avvenga con la sessualità cosiddetta naturale.
È in questo contesto di cambiamento che si inserisce la pratica della gestazione per altri, che ci sollecita domande complesse. È una sfida in acque tempestose, che si può affrontare con due approcci diversi. Il primo, da non condividere, è quello di ripararsi in coperta, dietro le proprie personali certezze ideologiche, con cui giudicare in blocco e punire in blocco. L'altro è, invece, quello da preferire: prendere il timone per guidare con responsabilità la navigazione del cambiamento in corso; conoscere, stare in ascolto, distinguere, governare i processi con la priorità di difendere concretamente i soggetti coinvolti, a partire da quelli più deboli.
Le mozioni che abbiamo letto finora si muovono con il primo approccio. Non le condividiamo per molteplici ragioni. La prima è che non distinguono e demonizzano in toto una realtà che, invece, è altresì complessa. Come se il ricorso a queste pratiche abbia un senso univoco; come se fossero uguali le situazioni di alcuni Paesi dell'est europeo o anche extraeuropeo dove, soprattutto in India, si assiste a forme di sfruttamento e semi-schiavitù durante la gravidanza. Tutte situazioni comunque segnate dall'interdizione alle persone omosessuali. Come se queste realtà fossero identiche, uguali a situazioni di ben altro segno, da capire, che ci squadernano la diversa realtà di donne gestanti in favore di altre coppie, che sono donne che decidono, che sono soggetti di decisione. Può succedere che una sorella o un'amica si prestino per solidarietà e affetto a portare avanti una gravidanza perché un'altra donna – mai dobbiamo dimenticare questa relazione tra donne – ne è altrimenti impossibilitata. Così come succede, per esempio, che coppie prevalentemente di sesso diverso e non solo di uomini, che rappresentano una piccola minoranza rispetto alla prevalenza delle coppie eterosessuali, stabiliscano un rapporto, un'alleanza con una donna o con due nel caso di distinzione tra donatrice di ovulo e di gestazione per avere un figlio insieme, senza quindi escludere nessuno, tantomeno la gestante, dall'esperienza relazionale e affettiva del bambino che nasce. Sono realtà diverse. In alcuni Paesi democratici in cui è legale la gestazione per altri, la donna gestante è donna consenziente, non disagiata, che ha altri figli, non sprovveduta, che appare legalmente come madre e dà l'ultima parola, ovvero può decidere di tenere con sé il bambino.
La madre surrogata che abbia liberamente scelto di portare avanti la gravidanza consentendo a quel bambino di venire al mondo e di essere amorevolmente accolto da una coppia di genitori non è lo stereotipo della donna costretta, aggirata, ricattata, a cui viene sottratto il bambino. Sono due realtà diverse. Pensiamo che in quelle situazioni tutte le donne non siano in grado di decidere ? Pensiamo che in tutte le situazioni le donne non sappiano autonomamente decidere cosa è meglio, cosa è accettabile, cosa è bene per sé ? Vogliamo criminalizzare il libero arbitrio di quella, di ogni altra donna, attraverso una legge penale che trasforma in imposizione generale, cioè per tutti, quella che è una convinzione personale che ciascuno liberamente potrà sostenere, ma che non può essere imposta a tutti con la forza della legge penale ? Questo sì che riduce ogni donna che porta a termine una gravidanza per altri a cosa, a oggetto. E lo dico a quelle che si preoccupano della mercificazione della donna. È il consenso e la responsabilità consapevole della donna gestante che fa la differenza e delimita il confine oltre il quale si entra nel campo del ricatto e della mercificazione.
Ecco, noi pensiamo che il divieto che qui viene proposto, divieto universale, sia vano, sia pericoloso, sia sbagliato. E voglio ricordarlo perché voglio chiamare il Parlamento a riflettere sul divieto di questa natura sul piano simbolico perché un Pag. 47divieto che allude ad un reato universale rappresenta sicuramente una situazione da capire perché questa condanna ha effetti che produrranno sicuramente danno, sia sulla donna, che sui bambini che nasceranno con addosso lo stigma di un reato che viene usato per i genocidi. Io credo che dobbiamo riflettere sulla portata di questo divieto. Noi non siamo d'accordo su questa linea, presenteremo una mozione con un'altra strada che è quella di una regolamentazione leggera che metta al centro la soggettività della donna, che ponga al centro la figura della gestante, per riaffermare la centralità del corpo e della soggettività femminile che rappresenta davvero la difesa più valida contro lo sfruttamento e l'espropriazione del figlio, attraverso la garanzia alla madre gestante della libertà di non separarsi dal figlio dopo la nascita.
Ecco, questo riconoscimento di soggettività della donna è l'argine ai rischi di mercificazione e di sfruttamento. Per noi rimane prioritario il nesso tra il principio di responsabilità della donna e libera scelta nella procreazione e il contrasto ad ogni forma di schiavitù sul corpo femminile. Oggi in questo Parlamento abbiamo sentito molte critiche alle politiche liberiste a livello globale, quelle politiche che hanno contribuito alla precarizzazione della vita di tante donne. Queste forze politiche oggi liberiste si fanno paladine paternalisticamente del bene delle donne e parlano per loro. No, grazie, noi crediamo che le donne sappiano cosa fare, cosa desiderare, come dare e come avere cura della vita. A una donna non si può imporre di essere o non essere madre e neppure di usare o non usare il proprio corpo a fini riproduttivi. C’è un reato universale da perseguire: impedire ogni forma di costrizione alla procreazione e all'aborto perché la vita si difende con le donne e non contro il loro volere (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Il Governo immagino rinunci ad intervenire. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 19 aprile 2016, alle 10,30:
1. – Svolgimento di interpellanze e interrogazioni.
(ore 15)
2. – Seguito della discussione della proposta di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità presentata):
MARIANI ed altri: Princìpi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque (C. 2212-A).
— Relatori: Manfredi, per la maggioranza; Daga e Rondini, di minoranza.
3. – Seguito della discussione della proposta di legge:
PES ed altri: Dichiarazione di monumento nazionale della Casa Museo Gramsci in Ghilarza (C. 3450).
— Relatrice: Carocci.
4. – Seguito della discussione della proposta di legge:
MOLTENI ed altri *: Modifica all'articolo 59 del codice penale in materia di difesa legittima (C. 2892-A).
— Relatori: Ermini, per la maggioranza; Molteni e La Russa, di minoranza.
*Tutti i deputati firmatari della proposta di legge hanno ritirato la propria sottoscrizione dopo la conclusione dell'esame in sede referente.
5. – Seguito della discussione del disegno di legge e del documento:
Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2015 (C. 3540-A).
— Relatore: Michele Bordo.
Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2015 (Doc. LXXXVII, n. 4).
— Relatore: Bergonzi.
6. – Seguito della discussione delle mozioni Lupi ed altri n. 1-01195, Carfagna ed altri n. 1-01187, Roccella ed altri n. 1-01218, Spadoni ed altri n. 1-01223, Dellai ed altri n. 1-01225, Rondini ed altri n. 1-01226 e Vezzali e Monchiero n. 1-01227 concernenti iniziative, in ambito nazionale e sovranazionale, per il contrasto di tutte le forme di surrogazione di maternità.
La seduta termina alle 17,30.
TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DELLA DEPUTATA PAOLA BINETTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLE MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE, IN AMBITO NAZIONALE E SOVRANAZIONALE, PER IL CONTRASTO DI TUTTE LE FORME DI SURROGAZIONE DELLA MATERNITÀ
PAOLA BINETTI. Vorrei premettere al mio intervento in discussione generale su di un tema così delicato come quello che stiamo affrontando: La maternità surrogata, quanto ha affermato giusto un mese fa il Comitato Nazionale di Bioetica:
«Il CNB si è espresso più volte contro la mercificazione del corpo umano nella Mozione sulla compravendita di organi a fini di trapianto, 18 giugno 2004; nella Mozione sulla compravendita di ovociti, 13 luglio 2007. Dando il proprio Parere sul Traffico illegale di organi umani tra viventi, 23 maggio 2013. In questi documenti il CNB ha ricordato e fatto proprio il disposto dell'articolo 21 della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina (1997): «Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto», principio che, ribadito dall'articolo 3 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali (2000), costituisce uno dei principi etici dell'Unione europea.
Il CNB ricorda che la maternità surrogata è un contratto lesivo della dignità della donna e del figlio sottoposto come un oggetto a un atto di cessione. Si ritiene infatti che la sola ipotesi di commercializzazione e di sfruttamento del corpo della donna nelle sue capacità riproduttive, sotto qualsiasi forma di pagamento, esplicita o surrettizia, sia in netto contrasto con i principi bioetici fondamentali che emergono anche dai documenti sopra citati. Il Comitato si riserva di trattare l'argomento della surrogazione di maternità anche senza corrispettivo economico in uno specifico parere più ampio e articolato».
In questi giorni stiamo discutendo del problema del contratto di maternità nell'ambito del dibattito sulle unioni civili e la stepchild adoption. Nel nostro Paese il contratto di maternità è vietato dalla legge 40 e anche la Corte Costituzionale, pur avendo dato il via libera all'eterologa, ha confermato che questo tipo di contratto è illecito. A oltre dieci anni da quando mi ero occupata del problema, inserito in una riflessione più ampia sulla procreazione medicalmente assistita e dove già allora era emersa una ferma condanna per la commercializzazione del corpo della donna e del bambino, è diventato urgente riesaminare questa problematica per mandare un segnale e prendere una posizione nei confronti della maternità surrogata, soprattutto a titolo oneroso. Resta l'ipotesi della gestazione per conto di altri a titolo gratuito, una modalità in cui secondo alcuni sarebbe il gesto di generosità di una donna verso un'altra donna che renderebbe la vicenda più lecita. L'esempio classico è quello della donazione di un Pag. 49rene, che si basa sul principio di aiutare persone in difficoltà, la cosiddetta donazione samaritana.
La surrogazione della maternità consiste nella cessione a terzi, e per sempre, di un neonato da parte della donna che lo ha partorito. La cessione del neonato è puntualmente regolata da un contratto stipulato fra gestante e committenti in un momento precedente al concepimento del nato; il contratto che regola la gestazione e la successiva cessione del bambino non può che essere intrinsecamente vessatorio nei confronti della gestante, considerando che l'obiettivo è quello di far consegnare ai committenti il neonato, imponendo alla donna di portare avanti la gravidanza secondo modalità che i committenti arbitrariamente decidono essere le migliori per il nascituro: oltre a regolare dettagliatamente la vita della gestante per tutto il periodo della gravidanza, vengono quindi imposti esami clinici e comportamenti personali della madre surrogata che includono anche importanti restrizioni della libertà personale e che prevedono sia l'aborto in caso di malformazioni del feto, sia la cosiddetta riduzione fetale in presenza di gravidanze gemellari non richieste.
Lorenzo d'Avack, presidente vicario del Cnb, ricorda che: «È arduo pensare che vi sia effettiva gratuità nella prestazione. Vi sono Paesi in cui apparentemente si pone questa differenza, ma poi si prevedono rimborsi così rilevanti che il profitto è mascherato. Inoltre l'autodeterminazione della donna prevede la possibilità di dire sì o no, senza pressioni economiche o sociali, ma se fossero davvero nelle condizioni di farlo questo è uno scambio che probabilmente rifiuterebbero. Nessuna trasparenza ed equità possono essere garantite. C’è il rischio che si venga a creare una classe di venditori poveri e acquirenti ricchi. Dobbiamo chiederci: si dona che cosa ? Si donano le cose che si possiedono, non le persone. Si ragiona in una visione individualistica relativa solo a chi corrisponde e a chi dà, ma c’è un terzo che non viene contemplato: il bambino. E questo implica un'ulteriore riflessione eticamente molto delicata.
Il contratto di maternità surrogata, per sua stessa natura, ha contenuto patrimoniale e carattere oneroso, tenuto conto della gravosità del periodo di gravidanza e dell'evento del parto, cui si sottopone la mamma surrogata: il corrispettivo previsto nel contratto in favore della madre surrogata è infatti diretto a retribuire il sacrificio richiesto a quest'ultima; tale contratto, nella forma di surroga ad oggi maggiormente diffusa, include anche l'acquisto di gameti femminili da una donna diversa dalla madre surrogata, perché senza legame genetico con il nascituro sia più facile per la gestante considerarlo appartenente ai committenti, e cederlo alla nascita. Il bambino in questo caso ha due madri biologiche (una genetica e una gestazionale), e di solito la madre legalmente riconosciuta è ancora una terza, il che determina una inquietante frammentazione della figura materna e associa la maternità surrogata alla compravendita di gameti, con tutti gli aspetti economici, antropologici e sociali connessi, primo fra tutti la «scelta» dei «donatori» su appositi cataloghi di bio-banche in base al fenotipo (colore della pelle, di occhi e capelli, aspetto fisico); una donna che cede a terzi, dietro corrispettivo in denaro, il proprio neonato, a prescindere dalla presenza di un contratto di diritto privato vincolante fra le parti, compie un gesto perseguito come reato in gran parte del mondo, pertanto il contratto di surrogazione, nei Paesi in cui è ammesso, rappresenta a parere dei firmatari del presente atto un'ingiustificata e incomprensibile eccezione; sottrarre un neonato alla donna che lo ha tenuto in gestazione e partorito integra in tutto il mondo a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, oltre che un crimine, una condotta di estrema crudeltà, una sorte generalmente destinata alle schiave nelle civiltà arcaiche.
Il legittimo desiderio di avere bambini non è un diritto esigibile; il contratto di surrogazione di maternità è evidentemente Pag. 50una nuova forma di mercato di esseri umani, e rientra per i presentatori del presente atto nella «Tratta degli esseri umani», così come definita dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani, quando indica che «il reclutamento... di persone... con l'abuso... della condizione di vulnerabilità... a fini di sfruttamento (che) comprende pratiche simili alla schiavitù e specifica che, in questi casi, il consenso della vittima allo sfruttamento è irrilevante»; la surrogazione di maternità viola altresì secondo i firmatari del presente atto la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948: all'articolo 1, che recita «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti», visto che per i nati da maternità surrogata, a differenza di tutti gli altri bambini del mondo, si decide fin da prima del concepimento che non cresceranno con la donna che li ha partoriti, cioè la madre, ma con persone che vi hanno stipulato un contratto commerciale e l'hanno indotta ad abbandonarlo alla nascita; all'articolo 4, ove si afferma che «Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma», considerando le condizioni vessatorie contrattuali che stabiliscono nei minimi dettagli la vita della gestante e ne definiscono gli obblighi, primo fra tutti la cessione del neonato alla nascita;
La surrogazione di maternità viola la Convenzione sui Diritti del Fanciullo del 1989, che, all'articolo 8 stabilisce che «Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità», e che, all'articolo 32, dispone che «Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento economico»; la surrogazione di maternità costituisce inoltre per i firmatari del presente atto una forma di violenza contro le donne secondo la definizione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (la cosiddetta Convenzione di Istanbul), in cui, con l'espressione «violenza nei confronti delle donne», si intende designare una violazione dei diritti, umani comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica; la surrogazione di maternità contrasta a giudizio dei firmatari del presente atto esplicitamente con convenzioni internazionali e pronunciamenti di istituzioni europee: la Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina (1997), che, all'articolo 21 stabilisce che «Il corpo umano e le sue parti non debbono essere, in quanto tali, fonte di profitto»; principio ribadito dall'articolo 3 della Carta europea dei diritti fondamentali (2000) sul diritto all'integrità della persona, in particolare quando prevede che si rispetti «il divieto di fare del corpo umano e sue parti in quanto tali una fonte di lucro»; la risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2011 che impegna gli Stati membri a «riconoscere il grave problema della surrogazione di maternità, che costituisce uno sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili»; il Comitato nazionale per la bioetica, riunito in seduta plenaria ha approvato il documento «Mozione su Maternità surrogata a titolo oneroso».
Sembra, a tutti gli effetti, una pratica emancipativa: che permette di diventare mamma anche a chi, per vari motivi, non potrebbe diventarlo. Se non fosse che si omette – guarda caso – di specificare l'aspetto fondamentale e cioè che a regolare questo passaggio, per cui una donna cede il proprio utero a un'altra, è la logica del do ut des tipico del mercato. Utero in affitto, appunto. Mercificazione del corpo. Il capitale, che un tempo si arrestava ai cancelli delle fabbriche, oggi si è impadronito della nuda vita: utero compreso. L'economia si è impadronita della vita, facendosi bio-economia: ha rimosso il confine tra ciò che è merce e ciò che non lo è né può esserlo. Il vecchio slogan femminista «l'utero è mio, me lo gestisco io», frutto di una stagione di lotte e di rivendicazioni dell'emancipazione femminile, è oggi stato riadattato dal capitale in funzione Pag. 51della sua sola norma, la valorizzazione del valore: l'utero è tuo e «puoi» affittarlo a chi vuoi. Nessun vincolo, nessun limite, nessuna religione: puoi farne ciò che vuoi. Sei libera dalla vecchia morale borghese. Il «puoi» in questione è quello della società di mercato: «puoi», in realtà «dovrai». «Puoi», perché nessuno te lo impone, né te lo vieta. «Dovrai», perché sarà la tua condizione socio-economica a importi di farlo per poter sopravvivere, per poter arrivare a fine mese. Le donne indigenti diventeranno – non è difficile prevederlo – i luoghi futuri della maternità, di quella pratica che richiede troppa responsabilità e fatica per la società di mercato, per i suoi ritmi e le sue carriere di manager rampanti. Vivranno mettendo in affitto il loro corpo. La logica del capitale è, in fondo, questa: abbattere ogni limite etico, morale e religioso, per poi imporre ovunque, senza barriere residue che possano frenarla, la legge dell'onnimercificazione e del valore di scambio. Tutto diventa merce, aveva avvertito Marx nel 1847, in Miseria della filosofia. Perfino l'utero, dobbiamo riscontrare noi.
Prima di concludere: è successo 15 anni fa !
Vorrei ricordare anche il parere di un Past President del CNB: Giovanni Berlinguer e di un eccellente ministro della Salute Rosy Bindi, entrambi riportati su di un quotidiano Laico... anzi laicissimo ! come Repubblica. Prima l'agenzia:
AFFRETTARE DIVIETO LEGISLATIVO.
Roma, 10 maggio (Adnkronos) – Il caso dei coniugi romani che intendono realizzare l'intervento di utero in affitto all'estero dovrebbe “sollecitare il Parlamento ad intervenire con urgenza sulla materia”. È “urgente” infatti che le Camere vietino per legge “l'affitto o la vendita di pezzi del corpo”. Lo ha detto il professor Giovanni Berlinguer, presidente del Comitato Nazionale di Bioetica, il quale ha ricordato che questo divieto sta già nella Convenzione europea di Oviedo del 1997, che purtroppo il nostro Parlamento non ha ancora ratificato. La coppia in questione ha rinunciato ad eseguire l'intervento in Italia probabilmente per un motivo semplice. Questa coppia non aveva e non ha nessuna certezza – ha affermato Berlinguer – che dopo il parto chi nasce sia affidata a loro, perché la legge italiana, il codice civile, dice che chi nasce è figlio della donna che lo ha partorito. E quindi c’è una duplice incertezza: che la donna che partorirà il figlio voglia tenerselo oppure che sia affidato ad altri. Questa loro decisione conferma che c'era qualcosa di storto nella decisione presa dal magistrato”. Per il presidente del Comitato Nazionale di Bioetica nasce, quindi, “l'urgenza che il parlamento approvi una legge sulla fecondazione assistita che sia buona, vietando innanzitutto l'utero in affitto”.
Questo l'articolo di oltre 15 anni fa...
La Commissione di bioetica: «Sarà figlio di nessuno» – Rosy Bindi: Decisione gravissima».
ROMA – Il ministro della Sanità Rosy Bindi critica duramente la decisione del tribunale di Roma che di fatto dà il via libera a una maternità surrogata. «La decisione del tribunale di Roma è gravissima – ha commentato Rosy Bindi – contrasta non solo con il codice deontologico dei medici ma con uno dei punti fermi della proposta di legge sulla procreazione medicalmente assistita». «L'utero in affitto – ha aggiunto il ministro – costituisce in ogni caso una mercificazione della maternità che viene ridotta a un puro evento biologico e spogliata di quel legame profondo, unico e vitale tra madre e bambino che ne costituisce la forza e la bellezza». Parole di condanna alla sentenza shock sull'utero in affitto sono state espresse anche da Giovanni Berlinguer, presidente della Commissione di bioetica. «Sarà un figlio di nessuno» ha osservato a caldo Berlinguer. L'unica voce in favore viene ovviamente da uno degli avvocati della coppia romana, Sacha Caterisano: Ad alimentare la discussione le parole di Berlinguer, al quale Caterisano risponde in maniera indiretta: «Non voglio entrare in polemica per dichiarazioni che mi sono solo state riferite. Dico solo che questa posizione mi lascia perplesso. Il patrimonio Pag. 52genetico deriva sia dal padre che dalla madre e qui è tramandato al cento per cento, senza interventi esterni».
Non la pensa così il presidente del Comitato nazionale di bioetica, Giovanni Berlinguer, che insiste sulla sua linea: «Il bambino che verrà alla luce dalla madre surrogata rimarrà figlio di nn sino a quando non ci sarà un procedimento di adozione. Il medico e il giudice si sono assunti una responsabilità gravissima, visto che l'esito delle pratiche d'adozione è incerto. Il progetto di legge in discussione al Senato prevede il divieto di questa pratica, per questo siamo davanti a una decisione pericolosa». Parole dure, che vengono motivate dall'orientamento giuridico dell'Italia: «Il Comitato di bioetica e la magistratura sono concordi nello stabilire che la madre è colei che partorisce il bambino. Da noi esiste uno status ben preciso del neonato che non può essere scavalcato da un singolo giudice» Critiche vengono anche dal mondo politico, con Marida Bolognesi, presidente della Commissione affari sociali della Camera: «Chi emette provvedimenti del genere ha in testa l'immagine di una maternità fatta a pezzi: da una parte c’è l'utero incubatrice, da un'altra la testa e da un'altra ancora il cuore. Autorizzare a colpi di giudizi una pratica limite come questa ci trascina al di là di tutte le regole». Perplessi anche i medici, con il presidente dell'Ordine, Aldo Pagni che evita però di calcare la mano: «Dal punto di vista morale ognuno di noi ha i suoi convincimenti, ma dal punto di vista legale la sentenza autorizza il medico a infrangere una norma condivisa da tutta la categoria. Noi siamo assolutamente contrari a queste pratiche, ma davanti a un giudice abbiamo le mani legate» (28 febbraio 2000).
La nostra mozione quindi impegna il Governo: ad assumere iniziative, a livello nazionale e soprattutto internazionale, in tutte le sedi istituzionali sovranazionali, affinché la surrogazione di maternità, in ogni sua modalità e variante contrattuale, sia riconosciuta come nuova forma di schiavitù e di tratta di esseri umani, e sia quindi reato universalmente perseguibile. La nuova forma di schiavitù riguarda la donna, mentre la tratta di esseri umani si riferisce al bambino.