XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
in data 18 marzo 2014 l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) ha presentato il «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca in Italia», un documento di approfondita e attenta analisi sulla condizione del sistema universitario nazionale;
dalla lettura del citato documento dell'Agenzia emerge una rappresentazione del sistema universitario nazionale certamente preoccupante, anche con riferimento agli impegni assunti dal nostro Paese in sede europea;
l'Italia rimane, infatti, tra gli ultimi paesi in Europa per quota di popolazione in possesso di un titolo di istruzione terziaria, anche tra la popolazione più giovane con un ritardo ritenuto dallo stesso documento considerevole;
con i programmi di riforme economiche «Strategia di Lisbona» prima e «Strategia Europa 2020» poi, l'Unione europea ha inteso agevolare l'innalzamento dei livelli di istruzione quali obiettivi di primaria importanza per lo sviluppo europeo, con l'intenzione di costruire e agevolare la nascita di un'economia maggiormente basata sulla conoscenza e sulla ricerca;
tuttavia, l'analisi documentava il preoccupante divario dell'Italia rispetto alla percentuale di riferimento della media europea, costringendo il nostro Paese al terzultimo posto nella classifica dei vari Stati dell'Unione, e mostrando, inoltre, come le significative di differenze territoriali del nostro Paese influenzassero in maniera rilevante tale andamento;
in relazione alla composizione degli iscritti per area territoriale si notava, ad esempio, «una sostanziale stabilità di studenti iscritti in corsi di studio del Nord Italia (circa 685.000 negli ultimi anni), una lieve flessione degli iscritti nel Centro e un netto calo degli iscritti nel Mezzogiorno»;
nonostante tali evidenze siano emerse con chiarezza già nel precedente triennio non sembra possibile affermare, a oggi, che provvedimenti significativi siano stati assunti dal Governo al fine di migliorare la condizione del sistema universitario e della ricerca italiano, assistendo, piuttosto, a un progressivo e costante peggioramento delle condizioni segnalate dall'Agenzia di valutazione nell'anno 2014;
a tal fine è bene ricordare come lo stesso ANVUR presenti tra le funzioni di propria competenza l'elaborazione, su richiesta del Ministro, dei parametri di riferimento per l'allocazione dei finanziamenti statali, ivi inclusa la determinazione dei livelli essenziali di prestazione e dei costi unitari riferiti a specifiche tipologie di servizi, compiti essenziali per la determinazione dei finanziamenti da erogare all'università italiane al fine di assicurarne il corretto funzionamento;
l'introduzione di nuovi sistemi di finanziamento, tra i quali l'assunzione di criteri valutativi nell'allocazione delle risorse da destinare ad atenei ed enti di ricerca, viene prevista dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240, «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario», cosiddetta legge Gelmini, la cui concreta attuazione ha comportato, nel corso degli anni, una progressiva scissione funzionale, organizzativa ed economica tra gli atenei italiani, con particolare evidenza tra quelli situati nei territori settentrionali e quelli meridionali del territorio dello Stato;
l'esasperata ricerca del merito, a discapito di una crescita unitaria di tutto il sistema universitario, fondata, tra l'altro, su una valutazione non del tutto oggettiva ha condotto ad uno svilimento della funzione formativa universitaria, attraverso l'erogazione di finanziamenti «premiali» basati su criteri non evidentemente adeguati all'effettiva valorizzazione del merito e, soprattutto, con attribuzioni economiche direttamente sottratte dai finanziamenti destinati all'ordinario funzionamento delle università italiane;
il nuovo sistema di stanziamenti utilizza, infatti, le risorse del fondo di finanziamento ordinario (FFO), per poi ridistribuirne parte di queste agli atenei considerati meritevoli, premiando la qualità della ricerca attraverso un metodo sostanzialmente punitivo, essendo la cosiddetta quota premiale non prevista attraverso stanziamenti ulteriori e diversi;
il meccanismo di finanziamento richiamato viene disciplinato per l'anno in corso dall'articolo 3 del decreto ministeriale 8 giugno 2015, n. 335, il quale prevede che 1.385.000.000 di euro, pari a circa il 20 per cento del totale delle risorse disponibili, vengano assegnati a fini premiati, e che «tale somma è assegnata alle Università e agli Istituti ad ordinamento speciale secondo i criteri e le modalità di cui all'allegato 1 e per le percentuali di seguito indicate: 65 per cento in base ai risultati conseguiti nella valutazione della qualità della ricerca (VQR 2004-2010);
gli attuali parametri della valutazione della qualità della ricerca non risultano, tuttavia, adeguati a calibrare in maniera corretta l'erogazione dei fondi universitari, rendendo necessaria l'assunzione di urgenti iniziative al fine di introdurre un nuovo sistema di finanziamento che garantisca, prima di ogni previsione premiale, le risorse comunque necessarie al funzionamento ordinario di tutte le università pubbliche italiane;
appare evidente come il progressivo allontanamento qualitativo e funzionale degli atenei italiani, con le marcate evidenze sopra richiamate in riferimento alle università del Meridione, sia scelta politica assunta dal Governo, volontà confermata dallo stesso Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il quale, pur sostenendo la presenza di università di diverso livello nel territorio ha riferito di voler limitare a poche realtà la possibilità di competere a livello internazionale;
appare evidente sia dalla concreta applicazione delle normative richiamate, sia dagli attuali sistemi premiali di finanziamento agli atenei italiani, come questi non conducano in alcun modo ad una reale competizione tra atenei, dal momento che tali stanziamenti, già direttamente sottratti al regolare funzionamento degli atenei, subiscono sostanziali e progressive contrazioni di spesa nel corso degli anni;
si ritiene, infatti, che un sistema efficiente possa essere considerato tale esclusivamente qualora i finanziamenti vengano razionalmente distribuiti a tutti gli atenei nella misura necessaria a garantirne il buon andamento, per poi introdurre eventuali e collaterali sistemi premiali che distribuiscano risorse ulteriori e a quegli atenei che dimostrino di aver utilizzato al meglio le risorse erogate;
oggi, al contrario, si assiste a consistenti riduzioni finanche degli stanziamenti ordinari destinati al sistema universitario, dal momento che per il solo anno 2015 il fondo di finanziamento ordinario (FFO) ha subito per una decurtazione pari a 87,4 milioni di euro rispetto allo stesso stanziamento disposto per l'anno 2014, e con differenze ancora maggiori se raffrontate ai finanziamenti previsti negli ultimi 10 anni;
in data 20 maggio 2015 il Consiglio universitario nazionale, in sede di parere sullo schema di decreto di riparto del fondo di finanziamento ordinario delle università per l'anno 2015, rilevava come le diverse voci del fondo di finanziamento ordinario, in quanto soggette a un'ulteriore riduzione, comporteranno un inevitabile aumento del divario con gli altri Paesi dell'Unione europea, evidenziando altresì come gli obiettivi già richiamati dal documento redatto dall'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca non possano essere raggiunti;
lo stesso Consiglio ha ricordato, infatti, «come la frazione di PIL dedicata dallo Stato al sistema universitario» risulti ormai «meno della metà di quanto spendono Francia e Germania, nonostante le importanti risorse derivanti dal massiccio esodo degli ultimi cinque anni (quasi 2000 docenti in meno ogni anno in media) e dal blocco degli scatti (che valevano circa il 2 per cento del monte salari ogni anno)»;
analoghe critiche venivano sollevate in merito alla cosiddetta quota premiale, dal momento che il Consiglio universitario nazionale ha ribadito come tale quota «per non incidere negativamente sui livelli minimali di funzionalità degli Atenei, dovrebbe essere prevalentemente aggiuntiva confermando, di fatto, le forti approssimazioni che l'attuale sistema di finanziamento presenta e sin qui sostenute;
il Consiglio sottolineava, infatti, «le perplessità metodologiche espresse in relazione alla significatività attuale degli esiti della VQR 2004-2010» anche a causa della staticità dei parametri adottati per periodi significativamente lunghi e sull'impossibilità per gli atenei di beneficiare di eventuali interventi correttivi;
simili e sostanziali riduzioni hanno interessato, nel corso degli ultimi anni, il Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni della ricerca (FOE), il quale ha subito continue diminuzioni che, anche in questo caso, hanno inevitabilmente ridotto ovvero fortemente limitato la competitività del sistema italiano anche a livello comunitario;
tali criticità sono state recentemente sollevate dalla VII Commissione permanente della Camera dei deputati, la quale esprimendosi in sede di schema di decreto ministeriale per il riparto del fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca (FOE) per l'anno 2015, atto n. 186, evidenziava notevoli difficoltà sia del sistema inteso nel suo complesso, sia gli inadeguati provvedimenti assunti dall'Esecutivo che ne modificassero l'andamento;
così come rilevato dalla Commissione, infatti, «le assegnazioni ordinarie per il 2015 non costituiscono – tranne che per il CNR – il 100 per cento delle assegnazioni ordinarie 2014, ma, rispetto a queste, registrano riduzioni tra l'1,6 e il 7,9 per cento», riportando come «le assegnazioni complessive ai 12 enti di ricerca vigilati dal MIUR – al netto degli importi destinati alla società Sincrotrone di Trieste, a INDIRE, INVALSI, ANVUR e CMCC, della quota premiale, delle risorse destinate alle assunzioni dirette per meriti eccezionali – ammontano a 1.567,1 milioni di euro: rispetto al 2014 (1.622,4 milioni di euro), si registra un decremento del 3,4 per cento»;
anche per gli enti di ricerca il cosiddetto sistema di finanziamento presenta, quindi, caratteri di incompatibilità con il raggiungimento dei fini preposti dalla normativa, dal momento che la quota premiale suddivisa sulla base dei criteri di valutazione della qualità non risultava essere, anche in questo caso, ulteriore e diversa rispetto al fondo ordinario previsto per il regolare funzionamento, e che lo stesso FOE veniva ulteriormente ridotto;
in particolare, il finanziamento premiale, pari a 98.799.582 euro, corrisponde al 7 per cento delle assegnazioni ordinarie previste per l'anno 2015, e risulta ripartito per il 70 per cento sulla base dei risultati della VQR 2004-2010, prendendo quale riferimento prodotti attesi, indicatori di qualità della ricerca di area e di struttura e valutazione complessiva di ogni ente evidentemente datati e non suscettibili di una efficace verifica, acuendo ulteriormente le eventuali sperequazioni tra gli enti e gli istituti della ricerca;
le sostanziali riduzioni di spesa, congiuntamente all'attuazione del turnover per le assunzioni all'interno delle università italiane e della ricerca, nonché alla continua precarizzazione contrattuale degli organici, hanno contribuito a creare una condizione di preoccupante instabilità ed inadeguatezza relativamente al personale docente e ricercatore, così come evidenziato anche dal Consiglio nazionale universitario e dall'Agenzia di valutazione all'interno dei citati documenti;
nel proprio parere il Consiglio nazionale universitario ribadiva la necessità di attuare un piano straordinario ad hoc, risultando oggi «quasi impossibile reclutare ricercatori di tipo b)», difficoltà senz'altro ampliate dalla presenza di un sistema nazionale con turnover del personale, il quale, pur comportando eventuali utili in bilancio per gli atenei, potrebbe comunque condurli all'impossibilità di predisporre nuovi reclutamenti, nonché dall'utilizzo di somme per il reclutamento di personale ricercatore stabile direttamente sottratte dal fondo di finanziamento ordinario (FFO), anche in questo caso, non aggiuntive;
la figura di ricercatore «RTD di tipo B», contestualmente all'altra tipologia di ricercatore denominata «RTD di tipo A», veniva introdotta dall'articolo 24, comma 3, della legge 30 dicembre 2010, n. 240, norma che ha di fatto disposto l'utilizzo di modelli sempre più precari all'interno del sistema universitario e della ricerca;
così come rilevato dall'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR) nel «Rapporto sullo stato dell'università e della ricerca Italia», la «contrazione del corpo docente registrata negli ultimi anni è stata accompagnata da una crescita costante del numero dei ricercatori a tempo determinato e, in generale, del personale non strutturato impegnato in attività di ricerca (assegnisti, borsisti e collaboratori). Nel complesso si tratta di circa 27.000 persone, circa il 50 per cento del corpo docente»;
«i ricercatori a tempo determinato», concludeva il documento, «sono destinati a sostituire i ricercatori di ruolo, ormai a esaurimento dopo la riforma del reclutamento introdotta dalla legge n. 240 del 2010; tuttavia i ricercatori ex lege n. 240, sono ancora relativamente poco diffusi, anche se in crescita, e risulta ancora raro il ricorso al tipo B, in tenure track»;
tali riduzioni, pur venendo per lo più giustificate da una più generale condizione economica di particolare sofferenza per l'intero Paese, costituiscono piuttosto specifiche scelte di carattere politico, dal momento che in numerosi casi le limitate risorse destinate al sistema statale, vengono invece destinate a progetti che dovrebbero risultare almeno subordinati alla realizzazione dei fondamentali obiettivi sin qui richiamati;
benché in presenza della necessità di disporre adeguati stanziamenti per i fondi di funzionamento dell'università e della ricerca, con l'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, il Governo ha «attribuito all'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) un primo contributo dell'importo di 80 milioni di euro per l'anno 2015 per la realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca», pur in assenza di un progetto specifico, e che l'istituto beneficiario sarà tenuto ad elaborare solo successivamente a tale stanziamento;
successivamente, in data 24 febbraio 2016, alla presenza del premier Matteo Renzi e del Ministro con delega ad Expo Maurizio Martina, è stato presentato dal Governo il progetto per il nuovo polo di ricerca dopo Expo Milano 2015 denominato «Human Technopole», la cui realizzazione veniva ancora una volta affidata all'Istituto italiano di tecnologia (IIT), insieme al Politecnico di Milano, l'università degli studi di Milano e l'università degli studi Milano Bicocca, in collaborazione con gli istituti di ricerca clinica e ospedaliera di Milano, la Fondazione Edmund Mach di Trento, la Fondazione ISI di Torino, il CINECA di Bologna e il CREA;
l'Istituto italiano di tecnologia (IIT), istituito nell'anno 2003 e direttamente sostenuto dal Ministero dell'economia e delle finanze, presenta sì caratteri formalmente pubblici, ma la propria governance viene direttamente gestita da una fondazione di tipo privato;
tale istituto ha ricevuto nel solo anno 2015 finanziamenti pubblici per circa 96 milioni di euro, così come riportato dal proprio sito istituzionale, ovvero un'erogazione pari all'intera quota premiale prevista per gli enti e gli istituti di ricerca italiani per l'anno 2015;
gli ulteriori finanziamenti, nonché l'attribuzione da parte del Governo del progetto denominato «Human Technopole», così come assegnati all'istituto italiano di tecnologia (IIT), rappresentano, ancora una volta, condizione di particolare rilevanza se relazionata la già richiamata volontà di allontanare e squilibrare il funzionamento degli atenei italiani;
ancora una volta, infatti, il Governo ha inteso valorizzare la qualità la ricerca senza l'utilizzo di alcun parametro specifico, arrivando a stabilirne, nel caso di specie, a priori il carattere meritocratico, sottraendo di fatto tali risorse dalla disponibilità e alla concorrenza degli altri atenei pubblici e, in particolare, degli istituti del Mezzogiorno d'Italia che maggiormente dovrebbero essere oggetto di progetti che ne possano rilanciare il prestigio;
ancor più evidenti appaiono quindi le discrasie tra i mancati o ridotti finanziamenti delle università e degli enti di ricerca statali, e le scelte politiche assunte dai Governi nel corso degli ultimi anni, conducendo ad un generale decadimento qualitativo dell'intero sistema italiano, ad esclusivo vantaggio di pochi istituti i quali, non potendo contare su un tessuto economico e culturale adeguato, non potranno comunque diventare realmente competitivi in campo internazionale;
infine, è necessario ricordare come le riduzioni di spesa degli ultimi anni non soltanto hanno interessato gli enti di ricerca e gli atenei italiani, ma hanno condotto a stanziali ridimensionamenti anche di quegli strumenti che erano stati messi a disposizione del sistema di ricerca italiano, tra cui i progetti di rilevante interesse nazionale (PRIN);
i PRIN, com’è noto, sono specifici progetti di ricerca finanziati annualmente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e attraverso tale programma si intendono finanziare progetti che per complessità e natura richiedono la collaborazione di più studiosi e di più organismi di ricerca e le cui esigenze di finanziamento eccedono la normale disponibilità delle singole istituzioni;
il fondo, così come rilevabile dalla relazione redatta dall'ANVUR, raggiunge una soglia di finanziamento massimo nel 2004, per poi mostrare una progressiva tendenza alla diminuzione, intensificatasi negli ultimi anni, con una drastica riduzione tra l'anno 2010 e l'anno 2012, laddove i fondi PRIN sono passati da 100 a 39 milioni di euro, fino ad ottenere uno stanziamento pari a 92 milioni di euro da destinare alla ricerca di base per l'anno 2015, con un parziale rilancio dell'istituto che, tuttavia, necessiterebbe di finanziamenti più ingenti e, soprattutto costanti nel tempo;
per i motivi sin qui esposti appaiono necessarie misure urgenti che possano urgentemente rilanciare il sistema dell'università e della ricerca italiana, attualmente lontano dagli standard europei e sempre più indirizzato verso la volontà di assicurare la competitività a pochi enti ed istituti, impedendo, di fatto, lo sviluppo di un sistema efficiente che porti l'intero Paese verso un progressivo sviluppo scientifico-economico, in accordo con gli impegni già sottoscritti dall'Italia a livello comunitario,
impegna il Governo:
a programmare stanziamenti costanti e rapportati al fabbisogno del sistema della ricerca nonché idonei a garantire standard retributivi adeguati per i ricercatori;
al fine di valorizzare i sistemi universitari e di ricerca italiani e di garantirne l'efficienza, ad assumere iniziative per ripristinare il regolare turnover dei docenti universitari nonché valutare la rispondenza dei livelli occupazionali alle esigenze dei singoli enti;
ad assumere iniziative per riformare il sistema di valutazione della qualità della ricerca (VQR), anche attraverso l'introduzione di un sistema di premialità che attribuisca risorse nuove ed aggiuntive rispetto alle risorse destinate al funzionamento ordinario;
al fine di valorizzare l'attività di ricerca e premiarne l'eccellenza, ad incrementarne le risorse destinate ai progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale, anche attraverso il trasferimento di fondi già stanziati, nell'ambito del progetto «dopo-Expo» in favore dell'Istituto italiano di tecnologia;
a porre in essere iniziative volte a consentire a privati cittadini di effettuare donazioni destinate ai fondi statali per la ricerca di base.
(1-01265) «D'Uva, Vacca, Brescia, Simone Valente, Luigi Gallo, Marzana, Di Benedetto, D'Incà».
La Camera,
premesso che:
lo spopolamento e l'impoverimento di vaste aree interne e rurali – soprattutto pedemontane, montane e insulari – hanno assunto caratteri strutturali delineando un'Italia che si può definire del «disagio insediativo», che interessa tutto l'arco alpino, soprattutto ligure, piemontese, lombardo e friulano, e che si concentra lungo la dorsale appenninica ligure, tosco-emiliana e centro-meridionale, nelle parti montuose e interne della Sardegna e della Sicilia;
il disagio abitativo è riscontrabile anche in Calabria e in Abruzzo e interessa pesantemente la Basilicata, dove circa 100 comuni sono a rischio progressivo di estinzione. Anche le aree interne delle Marche e della Toscana meridionale sono interessate da un fenomeno che rischia di frammentare ancora di più un territorio nazionale caratterizzato da profonde differenze sotto il profilo economico, sociale e culturale;
le aree che presentano i maggiori indici di decremento demografico sono in genere quelle più lontane dai principali centri di erogazione dei servizi, quelle con i più bassi livelli di dotazione infrastrutturale. Queste due condizioni, da sole, condizionano in negativo un possibile percorso di vita in queste comunità, tanto da indurre, i più giovani alla fuga;
questa tendenza, che va avanti da oltre mezzo secolo (e in alcune aree alpine da oltre un secolo), ha fatto sì che i territori montani, che costituiscono quasi i tre quinti della superficie nazionale, ospitino oggi soltanto un quinto della popolazione italiana;
le zone interne del Paese hanno visto l'avvio di fenomeni di emigrazione non compensati da altrettanti importanti fenomeni di immigrazione, fino ad arrivare a problemi di spopolamento e di desertificazione umana e produttiva che hanno modificato pesantemente le dinamiche di sviluppo delle comunità medesime;
la tendenza allo spopolamento è riscontrabile anche nelle zone interne non montane, con indici di decremento demografico che lasciano intendere che in alcune aree del Paese entro mezzo secolo molte comunità saranno destinate a scomparire in assenza di politiche capaci di invertire la tendenza;
in Sardegna, in particolare, recenti studi hanno dimostrato come nei prossimi trenta/quaranta anni, se non interverrà un'inversione di tendenza, molte piccole comunità delle zone interne scompariranno definitivamente, con tutte le implicazioni che ne conseguono;
nell'immaginario collettivo questo processo sembra essere naturale e ineluttabile, perché le opportunità offerte dalle aree urbanizzate e metropolitane appaiono decisamente migliori. Tuttavia il fenomeno porta con sé conseguenze economiche, ambientali e sociali importanti;
l'abbandono di queste aree, infatti, significa indebolire le attività economiche – quali agricoltura, allevamento e turismo – che in questi contesti trovano la vocazione più naturale possibile. Al tempo stesso espone il territorio a rischi ambientali (incendi, dissesti idrogeologici, incuria del paesaggio) che si ripercuotono sull'intera collettività;
dal punto di vista sociale rende più costosi alcuni servizi essenziali per i cittadini, dai trasporti alle comunicazioni, dai servizi sanitari a quelli scolastici. Inoltre, si assiste a una concentrazione sempre più spinta nelle grandi città, con tutto ciò che ne consegue in termini di qualità della vita e dell'ambiente;
i sistemi regionali, e quindi quello nazionale, possono diventare competitivi solo se vengono superati i pesanti squilibri territoriali che ancora permangono fra le diverse aree del Paese. All'interno della più generale dicotomia Nord-Sud, si propongono ulteriori e caratterizzanti sperequazioni fra zone rurali e zone urbane, fra zone interne e zone costiere;
in queste specifiche porzioni di territorio si propongono spesso fenomeni speculari: alti livelli di antropizzazione nelle città e più in generale nelle zone costiere; desertificazione produttiva e umana nelle zone interne e rurali; irrazionale consumo del suolo nelle zone urbane e costiere; abbandono del suolo nelle zone interne e rurali. Gli uni e gli altri fenomeni sono alla base dei problemi di dissesto idrogeologico e di inquinamento che caratterizzano la nostra epoca;
nei territori interessati da fenomeni di spopolamento e disagio abitativo si verificano, in misura maggiore e sempre crescente, come dimostrano i dati del Ministero dell'interno, fenomeni di criminalità e atti intimidatori contro le istituzioni e in particolare contro gli amministratori locali;
da questi derivano costi sociali ed economici ingenti, non più sostenibili. Le stesse risorse, e forse un quantitativo molto inferiore, potrebbero essere utilizzate per interventi volti a predisporre l'inversione di tendenza di fenomeni (il concentramento e la desertificazione nelle loro più svariate accezioni) che, se non affrontati con interventi strutturali e strategici, rischiano di ostacolare una possibile ripresa del Paese;
si tratta di un disagio che rischia di divenire profondo con la crescente rarefazione dei servizi al cittadino: uffici postali, presidi territoriali scolastici, sanità, caserme dei carabinieri e altro); insufficiente manutenzione del territorio; esercizi commerciali privi di una domanda adeguata per la loro sopravvivenza;
dunque, come la questione sanità, che rappresenta forse la prima preoccupazione per chi vive in contesti isolati, così i servizi territoriali rappresentano una condizione di vivibilità essenziale, peraltro riconosciuta e supportata dalla stessa Unione europea;
il fenomeno non è soltanto nazionale: manifestazioni di disagio si ripetono in numerosi Stati dell'Unione europea, che hanno già avviato politiche locali e generali di intervento per riportare le popolazioni nei territori in via di spopolamento;
le azioni, pur nella loro diversità, muovono da una Comune convinzione che lo «sviluppo locale passa per il rafforzamento della più importante delle ricchezze che è la risorsa umana»;
in Italia, il fenomeno acquista un particolare significato per la storica presenza delle municipalità diffuse in tutto il territorio nazionale: i piccoli comuni, anche aggregati in Unioni e con la prospettiva di costruire percorsi di fusione basati sulla volontarietà, infatti, rappresentano un grande patrimonio, un presidio di legalità e un punto di riferimento per le comunità locali;
il mantenimento di un'adeguata rete di servizi territoriali e di esercizi commerciali nei territori considerati costituisce una delle condizioni per una loro rivitalizzazione economica;
risulta evidente che non è solo con i sussidi che si può invertire la tendenza, ma è necessario recuperare prima di tutto la funzione produttiva dei territori in via di spopolamento, in particolare quelli delle zone interne e della montagna;
è pertanto necessario individuare politiche chiare e dettagliate per la valorizzazione di una ricchezza sociale, culturale, ambientale ed economica che è la peculiarità di territori su cui insistono molte comunità che si trovano in una condizione di disagio abitativo;
vivere nelle zone interne e nelle aree svantaggiate del Paese non è facile, così come non lo è decidere di restarci e di costruirvi un progetto di vita. Nel tentativo di dare supporto a un nuovo modello di sviluppo e di rapporto fra l'uomo e il territorio, diventa opportuno incentivare la vita in queste zone del Paese, anche attraverso una rivisitazione dello Stato sociale secondo un modello di «welfare, generativo», fondato cioè sulla corrispondenza tra esigibilità di diritti e doveri di solidarietà;
nella prospettiva solidaristica insita nella Costituzione, è presente la convinzione che agli appartenenti alla collettività possano essere imposti doveri a vantaggio della collettività intera e la possibilità che, a fronte dell'erogazione di una prestazione da parte dello Stato (reddito di insediamento e incentivi alla nuova residenzialità), debba corrispondere, da parte dei soggetti beneficiari, una controprestazione (andare a vivere in contesti territoriali da rigenerare) che produca utilità sociale e sviluppo,
impegna il Governo:
a promuovere ogni necessaria iniziativa istituzionale, legislativa, economica, finanziaria e organizzativa finalizzata allo sviluppo locale, alla perequazione infrastrutturale e alla inversione delle dinamiche demografiche dei territori in via di spopolamento e sui quali sono evidenti fenomeni di forte disagio abitativo;
a promuovere ogni necessaria iniziativa volta a favorire il ripopolamento dei suddetti territori, anche attraverso l'introduzione di un reddito di insediamento come misura di incentivazione alla residenza negli stessi, rivolta a specifici target di soggetti (per esempio quelli che si trovano in una condizione di precarietà lavorativa, disoccupazione o stato di inoccupazione permanente o temporaneo, di povertà e di esclusione sociale tale da determinare un rischio di marginalità sociale) e strutturata come strumento/ azione di « welfare generativo»;
ad adottare ogni iniziativa utile ad agevolare il ritorno e la nuova residenzialità nelle aree svantaggiate e interne in forte calo demografico ma con grandi potenzialità sotto il profilo dello sviluppo economico locale;
a intraprendere azioni volte a incentivare le attività produttive nelle zone in forte decremento demografico, con particolare riferimento alla tutela attiva del territorio, e delle comunità locali, nonché alla valorizzazione delle risorse naturali, culturali, del turismo sostenibile, dei sistemi agroalimentari e tipici, delle filiere di energia rinnovabile, dei saperi e dell'artigianato;
a garantire la permanenza e/o il ripristino nelle aree territoriali caratterizzate da decremento demografico e disagio abitativo dei presidi culturali e di legalità come le scuole e le caserme dell'Arma dei carabinieri.
(1-01266) «Mura, Giovanna Sanna, Luciano Agostini, Amato, Arlotti, Borghi, Bruno Bossio, Camani, Carloni, Cimbro, Crivellari, Culotta, D'Incecco, Marco Di Maio, Fedi, Galperti, Gandolfi, Iacono, Minnucci, Moscatt, Pinna, Ribaudo, Taricco, Venittelli, Zoggia».
La Camera,
premesso che:
i servizi aggiuntivi museali rivestono un ruolo fondamentale per la valorizzazione del patrimonio e per la promozione della conoscenza culturale ed includono un'ampia gamma di servizi di ospitalità e assistenza culturale;
com’è noto, infatti, la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di sottolineare, nella sentenza 9 del 2004, che la funzione di valorizzazione sia diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale;
intendendo, pertanto, la valorizzazione del patrimonio storico—artistico come sviluppo e condivisione della conoscenza e del suo valore culturale e sociale, nonché occasione per il pieno sviluppo della personalità di ciascuno, ne consegue che tra i servizi aggiuntivi istituiti dalla legge «Rochey» (1997), primo passo verso la privatizzazione del patrimonio artistico, non possono rientrare quelli necessari a svolgere un'effettiva azione di valorizzazione. Tra questi i servizi educativi (o didattici) prima di tutti perché fondamentali ai fini della costruzione e condivisione del sapere con i cittadini ma anche l'editoria e la produzione di mostre perché rappresentano strumenti di traduzione e diffusione della conoscenza prodotta sul e dal patrimonio culturale;
è necessario, pertanto, ricondurre, all'interno della missione pubblica e quindi dell'organizzazione e dell'organico dei musei e in generale dei luoghi della cultura, tutte quelle azioni che sotto forma di servizi ormai da 20 anni sono oggetto di concessione a privati che le svolgono a scopo di lucro senza alcuna possibilità per il soggetto pubblico di verifica della qualità né di intervento migliorativo o concorrenziale (concessioni in monopolio);
l'educazione al patrimonio, dalla semplice visita guidata al progetto complesso, e la produzione scientifica di cataloghi e mostre non si possono ritenere in alcun modo «aggiuntivi», perché consustanziali all'uso pubblico, culturale e sociale del patrimonio e vanno quindi reinternalizzati e affidati a specifiche professionalità inquadrate nell'organico stabile degli istituti di cultura;
pertanto, secondo l'attuale disciplina contenuta nel codice dei beni culturali (decreto legislativo n. 42 del 2007), i servizi da ricondurre alla fondamentale funzione di valorizzazione risulterebbero: i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia; i servizi di informazione, di guida, ivi compreso il servizio di audio guida, e assistenza didattica, i centri di incontro l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali;
diverso, invece, è il caso per servizi quali ristorazione, caffetteria, biglietteria, assistenza di sala, guardiania, bookshop e altro ovvero servizi il cui espletamento non richiede personale formato sulle discipline del patrimonio. Questi servizi sono strategici al fine di fare degli istituti di cultura, i musei soprattutto, luoghi dove fare esperienze piacevoli e trascorrere il tempo libero, non solo dove formarsi. Quindi, lo sviluppo e la massima qualità di questi servizi vanno garantiti; la concessione a soggetti privati non è solo possibile ma auspicabile. Ciò che si rende necessario, però è rivedere le condizioni dei bandi di affidamento che generalmente prevedono royalty troppo basse per il soggetto appaltante (la pubblica amministrazione a cui appartiene il bene) e la massima libertà di azione da parte del concessionario che massimizza i profitti a scapito di qualunque investimento e molto spesso rifacendosi sul costo del personale, precario e ancora in formazione;
sui servizi aggiuntivi è quindi possibile ragionare in termini di profitto, ma il primo beneficiario deve essere il proprietario del bene e non il gestore a cui va garantito un equo guadagno invertendo, anzi scardinando, una logica di profitto ormai consolidata;
si è assistito nel tempo, ad una progressiva estensione delle competenze assegnate ai concessionari, che, dalla mera esecuzione dei servizi «accessori» e relativamente standardizzabili (ristorazione e librerie), hanno assunto compiti di natura assai più significativa sul piano culturale e strategico (visite guidate, supporti didattici, mostre temporanee, allestimenti e altro) trasformando gli assetti gestionali delle istituzioni;
numerosi, inoltre, sono i problemi che caratterizzano l'attuale sistema di gestione dei servizi aggiuntivi; le cause di tale situazione sono numerose e i fattori di criticità più rilevanti sono riconducibili a dubbie dinamiche relazionali tra pubblico e privato che si sono affermate nella prassi, quali affidamento di concessioni andate deserte, frequenti inadempimenti contrattuali, bassa qualità delle prestazioni erogate, indiscriminati prolungamenti della durata delle concessioni,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per procedere all'internalizzazione di tutti i servizi museali aggiuntivi riconducibili alla fondamentale funzione di valorizzazione;
ad individuare un modello organizzativo gestionale, efficiente ed efficace, che racchiuda in sé un adeguato sistema di promozione e comunicazione che renda fruibili al meglio i luoghi di cultura.
(1-01267) «Simone Valente, Vacca, Brescia, Luigi Gallo, Di Benedetto, D'Uva, Marzana, D'Incà».
La Camera,
premesso che:
gli articoli 33 e 34 della Costituzione pongono i princìpi fondamentali relativi all'istruzione con riferimento, rispettivamente, all'organizzazione scolastica e universitaria e ai diritti di accedervi e di usufruire delle prestazioni che essa è chiamata a fornire. Organizzazione e diritti sono aspetti speculari della stessa materia, l'una e gli altri implicandosi e condizionandosi reciprocamente. Non c’è organizzazione che, direttamente o almeno indirettamente, non sia finalizzata a diritti, così come non c’è diritto a prestazione che non condizioni l'organizzazione;
l'articolo 33, dopo aver stabilito, al primo comma, che «l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento» e, al secondo comma, che la «Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi», prevede, tra gli altri per le università, «il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». «Secondo la Costituzione, l'ordinamento della pubblica istruzione è dunque unitario ma l'unità è assicurata, per il sistema scolastico in genere, da “norme generali” dettate dalla Repubblica; in specie, per il sistema universitario, in quanto costituito da “ordinamenti autonomi”, da “limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”»;
gli «ordinamenti autonomi» delle università, cui la legge, secondo l'articolo 33 della Costituzione, deve fare da cornice, non possono considerarsi soltanto sotto l'aspetto organizzativo interno, manifestantesi in amministrazione e in normazione statutaria e regolamentare. Per l'anzidetto rapporto di necessaria reciproca implicazione, l'organizzazione deve considerarsi anche sul suo lato funzionale esterno, coinvolgente i diritti e incidente su di essi. La necessità di leggi dello Stato, quali limiti dell'autonomia ordinamentale universitaria, vale pertanto sia per l'aspetto organizzativo, sia, a maggior ragione, per l'aspetto funzionale che coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni;
in questo modo, all'ultimo comma dell'articolo 33 viene a conferirsi una funzione, per così dire, di cerniera, attribuendosi alla responsabilità del legislatore statale la predisposizione di limiti legislativi all'autonomia universitaria relativi tanto all'organizzazione in senso stretto, quanto al diritto di accedere all'istruzione universitaria, nell'ambito del principio secondo il quale «la scuola è aperta a tutti» (articolo 34, primo comma) e per la garanzia del diritto riconosciuto ai «capaci e meritevoli, anche, se privi di mezzi» «di raggiungere i gradi più alti degli studi» (articolo 34, terzo comma);
la conclusione cui così si perviene attraverso la specifica interpretazione degli articoli 33 e 34 della Costituzione è, del resto, confermata e avvalorata dai «princìpi generali informatori dell'ordinamento democratico, secondo i quali ogni specie di limite imposto ai diritti dei cittadini abbisogna del consenso dell'organo che trae da costoro la propria diretta investitura» e dall'esigenza che «la valutazione relativa alla convenienza dell'imposizione di uno o di altro limite sia effettuata avendo presente il quadro complessivo degli interventi statali nell'economia inserendolo armonicamente in esso, e pertanto debba competere al Parlamento, quale organo da cui emana l'indirizzo politico generale dello Stato» (cfr sent. N. 383 del 1998 della Corte costituzionale);
non può negarsi che il diritto costituzionale allo studio, come ricostruito dalla riportata giurisprudenza costituzionale, imponendo scelte pubbliche d'insieme, inerenti alla determinazione delle risorse necessarie per il funzionamento delle istituzioni universitarie, per la garanzia del diritto alla formazione culturale (sancita dall'articolo 2 della Costituzione) e alle scelte professionali di ciascuno (articolo 4) risulti, soprattutto negli ultimi anni, drammaticamente compromesso;
il sistema di finanziamento pubblico del diritto allo studio universitario avviene attraverso tre voci ovvero:
1. il fondo integrativo statale;
2. il gettito derivante dalla tassa regionale per il diritto allo studio;
3. le risorse proprie delle regioni, pari almeno al 40 per cento dell'assegnazione del Fondo integrativo statale;
negli ultimi anni il diritto allo studio universitario è stato umiliato a causa del sempre più frequente fenomeno dello studente idoneo a percepire la borsa di studio ma non beneficiario a causa delle insufficienti risorse stanziate dallo Stato;
nonostante le nuove regole sul diritto allo studio, conseguenti alla «riforma Gelmini» dell'università, abbia causato un numero di studenti idonei a percepire la borsa di studio inferiore rispetto al passato, le regioni non riescono, comunque, ad assegnare le borse a tutti i richiedenti che ne hanno diritto;
l'Italia si colloca negli ultimi posti in Europa per investimenti sul diritto allo studio, tant’è che in diversi Stati dell'Unione europea l'iscrizione all'università è gratuita e la borsa di studio garantisce tutti gli studenti privi di mezzi;
in Italia, a beneficiare di borse di studio è circa il 7 per cento degli studenti, per una spesa complessiva pubblica 258 milioni di euro, contro il 25,6 per cento della Francia (1,6 miliardi), il 30 per cento della Germania (2 miliardi) e il 18 per cento della Spagna (943 milioni);
in particolare, l'importo della tassa per il diritto allo studio è stabilito dalle regioni e dalle province autonome e può essere articolato in 3 fasce. La misura minima della fascia più bassa della tassa è fissata in 120 euro e si applica a coloro che presentano una condizione economica non superiore al livello minimo dell'indicatore di situazione economica equivalente corrispondente ai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai LEP del diritto allo studio. I restanti valori della tassa minima sono fissati in 140 euro e 160 euro per coloro che presentano un indicatore di situazione economica equivalente rispettivamente superiore al livello minimo e al doppio del livello minimo previsto dai requisiti di eleggibilità per l'accesso ai LEP del diritto allo studio. Il livello massimo della tassa per il diritto allo studio è fissato in 200 euro;
l'attuale normativa prevede che l'impegno delle regioni in termini economici maggiori rispetto a quanto previsto dall'articolo 18, comma 1, lettera c) del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, sia valutato attraverso l'assegnazione di specifici incentivi nel riparto del fondo integrativo statale di cui al comma 1, lettera a) dello stesso decreto legislativo, e del fondo per il finanziamento ordinario alle università statali che hanno sede nel rispettivo contesto territoriale;
i criteri per il riparto del fondo integrativo per la concessione di prestiti d'onore e di borse di studio sono stabiliti dall'articolo 16 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 aprile 2001;
analogo discorso, circa i limiti che il legislatore statale deve porre all'autonomia degli atenei al fine di garantire la piena attuazione della Costituzione, deve riferirsi alla determinazione delle tasse d'iscrizione all'università. Attualmente anche la contribuzione richiesta agli studenti rappresenta, infatti, un ostacolo alla formazione;
il decreto del Presidente della Repubblica n. 306 del 1997, regolamenta la disciplina in materia di tasse di iscrizione all'università a carico degli studenti. Tale regolamento prevede che ogni università abbia piena autonomia nella determinazione dell'entità e delle regole della tassazione studentesca rispettando criteri di equità, solidarietà e progressività, tenendo in considerazione la condizione economica dello studente;
oltre ai contributi universitari, ogni studente è tenuto a versare all'università anche la tassa di iscrizione, fissata inizialmente in trecentomila lire ed aggiornata annualmente con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. L'importo della tassa di iscrizione è identica per tutti gli atenei italiani;
la contribuzione totale versata dallo studente universitario è la risultante della somma tra la tassa di iscrizione definita annualmente dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e i contributi universitari decisi autonomamente da ogni singola università;
come contrappeso all'autonomia delle università, per evitare che queste possano stabilire importi contributivi troppo alti, il regolamento stabilisce che la somma delle contribuzioni versate da ogni singolo studente ogni anno alla propria università non possa eccedere il 20 per cento del finanziamento ordinario dello Stato all'ateneo;
il citato regolamento stabilisce alcuni princìpi, seguendo criteri più specifici, che prevedono anche la garanzia dell'accesso ai capaci e ai meritevoli privi di mezzi e la riduzione del tasso di abbandono degli studi;
tale disciplina in materia di contributi universitari è rimasta inalterata fino alle modifiche apportate dalla normativa sulla spending review (decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135), che ha disposto (con l'articolo 7, comma 42) l'introduzione dei commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies dell'articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 306 del 1997;
le modifiche apportate dal citato decreto-legge n. 95 del 2012 entrano nel merito dei limiti della contribuzione studentesca modificando i criteri per individuare la tassazione massima a carico dello studente. In sostanza, viene modificato il calcolo del limite del 20 per cento dell'ammontare della contribuzione studentesca totale (la somma di tutte le tasse pagate dagli studenti in un singolo ateneo) rispetto al finanziamento ordinario assegnato dallo Stato alla singola università;
con le novelle introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012, ai fini del calcolo della contribuzione studentesca totale, è stata scorporata la contribuzione degli studenti fuori corso. Come conseguenza non sono più considerate, ai fini del calcolo della contribuzione totale versata dagli studenti alle università, le somme pagate dagli studenti fuori corso che, in media, rappresentano il 40 per cento degli iscritti;
tale novità comporta, di fatto, un aumento del limite massimo di contribuzione sia per gli studenti in corso che per quelli fuori corso; inoltre, è eliminato qualsiasi limite alla determinazione dell'importo della contribuzione studentesca per gli studenti fuori corso;
il citato decreto-legge n. 95 del 2012 prevede, inoltre, entro tre anni dalla entrata in vigore, un aumento significativo della tassazione per tutti gli studenti;
il fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO) è relativo alla quota a carico del bilancio statale delle spese per il funzionamento e le attività istituzionali delle università, comprese le spese per il personale docente, ricercatore e non docente, per l'ordinaria manutenzione delle strutture universitarie e per la ricerca scientifica e della spesa per le attività sportive universitarie;
negli ultimi anni il fondo per il finanziamento ordinario è sensibilmente diminuito; per questa ragione, le università che si sono trovate a superare il limite del 20 per cento sono numerose, ben due delle università statali su tre nell'anno accademico 2011/2012;
alcune università (Insubria, Milano statale, Milano Bicocca, Napoli Partenope, Urbino, Venezia Ca’ Foscari, Venezia IUAV) hanno superato anche il 30 per cento e una (Bergamo) addirittura il 40 per cento;
di fatto le modifiche apportate dal decreto-legge n. 95 del 2012 al decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306, scaricano sugli studenti i tagli apportati al fondo per il finanziamento ordinario nel corso degli anni dai vari Governi alla guida del nostro Paese;
gli atenei che, fino al 2013, non hanno rispettato il tetto massimo degli introiti derivanti da tasse e contribuzione studentesche previste dal decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306, sono stati avvantaggiati dal reclutamento e dalle quote premiali, nonostante fossero in difetto fino all'entrata in vigore delle disposizioni normative introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012;
dal 2007 alcune associazioni studentesche universitarie hanno avviato una serie di ricorsi amministrativi contro quegli atenei che superavano il limite del 20 per cento stabilito dall'articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306;
dopo l'accoglimento, nel marzo del 2011, del primo ricorso sulla contribuzione studentesca presentato nel 2007 (registro generale 599) al Tar Abruzzo contro l'università di Chieti Pescara, si sono moltiplicati i ricorsi in vari atenei italiani;
di fatto, le disposizioni normative introdotte dal decreto-legge n. 95 del 2012 hanno rappresentato una sanatoria per le università che fino al 2012 non rispettavano quanto stabilito dal decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306;
si ritiene necessario, in considerazione di quanto esposto, prevedere l'esonero dal pagamento (della contribuzione studentesca per gli studenti meno abbienti introducendo una « no tax area» per indicatori della situazione economica equivalente al di sotto dei 20 mila euro. Secondo i dati forniti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca l'ammontare del fondo di finanziamento ordinario 2017 si attesta intorno ai 7.003 milioni di euro, mentre il gettito complessivo della contribuzione studentesca intorno ai 1.497 milioni di euro;
al fine di non ridurre le già esigue risorse destinate al sistema universitario, risulta doveroso rimborsare alle università il mancato gettito derivante dall'introduzione della « no tax area» attraverso un incremento dedicato del Fondo di finanziamento ordinario,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative volte a modificare la disciplina attualmente vigente sulla contribuzione studentesca alle università statali stabilendo un'area di reddito entro cui lo studente sia esente dal pagamento della contribuzione (fascia no-tax) per tutti gli studenti con ISEE al di sotto dei 20.000 euro;
a dare pronta attuazione a quanto previsto dall'articolo 20 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, attivando l'Osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario e, in particolare, creando un sistema informativo, correlato a quelli delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, per l'attuazione del diritto allo studio, anche attraverso una banca dati dei beneficiari delle borse di studio;
ad assumere iniziative normative, a garanzia dell'effettività del diritto allo studio sancito dalla Costituzione, volte ad incrementare le risorse destinate al diritto allo studio universitario con l'obiettivo di far sì che gli strumenti e i servizi per il conseguimento del pieno successo formativo nei corsi di istruzione superiore siano a disposizione di una platea di studenti che sia almeno corrispondente ad un quarto degli iscritti, in modo da allinearsi agli standard della Germania e la Francia;
al fine di implementare l'utilizzo delle nuove tecnologie nonché di agevolare lo studio universitario a distanza, ad assumere iniziative per incrementare le risorse destinate alla didattica universitaria digitale;
al fine di garantire il diritto alla prosecuzione degli studi e alla soddisfazione professionale di ciascuno, ad assumere iniziative per rimodulare l'attuale sistema di accesso per i corsi di laurea a numero programmato.
(1-01268) «Vacca, D'Uva, Brescia, Simone Valente, Luigi Gallo, Marzana, Di Benedetto, D'Incà».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazione a risposta in Commissione:
FERRARESI e DELL'ORCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
il progetto per la realizzazione dell'autostrada regionale Cispadana che collegherà il casello di Reggiolo-Rolo sulla A22 alla barriera di Ferrara Sud sull'A13, proposto dalla società Autostrada regionale cispadana s.p.a. (ARC spa) e voluto con insistenza dalla amministrazione regionale dell'Emilia-Romagna è attualmente sottoposto a procedura di valutazione di impatto ambientale;
la giunta dell'Emilia-Romagna, con deliberazione n. 300 del marzo 2014, ha approvato il proprio parere in cui valuta positivamente la compatibilità ambientale del progetto a fronte dell'ottemperanza alle prescrizioni impartite nel parere stesso;
con comunicazione prot. DG/PBAAC/15600/2014, del 23 giugno 2014, inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il Ministero dei beni e attività culturali e del turismo ha espresso parere contrario sulla compatibilità ambientale del progetto autostrada Cispadana;
il 16 gennaio 2015 vi è la pubblicazione sul sito web del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dell'emissione di parere positivo con prescrizioni da parte della commissione di valutazione di impatto ambientale (CTVIA); il parere rilasciato dal Ministero dei beni e attività culturali e del turismo costituisce atto endoprocedimentale in seno alla procedura di valutazione di impatto ambientale e visti i pareri contrastanti la procedura è passata in carico alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
la delibera del Consiglio dei ministri del 10 febbraio 2016 ha fatto propria la prescrizione n. 1.b del parere n. 1690 del 16 gennaio 2015 della commissione tecnica di impatto ambientale, così come sostituita il 23 dicembre 2015 nella riunione di approfondimento istruttorio presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, andando a modificare un tratto del percorso autostradale del progetto definitivo, adottando la soluzione identificata come C2b;
tale variante viene preferita, pare di capire, in quanto evita i vincoli dati dalla tutela paesaggistica ricadenti sui terreni della Partecipanza agraria, spostando il tracciato più a nord; le conseguenze sono un considerevole avvicinamento del tracciato al centro abitato di Finale Emilia (Modena) e l'attraversamento dell'abitato della frazione di Alberone di Cento in provincia di Ferrara;
occorre tener presente che il tracciato C2b era già stato «bocciato» ed escluso dalla regione Emilia-Romagna che, con delibera della giunta regionale, in data 19 dicembre 2011, ha approvato l'alternativa C2c, che la provincia di Ferrara aveva, in conferenza territoriale servizi, espresso parere negativo (parere del 18 maggio 2011) a tale tracciato, che anche ora il consiglio comunale di Cento, in data 20 aprile 2016, ha ribadito e dichiarato irricevibile questa ipotesi con uno specifico ordine del giorno presentato dal sindaco Piero Lodi e votato all'unanimità dai consiglieri, che sia da parte del presidente della regione Emilia Romagna Bonaccini che dell'assessore regionale Donini vengono rilasciate in questi giorni pubbliche dichiarazioni contrarie a questo tracciato;
come detto, la conseguenza diretta del tracciato C2b è quella di un forte impatto su tutto l'abitato di Alberone, considerando tra l'altro che è in procinto la ricostruzione dell'asilo comunale distrutto dal terremoto del 2012 e si prevede l'esproprio con demolizione di una casa di recente ricostruzione che ha usufruito del contributo (pare per una cifra di oltre 500.000 euro) di cui al fondo previsto all'articolo 2 del decreto legge 6 giugno 2012 n. 74 convertito, con modificazioni, dalla legge 1o agosto 2012, n. 122;
si può affermare che la scelta di adottare il tracciato C2b non risulta coerente con il piano di lavoro valutato dalla conferenza territoriale così come riconosciuto e recepito dal servizio valutazione impatto e promozione sostenibilità ambientale della regione Emilia Romagna; tale scelta non ha consentito di sviluppare una progettazione condivisa, organica ed integrata rispetto alle aspettative delle amministrazioni locali e dei cittadini interessati direttamente all'opera;
vi è un grande movimento di opinione, di cittadini organizzati in comitati, di associazioni ambientaliste, di diverse forze politiche che a livello locale sono fortemente contrarie alla realizzazione della Cispadana nella sua forma autostradale, considerandola opera di grande impatto ambientale, inutile e dispendiosa, e che da anni propongono di trasformare questo progetto in una strada a scorrimento veloce al servizio al territorio, come del resto era nel progetto originario, in parte, in provincia di Ferrara, per lunghi tratti già realizzato –:
quali siano i motivi per cui si è modificata la scelta del tracciato originariamente valutato adottando la variante C2b;
se non ritenga il Governo di rivedere la scelta del tracciato C2b di cui alla delibera del Consiglio dei ministri del 10 febbraio 2016 proprio alla luce della montante contrarietà che emerge dal territorio, sia da parte dei cittadini che dei rappresentanti delle amministrazioni locali;
se non costituisca un dispendio di risorse pubbliche l'impatto, l'esproprio, le demolizioni di case di recente ricostruzione che causerà la scelta di questo tracciato, anche perché al momento della progettazione post terremoto non era prevista tale ipotesi e non è stato possibile valutarne l'impatto;
se il Governo non ritenga di approfondire la reale validità del progetto autostradale, anche alla luce della necessità di adeguare le politiche trasportistiche del Paese alle prospettive di riduzione dei trasporti su gomma e in conseguenza del mutato panorama economico che ha visto una riduzione del traffico autostradale rispetto al momento ed ai presupposti considerati dalla progettazione, al fine di valorizzare l'alternativa strada a scorrimento veloce, già oggetto di valutazione comparata con il progetto presentato nello studio di fattibilità promosso dalla regione Emilia Romagna nel 2006. (5-08677)
Interrogazioni a risposta scritta:
SCOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
la legge finanziaria 2007, sulla base delle necessità di riequilibrio economico, ha previsto che le regioni dovessero definire piani per la riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e accreditate di diagnostica di laboratorio;
la suddetta finanziaria (legge n. 296 del 2006), articolo 1, comma 796, lettera o), ha infatti stabilito che le regioni fossero tenute ad approvare, entro il 28 febbraio 2007, «un piano di riorganizzazione della rete delle strutture pubbliche e private accreditate eroganti prestazioni specialistiche e di diagnostica di laboratorio, al fine dell'adeguamento degli standard organizzativi e di personale coerenti con i processi di incremento dell'efficienza resi possibili dal ricorso a metodiche automatizzate»;
il 23 marzo 2011, l'accordo in sede di Conferenza Stato-regioni, ha prodotto il documento relativo ai «Criteri per la riorganizzazione delle reti di offerta della diagnostica di laboratorio» contenente il riferimento della soglia minima di efficienza;
in attuazione di ciò le regioni sono state quindi chiamate a definire standard organizzativi e di personale per i laboratori e le strutture specialistiche;
in questi anni la regione Campania, e quindi il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del servizio sanitario regionale, ha emanato diversi decreti relativi al «piano di riassetto della rete laboratoristica privata»: decreto n. 109 del 2013; decreto n. 45 del 2014; decreto n. 59 del 2015; decreto n. 17 del 2016; decreto n. 28 del 2016;
il citato ultimo decreto commissariale n. 28 del 2016, oltre a prendere atto delle richieste di deroga di alcune strutture delle aziende sanitarie locali Benevento, Caserta, Napoli 2 Nord, Napoli 3 Sud, conferma la disciplina del decreto n. 109 del 2013 e successive modificazioni e integrazioni, e prevede un'ulteriore proroga di 6 mesi della scadenza ex decreto n. 17 del 2016 per le strutture sotto la soglia minima di efficienza (70.000/prestazioni anno); pertanto, la nuova scadenza è fissata al 15 ottobre 2016;
l'11 aprile 2016, in occasione della visita del Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, all'Istituto per la cura dei tumori Pascale di Napoli, sindacati e lavoratori dei laboratori di analisi privati accreditati presso il Servizio sanitario nazionale, hanno manifestato denunciando con forza il rischio della perdita di 4 mila posti di lavoro in conseguenza del piano di riassetto della rete laboratoristica privata approvato dal commissario ad acta della sanità campana, e che prevede l'obbligo dell'aggregazione ad una struttura, associazione o consorzio, per le strutture sotto la soglia minima delle 70 mila prestazioni annue, pena la revoca dell'accreditamento;
peraltro, come denunciato dai medesimi sindacati e lavoratori dei laboratori di analisi interessati all'aggregazione prevista dal decreto commissariale, a fronte di un rischio più che probabile di perdita di posti di lavoro, non si prevede alcun significativo risparmio per le casse della sanità regionale. Anzi, è probabile che il piano di riassetto della rete laboratoristica campana porti a un aumento delle spese per la regione in conseguenza dell'attivazione di qualche migliaio di sussidi di disoccupazione –:
quali iniziative si intendano adottare, di concerto con gli enti territoriali interessati, per scongiurare la probabile perdita di posti di lavoro diretti e indiretti, conseguente all'attuazione del piano di riassetto della rete laboratoristica approvato dal commissario ad acta della sanità campana;
se intendano valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a sospendere i decreti attuativi del suddetto piano di riassetto definito dal Commissario ad acta, al fine di attivare un tavolo di confronto con le parti sociali e tutti i soggetti interessati per individuare le soluzioni più appropriate a scongiurare una crisi anche occupazionale del settore, e garantire un capillare presidio territoriale delle strutture pubbliche e private accreditate di diagnostica di laboratorio. (4-13199)
TOFALO e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
continua la mobilitazione dei cittadini salernitani a proposito della delicata questione delle Fonderie Pisano, che ha visto negli anni processi, sentenze, interrogazioni parlamentari, provvedimenti di chiusura e di riapertura «con riserva» e soprattutto decessi per gravi patologie potenzialmente causate dall'inquinamento prodotto dall'impianto;
all'interno delle Fonderie Pisano vi è un grandissimo serbatoio di Gpl (sembrerebbe da 20000 litri almeno) in funzione sprovvisto del certificato prevenzione incendi (CPI) rilasciato dai vigili del fuoco. La mancanza di tale certificazione metterebbe l'impianto in condizioni di non idoneità. Un eventuale incidente causerebbe serissimi danni all'ambiente ed alle persone. I lavoratori che prestano la loro opera all'interno della fonderia sono quindi in condizioni di non sicurezza, considerato che tale luogo di lavoro è intrinsecamente ad elevato rischio di incendio. Tale vicenda porta alla mente il rogo avvento nel 2007 all'interno dell'acciaieria torinese ThyssenKrupp, che costò la vita a 7 operai: anche in quel caso le inadempienze riguardavano le norme anti-incendio;
l'assenza di tale certificato determina la possibilità di sospendere le attività dell'impianto, mediante un provvedimento del prefetto (ai sensi del comma 3 dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 139 del 2006) o del sindaco (articolo 54 del decreto legislativo n. 18 agosto 2000 n. 267, come modificato dalla legge n. 125 del 2008 relativo ai poteri del sindaco, quale ufficiale di Governo) –:
se siano a conoscenza della situazione e se considerato il grave rischio di cui in premessa, non si intendano assumere le iniziative di competenza per la immediata sospensione dell'attività dell'impianto. (4-13204)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta in Commissione:
DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
in data 24 marzo 2015, è stata presentata dall'Enac istanza per l'avvio della procedura di valutazione d'impatto ambientale concernente la realizzazione dell’«aeroporto di Firenze – master plan aeroportuale 2014-2029» nel quale si prevede, tra l'altro, una nuova pista con orientamento «12-30» al posto dell'attuale pista con orientamento «05-23»;
da osservazioni (così protocollate DVA-00_2015-0027618 e disponibili sul sito http://www.va.minambiente.it) presentate nell'ambito di detta procedura emergerebbero gravi incompletezze ed errori evidenziati soprattutto nell'ambito dell'esame dell'elaborato d'integrazione INT-PAE-00-REL-002 prodotto da Enac riferito allo Studio di impatto ambientale compendiate nella relazione del Professor Architetto Alessandro Dini (pagine 83 e seguenti) che deduce l'incompetenza che caratterizza le argomentazioni addotte a sostegno dei cosiddetti approfondimenti paesaggistici esaminati tali da inficiare in fatto e in diritto l'intero studio d'impatto ambientale predisposto da Enac e agli atti dell'approvazione del master plan 2014-2029 per l'aeroporto Amerigo Vespucci di Firenze in attuazione della Deliberazione del CRT n. 61 del 2014. E;
secondo le citate osservazioni, in particolare, i relativi progetti risulterebbero lacunosi e portatori di risultati omissivi della necessaria valutazione colta, completa ed esaustiva del reale rischio ambientale e paesaggistico e di limitazione al godimento del patrimonio culturale UNESCO. Nello specifico si assume che si sconvolgerebbero i già precari equilibri antropico/naturali, senza che sia attuata una valutazione alcuna di nuovi impatti o alternative previsioni pianificatorie, e in caso di realizzazione si evidenzierebbero caratteri di certezza di rischio e di minacce ambientali, superando i livelli già di per loro stessi allarmanti di probabilità o possibilità;
ulteriori lacune ed approssimazioni sono dedotte dai sindaci promotori di un confronto pubblico «Aeroporto parliamone» secondo i quali avrebbe trovato «conferma il dubbio principale che ci ha spinto a promuovere questo percorso ossia che il Master Plan presentato non è un progetto degno di essere oggetto di valutazione di impatto ambientale. Troppe sono le lacune e le approssimazioni, troppo espliciti sono gli interessi economici privati del nuovo scalo, a scapito di una programmazione strategica e ambientale di un'area che deve essere considerata un'unica città» (tratto da un articolo intitolato «Calenzano conclusi i confronti pubblici». «Aeroporto parliamone» Verdetto delle Assemblee « Master plan da rivedere») –:
se il Ministro interrogato, nell'ambito della procedura in corso, a fronte delle controdeduzioni di cui in premessa e dei rischi e degli errori rimarcati, intenda porre in essere specifiche iniziative di competenza a tutela dell'ambiente e della salute, anche eseguendo valutazioni integrative e approfondimenti ambientali-paesaggistici. (5-08678)
Interrogazioni a risposta scritta:
D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il lago di Varano, situato nella provincia di Foggia, con una superficie di circa 60,5 chilometri quadrati risulta essere il maggiore lago costiero italiano, oltre ad essere il settimo lago della penisola e il più grande dell'Italia meridionale;
da numerosi studi (tra i quali si cita a titolo esemplificativo il «Progetto integrato di recupero e riqualificazione della laguna di Varano. ELTCON Cons. Elettronica Spa – Condotte d'acqua spa»), è emersa la fondamentale importanza del dragaggio e delle paratoie mobili in laguna finalizzati alla salvaguardia e alla ripopolazione della fauna ittica locale;
il sistema idraulico delle paratoie mobili, situate alla foce di un canale, è finalizzato a regolare la portata di acqua in modo da favorire il ripopolamento di pesci nella fase di chiusura delle stesse in determinati periodi dell'anno;
la presenza delle paratoie mobili nel canale di Capoiale è previsto anche dal regolamento della pesca 2009 (regolamento della pesca regionale nella laguna di Varano) che, all'articolo 13, recita: «lungo il canale di Capoiale e quello di Varano, nella zona antistante allo sbarramento ittico con griglie, per un raggio di metri 1.200 (milleduecento) verso il centro lagunare, dal 1o febbraio al 31 maggio di ogni anno, è vietata in modo assoluto la pesca con qualsiasi rete o attrezzo, sia fissa che vagantiva. Il divieto persiste nelle zone di acqua delimitata dall'arco di cerchio avente lo stesso raggio con centro fisso presso gli sbarramenti ittici dei due canali;
ciò allo scopo di favorire la montata della popolazione ittica novella»;
numerose pubblicazioni giornalistiche risalenti al 2010, riportano la notizia di un finanziamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare destinato alla realizzazione delle paratoie mobili, attraverso il parco nazionale del Gargano. Nelle pubblicazioni, l'allora sindaco di Cagnano Varano fa riferimento ad una cifra di circa 900 mila euro e a lavori pare già appaltati, ma che al momento non risultano essere stati effettuati –:
quale sia lo stato dei finanziamenti menzionati e quali siano gli interventi che si intendono mettere in atto al fine realizzare le paratoie mobili necessarie alla salvaguardia e al ripopolamento della fauna ittica del lago di Varano. (4-13196)
MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
dalla prima decade del maggio 2016 è possibile visualizzare, in formato elettronico, l'ultimo rapporto dell'Istituto superiore per la protezione ambientale (ISPRA) (n.ro 244/2016) e precisamente il rapporto nazionale pesticidi nelle acque – dati 2013-2014;
tale rapporto viene suddiviso in due parti, una nazionale ed una regionale;
il rapporto è stato predisposto dall'ISPRA sulla base delle informazioni trasmesse da regioni e province autonome, che attraverso le agenzie regionali e provinciali per la protezione dell'ambiente effettuano le indagini sul territorio e le analisi di laboratorio;
la realizzazione del rapporto è curata dal settore sostanze pericolose, del servizio rischio tecnologico, del dipartimento nucleare rischio tecnologico e industriale dell'ISPRA;
nel biennio 2013-2014 sono stati analizzati 29.220 campioni per un totale di 1.351.718 misure analitiche, con un aumento rispettivamente del 4,3 per cento e dell'11,8 per cento nei confronti del biennio precedente. Nel 2014, in particolare, le indagini hanno riguardato 3.747 punti di campionamento e 14.718 campioni e sono state cercate complessivamente 365 sostanze (nel 2012 erano 335);
glifosate e acido aminometilfosforico (un prodotto di degradazione del glifosate), metolaclor, triciclazolo, oxadiazon, terbutilazina e desetilterbutilazina (prodotto di degradazione della terbutilazina), sono le sostanze più presenti nelle acque superficiali;
in tali acque sono stati trovati pesticidi nel 63,9 per cento dei 1.284 punti di monitoraggio controllati (nel 2012 la percentuale era del 56,9). Il 21,3 per cento delle acque superficiali non ha superato i test sulla qualità ambientale, a causa delle concentrazioni elevate delle sostanze di cui sopra;
bentazone, metalaxil, terbutilazina e desetil-terbutilazina, atrazina e atrazina-desetil, oxadixil, imidacloprid, oxadiazon, bromacile, 2,6-diclorobenzammide, metolaclor sono le sostanze trovate, oltre i limiti di legge, nelle acque sotterranee;
in tali acque la contaminazione è meno estesa, infatti risulta contaminato il 31,7 per cento dei 2.463 punti esaminati (31 per cento nel 2012). Ciononostante anche nel caso delle falde sotterranee emergono trend allarmanti, con un incremento del 10 per cento delle sostanze fitosanitarie rinvenute;
sono stati rilevati pesticidi anche nelle acque più profonde, che possono contare sulla protezione di strati geologici scarsamente permeabili. Il 6,9 per cento delle acque di falda esaminate presenta concentrazioni oltre la soglia di sostanze fitosanitarie: dal bentazone al midacloprid;
il dato maggiormente allarmante che viene fuori dalla lettura di questo rapporto è il fatto che vi sia una contaminazione da pesticidi nel 63,9 per cento dei laghi e dei fiumi italiani e in un terzo delle falde acquifere;
i pesticidi possono avere importanti ripercussioni sulla salute umana, secondo i più recenti studi nonché a detta della Organizzazione mondiale della sanità (http://www.who.int/topics/pesticides/en/en/);
il pesticida che sfora più spesso i limiti è il glifosato. Gli erbicidi sono le sostanze più rinvenute perché vengono erogati a contatto diretto con il suolo. Inoltre, il loro utilizzo nei mesi primaverili fa sì che le frequenti piogge li trasportino negli strati più profondi del suolo;
tra i neonicotinoidi i più invasivi sono l'imidacloprid e il tiametoxan, diffusi sia nelle acque superficiali che nelle falde;
il responsabile del settore sostanze pericolose dell'ISPRA nonché coordinatore dell'unità che ha realizzato il Rapporto pesticidi, Pietro Paris, precisa che non è stato fatto un controllo dell'acqua che esce dal rubinetto ma di quella dei corpi idrici. Molto spesso però i prelievi per uso potabile attingono agli stessi corpi idrici che vengono analizzati. Quasi sempre è necessario ricorrere a sistemi di abbattimento e depurazione per poter immettere nel rubinetto acqua a norma, perché i corpi idrici superficiali e sotterranei sono inquinati. Un esempio è il fiume Po, che viene utilizzato abbondantemente per rifornire intere province con acqua da bere, che però deve essere depurata. Questo modus operandi contrasta con il principio fondamentale alla base della direttiva quadro sulle acque, la n. 60 del 2000, che dice che bisogna prevenire il ricorso all'abbattimento, cioè evitare di inquinare anziché andare a depurare;
sempre a detta del Piras, quello in corso è un atteggiamento di emergenza fatto sistema;
il Paris precisa ancora che l'ISPRA non ha poteri di intervento ed il suo parere non è vincolante. Dal 2003 i dati che vengono forniti dimostrano che le acque sono contaminate da miscele di sostanze. In particolare, i fitofarmaci, prima di essere immessi in commercio, sono valutati e autorizzati singolarmente. Non esiste una valutazione complessiva del rischio per le miscele e del resto sono poco calcolabili, perché si formano con meccanismi e vie di migrazione imprevedibili. È questa, a detta dell'esperto, la lacuna normativa più seria;
la direttiva 2009/128/CE, recepita nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo n. 150 del 14 agosto 2012 (attuazione della direttiva 2009/128/CE, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai piani dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi), assegna agli Stati membri il compito di garantire l'implementazione di politiche e azioni volte alla riduzione dei rischi e degli impatti sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità, derivanti dall'impiego di prodotti fitosanitari;
tali politiche devono assicurare lo sviluppo e la promozione di metodi di produzione agricola a basso apporto di prodotti fitosanitari, realizzare un uso sostenibile dei prodotti fitosanitari riducendone i rischi e gli impatti sulla salute umana e sull'ambiente, promuovendo l'uso della difesa integrata e di approcci o tecniche alternativi, quali il metodo dell'agricoltura biologica e le alternative non chimiche ai prodotti fitosanitari;
vi sono cinque regioni che non hanno mandato i dati sui pesticidi nelle acque. Le regioni inadempienti sono Molise, Puglia, Campania, Basilicata e Calabria, regioni che non hanno inviato a Ispra le informazioni oppure lo hanno fatto solo parzialmente. Le regioni infatti avrebbero dovuto inviare all'ISPRA tali dati entro il 31 marzo, così come stabilito dal decreto ministeriale 35 del 22 gennaio 2014, il quale tuttavia non prevede sanzioni per il mancato rispetto dell'obbligo;
per la regione Campania i dati di riferimento sono rintracciabili ai link http://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/rapporti/rapporto-244/Tabelle%20regionali.pdf e http://www.isprambiente.gov.it/files/temi/rischio-sostanza-chimiche-reachprodotti-fitosanitari/RegioneCampania2013.pdf;
la situazione in Campania è oltremodo preoccupante. Arpa Campania infatti ha inviato i dati del 2013 ma nessuno per il 2014. Le informazioni che sono state trasmesse, inoltre, riguardano solo le acque superficiali e non anche quelle sotterranee;
i punti di monitoraggio per la regione Campania sono stati 76, in linea con la media nazionale;
le indagini hanno riguardato 354 campioni con una frequenza media annua minore di 5, non adeguata a descrivere le possibili variazioni stagionali e a intercettare i picchi di contaminazione;
basti pensare che la frequenza media di campionamento è di 7,4 campioni/anno (in tutta Italia) e solo la provincia di Bolzano esegue 12 campionamenti all'anno;
preoccupa anche il fatto che il numero di sostanze cercate (58) sia inferiore alla media, e non comprende sostanze rilevanti dal punto di vista della pericolosità e delle quantità utilizzate, specialmente quelle immesse sul mercato negli ultimi anni;
sono stati trovati residui nel 23,7 per cento dei punti e nel 9,9 per cento dei campioni investigati;
sono state rinvenute 9 sostanze: le più frequenti sono clorpirifos, dimetoato, metalaxil, e procimidone;
altro dato importante per la regione Campania riguarda la vendita di prodotti fitosanitari nel periodo 2001-2014;
a livello nazionale, infatti, i dati dell'ISTAT indicano una sensibile diminuzione delle vendite di prodotti fitosanitari nel periodo 2001-2014, da 147.771 a 129.977 tonnellate/anno (-12 per cento), con un calo ancora più marcato per i principi attivi, passati da 76.343 a 59.422 tonnellate (-22,2 per cento). Nello stesso periodo si è ridotta del 30,9 per cento la quantità di prodotti molto tossici e tossici;
indubbiamente c’è un più cauto impiego delle sostanze chimiche in agricoltura, cosa peraltro incentivata dalla politica comunitaria e nazionale e dall'adozione di tecniche di difesa fitosanitaria a minore impatto. Le sostanze più vendute, oltre ai pesticidi inorganici, come lo zolfo e i composti del rame, sono 1,3-dicloropropene, glifosate, mancozeb, metam-sodium, fosetil-aluminium, clorpirifos, con volumi annui superiori alle 1.000 tonnellate;
rispetto alla media nazionale delle vendite per ettaro di superficie agricola utilizzata (SAU), pari a 4,6 chilogrammi, la regione Campania si pone nettamente al di sopra con 8,5 chilogrammi. Il che significa che la regione Campania, nel 2014, ha utilizzato quantità di sostanze per ettaro di SAU superiore alla media nazionale;
con delibera n. 1220 del 6 luglio 2007 la giunta regionale ha adottato il piano di tutela delle acque ai sensi dell'articolo 121 del decreto legislativo n. 152 del 2006; tale delibera è stata pubblicata sul Burc n. 46 del 20 agosto 2007, a quanto risulta agli interroganti, escludendo, tuttavia, dalla pubblicazione gli allegati, ossia il piano stesso;
sul sito internet istituzionale della regione Campania e dell'Arpac non è stato possibile rinvenire nelle apposite sezioni tematiche l'allegato piano;
il piano di azione nazionale per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, adottato con il decreto ministeriale 22 gennaio 2014, che contiene una serie di raccomandazioni per le regioni chiamate ad applicarlo, stabilisce i seguenti obiettivi fondamentali:
a) ridurre i rischi e gli impatti dei prodotti fitosanitari sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità;
b) promuovere l'applicazione della difesa integrata, dell'agricoltura biologica e di altri approcci alternativi;
c) proteggere gli utilizzatori dei prodotti fitosanitari e la popolazione interessata;
d) tutelare i consumatori;
e) salvaguardare l'ambiente acquatico e le acque potabili;
f) conservare la biodiversità e tutelare gli ecosistemi;
il Gruppo Movimento 5 Stelle in regione Campania ha presentato in data 21 gennaio 2016, protocollo n. 44/4/X legislatura, una mozione che impegna la giunta: a emettere gli opportuni provvedimenti volti a vietare, su tutto il territorio regionale, l'uso degli erbicidi chimici e del glifosato, sia nelle coltivazioni agricole che nell'ambiente urbano; a trasmettere tali provvedimenti ai responsabili del settore manutenzione strade della regione e dell'ANAS, affinché all'interno del territorio regionale vengano utilizzati esclusivamente metodi di tipo meccanico nelle operazioni di diserbo compiute dalla ditte da loro incaricate; assicurare una capillare e sistematica azione di informazione alla popolazione relativamente ai potenziali rischi associati all'impiego dei prodotti fitosanitari ed erbicidi; a sollecitare Arpac e Asl affinché si attivino per un monitoraggio costante ed approfondito delle falde acquifere;
il Gruppo Movimento 5 Stelle in regione Campania ha interrogato la giunta regionale per sapere se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali siano le ragioni del mancato invio all'Ispra dei dati sul monitoraggio dei pesticidi nelle acque sotterranee; se il piano di tutela delle acque adottato con delibera n. 1220 del 6 luglio 2007 sia stato pubblicato sul sito internet istituzionale della regione e, in caso di risposta negativa, per quali ragioni; quali siano le sostanze fitosanitarie-pesticidi attualmente ricercate e monitorate nelle acque superficiali e sotterranee in Campania e se nel monitoraggio sia incluso il glifosato; quali azioni abbia realizzato la regione per monitorare lo stato di dispersione dei fitofarmaci-pesticidi nelle acque superficiali e sotterranee e proteggere gli utilizzatori dei prodotti fitosanitari e la popolazione dai potenziali rischi associati all'impiego degli stessi; se i laboratori utilizzati da ARPAC siano accreditati secondo il sistema ACCREDIA per la ricerca dei fitofarmaci-pesticidi e, in caso di risposta affermativa, per quali sostanze nello specifico;
come si legge all'interno del rapporto: «In Italia in agricoltura si utilizzano ogni anno circa 130.000 tonnellate di prodotti fitosanitari. Ci sono, inoltre, i biocidi impiegati in tanti settori di attività, di cui non si hanno informazioni sulle quantità, manca un'adeguata conoscenza degli scenari d'uso e della distribuzione geografica delle sorgenti di rilascio. Il monitoraggio dei pesticidi nelle acque richiede la predisposizione di una rete che copra gran parte del territorio nazionale, il controllo di un grande numero di sostanze e un continuo aggiornamento reso necessario dall'uso di sostanze nuove»;
dal rapporto è emerso che in molti casi, soprattutto nelle regioni del centro-nord, sono superati gli standard di qualità ambientale fissati dalle normative comunitarie, a partire dalla direttiva 60/2000/CE «acque»;
il rapporto evidenzia che «Le regioni cercano in media 73 sostanze nelle acque superficiali e 72 in quelle sotterranee» quando sono posti in commercio nel Paese circa 400 principi attivi;
in realtà ben 5 regioni non risultano aver inviato dati relativi alle acque sotterranee (Calabria, Campania, Puglia, Basilicata e Molise) e 3 anche per le acque superficiali (Molise, Campania e Calabria); una grande regione come il Lazio risulta aver analizzato pochissimi campioni (5 per le acque superficiali e 21 per le acque sotterranee);
la stragrande maggioranza delle regioni non ricerca sostanze ampiamente utilizzate; è il caso del glifosato e dei suoi metaboliti che è stato cercato solo in Lombardia e Toscana dove, peraltro, è stato riscontrato con alta frequenza e in quantità superiori agli standard di qualità ambientale;
l'ISPRA sostiene che «L'analisi dell'evoluzione, inoltre, indica, che il fenomeno è ancora probabilmente in una fase crescente, sia in termini territoriali, sia in termini di frequenze di rilevamento e di sostanze trovate. La contaminazione è, pertanto, sottostimata, in primo luogo per il fatto che in vaste aree del centro-sud, il monitoraggio non è ancora adeguato. Un fattore finora non sufficientemente considerato è la reale persistenza di certe sostanze, che insieme alle dinamiche idrologiche molto lente (specialmente nelle acque sotterranee) rende l'inquinamento ambientale difficilmente reversibile»;
una buona parte delle acque monitorate è utilizzata anche per l'approvvigionamento idro-potabile e per l'irrigazione per la produzione di derrate alimentari. Recenti inchieste giornalistiche hanno evidenziato la presenza di glifosato quantità rilevanti anche in acque destinate all'alimentazione umana si veda (http://www.testmagazine.it) e che, per stessa ammissione delle autorità preposte, questa ed altre sostanze correlate non vengono finora cercate (http://gazzettadimodena.it);
dal 2009 è entrato in vigore il sistema di accreditamento ACCREDIA dei laboratori destinati alle analisi ambientali; dalla consultazione della banca dati dell'ente di accreditamento risulta agli interroganti che moltissimi laboratori delle agenzie della rete ISPRA non risultano accreditati oppure risultano accreditati per pochissime sostanze tra quelle per le quali sarebbe indispensabile il monitoraggio; nella stragrande maggioranza dei casi le prove per fitofarmaci/pesticidi non sono accreditate;
le normative comunitarie in materia di alimenti fin dal 2004 prevedono che i laboratori siano accreditati; essendo l'acqua un alimento, allora anche i laboratori presso i quali le ASL, si rivolgono per assicurare le analisi dei controlli esterni di cui al decreto legislativo 31 del 2001 sulla potabilità dovrebbero essere accreditati;
il piano d'azione nazionale sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, adottato con decreto del 22 gennaio 2014, contiene una serie di raccomandazioni per le regioni che dovrebbero essere chiamate ad applicarlo; ovviamente per la valutazione dell'efficacia delle varie azioni previste è fondamentale un monitoraggio attendibile sia per quanto riguarda la qualità dei dati sia per estensione;
molte acque sotterranee e superficiali italiane sono sottoposte a plurime forme di pressione antropica; oltre ai pesticidi sono ampiamente diffuse, spesso oltre limiti di legge, altre sostanze pericolose come i solventi clorurati oppure i metalli pesanti –:
quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere per risolvere la grave situazione descritta, anche in considerazione del fatto che il Governo, a giudizio degli interroganti non sta dimostrando di focalizzare la sua attenzione al risanamento del territorio;
quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di ridurre e regolamentare l'uso di prodotti fitosanitari soprattutto, ma non solo, con riferimento a situazioni che possono comportare esposizione delle persone;
si intendano fornire un quadro esaustivo dei laboratori accreditati da Accredia per le prove sugli agrofarmaci nella rete delle agenzie (numero di sostanze accreditate; accreditamenti delle singole realtà regionali e altro);
quali siano le risultanze per gli agrofarmaci per quanto riguarda i dati di cui alla relazione prevista dal comma 1 dell'articolo 17 del decreto legislativo 31 del 2001 e dove il pubblico possa rintracciare questi dati e i relativi aggiornamenti;
quali siano i dati in possesso del Ministero della salute per le acque destinate alla produzione idropotabile tramite potabilizzazione di cui al comma 3 dell'articolo 80 del decreto legislativo 152 del 2006, specificando se essi comprendano o meno i risultati della ricerca dei 400 agrofarmaci e dei relativi metaboliti;
se non ritengano di promuovere immediatamente un piano di finanziamento straordinario delle agenzie affinché siano dotate della strumentazione adeguata per un monitoraggio completo ed efficace degli agrofarmaci nelle acque;
se non ritengano di assumere iniziative per modificare il piano nazionale sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari introducendo vincoli più stringenti per la riduzione dell'uso degli agrofarmaci;
quali iniziative si intendano porre in essere per assicurare il monitoraggio degli agrofarmaci nelle acque su tutto il territorio nazionale, alla luce dell'inadempienza di alcune regioni;
se non ritengano di promuovere l'immediato svolgimento di specifiche ricerche degli agrofarmaci nelle acque potabili con particolare riferimento al glifosato e i suoi metaboliti;
se non ritengano di assumere le iniziative di competenza per prevedere una moratoria nell'autorizzazione di nuovi progetti sottoposti alla valutazione di impatto ambientale nazionale che aumentano la pressione antropica sulle acque nelle aree che già mostrano superamenti degli standard di qualità ambientale, come pozzi per idrocarburi e inceneritori (per le relative ricadute dei fumi sulle acque superficiali e dei contaminanti sui terreni, da cui possono essere trascinati nelle acque sotterranee). (4-13205)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazione a risposta scritta:
FORMISANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
l'attuale amministrazione comunale di Anagni, con la deliberazione di giunta n. 90 del 2016, intende realizzare nello spazio immediatamente a ridosso delle antiche mura serviane della città un parcheggio di oltre 120 posti auto;
l'opera che intende realizzare la detta amministrazione appare all'interrogante in contrasto con il piano regolatore generale del suddetto comune (che riserva l'area interessata esclusivamente a «parco pubblico»), e con il duplice vincolo ivi insistente: paesaggistico e panoramico;
la realizzazione di un parcheggio, praticamente sopra le mura serviane della città, andrebbe altresì a mettere in pericolo, secondo l'interrogante, la stabilità della cinta muraria, già oggetto di numerosi interventi nel corso degli anni, non ultimo quello autorizzato dalla precedente amministrazione comunale con la deliberazione di giunta n. 397 del 2011 (Lavori di consolidamento restauro e messa in sicurezza delle Mura Ciclopiche), del quale, proprio nell'area nella quale si dovrebbe realizzare il parcheggio, sono rimaste impalcature di sostegno che impediscono la caduta dei massi;
la realizzazione del parcheggio in quell'area comporterebbe la distruzione dell'unico polmone verde presente all'interno delle mura del centro storico di Anagni, pregiudicando ulteriormente la salute dei cittadini residenti, tenendo inoltre presente la già compromessa situazione ambientale della città inserita nel sito d'interesse nazionale dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
nei pressi del luogo dove dovrebbe essere realizzato il parcheggio esiste un'area di verde pubblico denominata «Parco della Rimembranza», dedicata alle vittime delle guerre, realizzata nel 1925 su progetto del famoso Architetto Enrico Del Debbio, il quale si avvalse per la sua realizzazione dello scultore Volterrano Volterrani, che verrebbe ad essere compromessa dalla realizzazione del parcheggio, sia artisticamente che paesaggisticamente (Ferdinand Gregorovius definì l'area sovrastante a quella del parco come «la terrazza più bella d'Europa»);
oltretutto, nella zona che dovrebbe essere interessata dai lavori, nei primi del ’900 sono state scoperte delle terme di epoca romana e/o antecedente, poiché dalla mostra dell'archivio storico comunale, fascicolo 204, settore sistemi di archiviazione, si legge: «1901, dicembre 13-Memoria e Prospetto e Pianta delle terme scoperte nell'orto di Francesco Ciprani nel quartiere Bagno». Tali opere, all'epoca, sono state ricoperte con terra da riporto, ma tutt'oggi si trovano sotto l'area nella quale l'amministrazione di Anagni vuole realizzare il parcheggio;
infine, nel 1982 l'allora consiglio comunale di Anagni, con il verbale n. 8/82[Prot. N. 632], deliberò che l'area oggi interessata dal progetto per il parcheggio venisse adibita a giardino pubblico, al fine di una effettiva valorizzazione del centro storico. Tuttavia, tale giardino pubblico non venne mai realizzato a causa delle forti pressioni da parte dei proprietari dei terreni da espropriare –:
se i Ministri interroganti siano a conoscenza dell'intenzione dell'amministrazione comunale di Anagni di realizzare un parcheggio sopra le mura serviane di una delle città più antiche del Lazio, a giudizio dell'interrogante alterandone irrimediabilmente la struttura urbanistica e architettonica e mettendo in pericolo tanto le opere artistiche e archeologiche ivi presenti, quanto la salute dei cittadini;
quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati abbiano intenzione di intraprendere affinché non si consumi un ennesimo scempio paesaggistico ed archeologico a danno della «Bella Italia» con susseguente peggioramento delle condizioni ambientali in danno alla salute dei cittadini del centro storico di Anagni.
(4-13200)
DIFESA
Interrogazioni a risposta scritta:
RIZZO, GRILLO e LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 603, al comma 1 del decreto legislativo n. 66 del 2010, codice dell'ordinamento militare, prevede che «Al fine di pervenire al riconoscimento della causa di servizio e di adeguati indennizzi al personale italiano che, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura effettuate entro e fuori i confini nazionali, abbia contratto infermità o patologie tumorali per le particolari condizioni ambientali od operative, al personale impiegato nei poligoni di tiro e nei siti dove vengono stoccati munizionamenti, nonché al personale civile italiano nei teatri operativi all'estero e nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale, che abbia contratto le stesse infermità o patologie tumorali connesse alle medesime condizioni ambientali, è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2008-2010. In caso di decesso a seguito delle citate infermità o patologie tumorali, l'indennizzo è corrisposto al coniuge, al convivente, ai figli superstiti, ai genitori, nonché ai fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti» –:
a quanto ammontino gli indennizzi versati agli aventi diritto, aggiornati alla data del presente atto;
su quale capitolo di bilancio del Ministero gravino tali indennizzi e di quanti fondi esso disponga alla data odierna. (4-13197)
FAUTTILLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
il dipartimento lungodegenza di Anzio è un ente di appartenenza del Policlinico militare «Celio» di Roma e deriva dallo storico sanatorio militare, inaugurato dopo la prima guerra mondiale, e da sempre operante nella struttura della sanità militare dell'Esercito;
da alcuni anni, dopo varie trasformazioni, il citato dipartimento svolge attività di ricovero e cura per pazienti lungodegenti;
offre, inoltre, servizi ambulatoriali e diagnostico-clinici destinati all'utenza esterna, costituita dal personale in servizio o in quiescenza e ai loro familiari, come previsto dal decreto ministeriale del 28 ottobre 2015;
il dipartimento svolge anche un indispensabile ruolo relativamente agli accertamenti di medicina del lavoro e/o alle visite per il personale destinato alle aree di impiego operativo esterno presso numerosi enti limitrofi;
attualmente, su disposizione del direttore del Policlinico militare «Celio», però, sono state sospese tutte le visite e tutti gli accertamenti diagnostici e di laboratorio verso l'utenza esterna riducendo l'attività al solo personale in servizio, dietro richiesta da parte del dirigente del servizio sanitario dell'ente in cui il richiedente presta servizio;
questa decisione ha causato un evidente calo dell'attività lavorativa del dipartimento, ma anche una pesante perdita dal punto di vista degli introiti derivanti dal pagamento dei ticket da parte di chi usufruiva dei suddetti servizi, contravvenendo, tra l'altro, a giudizio dell'interrogante, a quanto disposto al riguardo dal citato decreto ministeriale del 28 ottobre 2015;
inoltre, si osserva che su disposizione dell'ufficio reparto generale programmazione finanziaria (RPGF) dello Stato Maggiore dell'Esercito del 30 ottobre 2015, tutti i ricoveri nel dipartimento devono essere autorizzati dallo stesso Stato Maggiore dell'Esercito;
a decorrere dalla ricordata data del 30 ottobre 2015, non risultano essere pervenute autorizzazioni per nuovi ricoveri, nonostante, a quanto risulta all'interrogante, siano ben nove le richieste presentate e aventi i requisiti per essere accolte, e vi siano posti disponibili –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per risolvere una situazione che appare all'interrogante incomprensibile e che crea forte disagio tra l'utenza. (4-13198)
MARCON, DURANTI e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
secondo quanto riportato dal sito internet Dagospia, il giorno 11 maggio 2016, e ripreso da diverse testate giornalistiche, in data 5 aprile 2016, in occasione della firma per il contratto per la fornitura di 28 Eurofighter Typhoon tra il Ministero della difesa del Kuwait e Finmeccanica (responsabile della campagna commerciale «Kuwait» nell'ambito del consorzio Eurofighter), la Ministra della difesa avrebbe ricevuto due gioielli – definiti «importanti» da una non meglio specificata fonte araba – «destinati alle figlie» e un orologio modello Rolex «in oro bianco, tempestato di brillantini», invece, proprio per lei;
se la ricostruzione di Dagospia fosse veritiera, il modello di Rolex in questione sarebbe con tutta probabilità l'Oyster Perpetual Datejust 31 o similare, di valore di oltre 43 mila euro secondo il sito della Rolex, quindi superiore al valore di 300 euro, soglia entro cui il «Presidente del Consiglio dei Ministri, i Ministri, gli altri membri del Governo e i loro congiunti» possono accettare e trattenere personalmente i doni ricevuti;
nella stessa giornata della pubblicazione della notizia sul sito internet il Ministero della difesa diramava la seguente nota: «In ordine ad alcune presunte indiscrezioni apparse oggi su Dagospia il Ministero della difesa rende noto che il ministro Pinotti ha sempre seguito le prescrizioni contenute nel Dpcm del 20.12.2007 riguardo i cosiddetti “doni di rappresentanza”. Ove ne ricorrono le condizioni, detti doni vengono quindi presi in consegna e custoditi dall'amministrazione Difesa. Sono perciò da considerare prive di qualsiasi fondamento le notizie apparse oggi su un sito web e riprese incautamente da altri»;
la nota del Ministero parrebbe non smentire la notizia dei regali post accordo Kuwait-Finmeccanica, ma sembrerebbe precisare che la titolare del Dicastero non ha tenuto per sé nulla di quanto ricevuto e che quindi i doni sarebbero custoditi dall'Amministrazione difesa;
il comma 2 dell'articolo 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 2007 – Disciplina del regime per i doni di cortesia ricevuti dai componenti del Governo – prescrive che: «I doni di rappresentanza il cui valore espresso in denaro sia superiore ai 300,00 euro e che, in relazione alla loro tipologia e specificità, possono essere destinati alle sedi ufficiali o di rappresentanza, restano nella disponibilità dell'amministrazione», mentre il successivo comma 3 prevede che: «I restanti doni, di valore superiore a 300,00 euro, sono destinati dal Presidente del Consiglio e dai Ministri per iniziative aventi finalità umanitarie, caritatevoli, di assistenza e beneficenza»;
il comma 5 dello stesso articolo infine dispone che: «L'amministrazione ricevente individua l'ufficio ove tenere l'apposito registro in cui iscrivere i doni di rappresentanza contenente la descrizione del bene, l'indicazione del donatore, la stima effettuata, la data e il motivo della consegna, la destinazione effettuata» –:
se siano stati consegnati doni alla Ministra interrogata durante l'incontro del 5 aprile 2016 in Kuwait e, in caso di risposta positiva, quale sia la descrizione dei beni, il donatore e il motivo della consegna e quando siano stati consegnati all'Amministrazione della difesa e se infine, vista la natura dei presunti doni, non sia intenzione devolverli per iniziative aventi finalità umanitarie, caritatevoli, di assistenza e beneficenza. (4-13201)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazione a risposta in Commissione:
RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il comune di Caltagirone è un comune italiano di 38.828 abitanti della città metropolitana di Catania in Sicilia;
caso unico in Italia, alla data di presentazione del presente atto, il comune di Caltagirone è dotato, come ultimo bilancio approvato, di quello deliberato dal consiglio comunale il 28 gennaio 2013, relativo al rendiconto di gestione dell'esercizio finanziario 2011; quindi sono ben cinque anni che la città è governata con un bilancio riferito al 2011;
l'11 marzo 2013 con deliberazione di consiglio comunale n. 6 è stata adottata la dichiarazione di dissesto finanziario dell'ente;
a seguito del dissesto finanziario, in applicazione della normativa vigente, è stata presentata al Ministero dell'interno l'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato distribuita in tre anni (articolo 259, comma 1-ter, del TUEL);
il 15 gennaio 2015 con decreto ministeriale n. 4527, il Ministero dell'interno ha comunicato la mancata approvazione dell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato. Nel medesimo decreto così si statuiva: «Articolo 2 — È prescritto all'Ente, ai sensi dell'articolo 261, comma 4, del TUEL, di presentare, previa deliberazione consiliare e dentro il termine perentorio di 45 giorni decorrenti dalla data di notifica del presente decreto, una nuova ipotesi di bilancio idonea a rimuovere le cause che non hanno consentito alla COSFEL (Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali) di esprimere parere favorevole, tenendo conto delle criticità emerse in sede d'istruttoria»;
la giunta comunale in data 11 marzo 2015 con deliberazione n. 38 ha sottoposto all'approvazione del consiglio comunale lo Schema della Nuova ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato 2012-2013-2014 ritenuta «idonea a rimuovere le cause che non hanno consentito alla COSFEL di esprimere parere favorevole, tenendo conto delle criticità emerse in sede d'istruttoria»;
il consiglio comunale in data 19 marzo 2015 con deliberazione n. 10 non ha approvato la Nuova ipotesi di bilancio così come presentata dalla giunta comunale;
il 21 aprile 2015, con delibera consiliare n. 12 è stata votata favorevolmente una mozione di sfiducia al sindaco pro tempore, dottore Nicola Bonanno;
con decreto del Presidente della Regione Sicilia n. 163/Serv.1o/S.G. del 12 maggio 2015, è stato nominato il commissario straordinario nella persona dell'ingegnere Mario La Rocca che si è insediato il 19 maggio 2015;
a seguito del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, che, fra l'altro, ha modificato l'articolo 259, comma 1-ter del TUEL l'ipotesi di bilancio che l'ente locale deve presentare al Ministero dell'interno è stato esteso ad un arco temporale di quattro anni dalla dichiarazione di dissesto finanziario;
la precedente ipotesi di bilancio 2012-2013-2014 aveva ricevuto il parere negativo del Collegio dei revisori dei conti (che così scrivevano «A parere del Collegio dei revisori dei conti, l'equilibrio di parte corrente così come risultante nell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato non realizza la condizione prevista dall'articolo 162 comma 1) e 6) del TUEL, poiché non consente (l'anno 2014) di assorbire il disavanzo complessivo di parte corrente 2012». E ancora «Relativamente alle Entrate previste nell'ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato al titolo I con riferimento al tributo IMU, il Collegio ritiene sovrastimata la previsione di entrata in rapporto alla riscossione»);
come si evince dall'albo pretorio del comune di Caltagirone, Cassa depositi e prestiti spa avrebbe acceso contratti di mutuo decennale per necessità diverse dell'ente;
tale condizione risulta anche dalla consultazione del sito internet www.finanzalocale.interno.it dal quale si evince come, alla data della presentazione di questo atto di sindacato ispettivo, il comune di Caltagirone abbia mutui accesi, ma senza indicazione di quanti siano espressamente contratti con Cassa depositi e prestiti spa –:
quali siano i mutui accesi, ed ancora in essere, dal comune di Caltagirone con la Cassa depositi e prestiti spa, con particolare indicazione delle finalità, del tasso applicato, della durata del contratto, dell'importo delle rate e della relativa scadenza. (5-08679)
GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta in Commissione:
COMINARDI, ALBERTI, BASILIO, SORIAL e TRIPIEDI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il 5 maggio 2016 si è tenuta avanti il tribunale di Brescia l'udienza del processo penale a carico di suor Rosalina Ravasio, fondatrice della comunità di recupero di tossicodipendenti «Shalom», e di altri 42 imputati, tutti accusati di maltrattamenti e sequestro di persona all'interno della struttura di Palazzolo Sull'Oglio (BS). Tra i trentasei accusatori, compare la persona di Gianmarco Buonanno, figlio dell'attuale procuratore capo di Brescia, Tommaso Buonanno;
risulta, altresì, agli interroganti che il procuratore capo di Brescia Buonanno sia stato indagato, unitamente a un avvocato (Mombelli Silvia), per il reato di cui agli articoli 110 e 605 del codice penale consumato in Palazzolo sull'Oglio (Brescia) in data primo marzo 2009 a danno di Buonanno Gianmarco. L'indagine a carico del procuratore capo Buonanno e dell'avvocato Mombelli, per un reato connesso alla suddetta vicenda, oggetto dell'odierno processo penale (rubricato nel fascicolo N. 7520/13 RG Mod. Unico N. 7813/13 R.G. G.I.P.), e stata archiviata su istanza del procuratore della Repubblica aggiunto Sandro Raimoni, con decreto motivato del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Brescia, Ciro Iacomino, in data 9 maggio 2013;
a parere degli interroganti le sopra evidenziate circostanze, in primis il ruolo rivestito dal dottor Tommaso Buonanno nella sua veste di procuratore capo di Brescia, prima indagato ed oggi genitore di una delle persone offese, a parere degli interroganti rischiano di frapporsi ad una ricostruzione dei fatti per i quali si procede nel processo a carico di suor Rosalina Ravasio e degli altri 42 imputati, che possa essere oggettiva, neutra ed imparziale. Lo svolgimento del processo di primo grado a Brescia avanti al giudice naturalmente competente per territorio, nel caso in questione, espone i suoi esiti, qualunque essi siano, ad un vizio opponibile in ogni stato e grado: ciò contro l'interesse di tutte le parti coinvolte, siano esse imputati o persone offese, e lo stesso interesse della collettività ad avere un processo giusto, come garantito dall'articolo 111 della Costituzione –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se ritenga che sussistano i presupposti per avviare iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari di Brescia. (5-08680)
INTERNO
Interrogazione a risposta in Commissione:
RUBINATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 1, comma 557, della legge n. 296 del 2006, come modificato dall'articolo 3, comma 120, della legge n. 244 del 2007, ha rappresentato una significativa novità per aver ricondotto le spese di personale all'interno del più ampio obiettivo del rispetto del patto di stabilità interno, attraverso la disapplicazione della previgente disciplina limitativa (articolo 1, commi 198-204, della legge n. 266 del 2005);
esso prevede, infatti che, ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, gli enti sottoposti al patto di stabilità interno assicurino la riduzione delle spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, garantendo il contenimento della dinamica retributiva e occupazionale, con azioni da modulare nell'ambito della propria autonomia e rivolte, in termini di principio, ai seguenti ambiti prioritari di intervento:
a) riduzione dell'incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, attraverso parziale reintegrazione dei cessati e contenimento della spesa per il lavoro flessibile;
b) razionalizzazione e snellimento delle strutture burocratico-amministrative, anche attraverso accorpamenti di uffici con l'obiettivo di ridurre l'incidenza percentuale delle posizioni dirigenziali in organico;
c) contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa, tenuto anche conto delle corrispondenti disposizioni dettate per le amministrazioni statali;
l'interpretazione di tale norma fornita dalla Corte dei Conti sezione autonomie, con delibera n. 27 del 2015 e confermata con delibera n. 16 del 2016 («l'articolo 1 comma 557 è vigente e cogente»), appare però particolarmente restrittiva e finisce per penalizzare, con il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale (mobilità, tempi determinati, somministrazioni, e altro), proprio gli enti più virtuosi che hanno ridotto la spesa corrente in percentuale superiore rispetto alla riduzione delle spese di personale;
la Corte dei Conti non riconosce, infatti, alla disposizione così come indicata dal legislatore («azioni da modulare nell'ambito della propria autonomia rivolte, in termini di principio») natura programmatoria e non immediatamente precettiva, nel rispetto di un'autonomia valorizzata e difesa dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 417 del 2004, pur non ignorando che «l'attuale normativa potrebbe dar luogo ad effetti iniqui, quali la penalizzazione di enti che siano stati più oculati nella riduzione della spesa corrente complessiva»; anzi la Corte sostiene che «appare poco sostenibile un sistema che preveda indefinitamente riduzioni di spesa del personale, in assenza di un compiuto progetto di riforma», ritenendo tuttavia che la soluzione spetti ad una espressa regolamentazione della materia da parte del legislatore («la risposta alle potenziali problematicità può essere trovata solo a livello legislativo»);
permane così comunque per gli enti, locali l'obbligo di riduzione delle spese di personale di cui all'articolo 1, comma 557, della legge n. 296 del 2006 secondo il parametro individuato dal comma 557-quater, da intendere in senso statico, con riferimento al triennio 2011-2013;
alcuni comuni risultano ormai così carenti di personale da non poter erogare i servizi necessari alla comunità; esemplare delle «possibili discrasie» ammesse dalla stessa Corte della Conti è in particolare l'elenco stilato dall'Associazione dei comuni della Marca trevigiana, da cui emergono casi dove si è davvero al limite;
il «record» appartiene a Caerano San Marco, dove il municipio conta appena 19 lavoratori a tempo indeterminato, cioè 2,37 ogni mille abitanti; nella pianta organica mancano all'appello ben 34 dipendenti rispetto a quanto previsto sulla carta da un decreto ministeriale; le stesse considerazioni valgono per Mareno di Piave, ma sono molti i municipi trevigiani sotto la soglia dei tre dipendenti comunali per mille abitanti: Loria, Casale sul Sile, Arcade, San Polo di Piave, Motta di Livenza, Ponte di Piave, Trevignano, Salgareda, Resana e Santa Lucia di Piave;
più in generale, la quasi totalità dei comuni della Marca trevigiana ha appena poco più di tre dipendenti ogni mille dipendenti, eppure non possono procedere a nuove assunzioni: in questo modo ormai rischiano di saltare i servizi;
paradossalmente, dunque, l'interpretazione delle norme in vigore da parte della Corte dei Conti finisce per colpire proprio i comuni virtuosi che più hanno risparmiato e che ora si trovano in grande difficoltà e a non poter assumere nuovo personale necessario a garantire le funzioni fondamentali;
si aggiunga a ciò che secondo la normativa regionale vigente in Veneto si possono impiegare tirocinanti e stagisti in percentuale non superiore al 10 per cento dei dipendenti e nella misura di non più di cinque contemporaneamente: livelli così bassi di personale nei comuni, oltre a caratterizzarsi per la presenza di dipendenti sempre più anziani e a precludere il turnover, impediscono anche ai ragazzi ed ai giovani un'opportunità di alternanza scuola-lavoro, peraltro resa obbligatoria dalla legge n. 107 del 2015 sulla «Buona Scuola»;
pertanto, de iure condendo, ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, gli enti sottoposti ai vincoli di cui alla legge n. 243 del 24 dicembre 2012 dovrebbero poter assicurare la riduzione delle spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, garantendo il contenimento della dinamica retributiva e al contempo quella occupazionale, con azioni da modulare nell'ambito della propria autonomia –:
se i Ministri interrogati non ritengano di dover adottare con urgenza le iniziative necessarie, anche normative, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di consentire ai comuni virtuosi –, che hanno ridotto la spesa corrente in percentuale superiore rispetto alla riduzione delle spese di personale e/o si trovino ad avere un elevato scostamento del numero di personale dipendente ogni mille abitanti rispetto all'ultimo rapporto IFEL 2015 dal quale risulta una media di 6,89 dipendenti ogni mille abitanti — di poter assumere, pur nel rispetto delle giuste esigenze di razionalizzazione e riduzione della spesa del personale, il personale necessario a garantire i servizi essenziali alle loro comunità. (5-08682)
Interrogazioni a risposta scritta:
PIAZZONI e FERRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 1o maggio 2016, nei pressi della pineta della Gallinara sita in località Lido dei Pini, frazione del Comune di Anzio, il sit in pacifico organizzato dal Comitato «Salviamo la Pineta» è stato interrotto da un'azione intimidatoria sfociata poi in una vera e propria aggressione nei confronti dei volontari;
il Comitato «Salviamo la Pineta», associazione che si batte per la tutela e la riqualificazione del parco della Gallinara, era impegnato nel proporre ai passanti un questionario sulla gestione di quest'area pubblica, da tempo abbandonata al degrado;
come raccontato dai volontari (e riportato su diversi organi di stampa locale) questi ultimi sarebbero stati oggetto di un vero e proprio raid in pieno giorno, dove a urla, insulti e minacce, hanno fatto seguito atti di violenza verso le persone, il danneggiamento del gazebo e dei materiali informativi dell'associazione;
a ulteriore intimidazione dei volontari gli aggressori avrebbero strappato di mano e distrutto i loro telefoni cellulari per impedire agli stessi di contattare le forze dell'ordine;
se l'accaduto fosse confermato si tratterebbe di un vero e proprio atto squadristico premeditato e molto grave in quanto rivolto a danno di un'associazione rea soltanto di battersi per la tutela del territorio e del bene comune;
ad opinione degli interroganti appare opportuno fare chiarezza su quanto avvenuto anche per gettar luce sulla natura di questa aggressione –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti citati in premessa e se non ritenga opportuno acquisire, per quanto di competenza, tutti gli elementi del caso al fine di garantire la sicurezza e l'incolumità delle associazioni attive nella tutela dell'area verde di Lido dei Pini. (4-13195)
FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
la situazione in cui versa il complesso immobiliare ferrarese noto come Palazzo degli Specchi è all'origine di rilevanti preoccupazioni della popolazione residente nelle zone circostanti ed è già stata portata all'attenzione degli enti locali territorialmente competenti ed altresì della regione Emilia-Romagna, in particolare con l'interrogazione n. 1296 alla quale ha risposto l'assessorato regionale delle politiche per la salute;
tale situazione, che persiste e si aggrava, è stata ampiamente generalizzata anche in atti di sindacato ispettivo, in particolare nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-11799, presentata il 26 gennaio 2016 dall'onorevole Gianluca Pini, tuttora in attesa di risposta da parte del Ministro interrogato;
le condizioni oggettive di degrado in cui si trova l'immobile — documentate già nella dichiarazione di inagibilità ed inabitabilità della struttura, risalente al 21 giugno 2004 e la circostanza che all'interno del suo perimetro e dentro i suoi locali si consumino molte attività illecite, dallo spaccio di droga allo sfruttamento della prostituzione, dovrebbero indurre ad assumere misure drastiche;
nulla è cambiato dal 2004 relativamente ai profili di rischio sanitario e di incendio concernenti il Palazzo degli Specchi. Al contrario, il fatto che la struttura sia occupata da decine di clandestini, forse addirittura 150, è all'origine di attività assai pericolose, come il rogo dei rifiuti e l'accumulo di sporcizia, documentato anche fotograficamente;
sarebbe conseguentemente auspicabile un'immediata nuova verifica da parte del soccorso tecnico urgente, per quanto riguarda la solidità e l'agibilità dell'immobile;
dei 150 stranieri extracomunitari che occupano illegalmente il Palazzo degli Specchi sarebbe inoltre ignota persino la provenienza, malgrado alcuni blitz effettuati dalle forze dell'ordine abbiano condotto negli scorsi mesi all'identificazione e denuncia di qualche clandestino;
è stata segnalata all'interno del Palazzo degli Specchi anche la presenza di minori;
la drammatica situazione in cui si trova il Palazzo degli Specchi è stata anche all'origine di una manifestazione promossa dalla Lega Nord ferrarese, i cui militanti sono saliti sul tetto dell'immobile per denunciarne il degrado;
il persistente svolgimento di attività vietate e la necessità di identificare tutti coloro che vivono illegalmente dentro il Palazzo degli Specchi di Ferrara dovrebbero comunque determinare iniziative più radicali, in particolare un intervento di sgombero da parte delle forze di polizia, se non addirittura la demolizione della struttura, per il cui risanamento sarebbe stata a suo tempo preventivata una spesa di 40 milioni di euro, da ritenersi ormai insufficiente alla luce del degrado patito dall'immobile –:
quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per porre fine alla situazione di degrado in cui versa l'immobile noto come Palazzo degli Specchi a Ferrara e se, in particolare, non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti per ripristinare la legalità al suo interno, oltre che ogni altra iniziativa di competenza richiesta da inderogabili ragioni di sicurezza. (4-13203)
GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 6 maggio 2016 in un campo nomadi abusivo che si trova nella zona della Prenestina a Roma, è stata commessa una violenza sessuale in danno di una giovane ragazza albanese da parte di due nomadi di nazionalità romena;
secondo quanto ricostruito dagli investigatori, la ragazza sarebbe stata avvicinata dai due nomadi intorno alla mezzanotte e poi sequestrata e portata in una baracca dove è avvenuta la violenza e dalla quale la giovane è riuscita a fuggire solo la mattina successiva;
uno dei due nomadi autori della violenza è stato arrestato dai carabinieri dopo poche ore dalla fuga della ragazza, con le accuse di violenza sessuale, sequestro di persona e rapina, mentre le forze dell'ordine stanno ancora cercando il suo complice;
non è la prima volta che si consumano stupri e atti di grave violenza all'interno di campi nomadi, sia in quelli abusivi che in quelli autorizzati;
l'insediamento attualmente presente intorno a largo Preneste, sorto dopo che ufficialmente il campo rom sito nel quartiere era stato sgomberato neanche un mese prima, è abusivo e determina, come questo fatto ha dimostrato, un elevato fattore di rischio per la sicurezza dei residenti di un quartiere peraltro già segnato da un forte degrado –:
quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere al fine di tutelare la sicurezza di tutti i cittadini, attraverso il presidio del territorio e la garanzia della legalità. (4-13207)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazione a risposta scritta:
RUBINATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
ad oggi non risulta ancora emanato il decreto ministeriale sui criteri e parametri per l'assegnazione dei contributi alle scuole paritarie per l'anno scolastico 2015/2016 (relativo all'esercizio finanziario 2016);
dalle scuole dell'infanzia del Veneto viene segnalato che l'anno scorso, in cui il relativo decreto ministeriale era già stato emanato in data 22 aprile 2015, considerati i successivi passaggi necessari, ovvero Corte dei Conti, la direzione generale ordinamenti e poi a seguire gli adempimenti degli uffici scolastici regionali e degli uffici scolastici provinciali, i contributi, nello specifico riferiti ai mesi gennaio-agosto, sono stati concretamente ricevuti dalle scuole solo tra la fine di agosto e i primi di settembre; inoltre, solo a luglio le stesse sono riuscite a fare gli accordi con gli istituti di credito, per gli anticipi bancari delle somme, sulla base delle tabelle con gli importi di ogni singola scuola fatti dagli, uffici scolastici territoriali provinciali;
il prorogarsi del ritardo nell'emanazione del su citato decreto ministeriale preoccupa pertanto i gestori delle scuole dell'infanzia che rischiano di non avere a disposizione i necessari finanziamenti per garantire una corretta funzionalità del servizio e per assicurare il pagamento degli stipendi agli insegnanti nei mesi estivi, in cui i gestori non ricevono le rette delle famiglie –:
se il Ministro interrogato non ritenga urgente adottare il decreto ministeriale sui criteri e parametri per l'assegnazione dei contributi alle scuole paritarie per l'anno scolastico 2015/2016, esercizio finanziario 2016, e inoltre assicurare la sollecita attuazione dei successivi adempimenti di competenza dell'amministrazione, al fine di erogare in tempi più sostenibili i finanziamenti necessari a garantire una corretta funzionalità del servizio in particolare delle scuole dell'infanzia. (4-13202)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazione a risposta in Commissione:
CENNI, ALBINI, FONTANELLI, DALLAI, BENI, LAFORGIA, MARIANI, FOSSATI, TERROSI, TENTORI, SCUVERA, CARRA, ERMINI e PARRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il caporalato nel settore agricolo è un fenomeno ampiamente diffuso in molte regioni del nostro Paese anche per la stagionalità di alcune specifiche attività;
tale attività criminale ha assunto negli ultimi 25 anni caratteristiche nuove in relazione al fatto che molti braccianti e caporali sono di origine straniera;
secondo i recenti dati di The European House – Ambrosetti relativi al 2015 in Italia sono circa 400 mila i lavoratori coinvolti, per l'80 per cento stranieri. I distretti agricoli interessati sono ottanta: in trentatré sono state riscontrate «condizioni di lavoro indecenti», in ventidue condizioni di lavoro «gravemente sfruttato», negli altri «solo» l'intermediazione illecita di manodopera. La paga giornaliera è in media di 25 – 30 euro, il 50 per cento in meno di quella prevista dal contratto nazionale, per 12 ore di lavoro;
è di circa 600 milioni di euro il costo annuale per le casse dello Stato causato dal caporalato mentre il quarto rapporto sui crimini nel settore agroalimentare a cura di Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità in agricoltura stima che il business delle agromafie abbia superato i 16 miliardi di euro nel 2015;
si apprende, da organi di stampa, che nel corso di una operazione condotta il 10 maggio 2016 dalla Digos della questura di Prato in collaborazione con la polizia stradale, il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza e il Corpo forestale dello Stato, è stata individuata una organizzazione criminale che da Prato agiva nel Chianti e sfruttava il lavoro nero;
le indagini hanno accertato che circa 170 extracomunitari erano impiegati in aziende vitivinicole per «dodici ore di lavoro per pochi euro al giorno, in ciabatte in pieno inverno e anche con punizioni corporali»;
una coppia di pakistani, secondo i mass media, esercitava il ruolo di «caporali» attraverso «società fittizie, funzionali solo a fornire uno status di lavoratore ai profughi che nei primi sessanta giorni sul territorio nazionale non possono per legge essere titolari di contratti di lavoro»;
nei mesi scorsi la zona del Chianti e le aziende agricole del territorio erano già stati lo scenario di episodi di caporalato;
le Commissioni riunite lavoro ed agricoltura della Camera dei deputati, hanno approvato, il 2 dicembre 2015, la risoluzione unitaria n. 8-00158 sugli «Interventi per la prevenzione e il contrasto del lavoro irregolare e del caporalato in agricoltura» impegnando il governo a «proseguire con speditezza e con tempi certi, in un rapporto collaborativo con le proposte di iniziativa parlamentare, nella definizione di un nuovo quadro normativo finalizzato al contrasto del lavoro irregolare in agricoltura e del caporalato»;
tale risoluzione impegna anche l'Esecutivo a dare piena attuazione alla Rete del lavoro agricolo di qualità, ad irrobustire i sistemi di controllo incrociato tra le banche date esistenti, a valutare la creazione di un sistema di etichettatura tale da valorizzare i prodotti delle aziende agricole pulite, a prevedere un sistema di indennizzi per i lavoratori vittime del caporalato;
dal 10 febbraio 2016 è in discussione presso la Commissione agricoltura del Senato il disegno di legge di iniziativa governativa sulle «Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura (AS 2217)» –:
se i Ministri interrogati abbiano ulteriori informazioni rispetto alla vicenda citata in premessa che ha interessato alcune aziende agricole del Chianti;
quali iniziative i Ministeri interrogati intendano adottare al fine di garantire la legalità ed i diritti dei lavoratori nelle aree agricole italiane interessate dai fenomeno del caporalato ed in particolare rispetto all'episodio riportato in premessa;
se i Ministri interrogati non ritengano necessario attivare un tavolo con la regione Toscana e le altre istituzioni interessate per assumere ogni iniziativa utile a contrastare tale fenomeno;
quali iniziative il Governo intenda assumere per dar corso agli impegni assunti a seguito della approvazione della risoluzione unitaria n. 8-0015E3 citata in premessa;
se il Governo ritenga utile intensificare i controlli nelle aree agricole del Paese, dove si sono registrati ingenti flussi di cittadini extracomunitari immigrati e profughi già oggetto di episodi di caporalato, al fine di prevenire l'intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro. (5-08681)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazione a risposta scritta:
NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere - premesso che:
recentemente la Confapi ha rilevato come nel quadro generale di programmazione economico-finanziaria e di bilancio, fra gli interventi previsti nei riguardi della piccola e media impresa, in materia di modernizzazione dei sistemi aziendali, a quasi due anni dalla nascita dei voucher per la digitalizzazione, non è stato ancora dato seguito al decreto attuativo del 23 settembre 2014 pubblicato il 19 novembre 2014;
al riguardo, la Confapi ricorda come, in materia di digitalizzazione per le piccole e medie imprese, il decreto-legge n. 145 del 23 dicembre 2013 convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9 «destinazione Italia», abbia previsto interventi per la concessione di finanziamenti a fondo perduto, nella forma di voucher di importo non superiore a 10 mila euro, per investimenti volti alla digitalizzazione delle piccole e medie imprese (come, ad esempio, e-commerce, software o hardware per migliorare l'efficienza aziendale);
il suesposto decreto-legge, inoltre, ha introdotto misure dirette alla modernizzazione dell'organizzazione del lavoro (il telelavoro) per consentire il collegamento alla rete internet mediante la tecnologia satellitare;
il dossier della medesima Confederazione, a tal fine, evidenzia l'esigenza dell'emanazione dei decreti direttoriali, che non possono essere adottati finché non sarà adottato un decreto ministeriale, recante l'effettiva copertura finanziaria dell'intervento, a valere sulla programmazione comunitaria e in quella collegata, su risorse nazionali, in favore di tutte le regioni del territorio nazionale;
numerose piccole e medie imprese, evidenzia la Confapi, hanno dovuto rinunciare ad effettuare acquisti o investimenti in tal senso o addirittura hanno dovuto stravolgere i loro piani di investimento, a causa di infinite attese, o si sono trovate a doverli effettuare comunque ma senza poter beneficiare della misura;
a giudizio l'interrogante, le osservazioni in precedenza richiamate risultano condivisibili e le iniziative indicate sono essenziali per tale categoria dimensionale d'impresa, in considerazione del fatto che il processo di digitalizzazione delle imprese rappresenta una direzione indispensabile per un Paese moderno in grado di migliorare i livelli di crescita e competitività, attualmente in forte ritardo;
al riguardo, l'interrogante segnala che, secondo gli ultimi risultati del DESI (ovvero il Digital Economy and society index della Commissione europea che valuta la presenza di un'economia e una società digitali in ogni Paese membro), l'Italia non supera il 25esimo posto in classifica su un totale di 28 ed aggiunge, inoltre, che questo dato, che inizialmente può sembrare di scarso interesse, emerge solo dopo una attenta valutazione di una dettagliata serie di fattori (circa 30) che comprendono aspetti di connettività, capitale umano, uso di internet, integrazione della tecnologia digitale e servizi pubblici digitali;
l'emanazione dei richiamati decreti attuativi da parte dei Ministri interrogati, sia per la digitalizzazione delle piccole e medie imprese, che per rendere effettiva la copertura finanziaria a valere sulla programmazione comunitaria e quella collegata su risorse nazionali, risulta conseguentemente, a parere dell'interrogante, urgente e necessaria, in considerazione del fatto che investire nella digitalizzazione del sistema delle imprese, determina un'accelerazione della crescita del Paese, in quanto rappresenta «una leva essenziale» per aumentare la capacità delle imprese di giocare un ruolo crescente sui mercati internazionali –:
quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
quali siano le motivazioni dei ritardi nell'emanazione dei decreti attuativi in premessa richiamati, fortemente attesi dal sistema delle imprese, in particolare quelle di piccole e media dimensione;
quali siano i tempi previsti per l'adozione dei suindicati decreti da parte dei Ministri interrogati, sia per la digitalizzazione delle piccole e medie imprese (a quasi due anni dalla nascita dei voucher), che per definire la portata finanziaria dell'intervento a valere sulla programmazione comunitaria e quella collegata su risorse nazionali, in favore di tutte le regioni del territorio nazionale, la cui emanazione determinerà effetti positivi e favorevoli per l'economia del Paese.
(4-13206)
Apposizione di firme ad una mozione.
La mozione Iori e altri n. 1-01264, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Melilla, Zaccagnini, Duranti.
Apposizione di una firma ad una risoluzione.
La risoluzione in Commissione Naccarato e D'Arienzo n. 7-00770, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fiano.
Apposizione di una firma ad una interrogazione.
La interrogazione a risposta scritta Fraccaro e altri n. 4-12989, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carinelli.
Ritiro di firme da una mozione.
Mozione Iori e altri n. 1-01264, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 maggio 2016: sono state ritirate le firme dei deputati: De Girolamo, Centemero.