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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Venerdì 13 maggio 2016

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 13 maggio 2016.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Baldelli, Baretta, Bellanova, Beni, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Brescia, Bressa, Brunetta, Bueno, Calabria, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dell'Orco, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Galati, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rondini, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scopelliti, Scotto, Sereni, Spadoni, Tabacci, Velo, Vignali, Zanetti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 12 maggio 2016 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   MINARDO: «Concessione di agevolazioni contributive in favore dei datori di lavoro che assumono persone affette da disabilità psichiche» (3823);
   MISIANI e GASPARINI: «Modifica all'articolo 75 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in materia di decadenza dai benefìci in caso di dichiarazioni non veritiere» (3824);
   CIRIELLI: «Modifiche all'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, in materia di accesso flessibile alla pensione di vecchiaia» (3825);
   PILI: «Disposizioni per il riconoscimento automatico del nesso di causalità tra infermità invalidanti, patologie tumorali e malattie connesse e l'esposizione a determinati fattori di rischio derivanti da attività militare» (3826);
   BRAMBILLA: «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, e altre disposizioni concernenti la semplificazione delle procedure di adozione internazionale nonché norme per favorire le adozioni» (3827);
   BOCCIA ed altri: «Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, concernenti il contenuto della legge di bilancio, in attuazione dell'articolo 15 della legge 24 dicembre 2012, n. 243» (3828);
   INVERNIZZI ed altri: «Disposizioni in materia di videosorveglianza negli asili nido e nelle scuole dell'infanzia nonché presso le strutture socio-assistenziali per anziani, disabili e minori in situazione di disagio» (3829).

  Saranno stampate e distribuite.

Trasmissioni dal Senato.

  In data 12 maggio 2016 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge:
   S. 2299. – «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42, recante disposizioni urgenti in materia di funzionalità del sistema scolastico e della ricerca» (approvato dal Senato) (3822).

  Sarà stampato e distribuito.

Assegnazione di un progetto di legge a Commissione in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, il seguente progetto di legge è assegnato, in sede referente, alla sottoindicata Commissione permanente:

   I Commissione (Affari costituzionali):
  FEDI ed altri: «Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di riacquisto della cittadinanza» (3431) Parere della V Commissione.

Trasmissione dalla Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.

  La Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, lettera n), della legge 12 giugno 1990, n. 146, copia delle delibere adottate dalla Commissione nel mese di aprile 2016.

  Questa documentazione è trasmessa alla XI Commissione (Lavoro).

Trasmissione dal Consiglio regionale delle Marche.

  Il Presidente del Consiglio regionale delle Marche, con lettera in data 9 maggio 2016, ha trasmesso il testo di una risoluzione, approvata dal medesimo Consiglio il 26 aprile 2016, concernente la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi (COM(2016) 128 final).

  Questo documento è trasmesso alla XI Commissione (Lavoro) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Comunicazione di nomine ministeriali.

  Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con lettere pervenute in data 13 maggio 2016, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 11, comma 5, del decreto legislativo 31 dicembre 2009, n. 213, i decreti ministeriali di nomina del professor Carlo Doglioni a presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV) e del professor Sergio Paoletti a presidente del Consorzio per l'area di ricerca scientifica e tecnologica di Trieste.

  Questi decreti sono trasmessi alla VII Commissione (Cultura).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

INTERPELLANZE URGENTI

Iniziative politico-diplomatiche nei confronti del Governo norvegese in relazione ad una vicenda di allontanamento di minori dal nucleo familiare di origine – 2-01366

A)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   la stampa rumena già dalla fine di novembre 2015 ha reso pubblica l'incredibile vicenda che ha coinvolto i due coniugi Marius e Ruth Bodnariu, lui romeno e lei norvegese, residenti a Bergen, in Norvegia, arrestati, interrogati e subito rilasciati dai servizi sociali norvegesi mentre i cinque figli venivano allontanati da loro, senza possibilità di vederli, se non per l'allattamento del più piccolo da parte della madre. Il caso sta avendo vasto clamore in Romania, con petizioni e campagne di sostegno;
   nei documenti che l'avvocato difensore ha ottenuto dai servizi sociali, si legge che Marius e Ruth sono «cristiani radicali che, stavano indottrinando i loro figli» (RomaniaTv.net, 20 novembre). La versione dei servizi sociali è che i bambini avrebbero subito abusi fisici; i bambini sono stati sottoposti a diversi esami medici da cui emerso che non vi è alcun segno di abusi. A parte sculacciate o tirate d'orecchi, i bambini non hanno raccontato di punizioni violente e pericolose e non sono affatto spaventati all'idea di tornare a casa, anzi ne sono desiderosi;
   la segnalazione ai servizi sociali era partita a ottobre 2015 dalla preside della scuola, preoccupata perché le due figlie maggiori avevano parlato di castighi da parte genitori. Nella segnalazione la preside aveva definito i due coniugi come «molto cristiani», spiegando che anche gli zii sono credenti e che la fede della nonna porta a credere in un Dio che punisce i peccati. Pertanto, sebbene convinta che non vi fossero abusi fisici, secondo la preside era necessario un intervento di sostegno familiare da parte dei servizi sociali;
   la moglie Ruth ha anche subito pressioni da chi l'ha interrogata perché denunciasse il marito: se avesse dichiarato che abusava fisicamente di lei, le avrebbero affidato i figli. Ma Ruth ha risposto che non poteva, perché è una bugia. I bambini avrebbero scritto anche delle lettere a mamma e papà, che però non sono mai state consegnate. I servizi sociali hanno invece dichiarato che non esistono lettere e che ai bambini non mancano i genitori;
   il ricorso dei genitori contro i servizi sociali è stato respinto, l'unica concessione ottenuta è stata la visita di due ore settimanali al figlio minore, mentre solo Ruth potrà vedere gli altri quattro bambini una volta alla settimana;
   il 18 febbraio 2016, la famiglia si è riunita per la prima volta da novembre. Il sito ufficiale della campagna di sostegno alla famiglia Bodnariu (http://bodnariufamily.org/) ha raccontato in un articolo che è stato un incontro «gioioso» ma «doloroso», in cui la figlia Naomi «non riusciva a smettere di parlare» e il quartogenito Loan (due anni) «avendo imparato qualche nuova parola, aveva molto da dire. Il piccolo Ezechiele era più felice che mai». Dopo aver giocato, parlato e mangiato, la famiglia ha pregato insieme;
   in questi giorni un tribunale del Paese scandinavo ha riconosciuto che i diritti umani di Anders Breivik – l'autore della strage di Utøya – sono stati violati nel carcere in cui è attualmente detenuto. Giova ricordare che si tratta della stessa giustizia che ha condannato Breivik a soli 20 anni di carcere, cioè a soli 3 mesi per ciascuna delle 76 vittime;
   i servizi sociali della Norvegia, a quanto consta agli interpellanti, usano tutt'altri sistemi di valutazione rispetto ai metodi educativi delle famiglie musulmane, perché ne temono le reazioni violente; in tali casi le violenze in famiglia in particolare contro mogli e figlie, verrebbero classificate come «specificità culturale», sia dai servizi sociali norvegesi che dai tribunali, la rare volte che tali vicende giungono davanti al magistrato;
   alla luce delle considerazioni sopra espresse si può fondatamente argomentare che se l'ordinamento giuridico norvegese ritiene legalmente valida l'affermazione dei servizi sociali norvegesi che i coniugi Bodnariu sono «cristiani radicali che stavano indottrinando i loro figli» allora sussiste in quell'ordinamento una «specificità anticristiana» secondo gli interpellanti ingiustificata ed illegittima, contro la quale si può e si deve intervenire da qualunque Stato dell'Unione –:
   se il Governo non ritenga opportuno adottare con urgenza le iniziative di competenza, in particolare di carattere diplomatico, anche promuovendo una forte azione in sede comunitaria, affinché la Norvegia ponga fine a quella che appare agli interpellanti una sostanziale persecuzione religiosa in casi quali quello della famiglia Bodnariu.
(2-01366) «Pagano, Bosco, Binetti».


Chiarimenti e iniziative di competenza a tutela dei risparmiatori e degli azionisti della Cassa di risparmio di Ferrara, sottoposta ad amministrazione straordinaria – 2-01329

B)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   a seguito delle sfavorevoli risultanze degli accertamenti ispettivi di vigilanza, su proposta della Banca d'Italia, il Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto n. 151 del 27 maggio 2013, ha disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della Cassa di Risparmio di Ferrara spa (Carife) e la sottoposizione della stessa ad amministrazione straordinaria ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettera a) e b) e dell'articolo 98 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n.  385 (cosiddetto Testo Unico Bancario);
   la proposta di commissariamento della Banca d'Italia, indirizzata al Ministro dell'economia e delle finanze contiene, a parere degli interpellanti, un rilevante errore poiché in essa si indica una carenza patrimoniale, rispetto ai requisiti minimi regolamentari, di 60 milioni di euro. Il grave errore è derivato principalmente dal mancato inserimento della fiscalità differita attiva nel conteggio degli indici patrimoniali, che, se presi in considerazione, avrebbero fatto balzare il patrimonio di vigilanza ad una eccedenza patrimoniale di 27,5 milioni di euro;
   alla formulazione dell'ingiustificabile errore ha contribuito senz'altro, il fatto che il Ministero dell'economia e delle finanze, dopo aver ricevuto la proposta di commissariamento della Cassa di Risparmio di Ferrara spa avanzata dalla Banca d'Italia, non abbia svolto ad avviso degli interpellanti, alcuna attività istruttoria così come stabilito dal testo unico bancario;
   il regime di amministrazione straordinaria è stato confermato, su proposta della Banca d'Italia, dal Ministro dell'economia e delle finanze con decreto del 26 maggio 2014, che ha disposto la proroga della procedura di amministrazione straordinaria della Cassa di Risparmio di Ferrara, capogruppo dell'omonimo gruppo bancario, ai sensi dell'articolo 98, comma 3, del decreto testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, per un periodo non superiore a un anno;
   come emerso in sede di accesso agli atti richiesto dalla difesa dei ricorrenti nel procedimento del contenzioso amministrativo avverso il decreto n.  151 del 27 maggio 2013, anche in occasione della proroga del commissariamento, decorsi i primi 12 mesi, il Ministero non ha svolto alcuna istruttoria;
   il periodo di commissariamento, iniziato il 30 maggio 2013, si è protratto per oltre due anni e mezzo e in tale periodo la situazione di Carife è chiaramente peggiorata tanto che i commissari, in stretto coordinamento con Banca d'Italia, hanno effettuato la dismissione di banche controllate e di filiali, riducendo il perimetro di Carife al territorio originario. Nello stesso periodo i sindacati aziendali hanno aderito ad un importante accordo sui prepensionamenti, con oneri economici a carico dei dipendenti rimasti in servizio e consistenti effetti di diminuzione dell'organico e del costo del lavoro;
   nel triennio precedente al commissariamento (2010-2013) Carife si trovava in regime di «vigilanza rafforzata» a seguito di una ispezione condotta da Banca d'Italia che aveva fatto emergere problematiche sul credito ed, in particolare, una posizione debitoria su Milano (Siano) che presentava significative difficoltà;
   da quel momento sono state prospettate diverse proposte di risanamento e rilancio della Banca. La Cassa di Risparmio di Ferrara nell'aprile 2010, con la nomina del nuovo consiglio e l'approvazione del primo bilancio in passivo della propria storia, ha proseguito nell'opera di risanamento sotto l'assiduo controllo della Banca d'Italia, che aveva disposto per Carife la vigilanza rafforza;
   ogni tre mesi la Banca aveva il compito di fornire alla vigilanza di Roma una relazione dettagliata sui crediti nonché uno specifico riferimento dedicato alla più significativa esposizione deteriorata (cosiddetta posizione Siano). Tale relazione era altresì corredata dalla valutazione del risk manager e dalle osservazioni del collegio sindacale;
   tutto ciò risulta agli interpellanti molto anomalo se viene considerato che Banca d'Italia solo con l'ispezione del 2012/2013 ha improvvisamente imposto svalutazioni molto significative, quando da molto tempo era, come esposto precedentemente, ampiamente aggiornata sullo stato dei crediti e sulle rispettive percentuali di copertura;
   nella proposta di commissariamento, disposta nel maggio 2013, la Banca d'Italia non ha preso minimamente in considerazione il fatto che il principale territorio di operatività di Carife, nella primavera del 2012, è stato interessato da eventi sismici di particolare gravità che hanno procurato danni ingenti a molti clienti, alle loro strutture produttive ed alcune filiali della Cassa;
   i commissari in due anni e mezzo di gestione della Banca non hanno individuato percorsi idonei per far uscire Carife dall'amministrazione straordinaria, né sotto il profilo di una rafforzata compagine societaria, né per completare la riduzione del perimetro del Gruppo;
   a seguito del periodo di gestione commissariale, l'unica prospettiva per il salvataggio dell'istituto bancario sembrava essere quello di un intervento da parte del fondo interbancario di tutela dei depositi con la sottoscrizione di un aumento di capitale di 300 milioni di euro;
   in data 30 luglio 2015 l'assemblea straordinaria di Carife ha approvato l'aumento di capitale sopra citato accantonando la proposta avanzata dalla Fondazione Carife, socio di maggioranza, che aveva segnalato alla Banca d'Italia ed al Ministero dell'economia e delle finanze la concreta disponibilità di un fondo di investimento ad intervenire per una significativa parte dell'aumento di capitale;
   a fronte dell'intervento del fondo interbancario di tutela dei depositi, il patrimonio che Carife registrava nel 2012, pari a 350 milioni di euro, è stato ridotto a poco più di 11 milioni di euro e con esso anche il valore delle azioni stesse;
   a destare notevoli perplessità, ad avviso degli interroganti, è la posizione di Bankitalia che in questa vicenda è sempre stata consapevole degli ostacoli provenienti dalla Commissione europea per l'utilizzo del fondo interbancario di tutela dei depositi (Fidt) per i salvataggi degli istituti di crisi. Nonostante ciò fino a novembre 2015 il ricorso al fondo interbancario è stata l'unica strada percorsa per la risoluzione di Banca Marche, Carife, Banca Etruria e Cari-Chieti;
   una serie di documenti pubblicati nei giorni scorsi hanno dimostrato come il Ministro dell'economia e delle finanze era a conoscenza, fin dall'autunno 2014, dell'opposizione dell'Unione europea all'intervento nel capitale delle banche in difficoltà e abbia, dunque, tenuto all'oscuro della contrarietà della Commissione europea gli altri soggetti coinvolti, innanzitutto il fondo interbancario;
   in ben tre occasioni, a partire dal 2014, la Commissione europea ha intimato al Ministro di desistere dall'utilizzo del fondo interbancario, ma, nonostante ciò il 28 luglio 2015 il Ministero ha autorizzato la Fondazione Carife, allora prima azionista della banca, a votare favorevolmente all'ingresso del Fondo;
   emerge con nitidezza, secondo gli interpellanti, una forte responsabilità di Bankitalia, soggetto che avrebbe dovuto vigilare e nel caso Carife risanare, per il tramite dei commissari, i conti, ma che non ha evidentemente svolto il proprio ruolo con le conseguenze che si sono successivamente sviluppate. In sostanza, e quindi anche a Carife, si è fatto credere, a giudizio degli interpellanti, che si poteva usare il fondo interbancario, mettendo in condizione anche i commissari di perseguire una strada di risanamento che, soprattutto la stessa Bankitalia sapeva bene essere impraticabile;
   quanto esposto dimostra, secondo gli interpellanti, l'inaffidabilità e l'incapacità del Governo che in questa vicenda ha lasciato senza alcuna tutela la sorte non solo di Carife e di altre tre banche, ma anche il destino di migliaia di risparmiatori e azionisti –:
   se il Ministro interpellato intenda chiarire, per quanto di competenza, i fatti esposti in premessa in merito alla procedura di amministrazione straordinaria e alla gestione commissariale di Carife alla luce delle numerose anomalie riportate;
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei motivi per cui non sia stata presa in debita considerazione la proposta avanzata dalla Fondazione Carife sulla disponibilità di un Fondo di investimento ad intervenire nell'aumento di capitale, considerate le informazioni che, ottimisticamente, erano state fornite sulle prospettive dell'operazione stessa;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di tutelare risparmiatori e azionisti di Carife, e, più in generale, di provvedere al pieno ristoro di coloro che hanno investito in modo inconsapevole i propri risparmi in strumenti finanziari subordinati emessi dalle banche poste in risoluzione alla fine di novembre 2015.
(2-01329) «Palmizio, Brunetta».


Iniziative di competenza per salvaguardare l'esercizio della libertà di religione e di culto, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2016, in relazione a modifiche recentemente apportate dal consiglio regionale del Veneto alla legge regionale n. 11 del 2004 – 2-01362

C)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   la Costituzione sancisce, all'articolo 19, tra i diritti fondamentali dei cittadini, la libertà di professare «la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto» e, all'articolo 20, stabilisce che le associazioni religiose «non possono essere causa di speciali limitazioni legislative». Accanto a tale importante articolo si colloca la Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite che, all'articolo 18, indica come fondamentale la «libertà di religione» e tutela «la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
   il consiglio regionale veneto, nella 35a seduta del 5 aprile 2016, ha approvato delle modifiche alla legge regionale 23 aprile 2004, n.  11 (legge per il governo del territorio);
   il provvedimento inserisce vincoli urbanistici e linguistici e l'ipotesi di referendum per la realizzazione e l'attivazione di nuovi luoghi di culto. In particolare prevede che: «i luoghi di culto possano sorgere soltanto in aree F (infrastrutture e impianti di interesse pubblico, nella maggior parte dei comuni presenti in periferia), purché dispongano di strade, parcheggi e opere di urbanizzazione adeguate (“con oneri a carico dei richiedenti”), previa convenzione stipulata col Comune (“contenente un impegno fideiussorio”)». Queste norme riguardano gli immobili destinati a «sedi di associazioni, società o comunità di persone le cui finalità aggregative siano da ricondurre alla religione, all'esercizio del culto o alla professione religiosa, quali sale di preghiera, scuole di religione o centri culturali»;
   per le attività «non strettamente connesse alle pratiche rituali del culto» si debba usare l'italiano; in aggiunta, oltre a inserire l'obbligo della convenzione con il comune e altri limiti severi sulla viabilità d'accesso e sui parcheggi, si prevede la possibilità di indire un referendum tra la popolazione sulle questioni urbanistiche;
   nel 2015 anche la regione Lombardia aveva, di fatto, cercato di modificare la propria legge per il governo sul territorio, nelle parti dedicate alla realizzazione di edifici di culto. In particolare, aveva modificato le condizioni per l'applicabilità di tali norme agli enti delle confessioni diverse da quella cattolica nonché le regole sulla pianificazione urbanistica degli edifici di culto, demandata a nuovo e apposito «piano delle attrezzature religiose»;
   il Governo ha impugnato diversi punti della normativa regionale lombarda, e con sentenza n.  63 del 2016, la Corte costituzionale, pronunciandosi sui motivi di ricorso, ha anzitutto ribadito che il principio di laicità implica non indifferenza di fronte all'esperienza religiosa, bensì impegno a salvaguardare la libertà di religione, in una situazione di pluralismo confessionale e culturale, che il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale della libertà di religione ed è riconosciuto egualmente a tutti, e a tutte le confessioni religiose, e che l'apertura di luoghi di culto, a sua volta, è forma e condizione essenziale del pubblico esercizio del culto;
   il testo quindi approvato dalla regione Veneto, in base alla sentenza poc'anzi richiamata, risulta già lesivo dei principi prima richiamati, difatti, limita e impone molte restrizioni edilizie introdotte ad hoc per allontanare dai centri abitati i centri culturali musulmani, le chiese evangeliche o ortodosse, i luoghi di culto sikh, buddisti e altri o addirittura vietarli a discrezione dei sindaci;
   ma non solo: il provvedimento in questione colpisce indirettamente anche le chiese cattoliche e le canoniche future, i luoghi della parrocchia, le scuole di formazioni legate al mondo cattolico, i seminari, le sedi Caritas, degli scout, dell'Azione cattolica e via discorrendo –:
   quali siano le iniziative di competenza, in ragione degli elementi riportati in premessa, che il Governo ha intenzione di intraprendere per salvaguardare concretamente il diritto alla libertà di religione e di culto sul territorio del Veneto, come sancito dagli articoli 19 e 20 della Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani dell'ONU, e quali azioni politiche intenda porre in essere, anche alla luce della richiamata sentenza n.  63 del 2016 della Corte costituzionale.
(2-01362) «Rostellato, Rubinato, Camani, Moretto, Crivellari, Tacconi, Ginato, Naccarato, Zoggia, D'Arienzo, Narduolo, Zan, Murer, Miotto, Casellato, De Menech, Crimì, Mognato, Rotta, Sbrollini, Marzano, Pes, Cinzia Maria Fontana, Gandolfi, Carra, Giuseppe Guerini, Tentori, Rampi, Laforgia, Currò, Lacquaniti».


Iniziative di competenza per definire un piano di emergenza in ordine ad uno sversamento di petrolio nell'area di Genova e intendimenti circa le procedure di monitoraggio della relativa bonifica – 2-01357

D)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   dopo lo sversamento di petrolio da una condotta del deposito della raffineria Iplom, che ha sede a Busalla e che ha rovesciato una grande quantità di petrolio nel rio Pianego, nel rio Fegino e, da questo, nel Polcevera, avvenuto il 17 aprile 2016, si lavora senza sosta a Fegino e lungo il corso del torrente Polcevera, fino alla foce;
   il lavoro posto in essere da cinque squadre di Vigili del Fuoco, che hanno immediatamente collocato le panne anti-inquinamento e coperto il petrolio con speciali schiumogeni, finora ha impedito che gli idrocarburi arrivassero in mare, ma non c’è ancora la totale sicurezza che le sostanze oleose non arrivino alla costa: chiazze di idrocarburi si notano lungo tutta l'asta terminale del torrente, tra i quartieri di Sampierdarena e Cornigliano nel ponente cittadino;
   il presidente della regione, Giovanni Toti, che ha fatto un sopralluogo con l'assessore all'ambiente, Giacomo Giampedrone, ha dichiarato che «Questa non è solo un'emergenza regionale ma è anche nazionale, visto il danno ambientale. Serviranno fondi straordinari perché questo corso d'acqua ha subito un danno molto serio» e ha evidenziato che «La falla è stata chiusa, si tratta di un petrolio nigeriano molto pesante, e quindi le esalazioni non rappresentano un problema per la popolazione. Al momento tutto quello che si poteva fare si sta facendo»;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Gian Luca Galletti, ha concesso la massima disponibilità a collaborare con le autorità locali inviando sul posto i tecnici dell'Ispra, a supporto di quelli dell'Arpal, e il sindaco di Genova Marco Doria ha manifestato l'intenzione di valutare se dal punto di vista legale ci sono le condizioni per chiedere un risarcimento dei danni per questo incidente oltre a vagliare tutti i provvedimenti necessari per disciplinare in maniera più stringente le attività che rischiano di creare danno manifestando inoltre la sua preoccupazione per come possa evolvere la situazione soprattutto per il concreto rischio di sversamento in mare del petrolio, ora arginato, che non sarà scongiurato fino alla completa bonifica del sito;
   l'Iplom ha spiegato che «l'incidente si è prodotto mentre era in corso il trasferimento di grezzo da una nave nel Porto Petroli di Multedo, che si è verificato un calo di pressione il pompaggio immediatamente interrotto» e che sarà sua cura continuare ad impegnarsi nelle azioni di bonifica fino alla completa rimozione e pulitura dell'alveo;
   tuttavia, mentre la magistratura indaga e l'azienda e le istituzioni cercano di accelerare al massimo i tempi di messa definitiva in sicurezza con l'ansia delle piogge e dello sversamento in mare, è venuto alla luce che l'intervento per arginare i danni causati dalla rottura della tubatura di Fegino, è stato condotto sulla base di un piano di emergenza esterno che risulta non essere aggiornato dal 2012 e, quindi, secondo quanto previsto dalla legge, «scaduto» nel 2015;
   la situazione è ancora più grave se si guarda all'altro impianto petrolifero presente sul territorio metropolitano genovese, cioè la raffineria Iplom di Busalla, dove l'ultimo piano risale al 2006 e la responsabilità di questo documento è della prefettura di Genova che, come tutte le prefetture, ha il compito previsto dal legislatore di redigere questo documento, verificarlo e tenerlo aggiornato secondo criteri e scadenze precise;
   per ogni impianto industriale considerato a rischio rilevante, la prefettura di competenza ha l'obbligo di redigere il piano di emergenza esterno (PEE), renderlo di evidenza pubblica e aggiornarlo al massimo ogni tre anni, come stabilito dal decreto legislativo n. 105 del 26 giugno 2015, che recepisce (sforando di un mese sulla scadenza ultima) l'aggiornamento apportato dalla direttiva comunitaria del 4 luglio 2012 alla precedente «Direttiva Seveso» del 1982 (recepita dal legislatore italiano nel 1988), già aggiornata in precedenza durante lo stesso 1982 (in Italia solo nel 1999) e poi nel 2003 (nel nostro ordinamento dal 2005), allo scopo di prevenire gravi incidenti industriali, con le relative conseguenze su persone e ambiente, come appunto accadde il 10 luglio del 1976 a Seveso, quando un'enorme nube tossica fuoriuscì dagli impianti chimici della ICMESA, investendo terreni e abitazioni; tale incidente fece nascere l'esigenza a livello europeo di avere regole precise e rigorose per evitare nuove sciagure;
   uno degli elementi chiave della direttiva sopracitata, è l'obbligo di studiare e rendere operativi piani di emergenza esterni: organizzare, cioè, strategie di azione in tutte quelle ipotetiche situazioni di crisi che coinvolgono l'ambiente esterno all'impianto in questione;
   con il piano di emergenza esterno in caso di incidente, si sa cosa c’è, si sa dove è, si sa cosa può succedere, e soprattutto si sa subito come intervenire il più efficacemente possibile e per tali motivi, il suo aggiornamento è fondamentale e ogni modifica sostanziale degli impianti, infatti, deve essere catalogata e verificata anche se si tratta di semplici cambiamenti viari e delle infrastrutture limitrofe a un determinato impianto che possono costituire un fattore di novità importante, che è meglio non appurare ad emergenza in corso;
   per quanto riguarda gli impianti di Fegino, sul sito web della prefettura è pubblicato integralmente un piano di emergenza esterno datato 2012 e sullo stesso documento viene predisposto un aggiornamento su base triennale, la cui prima scadenza, quindi risulta essere il 2015; quindi l'intervento che ha seguito lo sversamento di petrolio nel rio Fegino, e poi nel Polcevera, quindi, potrebbe essere stato inficiato da questo dato;
   il piano di emergenza esterno relativo alla raffineria Iplom non si trova sul sito della Prefettura e, in base alle ricerche degli interpellanti, non ne esiste copia pubblica e il sindaco di Busalla, Loris Maieron, ha confermato che l'ultima versione disponibile risale al 2006, quindi scaduta dal 2009, dichiarando di aver sollecitato nel mese di agosto 2015 anche il prefetto in merito;
   l'Iplom da parte sua ha confermato questo dato, mettendo la propria copia a disposizione per una consultazione in quanto «documento pubblico», come ha specificato l'ufficio stampa dell'azienda e, chiedendo chiarimenti ai funzionari degli uffici prefettizi di Genova che, dopo una serie di ricerche interne, ha confermato la situazione, senza tuttavia motivare il ritardo;
   infine, anche Roberto Oreficini, ispettore della protezione civile, durante il sopralluogo con l'ammiraglio Pettorino, diretto a visionare la situazione per valutare le eventuali misure di competenza nazionale nel punto in cui c’è stata la rottura del tubo della Iplom, ha evidenziato, che sono state fatte delle barriere per intercettare il prodotto in tutta una serie di punti per evitare dispersioni, assicurando che verranno installate delle barriere oceaniche molto più alte sul fronte mare e i battelli saliranno da quattro a sei e gli autospurgo da quattordici a venti, ma il rischio più grande è ora l'arrivo della pioggia che farebbe fluire il petrolio in mare –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere, anche adoperandosi per la sollecita definizione di un piano di emergenza, per le zone afflitte dallo sversamento di petrolio di cui in premessa, essendo oltretutto scaduto il piano che avrebbe dovuto regolamentare un'emergenza ambientale di tale portata;
   quali procedure di monitoraggio della bonifica il Governo intenda utilizzare, oltre all'eventuale nomina di un commissario, e se, essendo il sito di cui in premessa uno dei dieci siti nel comune di Genova «a rischio di incidente rilevante (Rir)», non intenda compiere una verifica sugli altri nove prevedendo espressamente l'aggiornamento del piano di sicurezza.
(2-01357) «Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pisicchio».


Elementi ed iniziative in merito alle procedure autorizzative relative alla realizzazione dell'elettrodotto «Udine Ovest-Redipuglia» in Friuli Venezia Giulia – 2-01364

E)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n.  3652 del 21 aprile 2015, depositata il 23 luglio 2015, in accoglimento dei ricorsi in appello di sette amministrazioni comunali e di privati cittadini, ha annullato sia il provvedimento di valutazione di impatto ambientale favorevole emesso con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali del 21 luglio 2011, sia il provvedimento di autorizzazione alla costruzione dell'elettrodotto Udine ovest Redipuglia a 380 kV in doppia terna ed opere connesse, rilasciato alla società Terna spa con decreto interministeriale del 12 marzo 2013;
   la suddetta sentenza ha posto in evidenza una serie di gravi inadempienze e un vero e proprio «sviamento di potere» che ha condizionato le istruttorie nell'esclusivo interesse della soluzione imposta dalla Terna spa; ovvero, «Il MBAC (...) si è spinto ultra vires rispetto al compito assegnatogli dalla legge e ha di fatto abdicato, sulla soverchiante base di un suo inammissibile bilanciamento con altri interessi, ad esercitare correttamente l'indeclinabile funzione di tutela di cui è esso per legge titolare»;
   nel contempo non sarebbero state valutate e messe a confronto le possibili soluzioni alternative progettuali meno impattanti: «la riscontrata impossibilità di soluzioni tecniche alternative (i.e. interramento della linea) non è stata oggetto di adeguata motivazione (...) vizio anche questo sufficiente a concretare l'invalidità degli atti (...)»;
   dalla suddetta sentenza ne è conseguito che i lavori di costruzione delle opere in progetto, si sarebbero rivelati privi di dichiarazione di pubblica utilità, di titolo autorizzativo edilizio, paesaggistico ed ambientale e le relative opere abusive, inopinatamente realizzate prima della conclusione del processo, sarebbero addirittura state portate avanti, a quanto risulta agli interpellanti, con lavori intensificati nelle more del deposito della motivazione della sentenza e con l'evidente scopo di mettere tutti davanti al fatto compiuto;
   tale inusitata accelerazione dei lavori si è prodotta con contestuali, evidenti pressioni sui proprietari dei fondi sottoposti al vincolo preordinato all'esproprio spingendoli alla cessione volontaria, con compensi irrisori, peraltro in un evidente clima di coercizione, con le forze dell'ordine incaricate di presidiare i lavori, nel falso presupposto di possibili reazioni da parte di una popolazione rurale notoriamente pacifica e, quindi, con quello che agli interpellanti appare un evidente effetto intimidatorio;
   malgrado le diffide emesse dai legali dei ricorrenti e i ripetuti esposti indirizzati alle locali autorità giudiziarie e prefettizie, dopo la pubblicazione della sentenza del Consiglio di Stato sono proseguite le immissioni in possesso nonché i lavori di costruzione di fatto senza autorizzazione alcuna, con il presupposto, destituito di fondamento, di una cosiddetta messa in sicurezza, che non sarebbe mai stata autorizzata;
   le richieste di rimozione dei manufatti realizzati e di ripristino delle aree private occupate sono risultate inascoltate, tant’è che di fatto le amministrazioni competenti si sono sottratte all'obbligo di dare tempestiva esecuzione alla suddetta sentenza, anche ai sensi dell'articolo 29 del decreto legislativo n.  152 del 2006 e dell'articolo 150 del decreto legislativo n.  42 del 2004;
   nel frattempo, a giudizio degli interpellanti, la Terna spa avrebbe condizionato l'opinione pubblica rappresentando in modo non corretto il contenuto e gli effetti della suddetta sentenza e nel contempo prospettando l'evenienza di un black out qualora non fosse stato consentito l'immediato completamento dei lavori e prefigurando che avrebbe impugnato la sentenza davanti alla Corte di Cassazione, disponendosi a ripercorrere il procedimento autorizzatorio previo riavvio da parte del Ministero dello sviluppo economico;
   la presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, non è stata da meno e anziché rimettersi alla decisione del supremo organo giurisdizionale amministrativo, come inizialmente asserito, avrebbe espresso pesanti critiche nei confronti della corte giudicante e nel contempo chiesto l'immediata ripresa dei lavori in corso sic et simpliciter, avendo deciso la modifica del nuovo piano energetico regionale in itinere, eliminando dal medesimo il previsto obbligo all'interramento delle linee elettriche, ovvero l'obbligo di interrare l'elettrodotto Udine est-Redipuglia;
   l'interrogazione a risposta scritta presentata il 5 agosto 2015 dall'onorevole Stefano Vignaroli ed altri sul medesimo tema risulta a tutt'oggi senza risposta –:
   se i Ministri interpellati non intendano chiarire quali siano state e quale esito abbiano prodotto le indagini ministeriali volte ad individuare gli autori delle inadempienze, ovvero dello «sviamento di potere» contestato nella suddetta sentenza del Consiglio di Stato;
   quali siano le iniziative di competenza adottate dal Governo per evitare il ripetersi di simili circostanze e dei danni che ne conseguono, patiti dalla pubblica amministrazione e soprattutto dai privati cittadini, come lo stesso grave deteriorarsi del clima di fiducia che deve governare il rapporto fra il cittadino e lo Stato;
   quali siano le iniziative di competenza assunte per impedire eventuali effetti pregiudizievoli sulla concorrenza derivanti dall'attività di Terna nelle sue molteplici funzioni di concessionario in regime di monopolio del dispacciamento in media e alta tensione, di progettista, di proprietario delle linee, di ente espropriante;
   quali siano le iniziative assunte, per quanto di competenza, per evitare che le conseguenze degli errori e/o eventuali abusi passati e futuri della Terna, e di qualsiasi ente o autorità coinvolta, siano addebitati al pubblico erario o all'utenza;
   quali siano le iniziative adottate per garantire che il nuovo procedimento autorizzatorio della Udine ovest-Redipuglia, attualmente in corso, si svolga nell'esclusivo interesse della collettività, valutando ogni possibile alternativa, ivi comprese quelle già manifestate dai consulenti della regione e dell'ARPA Friuli Venezia Giulia, senza reticenze, collusioni, condizionamenti di sorta, nella piena trasparenza e con l'adozione della «pubblica inchiesta».
(2-01364) «Sorial, Spessotto, Battelli, Ciprini, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli».


Iniziative di competenza in relazione al sisma verificatosi nei pressi di una centrale nucleare slovena prossima al confine italiano, in particolare al fine di acquisire ogni utile elemento di valutazione in ordine al rischio sismico e alla sicurezza ambientale – 2-01368

F)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   il 1o novembre 2015, un terremoto è stato registrato poco prima delle 9 nel Sud-est della Slovenia. L'epicentro del movimento tellurico è stato individuato nella zona di Obrezje, a 26 chilometri dalla centrale nucleare di Krško. L'Agenzia per l'ambiente slovena (Arso) ha reso noto che il sisma è stato di magnitudo 4,2; il Centro ricerche sismologiche parla di 4,8;
   la suddetta centrale nucleare si trova a 125 chilometri dal confine italo-sloveno; da alcuni anni, l'ente elettrico/energetico sloveno (GEN) ha inoltre allo studio la costruzione nella medesima località di una nuova centrale, di potenza tripla dell'attuale;
   il 31 marzo 2013 il quotidiano il Piccolo di Trieste pubblicava uno scoop del giornalista Mauro Manzin, che dava notizia di un clamoroso rapporto dell'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare, IRSN (coinvolto nella progettazione di Krško-2). Vi si leggeva che l'istituzione pubblica francese IRSN aveva giudicato il sito di Krško inadatto alla costruzione del nuovo impianto a causa del rischio sismico. La notizia è clamorosa perché, ovviamente, getta un'ombra preoccupante anche sulla sicurezza della centrale in funzione;
   come risulta ufficialmente, l'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare aveva addirittura scritto ufficialmente all'ente elettrico/energetico sloveno in questi termini: «questa nuova e grave scoperta di una faglia attiva vicina all'impianto; ndr] non permette di concludere in modo favorevole sull'adeguatezza dei due siti per la costruzione di una nuova centrale nucleare»;
   «andrebbe ricordato che la valutazione dei fenomeni di spostamento permanente del terreno di fondazione è un tema altamente impegnativo, data l'insufficiente esperienza internazionale attualmente disponibile nonché la mancanza di metodi e strumenti consolidati [di analisi]». «Questo Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare considera che è di estrema [utmost] importanza che le possibili implicazioni di questa capacità di faglia [rottura della faglia Libna] sulla sicurezza dell'impianto esistente, così come la sua potenziale relazione strutturale con altre faglie vicine, sia affrontata senza ritardo. Io [scrive il direttore francese Repussard] ho capito che GEN si è sentita preoccupata su questo argomento ed era sicuramente intenzionata ad informare su questa scoperta l'esercente dell'impianto Krško-1 (Nuklearna Elektrarna Krško – NEK) così come l'Agenzia slovena per la sicurezza nucleare (NSA). Io sarei molto grato se voi poteste confermare che ciò è stato effettivamente fatto, dal momento che io ravviso importante richiamare l'attenzione della NSA su questo argomento, in considerazione delle potenziali implicazioni di sicurezza che esso può avere a livello nazionale ed internazionale»;
   come si vede, si tratta di una lettera molto forte, che pare voler superare reticenze slovene, ventilando problemi di sicurezza per lo meno anche italiani;
   si noti che gli insanabili dissidi tecnici sulla valutazione del rischio sismico/di Krško tra l'ente elettrico/energetico sloveno (GEN) e l'Agenzia slovena per la sicurezza nucleare (NSA), da una parte, e l'IRSN pubblico francese – dall'altra – portavano i francesi ad abbandonare il consorzio tecnico scientifica franco-slovena per lo studio di Krško-2 e inducevano il Governo sloveno a scioglierla;
   al 33o Congresso europeo di sismologia, a Mosca (General Assembly of the European Seismological Commission ESC 2012, 19-24 agosto 2012, simposio NIS-3, p. 350) era stato per altro già presentato uno studio italiano in cui si calcolava per la zona di Krško un terremoto massimo di magnitudo Richter M=7,2 (oltre 30 volte più forte del terremoto dell'Emilia del 2012). Autori di questo rapporto erano due ricercatori dell'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale, OGS, e due docenti dell'università di Trieste; fra i quali lo stesso coordinatore della sessione del congresso dedicata alla valutazione delle faglie capaci di produrre i massimi terremoti da considerare nella progettazione dei grandi impianti ed il segretario dell'Associazione internazionale di sismologia e di fisica dell'interno della terra (che riunisce i massimi esperti mondiali);
   nel 2014 gli stessi autori hanno pubblicato su una rivista scientifica con verifica internazionale («peer review») un articolo sulla pericolosità sismica dell'area della centrale in questione (si veda Sirovich L., Suhadolc P., Costa G. and F. Pettenati 2013. A review of the seismotectonics and some considerations on the seismic hazard of the Krško NPP area; SE Slovenia. Boll. Geof. Teor. e Appl., 55, 1, 175-195, DOI 10.4430/bgta0103.). In esso viene spiegato il calcolo della magnitudo di 7,2 e vengono proposte valutazioni sulla pericolosità delle faglie nel sottosuolo della zona, la cui presenza – si badi bene – era ignota ai progettisti dell'impianto alla fine degli anni settanta del Novecento;
   lo stesso articolo si sofferma anche sui risultati dei cosiddetti «Stress Tests» della centrale (calcoli di verifica dei margini di sicurezza) distribuiti dal Ministero per l'ambiente della Repubblica di Slovenia. In particolare, i quattro studiosi italiani scrivono: a) che l'unico parametro adottato per le verifiche (scuotimento massimo del suolo espresso come accelerazione con una certa probabilità di occorrenza) è insufficiente per consentire, anche a un’équipe di esperti, di trarre conclusioni attendibili; b) gli stessi (così criticabili) stress test ammettono tuttavia che la centrale potrebbe subire incidenti e danni assai rilevanti per scuotimenti del terreno compatibili con la situazione sismologica della zona (ad esempio, danni ai sistemi di raffreddamento e perfino al nocciolo);
   i quattro esperti citati ricordano, fra l'altro che, in poco più di un secolo, la regione di Krško è stata sede di un terremoto nel 1880 (magnitudo Richter circa 6,3; 60 chilometri a est di Krško) e di un altro nel 1917 (magnitudo Richter 5,7-6,2 nelle immediate vicinanze dell'impianto);
   in un articolo divulgativo, apparso sulla rivista mensile Konrad gli stessi quattro esperti scrivono di avere sentito la necessità di presentare la situazione alla presidente del Friuli-Venezia Giulia, Serracchiani, trasmettendole anche un appunto con bibliografia ed illustrazioni. In esso, i quattro esperti in questione scrivevano che «in un momento non prevedibile, la centrale potrebbe venire colpita da un terremoto in grado forse di causare gravi conseguenze [...] secondo questi Stress test, da i gravi – comprese lesioni alla piscina delle barre e blocco dei sistemi di raffreddamento –, potrebbero venire causati da un terremoto di magnitudo M compatibile con la situazione sismologica della zona, oggi nota, se l'evento si verificasse vicino all'impianto, com’è purtroppo possibile». «A nostro avviso,» – era la conclusione – «sarebbe auspicabile una sensibilizzazione del Governo italiano sull'argomento da parte del Presidente, affinché si giunga ad una verifica della situazione, anche con la partecipazione di esperti italiani»;
   l'attuale centrale Krško-1 (e, tanto più, un secondo impianto più potente), presente a ridosso del territorio nazionale, costituisce oggettivamente un pericolo per l'Italia, della cui entità il nostro Paese deve essere consapevole. La situazione sismica della regione di Krško – un'area sismica riconosciuta senza possibilità di dubbio – sembra rendere indispensabile un serio approfondimento di studio, anche in coordinamento per lo meno con il Governo sloveno e l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA) di Vienna;
   recentemente Greenpeace ha espresso quattro tipi di osservazioni. Oltre all'assenza di valide alternative al programma nucleare, specialmente in termini di efficienza energetica e di energie rinnovabili, la Slovenia, è chiamata a fare conti con altri tre problemi. Greenpeace ricorda che Krško si trova in un'area sismica attiva e che la valutazione dei rischi è tale d'aver indotto l'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nazionale (Irsn) ad evidenziare tali pericoli seppure invano – alle autorità slovene. Un ulteriore elemento di rischio è rappresentato dall'età del reattore nucleare. Progettato negli anni settanta, venne realizzato nei primi anni Ottanta con parametri di sicurezza oggi considerati obsoleti e superati. Criticità sono legate anche agli insufficienti investimenti necessari ad aggiornare la centrale. «Dopo gli stress-test post-Fukushima – viene sottolineato da Greenpeace –, la Slovenia ha promesso di realizzare degli aggiornamenti al suo Piano nazionale, ma nella prima revisione dello scorso anno, molti dei più importanti aggiornamenti sono stati trasformati in nuovi studi o rinviati. La ragione è che, al momento, non ci sono sufficienti capitali per portarli avanti. Significa che Krško sta imparando troppo lentamente la lezione di Fukushima e questo aumenta il rischio per il reattore»;
   sul fronte scientifico, Giovanni Costa, sismologo ricercatore del dipartimento di scienze della terra dell'università di Trieste, ribadisce che nel recente convegno di Klagenfurt è emersa la necessità di approfondire ancora gli studi. «Le faglie sismiche ci sono e non è ancora chiaro quali siano i pericoli e se la centrale è in grado di resiste. Non si può dire che Krško sia sicuramente pericolosa, ma non si può neppure dire che non lo sia. Servono ulteriori studi»;
   il quotidiano Il Piccolo ci avvisa che «Slovenia e Croazia avrebbero deciso di prolungare la vita operativa della centrale nucleare di ulteriori vent'anni rispetto i piani iniziali. L'accordo sarebbe stato raggiunto tra i due proprietari della centrale, la Gen slovena e la Hep croata»;
   la preoccupazione per il prolungamento al 2043 dell'operatività della centrale Krško, cui si aggiunge quella della costruzione di una seconda centrale nello stesso sito, non è recente: la notizia seppur non ufficiale risale ad almeno due anni fa –:
   se il Governo non intenda prendere posizione nei confronti della Repubblica di Slovenia cooperando con le autorità slovene nella valutazione del rischio ambientale e accogliendo l'istanza di addivenire a un coordinamento tra il Governo sloveno, quello italiano e l'Agenzia internazionale per l'energia atomica;
   se il Governo non ritenga necessario acquisire ogni utile elemento di valutazione dalle istituzioni francesi che per prime hanno evidenziato la condizione di rischio per la sicurezza internazionale;
   se non si intenda avviare al più presto, in collaborazione con il Governo sloveno, le verifiche necessarie ad accertare che l'evento sismico di cui in premessa, non abbia prodotto alcun da o alla centrale nucleare di Krško;
   se, e come, il Governo si intenda attivare affinché l'Italia sia consapevole della pericolosità sismica dell'area in questione e dei livelli di rischio connessi, verificando che tali livelli rispettino i limiti imposti dalle più avanzate normative internazionali;
   se il Governo non intenda – anche con l'ausilio di esperti di fiducia – interpellare il Servizio geologico francese (BRGM) e l'Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare (IRSN), facenti parte – fino al suo scioglimento – della Commissione tecnico scientifica franco-slovena per lo studio di Krško-2, per conoscere le valutazioni tecniche di rischio elaborate dalle due istituzioni francesi, anche al fine di verificare se i livelli di pericolosità sismica dell'area in questione rispettino i limiti imposti dalle più avanzate normative internazionali; se non intendano attivarsi per l'istituzione di una sede di coordinamento tecnico permanente almeno fra i due Governi e la IAEA (Agenzia internazionale per l'energia atomica), al fine di prevedere l'inserimento di esperti italiani nelle commissioni di studio coinvolte nelle valutazioni su Krško-1 e su Krško-2.
(2-01368) «Pellegrino, Zaratti, Scotto».


Iniziative di competenza, in particolare di carattere ispettivo, in relazione a numerosi casi di malasanità occorsi presso gli Ospedali riuniti di Reggio Calabria, anche alla luce di recenti inchieste giudiziarie – 2-01365

G)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   di recente la procura della Repubblica di Reggio Calabria ha, riassumendo l'inchiesta denominata «Mala Sanitas», reso nota l'ipotesi di un sistema, negli Ospedali riuniti di Reggio Calabria, di sconcertante occultamento di errori sanitari nell'ambito della ginecologia-ostetricia, con l'iscrizione nel registro degli indagati, l'arresto e la sospensione di diversi medici, pure di altri reparti della suddetta azienda ospedaliera;
   sul portale della testa «la Repubblica», la giornalista Alessia Candito ha raccontato: «A far scattare le indagini, ha spiegato il procuratore Cafiero De Raho, sono stati i contenuti di alcune intercettazioni telefoniche disposte nell'ambito di un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia su persone a vario titolo gravitanti intorno alla cosca di ’ndrangheta dei De Stefano. In particolare, dalle intercettazioni su un'utenza intestata all'Azienda ospedaliera e in uso ad Alessandro Tripodi, primario del reparto Ginecologia e ostetricia e nipote di Giorgio De Stefano – cugino dei capi storici della cosca – sarebbero emersi numerosi episodi di malasanità riguardanti reati di colpa medica e di falsità in atto pubblico da parte dei dipendenti del reparto»;
   parecchie delle riferite intercettazioni, pubblicate dalla stampa tradizionale e dall'informazione presente sul web hanno un indubbio contenuto scioccante;
   infatti, in più conversazioni tra medici coinvolti sembrerebbe emergere un concetto non umano del paziente e della vita, fermo restando che trattasi di affermazioni comunque portate fuori del loro contesto specifico; nelle indagini la procura di Reggio Calabria ha ricostruito, in merito all'indicato reparto di ginecologia e ostetricia, una gravissima situazione di insicurezza sanitaria, di mancanza di trasparenza e anche di controlli interni;
   in un recente articolo pubblicato sulla testata «Il Corriere della Calabria» e intitolato «I “Riuniti” e gli orrori che tutti hanno finto di non vedere», il direttore Paolo Pollichieni ha tratteggiato un quadro ambientale della struttura ospedaliera in argomento, riportando l'affermazione del Ministro interpellato, per cui, in merito alla vicenda emersa nell'inchiesta «Mala Sanitas», «la direzione sanitaria non ha mai segnalato nulla e sono stati nominati primari senza concorso», nonché la denuncia della con Uil, con il segretario Nucelo Azzarà, per cui «ai Riuniti comandano la ’ndrangheta e la massoneria»;
   nel predetto articolo, a conferma del quadro rappresentato, evidentemente ben noto in ambito locale, l'autore ha rammentato il recente «bando per assumere un geologo» e, con riguardo alla nomina per tre anni, contraria alla normativa nazionale, del dirigente amministrativo dell'ospedale in argomento, soggetto già in quiescenza, «l'atto aziendale che crea dal nulla un nuovo reparto e ci spedisce a lavorare il rampollo di un casato che ieri e oggi ha controllato gli uffici amministrativi della Regione e dei Riuniti»;
   singolare, appare, poi, una questione posta nel medesimo articolo, in cui si legge: «Siamo davvero sicuri che anche la magistratura reggina sia in regola?»;
   nel riferito approfondimento giornalistico l'autore risponde, in relazione alla prefata domanda: «Davanti alle cose della sanità non lo è mai stata: troppi congiunti di pm e gip impegnati a scalare carriere mediche dentro agli Ospedali riuniti. Lo stesso ex direttore generale, guarda caso, era figlio dell'ex procuratore capo di Reggio»;
   lo stesso giornalista afferma: «Gli orrori sanitari di cui ci si occupa oggi sono vecchi di anni, Le morti dei piccoli e le denunce dei loro genitori risalgono al 2010, le intercettazioni utilizzate per incastrare il “sistema omertoso” sono del 2011 ma solo lo scorso anno sono state trascritte. Il fascicolo che oggi scuote i “Riuniti” e fa gridare allo scandalo il Paese intero è rimasto a prendere polvere per almeno cinque anni. Finquando dalla Sicilia arriva il nuovo procuratore aggiunto, Paci, che va a frugare negli armadi dimenticati e trova questa e altre indagini abbandonate all'oblio»;
   con il decreto del commissario ad acta n.  40 del 21 aprile 2016 la struttura commissariale per il rientro del disavanzo sanitario della Calabria ha autorizzato «fino al termine massimo del 31 ottobre 2016, l'Azienda Ospedaliera “Bianchi-Melacrino-Morelli” di Reggio Calabria, all'assunzione a tempo determinato» di «n. 7 dirigenti medici, n. 4 ostetriche e n. 5 infermieri per l'UOC di Ostetricia e ginecologia; n. 3 dirigenti medici per l'UOC di Neonatologia»;
   il personale, richiesto – dal direttore generale dell'azienda ospedaliera in questione con la nota prot. n.  5051 del 21 aprile 2016, «al fine di garantire il mantenimento dei LEA, evitando al contempo l'interruzione delle correlate prestazioni assistenziali e/o chirurgiche» – e autorizzato è in numero superiore a quello venuto a mancare a seguito dei provvedimenti cautelari e interdittivi assunti, a seguito dell'inchiesta «Male Sanitas», dall'autorità giudiziaria nei confronti di personale medico sanitario operante presso l'azienda ospedaliera di cui si tratta;
   quanto da ultimo precisato significa che nei reparti interessati c’è una obiettiva carenza di personale cui è stato posto rimedio soltanto in seguito alla tragicità dei fatti che ci occupano;
   con nota del commissario dell'Asp di Crotone, dottor Sergio Arena, prot. 14543 dell'11 febbraio 2016, indirizzata alla commissione aziendale per l'autorizzazione e l'accreditamento (CAAA) dell'asp di Crotone, lo stesso ha «sospeso, con decorrenza immediata, tutte le attività di verifica e/o vigilanza intraprese» dal predetto organismo, contestualmente trasmettendo il Dca n.  21 del 10 febbraio 2016, con il quale la struttura commissariale per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria ha, a giudizio degli interpellanti evitando istruttoria e contraddittorio, revocato l'intera procedura di verifica dei requisiti tecnologici, strutturali e organizzativi della cardiochirurgia del policlinico universitario di Catanzaro, il 5 agosto 2015 disposta dal dipartimento regionale per la tutela della salute e conclusa dalla mentovata CAAA con verbale del 20 gennaio 2016;
   in sede di commissione speciale di vigilanza in seno al consiglio regionale della Calabria, il direttore generale del summenzionato dipartimento, professor Riccardo Fatarella, ha ribadito il 26 aprile 2016 la correttezza, in punto di diritto, della riassunta procedura di verifica, significando palesemente che la revoca di cui sopra è stata disposta sotto la responsabilità personale del commissario e del subcommissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale, sulla scorta di una preoccupazione per il futuro originata dalle criticità contenute nel rammentato verbale della CAAA dell'asp di Crotone, di cui – ad avviso degli interpellanti – la medesima struttura commissariale indubbiamente non poteva non essere al corrente, come ribadito in sede di svolgimento dell'interpellanza urgente n. 2-01277, dei deputati Nesci, Dieni, Parentela, Grillo, Silvia Giordano, Baroni, Colonnese, Di Vita, Lorefice, Mantero e D'Incà;
   in altri termini, il professar Fatarelia ha significato che non vi erano elementi di diritto per procedere alla revoca disposta con il Dca n.  21 del 2016, dal momento che, come nella stessa commissione ricordato dal dottor Gianluigi Scaffidi, le CCAAAA esercitano la propria attività di controllo in maniera incrociata, in presenza, come nel caso di specie, di accreditamento provvisorio;
   il commissario dottor Arena, come chiarito nella sua nota prot. 16112 del 15 febbraio 2016, ha «sospeso tutte le attività di verifica e di vigilanza (della CAAA aziendale, nda) per le strutture pubbliche e/o private già accreditate ricadenti nell'ambito del territorio di competenza dell'asp di Crotone», ancorando questa disposizione, peraltro non riversata in un atto specifico, alla vicenda del Dca n.  21 del 2016, che non ha carattere normativa universale, ma si limita, sulla base di un'interpretazione del solo adottante, a intervenire, su una singola procedura già attivata, come argomentato in sede di svolgimento dell'interpellanza urgente n.  2-01277, in modo del tutto improprio;
   con la sua deliberazione n.  152 del 2 maggio 2016 – dopo aver bloccato la commissione che a seguito della richiesta del dipartimento tutela della salute avrebbe dovuto, in vigilanza, verificare i requisiti del punto nascita del presidio ospedaliero di Crotone – lo stesso commissario dottor Arena ha stabilito che le «sale parto» dell'ospedale di Crotone hanno i requisiti tecnologici e organizzativi, ma non hanno i requisiti strutturali, avviando un programma per i relativi lavori di adeguamento;
   nella stessa deliberazione, in quanto alla ricerca dei requisiti, si fa riferimento a un sopralluogo della direzione sanitaria di presidio, che ha in sostanza – e secondo gli interpellanti fuori del diritto – scavalcato le competenze proprie della commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento, che peraltro è organismo collegiale, l'articolo 1, comma 541, della legge n.  208 del 2015 detta le modalità per la concreta attuazione dell'articolo 14 della legge n.  161 del 2004, che dispone l'adempimento (anche) per il personale del ruolo sanitario nazionale della direttiva 2003/88/CE su turni e i riposi obbligatori –:
   se in ordine alla vicenda riassunta, non ritenga di disporre un'indagine ministeriale per accertare, per quanto di competenza, le responsabilità dei vertici, nel periodo di riferimento, della direzione generale e sanitaria dell'azienda ospedaliera di Reggio Calabria e le loro eventuali condotte omissive, nonché di disporre un'ispezione in ordine alla ricordata vicenda delle sale parto dell'ospedale di Crotone e, infine, di assumere ogni iniziativa urgente volta ad accelerare la copertura delle migliaia di posti mancanti per l'adempimento dell'articolo 14 della legge n.  161 del 2014, con riguardo al ruolo sanitario nazionale.
(2-01365) «Nesci, Lorefice, Parentela, Dieni, Colletti, Silvia Giordano, Grillo, Colonnese, Baroni, Di Vita, Mantero, Agostinelli, Alberti, Basilio, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti».


Iniziative di competenza per assicurare la continuità territoriale da e per la Sardegna e per promuovere la concorrenza e la riduzione delle tariffe dei relativi servizi di trasporto – 2-01367

H)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   le condizioni del trasporto da e per la Sardegna, aereo e marittimo, merci e passeggeri, sono ormai al collasso;
   sono tre i fronti del disastro:
    a) continuità territoriale aerea che rende sempre meno raggiungibile la Sardegna per una gestione speculativa e monopolistica di Alitalia con la complicità della Regione e dello stesso ministero, con l'aggiunta che dal 15 giugno sino al 15 settembre scatterà una tariffa differenziata per i non residenti in totale contrasto con le politiche non discriminatorie nei confronti delle regioni insulari;
    b) continuità territoriale marittima con un taglio netto di servizi e il mantenimento di una convenzione di 72 milioni di euro all'anno totalmente ingiustificato, considerato che altre compagnie svolgono lo stesso servizio a costi più bassi e senza alcun contributo pubblico;
    c) voli low cost duramente penalizzati per un atteggiamento vessatorio, tasse e imposizioni tese ad allontanare i vettori low cost, nonostante la decisione comunitaria che legittima il contributo co-marketing avviato nel 1999 e ritenuto valido dalla Commissione europea, anche alla luce dei nuovi orientamenti comunitari;
   si tratta di elementi a cui si somma quella che appare l'incapacità del Governo e della regione di dare risposte compiute anche sugli stanziamenti recenti che dovevano servire ad estendere la continuità territoriale anche ai non residenti, che risultano del tutto inutilizzati e non programmati, e all'abbattimento dei costi di trasporto;
   dal 1o gennaio 2016, sono aumentati di 2,5 euro tutti i biglietti aerei, fatta eccezione di quelli per destinazioni nazionali. Lo stabilisce un decreto dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, dell'economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti datato 29 ottobre, in vigore dal 1o gennaio 2016;
   questo decreto, attuativo della legge n.  9 del 2014, ha istituito il fondo di solidarietà per il trasporto aereo, meglio conosciuto come fondo «salva Alitalia». Un fondo che, in applicazione appunto di questa legge, ha garantito a tutto il personale delle compagnie aeree in crisi, sospeso o licenziato, ben 7 anni di mobilità e di cassa integrazione complessivi con importi pari all'80 per cento della retribuzione e con ratei mensili anche di 7-8000 euro. A persone che in moltissimi casi – hanno accertato Inps e ispettorati del lavoro – continuavano tranquillamente a svolgere il proprio lavoro alle dipendenze di compagnie aeree straniere, percependo queste altissime indennità di mobilità e di cassa integrazioni guadagni;
   il costo di tutti questi trattamenti, garantiti da un fondo di solidarietà giuridicamente definito «autofinanziato», è stato posto a carico del bilancio dello Stato, e, per una parte residuale, di tutti coloro che comprano un biglietto aereo;
   questa ulteriore e gravosissima tassa è stata aumentata repentinamente e reiteratamente; fino al 31 dicembre 2015 è stata di 6,5 euro in tutti gli aeroporti italiani, tranne Roma: a Ciampino e a Fiumicino si devono infatti pagare 7,5 euro. Nel 2017 si dovranno pagare 2,14 euro in più e nel 2018 ulteriori 2,34 euro, in modo da arrivare dal 1o gennaio 2018 ad una tassa di imbarco aggiuntiva di 10,78 euro in tutti gli aeroporti; tranne i due di Roma in cui si pagheranno 11,78 euro;
   tale addizionale nel triennio 2016/2018 dovrebbe generare un finanziamento aggiuntivo di 184 milioni di euro l'anno a questo fondo «autofinanziato»;
   l'applicazione di questa norma ha generato la chiusura delle basi situate ad Alghero e Pescara, di 16 rotte (8 ad Alghero, il 60 per cento; 5 a Pescara, il 70 per cento e tutte le 3 di Crotone) e di un aeroporto, con il conseguente taglio di 600 posti di lavoro e la perdita di 800 mila clienti;
   la decisione assunta dalla compagnia Ryanair è direttamente connessa, oltre che alla gestione, a giudizio degli interpellanti, irresponsabile della regione sarda sul piano del contributo co-marketing, alla decisione del Governo di aumentare dal 1o gennaio le tasse aeroportuali di 2,5 euro;
   l'aumento delle tasse aeroportuali sta generando un danno senza precedenti sia per quanto riguarda il comparto turistico che per le ricadute economiche che provocano una perdita rilevante nelle entrate fiscali;
   si tratta di una decisione che danneggia il turismo italiano e costituisce un vero e proprio «tsunami» per la Sardegna;
   si tratta di una tassa, ad avviso degli interroganti, «illogica», perché danneggia il sistema turismo e il Governo per raccogliere pochi milioni di euro a favore di Alitalia causa alle regioni perdite per centinaia di milioni di spesa turistica;
   si tratta di una nuova tassa municipale che fa perdere un'occasione per crescere, mentre in altre realtà come la Spagna, per esempio, si aprono orizzonti straordinari;
   tale tassa è ancora più gravosa per le regioni insulari e per la Sardegna in particolar modo che sul sistema delle compagnie low cost aveva sviluppato sin dal 1999 e poi in termini strategici dal 2002 un piano straordinario di sviluppo turistico che è arrivato a movimentare oltre 3.500.000 passeggeri;
   è proprio la condizione insulare a rendere indispensabile l'esonero totale per le regioni insulari che non possono essere gravate di ulteriori balzelli che generano danni rilevanti e insostenibili sia sul piano economico che sociale;
   sul fronte marittimo si registra l'apertura dell'indagine da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato sulla Cin-Tirrenia; alla luce di ciò, ad avviso degli interpellanti si rende indispensabile la revoca immediata della convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la compagnia di navigazione;
   tenendo conto dell'abbattimento dei costi del carburante e del mancato adeguamento sia delle compensazioni che delle stesse tariffe si configura, secondo gli interpellanti, un danno senza precedenti, con possibili gravi responsabilità per coloro che stanno liquidando le risorse alla società suddetta;
   in data 21 ottobre 2015, il primo firmatario del presente atto indirizzava al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti l'atto di sindacato ispettivo n.  5-06727 con il quale si denunciava in modo reiterato che la società Tirrenia aveva posto in essere una condotta discrezionale e, a giudizio dell'interrogante, in contrasto con le disposizioni contrattuali, per una mancata trasparente procedura di pubblico servizio, in quanto non consentiva a soggetti privati l'accesso all'imbarco e l'imbarco stesso di mezzi gommati, rimorchi e semi rimorchi, carichi anche di merci deperibili;
   tale comportamento era stato rilevato anche dalle forze dell'ordine intervenute nell'area portuale di Porto Torres per verificare il mancato carico dei mezzi e la contestuale nave vuota, pienamente in grado di caricare tali mezzi prenotati;
   tale comportamento lasciava, secondo l'interrogante, intravedere profili di dubbia legittimità, verso privati e verso il settore pubblico, afferenti al mancato imbarco di mezzi di trasporto merci a mezzo navi della compagnia Tirrenia da e per la Sardegna;
   le società che operano nel settore del trasporto di prodotti alimentari, tra queste le prime tra i vettori per numero di mezzi movimentati nella tratta Porto Torres-Genova, servita dalla Compagnia Tirrenia, in regime di continuità territoriale passeggeri e merci, registravano e denunciavano un reiterato comportamento grave e discrezionale della Tirrenia che ha già comportato danni per milioni di euro;
   la Tirrenia ha rifiutato reiteratamente l'imbarco di semirimorchi, peraltro tempestivamente prenotati e, dunque, preparati per la partenza e allestiti per effettuare le consegne di carichi di prodotti di prima necessità, principalmente carni fresche, ortaggi, frutta, ma anche paste e altri generi alimentari con breve scadenza;
   dal 28 settembre 2015 a oggi decine di mezzi non sono stati imbarcati e ciò nonostante le navi della Tirrenia disponessero di spazio per il relativo trasporto;
   ciò ha determinato una serie di danni, non ancora interamente quantificati, consistenti non solo nel deterioramento dei prodotti con scadenza immediata, costretti al fermo in banchina (carni fresche, frutta e ortaggi), nel mancato guadagno per l'omessa o ritardata consegna, nella gravosità dei percorsi alternativi, dovuta alla condizione di insularità della Sardegna, e nella richiesta di penali da parte delle società destinatarie del trasporto, ma anche nelle prevedibili azioni risarcitorie di queste ultime, le cui doglianze continuano a pervenire alle società di trasporti risultate danneggiate;
   secondo le prime stime formalizzate dai legali delle ditte coinvolte, i danni ammontano, allo stato attuale, a non meno di euro 1.000.000;
   la rotta Genova-Porto Torres risulta iscritta tra quelle in regime di continuità territoriale come si evince dal seguente articolo della convenzione per l'esercizio di servizi di collegamento marittimo in regime di pubblico servizio con le isole maggiori e minori: «Articolo 3. – (Servizi da eseguire). – 1. La Società si impegna ad esercitare per tutta la durata della presente Convenzione i seguenti servizi di collegamento marittimo: a prevalente trasporto passeggeri: Napoli-Palermo (stagionale invernale); Genova-Porto Torres (stagionale invernale); Genova-Olbia-Arbatax; Napoli-Cagliari; Cagliari-Palermo; Cagliari-Trapani; Civitavecchia-Cagliari-Arbatax; Civitavecchia-Olbia (stagionale invernale); Termoli-Tremiti»;
   alla luce del perdurare di questa palese distorsione del mercato appare indispensabile, a giudizio, degli interpellanti, valutare se la Tirrenia non stia perseguendo una condotta che si avvale della sua posizione dominante ai danni dell'economia della Sardegna;
   la mancata predisposizione e gestione di corrette e trasparenti procedure di prenotazione dei rimorchi e semirimorchi solleva il legittimo sospetto di una possibile grave alterazione del mercato dei trasporti marittimi da e per la Sardegna;
   la grave situazione perpetrata ai danni della Sardegna risulta del tutto intollerabile in considerazione del fatto che un'intera regione risulta essere in una situazione di vero e proprio monopolio dal punto di vista dei trasporti marittimi, con particolare riferimento alle merci, rendendo discrezionale e per nulla trasparente la mobilità tra regioni e minando alla radice il diritto costituzionale alla mobilità, alla coesione e ad un equo trattamento tra regioni e imprese;
   il danno che stavano e stanno subendo la Sardegna e i sardi rischia di essere irrimediabile sia per le ripercussioni sul sistema integrato del trasporto, che per le gravi ricadute sul piano occupazionale;
   il profilo che s'intende sollevare relativamente all'ipotizzata lesione della concorrenza si configura in maniera ancora più evidente considerato che tale denunciata discrezionalità, che ha sconfinato ad avviso degli interpellanti in un comportamento arbitrario, ha di fatto favorito secondo gli interpellanti fenomeni e pratiche speculative;
   la Tirrenia, infatti, non attuando il contratto di servizio e non rendendo trasparente l'obbligo alla continuità territoriale da e per la Sardegna per le merci, non ha svolto l'obbligatoria funzione di servizio pubblico, generando di fatto una vera e propria azione speculativa ai danni della Sardegna;
   le norme in materia di concorrenza vietano la discrezionalità nel favorire determinate imprese a scapito di altre;
   tale comportamento finisce per impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale e regionale dei trasporti, come, ad avviso degli interpellanti, sta accadendo sui trasporti da e per la Sardegna;
   in base alla normativa vigente, Tirrenia dovrebbe essere obbligata ad adottare procedure trasparenti relative al carico delle proprie navi, con procedure di prenotazione e conferma, senza lasciare all'apparente discrezionalità l'imbarco o meno dei mezzi gommati;
   è vietato favorire determinate aziende a scapito di altre, ovvero adottare condizioni contrattuali e di favore nella prenotazione e nell'eventuale carico sulla nave dei mezzi;
   in base alla convenzione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti deve essere vietato imporre direttamente o indirettamente procedure e condizioni di vendita dei biglietti o altre condizioni contrattuali che favoriscano determinati soggetti;
   è vietato impedire o limitare la mobilità a danno dei trasportatori, come è capitato ripetutamente a Porto Torres quando, nonostante la nave fosse vuota, si è impedito a mezzi regolarmente prenotati di essere imbarcati, senza alcun ragionevole e plausibile motivo;
   il diritto alla mobilità è diritto fondamentale ed inalienabile e la sua limitazione costituisce un'esplicita limitazione di un servizio pubblico fondamentale;
   uno dei temi centrali è chiaramente quello della posizione dominante. In particolare, nel caso in questione, si può configurare secondo gli interpellanti e come «una posizione dominante, nel senso previsto dalla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia»;
   secondo l'interrogazione richiamata occorreva valutare se fossero stati compiuti atti non conformi alla normativa vigente e lesivi dei diritti dei consumatori e degli operatori economici del settore dei trasporti e adottare, in via urgente, i provvedimenti ritenuti idonei all'eliminazione delle conseguenze dannose, dall'immediata revoca, in prima istanza alla ridefinizione delle convenzioni della società Tirrenia in via subordinata;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non solo non ha mai risposto, ma, ad avviso degli interpellanti ha omesso ogni adeguato tipo di controllo e verifica;
   si tratta di un atteggiamento, secondo gli interpellanti, grave e «complice» che contrasta con la decisione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato che ha, invece, aperto un'istruttoria nei confronti di Compagnia Italiana di Navigazione, Moby e Onorato Armatori per accertare eventuali condotte abusive delle società del gruppo Onorato Armatori nel settore del trasporto marittimo di merci da e per la Sardegna;
   il procedimento riguarda l'ipotesi di un abuso di posizione dominante da parte di Compagnia Italiana di Navigazione e Moby che sarebbe stato attuato, in violazione dell'articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), ostacolando con varie modalità l'operatività di una società concorrente in questo settore e minacciando il pieno sviluppo concorrenziale di tali servizi di trasporto marittimo;
   per accertare queste circostanze, nei giorni scorsi i funzionari dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato hanno eseguito una serie di ispezioni nelle sedi delle società interessate, parti del procedimento, nonché presso una società di spedizioni marittime, ritenute in possesso di elementi utili ai fini dell'accertamento, con l'ausilio del nucleo speciale antitrust e del nucleo speciale frodi tecnologiche della Guardia di finanza;
   tali condotte, operate non solo da Moby ma, anche da CIN – quest'ultima secondo l'interrogante in palese violazione degli OSP sottoscritti con lo Stato italiano, consisterebbero in numerosi casi di ingiustificato rifiuto di imbarco dei mezzi delle società di trasporto, nonché in una serie di iniziative dirette a fare pressione sui clienti, minacciando e attuando il recesso da accordi commerciali in corso e la revoca delle condizioni e dei termini di pagamento, pur precedentemente concesse agli autotrasportatori;
   i comportamenti descritti sarebbero ingiustificati alla luce dell'ampia e solo parzialmente utilizzata capacità di stiva delle società del gruppo Onorato Armatori e avrebbero l'obiettivo di danneggiare Grimaldi, costringendo gli autotrasportatori con i quali la stessa ha stipulato accordi commerciali a rescinderli;
   il vero obiettivo delle iniziative poste in essere dalle due compagnie di navigazione del gruppo Onorato sarebbe quello di escludere dal mercato Grimaldi, o – quanto meno penalizzare fortemente l'offerta di servizi da parte della società, inducendo i clienti (potenziali o attuali) ad avvalersi unicamente dei servizi offerti da CIN e Moby;
   l'importo dei contributi pubblici erogati a CIN ai sensi della Convenzione (pari circa a 72 milioni di euro annui), comporta una significativa sovracompensazione dei costi necessari per l'espletamento degli OSP, che non solo non viene utilizzata per abbattere il costo del trasporto ma costituisce un limite grave alla legittima concorrenza nei collegamenti da e per la Sardegna;
   in base ai fatti segnalati, Onorato Armatori, in posizione dominante, attraverso le controllate CIN e Moby, sui fasci di rotte che collegano il nord e il sud della Sardegna con i porti tirrenici del Centro e del Nord Italia, avrebbe posto in essere attraverso le predette società controllate CIN e Moby una strategia abusiva volta ad escludere dal mercato la compagnia Grimaldi la quale, avendo recentemente ripristinato il collegamento Civitavecchia Porto Torres ed essendo entrata a gennaio 2016 anche sulla Livorno-Olbia, si presenta come un concorrente temibile;
   tale strategia si sarebbe concretizzata in pratiche discriminatorie attuate nei confronti degli operatori di logistica e trasporto che hanno deciso di spostare una parte del loro traffico di merci sulle navi del concorrente;
   CIN e Moby, in particolare, avrebbero negato a TI e NLL, senza alcuna valida ragione, l'imbarco di rimorchi e semirimorchi che trasportavano merci deperibili, a fronte di capacità di stiva inutilizzata, adducendo motivazioni contraddittorie o non veritiere. Inoltre, CIN e Moby avrebbero modificato le condizioni commerciali praticate ai suddetti operatori su tutte le rotte da esse servite, passando da condizioni di pagamento a 90 giorni più 15 di dilazione (ritenute standard nel settore) al pagamento anticipato (in alcune circostanze addirittura in contanti);
   la portata abusiva di tale comportamento sarebbe evidenziata dalla circostanza che i trasportatori che non hanno scelto di operare anche (o solo) con Grimaldi avrebbero continuato a godere di condizioni di pagamento e modalità di imbarco analoghe a quelle riservate a NLL e a TI prima degli accordi con Grimaldi, con il doppio effetto: i) di segnalare agli operatori di logistica le possibili conseguenze derivanti dalla scelta di trasportare merci con il concorrente Grimaldi, ii) di danno reputazionale (per i mancati imbarchi) derivante a TI e NLL nei confronti della propria committenza;
   le condotte sopra descritte sono potenzialmente idonee a pregiudicare il commercio intracomunitario e, pertanto, appaiono integrare gli estremi di un'infrazione all'articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   l'abuso in questione riguarda i servizi di trasporto marittimo di merci da e per la Sardegna, che rappresenta una delle principali destinazioni commerciali e turistiche nel Mediterraneo, operata da armatori appartenenti a gruppi di dimensione sia nazionale che internazionale;
   la fattispecie oggetto del presente procedimento aperto dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, apparendo idonea ad arrecare pregiudizio al commercio tra Stati membri, deve essere valutata ai sensi dell'articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   i comportamenti posti in essere da Onorato Armatori spa e dalle sue controllate Moby SpA e Compagnia Italiana di Navigazione spa, nei mercati rilevanti come sopra individuati, per le ragioni sopra esposte, potrebbero configurare, secondo gli interpellanti, una violazione dell'articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   l'Autorità garante ha disposto l'avvio dell'istruttoria, ai sensi dell'articolo 14 della legge n.  287 del 1990, nei confronti della società Onorato Armatori spa e delle sue controllate Moby Spa e Compagnia Italiana di Navigazione Spa per accertare l'esistenza di una violazione della concorrenza ai sensi dell'articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   finalmente si persegue quello che gli interpellanti giudicano un vergognoso abuso di posizione dominante sulle rotte per la Sardegna;
   la reiterata denuncia del primo firmatario del presente atto come attesta l'atto di sindacato ispettivo del 21 ottobre 2015, culminata con circostanziati esposti all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, segue ora un vero e proprio atto formale del garante;
   la decisione di aprire una rilevante procedura d'infrazione è giunta dopo numerosi esposti e denunce che hanno fatto accendere i riflettori sulla scandalosa gestione del monopolio del trasporto marittimo sia merci che passeggeri;
   la situazione è insostenibile e dalla delibera dell'Antitrust si evince quanto da sempre denunciato: il gruppo Onorato dopo aver comprato il 100 per cento di Tirrenia è arrivato a controllare l'87 per cento di tutte le tratte merci da e per la Sardegna danneggiando ogni concorrenza;
   in tutte e due i casi, il monopolio e la discriminazione verso compagnie di trasporti, erano stati oggetto di azioni parlamentari e segnalazioni all'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
   la decisione di aprire formalmente l'istruttoria nei confronti di Compagnia Italiana di Navigazione (Cin), Moby e Onorato Armatori riguarda l'ipotesi di abuso di posizione dominante che le compagnie avrebbero attuato in violazione delle norme europee, ostacolando, quindi, l'operatività delle società concorrenti e costringendo la Sardegna ad un gravissimo monopolio con ripercussioni economiche senza precedenti –:
   se non ritenga di dover provvedere alla piena applicazione della legge che prevede l'estensione della continuità territoriale ai non residenti per tutto l'arco dell'anno e l'abbattimento del costo dei biglietti in base alle analisi già proposte dal primo firmatario del presente atto all'attenzione del Governo con altro atto di sindacato ispettivo;
   se non si ritenga urgente prevedere, con apposita iniziativa normativa, l'esenzione delle regioni insulari da tasse aeroportuali e addizionali sul trasporto marittimo o aereo;
   se non si ritenga necessario assumere iniziative per l'abrogazione dell'articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n.  350, e successive modificazioni ed integrazioni, che istituisce l'addizionale comunale sui diritti d'imbarco di passeggeri sugli aeromobili;
   se non si ritenga dover assumere iniziative per la revoca del decreto 29 ottobre 2015 recante la definizione della misura dell'incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco da destinare all'Inps;
   se non ritenga il Governo di dover assumere iniziative per revocare con urgenza la convenzione con la società Cin per palese violazione delle regole elementari del mercato e per aver attuato in modo grave e reiterato quello che appare un monopolio ai danni della Sardegna e dei sardi;
   se non ritenga di dover bloccare ogni tipo di contributo statale alla società Cin Tirrenia perché ingiustificato sotto ogni punto di vista, considerato l'abbattimento dei costi di servizio e il mantenimento inalterato degli esorbitanti costi di trasporto;
   se non intenda, per quanto di competenza, di dover intervenire con urgenza nel settore de trasporto marittimo delle merci al fine di evitare quelle che agli interpellanti appaiono, da parte di Tirrenia, condotte non trasparenti, fortemente discrezionali e gravemente lesive del servizio pubblico;
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative, anche alla luce delle azioni legali promosse da aziende private, per ridefinire, con somma urgenza, le convenzioni relative agli oneri di servizio pubblico, con la determinazione di procedure puntuali e codificate che diano garanzia di trasparenza e corretta attuazione delle prenotazioni e delle contestuali conferme;
   se non ritenga di dover assumere le iniziative di competenza per varare apposite disposizioni in tal senso al fine di evitare il ripetersi dei gravi danni alla Sardegna derivanti dal comportamento, secondo gli interpellanti non responsabile, della compagnia Tirrenia;
   se non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza per ridefinire un modello di compensazione funzionale all'abbattimento dei costi dei trasporti non esclusivo e pluralista.
(2-01367) «Pili, Pisicchio».


Iniziative di competenza volte a tutelare la privacy dei cittadini dalle pratiche abusive delle aziende di telemarketing – 2-01360

I)

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
  nel 2011 viene istituito, dal Ministero dello sviluppo economico, il registro delle opposizioni, la cui gestione viene affidata alla Fondazione Ugo Bordoni. Scopo del registro è tutelare la privacy dei cittadini;
   dalla sua istituzione al 31 dicembre 2015 sono state circa 20 mila le segnalazioni di utenti che lamentano la violazione della propria privacy ad opera di aziende di telemarketing (le più attive, quelle di telefonia, luce, gas, tv) e sono stati erogati circa 2,6 milioni di euro di multa;
   ad oggi, gli iscritti al registro delle opposizioni, sono 1,44 milioni e per iscriversi è necessario essere sull'elenco telefonico. Ma non basta l'iscrizione per non essere più chiamati. Come si rileva dall'articolo di A. Longo, «La nostra battaglia (persa) contro le telefonate moleste», pubblicato su La Repubblica dell'8 gennaio 2016, iscrivendosi al registro delle opposizioni si vieta alle aziende di telemarketing solo di usare il proprio numero se lo hanno trovato nell'elenco. Se lo hanno avuto in un altro modo possono chiamare comunque, a patto di avere ottenuto il consenso che spesso è estorto con l'inganno;
   Calogero Pepe, presidente di Federconsumatori Liguria più volte ha espresso preoccupazione per una situazione che diventa di giorno in giorno più grave, soprattutto per quanto riguarda i cittadini più anziani, spesso vittime di vere e proprie truffe telefoniche. La maggior parte dei cittadini che si rivolgono alla associazione chiedono come difendersi dal telemarketing; insieme alle associazioni dei consumatori è anche il segretario generale del Garante per la privacy, Giuseppe Busia, ad affermare che le regole sono sbagliate, il registro non basta; bisogna aumentare per legge le responsabilità degli operatori in caso di abusi delle aziende di telemarketing cui si affidano per le campagne e bisogna istituire un registro delle opposizioni universali che vieti ogni tipo di chiamata pubblicata ai numeri iscritti;
   in altri Paesi europei esiste un registro delle opposizioni universale i cui iscritti non possono mai essere chiamati a scopo di telemarketing, anche se dovesse risultare che in precedenza avevano dato il loro consenso all'utilizzo dei propri dati a fini promozionali –:
  se il Ministro interpellato sia al corrente della situazione e cosa intenda fare, per quanto di competenza, per rispondere alle giuste sollecitazioni pervenute dai cittadini e dallo stesso Garante della privacy.
(2-01360) «Quaranta, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Claudio Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaratti, Zaccagnini».