XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Mozione:
La Camera,
premesso che:
la ratio della dichiarazione d'incostituzionalità della legge n. 270 del 2005 (il cosiddetto «Porcellum») era stata individuata, dalla Corte costituzionale, nella «eccessiva divaricazione tra la composizione dell'organo della rappresentanza politica (...) e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto»;
la legge 6 maggio 2015, n. 52, recante «Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati», il cosiddetto «Italicum», di certo non rappresenta un intervento normativo volto a risolvere le criticità già insite nel «Porcellum», poi riconosciute incostituzionali dalla Consulta con la sentenza n. 1/2014;
i vizi sollevati nella sentenza citata erano essenzialmente due: il primo consisteva nella lesione dell'uguaglianza del voto e nella violazione del voto diretto – in contrasto con gli articoli 1, 3, 48 e 67 della Costituzione – date dall'enorme premio di maggioranza assegnato, pur in assenza di una soglia minima di suffragi, alla lista che avesse raggiunto la maggioranza relativa; il secondo profilo di illegittimità del cosiddetti «Porcellum» consisteva nella mancata previsione di meccanismi idonei a consentire ai cittadini di incidere sull'elezione dei rappresentanti;
quanto al primo aspetto, il vizio è secondo i firmatari del presente atto di indirizzo macroscopicamente presente nell’«Italicum», soprattutto in relazione al caso in cui nessuna lista ottenga almeno il 40 per cento dei voti al primo turno: in questo caso per l'ottenimento del premio di maggioranza, la legge n. 52 del 2015 prevede un ballottaggio fra le prime due liste, e a quella che ottiene più voti è attribuita la maggioranza dei seggi, con evidente indebolimento della legittimazione democratica del vincitore, peraltro, poiché l'elettore non esercita, di fatto, un diritto di voto pieno, così come sancito dall'articolo 48 della Costituzione, ma una semplice opzione vincolata alle due liste più votate al primo turno;
l'eccesso di sproporzionalità tra voti e seggi, censurato in riferimento (il «Porcellum», ben può ripetersi con riguardo all’«Italicum»;
anche in relazione al secondo aspetto la proposta, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ricalca i vizi del cosiddetto «Porcellum»: seppur essendo ammesse le preferenze, si prevedono tuttavia capolista «bloccati», ove il voto di preferenza è relegato ad un ruolo subordinato rispetto ai capolista, riguardando esclusivamente la lista che conseguirà il premio. Se a tali aspetti si aggiungono, poi, gli effetti casuali che l'attribuzione del premio di maggioranza su scala nazionale produrrebbe nei singoli collegi, ne consegue una evidente distorsione della rappresentanza ben lontana dalla ricostituzione del rapporto elettore/eletto, come anche con riferimento agli effetti delle candidature plurime dei capilista;
in pieno contrasto con la citata sentenza, dunque, molte norme del «Porcellum» sono state sostanzialmente riprodotte nella legge n. 52 del 2015, con ciò avallando il vulnus ai principi della rappresentanza democratica e, in primis, all'esercizio della sovranità popolare, come garantita dalla Costituzione;
primo in Italia, il tribunale di Messina, con ordinanza 17/24 febbraio 2016 – stante la presentazione di ricorsi proposti dinanzi a ben 19 tribunali del Paese – ha dichiarato rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate nel giudizio e, in particolare, attinenti al vulnus ai princìpi della rappresentanza democratica, nonché della rappresentanza territoriale; alla mancanza di soglia minima per accedere al ballottaggio; all'impossibilità di scegliere direttamente e liberamente i deputati; alla irragionevolezza delle soglie di accesso al Senato, residuate nella legge n. 270 del 2005, nonché dell'applicazione della nuova disciplina elettorale per la Camera a Costituzione vigente per il Senato, non ancora trasformato in camera non elettiva, come vorrebbe la riforma costituzionale;
sono stati dunque trasmessi gli atti alla Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi – ancor prima che la legge elettorale «Italicum» venga applicata, al fine di non vanificare i diritti elettorali dei cittadini — sulla legittimità costituzionale della stessa;
in particolare, con decreto del Presidente della Corte Costituzionale, è stata fissata per il 4 ottobre 2016 l'udienza pubblica per la discussione del ricorso sulle questioni di legittimità costituzionale inerenti l'Italicum;
è di tutta evidenza che il Parlamento, ben prima del pronunciamento della Corte costituzionale, può ancora intervenire sulla riforma approvata, eliminando quei palesi vizi di incostituzionalità che rendono la legge n. 52 del 2015 una vera e propria «controriforma» elettorale, destinata, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, a provocare una nuova pronuncia di illegittimità da parte della Consulta, impegna sé stessa ed i propri organi, ciascuno per le proprie competenze ad esaminare e deliberare in tempi rapidissimi in merito a una riforma della legge 6 maggio 2015, n. 52, al fine di eliminare dalla nuova disciplina elettorale tutti gli evidenti profili di incostituzionalità illustrati in premessa, e che con ogni probabilità ad avviso dei firmatari del presente atto porteranno ad una nuova pronuncia di illegittimità costituzionale da parte della Consulta.
(1-01314) «Scotto, Quaranta, Costantino, D'Attorre, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».
Risoluzione in Commissione:
La XIII Commissione,
premesso che:
l'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica riconosciuti dall'Unione europea [280 prodotti con denominazione di origine protetta (Dop), indicazione geografica tipica (Igp), specialità tradizionale garantita (Stg) e 523 vini denominazione di origine controllata e garantita (Docg), denominazione di origine controllata (Doc), (Igt)];
il sistema delle indicazioni geografiche dell'Unione europea favorisce il sistema produttivo e l'economia del territorio, tutela l'ambiente in quanto il legame indissolubile con il territorio di origine esige la salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità, sostiene la coesione sociale delle comunità;
nel contempo, grazie alla certificazione comunitaria, si danno maggiori garanzie ai consumatori con un livello di tracciabilità e di sicurezza alimentare più elevato rispetto ad altri prodotti;
i prodotti agroalimentari DOP e IGP nei comparti lattiero-caseario e delle carni suine, sono dotati di un proprio disciplinare di produzione che ne garantisce la tipicità del prodotto e la localizzazione;
il regolamento (UE) n. 1151/2012 considera che, sempre di più, i cittadini e i consumatori dell'Unione chiedono qualità e prodotti tradizionali e si preoccupano del mantenimento della varietà della produzione agricola dell'Unione;
tali esigenze determinano una domanda di prodotti agricoli e alimentari con caratteristiche specifiche riconoscibili, in particolar modo quelle connesse all'origine geografica;
l'articolo 4 della legge 24 giugno 2014, n. 91, ha disposto una serie di misure per la sicurezza alimentare e la produzione della mozzarella di bufala campana DOP, al fine di assicurare la più ampia tutela degli interessi dei consumatori e di garantire la concorrenza e la trasparenza del mercato del latte di bufala;
in particolare, il comma 2 dell'articolo 4, impone agli allevatori bufalini, ai trasformatori e agli intermediari di latte di bufala l'obbligo di adottare, nelle rispettive attività, sistemi idonei a garantire la rilevazione e la tracciabilità del latte prodotto quotidianamente, dei quantitativi di latte di bufala trasformato e delle quantità di prodotto derivante dalla trasformazione del latte di bufala utilizzato;
in seguito, il decreto ministeriale n. 9406 del 9 settembre 2014 ha disposto le modalità per l'applicazione delle disposizioni di cui al citato articolo 4, prevedendo specifici obblighi di trasmissione dei dati di produzione, trasformazione, acquisto e vendita da parte degli allevatori bufalini, dei soggetti intermediari e dei trasformatori del latte di bufala;
infine, la circolare del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali PQA 76537 del 15 ottobre 2014 applicativa del citato decreto n. 9406/2014 ha stabilito gli obblighi dell'allevatore, del trasformatore e dell'intermediario, nonché le modalità di trasmissione delle dichiarazioni di produzione;
per consentire agli allevatori, ai trasformatori e agli intermediari di trasmettere i dati produttivi alla piattaforma informatica «tracciabilità della filiera bufalina», il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha predisposto sul proprio portale dei servizi, una specifica applicazione telematica accessibile tramite credenziali personali (username e password), seguendo le indicazioni previste nella circolare;
l'Italia ha una posizione di rilievo nell'ambito del settore lattiero caseario mondiale, in cui è il maggior Paese produttore di formaggi tipici DOP/IPG, ma il mercato mondiale dei prodotti lattiero caseari continua ad essere gravato da una situazione di offerta abbondante, tanto che il 2016 si è aperto con una conferma della situazione di criticità anche per il contesto nazionale, come già verificatosi per tutto il corso del 2015;
la suinicoltura ha per l'Italia un valore strategico (26.000 aziende di allevamento, delle quali oltre 4.500 fornitrici di materia prima per le DOP), ma le quotazioni dei suini vivi da inviare al macello e destinati al circuito dei prodotti DOP/IGP sono inferiori ai costi di produzione ormai da diversi anni a questa parte;
è indispensabile introdurre per entrambe le filiere sistemi di tracciabilità in grado di rendere riconoscibili al consumatore i prodotti lattiero-caseari DOP/IGP e i tagli ottenuti da animali allevati nell'ambito del circuito tutelato delle DOP/IGP che presentano caratteristiche qualitative particolari legate al rispetto dei disciplinari di produzione e costantemente controllate da organismi terzi,
impegna il Governo:
ad assumere iniziative per istituire un sistema di tracciabilità della filiera dei prodotti lattiero caseari DOP/IGP e dei prodotti da carni suine DOP/IGP, in modo che gli allevatori, i trasformatori e gli intermediari siano obbligati ad adottare nelle proprie attività:
a) per quanto riguarda il latte bovino, sistemi idonei a garantire la rilevazione e la tracciabilità del latte prodotto, dei quantitativi di latte bovino trasformato e delle quantità di prodotto derivante dalla trasformazione del latte bovino utilizzato;
b) per quanto riguarda le carni suine, sistemi idonei a garantire la rilevazione e la tracciabilità delle carni prodotte, dei quantitativi di carni trasformate e delle quantità di prodotto derivante dalla trasformazione delle carni suine utilizzate;
ad assumere iniziative per prevedere che la produzione di prodotti lattiero-caseari DOP e di prodotti da carni suine DOP avvenga in uno spazio in cui possano essere lavorati esclusivamente latte bovino o carni suine provenienti da allevamenti inseriti nel sistema di controllo della DOP, prevedendo, altresì, che in tale spazio possa avvenire anche la produzione di semilavorati e di altri prodotti, purché realizzati esclusivamente con latte o carni suine provenienti da allevamenti inseriti nel sistema di controllo della DOP interessata;
ad assumere iniziative per prevedere, ai fini della massima trasparenza, che i prodotti realizzati, anche o esclusivamente con latte o carni suine differenti da quelli da allevamenti inseriti nel sistema di controllo delle DOP siano lavorati in spazi differenti rispetto a quelli dedicati alla lavorazione di latte e carne derivanti dai suddetti allevamenti.
(7-01033) «Cova, Oliverio, Carra, Zanin, Antezza, Luciano Agostini, Venittelli, Capozzolo, Romanini».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per gli affari regionali e le autonomie per sapere – premesso che:
le istruzioni per la compilazione della dichiarazione dei redditi 2015, con la quale sono alle prese milioni di italiani, stabilisce che «Le spese mediche sostenute all'estero sono soggette allo stesso regime di quelle analoghe sostenute in Italia; anche per queste deve essere conservata a cura del dichiarante la documentazione debitamente quietanzata (...); se la documentazione sanitaria è in lingua originale, va corredata da una traduzione in italiano; in particolare, se la documentazione è redatta in inglese, francese, tedesco o spagnolo, la traduzione può essere eseguita a cura del contribuente e da lui sottoscritta; se è redatta in una lingua diversa da quelle indicate va corredata da una traduzione giurata»;
il testo precisa poi: «Per i contribuenti aventi domicilio fiscale in Valle d'Aosta e nella provincia di Bolzano non è necessaria la traduzione se la documentazione è scritta, rispettivamente, in francese o in tedesco. La documentazione sanitaria straniera eventualmente redatta in sloveno può essere corredata da una traduzione italiana non giurata, se il contribuente, residente nella Regione Friuli Venezia Giulia, appartiene alla minoranza slovena»;
le discriminazioni contenute in queste prescrizioni dell'Agenzie delle entrate sono molteplici. La prima riguarda la possibilità per il contribuente di effettuare la traduzione dei documenti per solo quattro lingue, quando l'Unione europea di cui facciamo parte conta almeno 24 lingue ufficiali; tra l'altro i documenti dell'Unione europea vengono normalmente redatti in inglese, francese e tedesco, non in spagnolo. Se una scelta andava effettuata, doveva secondo logica riguardare innanzitutto, tra le tante, le lingue che vengono utilizzate nelle relazioni transfrontaliere e parlate dalle minoranze delle aree di confine;
la seconda riguarda la discriminazione tra contribuenti delle aree di confine: in Valle d'Aosta e in provincia di Bolzano non è necessaria la traduzione di documenti redatti in francese e in tedesco, in Friuli Venezia Giulia tutte le ricevute di spese sanitarie effettuate in Slovenia devono essere oggetto di traduzione giurata;
tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia, entrata nell'Unione europea nel 2004, corre un confine di ben 232 chilometri lungo il quale le comunità italiane e slovene quotidianamente interagiscono, che la gestione transfrontaliera riguarda un'infinità di settori della vita economica, politica, culturale, ambientale, che in Friuli Venezia Giulia la lingua slovena è parlata in 32 comuni; l'ufficio scolastico regionale del Friuli Venezia Giulia ha un apposito ufficio per l'istruzione in lingua slovena; la legge n. 38 del 2001 reca norme a tutela degli sloveni del Friuli Venezia Giulia; che in Friuli Venezia Giulia vengono pubblicati un importante quotidiano e diversi settimanali in sloveno;
tra i comuni di Gorizia, Nova Gorica e Šempeter-Vrojba è operativo un Gect, gruppo europeo di cooperazione territoriale costituito con convenzione sottoscritta a Gorizia il 19 febbraio 2010. Tra gli obiettivi del GECT, nell'ambito della progettualità per la costruzione di un network di servizi sanitari transfrontalieri, è prevista anche l'integrazione socio-sanitaria, con la realizzazione di un «centro transfrontaliero di prenotazione dei servizi socio-sanitari che includa tutti gli operatori sui due lati del confine e consenta agli utenti un migliore accesso ai servizi sociali e sanitari (Cup)» e una casa del parto transfrontaliera;
le strutture sanitarie della vicina Repubblica vantano eccellenze mediche e tecnologie sanitarie in molteplici settori, con costi decisamente inferiori per gli utenti, e quindi sono numerosi i cittadini italiani, anche non residenti nelle aree di confine che scelgono di farsi assistere oltre confine;
la terza discriminazione riguarda il diverso trattamento tra contribuenti italiani: quelli della minoranza slovena e quelli che non vi fanno parte. Selezione che non ha criteri oggettivi sulla base dei quali essere effettuata;
le discriminazioni derivanti dall'applicazione delle direttive dell'Agenzie delle entrate sono incomprensibili e ingiustificabili nella prospettiva europea dell'integrazione socio-sanitaria, producono spese e aggravi ai cittadini del Friuli Venezia Giulia che si rivolgono agli ospedali, ai professionisti medici e alle farmacie in Slovenia; la valutazione dell'appartenenza ad una minoranza linguistica è del tutto arbitraria –:
se non intenda il Governo assumere iniziative per quanto di competenza, anche con opportuna circolare, al fine di includere lo sloveno tra le lingue per le quali non è necessario allegare la traduzione o, in subordine e in parallelo con quanto previsto per Valle d'Aosta e provincia di Bolzano, estendere a tutti i cittadini del Friuli Venezia Giulia il diritto a consegnare agli uffici dell'agenzia delle entrate documenti con allegata traduzione non giurata.
(2-01408) «Pellegrino, Scotto».
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
il Masterplan per il Mezzogiorno, iniziativa lanciata dal Governo nell'estate 2015, dovrebbe rappresentare il quadro di riferimento entro cui si collocheranno le scelte operative in corso di definizione nel confronto Governo-regioni-città a fini della predisposizione di specifici piani strategici e operativi per le 8 regioni e le 7 città metropolitane del Mezzogiorno;
nella «Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate», allegata dal Documento di economia e finanza (DEF) 2016, si evidenzia come il Masterplan consideri il complesso delle risorse provenienti dai fondi strutturali (FESR e FSE) 2014-2020, dai fondi di cofinanziamento regionale e dal Fondo sviluppo e coesione, per un totale di circa 95 miliardi di euro, da utilizzare attraverso un coordinamento stretto tra amministrazioni centrali e territoriali e un monitoraggio costante per migliorarne l'utilizzo;
in particolare, al Masterplan per il Mezzogiorno dovrebbero essere destinati – secondo gli intendimenti del Governo espressi nel Def 2016 – circa 13,4 miliardi di euro delle risorse del Fondo sviluppo e coesione della programmazione 2014-2020, finalizzati ai patti per il Sud;
si tratta di 16 patti per il Sud, uno per ognuna delle 8 regioni (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna) e uno per ognuna delle 7 città metropolitane (Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Cagliari e Messina), cui si aggiunge il contratto di sviluppo per la città di Taranto, finalizzati a definire per ognuna di esse gli interventi prioritari e trainanti, le azioni da intraprendere per attuarli e gli ostacoli da rimuovere, la tempistica, le reciproche responsabilità;
con la sottoscrizione di ciascun patto, viene definito l'ammontare delle risorse a disposizione della regione o città metropolitana, evidenziandone la quota-parte di risorse già assegnate nell'ambito di precedenti atti di programmazione (accordi di programma quadro, contratti istituzionali di sviluppo, singoli provvedimenti legislativi), la quota di nuove risorse del ciclo 2014-2020 provenienti dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) e le ulteriori risorse disponibili considerate a vario titolo (in particolare, quelle dei fondi strutturali, programmate attraverso i programmi operativi nazionali, programmi operativi regionali, programmazione complementare, e altro);
con riferimento specifico alle risorse del Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 – disciplinato dal decreto legislativo n. 88 del 2011, che ha così ridenominato il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) – si evidenzia come in esso siano iscritte le risorse finanziarie aggiuntive nazionali, destinate a finalità di riequilibrio economico e sociale, nonché a incentivi e investimenti pubblici;
il requisito dell'aggiuntività è espressamente precisato dalla disciplina istitutiva del fondo, laddove si dispone all'articolo 2 del decreto legislativo n. 88 del 2011 che le risorse non possono essere sostitutive di spese ordinarie del bilancio dello Stato e degli enti decentrati, in coerenza con l'analogo criterio dell'addizionalità previsto per i fondi strutturali dell'Unione europea;
il Fondo per lo sviluppo e la coesione è pertanto finalizzato a dare unità programmatica e finanziaria all'insieme degli interventi aggiuntivi, rispetto all'ordinario finanziamento nazionale, che sono rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese;
l'intervento del fondo è, infatti, finalizzato al finanziamento di progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo nazionale, interregionale e regionale, aventi natura di grandi progetti o di investimenti articolati in singoli interventi di consistenza progettuale ovvero realizzativa tra loro funzionalmente connessi;
nel bilancio di previsione per il triennio 2016-2018 (legge n. 209 del 2015 e relativo decreto ministeriale del Ministro dell'economia e delle finanze di ripartizione delle dotazioni dei singoli programmi di spesa in capitoli), a seguito delle disposizioni da ultimo recate dalla legge di stabilità per il 2016, il capitolo 8000 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze – su cui sono iscritte le risorse del FSC – presenta una dotazione complessiva pari a 2.833 milioni di euro per il 2016, 3.018 milioni per il 2017 e di 3.118 milioni per il 2018, di cui la gran parte destinate agli interventi rientranti nel nuovo ciclo di programmazione 2014-2020;
nel capitolo di bilancio relativo al Fondo (cap. 8000/economia), infatti, sono iscritte sia le risorse residuali del ciclo di programmazioni 2007-2013, a suo tempo autorizzate dall'articolo 1, comma 863, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006), sia le nuove risorse aggiuntive, autorizzate dall'articolo 1, comma 6, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013);
nella Tabella E della legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208 del 2015), le risorse del Fondo sviluppo e coesione sono, invece, esposte separatamente, con riferimento ai due cicli di programmazione 2007-2013 e 2014-2020, riportando altresì, nell'ultima colonna, l'importo dell'autorizzazione di spesa che sarà iscritto in bilancio per gli anni 2019 e successivi dalle future leggi di stabilità per un totale complessivo di circa 38,7 miliardi di euro;
in particolare, per il periodo di programmazione 2007-2013, le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) – poi Fondo di sviluppo e coesione (FSC) – sono state autorizzate dall'articolo 1, comma 863, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006), per un importo complessivo pari a 64,379 miliardi di euro. La programmazione di tali risorse è stata adottata dal Cipe con delibera n. 166 del 21 dicembre 2007. La successiva legge finanziaria per il 2008 (legge n. 244 del 2007), confermando l'importo complessivo del Fondo, ha modulato gli importi annuali, fissandoli in 1.100 milioni di euro per il 2008, 4.400 milioni di euro per il 2009, 9.166 milioni di euro per il 2010, 9.500 milioni di euro per il 2011, 11.000 milioni di euro per il 2012, 11.000 milioni di euro per il 2013, 9.400 milioni di euro per il 2014 e 8.713 milioni di euro per il 2015;
nel corso degli anni successivi, le suddette disponibilità del Fondo sono state spesso utilizzate a copertura sia delle manovre di finanza pubblica, sia di oneri specifici recati da numerosi provvedimenti legislativi, alcuni dei quali non strettamente correlati agli interventi nelle aree sottoutilizzate;
la tabella E della legge di stabilità per il 2016 (legge n. 208 del 2005) ha disposto una rimodulazione di tali risorse spostando 670 milioni dal 2016 al 2019 e, per effetto della rimodulazione disposta dalla tabella E, l'autorizzazione di spesa per l'anno 2016 viene ridotta a 930 milioni di euro. Le restanti risorse vengono spostate al 2019 e anni successivi. Non figurano, inoltre, iscritte in bilancio autorizzazioni di spesa per le annualità 2017 e 2018;
per il periodo di programmazione 2014-2020, inoltre, posto che l'articolo 1, comma 6, della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013) disponeva una dotazione aggiuntiva del Fondo per lo sviluppo e la coesione relativamente al nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, nella misura complessiva di 54.810 milioni di euro, si evidenzia come la norma ne disponga l'iscrizione in bilancio limitatamente alla misura dell'80 per cento (43.848 milioni di euro);
per il triennio 2014-2016, gli importi iscritti in bilancio sono stati pari a 50 milioni di euro nel 2014, 500 milioni di euro nel 2015 e a 1 miliardo di euro nel 2016. La determinazione della quota annuale dell'ulteriore importo di 42.298 milioni di euro è stata invece rinviata alla tabella E delle successive singole leggi di stabilità. Per quanto concerne la restante quota del 20 per cento (10.962 milioni di euro), la relazione tecnica al disegno di legge di stabilità per il 2014 (A.S. 1120) precisava che la relativa iscrizione in bilancio avverrà all'esito di una apposita verifica di metà periodo (da effettuare precedentemente alla predisposizione della legge di stabilità per il 2019, quindi nella primavera-estate 2018) sull'effettivo impiego delle prime risorse assegnate;
rispetto agli importi complessivamente autorizzati, si segnala che, nel corso del 2014, sono intervenute alcune disposizioni che hanno utilizzato le risorse del Fondo 2014-2020 a copertura degli oneri da esse stesse recati, per un totale complessivo di 4.729,1 milioni di euro (di cui 153,7 milioni di euro per il 2015, 514,8 milioni di euro per il 2016, 1.418,3 milioni di euro per il 2017 e 2.642,3,7 milioni di euro per il 2918 e anni successivi). Si è trattato, nello specifico, delle seguenti norme: 1) l'articolo 22-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 ha ridotto il FSC di 75 milioni di euro per il 2015 e di 100 milioni di euro per il 2016, a copertura degli oneri connessi agli interventi in favore delle zone franche urbane, in particolare, individuate dalla delibera Cipe n. 14/2009, ricadenti nelle regioni non comprese nell'obiettivo «Convergenza» e della zona franca del comune di Lampedusa; 2) l'articolo 18 del decreto-legge n. 91 del 2014 ha ridotto il FSC 2014-2020 di 204 milioni nel 2016, 408 milioni nel 2017, 408 milioni nel 2018 e 204 milioni di euro per il 2019, a copertura degli oneri per il credito di imposta per investimenti in beni strumentali nuovi a valere sulle risorse; 3) l'articolo 19 del decreto-legge n. 91 del 2014 ha ridotto il FSC 2014-2020 di 27,3 milioni di euro nel 2015, 55,0 milioni di euro nel 2016, 85,3 milioni di euro nel 2017 e 112,3 milioni di euro nel 2018, a copertura parziale degli oneri derivanti dalla modifica alla disciplina dell'ACE (aiuto crescita economica); 4) l'articolo 3, comma 4, del decreto-legge n. 133 del 2014 ha posto parte della copertura degli oneri dell'incremento della dotazione del Fondo sblocca cantieri (51,2 milioni di euro per il 2015, 155,8 milioni di euro per il 2016, 925 milioni di euro per il 2017 e 1.918 milioni di euro per il 2018) a valere sulla quota nazionale del FSC 2014-2020;
ulteriori riduzioni sono state apportate della legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014), che in tabella E ha apportato una riduzione di 40 milioni di euro per il 2015 delle risorse 2014-2020 del Fondo di sviluppo e coesione, quale copertura del reintegro parziale delle risorse destinate alle zone franche urbane per il 2015. La legge di stabilità ha inoltre disposto una rimodulazione delle risorse, attraverso una anticipazione di 100 milioni di euro al 2015, 500 milioni di euro al 2016 e 1.500 milioni di euro al 2017, con conseguente riduzione di 2.100 milioni di euro della quota relativa al 2018 e anni successivi;
nel corso del 2015, la dotazione del Fondo è stata poi ridotta di 2 milioni di euro per l'anno 2015 e di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017 a copertura degli oneri recati dall'articolo 14, comma 5, della legge n. 124 del 2015 (rifinanziamento del fondo per l'organizzazione e il funzionamento di servizi socio-educativi per la prima infanzia destinati ai minori di età fino a 36 mesi, presso enti e reparti del Ministero della difesa);
conseguentemente, la dotazione a legislazione vigente, del Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, esposta nella Tabella E della legge di stabilità 2016 ammontava a 980,2 milioni di euro per il 2016, a 2.481,7 milioni di euro per il 2017, a 2.161,7 milioni di euro per il 2018 e a 32.994 milioni di euro per il 2019 e annualità successive;
su tali disponibilità relative al ciclo di programmazione 2014-2020 del Fondo per lo sviluppo e coesione, la medesima tabella E della legge di stabilità 2016 è intervenuta disponendo: 1) una rimodulazione, attraverso una anticipazione agli anni 2016-2018 delle risorse previste per il 2019, per complessivi 3.551,4 milioni di euro. In particolare, in termini di competenza, con la rimodulazione si aumentano di 1.289,8 milioni di euro le risorse per il 2016, di 923,3 milioni di euro quelle per il 2017 e di 1.338,3 milioni di euro gli importi del 2018. Si segnala, peraltro, che, in termini di cassa, l'incremento dell'autorizzazione di spesa per il 2016 ammonta a soli 600 milioni di euro; 2) una riduzione degli stanziamenti del Fondo della programmazione 2014-2020, di complessivi 367 milioni di euro per il 2016, 382 milioni di euro per il 2017 e il 2018 e di 367 milioni di euro per il 2019. Tale riduzione è correlata, per 367 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019, agli oneri recati dai commi da 98 a 108 della medesima legge di stabilità che hanno introdotto il credito d'imposta per il Mezzogiorno, e per ulteriori 15 milioni di euro per il 2017 e 2018 a parziale copertura finanziaria degli oneri recati dalle misure in tema di sicurezza nazionale;
in definitiva, dunque, per effetto delle riduzioni e delle rimodulazioni disposte dalla tabella E della legge di stabilità 2016, le autorizzazioni pluriennali di spesa del FSC del ciclo 2014-2020 ammontano ora a 1.903 milioni di euro per il 2016, a 3.018 milioni di euro per il 2017, a 3.118 milioni di euro per il 2018 e a 29.075,6 milioni di euro per il 2019 e annualità successive;
rispetto all'importo complessivo citato pari a circa 38,7 miliardi di euro, la quota dell'80 per cento che, in base alla legge di stabilità 2014, dovrebbe essere destinata al Sud, è pari a quasi 31 miliardi di euro, secondo gli interroganti non si capiscono i motivi per i quali il Masterplan per il Mezzogiorno ne destini solo 13,4 miliardi di euro e, soprattutto per quali finalità saranno impiegate le altre risorse che ne residuano, pari a più di 17,5 miliardi di euro;
appaiono inoltre inspiegabili per gli interroganti i motivi per i quali le autorizzazioni pluriennali di spesa del FSC del ciclo 2014-2020 ammontino a soli 1.903 milioni di euro per il 2016, 3.013 milioni di euro per il 2017 e a 3.118 milioni di euro per il 2018, con un successivo slittamento di ben 29.075,6 milioni di euro a decorrere dal 2019, quasi non ci fosse urgenza di intervenire in concreto per l'attuazione di determinati interventi;
la questione si complica qualora si abbia riguardo al contenuto dei cosiddetti «patti per il Sud» siglati sino ad oggi dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi dove è indicato l'ammontare complessivo delle risorse ad esso destinate, nonché la quota di risorse considerata fino all'anno 2017;
con riferimento al patto per l'Abruzzo sottoscritto in data 17 maggio 2016, si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 753.100.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 138.390.000 di euro;
con riferimento al patto per la Campania sottoscritto in data 24 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 2.780.000.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 511.040.000 di euro;
con riferimento al patto per la Basilicata sottoscritto in data 2 maggio 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 565.200.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 103.900. 000 di euro;
con riferimento al patto per la Calabria sottoscritto in data 30 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 1.198.700.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 220.400.000 di euro;
con riferimento al patto per la Città metropolitana di Bari sottoscritto in data 17 maggio 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 230.000.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 41.800.000 di euro;
con riferimento al patto per la Città metropolitana di Reggio Calabria sottoscritto in data 30 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 133.00010, di euro le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 24.500.000 di euro;
con riferimento al patto per la Città metropolitana di Catania sottoscritto in data 30 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 332.000.000, di euro le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 61.000.000 di euro;
analogamente al patto per la Città metropolitana di Catania, con riferimento al patto per la Città metropolitana di Palermo sottoscritto in data 30 aprile 2016 si evidenzia che delle risorse complessive FSC 2014-2020 destinate, pari a 332.090.000 di euro, le risorse FSC considerate fino al 2017 ammontino a soli 61.000.000 di euro;
in tutti i casi sin qui evidenziati appare chiara l'evidente sproporzione tra il dato della assegnazione di risorse complessive a valere sul Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 e quelle considerate fino al 2017 che, di fatto, risultano decisamente inferiori persino alla cifra dell'importo complessivo;
con riferimento a ogni singolo patto sino ad oggi siglato e all'area di intervento territoriale presa in considerazione le risorse complessive Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 pesano percentualmente in modo decisivo se non addirittura preponderante sul totale dei costi e delle risorse funzionali alla realizzazione del patto, al netto delle risorse già assegnate con precedenti programmazioni e altre risorse disponibili come i POR, i programmi operativi nazionali e altre fonti nazionali;
inoltre, si rileva che le risorse finanziarie a valere sul Fondo sviluppo e coesione 2014-2020, ad oggi descritte da ogni singolo patto siglato dal Presidente del Consiglio dei ministri, non rappresentano nulla sino a quando non saranno assegnate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), ai sensi del dell'articolo 1, comma 703, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), che con apposita delibera deve individuare i criteri ed i meccanismi per il trasferimento delle risorse FSC 2014-2020 – e per la eventuale revoca totale o parziale delle stesse – relativamente a ciascun patto;
sino ad oggi, con riferimento ai patti per il Sud, non è stata ancora emanata alcuna delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe);
alla luce di quanto suesposto ne discende che con il Masterplan per il Sud e i patti su cui il Presidente del Consiglio sta incentrando gran parte della propria campagna elettorale per le prossime amministrative e il referendum costituzionale previsto per ottobre 2016, di concreta politica pubblica, finalizzata al rilancio del Mezzogiorno sotto il profilo della implementazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione ci sia, a giudizio degli interpellanti veramente poco su cui sperare effettivamente, senza contare l'ammanco dei citati 17,5 miliardi di euro che pur dovendo essere destinati al Mezzogiorno in base a quanto previsto dalla legge non si comprende dove siano andati a finire e come saranno orientati –:
quali siano i motivi per i quali, su circa 38,7 miliardi di euro complessivi di programmazione del fondo di sviluppo e coesione, di cui quasi 31 miliardi di euro di spettanza al Sud in base alla normativa vigente, il Masterplan per il Mezzogiorno ne preveda solo 13,4 miliardi di euro;
come siano stati impiegati gli oltre 17,5 miliardi di euro residui che dovrebbero essere destinati alle politiche per il Sud;
quali siano le ragioni per cui, per effetto delle riduzioni e delle rimodulazioni disposte dalla tabella E della legge di stabilità 2016, le autorizzazioni pluriennali di spesa del fondo di sviluppo e coesione del ciclo 2014-2020 ammontino a soli 1.993 milioni di euro per il 2016, 3.018 milioni di euro per il 2017, 3.118 milioni di euro per il 2018 e per quali ragioni il grosso delle risorse disponibili in bilancio, pari a 29.075,6 milioni di euro, venga previsto solo a decorrere dall'anno 2019;
come si giustifichi, con riferimento ai singoli patti siglati sino ad oggi per l'Abruzzo, la Campania, la Basilicata, la Calabria e le città metropolitane di Bari, Reggio Calabria, Catania e Palermo, l'evidente sproporzione tra il dato della assegnazione di risorse complessive a valere sul Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 e quello delle risorse considerate fino al 2017 che, di fatto, risultano decisamente inferiori, persino alla metà della cifra dell'importo complessivo;
se e quante risorse siano state ad oggi erogate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri per la promozione in Italia dei patti per il Sud, posto che le risorse finanziarie a valere sul fondo sviluppo e coesione 2014-2020 ad oggi descritte da ogni singolo patto siglato dal Presidente del Consiglio dei ministri non rappresentano nulla sino a quando non saranno assegnate dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), ai sensi del dell'articolo 1, comma 703, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), che con apposita delibera, deve individuare i criteri ed i meccanismi per il trasferimento delle risorse del Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 – e per la eventuale revoca totale o parziale delle stesse – relativamente a ciascun patto.
(2-01409) «Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
in una recente lettera indirizzata alla Commissione europea, e nell'intervento tenuto alla Camera dei deputati il 15 giugno 2016, aventi entrambi come tema l'accordo di libero scambio e investimento recentemente negoziato tra Unione europea e Canada (Comprehensive Economic and Trade Agreement – CETA), il Ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda ha dichiarato che tale trattato, ancora in attesa di ratifica, rientrerebbe nel regno della competenza esclusiva dell'Unione europea; dicendosi quindi pronto a sostenere la analoga posizione, che verrà ufficializzata all'inizio di luglio, della stessa Commissione;
secondo tale tesi, tale trattato non sarebbe considerato un accordo internazionale «misto», configurazione che comporterebbe la necessità di sottoporre al processo di successiva ratifica anche i Parlamenti di tutti gli stati membri; in assenza di tale configurazione la sua adozione passerebbe quindi attraverso la procedura legislativa ordinaria, vale a dire con un voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio, con successiva ratifica soltanto del Parlamento europeo;
il Trattato di Lisbona ha stabilito che la politica commerciale comune sia competenza esclusiva dell'Unione europea in materia di investimenti diretti esteri (articoli 207 e 208 TFUE), a condizione che l'accordo non riguardi competenze nazionali;
molti Stati membri hanno tuttavia contestato la competenza esclusiva dell'Unione europea, particolarmente per ciò che attiene al profilo delle risoluzioni extra ordinamento giudiziario delle controversie tra investitore e Stato;
secondo alcuni esperti di diritto europeo tale trattato contiene, peraltro, alcuni passaggi non chiari;
gli accordi di libero scambio pur rientrando nella competenza esclusiva dell'Unione europea – in quanto espressione della politica commerciale comune – per contro, nel corso dei negoziati finiscono per affrontare materie diverse che investono competenze concorrenti tra Unione europea e Stati membri (come servizi, trasporti, tutela degli investitori, sistemi giudiziali arbitrali, e altro) divenendo pertanto accordi di natura mista;
in virtù di tale circostanza i presidenti di 21 commissioni parlamentari di Parlamenti nazionali si sono fatti portavoce dell'opportunità di considerare tali accordi (sia TTIP che CETA) una volta conclusi, di natura «mista» e quindi da sottoporre alla ratifica dei Parlamenti nazionali – tesi argomentata con lettera del 25 giugno del 2011 indirizzata al commissario europeo allora competente;
anche le conclusioni della Conferenza dei presidenti dei parlamenti dell'Unione europea, tenutasi a Roma il 20 e 21 aprile 2015, hanno sottolineato il ruolo dei parlamenti nazionali in particolar modo nell'ambito dei negoziati sui trattati internazionali, in considerazione del loro impatto sulla vita dei cittadini, dei consumatori, dei lavoratori, delle imprese e del particolare interesse dimostrato dalla società civile per i negoziati in corso, in favore di un maggiore accesso alle informazioni per meglio esprimere i propri orientamenti. In tale direzione rileva anche l'intervento della stessa commissaria Malmstrom (1o giugno 2015 alla Cosac di Riga) laddove ha affermato che il ruolo dei parlamenti nazionali diventa ancora più cruciale nella definizione della politica commerciale della Unione europea;
inoltre, alcuni parlamenti nazionali facenti parte dell'Unione europea (Francia, Lussemburgo, Belgio/Vallonia, Paesi Bassi) hanno recentemente approvato risoluzioni in cui chiedono che il CETA sia ratificato anche a livello nazionale, posizione ribadita dal Presidente del partito socialdemocratico tedesco (Spd) Sigmar Gabriel;
in base a quanto previsto dall'articolo 218 del Trattato di Lisbona la questione può essere adita davanti alla Corte di giustizia europea da parte del Consiglio, Commissione, Parlamento europeo o da Stati membri ed è verosimile che ciò possa avvenire da parte degli Stati membri. A questo proposito giova ricordare che in occasione del trattato siglato con Singapore nel 2014, di analoghe fattispecie, la Commissione ha sollevato la questione presso la Corte di Lussemburgo, il cui responso è atteso per il prossimo luglio –:
se non si ritenga utile tener conto delle diverse tesi che stanno animando il dibattito nell'ambito di numerosi Stati dell'Unione, in ragione delle implicazioni politiche ed economiche connesse agli accordi commerciali di libero scambio sui medesimi Paesi, e se non si ritenga di dover chiarire le motivazioni, circostanziate anche sotto il profilo giuridico, che stanno spingendo ad escludere la partecipazione delle Camere al processo di adesione e ratifica di un accordo commerciale europeo dalla portata non irrilevante per gli interessi e le esigenze dei cittadini, dei consumatori e delle imprese;
se il Governo non ritenga importante, circa le politiche europee relative al commercio internazionale, sostenere la necessità di una procedura trasparente, partecipata e democratica anche per il CETA – analogamente a quanto previsto e appoggiato dallo stesso esecutivo nel caso del TTIP – in favore dell'inclusione e del coinvolgimento attivo dei ventotto Stati membri.
(2-01411) «Cimbro, Damiano, Fassina, Albini, Fossati, Terrosi, Mognato, Zoggia, Bossa, Zappulla, Roberta Agostini, Lattuca, Giorgio Piccolo, Giorgis, Gnecchi, Capodicasa, Murer, Bruno Bossio, Malisani, Patrizia Maestri, Stumpo, Scanu, Cassano, Carella, Marco Meloni, Cuperlo, Beni, Carra, Laforgia, Pollastrini, Casellato, Chaouki, Gianni Farina, Ginoble, Leva, Speranza, Tullo».
Interrogazione a risposta in Commissione:
RIZZO, LOREFICE, BRESCIA, COLONNESE e GRILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
è notizia riportata da diversi organi di stampa, secondo la quale «Su delega della Procura della Repubblica di Caltagirone, la Squadra Mobile di Catania e del commissariato di Caltagirone sta dando esecuzione a un decreto di perquisizione e sequestro nonché all'avviso di garanzia nei confronti di 6 persone, tutte indagate a vario titolo per falsità ideologica in atti pubblici e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai da i dello Stato e dell'Unione Europea» (www.rainews.it del 22 giugno 2016);
come risulta da un articolo pubblicato sul giornale online « IlSettemezzo» del 22 giugno 2016, i sei indagati dell'inchiesta della procura di Caltagirone sono Sebastiano Maccarrone, direttore del Cara di Mineo; Salvo Cali, rappresentante legale della cooperativa Sisifo, consorzio di cooperative capofila dell'Ati fino a ottobre 2014; Giovanni Ferrera, direttore generale del Consorzio «Calatino Terra d'accoglienza»; Roberto Roccuzzo, consigliere delegato della cooperativa Sisifo; Cosimo Zurlo, amministratore delegato della cooperativa «Casa della solidarietà» consorzio coop dell'Ati fino da ottobre 2014 ad oggi e Andromaca Varasano, contabile del nuovo Cara Mineo»;
a seguito delle risultanze del procedimento «Mafia Capitale», è stata avviata un'attività di investigazione allo scopo di accertare presunti illeciti nella gara d'appalto per la gestione triennale dei servizi del C.A.R.A. di Mineo (Catania) in quanto ritenuta illegittima dall'Autorità Nazionale Anticorruzione. L'analisi della contabilità relativa alle presenze giornaliere dei migranti ospiti del C.A.R.A. di Mineo ha evidenziato che sono stati rendicontati e corrisposti, negli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, importi superiori a quelli dovuti, per un ammontare di circa un milione di euro. Sono tutt'ora in corso perquisizioni presso società in tutto il territorio nazionale.» (www.rainews.it del 22 giugno 2016);
fra i sei indagati dalla procura di Caltagirone, ai quali sono stati notificati gli avvisi di garanzia per la presunta truffa da un milione di euro nella contabilità sulle presenze di migranti nel Cara di Mineo emerge il nome di Cosimo Zurlo, amministratore delegato della società «casa della solidarietà», capofila dell'associazione temporanea d'imprese che si aggiudicò l'appalto per al gestione del Cara di Mineo, nonché quello di Roberto Roccuzzo, consigliere del Consorzio Sisifo, già citato;
se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
se intendano avviare in concomitanza con quelle già intraprese dalle autorità giudiziarie – ulteriori attività di verifica, per il tramite delle prefetture interessate, in relazione alla composizione societaria del Consorzio in questione;
quali iniziative intendano comunque adottare in relazione alla preoccupante situazione che coinvolge il Cara di Mineo e che in particolare vede l'ipotesi della commissione di reati quali quelli «di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ai da i dello Stato e dell'Unione Europea». (5-09017)
Interrogazioni a risposta scritta:
SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il 4 ottobre 2016 è fissata la prima udienza presso la Corte costituzionale sulla legge 6 maggio 2015, n. 52 (cosiddetta Italicum) che dovrà stabilire la legittimità costituzionale della nuova impalcatura elettorale italiana;
secondo quanto emerge dalla stampa nazionale, nella maggior parte dei tribunali italiani dove sono stati presentati ricorsi in relazione all'Italicum, in questi mesi si sarebbero verificati dei rinvii del tutto ingiustificabili;
la denuncia emerge, in particolare, da parte del Coordinamento per la democrazia costituzionale e dall'Avvocato Felice Besostri, secondo cui, ad esempio, il tribunale di Trieste è in riserva dal 2 febbraio e quello di Torino dal 21 marzo proprio in riferimento ai ricorsi sulla legge elettorale;
come recentemente evidenziato dall'Avvocato Felice Besostri in un'intervista sulla stampa nazionale, tra i ricorsi presentati presso i tribunali di Torino, Genova, Milano, Brescia, Venezia, Bologna, Firenze, Ancona, Perugia, Roma, L'Aquila, Bari, Lecce, Napoli, Potenza, Catanzaro, Messina, al fine di ottenere più ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale sui quattordici motivi di ricorso – come del resto già avvenuto nel mese di febbraio 2016 allorquando il tribunale di Messina ha accolto 6 motivi di incostituzionalità dei ricorrenti, rinviando per l'appunto alla Consulta – si registra una generale inerzia a procedere da parte dei giudici;
tante le udienze rinviate, insomma, anche in presenza di un obbligo di deposito dell'ordinanza di giudizio entro 30 giorni dalla data di presentazione dei ricorsi;
ad avviso del Coordinamento per la democrazia costituzionale vi è una chiara strategia tesa a non prendere decisioni prima del referendum costituzionale del prossimo ottobre 2016, come nel caso, peraltro, del ricorso presentato presso il Tribunale di Bari dove il giudice avrebbe addirittura messo per iscritto quello che altri stanno facendo senza dirlo – come dichiarato dall'avvocato Besostri – ovvero rinviando tutto al 7 novembre per conoscere il risultato del referendum;
del resto il referendum costituzionale del prossimo ottobre si intreccia al giudizio della Corte costituzionale sulla legge elettorale. Il 4 ottobre è fissata la prima udienza alla consulta e la «bocciatura» della legge elettorale sarebbe un pessimo viatico per sostenitori del «Si» al referendum costituzionale, motivo per il quale il Governo, per quanto risulta, intende fissare il referendum prima del giudizio della Corte Costituzionale;
quanto precede appare, ad avviso degli interroganti, di eccezionale gravità perché i ritardi della macchina giudiziaria determinano, soprattutto in questo particolare momento storico un gravissimo vulnus democratico –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e, in caso affermativo, quali elementi di chiarimento intenda fornire per scongiurare il sospetto che si intenda fissare la data del referendum costituzionale di ottobre 2016 prima della prima udienza della Corte costituzionale nell'ambito del giudizio di legittimità costituzionale sulla legge 6 maggio 2015, n. 52 (cosiddetto Italicum), per cui la relativa bocciatura rappresenterebbe un pessimo viatico per i sostenitori del «SI» al referendum del prossimo ottobre.
(4-13613)
FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
Kurt Pichler il dirigente amministrativo reggente presso la procura della Repubblica di Bolzano dell'area che raggruppa i seguenti uffici: segreteria procedimenti di competenza del giudice di pace; ufficio procedimenti a citazione diretta; ufficio iscrizioni; ufficio controllo e smistamento atti; sportello 2;
Lucina Pappalardo coniuge del dottor Pichler Kurt, è impiegata come funzionario giudiziario presso la procura della Repubblica di Bolzano con la funzione di responsabile dei seguenti uffici: a) ufficio iscrizioni; b) ufficio controllo e smistamento atti; c) sportello 2;
Werner Pichler, fratello del dottor Pichler Kurt, è impiegato con la qualifica di collaboratore di cancelleria presso la procura della Repubblica di Bolzano nell'ufficio sportello 2;
le competenze dell'ufficio iscrizioni sono le seguenti: iscrizione delle informative contro persone note e relative a fatti non costituenti reato (formazione dei fascicoli processuali). Gestione dei procedimenti a carico di ignoti (iscrizione notizia di reato e formazione fascicolo);
le competenze dell'ufficio controllo e smistamento atti sono le seguenti: smistamento della corrispondenza penale diretta alla segreteria generale (notizie di reato e seguiti); aggiornamento del ReGe; controllo e smistamento degli atti provenienti dal tribunale di Bolzano (procedimenti definiti, sentenze, decreti penali); gestione del registro di passaggio dei fascicoli da inviare ad altri uffici giudiziari del circondario. Gestione dei seguiti ignoti;
le competenze dell'ufficio sportello 2 sono le seguenti: ricezione denunce/querele, ricezione richieste copia atti o presa visione fascicoli, ricezione richieste di notizie di natura penale; ricezione richieste e rilascio permessi di colloquio; rilascio certificati ex articolo 335 del codice di procedura penale a privati; rilascio certificati di «chiusura inchiesta» acquisizione informative contro noti, ignoti e non costituenti di reato;
il comma 3, dell'articolo 13, del decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013 «Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» dispone che il dirigente, prima di assumere le sue funzioni, comunichi all'amministrazione ogni condizione conflitto di interessi con la funzione pubblica che svolge e dichiara se ha parenti e affini entro il secondo grado, coniuge o convivente che esercitano attività politiche, professionali o economiche che li pongano in contatti frequenti con l'ufficio che dovrà dirigere o che siano coinvolti nelle decisioni o nelle attività inerenti all'ufficio;
il comma 4, dell'articolo 13, del decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013 dispone che il dirigente assuma atteggiamenti leali e trasparenti e adotti un comportamento esemplare e imparziale nei rapporti con i colleghi i collaboratori e i destinatari dell'azione amministrativa;
il comma 5, dell'articolo 13, del decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013 prevede che il dirigente cura, compatibilmente con le risorse disponibili, il benessere organizzativo nella struttura a cui è preposto, favorendo l'instaurarsi di rapporti cordiali e rispettosi tra i collaboratori, assume iniziative finalizzate alla circolazione delle informazioni, alla formazione e all'aggiornamento del personale, all'inclusione e alla valorizzazione delle differenze di genere, di età e di condizioni personali;
il comma 6, dell'articolo 13, del decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013 dispone che il dirigente assegna l'istruttoria delle pratiche sulla base di un'equa ripartizione del carico di lavoro, tenendo conto delle capacità, delle attitudini e della professionalità del personale a sua disposizione;
secondo l'interrogante, la situazione organizzativa sopra descritta sembrerebbe presentare profili di vulnerabilità nell'ambito della gestione del personale vista la concentrazione, piuttosto intensa e inusuale, di stretti legami parentali all'interno dei pubblici uffici dell'area penale della procura Repubblica di Bolzano. Il contesto potrebbe infatti produrre o aggravare il rischio di compromettere l'oggettività e l'imparzialità delle decisioni riguardanti i comportamenti organizzativi e di gestione del personale e di non ottemperare a quanto prescritto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013 «Codice di comportamento dei dipendenti pubblici e la tutela dell'equità di trattamento dei dipendenti pubblici», il quale, in attuazione dell'articolo 54 del decreto legislativo n. 165 del 2001 «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», disciplina i doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare al fine di assicurare la qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei menzionati doveri costituzionali e il servizio esclusivo alla cura dell'interesse pubblico –:
di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto riportato in premessa e quali siano meccanismi di pianificazione nella gestione del personale e l'assetto dei controlli interni per assicurare efficaci processi interni per la prevenzione e la gestione dei conflitti di interessi presso gli uffici statali localizzati nella provincia di Bolzano;
se non ritenga che sussistano i presupposti per assumere iniziative atte a verificare la presenza di situazioni analoghe presso gli uffici statali della provincia di Bolzano che potrebbero pregiudicare il corretto svolgimento della funzione pubblica di competenza del personale assegnato per garantire il perseguimento delle finalità elencate dal decreto legislativo n. 165 del 2001 e le prescrizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013. (4-13617)
AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
Interrogazioni a risposta scritta:
SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere — premesso che:
molti Paesi richiedono l'emissione, sul passaporto, di un visto di ingresso; procedura che spesso richiede svariate settimane, limitando quindi l'effettiva capacità di espatrio dei titolari degli stessi;
vi sono categorie di lavoratori quali piloti e assistenti di volo ai quali, per motivi di servizio, viene richiesto di viaggiare da e verso Paesi tra di loro incompatibili (come ad esempio Israele e Arabia Saudita che non permettono l'entrata nel Paese con lo stesso passaporto); tali lavoratori, proprio per i turni a cui sono sottoposti, non riescono a recarsi presso la questura di residenza per «scambiare» il passaporto prendendo quello depositato;
i piloti e gli assistenti di volo, impegnati in attività non programmate quali ad esempio servizi di aerotaxi o l'evacuazione di emergenza, non hanno possibilità di conoscere in anticipo le destinazioni presso cui faranno scalo nello stesso turno di servizio. La durata continua della turnazione lavorativa di alcune settimane rende impossibile una pianificazione dei visti presenti sul passaporto, o della compatibilità con il Paese di scalo del passaporto detenuto al momento della partenza;
in queste particolari circostanze l'uso da parte dei membri di un equipaggio di un documento di navigazione aerea, rilasciato ai sensi della convenzione sull'aviazione civile firmata a Chicago il 7 dicembre 1944, non risulta idoneo in quanto non tutti i Paesi vi hanno aderito e comunque non sarebbe valido nel caso in cui il navigante prenda servizio su uno scalo estero posizionandosi come passeggero con altri voli commerciali (non della propria compagnia) e solo successivamente prendendo servizio con il proprio aeromobile; in questi casi, i membri di un equipaggio entrano nel Paese dove inizieranno il loro servizio come semplici passeggeri motivo per il quale avranno bisogno del visto;
l'attuale crisi in cui versa il settore aeronautico italiano, le possibilità di lavoro all'estero offerte dal mercato comune e la richiesta al momento di assunzione presso compagnie estere di possedere più passaporti per ovviare ai problemi qui esposti, pone la categoria del personale navigante di cittadinanza italiana in una situazione di svantaggio nei confronti dei colleghi europei;
la Repubblica italiana regola il rilascio dei passaporti con la legge n. 1185 del 1967. Tuttavia, su tale legge non è evidenziato alcun limite in riguardo al numero massimo di passaporti ottenibili da ciascun cittadino. L'articolo 9 della stessa legge già prevede in casi speciali il rilascio di speciali disposizioni nell'interesse generale del lavoro italiano all'estero e per tutela dei lavoratori, così come tutelato in modo propositivo dall'articolo 35 della Costituzione repubblicana;
il rilascio di un eventuale secondo passaporto è inoltre regolamentato dal decreto del Ministro degli affari esteri n. 303/33 del 2010. Lo stesso integra la legge n. 1185 del 1967 disciplinando i casi speciali già dalla stessa previsti, tuttavia ponendo un limite al solo rilascio di un secondo passaporto;
sentiti i pareri degli uffici competenti in materia di rilascio passaporti, sia al Ministero dell'interno sia presso l'ufficio III del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, i quali pongono il problema del rilascio di un terzo passaporto che sarebbe in contrasto con il decreto n. 303/33 del 2010, il quale di fatto non esclude il rilascio di un numero maggiore di passaporti, ma regola esclusivamente lo specifico caso del rilascio di un secondo passaporto, ponendo quindi la questione del rilascio e della detenzione contemporanea di tre passaporti solo come un problema tecnico di procedura e non come un problema legislativo;
il decreto n. 303/014 del 2009 all'articolo 7 prevede una banca dati dei passaporti che rende gli stessi registrati e perfettamente tracciabili;
ad oggi, non risultano all'interrogante motivi ostativi presso nazioni estere, che ritengano il possesso di più di un passaporto in contrasto con le disposizioni di legge locali. In aggiunta, la maggioranza dei Paesi aderenti all'Unione europea pone limiti ben diversi da quelli posti in Italia. Ad esempio, in Germania è possibile ottenere fino ad un massimo di 4 passaporti, mentre nel Regno Unito vi è un limite massimo di 3 passaporti;
il limite massimo di 2 passaporti e la non contemporanea detenzione dei passaporti posto ai cittadini della Repubblica italiana li pone in una situazione di svantaggio nei confronti dei cittadini degli altri Stati europei a giudizio dell'interrogante in evidente contrasto con l'articolo 35 della Costituzione;
il limite massimo di 2 passaporti quando entrambi sono presentati presso le ambasciate per il rilascio dei visti reca pregiudizio al diritto dei membri di equipaggi membri di equipaggi impegnati presso compagnie estere di uscire dal territorio italiano ai sensi dell'articolo 16 della Costituzione –:
se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative che vadano incontro alla categoria del personale navigante che per comprovate esigenze di servizio si trovi nella necessità di avere con sé contemporaneamente più di due passaporti, vista l'importanza di quale misura per tale personale (piloti e assistenti volo) impiegato presso compagnie estere. (4-13609)
MARCON, DURANTI e PIRAS. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
in un recente articolo pubblicato sul sito di Altreconomia viene intervistato Jan Van Aken, deputato della Linke al Parlamento tedesco, il quale mette in evidenza le contraddizioni fra la versione resa dal Governo italiano e quella del Governo tedesco in merito alla vendita di ordigni italiani all'Arabia Saudita impegnata con la propria coalizione nel conflitto in corso in Yemen;
nel dettaglio si segnala che secondo pubbliche dichiarazioni rese nei mesi scorsi dalla Ministra della difesa Roberta Pinotti lo stabilimento sardo di RWM Italia non avrebbe bisogno di autorizzazioni italiane all’export, in quanto parte di un gruppo tedesco. Ma da un documento pubblicato dal Governo tedesco su richiesta dell'onorevole Van Aken si evince come bombe inviate all'Arabia Saudita (di cui è stato comprovato l'utilizzo nel conflitto in Yemen) non sono state prodotte sotto licenza tedesca;
il segretario generale Ban Ki-Moon, nel presentare l'annuale rapporto ONU sul tema delle armi, ha evidenziato che l'alleanza guidata da Riad è responsabile del 60 per cento degli oltre 2 mila bimbi rimasti feriti o uccisi in Yemen e per questo nello stesso Rapporto l'Arabia Saudita e la coalizione da essa guidata erano stati inseriti in una «lista nera» da parte degli organismi internazionali;
solo pochi giorni dopo l'Arabia Saudita è stata esclusa da tale «black list», episodio gravissimo che secondo diversi commentatori internazionali e secondo le parole dello stesso Ban Ki-moon, è stato causato dalla minaccia saudita di bloccare gli aiuti umanitari promessi all'Onu per Palestina, Sud Sudan e Siria;
la guerra nello Yemen prosegue con impatto sulla popolazione civile talmente preoccupante che l'amministrazione Obama ha deciso di bloccare l'invio di bombe cluster all'Arabia Saudita. Uno stop derivante proprio dal confermato e allarmante uso indiscriminato di questi ordigni nel conflitto yemenita;
se Washington, che negli ultimi anni ha rifornito Riad di miliardi di dollari in armamenti, ha deciso di fermarsi, probabilmente la situazione non può essere minimizzata, come invece ha fatto nei mesi scorsi e a più riprese il Governo italiano. La «questione saudita» infatti tocca da vicino anche il nostro Paese: a partire dal maggio 2015 sono stati documentati almeno 6 invii di bombe dalla fabbrica RWM Italia di Domusnovas in Sardegna verso l'Arabia Saudita. Consegne che hanno spinto la Rete italiana per il disarmo a promuovere esposti in diverse procure della Repubblica per violazione della legge sull’export di armamenti. La legge n. 185 del 1990 proibisce infatti invio di materiale d'armamento a Paesi che si trovano in stato di conflitto armato. Esattamente quanto accade in Yemen. Le realtà di «Rete Disarmo» sono in attesa ora di riscontri da parte delle procure interessate, in particolare quella di Roma, quella di Brescia (dove ha sede legale l'azienda controllata dal gigante tedesco Rheinmetall) e quella di Cagliari (la città da cui sono partite le spedizioni);
il supporto delle armi italiane al regno saudita è ben certificato anche dai dati ufficiali della relazione all'attuazione della legge n. 185 del 1990 per il 2015: le vendite sono passate da 163 milioni di euro a ben 258 milioni di euro. Secondo dati Istat recentemente presentati dall'Osservatorio Opal di Brescia esportazioni di bombe da Cagliari verso l'Arabia Saudita sono avvenute ancora nel marzo 2016 per un controvalore di quasi 5 milioni di euro;
per mesi il Governo Renzi, nel rispondere a numerosi atti di sindacato ispettivo presentati anche dal primo firmatario del presente atto non è entrato nel merito della questione, giustificando le autorizzazioni alla vendita di bombe rifacendosi all'alleanza strategica con l'Arabia Saudita (elemento che però non è previsto come dirimente nei criteri della legge) o cercando di scaricare la responsabilità su altri governi;
Jan Van Aken, deputato della Linke al Parlamento tedesco nell'intervista sopra citata ha dichiarato: «È chiaro che si tratta di una questione tutta italiana, perché RWM già produceva queste bombe prima dell'acquisizione da parte di Rheinmetall. E una richiesta formale di autorizzazione alla Germania deve essere fatta solo se c’è trasferimento di “know-how”. Nonostante ciò, dopo aver letto le notizie che rimbalzavano anche qui dalla Sardegna, abbiamo voluto una conferma ufficiale. E la risposta è stata chiara»;
il Governo tedesco ha risposto ad una recente interpellanza di Van Anken in merito, dichiarando che «nessuna competente autorizzazione» era stata emessa da Berlino per componenti riguardanti gli ordigni prodotti a Domusnovas;
va inoltre sottolineato che, anche se l'accordo di vendita fosse stato davvero stipulato con la casa madre tedesca, la legge italiana prevede comunque un passaggio autorizzatorio da parte del Governo italiano anche solo per un semplice trasferimento o una lavorazione/assemblaggio parziale;
il deputato tedesco Van Aken stimolato dalle campagne disarmiste italiane ha recentemente presentato un'ulteriore interpellanza per ricevere ulteriori dettagli sulla questione, in particolare citando le parole della Ministra della difesa Roberta Pinotti in una pubblica intervista in cui aveva chiamato in causa una responsabilità diretta della Germania sulle autorizzazioni; nel rispondere a tale interpellanza il Governo tedesco ha chiarito che è l'Italia ad essere responsabile del processo di licenza all'esportazione delle bombe RWM verso l'Arabia Saudita. Nessuna licenza di riesportazione è stata fornita all'Italia da parte di Berlino per quanto riguarda componenti o «know-how» inizialmente sviluppate in Germania. Per cui secondo gli interroganti il Bundesministerium fur Wirtschaft und Energie ritiene che le bombe inviate verso il regno saudita non siano state prodotte sotto licenza tedesca;
da queste informazioni ufficiali provenienti da Berlino appare chiara la necessità di indagare più a fondo la questione della responsabilità politica e soprattutto legale (visti i dettami della legge n. 185 del 1990) a riguardo delle forniture di bombe italiane che la coalizione a guida saudita ha ricevuto e sta probabilmente di nuovo utilizzando nel conflitto nello Yemen –:
di quali elementi disponga il Governo in merito alla vicenda descritta in premessa;
quali siano state le motivazioni per le quali il Governo non abbia ritenuto di sottoporre la vendita delle armi allo Yemen alla procedura autorizzativa di cui alla legge n. 185 del 1990. (4-13615)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta scritta:
ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 195 comma 2, lettera e) del decreto legislativo 152 del 2006 stabilisce che è compito dello Stato «la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico, sono definiti, entro novanta giorni, i criteri per l'assimilabilità ai rifiuti urbani»;
l'articolo 238, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce che «la tariffa per la gestione dei rifiuti è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali.» Il comma 10 del medesimo articolo dispone che: «Alla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi.»;
l'articolo 1, comma 649, della legge 27 dicembre 2013 n. 147 dispone che «nella determinazione della superficie assoggettabile a TARI non si tiene conto di quella parte ove si formano in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a loro spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune, con proprio regolamento, può prevedere riduzioni della parte variabile proporzionali alle quantità che i produttori stessi dimostrino di avere avviato al recupero»;
con la risoluzione 2/DF del Ministero dell'economia e delle finanze, datata 9 dicembre 2014 e relativa alla determinazione della superficie tassabile, si specifica che «Non può ritenersi corretta l'applicazione del prelievo sui rifiuti alle superfici specificamente destinate alle attività produttive, con la sola esclusione di quella parte di esse occupata dai macchinari. Tale comportamento potrebbe, infatti, dare origine ad una ingiustificata duplicazione dei costi poiché i soggetti produttori di rifiuti speciali oltre a far fronte al prelievo comunale dovrebbero anche sostenere il costo per lo smaltimento in proprio degli stessi rifiuti»;
il Consiglio di Stato, con sentenza 3941 del 24 luglio 2014, si è espresso sull'attività di trattamento dei rifiuti speciali e sulla riduzione tariffaria per il conferimento di rifiuti urbani assimilati destinati al recupero, specificando che: «Non avendo lo Stato ancora emanato alcun regolamento per la determinazione dei criteri di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani, si continuano ad applicare i criteri per l'assimilazione previsti nella deliberazione 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale in conformità alla normativa che ha stabilito, con deliberazione consiliare n. 24 del 20 maggio 1998 in atti, l'assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani in conformità ai criteri di cui alla sopra citata deliberazione 27 luglio 1984 l'attività di trattamento dei rifiuti speciali conferiti al servizio pubblico di raccolta, previa convenzione con il gestore, costituisce essa stessa per qualificazione di legge (artt. 188, comma 3, lett. a) e 189, comma 3, lett. b), del d.lgs. n. 152-2006) un servizio pubblico e dunque deve essere considerata come attività svolta a favore del territorio di riferimento e cioè come attività prevalente per conto degli locali soci. Per una società in house, avente per oggetto la gestione di servizi pubblici, l'attività che deve essere prevalente è quella da svolgere in attuazione di tale incarico di servizio pubblico attribuito dagli enti locali. Pertanto, la riduzione tariffaria per il conferimento di rifiuti urbani assimilati destinati al recupero non spetta soltanto all'utente che consegna tali rifiuti al gestore del servizio pubblico, ma anche all'utente che conferisce tali rifiuti ad un'impresa autorizzata diversa dal gestore del servizio, non determinando alcuna disparità di trattamento tariffario tra i diversi utenti»;
non risulta agli interroganti l'emanazione del regolamento di cui al comma 6 dell'articolo 238 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
molti comuni non hanno ancora emanato il regolamento che avrebbe dovuto disciplinare quali superfici produttive esonerare dal pagamento della Tari;
se il Ministro interrogato possa indicare quali siano i tempi per l'emanazione del regolamento di cui al comma 6 dell'articolo 238, comma 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006;
se il Ministro interrogato ritenga opportuno assumere iniziative normative al fine di determinare un elenco di attività le cui superfici produttive non siano da assoggettare a Tari, in modo da escludere la possibilità di una duplicazione dei costi di smaltimento dei rifiuti per queste aziende. (4-13614)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazioni a risposta in Commissione:
SIMONE VALENTE, VACCA, DI BENEDETTO, MARZANA, LUIGI GALLO e BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
i servizi aggiuntivi museali sono stati introdotti nell'ordinamento italiano con la legge 14 gennaio 1993, n. 4 (cosiddetta legge Ronchey); prima di tale legge si erano verificati episodi sporadici di concessione d'uso a soggetti privati di aree per sfruttamento commerciale all'interno di luoghi di cultura;
oggi tali servizi includono un'ampia gamma di servizi di ospitalità e di assistenza culturale e svolgono un ruolo fondamentale per la valorizzazione del patrimonio e per la promozione della conoscenza culturale;
con l'avvento del codice dei beni culturali (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) i servizi aggiuntivi sono stati inclusi nel novero di quelle attività funzionali al sistema della valorizzazione dei beni culturali, con l'intento di rafforzare il ruolo dei luoghi di cultura e di consentirne un idoneo utilizzo con lo scopo di promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e di assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso per rendere agevole lo sviluppo della cultura; in tale prospettiva, i servizi aggiuntivi rappresentano attività che mirano non solo al miglioramento della fruizione del bene culturale ma anche a favorirne la maggiore conoscenza, diventando a tutti gli effetti strumenti importanti del sistema della valorizzazione;
difatti, ai sensi dell'articolo 111 del suddetto codice «le attività di valorizzazione dei beni culturali consistono nella costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all'esercizio delle funzioni e al perseguimento delle finalità indicate all'articolo 6. A tali attività possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati»;
oggi, nell'alveo dei servizi aggiuntivi vanno ricondotte attività dalla natura più variegata, orientate in alcuni casi al servizio per il pubblico ma in altri casi consistenti anche in iniziative che si occupano prioritariamente del bene culturale. Così, alcune attività si considerano a tutti gli effetti strumentali alla gestione del bene culturale cui si riferiscono e di ausilio per i visitatori, come i servizi editoriali, di riproduzione e di ristorazione. Altre però, vanno ben oltre tale finalità arrivando a configurare vere e proprie attività di valorizzazione (ad esempio, il servizio per l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali nonché iniziative promozionali) e perfino di tutela (come nel caso del servizio di vigilanza sui luoghi e gli istituti di cultura);
infatti, ai sensi dell'articolo 117 del codice dei beni culturali (che contempla tutta una serie di servizi aggiuntivi), negli istituti e nei luoghi di cultura possono essere istituiti servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico, i quali possono anche essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria;
l'importanza strategica che i servizi aggiuntivi hanno ai fini del potenziamento delle azioni di valorizzazione del patrimonio culturale è indiscutibile e difatti, attorno a questi servizi ruota tutta una serie di attività e di compiti in capo al dicastero, tra cui lo svolgimento di attività tese a individuare forme di gestione delle necessario provvedere all'affidamento dei servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico in attività di valorizzazione, ai sensi dell'articolo 115 del codice oppure per la definizione dei casi in cui risulti forma non integrata, ai sensi dell'articolo 117 del codice dei beni culturali;
tuttavia, in riferimento alle attività e ai compiti attribuiti al Ministero dei beni e delle attività culturali emerge qualche discrasia ascrivibile alla incompletezza di dati e di informazioni che attengono i servizi aggiuntivi di valorizzazione dei beni culturali;
difatti, nella sezione del sito istituzionale del ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che ha il compito di fornire i dati di rilevazioni statistiche effettuate sulle attività che attengono i beni culturali non è presente al momento un quadro completo di tutti i servizi aggiuntivi che invece meriterebbero una apposita disamina; in particolare, per quanto riguarda la sezione relativa alla tipologia dei servizi aggiuntivi di valorizzazione dei beni culturali, non vengono contemplati tutti i servizi ascrivibili a tale categoria, mancando, ad esempio, qualsiasi informazione utile relativa al servizio di organizzazione di mostre e manifestazioni culturali nonché di iniziative promozionali o i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di guida e assistenza didattica;
alla luce delle considerazioni sopra esposte e in mancanza della suindicata completezza dei dati risulta quanto più opportuno far chiarezza sulla moltitudine di attività e di servizi che ruota attorno alla valorizzazione del patrimonio culturale –:
quali siano le modalità con cui vengono gestiti i servizi aggiuntivi atti ad assolvere alla funzione di valorizzazione degli istituti e dei luoghi di cultura (servizio per l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali nonché iniziative promozionali) e a quanto ammontino gli introiti netti statali derivanti dall'attuazione di tali servizi negli ultimi tre anni;
quanti siano i fruitori di ciascun servizio aggiuntivo, di cui non è data informazione sul sito istituzionale citato in premessa;
in che maniera si sia intervenuti negli ultimi anni (anche attraverso, le recenti normative ministeriali) sui canoni e sulle politiche di determinazione di aggio e di royalty fermo restando il perseguimento degli scopi istituzionali cui beni sono destinati. (5-09011)
ROMANINI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
l'11 marzo 2016 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 59 il decreto ministeriale 23 gennaio 2016, concernente la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208;
l'articolo 56 del sopracitato decreto ministeriale ha definito gli istituti e i musei di rilevante interesse nazionale. Tra questi, il complesso monumentale della Pilotta di Parma è stato istituito quale ufficio di livello dirigenziale non generale periferico. Il complesso è inoltre individuato tra quelli a cui conferire l'autonomia speciale ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 6 (allegato 2 decreto ministeriale 22 gennaio 2016), pur precisandosi che la stessa dovrà attribuirsi con uno o più decreti emanati ai sensi dell'articolo 30, comma 4, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, e dell'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106;
pur non risultando, ad oggi, ancora adottato il decreto di cui al comma 5 dell'articolo 6 del decreto ministeriale 23 gennaio 2016, concernente l'individuazione degli istituti, degli immobili e dei complessi da assegnare agli istituti e ai musei definiti ai sensi del comma 1 del medesimo articolo, la relazione illustrativa al decreto, al capo 4, chiarisce che al complesso monumentale della Pilotta afferiscono la Biblioteca palatina, la Galleria nazionale, il Museo archeologico nazionale, il Teatro Farnese. Sulla base di tali indicazioni resterebbero, quindi, escluse dal complesso tanto la Camera di San Paolo con la Cella di Santa Caterina, quanto l'Antica spezieria di San Giovanni, queste ultime attribuite alla competenza del Polo museale per l'Emilia Romagna istituito ai sensi dell'articolo 34 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171;
le istituzioni locali e il mondo culturale di Parma, in particolare, hanno rilevato l'opportunità di proseguire la positiva esperienza maturata nella gestione unitaria del sistema museale della città di Parma, considerata anche la complementarietà dei percorsi turistici di visita in considerazione della minima distanza che li separa fisicamente nel centro città, attraverso l'attribuzione della competenza sulla Camera di San Paolo con la Cella di Santa Caterina, e sull'Antica spezieria di San Giovanni;
la Camera di San Paolo – considerata l'eccezionalità del capolavoro pittorico – fu sottoposta a diversi provvedimenti di apertura al pubblico e valorizzazione già in età napoleonica e con decreto sovrano della duchessa Maria Luigia (15 agosto 1827) fu affidata in cura e gestione alla Ducale Accademia delle belle arti, per impulso del suo direttore, il celebre incisore Paolo Toschi, che attraverso le stampe illustrò la scuola pittorica di Parma e la fece conoscere al mondo;
ancora in considerazione della rarità e dell'importanza storica e artistica, la Spezieria di San Giovanni fu posta direttamente sotto l'egida e la gestione del Ministero dell'istruzione (che allora presiedeva anche ai beni artistici) alla fine degli anni ’90 dell'Ottocento, per poi seguitare senza interruzione di continuità sotto il controllo della Soprintendenza alle Gallerie e successive denominazioni e configurazioni fino ad oggi;
anche nella prospettiva di favorire un riconoscimento UNESCO sulle "cupole" del Correggio e assicurare la promozione attraverso un biglietto unico di luoghi artistici di tale rilevanza internazionale, sarebbe importante ribadire la gestione unitaria di un patrimonio dislocato in poche centinaia di metri tra la Galleria nazionale – che del maestro ha la maggior collezione di opere al mondo – e la chiesa di San Giovanni, con i suoi affreschi correggeschi, passando per la Camera di San Paolo, il Duomo e l'Antica Spezieria –:
se il Ministro interrogato non intenda, nelle more dell'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di individuazione degli istituti, degli immobili e dei complessi da assegnare agli istituti e ai musei di rilevante interesse nazionale, di valutare l'opportunità di estendere la competenza dell'ufficio dirigenziale del Complesso monumentale della Pilotta anche alla Camera di San Paolo con la Cella di Santa Caterina e all'Antica spezieria di San Giovanni;
quali siano i tempi e i termini per l'adozione del decreto di attribuzione dell'autonomia speciale al complesso monumentale della Pilotta di Parma. (5-09014)
CAROCCI, BASSO, TULLO, CASSANO, RIBAUDO, CAUSI, ALBANELLA, VENTRICELLI, GRASSI e MICHELE BORDO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
per risanare le fondazioni lirico-sinfoniche in gravi difficoltà economiche e per rilanciare l'attività di tali fondazioni, è stato approvato il decreto «valore cultura» o «legge Bray» (legge n. 91, Gazzetta Ufficiale 8 ottobre 2013);
per le fondazioni in crisi economica che non possono far fronte ai debiti certi ed esigibili da parte dei terzi, o quelle commissariate da almeno due anni, tale, legge ha previsto un iter speciale: le fondazioni dovrebbero accedere a un fondo di rotazione di 75 milioni di euro per il 2014 per la concessione di finanziamenti di durata fino a un massimo di 30 anni;
per accedere a questo fondo gli ex enti lirici in crisi hanno dovuto presentare entro il 9 gennaio 2014 un piano di risanamento che interviene su tutte le voci di bilancio e in grado di riportare in tre anni la fondazione in condizioni di attivo patrimoniale e di equilibrio del conto economico;
inoltre, la legge n. 83 del 2014 ha aggiunto a questo fondo di rotazione altri 50 milioni di euro;
ai cinque teatri – Napoli, Bari, Palermo, Trieste e Firenze – che, in quanto commissariati, dovevano sottostare ai vincoli imposti dalla legge n. 122 del 2013, se ne sono aggiunti altri tre (Genova, Roma e Bologna), indotti dai bilanci dissestati a servirsi dei contributi statali;
per tutti il presupposto per accedere al fondo di rotazione era la presentazione di un piano di risanamento;
i tempi per l'intera operazione si sono notevolmente dilatati rispetto a quelli imposti dalla «legge Bray», che chiedeva di mettere sotto osservazione le fondazioni più indebitate già entro febbraio 2015;
nonostante i ritardi di cui sopra, cinque fondazioni hanno ricevuto il via libera ai loro piani, mentre per altri tre enti, Genova, Bari e Palermo, sebbene essi abbiano adempiuto a tutti gli obblighi imposti dalla legge presentando il piano e rispondendo ad ogni ulteriore richiesta di documentazione e integrazione, lo stanziamento previsto non è stato ancora erogato;
in particolare, si sono forniti tutti i dati e gli aggiornamenti richiesti dopo l'approvazione della legge di stabilità che posticipa al 2018 il ripianamento;
le fondazioni di cui sopra, dunque, non possono utilizzare i fondi assegnati con il rischio concreto che la loro attività collassi con tutte le drammatiche conseguenze che ne conseguono –:
quali siano le ragioni per cui, nonostante le fondazioni di Genova, Palermo e Bari, abbiano adempiuto a tutti gli obblighi richiesti non siano stati erogati i fondi;
quali siano tempi previsti per lo stanziamento delle risorse necessarie alla sopravvivenza di tali enti. (5-09018)
DIFESA
Interrogazioni a risposta immediata:
CAPELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
la Sardegna ospita la grande maggioranza delle servitù militari italiane e i tre più grandi poligoni d'Europa;
si tratta, in particolare, dell'ex base La Maddalena, di due siti per il poligono interforze del Salto di Quirra, della base militare di Capo Frasca, dell'aeroporto militare Decimomannu, della base militare di Capo Teulada, ex base missilistica degli Stati Uniti, di Monte Limbara, altra ex base missilistica Usa, della base militare Sinis-Cabras, della base militare di Tavolara, della base militare Santu Lussurgiu, della base aerea Elmas, della base militare Santo Stefano-La Maddalena;
tutti questi territori sono delle vere e proprie perle ambientali e turistiche e come tali andrebbero salvaguardate, valorizzate e utilizzate, in modo da garantire uno sviluppo economico e sociale endogeno e non legato alla presenza, o meno, di basi militari;
è, quindi necessario, immaginare soluzioni che rendano meno ingombrante possibile, e più “produttiva”, la presenza militare in Sardegna, salvaguardando in maniera certa la salute di tutti coloro che sono esposti ai rischi legati a questa presenza, oltre che degli operatori civili e militari, ma anche dal patrimonio ambientale ed archeologico;
non è, però, possibile fingere che la situazione attuale non abbia importanti riflessi dal punto di vista economico ed occupazionale per le zone dove risiedono le strutture militari;
è, infatti, del tutto irrealistico pensare di poter chiudere le basi militari senza che vi sia una ripercussione negativa sul territorio dove queste basi insistono, anche alla luce del non adeguato indennizzo che lo Stato versa alla Sardegna per la presenza delle cosiddette servitù militari;
è, quindi, necessario predisporre un piano di razionalizzazione ed ottimizzazione della presenza militare in Sardegna, più che uno di mera riduzione della presenza suddetta, per i motivi su esposti;
il piano citato non potrà, naturalmente, non prendere in seria considerazione la necessità di rispettare l'ambiente, soprattutto concentrandosi sulle necessarie operazioni di bonifica che dovranno essere messe in atto in maniera tempestiva e continuativa e sull'opportunità di sviluppare la ricerca tecnologica connessa, ad esempio, ai sistemi di simulazione come il Siat;
un caso particolarmente importante è quello relativo alla caserma di Pratosardo a Nuoro. Si tratta, infatti, di una nuova caserma, sorta in seguito all'accordo di programma datato 1997 tra comune, regione e Ministero della difesa;
la costruzione della nuova caserma, che ha richiesto oltre diciotto anni di lavoro, colloca la struttura in periferia ed è volta a sostituire la vecchia area ”dell'Artiglieria”, che si trova nel centro della città di Nuoro e che verrà riutilizzata come parco urbano;
in questo sito, di oltre quattro ettari, sono previsti spazi per uffici, alloggi, auditorium, mensa e officina e dovrebbero essere ospitati 250 militari della brigata Sassari, con evidenti conseguenze positive per la non facile situazione economica e sulla precaria condizione di sicurezza sociale del territorio;
si teme, però, che il nuovo sito possa essere utilizzato per altri scopi rispetto a quelli originali (si parla di far alloggiare nella caserma molti migranti) o addirittura che venga abbandonato a se stesso con evidente ed inaccettabile spreco di denaro pubblico;
non si tratta di contrapporre militari a migranti o di ignorare i doveri di solidarietà verso chi ha bisogno, ma è fondato il timore che il cambiamento di destinazione della caserma appena completata abbia gravi conseguenze sull'occupazione, sull'economia del territorio e sulla fiducia nelle istituzioni;
il Governo ha dato prime rassicurazioni al riguardo, ma resta vivo il timore che il piano di razionalizzazione della presenza militare in Sardegna coinvolga in modo fortemente negativo la nuova caserma di Pratosardo, con tutte le evidenti conseguenze negative per il tessuto economico e sociale di Nuoro –:
a che punto sia la predisposizione dell'accordo tra Stato e regione per la rideterminazione della presenza militare in Sardegna e, in particolare, se sia o meno confermato l'impegno a destinare i 250 uomini della brigata Sassari, o di altro corpo militare, alla nuova caserma di Pratosardo. (3-02347)
CAUSIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
il dibattito sulla creazione di un esercito comune europeo per la cooperazione e la difesa collettiva è tornato nuovamente alla ribalta. Da più di mezzo secolo circa si continua a discutere sulla sua creazione, che viene sempre ostacolata da chi teme di perdere la propria sovranità nazionale;
con la firma del Trattato di Maastricht nel 1992, l'Unione europea si prefigge l'obiettivo di «affermare la sua identità sulla scena internazionale, segnatamente mediante l'attuazione di una politica estera e di sicurezza comune, ivi compresa la definizione a termine di una politica di difesa comune che potrebbe, successivamente, condurre ad una difesa comune»;
a causa del moltiplicarsi di nuove minacce, come, ad esempio, i traffici illegali, il fondamentalismo ed il terrorismo di varie matrici, l'Unione europea ha attuato una politica estera con il fine di portare a termine missioni umanitarie e ristabilire la pace anche con l'uso della forza;
ad oggi, l'Unione europea non dispone di un esercito permanente, ma di corpi di intervento rapido forniti dai Paesi membri, come, ad esempio, la European rapid operational force (Eurofor): un'unità costituita su esigenza fondata nel 1995, a cura di Italia, Francia, Spagna e Portogallo. Soppressa nel 2012, ha partecipato a diverse azioni in Albania e Kosovo con il fine di riportare pace e sicurezza;
il rapporto con gli Stati Uniti, peraltro, risulta ancor più complesso da quando il loro approccio alla questione sembra privilegiare una visione dell'Europa come problema più che come un'opportunità su cui continuare ad investire in termini di sicurezza, intelligence e spese militari –:
quali iniziative il Governo intenda adottare in sede europea, al fine di sollecitare il processo di attuazione di una politica di difesa comune in grado di affrontare efficacemente anche le minacce derivanti dal terrorismo internazionale.
(3-02348)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:
PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il 18 maggio 2016 durante il suo consueto appuntamento social in diretta streaming con gli italiani #matteorisponde, il Presidente del Consiglio dei ministri ha preannunciato una rivoluzione nelle agenzie fiscali, che passerebbe per una riforma di Equitalia e che potrebbe essere avviata già a partire dal prossimo anno nell'allibito di quello che ha definito un suo obiettivo imprescindibile: alleggerire il carico fiscale che pesa su famiglie e ceto medio ed avvicinare il fisco al contribuente trasformandolo in un amico di questi;
nonostante un orizzonte temporale dichiarato non troppo distante, la fine del 2016, l'ipotesi a cui starebbero lavorando i tecnici di palazzo Chigi, che mira ad ammorbidire l'immagine di Equitalia portandola sotto l'egida dell'agenzia delle entrate al fine di creare una maggiore integrazione tra la fase dell'accertamento tributario e quello della riscossione, dovrebbe partire solo nei prossimi mesi, essendosi registrato al momento solo uno scambio di vedute tra i vertici dei soggetti interessati, e cioè tra Palazzo Chigi, la direttrice dell'Agenzia delle entrate, dottoressa Rossella Orlandi, e l'amministratore delegato di Equitalia, dottor Ernesto Maria Ruffini;
invero, nella stagione imminente è atteso il decreto di riordino delle agenzie fiscali, previsto dalla delega di riforma della pubblica amministrazione (cosiddetta legge Madia), veicolo che potrebbe essere sfruttato dal Governo per avanzare la suddetta operazione di restyling, operazione che si preannuncia molto delicata, perché comporterebbe il trasferimento oltre che delle funzioni di Equitalia anche di tutti i dipendenti, circa 8.000 già inquadrati con il contratto del settore bancario, economicamente più vantaggioso del contratto del settore pubblico, rischiando di innescare conflitti tra il personale e di avviare un contenzioso giuridico simile a quello che ha visto protagonisti i settecento dirigenti dichiarati illegittimi dalla Corte Costituzionale –:
quale sia il programma ipotizzato per la soppressione, entro il corrente anno, di Equitalia e con quale strumento si intenda sostituire la società e se ritenga che una simile evoluzione della riscossione possa realmente avvenire nei tempi preannunciati, dal momento che non risulta a tutt'oggi alcun piano dettagliato che vada in quella direzione. (5-09023)
VILLAROSA, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
nella notte del 24 giugno 2016, dalle ore 24 del giorno 23 giugno 2016 alle ore 9,29 del giorno 24 giugno 2016, hedge fund ed altri investitori istituzionali con vendite allo scoperto dei titoli azionari delle principali società italiane hanno generato ingenti perdite in termini di capitalizzazione. In particolar modo, si evidenziano le perdite delle seguenti società:
Banca Popolare dell'Emilia Romagna -24,61 per cento; Banca Popolare di Milano -24,28 per cento; Banco Popolare -23,3 per cento; Unicredit -23,79 per cento; Intesa -22,94 per cento; Mediobanca -21,22 per cento; UBI -20,69 per cento; MPS -16,43 per cento; Mediaset -17,17 per cento; Mediolanum -15,05 per cento; Telecom -16,16 per cento; FCA -9,37 per cento; Enel -10,04 per cento; ENI -9,19 per cento; Leonardo Finmeccanica -11,94 per cento; Generali -16,77 per cento;
la consob dovrebbe avere il dettaglio dell'identità e degli importi delle movimentazioni che hanno interessato le medesime società –:
se sia a conoscenza di quali siano gli hedge fund e gli investitori istituzionali che nella notte del 24 giugno 2016, dalle ore 24 del giorno 23 giugno 2016 alle ore 9,29 del giorno 24 giugno 2016, hanno effettuato operazioni speculative (in particolar modo «vendite allo scoperto») sulle azioni delle principali società italiane citate in premessa, di quali siano stati i volumi delle negoziazioni, di quale sia il valore complessivo in euro della perdita subita dalle medesime società e di quale sia il valore complessivo in termini di capitalizzazione della perdita subita dalla Borsa Italiana.
(5-09024)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
LODOLINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
Aerdorica spa è attualmente priva di consiglio d'amministrazione perché dimissionario dal 10 giugno 2016. L'Assemblea dei soci per la nomina del nuovo consiglio d'amministrazione è fissata per il 23 giugno 2016;
ai sensi dell'articolo 2386 del codice civile, fino alla nomina dei nuovi amministratori, la gestione spetta al collegio sindacale che in virtù di tale norma può compiere solo atti di ordinaria amministrazione;
sembrerebbe che il collegio sindacale di Aerdorica SPA presieduto dal dottor Giuseppe Farese, di nomina ministeriale, in carica da più anni, in questi giorni stia procedendo alla modifica di mansioni di taluni dipendenti motivando la decisione col fatto che l'azienda stia vivendo un momento di pesante crisi determinata da un gravoso fardello ereditato da precedenti gestioni;
nel procedere all'assegnazione di mansioni diverse ai dipendenti, il collegio sindacale nella persona del suo presidente, in particolare, comunica ai dipendenti che l'azienda ha avviato un piano di riassetto dell'organizzazione interna del personale; piano che ad oggi nessuno conosce e che contraddirrebbe la scelta che, a quanto risulta all'interrogante, sarebbe stata anche recentissimamente ribadita dall'ultimo consiglio d'amministrazione in carica dell'azienda di non voler procedere a riorganizzazioni fino all'ingresso di un socio privato dato per imminente –:
se e in quali precedenti atti del Collegio sindacale risulti esser stato segnalato che le precedenti gestioni aziendali stavano ponendo in essere un «gravoso fardello» che avrebbe poi determinato la «crisi pesante e consolidata dell'azienda»;
in ragione di quali poteri, il collegio sindacale autorizzato ex lege alla sola ordinaria amministrazione dell'azienda, possa attualmente procedere ad avviare un piano di riassetto dell'organizzazione interna del personale, a quanto risulta all'interrogante, senza alcuna previa concertazione con le parti sociali e senza nemmeno rendere nota la nuova organizzazione complessiva, dando alla stessa addirittura immediata attuazione con ordini di servizio già notificati al personale dipendente. (5-09010)
RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
la Banca Popolare di Spoleto (BPS) è stata oggetto di ordinari accertamenti ispettivi da parte della Banca d'Italia con cadenza quadriennale (2002, 2006, 2010);
l'ispezione del 2010 si è conclusa con una missiva ufficiale indirizzata al management della Banca, nel mese di gennaio 2011, nella quale non sono state contestate carenze patrimoniali oppure finanziarie, ma sono stati fatti dei rilievi concentrati su carenze nella governance aziendale, e su una inadeguatezza complessiva da un punto di vista tecnico-organizzativo. In particolare, è stata contestata la pervasività dell'azione del presidente del consiglio di amministrazione, Giovannino Antonini, rilevando che lo stesso ha accentrato su di sé proposte, decisioni e scelte strategiche, scavalcando le prerogative del consiglio di amministrazione e della direzione generale, e, pertanto, è stata sollecitata una tempestiva e radicale inversione di tendenza nella conduzione della banca;
nel 2011 socio di maggioranza, con il 51,2 per cento della Banca, è Spoleto Credito e Servizi (SCS), una cooperativa con sede a Spoleto;
al fine di ovviare ad una presunta carenza di capitale di BPS, l'Istituto centrale ha suggerito la costituzione di una nuova holding, che permettesse ad uno dei soci di minoranza di BPS, ossia Coop Centro Italia avente una partecipazione pari a circa il 2 per cento, di divenire azionista di maggioranza di BPS, relegando SCS al ruolo di socio di minoranza; ciò con l'ausilio di Monte dei Paschi di Siena (MPS), favorevole al progetto e socio con il 26 per cento del capitale di BPS ed il 29,5 per cento di SCS;
nel corso del 2012 si sono succeduti, una serie di avvenimenti che determineranno il commissariamento di BPS e della sua controllante SCS. Tra questi si evidenziano la nuova ispezione che è stata avviata da Banca d'Italia nel luglio 2012, e la mancata autorizzazione da parte del medesimo organo di vigilanza a dar corso ad un aumento di capitale di complessivi euro 100 milioni deliberato dall'assemblea dei soci il mese precedente (settembre 2012); diniego che, di fatto, smentisce la tesi di Banca d'Italia dell'anno precedente circa l'impossibilità da parte del socio di maggioranza di intervenire per rafforzare patrimonialmente l'Istituto ove necessario;
le risultanze della predetta ispezione hanno determinato l'avvio della procedura di amministrazione straordinaria sia per la banca che per la controllante SCS, nel febbraio 2013;
dopo la fine del commissariamento, il 16 giugno 2014, i commissari di BPS hanno convocato un'assemblea straordinaria, che ha comportato l'approvazione di un aumento di capitale riservato a Banco Desio di euro 139.750.000, in virtù del quale Banco Desio ha acquisito la maggioranza di oltre il 72 per cento della banca. Al riguardo, lascia seri dubbi l'avere concesso a Banco Desio di ottenere la maggioranza di BPS, considerando che lo stesso è stato oggetto, a partire dal 2011, di inchieste giudiziarie da parte delle procure di Roma e di Monza per un grave reato quale il riciclaggio internazionale; sul punto, un procedimento che si era incardinato presso il tribunale di Roma si è poi concluso con un patteggiamento, nel gennaio 2014;
nel febbraio 2015, il Consiglio di Stato pronuncia una sentenza contraria all'operato di Banca d'Italia e decreta la nullità del commissariamento di BPS e di SCS disposto due anni prima;
nonostante ciò, Banco Desio, a quanto risulta all'interrogante, prosegue nell'attuazione del suo piano strategico che, tra l'altro, determinerebbe un'ulteriore dilazione della partecipazione di SCS in BPS, che passa dal 13 per cento circa a poco oltre il 9 per cento;
per quanto concerne la posizione di SCS nel periodo successivo al commissariamento disposto nel 2012, si rileva che, nell'ottobre 2014, termina il periodo di amministrazione straordinaria della stessa. L'assemblea dei soci, chiamata a nominare il nuovo consiglio di amministrazione, ha effettuato le proprie votazioni finali attraverso le modalità del voto elettronico. La gestione delle operazioni di voto è stata affidata ad Istifid, società fiduciaria di cui Banco Desio che deteneva in quel periodo oltre il 31 per cento del capitale sociale e sulla quale «esercita un'influenza notevole», come specificato nella propria relazione al bilancio 2014. Sulle votazioni e sul relativo esito gravano pesanti sospetti di brogli elettronici, oggetto di denuncia penale, il cui iter è ancora in corso. A febbraio 2016, SCS è stata ammessa dal tribunale di Spoleto a procedura di concordato preventivo e la convocazione dei creditori è stata fissata per il giorno 15 settembre 2016. La delibera in merito è stata adottata dal consiglio di amministrazione di SCS, senza che si sia provveduto a convocare l'assemblea della cooperativa. Ad oggi i soci, a quanto è dato sapere, ignorano le ragioni di tale importantissima decisione che potrebbe anche portare alla liquidazione della cooperativa tra pochi mesi;
sarebbe opportuno conoscere, considerando che Banca Popolare di Spoleto era considerata una banca sana, quali siano stati i motivi per i quali non è stata data la possibilità ai soci di partecipare all'aumento di capitale, consegnando la maggioranza azionaria dell'istituto a Banco Desio;
appare all'interrogante non opportuno riconoscere a Banco Desio, nonostante i precedenti giudiziari, l'autorizzazione ad acquisire la maggioranza di Banca Popolare di Spoleto;
parimenti l'interrogante giudica inopportuno che nell'Assemblea che ha portato all'elezione del nuovo consiglio di amministrazione di Spoleto Credito e Servizi al termine del periodo amministrazione straordinaria della medesima (11 ottobre 2014), le votazioni siano state predisposte con il sistema del voto elettronico, affidando la gestione dello stesso ad una società fiduciaria, di cui Banco Desio deteneva in quel periodo oltre il 31 per cento del capitale sociale e sulla quale esercitava «un'influenza notevole», come specificato nella relazione del bilancio della Banca del 2014 –:
di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e quali siano i suoi orientamenti, per quanto di competenza, in relazione alla necessità di tutelare risparmiatori e azionisti. (5-09021)
GIUSTIZIA
Interrogazioni a risposta immediata:
FORMISANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
da tempo si discute della questione relativa alla legittima difesa;
l'interrogante, unitamente ad altri colleghi, ha presentato la proposta di legge n. 3774 in materia;
recentemente è stata presentata presso il Senato della Repubblica una proposta di legge di iniziativa popolare con oltre un milione e 200.000 firme di cittadini che chiedono la riforma dell'articolo 55 del codice penale –:
quale sia l'orientamento del Governo in ordine ad un ampliamento delle scriminanti in merito alla legittima difesa per i soggetti che subiscono un reato nel proprio domicilio. (3-02352)
SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il 22 giugno la Corte di cassazione ha depositato la sentenza n. 12962 del 26 maggio 2016 con la quale ha detto sì all'adozione per i bambini «arcobaleno», ovvero quelli che hanno due genitori dello stesso sesso;
la Corte di cassazione ha avallato l'interpretazione dell'articolo 44, lettera b), della legge sulle adozioni già adottato dal tribunale per i minorenni di Roma, nella sentenza del 30 luglio 2014 e successivamente confermata dalla corte d'appello di Roma e dalla corte d'Appello di Torino (e richiamato adesivamente anche dalla corte d'appello di Milano), che consente l'adozione coparentale (cosiddetti stepchild adoption) da parte del genitore sociale all'interno delle famiglie omoparentali;
dopo tante polemiche, la Corte di cassazione ha confermato, dunque, che sussiste un diritto fondamentale dei bambini a mantenere una relazione familiare legalmente riconosciuta con entrambe i genitori, anche se dello stesso sesso. Un esito che non sorprende chi ha seguito negli anni le fondate argomentazioni dei tribunali che hanno applicato una norma diretta ad assicurare riconoscimento ai legami genitoriali di fatto, nell'esclusivo interesse dei bambini;
la decisione della Corte di cassazione costituisce un caposaldo della giurisprudenza in materia di tutela del preminente interesse dei bambini, che è stato realizzato interpretando le leggi vigenti, anche alla luce delle convenzioni internazionali in materia di protezione dell'infanzia e dell'adolescenza e non costituisce – come invece alcuni hanno sostenuto – un'indebita ingerenza della magistratura nel campo delle competenze del legislatore;
si può dire, al contrario, ad avviso degli interroganti, che mentre la magistratura ha applicato le leggi e i principi dell'ordinamento nazionale e di quello sovranazionale, la discussione che si è svolta in Parlamento e sulla stampa nel corso dell’iter di approvazione della legge in materia di unioni civili (legge n. 76 del 2016) ha avuto una forte caratterizzazione ideologica, impedendo, soprattutto con riguardo ai figli delle coppie formate da persone dello stesso sesso, l'approvazione di una disposizione minimale che tentava di tutelarli maggiormente;
come noto, il disegno di legge – nelle sue numerose versioni – conteneva la piena equiparazione fra unione civile fra persone dello stesso sesso e matrimonio fra persone di sesso diverso con riguardo all'accesso all'adozione coparentale ex articolo 44, lettera b), della legge in materia di adozioni. Tale disposizione è stata stralciata all'ultimo istante nel maxiemendamento su cui il Governo ha posto la fiducia;
nell'operare lo stralcio, la legge n. 76 del 2016, al comma 20, prevede comunque che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti», una disposizione il cui unico significato e funzione – secondo parte della dottrina – è da ricondurre alla volontà del legislatore di segnalare comunque come la mancata previsione dell'estensione della lettera b) non deve essere interpretata come uno stop all'orientamento consolidatosi negli ultimi anni in giurisprudenza in favore dell'adozione del figlio del partner (nelle coppie eterosessuali o omosessuali) ai sensi della lettera b);
la debolezza della politica che ha colpito i bambini con due genitori dello stesso sesso, emersa in occasione dell'approvazione della legge n. 76 del 2016, necessita di essere spazzata via, senza indugi, alla luce dell'orientamento giurisprudenziale che la sentenza già citata della Corte di cassazione ha consolidato;
ai bambini deve essere assicurato il massimo di protezione e il Governo e la sua maggioranza sono chiamati a dare il loro contributo, non abdicando al dovere di impegnarsi in Parlamento per la pronta approvazione di una legge in materia di adozione nelle coppie same-sex, non limitandosi a prendere atto di quanto già chiarito dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, ma approntando un intervento che porti l'ordinamento italiano a conformarsi ai principi delle Carte internazionali in materia di diritti dei bambini, garantendo che essi possano essere adottati dal co-genitore dello stesso sesso (ma anche di sesso diverso) e non solo «in casi particolari» e con adozione «non piena» sotto il profilo del riconoscimento del rapporto di parentela con i fratelli e con i nonni;
l'adozione, infatti, insieme con il genitore, deve comportare sempre l'acquisizione della parentela, rendendo, ad esempio, più chiaro quanto già oggi la legge sembra prevedere. Infatti, la riforma dell'articolo 74 del codice civile avvenuta con l'articolo 1 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, consente di ritenere che sia stato implicitamente abrogato l'articolo 55 della legge in materia di adozione nella parte in cui rinvia all'articolo 300, secondo comma, codice civile (per cui «l'adozione non induce alcun rapporto civile tra l'adottante e la famiglia dell'adottato, né tra l'adottato e i parenti dell'adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge»);
secondo il nuovo articolo 74 del codice civile, infatti «la parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo», senza alcuna distinzione fra adozione congiunta ed adozione in casi particolari, di talché si dovrebbe intendere che anche quest'ultima instaura un rapporto di piena parentela del bimbo adottato con tutti i parenti dell'adottante;
una lettura delle norme che tenga conto della successione delle leggi nel tempo e che sia conforme all'interesse migliore dei bambini, dunque una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata (tenuto pure conto che l'adozione coparentale negli altri Paesi è generalmente «piena»), può portare a ritenere che i bambini adottati ai sensi dell'articolo 44, lettera b), della legge in materia di adozione siano giuridicamente pienamente inseriti nelle loro famiglie, siano figli dei loro genitori, nipoti dei loro nonni, fratelli e sorelle dei loro fratelli e sorelle –:
se il Governo non ritenga che la questione dell'adozione in casi particolari (cosiddetta stepchild adoption) debba rappresentare un punto fondamentale della politica di Governo e, anche alla luce della recente sentenza della Corte di cassazione, se non intenda attivarsi, per quanto di competenza, per favorire l’iter di approvazione delle proposte di legge che chiedono di garantire massimamente il preminente interesse dei figli «arcobaleno» a vedersi riconosciuti entrambi i genitori e la parentela. (3-02353)
CIRIELLI, RAMPELLI, GIORGIA MELONI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
nonostante le promesse del Governo la situazione nelle carceri italiane resta critica, aumentano i casi di recidiva e non accenna a diminuire il numero dei reclusi;
l'ultima edizione del rapporto «Space» del Consiglio d'Europa, contenente le statistiche annuali relative alla popolazione carceraria degli Stati membri, qualifica l'Italia come l'undicesimo Paese «maglia nera» per numero di carcerati rispetto alla capacità delle prigioni;
appena dieci giorni fa il Sindacato autonomo degli agenti di polizia penitenziaria ha affermato che sarebbero oltre ottomilatrecento i detenuti senza posto, denunciando come la situazione nelle carceri stia «tornando a livelli allarmanti»;
questi dati, secondo gli interroganti, dimostrano il completo fallimento delle politiche messe in atto dai Governi succedutisi in questi ultimi anni, tutte improntate al «perdonismo» e dirette unicamente a svuotare le carceri senza eseguire interventi strutturali che possano risolvere l'emergenza carceraria sul lungo periodo;
occorre, invece, investire sulla funzione rieducativa della pena, in primo luogo attraverso il miglioramento delle condizioni di vivibilità in carcere, sia per i detenuti sia per gli agenti di custodia, e in secondo luogo attraverso investimenti destinati all'assunzione di sociologi e assistenti sociali, favorendo il lavoro esterno e con ciò il reinserimento sociale dei detenuti;
gli agenti di polizia penitenziaria, che svolgono un ruolo particolarmente delicato e dovrebbero essere adeguatamente valorizzati e messi nelle condizioni di lavorare, versano da anni in una condizione di cronica carenza d'organico che oltre ad aggravare il loro lavoro ne mette a rischio anche l'incolumità personale;
è necessario costruire nuove carceri o aprire quelle già ultimate ma mai messe in servizio, che siano in linea con gli standard europei, attraverso cui offrire una sistemazione dignitosa ai carcerati, permettendo loro di fare un percorso rieducativo e smettendo, invece, di adottare provvedimenti dannosi come i cosiddetti «svuota carceri», che scardinano il sistema punitivo e creano insicurezza sociale -:
quali iniziative intenda assumere con riferimento alle problematiche di cui in premessa. (3-02354)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazione a risposta scritta:
MARCO DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
con l'entrata in vigore dell'orario estivo, Trenitalia ha deciso di abolire diverse fermate strategiche del Frecciarossa, tra le quali quelle di Pesaro e Forlì;
tale decisione ha suscitato apprensione da parte degli utenti del servizio ferroviario e dei rappresentanti del mondo economico-imprenditoriale del territorio, tanto che i presidenti delle camere di commercio di Pesaro, Alberto Drudi, e Forlì-Cesena, Alberto Zambianchi in una nota congiunta hanno dichiarato: «questa scelta rappresenta un pugno diretto al sistema economico delle nostre province» e delinea «una sostanziale indifferenza dell'azienda ferroviaria verso propri clienti che vivono e operano nella fascia costiera adriatica e che hanno necessità di collegamenti rapidi e sicuri, soprattutto in direzione dei nord Italia»;
i due enti camerali hanno deciso di avviare ogni iniziativa utile perché Trenitalia possa rivedere la decisione, anche con il coinvolgimento delle istituzioni locali, dei parlamentari e dei rappresentanti eletti nei rispettivi territori;
le forme di mobilità alternative all'auto vanno fortemente incentivate sia per ragioni di sostenibilità ambientale, che per ragioni di costi;
il servizio di alta velocità dovrebbe essere esteso il più possibile in maniera uniforme su tutto il territorio, dunque anche sulla dorsale adriatica;
tale decisione preoccupa notevolmente per l'eventualità che possa trattarsi di un primo taglio in vista di maggiori interventi di riduzione da parte di Trenitalia –:
se sia a conoscenza della situazione e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per sostenere la richiesta dei territori interessati;
quali garanzie possano essere date circa i futuri investimenti sulla mobilità su ferro nelle località oggetto della riduzione di fermate, dunque Forlì e Pesaro.
(4-13608)
INTERNO
Interrogazioni a risposta immediata:
BRESCIA, NUTI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, DIENI, TONINELLI, LUIGI DI MAIO, LOREFICE, FRUSONE e MARZANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in attuazione dell'Agenda europea sulla migrazione e a norma della decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio che istituisce norme temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia, il Governo, in attuazione degli impegni politici assunti, ha redatto la road map che istituisce i cosiddetti centri hotspot;
recentemente il Ministero dell'interno ha reso pubbliche le «procedure operative standard» che definiscono le indicazioni operative applicabili agli hotspot;
le «procedure operative standard» illustrano come l’hotspot possa essere considerato un approccio e non soltanto uno spazio fisico, o un centro, precedentemente istituito e definito, tanto da prevedere l'istituzione di un team mobile;
l’hotspot, sia esso inteso come centro o come approccio, risulta non avere alcuna base giuridica all'interno dell'ordinamento italiano e della normativa europea;
stando ai dati disponibili, aggiornati al mese di giugno 2016, forniti dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, si stima in 218.382 il numero dei migranti arrivati via mare nel 2016, di cui 59.042 sbarcati sulle coste italiane;
in data 24 giugno 2016 sono giunti sulle coste siciliane 2.100 migranti, di cui 1.135 nel solo porto di Augusta;
in una precedente risposta ad un'interrogazione immediata il Ministro interrogato ha dichiarato come la volontà di istituire un hotspot presso il porto commerciale di Augusta fosse stata definitivamente abbandonata;
in data 26 giugno 2016, stando ai dati forniti dalla Guardia costiera, i migranti sbarcati sulle coste siciliane risultano essere 3.324, messi in salvo attraverso 26 distinte operazioni della Guardia costiera, di concerto con la Marina militare, Eunavformed e organizzazioni non governative, quali Medici senza frontiere e Sea watch;
risulterebbe inoltre che una cospicua parte dei migranti sbarcati siano poi stati direttamente smistati ed accolti in centri di accoglienza straordinari, senza inter alia, una giusta valutazione delle condizioni di salute e l'accertamento della sussistenza di particolari esigenze di accoglienza ex articolo 11 del decreto legislativo n. 142 del 2015;
si stima che le persone decedute nel tentativo di attraversare il Mar Mediterraneo nel 2016 siano state 2.886 –:
quali iniziative intenda disporre per garantire una gestione razionale degli arrivi via mare – a fronte del numero dei posti disponibili per l'accoglienza previsti per il 2016, evidentemente sottostimati dal piano nazionale per l'accoglienza – la presa in carico e la tutela dei migranti salvati in mare – specie i casi vulnerabili in aumento – e per interrompere l'utilizzo del porto commerciale di Augusta, come precedentemente annunciato. (3-02349)
GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
secondo uno studio del Ministero dell'interno del 2015, riportato da alcuni quotidiani, in Italia pare siano approssimativamente presenti, autorizzati e non, più di 700 luoghi di culto islamici, categoria nella quale vengono ricompresi i centri islamici, le moschee e le sale di preghiera, dette «musalla»;
secondo quanto riportato dalla stampa, pare che ogni anno in Italia arrivino ben 18 milioni di euro da Qatar, Arabia Saudita e Turchia, attraverso le associazioni e le onlus di questi Stati, per sovvenzionare la creazione di nuovi luoghi di culto, autorizzati e non, per costruire moschee e finanziare l'estensione capillare dell'Islam in Italia;
sempre secondo notizie di stampa, in media, ogni anno, la Qatar charity foundation, che tra i suoi compiti ha quello di finanziare la creazione di luoghi di culto in Italia e in Europa, destinerebbe al nostro Paese circa 6 milioni di euro, mentre dalle associazioni turche ne arriverebbero 4 e 8 milioni dall'Arabia Saudita;
tali investimenti milionari sono destinati, dunque, a diffondere la dottrina islamica nel nostro Paese, con la presenza capillare di luoghi di culto sull'intero territorio nazionale;
la conferma a quanto sopra si troverebbe in un articolo apparso, più recentemente, su Il Giornale dell'8 maggio 2016 nel quale viene riportata la notizia che la Qatar charity foundation avrebbe donato all'Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) 25 milioni di euro per la costruzione di 33 moschee in Italia;
la stessa Qatar charity foundation è stata riconosciuta dal Governo americano come uno dei soggetti finanziatori di Al Qaeda e sembra che nel 1997 lo stesso Bin Laden abbia ricevuto del denaro da parte di questa organizzazione non governativa;
le principali comunità musulmane sono collocate nel Nord-Ovest con il 39 per cento del totale e nel Nord-Est con il 27 per cento, più precisamente le regioni con una maggiore presenza musulmana sono Lombardia (26,5 per cento), Emilia Romagna (13,5 per cento), Veneto e Piemonte (9 per cento);
la Lombardia, dove vi è la più numerosa comunità islamica del Paese con più di 80 associazioni, risulta il territorio più a rischio in termini di proselitismo jihadista, come dimostrano i più recenti casi giudiziari ed investigativi, ma anche il fatto che la maggior parte delle espulsioni operate dal Ministero dell'interno nel 2016 sono avvenute proprio in territorio lombardo;
dunque, la moltiplicazione dei luoghi di culto islamici costituisce una circostanza aggravante del pericolo terroristico a medio e lungo termine, favorendo la concentrazione di immigrati di fede musulmana, tra i quali poi è più facile che i terroristi jihadisti trovino riparo, come è emerso da quanto è accaduto in Francia e Belgio;
non esiste in Italia una specifica normativa volta ad assicurare la tracciabilità del denaro in entrata e in uscita per finanziare i luoghi di culto e i centri islamici, diversamente da altri Stati europei, come ad esempio l'Austria, che hanno già provveduto ad aggiornare la propria legislazione regolamentando in modo preciso non solo l'edilizia di culto ma, principalmente, tutte le attività connesse ai luoghi di culto ed ivi esercitate, con particolare riguardo ai finanziamenti delle stesse;
secondo la «Bundesgesetz über die äuβeren Rechtsverhältnisse islamischer Religionsgesellschaften – Islamgesetz 2015” (Legge federale concernente le relazioni giuridiche esterne delle società religiose islamiche – Legge sull'Islam 2015) approvata dall'Austria nel 2015 non solo «Ai fini dell'acquisizione della personalità giuridica (...) una società religiosa islamica deve disporre di una stabilità assicurata e dell'indipendenza economica» (articolo 4) di uno statuto recante «disposizioni concernenti il reperimento dei mezzi finanziari, la loro amministrazione e contabilità» (articolo 7), ma, soprattutto, viene disposto che «Il reperimento dei mezzi finanziari necessari all'attività abituale per il soddisfacimento delle esigenze religiose della società religiosa, delle comunità locali e dei loro membri deve avvenire sul territorio nazionale» (articolo 6), con ciò, di fatto, impedendo il finanziamento dall'estero delle comunità stesse e degli edifici di culto;
occorre fare chiarezza sull'origine dei finanziamenti che dall'estero giungono in Italia alla luce di quanto sopra esposto ed anche della vicinanza della Qatar charity foundation a esponenti dell'Islam più radicale;
è necessario un intervento normativo adeguato che regolamenti la piena trasparenza nella gestione finanziaria delle moschee, dei luoghi di culto, dei centri culturali islamici –:
quali strumenti più opportuni siano stati ad oggi impiegati per garantire la tracciabilità e il controllo dei flussi finanziari che dall'estero giungono in Italia per sovvenzionare i luoghi di culto islamici o se invece non si ritenga più utile un intervento normativo, come quello adottato dall'Austria, per assicurare la piena trasparenza nella gestione finanziaria delle moschee, dei luoghi di culto, dei centri culturali islamici e di tutte le attività collaterali. (3-02350)
BENI, BRUNO BOSSIO, CARNEVALI, CHAOUKI, GADDA, GIUSEPPE GUERINI, PATRIARCA, SCUVERA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
l'8 giugno 2016 nella tendopoli che si trova tra San Ferdinando e Rosarno è avvenuto l'omicidio di un bracciante straniero da parte di un carabiniere a seguito di una lite scoppiata tra alcuni stranieri;
secondo la versione riportata dagli organi di stampa, in mattinata la vittima avrebbe aggredito con un coltello un altro bracciante per futili motivi e successivamente un altro uomo tentando di rapinarlo;
durante l'intervento delle forze dell'ordine, avvenuto a seguito della segnalazione di alcune persone presenti, la vittima si sarebbe scagliata con un coltello contro i militari, uno dei quali dopo essere stato ferito ha sparato colpendo il bracciante all'addome;
immediato è stato l'avvio delle indagini – tuttora in corso – da parte della magistratura per accertare se il militare abbia o meno agito per legittima difesa;
a seguito di questo episodio, numerosi sono stati i momenti di tensione all'interno della tendopoli per la protesta dei braccianti stranieri che intendevano denunciare quanto accaduto e le condizioni disumane in cui sono relegati da anni;
questo grave episodio, avvenuto in un contesto di estremo disagio, riaccende i riflettori sulla situazione dei braccianti agricoli della piana di Gioia Tauro, tristemente nota per le forti tensioni sociali culminate nei gravi scontri di Rosarno del gennaio 2010, quando centinaia di migranti scesero in strada distruggendo auto e danneggiando abitazioni;
la rivolta del 2010 ha rivelato all'opinione pubblica le disumane condizioni di sfruttamento dei migranti lavoratori stagionali impegnati nella raccolta delle arance e ospitati all'epoca in uno stabile fatiscente, abbattuto dopo la rivolta;
a distanza di sei anni da quella rivolta, centinaia di braccianti stagionali stranieri vivono ancora in condizioni di sfruttamento e profondo degrado anche dal punto di vista igienico-sanitario, come più volte ha denunciato l'organizzazione Medici per i diritti umani;
oggi i braccianti stranieri sono ospitati in una tendopoli allestita dalla Protezione civile per ordine della prefettura, ma le presenze sono già lievitate fino a 1.000, contro le 350 inizialmente previste, con la conseguenza che docce e servizi sono del tutto insufficienti;
negli ultimi mesi nella zona si sono verificati frequenti episodi di aggressione a danno dei migranti ed è nuovamente cresciuto un clima di esasperazione che aggrava le tensioni sociali e aumenta i rischi per l'ordine pubblico –:
quali urgenti iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per procedere alla chiusura definitiva della tendopoli, al fine di garantire soluzioni abitative dignitose ai braccianti stranieri che lavorano nelle campagne di Rosarno, e come intenda dare maggiore efficacia alla repressione del fenomeno della tratta di esseri umani, del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori stranieri, attuando politiche tese a favorire l'integrazione e la pacifica convivenza. (3-02351)
Interrogazione a risposta in Commissione:
VALIANTE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in data 23 giugno 2016 alcuni organi di informazione riportavano la notizia che il neo eletto sindaco di Roma, avvocato Virginia Raggi, ed i consiglieri dell'assemblea di Roma Capitale iscritti al Movimento 5 Stelle hanno sottoscritto un accordo denominato «codice di comportamento»;
il codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016, all'articolo 2, lettera d), prevede che: «Le proposte di atti di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse verranno preventivamente sottoposte a parere tecnico-legale a cura dello staff coordinato dai garanti del Movimento 5 Stelle, al fine di garantire che l'azione amministrativa degli eletti M5S avvenga nel rispetto di prassi amministrative omogenee ed efficienti, ispirate al principio di legalità, imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa di cui all'articolo 97 della costituzione»;
il codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016, all'articolo 6 prevede che: «Nella presentazione delle proposte di atti politici e/o amministrativi, dovrà essere data preferenza a quelli diretti al conseguimento degli obbiettivi indicati nel programma del M5S per Roma Capitale e a quelli idonei a incidere in senso favorevole alle indicazioni emerse in seguito alle espressioni di voto in Rete degli iscritti al M5S»;
il codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016, articolo 7, lettera b), prevede che: «Le proposte di nomina dei collaboratori delle strutture di diretta collaborazione o dei collaboratori dovranno essere preventivamente approvate a cura dello staff coordinato dai garanti del Movimento 5 Stelle»;
il codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016, articolo 9, lettera b) prevede che: «Il Sindaco, ciascun Assessore e ciascun consigliere assume altresì l'impegno etico di dimettersi qualora sia ritenuto inadempiente al presente codice di comportamento, al rispetto delle sue regole e dei suoi principi e all'impegno assunto al momento della presentazione della candidatura nei confronti degli iscritti al M5S, con decisione assunta da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio o dagli iscritti M55 mediante consultazione online»;
il codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016, articolo 10 prevede che: «Ciascun candidato si dichiara consapevole che la violazione di detti principi comporta l'impegno etico alle dimissioni dell'eletto dalla carica ricoperta e/o il ritiro dell'uso del simbolo e l'espulsione dal M55 e che pertanto a seguito di una eventuale violazione di quanto contenuto nel presente Codice, il M5S subirà un grave danno alla propria immagine, che in relazione all'importanza della competizione elettorale, si quantifica in almeno Euro 150.000»;
l'articolo 25, comma 8, dello statuto del comune di Roma prevede che: «La Giunta Capitolina, anche tramite i singoli Assessori, impartisce ai dirigenti le necessarie direttive ai fini dell'espletamento dei compiti loro assegnati nel rispetto degli atti di indirizzo emanati dall'Assemblea Capitolina. Il Regolamento dell'Assemblea prevede le forme e le modalità di comunicazione all'Assemblea, assicurandone la più ampia e puntuale informazione, delle direttive impartite»;
in particolare, in riferimento all'articolo 2, lettera d) la previsione che gli atti di alta amministrazione debbano essere sottoposti a parere tecnico-legale a cura dello staff coordinato dai garanti del Movimento 5 Stelle, comporta una evidente compressione dei potere di indirizzo amministrativo del sindaco e della giunta –:
se e quali iniziative di competenza, in specie di carattere normativo, intenda assumere il Governo affinché gli organi di governo degli enti locali possano svolgere le funzioni loro attribuite dall'ordinamento nel rispetto dei principi costituzionali e di criteri di piena autonomia e trasparenza. (5-09020)
Interrogazioni a risposta scritta:
PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
nell'aeroporto militare di Piacenza-San Damiano, che attualmente ospita il 50o stormo dell'Aeronautica, negli ultimi anni sono stati investiti 900 mila euro per il rifacimento parziale della pista di atterraggio, per la sistemazione del deposito carburanti e per l'impianto di sicurezza per i voli notturni;
in seguito ad un processo di riorganizzazione, l'Aeronautica militare ha proposto allo Stato maggiore della difesa di chiudere tale struttura aeroportuale a settembre del 2016, in quanto ciò permetterebbe di completare le opere infrastrutturali necessarie a soddisfare le esigenze del personale da trasferire presso la sede di Ghedi a Brescia;
il Governo, in data 26 febbraio 2015, rispondendo ad una precedente interrogazione (n. 5-04612) del firmatario del presente atto, ha dichiarato che la «soppressione del 50o Stormo implicherà inoltre la riconfigurazione delle capacità espresse dalla flotta Tornado ma non la paventata chiusura dell'Aeroporto San Damiano di Piacenza.»;
notizie di stampa riportano la disponibilità dell'Unione europea a finanziare il progetto di realizzazione di un centro di accoglienza profughi nel citato aeroporto ma, all'interrogazione n. 5/08943 sull'ipotesi di convertire l'aeroporto militare di Piacenza-San Damiano in un centro di smistamento per cittadini stranieri e profughi, utilizzando l'aeroporto stesso per il rimpatrio di cittadini stranieri espulsi dall'Italia, il Governo, per tramite del Sottosegretario alla difesa, ha risposto che tale ipotesi «non trova alcun riscontro tra le possibili proposte analizzate dalla Forza Armata» –:
se trovi conferma l'ipotesi di convertire l'aeroporto militare di Piacenza-San Damiano in un centro di smistamento per cittadini stranieri e profughi, utilizzando l'aeroporto stesso per il rimpatrio di cittadini stranieri espulsi dall'Italia, considerata la difficoltà ad imbarcare su voli civili i cittadini stranieri espulsi. (4-13612)
FASSINA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in data 21 maggio 2016 a Roma, città medaglia d'oro al valor civile per la Resistenza, si è svolta una manifestazione indetta dalla nota organizzazione politica neofascista CASAPUOND Italia, con l'organizzazione di un concerto del gruppo «Zetazeroalfa» che esprime contenuti politici di natura chiaramente fascista;
durante lo svolgimento di detta manifestazione, come testimoniano diversi resoconti giornalistici, nonché reportage fotografici, sono apparse croci celtiche, e saluti romani. Il riprodursi di tali gesti è uno spettacolo triste: le immagini offendono Roma e la sua coscienza democratica;
a ciò si aggiunga l'episodio di squadrismo, riportato anch'esso dalle cronache, accaduto qualche giorno prima della anzidetta manifestazione sempre in Roma, nel quartiere Pigneto, dove un gruppo di militanti di estrema destra ha aggredito alcune persone che rientravano tranquillamente a casa dopo una serata in palestra, accusati, per altro ingiustamente, di aver strappato un manifesto di CasaPound;
la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione italiana vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista»; l'articolo 4 della legge n. 645 del 1952 («legge Scelba») prevede il reato di apologia del fascismo e vieta la propaganda per la costituzione del movimento fascista, sanzionando tale reato con pene severe; l'articolo 1 della stessa legge definisce antidemocratica e propria del partito fascista l'attività «rivolta alla esaltazione dei metodi, di esponenti, di principi, di fatti propri del predetto regime, finalizzata a compiere manifestazioni esteriori di carattere fascista»;
a parere dell'interrogante, è dovere dello Stato, in tutte le sue articolazioni, dare piena attuazione alle disposizioni contenute nella legge Mancino e nella legge Scelba, relative allo scioglimento delle organizzazioni che incitano all'odio razziale e al fascismo; sempre a parere dell'interrogante, non è più possibile pensare di sottacere o sottovalutare quanto accade e compito di un Paese democratico è quello di vigilare e saper isolare detti fenomeni;
le norme richiamate prevedono la perseguibilità d'ufficio per coloro i quali si rendano responsabili di tali manifestazioni, ma quasi mai le forze dell'ordine intervengono a reprimere simili fenomeni;
si chiede l'interrogante se sia stato opportuno consentire ai neofascisti di Casapound di manifestare per le vie di Roma con simboli, cori e canti inaccettabili per una democrazia che nasce dalla lotta antifascista e dalla Resistenza, quando viceversa maggiori difficoltà ha incontrato l'organizzazione di un corteo antifascista che si opponeva a che tutto ciò accadesse;
la necessità, se si vuole sgradevole, di dover organizzare nell'anno 2016 un corteo di antifascisti si determina per il fatto che nel 2016, nonostante la guerra di liberazione, e la costituzione della Repubblica cui si deve fedeltà come rappresentanti dello Stato, insieme ai prefetti ed alle forze dell'ordine, ci sia ancora chi ostentatamente si dichiara fascista, contravvenendo le leggi dello stato e cosa ancor più grave chi ne professa e ne pratica l'ideologia;
appare all'interrogante inspiegabile che gruppi politici che si richiamano al fascismo, in quella che all'interrogante appare una palese violazione della legge n. 645 del 20 giugno 1952, possano liberamente operare sul territorio nazionale e compiere azioni atte a diffondere una cultura di odio, discriminazione e violenza e a ledere i principi fondamentali della Costituzione –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei gravi fatti a premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per impedire il dilagare di pratiche a giudizio dell'interrogante chiaramente illegali poste in essere da tali soggetti;
se il Ministro interrogato intenda accertare, presso i competenti uffici territoriali del Governo, se sia stato fatto il possibile per impedire che si determinassero tali fenomeni e se si sia adeguatamente intervenuto per contrastare le condotte su evidenziate;
quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di garantire che sia applicata rigorosamente la legislazione vigente in materia ed impedire che tali fenomeni abbiano a ripetersi. (4-13616)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazione a risposta orale:
CARRA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
si registrano numerose criticità da parte degli uffici scolastici territoriali in merito alle evidenti carenze di organico che rischiano di creare non pochi problemi all'attuazione delle disposizioni previste dalla legge 107 del 2015;
nel solo ufficio territoriale di Mantova dal 2011 ad oggi il personale in servizio si è ridotto da 45 a 11 addetti;
questo nonostante nella riorganizzazione della rete il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha mantenuto la sede di Mantova;
l'ufficio scolastico territoriale di Mantova, nonostante le oggettive difficoltà legate a queste carenze di organico ha comunque fino ad oggi consentito di porre in essere il piano straordinario di assunzioni che nella provincia di Mantova ha riguardato 600 docenti e a breve sarà chiamato ad affrontare le procedure, complesse, di mobilità del personale immesso in ruolo;
non si comprendono le ragioni di questo sottodimensionamento e anche del mancato rafforzamento del personale presso l'ufficio scolastico territoriale –:
quali iniziative si intendano porre in essere, con la massima urgenza, anche per consentire il pieno funzionamento della macchina amministrativa scolastica, al fine di potenziare l'organico dell'ufficio scolastico territoriale di Mantova, se del caso prevedendo la pubblicazione di bandi di mobilità intercompartimentale, considerato il processo di riforma che ha interessato la pubblica amministrazione.
(3-02344)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il dato emerso dal rapporto sui controlli delle mense scolastiche non può che essere allarmante, soprattutto perché riguarda i bambini e i ragazzi: il nucleo anti sofisticazioni dei carabinieri, su un totale di 2.678 strutture, in 670 ha riscontrato irregolarità;
in sostanza, una mensa scolastica su quattro presenta anomalie che in 37 casi si prospettano talmente gravi da rendere necessaria la chiusura dell'impianto;
alcuni casi esemplificativi: le gravi carenze igienico-sanitarie e strutturali che hanno portato alla sospensione del servizio di una mensa scolastica nel cuneese; la somministrazione di alimenti alterati o nocivi a Napoli da parte di una ditta appaltatrice del servizio di refezione, che ha causato infezioni alimentari in alcuni bambini; il sequestro da parte dei Nas di Milano di 36.500 pezzi, tra cui piatti fondi, che contenevano un additivo vietato (fluororato); pasti destinati ad una scuola materna di Brescia provenienti da agricoltura tradizionale, anziché biologica, come previsto dal capitolato; alimenti acquistati in prossimità della scadenza, congelati, rietichettati, «spacciati» per freschi e forniti ad un istituto di Ancona; l'olio extravergine di provenienza comunitaria e non nazionale, pollo di classe B e non di classe A, in una mensa di Firenze; prosciutto cotto e frittata contaminati da listeria e stafilococchi, yogurt scaduto e pane con muffa a Perugia;
le ispezioni hanno portato al sequestro di oltre 4 mila chilogrammi di alimenti: si tratta di cibi avariati, perché mal conservati o andati a male, oppure di prodotti senza elementi o etichette per capirne la provenienza;
la tutela di una corretta alimentazione, soprattutto per i bambini e per gli adolescenti, rappresenta un tassello fondamentale per prevenire molte malattie e per proteggere da gravi disturbi quali l'obesità, l'anoressia e la bulimia che, purtroppo, affliggono milioni di adolescenti al giorno d'oggi;
la prevenzione delle malattie croniche trasmissibili deve cominciare a tavola da quando si è piccoli ed i bambini, non lo si dimentichi, passano la maggior parte del tempo a scuola;
ad aggravare la situazione già particolarmente delicata e difficile da gestire, è il pessimo stato in cui versano alcune delle mense scolastiche ispezionate: sono state, infatti, rinvenute incrostazioni e muffe alle pareti, esfoliazione di intonaci nelle cucine, piani di lavoro sporchi e strutture in cui non veniva rispettato il divieto di fumo, elementi veramente preoccupanti per la salute dei giovani –:
quali iniziative intendano porre in essere i Ministri interrogati per intensificare ed estendere i controlli e le ispezioni nelle mense scolastiche al fine di accrescere la fiducia delle famiglie negli istituti onde evitare il ricorso a vie alternative, quale quella concessa dalla corte di appello di Torino che permette ai ragazzi di portare il cibo da casa, giacché rischiano di aprire la strada al verificarsi di possibili episodi di discriminazione e diseguaglianza tra i ragazzi;
quali iniziative si intendano assumere o siano state assunte perché vengano istituite in tutte le mense scolastiche le cosiddette «Commissioni Mensa», ancora troppo poco presenti sul territorio e raramente considerate nelle loro segnalazioni, con importanti compiti di verifica circa la qualità e la sicurezza degli alimenti e, il loro gradimento tra i ragazzi, nonché quali validi presidi per portare alla luce le mancanze strutturali dei locali stessi;
quali iniziative si intendano assumere affinché gli stessi istituti scolastici si prodighino nell'elaborare menù che seguano una dieta bilanciata, differenziata ed adatta alla crescita, così da avvicinare i giovani ad una corretta alimentazione, primo passo per una vita adulta sana. (5-09015)
MARZANA, VACCA, DI BENEDETTO, SIMONE VALENTE, BRESCIA, D'UVA, CHIMIENTI e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il 15 marzo 2016 è stato espresso il parere parlamentare sullo schema di decreto ministeriale (atto n. 276) sulla riduzione del numero dei posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, al fine di ottenere un risparmio della spesa relativa allo stesso;
il suddetto schema di regolamento è stato elaborato ai sensi dell'articolo 1, comma 334, della legge 31 dicembre 2014, n. 190 (legge stabilità 2015), recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato»;
il provvedimento è «figlio» del decreto interministeriale Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – Ministero dell'economia e delle finanze del giugno 2014, che ha introdotto la nuova dotazione organica del personale Ata per l'anno scolastico 2014/2015, che aveva a sua volta recepito la riduzione del 17 per cento della consistenza numerica determinata per l'anno scolastico 2007/08 in applicazione della legge n. 133 del 6 agosto 2008;
nello specifico, il provvedimento disciplina, oltre alla revisione dei criteri e dei parametri per la definizione delle dotazioni organiche del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (A.T.A.) delle istituzioni scolastiche ed educative, anche una riduzione del numero dei posti di personale A.T.A. pari a 2020 unità ed una riduzione della spesa di tale personale, pari a 50,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno scolastico 2015/2016;
sulla base dei dati forniti dalla relazione tecnica di accompagnamento allo schema di decreto, dagli effetti della revisione dei criteri e parametri, deriva per quanto riguarda le istituzioni scolastiche del primo ciclo una riduzione di 576 assistenti amministrativi e di 1.468 collaboratori scolastici;
per quanto riguarda, invece, le scuole secondarie di II grado la revisione comporta una riduzione di 589 assistenti amministrativi, di cui 314 nei soli istituti tecnici, istituti professionali e licei artistici, e di 431 collaboratori scolastici;
da evidenziare che l'approvazione, secondo gli interroganti, costituisce una forzatura del Governo, considerato che è avvenuta malgrado su di essa pesassero i pareri contrari dell'Anci («(...)ritenendo non adeguata la previsione del numero di 40 alunni disabili oltre il quale è aumentato di una unità il numero dei collaboratori scolastici (...)»), del Consiglio di Stato (che ha ritenuto «(...) degne di considerazione le motivazioni che hanno portato la Conferenza unificata ad esprimere un parere negativo ed invitando il ministero ad apportare i necessari correttivi (...)») e dell'Unione delle Province d'Italia (Upi) (preoccupata per «(...) la possibile insufficienza dei collaboratori scolastici, con ricadute conseguenti sugli enti locali (...)»);
come se non bastasse, la legge 190 del 2014, articolo 1 (legge di stabilità 2015), ha introdotto pure il taglio alle supplenze «brevi» che ha disposto l'obbligo, per i dirigenti scolastici, salvo casi particolari, di nominare i supplenti dei collaboratori scolastici solo dall'ottavo giorno di assenza con conseguenti e prevedibili effetti negativi: a poco è servita la nota n. 2116 del 30 settembre 2015, che ha dato facoltà ai presidi di nominare supplenti anche «per i primi sette giorni di assenza» per il solo «profilo di collaboratore scolastico», lasciando completamente scoperto il servizio in tutti i casi di assenza di assistenti amministrativi e tecnici;
l'operazione tagli-posti disposta con il provvedimento di cui sopra diventa ancora più pesante e spregiudicata perché si va a sommare ad altre procedure di spending review: solo negli ultimi tre anni a seguito del dimensionamento scolastico introdotto dall'articolo 19, comma 4, della legge 15 luglio 2011, n. 111, che ha prodotto la cancellazione spropositata di migliaia di istituti autonomi, sono stati cancellati 44.500 Ata e 2.395 direttori dei servizi generali e amministrativi con conseguenze nefaste per l'utenza scolastica;
inoltre, i posti di collaboratore scolastico non risultano sufficienti in rapporto all'elevato numero di alunni con disabilità, senza dimenticare che il personale formato per l'assistenza igienico-sanitaria non è sufficiente a coprire le esigenze;
sono richiesti nuovi oneri, ad esempio in ordine ai collaboratori scolastici per l'apertura e la chiusura in orario pomeridiano della scuola e, in ordine agli assistenti amministrativi, per la digitalizzazione;
si aggiunga il blocco del turn-over a svilire la professionalità di migliaia di Ata; infatti ci sono quasi 5 mila posti che si libereranno per effetto delle domande di pensionamento, a cui si aggiungono circa 1.300 Ata che termineranno il servizio per via della pensione di vecchiaia: ebbene, con la nota prot. n. 25141 del 10 agosto 2015, il dipartimento della funzione pubblica ha praticamente bloccato anche queste assunzioni previste per permettere di ricollocare presso le istituzioni scolastiche, con mansioni corrispondenti a quelle del personale Ata, i lavoratori perdenti posto delle province, che ne avrebbero fatto richiesta per il mese di luglio 2016, quando si verrà finalmente a conoscenza delle richieste di trasferimento da parte dei dipendenti dell'ente locale in via di soppressione;
eppure c’è una sproporzione enorme tra i lavoratori perdenti posto delle province, in via di dismissione, appena 1.644, e l'ampio numero di posti vacanti destinati al personale tecnico e ausiliario della scuola: quasi 28mila posti liberi;
il blocco del turn-over, oltre alla mancata assunzione degli Ata, ha comportato una sottoscrizione dei contratti annuali con scadenza fissata al 30 giugno 2016, anziché al 31 agosto 2016, con la perdita illegittima di due mesi di stipendio (Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca-nota 27715 del 28 agosto 2015);
inoltre, è paradossale che questo stesso personale sia stato escluso anche dal «potenziamento» della legge 107 del 2015; infatti al piano straordinario di immissioni in ruolo dei docenti non è corrisposta la stabilizzazione di un solo Ata;
eppure sono 22.261 le immissioni in ruolo di personale Ata fattibili: si tratta della somma di 3.643 posti al 31 agosto 2015, 12.735 posti per supplenze annuali al 30 giugno e dei 6.243 di posti che si renderanno disponibili a seguito dei pensionamenti, cui si aggiungono i 5.182 derivanti dall'adeguamento organico di diritto alle situazioni di fatto personale ATA 2015/16 previsto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca attraverso la circolare della direzione del personale di viale Trastevere n. 22173, del 27 luglio 2015;
continuare a negare le assunzioni del personale Ata sconfessa innanzitutto la legge, n. 128 dell'8 novembre 2013, promossa dall'allora Ministro Maria Chiara Carrozza, che all'articolo 15 ha «(...) definito un piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo e ATA, per gli anni 2014-2016, tenuto conto dei posti vacanti e disponibili in ciascun anno, delle relative cessazioni del predetto personale (...)»;
appare evidente che i diritti del personale Ata hanno dunque raggiunto livelli minimi di riconoscimento: niente assunzioni, contratti a termine ridotti di due mesi (luglio e agosto), niente sostituzioni fino a 7 giorni, blocco del turn-over –:
quanti posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, differenziati per ruolo (collaboratori, amministrativi e tecnici), siano effettivamente privi di titolare;
se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative per assumere il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, per l'anno scolastico 2016/2017, su tutti i posti vacanti e disponibili;
se il Ministro interrogato non ritenga necessario assegnare i posti vacanti e disponibili per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario resi liberi dalla cessazione dal servizio del personale (turn-over);
come intenda procedere per garantire, sin dal prossimo 1o agosto 2016, l'assunzione su tutti i posti rimasti vacanti a seguito della mancata richiesta di trasferimento del personale della provincia;
se, alla luce delle esigenze citate in premessa, intenda assumere iniziative per rivedere i criteri di definizione delle dotazioni organiche del personale e ripristinare le unità oggetto del taglio di 2020 posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario;
se il Ministro intenda assumere iniziative volte a ripristinare gli organici relativi al dimensionamento scolastico, portandoci al livello dei numeri precedenti alla legge n. 111 del 2011 che ha prodotto il taglio di 44.500 posti ATA e di 2.395 direttori dei servizi generali e amministrativi. (5-09016)
CIVATI, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
lo status dei docenti neo-assunti non è equiparabile allo status dei docenti «passaggisti», titolari, questi ultimi, di un diritto soggettivo assoluto a vedersi valorizzato il merito acquisito nell'espletamento della professione, con conseguente danno patrimoniale e non patrimoniale;
l'equiparazione non è legittima in quanto i docenti neo-assunti sono coloro che hanno avuto accesso al ruolo diversamente dai «passaggisti», che invece, sono docenti che hanno chiesto ed ottenuto il passaggio di ruolo – ad esempio dalla secondaria di primo grado alla secondaria di secondo grado, ma anche viceversa, in base a norme pattizie (parte pubblica, Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, parte privata, le cinque sigle sindacali rappresentative firmatarie del contratto – in particolare il C.C.N.I. – contratto collettivo nazionale integrativo 2015 sulla mobilità 23 febbraio 2015 ed O.M. 24 febbraio 2015, n. 4 che disciplina la mobilità professionale a domanda, quindi mobilità interna alla stessa Amministrazione) – e in virtù di dati oggettivi: i «passaggisti» sono già da anni titolari di un contratto a tempo indeterminato su sede definitiva – non provvisoria come i neo-immessi – e hanno già ottemperato alla formazione iniziale, ossia la formazione di base predisposta per chi inizia la carriera di docente che deve essere vigilato e monitorato per un anno da un Tutor;
nello specifico, il passaggio di ruolo è un procedimento rientrante nella mobilità professionale a domanda, quindi a mobilità interna, ove non c’è soluzione di continuità nel rapporto di lavoro e non è pertanto inquadrabile come nuova assunzione;
mobilità significa l'insieme delle procedure riservate a chi è già dipendente con contratto a tempo indeterminato ed ha effetti solo modificativi, eventualmente costitutivi di nuovo status a seguito dell'espletamento di una procedura di assunzione;
nei trasferimenti a domanda, ex plurimis Consiglio di Stato, IV Sez. n. 6279/2000, risulta essere prevalente il perseguimento del soddisfacimento delle necessità personali e familiari del docente, rispetto alle quali l'interesse pubblico funziona esclusivamente come limite esterno di compatibilità, dovendo in ogni caso essere sempre assicurato il rispetto dei principi dell'articolo 97 della Costituzione;
in ossequio al principio di legalità, il fondamento della potestà regolamentare (decreto ministeriale n. 850 del 2015) va sempre rinvenuto nella copertura legislativa, che ne delimita l'oggetto e ne stabilisce le modalità di esercizio: il principio di legalità rappresenta il portato di quella tradizione giuridica che vuole ammessa l'intrusione nella sfera personale del singolo solo previa autorizzazione della legge, richiamando con il concetto di autorizzazione l'attribuzione di una forza che non appartiene naturalmente all'amministrazione;
gli incontri di formazione hanno sempre visto la partecipazione di gruppi di docenti provenienti dai diversi cicli scolastici e ordini di scuola, dall'infanzia alla secondaria, incluso nell'attuale sessione i neo-assunti 2016;
dalla lettura del comma 115 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 si evince chiaramente che destinatari della norma sono i docenti neoassunti che, superato il periodo di formazione e di prova, avranno l'effettiva immissione in ruolo, non predicando nulla sui «passaggisti» effettivamente già di ruolo, e molti docenti, hanno visto perfezionarsi il provvedimento di passaggio oltre un mese prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della su menzionata legge 107 del 2015;
l'articolo 1, comma 118, della legge n. 107 del 2015 prevede che con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca siano individuati obiettivi, le modalità di valutazione del grado di raggiungimento degli stessi, le attività formative ed i criteri per la valutazione del personale docente in stato sempre fatto;
il periodo di formazione e prova è obbligo esclusivamente per i neo-assunti in ruolo, dovendo i passaggisti ottemperare esclusivamente all'anno di prova;
l'anno di prova è previsto per tutti i lavoratori alle dipendenze delle pubblica amministrazione fino all'anno scolastico 2015/2016 i «passaggisti» non avevano mai effettuato l'anno di formazione perché già adempiuto al momento dell'entrata in ruolo. A tal proposito si richiamano la sentenza del tribunale di Avellino n. 7638 dei 21 aprile 2016 e la nota ministeriale n. 3699 del 29 febbraio 2008, in base alla quale l'anno di formazione deve essere svolto soltanto una volta nel corso della carriera;
pertanto, non si comprende perché a situazioni differenti sia stato imposto uno stesso obbligo, come percorso formativo forzoso –:
sulla base di quali presupposti normativi sia stato adottato il regolamento che estende gli obblighi dei neo-assunti in ruolo ai «passaggisti»;
quale sia il numero di docenti «passaggisti» per l'anno scolastico 2015/2016 e nello specifico caso, con quale metodo si sia proceduto alla copertura delle risorse stanziate per l'estensione della formazione dei «passaggisti» per l'anno scolastico 2015/16;
alla luce dei pareri espressi dal Ministero dell'economia e delle finanze in riferimento alla garanzia di copertura economica attinente alle risorse attribuite all'estensione della formazione dei «passaggisti» per l'anno scolastico 2015/16, quale sia l'aggravio di spesa sostenuto dallo Stato per le attività di formazione imposta anche ai docenti «passaggisti». (5-09019)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazione a risposta immediata:
GALGANO e SOTTANELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
è ad oggi irrisolto il caso «under 40» degli ex lavoratori della ThyssenKrupp Ast di Terni, che hanno accettato di lasciare il lavoro con la «buonuscita» e per i quali, terminato l'anno di mobilità, non è possibile accedere a nessun altro tipo di ammortizzatore sociale;
la circolare dell'Inps n. 94 del 12 maggio 2015 ha disposto che per avere diritto alla nuova assicurazione sociale per l'impiego (NASpI) è necessario aver assommato trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione;
dai terminali dell'Inps non risultano «le trenta giornate di lavoro effettivo» entro l'anno che precede l'inizio del periodi di disoccupazione (è evidente che se l'anno è trascorso in mobilità non può esserci il mese lavorativo), cosa che invece la sopra citata circolare riconosce per chi è stato in cassa integrazione anche per più di un anno;
tuttavia, la circolare, non facendo riferimento alcuno, al caso di lavoratori in mobilità, determina il passaggio dei lavoratori da una situazione di «tutela», rappresentata dall'anno di mobilità, ad una situazione in cui quella «tutela» rappresenta un limite rispetto alle tutele previste per tutte le altre situazioni di disagio;
tutto ciò, a parere degli interroganti, rende incomprensibile una discriminante venutasi a creare verso chi è in mobilità. Nello specifico, chi ha ricevuto un solo anno di mobilità, secondo l'interpretazione testuale della circolare non avrebbe diritto ad una tutela maggiore, come tutti gli altri lavoratori in disoccupazione –:
se l'interpretazione della circolare dell'Inps sia nel senso strettamente testuale e, in questo caso, se l'assenza di riferimento ai casi di mobilità sia voluta, quindi non soggetta a possibile modifica, recando in tal senso una effettiva discriminante, e quali urgenti iniziative intenda assumere per sanare l'evidente discriminazione venutasi a creare attraverso l'interpretazione testuale della sopra citata circolare verso i lavoratori in mobilità. (3-02346)
Interrogazione a risposta in Commissione:
CRIVELLARI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
lo stabilimento Cargill srl di Castelmassa (Rovigo), parte della multinazionale statunitense Cargill Incorporated, che produce una vasta gamma di prodotti derivati dell'amido usando e trasformando il mais, con una produzione destinata a diversi settori tra i quali l'industria alimentare, la zootecnia, il settore chimico-farmaceutico e non ultimo la produzione di cartone ondulato, è presenza storica in Polesine e continua ad essere per il territorio un presidio occupazionale e produttivo importante e strategico;
dopo l'attivazione di ben due piani di mobilità programmata, uno nel 2014 e l'altro nel 2015, con la collocazione di circa 50 persone fuori dall'organico aziendale, sembrava che il problema occupazionale fosse stato definitivamente risolto;
da quanto risulta all'interrogante, invece, per la Cargill di Castelmassa i problemi non sono ancora finiti; nonostante Cargill sia un'azienda tutt'altro che in crisi, gli studi di riorganizzazione – come li definisce la stessa multinazionale – che si sta o effettuando e che hanno portato in poco tempo a concentrare alcune attività impiegatizie persino a Sofia, in Bulgaria, stanno per coinvolgere pian piano tutti i settori da quelli produttivi a quelli dirigenziali;
in particolare, i settori trasporti, logistica, finanza, acquisti e ufficio del personale di Castelmassa saranno oggetto di una riduzione significativa: una decina di posti già a rischio – due già ad agosto, tre dopo qualche mese, per poi continuare nell'autunno prossimo;
in questa stessa fase, il management locale non ha voluto o potuto sottoscrivere alcun accordo che bloccasse le attuali ipotesi di ridimensionamento e soprattutto potesse sancire che parte della produzione è ancora strategica;
si ritiene che la produzione dovrà essere oggetto di concreti investimenti, che garantiscano almeno per i prossimi 4 o 5 anni la continuità aziendale, economica ed occupazionale;
le maestranze e le loro famiglie risentono ormai di una situazione di totale indeterminatezza –:
quali iniziative il Governo ritenga di poter intraprendere con l'azienda, con i sindacati e con le istituzioni locali per arrestare piani di ristrutturazione aziendale lineari che paiono non tener conto della realtà territoriale e se si intenda verificare quale sia il concreto piano che Cargill intenda mettere in atto; se si intenda verificare se vi siano allo studio piani di investimento finalizzati ad un aumento dei livelli di produzione e di occupazione nello stabilimento di Castelmassa. (5-09012)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta scritta:
BRIGNONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
è notizia che nella notte tra sabato 25 e domenica 26 giugno 2015, tremilacinquecento maiali in fase di svezzamento sono morti asfissiati nell'allevamento Zoofarm sito a Fratta, nel comune di Bertinoro sulla via tra Forlimpopoli-Meldola;
il custode dava l'allarme nella mattinata del 26 giugno, poiché, giunto nell'allevamento per dare cibo agli animali, ha fatto la tragica scoperta;
sul posto intervenivano i responsabili dell'allevamento, i carabinieri del nucleo radiomobile di Meldola e della stazione di Bertinoro, gli esperti e i veterinari dell'Ausl e, secondo quanto appurato dai presenti durante il sopralluogo, a causare la morte dei maiali è stato un guasto all'impianto di aerazione del capannone in cui gli animali erano allevati;
i giovani maiali sarebbero morti in poche ore a causa della mancanza di aria venutasi a creare nel capannone senza la possibilità di scampare alla trappola mortale di cui sono stati vittime;
di fatto, la morte di migliaia di maiali alla Zoofarm è, ad avviso dell'interrogante, l'ennesimo caso di un sistema di allevamento privo delle più elementari norme di sicurezza e igienico-sanitarie sia per gli animali che per le persone;
è doveroso ricordare che negli allevamenti intensivi presenti nel Paese, gli animali da reddito sono quasi sempre ammassati gli uni sugli altri, senza nessuno spazio vitale e comunemente costretti in capannoni privi di aerazione, di coibentazione e d'igiene;
tali negativi avvenimenti sono un dramma, anche sotto il profilo della spesa sanitaria, poiché il mancato controllo degli, enti preposti e le regole non applicate o inesistenti, fanno si che gli animali da reddito siano sempre più spesso colpiti da diverse patologie, imponendo interventi farmacologici con serie conseguenze sulla salute delle persone –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
se non ritengano opportuno, per evitare altre simili tragedie e per assicurare il benessere degli animali e la sicurezza delle strutture destinate agli allevamenti intensivi da reddito, assumere iniziative normative che consentono di evitare inutili sofferenze e di disciplinare le procedure per la stabulazione degli animali negli allevamenti intensivi. (4-13611)
SALUTE
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
l'articolo 14 della legge 30 ottobre 2014, n. 161, «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – legge europea 2013-bis», ha disposto l'abrogazione, decorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge, delle norme che escludono l'applicazione, per il personale delle aree dirigenziali degli enti ed aziende del servizio sanitario nazionale, delle disciplina generale relativa al riposo giornaliero e, per il solo personale del ruolo sanitario del servizio sanitario nazionale, di quella in materia di durata media massima dell'orario di lavoro settimanale (rispettivamente, articoli 7 e 4 del decreto legislativo n. 66 del 2003), conseguentemente il medesimo articolo 14 ha previsto la conseguente abrogazione anche delle disposizioni contrattuali;
il succitato articolo 14 prevede inoltre che, per fare fronte alle esigenze derivanti dalle abrogazioni citate, le regioni garantiscono la continuità nell'erogazione dei servizi sanitari e l'ottimale funzionamento delle strutture, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, attraverso una più efficiente allocazione delle risorse umane disponibili, attuando a tal fine appositi processi di riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture e dei servizi dei propri enti sanitari;
al fine di garantire la continuità nell'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, il succitato articolo 14 prevede altresì che i contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto sanità disciplinano le deroghe alle disposizioni in materia di riposo giornaliero dei personale del servizio sanitario nazionale preposto ai servizi relativi all'accettazione, al trattamento e alle cure, prevedendo equivalenti periodi di riposo compensativo, immediatamente successivi al periodo di lavoro da compensare, ovvero, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, adeguate misure di protezione del personale stesso;
la nuova regolamentazione sulla durata del riposo minimo giornaliero e sul tempo di lavoro massimo settimanale conseguente all'abrogazione citata è connessa alla procedura di infrazione n. 2011/4185 aperta dalla Commissione europea;
con una lettera al Governo italiano, la Commissione europea ha ripreso l'Italia sull'applicazione dell'orario di lavoro e chiesto alle autorità italiane «di essere informata sull'attuazione della direttiva nel settore sanitario in tutto il territorio italiano»; in particolare la Commissione europea, nella lettera inviata all'Italia, chiede informazioni relativamente al rapporto tra riposi, guardie e reperibilità, alla durata massima settimanale dell'orario di lavoro e al periodo di riferimento in cui effettuare il calcolo medio, alla modalità di calcolo delle ore di lavoro prestate in libera professione a favore dell'azienda sanitaria;
secondo la Fems (la Federazione dei medici europei) e l'Anaao Assomed dopo le numerose segnalazioni di medici e dirigenti sanitari, il nostro Paese, «fatica ad adeguare l'orario di lavoro alla normativa europea, emergendo in modo eclatante come i modelli di organizzazione in varie realtà ospedaliere disattendano l'applicazione della legge n. 161 del 30 ottobre 2014, entrata in vigore dal 25 novembre 2015, sulla durata del riposo minimo giornaliero e sul tempo di lavoro massimo settimanale»;
secondo l'Anaao Assomed «servono almeno seimila medici per coprire le carenze di dotazione organica che attualmente impediscono una corretta applicazione della normativa europea e senza un confronto in sede contrattuale, come previsto dall'articolo 14 comma 3 della legge 161/2014, per disciplinare le eventuali deroghe al riposo giornaliero, il rischio che il procedimento di infrazione venga riavviato è elevatissimo. Non solo, di fronte ad una diffusa e persistente disapplicazione della normativa europea in materia di organizzazione dei lavoro, sarà inevitabile aprire il contenzioso anche presso le Direzioni territoriali dei Lavoro»;
si ricorda, che proprio per garantire il rispetto delle disposizioni dell'Unione europea in materia di articolazione dell'orario di lavoro, il comma 541 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016, lettera b) ha disposto che, entro il 29 febbraio 2016, le regioni e le province autonome, definissero un piano concernente il fabbisogno di personale, contenente, l'esposizione delle modalità organizzative del personale, tale da garantire il rispetto delle norme vigenti (che hanno recepito quelle dell'Unione europea) in materia di articolazione dell'orario di lavoro, attraverso una più efficiente allocazione delle risorse umane disponibili;
il Movimento 5 stelle, già durante l'esame della legge di stabilità 2016, ritenendo inconsistente l'impegno puramente formale dell'Esecutivo, che non aveva stanziato un solo euro, aveva proposto una copertura da 300 milioni di euro per l'assunzione di 3 mila medici e 3 mila infermieri, su tutto il territorio nazionale; ovviamente la proposta non è stata presa in considerazione;
con circolare del 25 febbraio 2016 il Ministero della salute forniva alle regioni le indicazioni operative per dare attuazione ai commi 541, lettera b), 542 e 543 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (stabilità 2016), e le invitava a trasmettere attraverso il sistema documentale SiVeAS ed entro il 29 febbraio 2016, nel rispetto della cornice finanziaria programmata e delle disposizioni, vigenti in materia del costo del personale, il piano di definizione dei fabbisogno del personale di cui al citato comma 541, lettera b), dando evidenza del fabbisogno di personale necessario all'applicazione della legge n. 161 del 2014, con particolare riferimento alle aree dell'emergenza urgenza e della terapia intensiva, e del fabbisogno di personale correlato alla riorganizzazione della rete ospedaliera e di emergenza urgenza effettuata ai sensi dal decreto ministeriale n. 70 del 2015;
con la medesima circolare si invitavano altresì le regioni a trasmettere, attraverso il sistema documentale SiVeAS ed entro i medesimi termini succitati, informazioni, anche negative, circa l'eventuale ricorso alle forme di lavoro flessibili anche se già attivate, rammentando che l'eventuale ricorso alle predette forme flessibili deve essere comunicato «tempestivamente» con il medesimo canale di trasmissione;
le informazioni richieste dalla circolare del Ministero della salute sono necessarie per poter dare attuazione al comma 543 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016, relativo cioè ai concorsi per procedere a nuove assunzioni – di cui il 50 per cento dei posti riservabile a personale già in servizio;
evidentemente anche la scadenza del 29 febbraio 2016 è state totalmente disattesa e nulla su assunzioni in sanità è scritto nel documento di economia e finanza, da poco, esaminato alle Camere; quindi, il nostro Paese deve subire ancora una volta il richiamo dell'Unione europea, «bacchettato» per il mancato adeguamento alla normativa europea sull'orario del personale medico ospedaliere;
il «rimprovero» subito è solo l'ultimo esempio di una miriade di inadempienze da parte del Governo e del Ministero della salute. Solo per citare i provvedimenti più importanti che, nonostante le mille promesse, sono tuttora fermi si ricorda: i nuovi Lea, il già vecchio patto per la salute, il patto per la sanità digitale, l'aggiornamento del nomenclatore tariffario e non da ultimo l'impegno preso e non mantenuto della mozione del Movimento 5 stelle sullo sblocco del turn over, approvata alla Camera nel giugno 2015 anche con i voti della maggioranza –:
se il Ministro interrogato non ritenga di dover informare circa lo stato della trasmissione dei piani di definizione dei fabbisogno del personale da parte delle regioni e rendere pubblici i documenti trasmessi dalle regioni medesime, e così rendersi garante della sicurezza delle cure e della continuità nell'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni e della corretta, applicazione della normativa europea, nonché rispondere adeguatamente ai moniti della Commissione europea.
(2-01410) «Colonnese, Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Di Vita, Mantero, Nesci, Dall'Osso, Cecconi».
Interrogazione a risposta in Commissione:
COLONNESE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, DI VITA, BARONI, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
l'Ospedale SS. Annunziata di Napoli fa parte di un complesso storico, la Real Casa dell'Annunziata di Napoli, situata ancora oggi nella zona di Forcella, nel cuore del centro storico e che comprendeva, oltre all'ospedale, una chiesa, un convento, un orfanotrofio e un ritrovo per le ragazze senza dote. Fu costruita nel 1304 per volere di Nicolò e Jacopo Scondito, due nobiluomini napoletani che dedicarono l'opera all'Annunciazione della Vergine. La regina Sancia di Majorca, moglie di Roberto d'Angiò, volendo ampliare la costruzione vi aggiunse appunto la chiesa e l'ospedale;
fino agli inizi degli anni ’70 ha continuato ad accogliere bambini abbandonati. Nel 1972 è stato istituito l'ente ospedaliero che ha inglobato i servizi di cui usufruiva già il brefotrofio, come la maternità istituita nel XIX secolo, il reparto di pediatria e quello di chirurgia pediatrica, il reparto immaturi e la scuola per puericultrici. Nel 1978, per effetto della legge n. 833, la gestione dell'ospedale è stata trasferita all'Usl 44 di Napoli; con il decreto legislativo n. 502 del 1992 il presidio ospedaliero è stato inglobato nell'ASL NA 1 mentre con il DPGRC 49 del 30 giugno 2011 il presidio è stato aggregato all'AORN Santobono-Pausilipon;
con deliberazione n. 460 del 20 marzo 2007 la giunta regionale della Campania ha approvato l'accordo attuativo, ed il piano di rientro dal disavanzo e di riqualificazione e razionalizzazione del servizio sanitario nazionale ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311; in data 24 luglio 2009 la regione Campania è stata sottoposta a commissariamento, a norma dell'articolo 4 del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159;
con deliberazione, del Consiglio dei ministri del 24 aprile 2010 il nuovo presidente della regione Campania è stato nominato commissario ad acta per il piano di rientro con il compito di proseguire nell'attuazione del piano stesso;
detta deliberazione, nell'individuare gli atti ai quali attendere in via prioritaria al punto c) dispone di procedere al «riassetto della rete ospedaliera e territoriale con adeguati interventi per la dismissione/riconversione/riorganizzazione dei presidi non in grado di assicurare adeguati profili di efficienza e di efficacia»;
«il decreto n. 49 del 27 settembre 2010 del Commissario ad Acta per la prosecuzione del Piano di Rientro del Settore Sanitario nella Regione Campania, recante il riassetto della rete ospedaliera della Regione Campania, così come modificato e integrato dal DCA n. 50/2011, ha stabilito che, a far data dal 1o luglio 2011, il P.O. “S.S. Annunziata” della ASL NA 1 Centro fosse annesso con tutte le sue funzioni all'azienda ospedaliera “Santobono-Pausilipon” di Napoli, al fine di costituire l'azienda ospedaliera Unica Pediatrica della Regione Campania». Complessivamente, nell'azienda ospedaliera «Santobono-Annunziata» sono previsti: un trauma center pediatrico, un centro risvegli e cure palliative pediatrico e, nel dipartimento di nefrourologia, un centro di trapianto del rene; sono, inoltre, programmati posti letto di recupero e riabilitazione funzionale;
in data 10 marzo 2015, è stato trasmesso al Ministero della salute il decreto n. 27 del 2015 del Commissario ad Acta, con cui viene disposta l'annessione del presidio ospedaliero «SS. Annunziata» dell'azienda ospedaliera «Santobono Pausilipon» all'Asl Napoli 1 centro, per le attività afferenti all'area materno-infantile, nelle more dell'adozione del nuovo provvedimento organico di disciplina della rete ospedaliera e della rete materno-infantile, ai sensi dell'intesa Stato-regioni del 5 agosto 2014. I tavoli tecnici, nella riunione del 1o aprile 2015, si sono riservati di valutare detto provvedimento nell'ambito della disamina complessiva e di coerenza con la rete ospedaliera regionale;
sulla questione, la prefettura di Napoli segnala che la struttura del Commissario ad acta per il piano di rientro nella regione Campania, ha fatto presente che l'ipotesi di riattribuzione dell'ospedale della «SS. Annunziata» alla Asl NA 1, non è prevista nella bozza di riordino ospedaliero. È ipotizzato, invece, un utilizzo da parte della Asl NA 1 degli spazi disponibili di quella struttura, ferma restando la sua annessione, quale polo materno-infantile, all'Azienda Ospedaliera «Santobono-Pausilipon». (di tali elementi è stato dato conto nella risposta del sottosegretario De Filippo del 25 giugno 2015 all'interrogazione a risposta in commissione n. 5-04110 presentata dall'onorevole Carloni);
attualmente, l'ospedale è dotato di reparti di chirurgia pediatrica, otorinolaringoiatria, oculistica, cardiologia pediatrica e neonatale, oculistica, cardiologia pediatrica e neonatale, auxologia ed endocrinologia pediatria generale indirizzo infettivologico, terapia intensiva neonatale, patologia clinica, prevenzioni infezioni ospedaliere radiologia screening malattie metaboliche;
la dotazione di posti letto del presidio ospedaliero «S.S. Annunziata» per l'anno 2014, è così articolata: 8 posti letto in chirurgia pediatrica; 28 in ostetricia e ginecologia; 36 in pediatria; 4 in recupero e riabilitazione; 19 in terapia intensiva Neonatale, per un totale di 95 posti letto;
risulta un riassetto della rete ospedaliera al presidio ospedale S.S. Annunziata, storica struttura ospedaliera a vocazione ostetrica e pediatrica, che aveva già visto chiudere il suo punto nascita, sebbene in passato avesse raggiunto la ragguardevole cifra di 1500 parti all'anno, privando nei fatti, un tradizionale approdo per la maternità nel centro antico;
nel comunicato del 2 febbraio 2016 pubblicato sul sito della regione Campania, il governatore della regione Campania, Vincenzo De Luca, annunciava l'acquisto, avvalendosi di fondi europei del POR, di nuove attrezzature tecnologiche di avanguardia in Europa tra cui: un neuronavigatore per la neurochirurgia del Santobono, un upgrade per la risonanza magnetica nucleare del Santobono, altre attrezzature di riabilitazione per il SS. Annunziata e due macchine di altissima tecnologia: un esoscheletro Indego (il primo consegnato in Europa ad un ospedale pediatrico) ed una macchina per i trapianti di midollo osseo;
«il SS. Annunziata è la prima struttura sanitaria in Europa a dotarsi dell'esoscheletro Indego, tecnologia che consente ai bambini tetraplegici di camminare» annunciava nel comunicato pubblicato sul sito della regione Campania;
e ancora De Luca in un comunicato del 25 febbraio 2016 in seguito ad una visita all'ospedale annunciava:
«L'Ospedale SS. Annunziata rappresenta un'ulteriore conferma di quanti punti di eccellenza abbiamo nella sanità campana» – così il presidente De Luca a margine della visita al nosocomio nel cuore di Forcella;
«In ottobre l'AORN Santobono-Pausilipon avvalendosi di Fondi Europei del POR, si è dotato di 18 nuove attrezzature tecnologiche di avanguardia. E ora questo storico ospedale nel cuore di Forcella è il primo in Europa ad essere stato dotato dell'esoscheletro Indego, tecnologia che consente ai bambini tetraplegici di camminare;
dispone di attrezzature che lo proiettano all'avanguardia in Italia e in Europa anche nel campo dei trapianti del midollo. Dotazioni che insieme all'Azienda siamo riusciti ad acquistare in extremis alla fine dello scorso anno. Un punto di grande eccellenza che dobbiamo valorizzare ancor di più, perché i campani spesso nemmeno conoscono queste eccellenze»;
secondo quanto denunciato dal dottor Ermanno Scognamiglio, segretario Provinciale Cimo Napoli in una lettera firmata al direttore della testata Quotidiano Sanità il prossimo 1o luglio, l'Ospedale SS. Annunziata di Napoli chiuderà definitivamente;
i posti letto di pediatria e la terapia intensiva neonatale dovrebbero tornare al Santobono mentre lo scheletro dello storico ospedale di Forcella disporrà ancora di circa 200 dipendenti tra amministrativi infermieri formati per la pediatria e medici dall'incerta dislocazione;
nonostante, il presidente De Luca avesse solennemente promesso che nessun ospedale di quelli che il decreto n. 49 del 2010 disponeva di chiudere sarebbe stato chiuso, ma al massimo sarebbe stato riconvertito e rigenerato (nonostante il decreto 49 non disponeva la chiusura dell'Annunziata), a quanto pare lo stesso non verrà neppure riconvertito nonostante fosse forse l'unico per il quale c'era un ambizioso progetto di riconversione in presidio intermedio per la tutela della salute della donna e del bambino;
nel piano regionale di programmazione della rete ospedaliera ai sensi del decreto ministeriale n. 70 del 2015 relativo al piano per gli anni 2016-2018, approvato con decreto del commissario ad acta n. 33 del 17 maggio 2016, a pagina 41 si legge: «istituzione di una UCCP pediatrica nell'ex Ospedale Annunziata Asl Na1 Centro con osservazione breve diurna (utilizzando i posti letto di degenza ordinaria già esistenti da ricollocare in AORN Santobono, a seguito del decreto n. 13 del 2016);
le attività di degenza attualmente svolte nel presidio ospedaliero S.S. Annunziata (ad eccezione della terapia intensiva neonatale) vengono trasferite nell'A.O. Santobono-Pausilipon, con la conseguenza di riassegnare all'Asl Napoli 1 detto presidio a fini di riconversione in attività territoriale. Negli spazi del presidio ospedaliero Annunziata dovrà essere realizzato un nuovo modello di integrazione ospedale territorio nell'area pediatrica, anche attraverso la costituzione di un dipartimento funzionale integrato interaziendale Ospedale-Territorio per l'assistenza pediatrica, regolato da specifico protocollo d'intesa tra la Asl NA1 centro e la A.O. SantobonoPausilipon. Sarà così aggiornata alle attuali esigenze territoriali l'antichissima vocazione materno-infantile del Presidio, anche attraverso una UCCP Pediatrica (assistenza nelle ore diurne (8-20) e sviluppando l'integrazione funzionale con gli altri professionisti del territorio e dell'ospedale), confermando e consolidando il legame storico dell'Annunziata con il suo territorio di riferimento, arricchito dalla nuova apertura alle tematiche dell'integrazione sociale, multi-culturale e multi-etnica;
diversamente da quanto descritto nel piano regionale di programmazione della rete ospedaliera 2016-2018, con delibera 271 del 23 giugno 2016, autorizzazione al comando del personale medico e di comparto alla aou sun per l'attivazione della uo tin (DD.CC.AA. n. 28/2015, n. 13/2016 e n. 33/2016), è autorizzato il comando in uscita del personale medico e di comparto già afferente alla U.O. TIN del presidio SS Annunziata alla AUO SUN per l'attivazione della U.O. TIN, al fine di dare attuazione alle disposizioni regionali di cui ai decreti commissariali nn. 28/2015 e 13 e 33/2016, per il periodo di un anno, eventualmente prorogabile, ai sensi dell'articolo 21 del CCNL 98/01 dell'area dirigenza medica e all'articolo 20 CCNL integrativo del CCNL 98/01 dell'area di comparto, a decorrere dal 1o luglio 2016;
la TIN della SS. Annunziata si occupa dell'assistenza al neonato patologico e prematuro. In particolare, viene assicurata l'assistenza intensiva e sub intensiva con supporto ventilatorio, mediante tutte le più moderne strategie di ventilazione, compresa la somministrazione di ossido nitrico per via inalatoria, monitoraggio dei paramenti vitali, accessi vascolari periferici e centrali, alimentazione parenterale ed enterale. Si effettua la diagnostica approfondita del danno neurologico mediante EEG convenzionale e ad ampiezza integrata al letto del malato, ecografia cerebrale, valutazione dei movimenti secondo Prechtl, derivazione dei potenziali evocati del tronco encefalico, esame TEOAE. È centro di riferimento regionale per la terapia ipotermica dell'encefalopatia ipossico-ischemica. È possibile la diagnosi di cardiopatie congenite con diagnostica ecocardiografica attraverso consulente cardiologo e mediante screening ecografico interno. È attivo ambulatorio specialistico per il follow-up del neonato a rischio, per la prevenzione dell'infezione da virus respiratorio sinciziale mediante anticorpo monoclonale. È sede di U.O. STEN per il trasporto del neonato patologico;
dalla descrizione del programma e secondo la delibera sopra descritta, si evince quindi che nella struttura in oggetto non saranno previsti posti di degenza;
risulta agli interroganti che l'ospedale SS. Annunziata, grazie ad un reparto di pediatria e di una copertura anestesiologica h24 è di fatto il punto di riferimento pediatrico per i bambini del centro storico di Napoli e conta circa trentamila accessi l'anno, accessi che andrebbero a ingolfare ulteriormente le corsie dell'Ospedale Santobono, peraltro molto distante dal centro storico;
nel piano regionale di programmazione della rete ospedaliera 2016-2018 è altresì disposta l'apertura di reparti di pediatria al Loreto Mare, dove è prevista anche una terapia intensiva neonatale ed una al San Giovanni Bosco, per una migliore distribuzione sul territorio. Eppure, nelle more della riorganizzazione della Asl 1 che dovrebbe aprire due pediatrie ed una terapia intensiva, arriva la notizia della chiusura definitiva dell'ospedale che, con il consenso del suo commissario straordinario, chiude il reparto di pediatria, la terapia intensiva neonatale, e la guardia anestesiologica; si tratta di struttura dotate di attrezzature all'avanguardia, recentemente acquistate con fondi Unione europea POR; con tale operazione si disperde il personale, anche in virtù del ristretto sblocco del turnover, che verrà in gran parte assorbito dall'ospedale del mare (non ancora attivo e la cui riapertura è prevista il 2017) e da tutte le altre urgenti necessita, cancellando tutte le speranze che questi reparti potranno mai aprire ex novo in tempi ragionevoli;
la notizia è stata accolta dai cittadini con forti proteste e con manifestazioni in difesa dell'ospedale SS. Annunziata che il 22 giugno 2016 hanno paralizzato il centro storico di Napoli –:
se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
quali siano i criteri seguiti e se e quali osservazioni siano state fatte sulle decisioni di riorganizzazione della rete sanitaria in Campania da parte dei rappresentanti del Ministero della salute in sede di monitoraggio del piano di rientro della regione Campania, con particolare riferimento a quanto descritto in premessa;
come si concilino i propositi manifestati dal sottosegretario De Filippo in risposta all'interrogazione n. 5-04110 presentata dall'onorevole Carloni con la chiusura definitiva del presidio pediatrico;
come intenda attivarsi, per quanto di competenza, il Ministro interrogato per monitorare i servizi sanitari regionali, ivi incluso quello della regione Campania e se sia stata verificata, l'adeguatezza complessiva dello stato di approntamento ordinario e straordinario rispetto alla ridefinizione degli standard di servizio;
se il Ministro interrogato, per quanto di competenza e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, non ritenga opportuno assumere iniziative al fine di garantire adeguati livelli di assistenza sanitaria, tutelando così il diritto alla salute come sancito dall'articolo 32 della Costituzione;
se la chiusura del reparto pediatrico e quello della terapia intensiva neonatale dell'ospedale SS. Annunziata, in previsione di apertura (e quindi approntamento) delle stesse unità ospedaliera presso altri presidi dove precedentemente erano assenti, non comporti una spesa maggiore rispetto al mantenimento delle suddette U.O. presso l'ospedale SS. Annunziata;
se il Governo non intenda attivarsi, anche per il tramite del commissario ad acta, per monitorare la ricollocazione della strumentazione, di cui in premessa, acquistata solo pochi mesi fa con utilizzo dei fondi europei POR e se non sia opportuno che tale strumentazione venga utilizzata dalla struttura per la quale è stata richiesta, affinché sia soddisfatta la motivazione addotta in sede di utilizzo dei suddetti fondi. (5-09022)
Interrogazione a risposta scritta:
PELLEGRINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
l'acufene è un suono continuo, costante (esempio fischi, ronzii, fruscii, crepitii, soffi e altro) percepito in un orecchio o in entrambi o nella testa. Questa patologia non è semplicemente un «disturbo molto fastidioso», come si usa spesso definirlo, ma una vera e propria malattia invalidante che affligge in Italia oltre il 10 per cento della popolazione;
l'articolo 32 della Costituzione precisa che la salute del cittadino deve essere tutelata, ma nulla si sta facendo concretamente in questa direzione;
vivere per mesi, anni, decenni, sentendo ininterrottamente nelle orecchie e nella testa rumori, anche multipli, che definire fastidiosi è riduttivo, è un vero e proprio stillicidio, che provoca uno stato invalidante dal punto di vista dell'assetto psicologico ed emozionale, del ritmo sonno-veglia, del livello di attenzione e concentrazione, della vita di relazione. Questi fattori portano spesso ad uno stato di forte depressione, a volte con risvolti drammatici, quali alla morte per suicidio;
la A.I.T.onlus (Associazione italiana tinnitus-acufene) si compone, ad oggi, di circa 2.000 iscritti, e i portatori di questo disturbo sono oltre i 5 milioni in tutta Italia. L'associazione riceve numerose telefonate da parte di persone che vengono colpite da questa malattia; numerosi sono anche gli spazi di discussione che si stanno creando su internet nei quali si cerca aiuto e si auspica che qualcosa o qualcuno intervenga per portare avanti la ricerca scientifica che a tutt'oggi è nulla –:
quali iniziative di intervento concreto il Ministro interrogato intenda intraprendere affinché si dia avvio a studi e ricerche su questa patologia al fine di assistere le persone affette da questo problema e dar loro speranza di cura. (4-13610)
SVILUPPO ECONOMICO
Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
secondo quanto riportato dal Governo, in Italia, il numero dei soli veicoli Volkswagen interessati dal cosiddetto «dieselgate» ammonterebbe a quasi 710 mila e per questo la procura di Torino ha aperto un'indagine per truffa, fascicolo poi inviato a Verona per competenza, assieme a quello per frode in commercio;
il Governo, in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-08110, ha informato gli interroganti della stipula nel dicembre 2015 di una convenzione con un non meglio specificato organismo indipendente «per regolare le attività congiunte di misurazione delle emissioni inquinanti dei motori diesel Euro 5b da condursi mediante prove in laboratorio e prove su strada»;
la campagna di test, di cui a oggi non si ha alcuna informazione in merito, secondo quanto sostenuto dal Governo in sede di risposta alla citata interrogazione, sarebbe partita nel gennaio 2016, e «costituirà elemento imprescindibile per calibrare al meglio la più ampia e capillare azione di controllo e verifica da condursi» al termine della quale a fronte di eventuali irregolarità «saranno irrogate le conseguenti sanzioni amministrative e eventuali sanzioni penali connesse a reati emersi a seguito di inchiesta giudiziaria». Gli importi delle sanzioni, alla luce delle dichiarazioni del rappresentante dell'esecutivo, non sarebbero considerati da reimpiegare per tutelare gli interessi e i diritti dei consumatori interessati o per risarcire gli stessi;
nella medesima risposta il Ministro ha segnalato l'emanazione del decreto dirigenziale 26 febbraio 2016 recante modalità e procedure per la campagna di test che però, secondo quanto sostenuto dallo stesso Ministro, sarebbe partita precedentemente, a gennaio 2016;
secondo quanto riportato dalla stampa nazionale (la Repubblica, 1o 2016) l'Unione europea avrebbe richiamato il Governo italiano a causa della mancata comunicazione dei risultati delle indagini che avrebbe dovuto svolgere sui veicoli manomessi in circolazione sul suolo nazionale;
dalle stesse fonti è possibile rilevare che il programma di richiami dei veicoli da parte della casa automobilistica sarebbe già stato avviato in Europa, verosimilmente anche in Italia, ma con un andamento estremamente lento, con circa 50 mila auto riparate a fronte dei milioni ancora da sanare;
la tutela del consumatore è uno dei principali compiti attribuiti al Ministero che, tra l'altro, dovrebbe assicurare una corretta informazione e formazione al cittadino e il rispetto del princìpio di trasparenza da parte delle imprese;
il Ministro o un suo delegato, infatti presiede il Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti (CNCU), organo rappresentativo delle associazioni dei consumatori e degli utenti a livello nazionale, che è stato istituito con la legge 30 luglio 1998, n. 281, confluita nel codice del consumo (decreto legislativo n. 206 del 2005), i cui sono finalizzati a contribuire al miglioramento e al rafforzamento della posizione del consumatore/utente nel mercato;
per assicurare la massima conoscenza sulle emissioni di CO2 delle autovetture, già la direttiva 1999/94/CEE, recepita in Italia con il decreto del Presidente della Repubblica 17 febbraio 2003, chiedeva agli Stati membri di pubblicare annualmente una guida sul risparmio di carburante e sulle emissioni di CO2 al fine di fornire ai consumatori informazioni utili per un acquisto consapevole di autovetture nuove, con lo scopo di contribuire alla riduzione delle emissioni di gas serra e al risparmio energetico, pubblicazione scaricabile dal sito internet del Ministero dello sviluppo economico;
secondo fonti di stampa (Corriete.it 26 settembre 2015) Volkswagen ha vinto una gara pubblica per la commessa di oltre novecento veicoli Seat Leo a in dotazione a polizia e carabinieri. Le vetture crebbero del modello interessato dalle manipolazioni sulle emissioni per cui la casa automobilistica avrebbe previsto il richiamo per le necessarie riparazioni;
negli Stati Uniti, a seguito dell'azione legale promossa dal dipartimento di Giustizia, nel gennaio 2016, la Volkswagen sarebbe giunta a stanziare 10 miliardi di dollari per un insieme di misure per riparare o togliere dalla strada mezzo milione di auto, nella proposta ancora in corso di valutazione, la riparazione è solamente una delle opzioni percorribili accolte dai proprietari, che potranno anche decidere di vendere a Volkswagen la propria vettura e terminare il lease in anticipo;
a tale scopo, la casa automobilistica avrebbe previsto 6,5 miliardi di dollari a favore dei consumatori e 3,5 al Governo americano;
in Italia la stessa casa produttrice avrebbe rifiutato un confronto con le associazioni dei consumatori, richiesto al fine di giungere a un accordo in favore degli automobilisti coinvolti, nonostante risulta che abbia avviato una campagna di richiamo delle auto interessate dallo scandalo al fine di effettuare modifiche per regolarizzarne le emissioni;
al momento, non c’è alcuna tabella di marcia su come questo potrebbe avvenire né garanzia che le riparazioni siano approvate dagli enti preposti –:
con riferimento alla convenzione stipulata il 14 dicembre 2015 dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, quale sia l'organismo indipendente incaricato di effettuare le suddette verifiche, nonché quali siano i criteri di individuazione del medesimo organismo, i costi dell'operazione finora sostenuti, le scadenze temporali entro cui l'organismo individuato dovrà dare riscontro dell'attività svolta e l'eventuale pubblicità che sarà data alle risultanze delle prove e alla relativa reportistica;
quali siano i risultati finora riscontrati nello svolgimento della predetta campagna e quali siano gli eventuali casi sanzionabili ai sensi della normativa vigente e con riferimento al decreto dirigenziale 26 febbraio 2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, 10 marzo 2016, n. 58;
se, con riferimento alla campagna di richiamo svolta da Volkswagen, il Governo non intenda verificare gli effetti delle riparazioni effettuate dalla casa automobilistica al fine di validarne i risultati;
quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di tutelare il diritto dei consumatori interessati dalle attività illecite che le case automobilistiche avrebbero condotto manipolando i risultati sulle emissioni inquinanti dei veicoli commerciati, ivi compresi i diritti dello Stato che, con riferimento alla gara per le auto in dotazione a polizia e carabinieri, è esso stesso consumatore.
(2-01407) «Crippa, Spessotto, Dell'Orco, De Lorenzis, Liuzzi, Nicola Bianchi, Carinelli, Paolo Nicolò Romano, Vallascas, Cancelleri, Da Villa, Della Valle, Fantinati, Cecconi».
Interrogazione a risposta immediata:
GIAMMANCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il Consorzio canavesano ambiente (Cca) e il commissario straordinario di Azienda servizi ambientali (Asa) hanno bandito nel dicembre del 2012 una gara a doppio oggetto, con la quale i concorrenti sono stati invitati, da una parte, a presentare un'offerta per l'acquisto del ramo rifiuti del precedente gestore (Consorzio Asa e Asa Servizi s.r.l.) e dall'altra a presentare un'offerta per l'esecuzione del servizio stesso;
aggiudicataria provvisoria del bando risultava, alla fine della gara, la Teknoservice s.r.l. di Piossasco seguita dall'associazione temporanea di imprese composta da San Germano Derichebourg/Ederambiente s.c.;
il Ministero dello sviluppo economico, analizzando le offerte dei due partecipanti, confermava l'esito della gara ed autorizzava la cessione del ramo d'azienda alla Teknoservice e, in subordine, all'associazione temporanea di imprese San Germano Derichebourg/Ederambiente qualora la Teknoservice non avesse ottemperato agli obblighi di gara;
la Teknoservice firmava il contratto da aggiudicataria definitiva a fine ottobre del 2013, con la presentazione di tre fideiussioni previste dal disciplinare di gara;
l'Istituto vigilanza sulle assicurazioni, nel dicembre 2013, bandiva la Onix asigurari, compagnia rumena che aveva prestato le garanzie proprio alla Teknoservice, dall'elenco compagnie autorizzate a rilasciare fideiussioni per enti pubblici;
nel gennaio 2014 la Ederambiente s.c. (oggi denominata Helix ambiente s.c.) inoltrava regolare richiesta di accesso agli atti per avere contezza del regolare svolgimento della fase successiva all'aggiudicazione definitiva;
a seguito di tale istruttoria si evinceva che per la gara a doppio oggetto (cessione di Asa e affidamento del servizio di igiene urbana nel territorio del Cca, compresi gli obblighi di mantenimento dei livelli occupazionali del personale dipendente) la Teknoservice aveva presentato delle fideiussioni definitive del consorzio Fidiroma di Torino;
ciò configurava una palese anomalia, perché il consorzio Fidiroma di Torino non risultava essere abilitato allo svolgimento dell'attività di rilascio di fideiussioni, come confermato dallo stesso soggetto preposto per legge al rilascio di tali abilitazioni e alla relativa vigilanza, ovvero la Banca d'Italia, la quale, in data 16 novembre 2012, aveva rilasciato una nota dalla quale risultava che “la società in oggetto non è mai stata abilitata allo svolgimento dell'attività di rilascio di garanzie nei confronti del pubblico e quindi alla prestazione della garanzia segnalata”;
a seguito di questa evidente anomalia l'associazione temporanea di imprese San Germano Derichebourg/Ederambiente procedeva a richiedere alla stazione appaltante e al commissario straordinario di agire in autotutela con l'annullamento dell'aggiudicazione definitiva a favore di Teknoservice e la conseguente aggiudicazione alle seconde classificate, così come stabilito inequivocabilmente dalla giurisprudenza e dal «codice appalti»;
si deve evidenziare che la grave illegittimità amministrativa era stata commessa quando erano ormai decorsi i termini per eventuali ricorsi al tribunale amministrativo regionale e che a seguito di esposto la procura di Torino ha aperto un fascicolo dove sono ipotizzati i reati di abuso d'ufficio e turbativa d'asta;
la stazione appaltante Cca non inoltrava alcuna risposta, motivo per cui la Ederambiente s.c. presentava quindi esposto all'Autorità nazionale anticorruzione per una valutazione definitiva sulla correttezza dell'operato della stazione appaltante in relazione all'intero procedimento;
l'Autorità nazionale anticorruzione apriva specifico fascicolo nel luglio 2014 e rilevava gravi ed insanabili anomalie, concludendo che: «nessun chiarimento, integrazione, né diversa motivazione potrà andare a sanatoria dell'illegittimità amministrativa riscontrata poiché Fidiroma non poteva rilasciare fideiussioni e pertanto è da considerare tamquam non esset, come se non esistesse»;
la mancata presentazione, o presentazione invalida, di una fideiussione definitiva nella stipula di un contratto è da considerarsi evidentemente, anche secondo la giurisprudenza, quale carenza insanabile e deve comportare l'immediata esclusione del concorrente con la relativa aggiudicazione a chi segue in graduatoria;
si aggiunga l'incomprensibile motivo per cui la Teknoservice sia stata obbligata, dal consorzio Canavesano e dal commissario stesso, a sostituire la polizza del consorzio Fidiroma con altra conforme a quella richiesta nel capitolato speciale d'appalto se gli stessi attori erano certi della regolarità della polizza del consorzio Fidiroma;
a conferma di ciò, il 31 marzo 2016, l'Autorità nazionale anticorruzione ha chiuso l'istruttoria riconoscendo di fatto la grave anomalia segnalata dall'Ederambiente s.c. (oggi Helix Ambiente s.c.), rigettando, una ad una, tutte le giustificazioni fornite dalla stazione appaltante, dal commissario straordinario e da Teknoservice stessa, mettendo altresì in discussione la serietà e la buona fede della Teknoservice;
l'Autorità nazionale anticorruzione ha altresì intimato al commissario e al Cca di comunicare entro 30 giorni le iniziative assunte a seguito della delibera (la n. 373 depositata il 31 marzo 2016), indirizzate a riparare le criticità riscontrate nel procedimento in questione e ad informare l'Autorità sull'andamento del servizio;
il Consorzio canavesano con lettera protocollo n. 91 del 29 aprile 2016 ha inviato all'Autorità nazionale anticorruzione un riepilogo della situazione generale, ma nello stesso non tratta minimamente, od evita strumentalmente, l'argomento relativo agli obbiettivi di raggiungimento della percentuale di raccolta differenziata previsti da legge (65 per cento);
i dati del territorio riferiscono infatti un risultato, dopo tre anni di appalto, ben inferiore a quanto disposto dalla legge nazionale;
a ciò si deve aggiungere che il capitolato d'appalto della gara a doppio oggetto prevedeva che, in caso di mancato raggiungimento degli obbiettivi di raccolta differenziata, i maggiori oneri di smaltimento sarebbero stati addebitati all'appaltatore;
anche questo punto nella relazione non viene discusso e non risulta quindi che siano mai state applicate all'aggiudicatario le penali previste dal capitolato con il possibile conseguente danno erariale, senza contare la moltitudine di altre minori anomalie segnalate, come, ad esempio, il sistema di rilevazione vuotature per l'applicazione della tariffa puntuale;
nella relazione la stazione appaltante si appella anche alla recente “legge Madia” ritenendo che sia ormai intervenuta la prescrizione di 18 mesi per un'azione in autotutela, dimenticando però che il contenzioso di fronte all'Autorità nazionale anticorruzione è stato aperto a luglio 2014, e cioè molto prima che intervenisse la possibile prescrizione;
la giurisprudenza del Consiglio di Stato e dell'adunanza plenaria assevera il diritto/dovere della pubblica amministrazione di avvalersi del proprio potere di annullamento in autotutela, se questo è finalizzato al ripristino della legalità amministrativa violata in occasione della stipula di un contratto a seguito di una procedura ad evidenza pubblica;
a questo si deve aggiungere che un contratto stipulato mediante presentazione di inidonea o non valida garanzia fideiussoria deve essere ritenuto nullo, neanche annullabile ma semplicemente come se non fosse mai esistito, senza che esso abbia mai prodotto effetti perché gli stessi non sarebbero dovuti esistere;
risulta altrettanto anomalo che sia la stazione appaltante ad appellarsi alla «legge Madia» quando la decisione finale spetta in realtà al Ministero dello sviluppo economico;
la gara a doppio oggetto prevedeva infatti, come evidenziato anche dall'Autorità nazionale anticorruzione, che l'affidamento del servizio fosse subordinato alla cessione del ramo d'azienda;
ne deriva che se questo è nullo anche il contestuale affidamento deve perdere la sua validità;
spetta quindi al Ministero dello sviluppo economico intervenire in autotutela a conclusione di un contenzioso che finalmente si è concluso dopo più di 600 giorni;
tale azione in autotutela di annullamento e di aggiudicazione ad altro partecipante della procedura di gara non comporterà in alcun modo problemi di igiene pubblica, né interruzione di pubblico servizio, in quanto resterà in capo alla Teknoservice l'obbligo di garantire la raccolta sino al nuovo subentro, così come sarebbe in caso di nuovo aggiudicatario a seguito di regolare procedura di gara espletata al termine del periodo contrattuale di sette anni;
è dovere, nonché volontà, da parte delle pubbliche amministrazioni il rispetto delle regole, anche nei confronti dei propri contribuenti, delle leggi e delle autorità competenti (Autorità nazionale anticorruzione) che vigilano sugli appalti di servizi –:
se il Ministro interrogato abbia intenzione nell'immediato di procedere con tutti gli strumenti in suo possesso affinché sia rispettata la legge, per ripristinare la legittimità amministrativa della gara in questione e sanare la palese anomalia riscontrata sia da Ederambiente s.c., sia dall'Autorità nazionale anticorruzione, anche attivando tutte le iniziative di sua competenza ai fini dell'annullamento in autotutela dell'aggiudicazione fatta a favore di Teknoservice e alla conseguente aggiudicazione alla seconda in graduatoria. (3-02345)
Interrogazione a risposta in Commissione:
CARRA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
si sta acuendo il problema tra i concessionari delle reti del gas e i comuni che rischia di creare contenziosi e problemi finanziari alle amministrazioni comunali;
il problema risulta essere molto esteso ed anche l'Anci in qualità di associazione nazionale dei comuni è intervenuta per sollevare all'attenzione del Governo o su quanto sta accadendo in merito al suddetto problema;
i concessionari della rete del gas sono stati individuati tramite gare effettuate dai comuni e tali concessioni sono scadute nel 2014;
da allora si è proseguito nel rapporto mediante regime di proroga, ma a partire dal 2015 in molte realtà i concessionari hanno smesso di pagare i tributi ai comuni creando notevoli problemi alle casse degli enti locali;
in riferimento al territorio della provincia di Mantova situazioni critiche si registrano a Pegognaga, Gonzaga e Motteggiana;
nel caso di Pegognaga, ad esempio, a fronte dei circa 300.000 euro che avrebbe dovuto incassare nel 2015, il Comune ne ha effettivamente incassati 120.000 e, nel caso in cui dovesse eventualmente perdere il ricorso dovrebbe, restituire anche i 120.000 incassati;
presso il comune di Gonzaga per l'anno 2015 mancano circa 250 mila euro di mancato introito derivante dalla concessione;
questo sta creando notevoli problemi finanziari e anche di rapporto con i soggetti erogatori di un servizio primario come la distribuzione del gas in quanto i comuni non possono procedere con nuove gare perché prima devono attendere l'individuazione, da parte del Ministero dello sviluppo economico, dei criteri standard e di valutazione dell'offerta e degli ambiti territoriali minimi –:
quali iniziative di competenza intenda promuovere in tempi rapidi affinché venga risolta tale situazione facendo cessare i contenziosi in essere e rivedendo l'intera normativa, in modo da restituire certezza alle amministrazioni comunali anche per quanto riguarda l'individuazione dei nuovi criteri di concessione della rete del gas. (5-09013)
Apposizione di una firma ad una mozione.
La mozione Ghizzoni e altri n. 1-01312, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Piccione.
Apposizione di una firma ad una interrogazione.
L'interrogazione a risposta scritta Zaratti n. 4-13603, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pilozzi.
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta in Commissione Vezzali n. 5-08698 del 17 maggio 2016;
interrogazione a risposta scritta Scotto n. 4-13283 del 23 maggio 2016.
INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA
BURTONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
nella giornata del 31 marzo 2014 sono stati rinvenuti in territorio di Pomarico tre cadaveri di lupi, un esemplare maschio adulto e due femmine;
quasi sicuramente i tre animali sono stati avvelenati in un luogo diverso e poi portati nel luogo del loro ritrovamento;
la presenza del lupo in Italia ha toccato il suo punto più basso agli inizi degli anni settanta. Una stima indicava che la popolazione si era ridotta a un centinaio di lupi, concentrati sui monti dell'Abruzzo e dell'appennino meridionale;
attualmente anche attraverso lo strumento delle leggi di protezione, il numero dei lupi è lentamente cresciuto e stime recenti lo calcolano in circa 600-700 esemplari;
la sua presenza riveste, infatti, un significativo ruolo nell'ambito dell'ecosistema e della biodiversità;
occorre porre in essere importanti iniziative di contrasto di questi fenomeni anche attraverso un miglioramento della regolamentazione degli indennizzi dei danni provocati dalla fauna protetta nonché attraverso una nuova politica di relazioni con istituzioni e operatori locali, compresi allevatori e agricoltori;
la perdita di tre esemplari di lupo è un gravissimo episodio che avviene in un comprensorio come quello della collina materana a cavallo di Bradano e Basento e a poca distanza da un'oasi naturalistica WWF quale quella della Diga di san Giuliano –:
se il Governo sia a conoscenza del grave fatto, criminale, compiuto ai danni di preziosi esemplari di fauna protetta, se non ritenga altresì opportuno, per quanto di competenza e per il tramite del Corpo forestale dello Stato e del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente anche al fine di istituire un coordinamento operativo, mettere in campo azioni concrete per coadiuvare, nel rispetto delle competenze della magistratura, le indagini in corso per trovare al più presto i responsabili del gesto e se, infine, non intenda rafforzare le misure di controllo nell'ambito del comprensorio in questione.
(4-04298)
Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla conservazione e gestione del lupo nel territorio di Pomarico, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
La conservazione e la gestione del lupo costituiscono un argomento che catalizza l'attenzione dei portatori di interesse e della società civile suscitando ampio dibattito in tutte le sedi; inoltre polarizza le posizioni su opposti schieramenti: da un lato, le ragioni di chi vede i danni provocati da questo predatore e, dall'altro, le ragioni di chi chiede la tutela di una specie protetta.
In questo contesto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è attivato per aggiornare il piano d'azione del lupo, risalente al 2002 e ormai superato. Questo anche grazie al fatto che, a seguito di anni di impegno e di risorse investite da parte delle amministrazioni pubbliche e di privati (non esiste alcuna specie protetta in Italia per la quale siano, state investite più risorse), lo stato di conservazione del lupo è oggi notevolmente migliorato (si stimano tra 1.000 e 2.000 animali contro i poco più di 100 all'inizio degli anni ’70). La più recente valutazione della Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura) per il lupo in Italia indica un rischio di estinzione inferiore rispetto al passato, dal momento che la specie non è più inserita nella categoria «in pericolo di estinzione», ma nella categoria inferiore di specie «vulnerabile».
L'aggiornamento del piano d'azione è basato sulle migliori conoscenze scientifiche, attraverso un percorso condotto in assoluta trasparenza tramite incontri tecnici di esperti, consultazione dei portatori di interesse (associazioni di protezione ambientale, associazioni agricole, rappresentanti delle aree protette, eccetera) e lavori del Comitato paritetico per la biodiversità, organismo di governance della Strategia nazionale della biodiversità al quale partecipano i misteri interessati, le regioni e le province autonome. Solo a seguito dell'approvazione da parte di tale comitato si chiederà alla conferenza Stato-regioni di esprimere l'intesa sul piano d'azione in questione.
Nella riunione del 17 febbraio 2016 il Comitato paritetico per la biodiversità ha condiviso la necessità di aggiornare il documento risalente al 2002. Si è anche riconosciuto che l'attuale bozza di «Piano di conservazione e di gestione del lupo in Italia» è stata redatta su solide basi tecnico-scientifiche, con il supporto dei migliori esperti in materia (una settantina di esperti hanno fornito dati e informazioni utili per la stesura del Piano).
Nel contempo si è condivisa l'esigenza di approfondire tutti gli aspetti del medesimo piano, al fine di adottare uno strumento che consenta di proteggere una specie di particolare pregio e che garantisca allo, stesso tempo una convivenza sostenibile con le attività antropiche, tra cui l'allevamento.
Nell'ambito delle misure volte a migliorare lo stato di conservazione del lupo, sono state oggetto, di approfondimento le ipotesi di deroghe al divieto di prelievo, secondo quanto previsto dalla direttiva « Habitat» e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, ponendo tuttavia una serie di prescrizioni più stringenti rispetto alla normativa vigente.
La competente direzione generale del Ministero ha raccolto i commenti da parte delle regioni, delle province autonome e dei ministeri, nonché delle associazioni ambientaliste, delle associazioni agricole, delle aree protette e di esperti. Un ulteriore importante momento di confronto è stato il meeting organizzato presso il Parco nazionale della Majella il giorno 8 aprile 2016, in cui sono state presentate le buone pratiche per il futuro del lupo in Italia.
Dai commenti e contributi ricevuti emerge un generale apprezzamento per l'iniziativa di procedere ad un rinnovato Piano nazionale per il lupo e consenso sull'impianto generale del piano e la sua articolazione. In estrema sintesi i contributi finora pervenuti suggeriscono miglioramenti puntuali e un approfondimento sul tema del ricorso alle deroghe, ritenute importanti da alcune regioni e per contro non risolutive da parte di altre.
La maggior parte delle osservazioni è stata recepita in quanto utile a chiarire concetti ed inserire precisazioni.
All'esito di questi aggiornamenti il piano prevede ora ventidue azioni, oltre a quella sulle deroghe che non si configura come un'azione in senso stretto perché costituisce una possibilità già prevista per legge, la cui operatività è peraltro stata subordinata alla realizzazione delle azioni relative alla prevenzione e all'indennizzo dei danni e alla condizione che la limitazione non comporti rischi per lo stato di conservazione della specie.
Per ogni azione sono indicati esplicitamente tempi, priorità, responsabili, programma, indicatori di realizzazione.
Le principali modifiche rispetto alla versione originale presentata al Comitato paritetico per la biodiversità riguardano le azioni di prevenzione e mitigazione dei danni al bestiame domestico, di controllo del randagismo e degli ibridi, di applicazione delle deroghe, di attività di antibracconaggio, di sensibilizzazione, divulgazione ed informazione. In particolare si evidenzia:
una nuova azione per contrastare il bracconaggio, mediante la costituzione di un nucleo dedicato alle attività investigative e repressive del bracconaggio;
revisione e rafforzamento delle sei misure di prevenzione, mitigazione dei conflitti, indennizzo dei danni, inclusa la valutazione della loro efficacia;
revisione e rafforzamento delle tre misure di sensibilizzazione, divulgazione e informazione;
rafforzamento dei vincoli per le deroghe al divieto di abbattimento di lupi, ivi inclusa la prescrizione della sua operatività solo a seguito dell'attuazione dell'azione relativa a indennizzo dei danni, sussidi e incentivi.
Con riferimento alle informazioni circolate anche attraverso gli organi di stampa, si specifica che nella bozza del piano non è prevista alcuna quota di abbattimenti autorizzati a priori (concetto contrario alla direttiva « Habitat», alla normativa nazionale e totalmente estraneo al piano) e in nessun punto del piano si fa riferimento all'abbattimento di cani-lupo e cani randagi né all'interno delle aree protette né al di fuori. È fissata invece una precisa autolimitazione alle possibilità di deroga per il controllo del lupo già consentite dalla normativa vigente. Per contro, il nuovo piano d'azione di prossima emanazione stabilisce azioni mirate a migliorare le attività di antibracconaggio, di prevenzione ed indennizzo dei danni, di informazione e sensibilizzazione.
Come concordato nella citata riunione del 17 febbraio 2016, la competente direzione generale del Ministero ha quindi recentemente inviato la nuova versione del «Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia» al Comitato paritetico per la biodiversità per un'ulteriore verifica e per approvazione con procedura on-line da concludersi entro il 13 maggio 2016, a seguito della quale si provvederà ad inviare tutta la documentazione alla conferenza Stato-regioni.
Con riferimento ai quesiti posti dall'interrogante, si precisa infine che il Governo è a conoscenza dei fatti riportati e benché il numero di lupi in Italia sia maggiore di quanto indicato nell'interrogazione, come già citato in precedenza, sulla base dei commenti pervenuti dopo la riunione del comitato paritetico del 17 febbraio 2016, la nuova versione del piano prevede un rafforzamento delle azioni contro il bracconaggio nel senso richiesto dall'interrogante, tra le quali la costituzione a livello nazionale di un apposito nucleo operativo e di un coordinamento dedicato nonché l'istituzione di nuclei operativi regionali con cani addestrati al rilievo dei bocconi avvelenati.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.
LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
negli ultimi 15 anni, le attività commerciali del signor Luigi Leonardi e della sua famiglia hanno vissuto, nella provincia di Napoli, continui e gravissimi problemi a causa delle reiterate richieste estorsive da parte della criminalità organizzata. Tutto ciò, negli anni, ha condotto al ripetuto fallimento di tali attività e a grosse problematiche finanziarie per il signor Leonardi e la sua famiglia;
da alcuni anni la ribellione del signor Leonardi nei confronti di questo tipo di richieste ha portato una serie di conseguenze molto pesanti sulla sua vita personale, nonché a continue minacce molto gravi più volte denunciate dallo stesso Leonardi;
in particolare, in data 2 novembre 2009 è stato appiccato il fuoco nei locali della società «Lucignolo Illuminazioni» di cui il signor Leonardi era l'amministratore di fatto;
i signori C. e Leonardi depositavano in data febbraio 2010 una richiesta di accesso al fondo anti-racket. Tale richiesta veniva rigettata con decreto n. 400 del 2012;
il signor Leonardi, il 30 luglio 2014, ha pertanto ripresentato istanza al Commissario straordinario di Governo per il coordinamento delle iniziative anti-racket ed antiusura affinché il decreto di rigetto n. 400 del 2012 venga riesaminato e sia disposto l'accesso del signor Leonardi al Fondo di solidarietà per le vittime del racket e dell'usura per un importo pari al danno subito quantificato e affinché venga altresì autorizzata la corresponsione di una provvisionale pari al 70 per cento del danno subito in conseguenza del fatto delittuoso avvenuto in data 2 novembre 2009 –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto evidenziato in premessa;
se il Ministro interrogato non ritenga doveroso assumere provvedimenti a tutela della incolumità del signor Leonardi e dei suoi familiari e se la richiesta di accesso al fondo di solidarietà per le vittime del racket e dell'usura non sia meritevole di accoglimento. (4-05809)
LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
come si apprende dai mezzi di informazione e secondo quanto denunciato dalla Associazione nazionale di lotta contro le illegalità e le mafie «Antonino Caponnetto», lo scorso 18 febbraio 2015, il testimone di giustizia Luigi Leonardi, recatosi alla prefettura di Caserta per richiedere copia degli atti riguardanti il rigetto della sua richiesta di sostegno in quanto vittima di racket, al fine di presentare ricorso nei limitati tempi previsti dalla norma, ha ricevuto un netto rifiuto. L'addetto gli ha risposto che la fotocopiatrice era guasta, mancava perfino la carta e comunque ieri «non avevano tempo» per evadere la sua richiesta;
subito dopo Luigi Leonardi si è presentato alla stazione dei Carabinieri di Marcianise (Caserta), dove ha denunciato il fatto. «Adesso, con una scadenza che pende come una spada — si legge nella denuncia — attendo che la Prefettura si decida a comprare una fotocopiatrice e una risma di carta, e a trovare tra i vari addetti che affollavano la sala del caffè e il corridoio, a parte qualcuno, un santo che faccia le fotocopie e mi dia la possibilità di far valere i miei diritti in un sistema incancrenito dalle mafie»;
si tratta di una vicenda molto triste e preoccupante, che conferma una vergognosa disattenzione dello Stato nei confronti di uomini e donne che per il solo fatto di aver adempiuto al loro dovere, hanno sacrificato la loro esistenza;
poche ore dopo il lancio dell'appello da parte dell'Associazione «Antonino Caponnetto», il prefetto di Caserta ha contattato il presidente dell'Associazione medesima, Elvio Di Cesare, comunicandogli che le copie richieste da Leonardi erano pronte;
tuttavia, non è ben chiaro per quale motivo un cittadino per vedersi riconosciuto un diritto elementare come il rilascio della copia degli atti relativi ad una sua richiesta ha dovuto rivolgersi ad una Associazione attiva nella lotta alla mafia –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda descritta in premessa e quale sia il suo intendimento in merito;
se il Ministro interrogato non ritenga di doversi attivare, nell'ambito delle sue competenze, affinché simili situazioni non abbiano a ripetersi;
se il Ministro interrogato non ritenga doveroso assumere provvedimenti a tutela della incolumità del signor Leonardi e se la richiesta di accesso al fondo di solidarietà per le vittime del racket e dell'usura non sia meritevole di accoglimento.
(4-08101)
Risposta. — Nell'agosto 2012 il commissario straordinario antiracket ha respinto l'istanza del signor Luigi Leonardi volta ad ottenere l'accesso al «Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura», in relazione ad una serie di eventi estorsivi culminati con l'incendio della sede dell'esercizio commerciale «Lucignolo Illuminazione» ad Aversa, in provincia di Caserta.
Il rigetto dell'istanza era motivato dal fatto che il richiedente non è risultato in possesso del requisito soggettivo previsto dell'articolo 3, comma 1, della legge n. 44 del 1999, cioè della qualifica di imprenditore.
Successivamente, il signor Leonardi ha formalizzato due richieste di riesame dell'istanza (la prima nel dicembre 2012, la seconda nel luglio 2014) imperniate sull'asserita sussistenza della qualità di «imprenditore di fatto».
Il Commissario antiracket, non riscontrando nelle istanze elementi di novità tali da consentire una diversa valutazione delle circostanze, le ha rigettate entrambe.
Come riferito nell'interrogazione, il 18 febbraio del 2015 il signor Leonardi, allo scopo di adire il tribunale amministrativo regionale competente avverso le decisioni negative, ha presentato, presso l'Ufficio ricezione dell'archivio generale della Prefettura di Caserta, una richiesta di accesso agli atti con acquisizione di copia della documentazione annessa al fascicolo riguardante la sua posizione.
In tale sede, ha rivolto al funzionario incaricato un'istanza verbale di consegna immediata degli atti in questione, giustificando la richiesta con il limitato tempo a sua disposizione per formalizzare il ricorso ai TAR.
Il funzionario, considerato l'elevato numero di atti da selezionare e la copiosa riproduzione da effettuare, ha manifestato perplessità sulla subitanea consegna della documentazione.
A quel punto, il signor Leonardi, pur di ottenere in tempi brevissimi le copie richieste, si è offerto lui stesso di far duplicare i documenti al di fuori dell'ufficio, facendosi scortare da un agente di polizia. Ciò previa consegna dell'intero carteggio, che avrebbe restituito una volta terminata la copia degli atti.
Solo a questa richiesta, il funzionario incaricato ha opposto un rifiuto, non potendo consentire che un fascicolo di ufficio, peraltro contenente atti riservati e dati sensibili, potesse essere portato fuori dalla Prefettura da persona diversa dai dipendenti abilitati.
I due, alla fine, hanno concordato che la consegna della documentazione avvenisse il 23 febbraio 2015.
Ciononostante il 19 febbraio 2015, cioè il giorno successivo alla richiesta, il signor Leonardi ha sporto, presso il Comando stazione carabinieri di Marcianise, una denuncia nei confronti del predetto funzionario per presunte inadempienze. Qualche giorno dopo, il 23 febbraio 2015, un rappresentante dell'Associazione nazionale di lotta contro le illegalità e le mafie Antonino Caponnetto ha contattato telefonicamente il Prefetto di Caserta, lamentando la lesione dei diritti del signor Leonardi.
Il prefetto ha richiamato le ragioni che avevano impedito l'evasione a vista della richiesta di accesso e, dopo aver effettuato le verifiche del caso, ha comunicato al rappresentante dell'Associazione che – come concordato tra le parti – le fotocopie (in numero di 246) erano pronte per la consegna al signor Leonardi, che l'indomani ha provveduto a ritirarle.
Si soggiunge che il 21 aprile 2015 il signor Leonardi ha presentato ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso il decreto commissariale di rigetto dell'istanza di accesso al citato fondo di solidarietà. Il gravame è pendente.
Per completezza d'informazione, si comunica inoltre che, in anni precedenti a questi fatti, il signor Leonardi aveva già denunciato alle forze dell'ordine di Castello di Cisterna, in provincia di Napoli, dei tentativi di estorsione a causa di una precedente attività commerciale allora gestita e poi passata di mano, consentendo con la propria testimonianza, anche in sede processuale, l'identificazione e la condanna dei responsabili.
All'epoca, l'uomo aveva presentato alla Prefettura di Napoli un'istanza di accesso al fondo di solidarietà per le vittime dell'estorsione e dell'usura. Il procedimento si era concluso con la concessione di beneficio economico, disposto dal Commissario straordinario antiracket con decreto dell'8 febbraio 2013.
Per quanto concerne, invece, i provvedimenti a tutela dell'incolumità di Luigi Leonardi assunti da questa Amministrazione, si informa che lo stesso, su disposizione del prefetto di Caserta, è risultato destinatario della misura della vigilanza radiocollegata generica presso l'abitazione e il negozio dal 3 giugno 2009. Il 2 novembre 2009, a seguito dell'incendio del negozio – incendio rimasto di matrice sconosciuta – la vigilanza generica radiocollegata è stata intensificata. Il 7 luglio 2010, la misura è stata revocata per il trasferimento dell'interessato a Cava de’ Tirreni, in provincia di Salerno.
Qui, su disposizione del prefetto di Salerno, il signor Leonardi è stato destinatario di una misura preventiva di vigilanza fino al marzo del 2014. A decorrere dall'aprile 2012, il prefetto di Napoli ha disposto – in aggiunta – l'attivazione della misura della vigilanza generica radiocollegata presso l'esercizio commerciale «Arcobaleno» di Pompei, luogo di lavoro dell'uomo.
Nel settembre 2014, il signor Leonardi si è trasferito nel comune di Capodrise, in provincia di Caserta, dove attualmente risiede.
In seguito a ciò, la prefettura di Caserta, ricevuta dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Napoli-Direzione distrettuale antimafia la richiesta di adozione di ordinarie misure di protezione nei riguardi, ha nuovamente disposto in via precauzionale la misura della vigilanza generica radiocollegata all'abitazione presso quel comune. La misura è stata poi ratificata nella Riunione di coordinamento delle Forze di polizia del 13 agosto 2015.
In atto il signor Leonardi è sottoposto a speciali misure di protezione ai sensi della legge n. 82 del 1991, su proposta della direzione distrettuale antimafia di Napoli.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.
MARCO DI MAIO, LATTUCA e MOLEA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
secondo un recente studio del Censis, negli ultimi dieci anni, tra il 2004 e il 2013, il numero dei furti in abitazione nella provincia di Forlì-Cesena è aumentato del 312,9 per cento risultando la prima provincia italiana;
da una parte continuano ad incrementarsi i tagli alle risorse e dall'altra le emergenze continuano ad aumentare, in questo modo, si rischia di provocare il blocco del sistema che deve garantire la sicurezza a tutti i cittadini;
il numero dei poliziotti operanti sul territorio della provincia di Forlì-Cesena si è drasticamente ridotto, negli ultimi cinque anni si è avuto un decremento vicino al 10 per cento. Inoltre l'età media del personale è prossima ai 50 anni e nei prossimi 2/3 anni sono previsti ulteriori pensionamenti;
a ciò si aggiunga la cronica mancanza di mezzi e dotazioni per le forze di polizia e per i Carabinieri, mezzi ad oggi insufficienti per garantire la continuità dei servizi istituzionali della specialità;
le forze dell'ordine oltre ad essere impiegate in funzioni di ordine pubblico, si occupano anche di varie attività istituzionali: porto d'armi, licenze, vigilanza e con l'aumento delle misure alternative alla detenzione sono aumentati anche i casi di attività investigativa;
questi atti di microcriminalità a lungo andare possono avere un effetto pernicioso per quanto riguarda la percezione della sicurezza sia privata che cittadina –:
se siano previste misure per prevenire e contrastare in maniera più efficace tali atti di criminalità che stanno investendo il nostro Paese, anche attraverso iniziative normative;
se non ritenga di procedere al più presto all'incremento della dotazione organica del presidio provinciale, d'intesa anche con il Ministero della difesa per i corpi di propria competenza. (4-08360)
Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante unitamente ad altri deputati, chiede al Ministro dell'interno l'adozione di iniziative dirette a fronteggiare la carenza di organico della questura di Forlì Cesena, anche in ragione del fatto che negli ultimi 10 anni in quella provincia si è registrato un forte incremento dei furti in abitazione.
Si rappresenta preliminarmente che la recrudescenza dei reati predatori è stata oggetto di approfondita analisi nel corso di varie sedute del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica e di varie Riunioni tecniche di coordinamento delle forze di polizia, al fine di individuare ed approntare le misure di contrasto e prevenzione necessarie.
In tale direzione, i responsabili delle forze di polizia hanno provveduto ad intensificare le attività di controllo del territorio, con reiterati servizi a carattere straordinario, specie nelle fasce orarie più a rischio, grazie anche all'ausilio di aliquote regionali del Reparto prevenzione crimine della Polizia di Stato e della Compagnia di intervento operativo dell'Arma dei carabinieri.
Le misure adottate hanno consentito di far registrare risultati, riferiti al primo trimestre 2016, che fanno intravedere un lieve miglioramento nell'andamento dei furti nel comune capoluogo. Si tratta, comunque, di risultati da valutare con prudenza, per verificarne l'eventuale e auspicabile consolidamento su un periodo temporale più lungo.
In merito alla questione delle dotazioni organiche, si evidenzia che il dispositivo della polizia di Stato presente nella provincia di Forlì Cesena si compone di 420 appartenenti ai vari ruoli operativi, che riescono a garantire tutti i servizi ordinari, con riguardo anche ai servizi di vigilanza fissa e ai servizi di prevenzione e controllo del territorio, senza trascurare gli impegni legati all'ordine pubblico.
Quanto all'incremento di tale contingente, si evidenzia che, in occasione dell'assegnazione degli agenti di nuova nomina dello scorso novembre, per intuibili ragioni si è data priorità alle esigenze di sicurezza straordinarie connesse allo svolgimento del Giubileo della misericordia. Pertanto, le nuove leve sono state destinate nella quasi totalità agli uffici e comandi di Roma Capitale e degli altri luoghi di culto coinvolti nell'evento.
Si fa presente, tuttavia, che l'anno corrente ha portato con sé una misura di estremo rilievo in tema di assunzione del personale delle forze di polizia.
Dopo oltre un decennio di blocco parziale legato alle varie manovre di contenimento della spesa pubblica, il turn over è stato ripristinato nella sua totalità.
Questa misura permetterà nei prossimi mesi, e segnatamente al termine del Giubileo, di procedere al reintegro degli organici degli uffici di polizia distribuiti sul territorio nazionale, garantendo un'adeguata risposta al bisogno primario di sicurezza manifestato dai cittadini. In tale occasione, potranno essere valutate eventuali assegnazioni anche alla questura di Forlì-Cesena, compatibilmente con le risorse disponibili e le necessità degli uffici di polizia a livello nazionale.
Il Viceministro dell'interno: Filippo Bubbico.
FITZGERALD NISSOLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
la rete diplomatico-consolare per espletare al meglio le proprie funzioni si avvale, oltre che del personale di ruolo del Maeci, anche di personale a contratto, che risulta essenziale per il buon funzionamento degli uffici;
anche presso le sedi diplomatico-consolari italiane negli USA opera personale a contratto che svolge con professionalità ed alto spirito di servizio il proprio lavoro venendo incontro, nel miglior modo possibile, alle esigenze dei connazionali residenti in USA;
detto personale a contratto non ha avuto alcun aumento retributivo da circa 15 anni, mentre il costo della vita negli USA risulta essere aumentato ed i costi della sanità e della scuola sono decisamente più rilevanti che in altri Paesi;
quanto avvenuto ha comportato disagio per questi impiegati a contratto che registrano limitazioni alla copertura sanitaria da parte dell'amministrazione ed, in particolare, l'eliminazione della copertura assicurativa dentistica;
risulta, ad oggi, che l'amministrazione del Maeci abbia dato comunicazione circa le percentuali di adeguamento retributivo per i lavoratori operanti nei Paesi oggetto di vistosi ritardi su questo fronte, e tra questi emerge un aumento del 5 per cento in capo agli impiegati negli USA, un aumento che risulta, a giudizio dell'interrogante, nettamente insufficiente per colmare il ritardo in corso;
inoltre, sul piano previdenziale, si registra una insufficienza della percentuale della contribuzione ammessa sulla retribuzione complessiva, cosa che non permette di garantire un trattamento pensionistico giusto e sufficiente;
negli USA, coloro che lavorano per un Governo straniero e non sono cittadini americani non possono effettuare versamenti alla social security per cui rischiano di non avere la necessaria copertura sanitaria –:
quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per venire incontro alle necessità di tale categoria di lavoratori sia sul piano dell'adeguamento salariale sia sul piano dell'impegno a modificare la convenzione di sicurezza sociale Italia-USA, contemplando la possibilità, per detti lavoratori, di effettuare versamenti alla social security americana. (4-12900)
Risposta. — La Farnesina è ben consapevole del ruolo essenziale svolto dal personale a contratto nell'attività degli Uffici diplomatico-consolari italiani negli Stati Uniti d'America ed è impegnata a garantire a tale categoria professionale i diritti e le tutele previste dal nostro ordinamento e dalla normativa ad essa applicabile.
In tale ottica, si conferma che la Farnesina ha recentemente accordato, con decorrenza 1o aprile 2016, un adeguamento retributivo del 5 per cento per tutti gli impiegati a legge locale e a legge italiana post 97, accogliendo la richiesta avanzata in tal senso dall'Ambasciata d'Italia a Washington nel 2015. Tale aumento è stato deciso sulla base della normativa vigente, che vincola la revisione dei trattamenti economici del personale a contratto degli uffici del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale all'estero al variare di alcuni parametri, di cui il principale è rappresentato dalla comparazione con le retribuzioni offerte da altre rappresentanze diplomatiche-consolari, in particolare quelle dell'Unione europea, e da organizzazioni internazionali operanti nella stessa Sede. Si tiene poi conto delle condizioni del mercato del lavoro locale e dell'andamento del costo della vita. La Farnesina è pertanto tenuta a vagliare attentamente ogni richiesta di adeguamento salariale proveniente dalla rete all'estero alla luce di questi criteri e in base alle limitate risorse disponibili, verificando la sostenibilità della spesa sul medio periodo e definendo una scala di priorità volta in primo luogo ad alleviare le situazioni più critiche. Alla luce di queste considerazioni, gli Stati Uniti sono stati inclusi nella recente tornata di aumenti retributivi, del valore di 1.050.000 euro, che ha interessato complessivamente 500 dipendenti in 29 Paesi.
Premesso ciò, occorre tuttavia tenere presente il diverso regime contrattuale degli impiegati a legge locale rispetto a quelli a legge italiana. Questi ultimi – che rappresentano una categoria ad esaurimento, a seguito della complessiva riforma operata dal decreto legislativo, 103 del 2000 – godono della copertura sanitaria nei limiti delle prestazioni garantite dal Sistema sanitario nazionale (Ssn) per i cittadini italiani (le spese sono sostenute dal Ministero della salute, tramite una convenzione stipulata con una compagnia americana) e della tutela previdenziale, garantita dall'iscrizione all'Inps. I relativi contributi sono commisurati a una retribuzione convenzionale rivalutata annualmente sulla base degli indici del costo della vita in Italia. La Farnesina, su richiesta dei dipendenti negli Usa, ha avviato nel 2016 un tavolo negoziale con il Ministero del lavoro e con quello dell'economia e delle finanze al fine di giungere ad una revisione delle summenzionate retribuzioni convenzionali.
Il regime contrattuale del personale a contratto locale è invece regolato dalla normativa americana, con le ulteriori garanzie offerte dalla legislazione italiana (decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967), le quali fanno sì che i dipendenti degli uffici diplomatico/consolari italiani negli USA beneficino di un trattamento più favorevole rispetto ad altri lavoratori locali. Essi godono infatti di un'assicurazione sanitari, nei limiti previsti dal Sistema sanitario nazionale, secondo modalità differenziate per gli impiegati iscritti all'Inps (copertura assicurata nelle stesse forme previste per il personale a legge italiana) e per quelli che non lo sono (copertura a carico della Farnesina, con polizza sanitaria contratta con una compagnia americana e attiva dal 1o gennaio 2016). Sul piano previdenziale, l'articolo 158 del decreto del Presidente della Repubblica 18 del 1967 prevede le seguenti forme di tutela: iscrizione al Social Security Fund per coloro che sono in possesso della cittadinanza americana (la Farnesina versa il 50 per cento dei contributi totali, nonostante la legge americana preveda che i contributi siano integralmente a carico del lavoratore); copertura tramite assicurazione privata per gli impiegati cittadini di Paesi terzi (con contribuzione ripartita a metà tra amministrazione ed impiegato); iscrizione all'Inps su richiesta degli impiegati che hanno la cittadinanza italiana. In quest'ultimo caso, i contributi sono calcolati sul 50 per cento della retribuzione, sulla base dell'equivalenza tra base contributiva e base imponibile (fissata al della retribuzione per i soggetti Irpef), ma si sta valutando da parte della Farnesina una soluzione che permetta, per coloro che sono soggetti al fisco americano, un aumento della contribuzione previdenziale da calcolare sul 100 per cento della retribuzione.
Alla luce di quanto sopra esposto, si evidenzia il forte impegno della Farnesina al fine di superare le criticità attuali e fornire riscontro alle aspettative del personale a contratto, attraverso l'attuazione di varie iniziative sul piano dell'adeguamento retributivo, nonché sul fronte sanitario e previdenziale. Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale è altresì pronto ad esaminare tempestivamente eventuali istanze di modifica del contratto del personale a legge locale che siano motivate da aggiornamenti delle pertinenti norme USA.
Con riferimento, infine, all'Accordo di sicurezza sociale tra Italia e Stati Uniti, in vigore dal 1o novembre 1978, il Governo ha intenzione di promuoverne la revisione, al fine di adeguare il testo ai cambiamenti intervenuti nella legislazione dei due Paesi e al mutato scenario migratorio. Nel corso del negoziato, si verificherà in particolare la disponibilità della controparte americana ad estendere le tutele previdenziali a categorie di lavoratori finora escluse, come i dipendenti pubblici, in modo che possano totalizzare i contributi versati nei due Paesi, come già avviene per quelli del settore privato.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Benedetto Della Vedova.
GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
da alcuni siti web, come milanotoday e Il Giorno – Legnano, si apprende un allarme per la presenza di amianto nel comune di Canegrate, in due luoghi pubblici: i colombari del cimitero civico e la tettoia della biglietteria del campo sportivo di via Terni; tale situazione è stata segnalata – si legge anche dai siti web – da alcuni consiglieri comunali del Gruppo «Nuova Canegrate» nell'ambito delle attività di sindacato ispettivo;
sulla base della legge n. 17 del 2003 della regione Lombardia, il comune di Canegrate ha avviato il censimento di tutte le fonti di amianto che coinvolge tutti gli edifici pubblici, produttivi/commerciali e privati, obbligando i proprietari a comunicare la presenza di amianto con appositi moduli identificativi;
tuttavia, da quanto si apprende dai media i moduli compilati dallo stesso comune di Canegrate per la quantificazione dell'indice di degrado risulterebbero incongruenti e non conformi alla data della realizzazione delle citate strutture, che risalgono agli anni ’60; ciò ha comportato un obbligo di bonifica per il comune entro 3 anni, in luogo dei 12 mesi previsti appunto per la rimozione dell'amianto messo in posa negli anni ’60 –:
se il Ministro intenda interessarsi per appurare, anche attraverso il comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente e il comando dei carabinieri per la tutela della salute, eventuali rischi per la salute dei cittadini di Canegate dovute alla presenza di amianto nelle strutture pubbliche, anche e soprattutto per la segnalata presenza di incongruenze nella documentazione proposta dell'amministrazione comunale che comportano ritardi alla celere rimozione e adeguato smaltimento di tale rifiuto pericoloso. (4-08745)
Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla presenza di amianto presso due luoghi pubblici costituiti dai colombari del cimitero civico e dalla tettoia della biglietteria del campo sportivo di via Terni, ubicati nel comune di Canegrate (Milano), sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali, si rappresenta quanto segue.
Nella documentazione predisposta dal suddetto comune in relazione al censimento degli edifici contenenti fonti di amianto sono state evidenziate alcune possibili incongruenze (per esempio, i dati per il calcolo dell'indice di degrado), che avrebbero potuto essere causa di ritardi nell'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza/bonifica delle aree interessate.
Al riguardo, nel febbraio 2016 la competente direzione generale del Ministero dall'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha richiesto alla regione Lombardia di condurre, con l'urgenza del caso, le seguenti attività:
effettuare verifiche nelle aree segnalate, con particolare riferimento alla valutazione dello stato di conservazione delle strutture contenenti amianto, ai fini dell'eventuale inserimento delle aree medesime nella banca dati e della corretta quantificazione dei parametri finalizzati all'individuazione degli interventi prioritari;
trasmettere informazioni sui provvedimenti adottati/previsti per la messa in sicurezza/bonifica di tali aree.
Nell'aprile 2016 la regione Lombardia ha trasmesso i riscontri richiesti, comunicando che:
gli interventi di rimozione della copertura in eternit della tettoia della biglietteria del centro sportivo «Sandro Pertini», ubicato in via Terni n. 1, sono stati eseguiti e terminati in data 20 aprile 2015, come comunicato alla ASL Milano 1 – dipartimento di prevenzione medica;
in merito ai materiali di copertura dei colombari del cimitero civico, in data 19 gennaio 2015 è stato trasmesso al suddetto dipartimento della Asl un aggiornamento del documento di valutazione del parametro Indice di degrado (Id) sulla base dello stato di conservazione ed in considerazione della vetustà, a seguito di approfondimento della documentazione tecnica agli atti: da tale aggiornamento risulta che l'Id e pari a 36, pertanto gli interventi di bonifica dei manufatti devono essere eseguiti entro i tre anni successivi all'indagine;
gli edifici di proprietà comunale, oggetto della segnalazione, sono stati censiti in base alla legislazione regionale vigente nel 2013 ed inseriti nell'applicativo regionale dedicato.
Alla luce di quanto sopra riportato, sarà cura della competente direzione generale del Ministero dell'ambiente continuare a monitorare il caso segnalato e collaborare con gli Enti territoriali competenti al fine di giungere nel più breve tempo possibile alla risoluzione delle problematiche in argomento.
Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.
SAMMARCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
il prefetto di Roma, con proprio atto (prot. 9808 2015/URPG del 14 gennaio 2015), ha disposto il commissariamento, ai sensi dell'articolo 25 del codice civile, della Fondazione accademia nazionale di danza (FAND), istituto privato fondato da Eugenia Borissenko (in arte, Jia Ruskaja) ed eretto ad ente morale con il 14 gennaio 1963 n. 925, nominando al tempo stesso commissario straordinario la dottoressa Giovanna Cassese, la quale è già commissario straordinario dell'Accademia nazionale di danza (AND);
in due atti di sindacato ispettivo rivolti al Ministro dell'interno e al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca (interrogazione a risposta orale 3-01236 e interpellanza 2-00840, cui integralmente ci si richiama) sono state segnalate le innumerevoli anomalie della procedura di commissariamento e la totale mancanza dei requisiti in base ai quali il prefetto può procedere al commissariamento di una fondazione privata;
negli stessi giorni in cui è stato disposto il commissariamento, la Fondazione accademia nazionale di danza, grazie alla sua meritoria attività in campo nazionale ed internazionale svolta nell'ambito del premio «Jia Ruskaja», non soltanto ha ricevuto un elogio del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo con l'augurio di proseguire nella sua attività, ma anche è stata insignita dal Presidente della Repubblica della medaglia al valore per i rapporti con la società civile; ne consegue che è stato commissariato un ente di diritto privato la cui attività è riconosciuta come fonte di lustro del nostro Paese;
l'atto di commissariamento a firma dell'ex prefetto Giuseppe Pecoraro è stato impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica;
il commissario della FAND, dottoressa Giovanna Cassese, peraltro oberata dal compito di riordinare la complessa situazione amministrativa, economia e didattica dell'Accademia nazionale di danza, ad avviso dell'interrogante non ha adottato, durante il suo mandato, alcun atto significativo, inclusi quelli indicati nel decreto di commissariamento;
il 31 luglio 2015 il commissariamento della FAND è scaduto –:
se, in applicazione del vigente statuto della FAND, non si ritenga opportuno consentire al gruppo dirigente uscente della Fondazione, destinatario del commissariamento benché dimessosi anteriormente alla sua adozione, di riprendere l'ordinaria gestione ed amministrazione, al fine di dare corso al rinnovo del consiglio di amministrazione, i cui componenti sono nominati dall'Accademia nazionale di danza, dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dalla regione Lazio, dalla provincia e dal comune di Roma. (4-10170)
SAMMARCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
con l'interpellanza n. 2-00840, tuttora senza risposta, sono stati sollevati numerosi dubbi sulla correttezza, sia in termini di legalità che di opportunità, del commissariamento della Fondazione Accademia nazionale di danza (FAND) adottato da prefetto di Roma il 14 gennaio 2015;
il 9 luglio 2015 il commissariamento è stato rinnovato per ulteriori sei mesi in forza della «complessa situazione economico finanziaria, del numero elevato di contenziosi, nonché per la puntuale verifica delle posizioni debitorie pendenti»;
nell'interpellanza n. 2-00840 si era tentato di spiegare che la gran parte dei contenziosi era con l'Accademia nazionale di danza (AND) e che gran parte dell'esposizione debitoria era stata determinata dal fatto che AND aveva considerato FAND una sorta di «bad company», dove scaricare i propri errori gestionali, come dimostrato in innumerevoli atti di sindacati ispettivo degli ultimi anni;
nell'interpellanza n. 2-00840 si era tentato di spiegare che era in corso un significativo processo di risanamento economico finanziario della FAND (come risulta dai bilanci depositati) e che non era affatto venuto a mancare il supporto di FAND all'attività di AND;
l'unico reale motivo del commissariamento, peraltro evidenziato nella nota della prefettura di avvio del relativo procedimento, è consistito nel tentativo di trasferimento, operato dal precedente gruppo dirigente di FAND, della sede da Roma a Siracusa, tentativo, peraltro adottato nel rispetto dello statuto approvato a suo tempo dal prefetto stesso, che è stato bloccato dal commissariamento stesso;
giova peraltro ricordare che la stessa commissaria professoressa Cassese, nella relazione sulla sua attività di commissario anche dell'AND, ha sostanzialmente rilevato che la sede della FAND era ed è collocata, «nell'appartamento del custode degli edifici dell'Accademia: collocazione che non risulta a statuto ed è quindi secondo l'interrogante priva di valenza giuridica;
l'atto di rinnovo del commissariamento fa espresso riferimento alla possibile sussistenza dei presupposti dell'articolo 27 del codice civile per lo scioglimento;
si osserva a questo proposito, quanto già osservato con l'interpellanza n. 2-00840 e cioè che il tentativo di chiudere le partite pregresse tra AND e FAND, mediante scioglimento e incorporazione di quest'ultima nella prima, costituisce a giudizio dell'interrogante, oltre che un atto di dubbia legittimità, anche un atto in contrasto con il legato testamentario della fondatrice di entrambe gli organismi, Jia Ruskaja, che non mancherebbe di sortire effetti –:
se non si ritenga opportuno, anche ai sensi dell'articolo 14, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, annullare l'atto di rinnovo del commissariamento alla Fondazione Accademia nazionale di danza, procedendo alla ricostituzione degli organi statutari. (4-10704)
SAMMARCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il prefetto di Roma, con proprio atto (prot. 9808 2015/URPG del 14 gennaio 2015), ha disposto il commissariamento, ai sensi dell'articolo 25 del codice civile, della Fondazione accademia nazionale di danza (FAND), istituto privato fondato da Eugenia Borissenko (in arte Jia Ruskaja) ed eretto ad ente morale con il 14 gennaio 1963 n. 925, nominando al tempo stesso commissario straordinario la dottoressa Giovanna Cassese, la quale è già commissario straordinario dell'Accademia nazionale di danza (AND);
il commissariamento è stato disposto sulla base dei seguenti presupposti, esplicitati nel documento prefettizio:
a) la Fondazione è tenuta a realizzare, in coordinamento con l'Accademia nazionale della danza (AND), concorsi, manifestazioni, rassegne ed altre iniziative di produzione artistica; istituisce borse di studio, di specializzazione e di avviamento all'attività professionale di giovani danzatori, riservandone una parte agli studenti più meritevoli dell'Accademia nazionale della danza. Viceversa nel corso degli ultimi anni la Fondazione accademia nazionale di danza ha adottato iniziative autonome e non più d'intesa con l'Accademia nazionale della danza, tanto che il prefetto provvedeva, in data 3 aprile 2014, ad inoltrare un richiamo formale all'osservanza degli scopi statutari;
b) il mancato rispetto degli scopi statutari è stato segnalato più volte anche dal commissario straordinario dell'Accademia nazionale della danza, dottor Bruno Cariofi, con diverse note, da ultimo quella del 6 ottobre 2014. Il commissario Carioti ha evidenziato la recente adozione, da parte della fondazione, di (asserite) azioni contrarie allo statuto operate a danno dell'Accademia, concretizzatesi nella esecuzione di una sentenza di sfratto relativa al villino Munoz, di proprietà della Fondazione, ma utilizzato da sempre per svolgere attività didattiche per gli alunni dell'Accademia stessa;
c) la sussistenza di un rapporto di servizio della Fondazione accademia nazionale di danza nei confronti dell'Accademia nazionale della danza si vuole provata da una sentenza della Corte dei conti, nella quale si dà atto dell'esistenza di «un imprescindibile rapporto di servizio e della sussistenza tra i fini della fondazione di un nesso di strumentalità con il fine pubblico, perseguito dall'Accademia»;
d) in data 12 settembre 2014 la presidente della Fondazione, ha chiesto alla prefettura di Siracusa l'iscrizione nel relativo registro, dichiarando di aver provveduto ad effettuare uno spostamento della sede a Solarino (SR). Le dichiarazioni rese in ordine al suddetto spostamento di sede sono risultate totalmente false, come accertato dalla questura di Siracusa;
e) il suddetto trasferimento, che configura di per sé una modifica statutaria, e intervenuto senza l'inoltro della richiesta di previa approvazione della modifica statutaria, ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 360 del 2000, ma con l'adozione di un semplice verbale del consiglio di amministrazione in data 11 settembre 2014;
f) lo spostamento della sede legale a Solarino, veniva giustificato con la sottoscrizione di un accordo con la sovraintendenza ai beni culturali di Siracusa, e di una presunta convenzione di concessione demaniale (peraltro mai sottoscritta) con l'autorità portuale di Augusta, per l'utilizzazione del Forte Vittoria, sito nella rada del porto di Augusta, come sede di un «Polo» di formazione della danza, in «presunta» collaborazione con varie scuole di danza, ma non con l'unica prevista dallo statuto e cioè l'Accademia nazionale della danza;
g) la più volte lamentata gravissima situazione economica, in cui versa la Fondazione, è aggravata dai costi altissimi di gestione del suddetto forte contribuendo ad impedire la persecuzione delle finalità fissate nello statuto;
h) non sono mai stati prodotti, altresì, a decorrere dall'anno 2011, i bilanci e le relazioni economico-patrimoniali, sottoscritte dagli organi contabili, dalle quali si potesse evincere la puntuale attuazione delle finalità statutarie oltre che la corretta gestione del patrimonio, la destinazione dello stesso, da parte degli amministratori in carica;
i) il comportamento del consiglio di amministrazione è stato improntato al mancato rispetto degli obblighi e dei fini statutari oltre che a principi gestionali non cauti, in totale dispregio, anche delle prescrizioni imposte alla Fondazione accademia nazionale di danza con la citata nota prefettizia 18 aprile 2011;
l) in data 19 dicembre 2014 con nota PROT.PR/141219/ng305, la suddetta Fondazione accademia nazionale di danza ha comunicato le dimissioni dell'intero Consiglio d'amministrazione e avviato la procedura per la ricomposizione dello stesso; tale atto e illegittimo in quanto è di straordinaria amministrazione e pertanto non adottabile, avendo il Consiglio d'amministrazione perso la rappresentanza legale dell'ente, in considerazione delle dimissioni presentate;
su quanto riportato nell'atto di commissariamento in linea generale si osserva:
a) che l'attribuzione dell'incarico di commissario della Fondazione accademia nazionale di danza alla stessa persona che riveste il ruolo di commissario dell'Accademia nazionale della danza, genera ad avviso dell'interpellante un conflitto d'interesse, essendo anche la stessa persona parte agente e parte chiamata in causa nel vasto contenzioso esistente tra le due istituzioni; a meno che non si voglia prefigurare una chiusura dei procedimenti in corso mediante incorporazione della Fondazione accademia nazionale di danza nell'Accademia nazionale di danza (come traspare dal documento prefettizio); un atto nel quale una istituzione pubblica, incorporerebbe una Fondazione privata, che può essere certamente sciolta (ove ne ricorrano i presupposti di legge), ma non certo «assorbita» ad avviso dell'interpellante in contrasto con le volontà testamentarie espresse dalla fondatrice;
b) il prefetto di Roma, prossimo al pensionamento, commissaria una Fondazione la cui amministrazione è già sciolta da un mese, per essersi dimesso l'intero consiglio di amministrazione. Qualora ci si intendesse opporre all'atto emanato, tra pochi mesi il prefetto sarà sostituito, mentre il Consiglio d'amministrazione dimissionario non è nella pienezza dei poteri, tale da poter rispondere adeguatamente all'atto di commissariamento;
quanto ai singoli «capi d'accusa» riportati dall'atto di commissariamento si osserva quanto segue:
a) in base al vigente statuto (approvato dallo stesso prefetto di Roma Pecoraro, il 17 dicembre 2013), la Fondazione «promuove lo sviluppo delle discipline coreutiche, contribuisce alla diffusione della cultura della danza in ambito nazionale e internazionale, sostiene l'attività formativa, didattica e di produzione artistica, musicale e coreutica». Tale statuto abilita la Fondazione accademia nazionale di danza (ed i suoi organi) ad operare in piena autonomia dall'Accademia nazionale della danza. Dallo statuto vigente, non risulta che la Fondazione debba agire in accordo e secondo i dettami dell'Accademia; prova ne sono anche le convenzioni tra Accademia nazionale della danza e Fondazione accademia nazionale di danza (da ultimo quella del 29 gennaio 2009), approvate dall'AFAM, nelle quali si prevedono contributi dell'Accademia nazionale della danza alla Fondazione accademia nazionale di danza per il sostegno delle attività dell'Accademia nazionale della danza medesima;
b) lo statuto vigente non contempla alcun rapporto di servizio della Fondazione accademia nazionale di danza con l'Accademia nazionale della danza la sentenza n. 657 del 2 settembre 2014 della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, richiamata dal prefetto Pecoraro afferma secondo l'interpellante esatto contrario; in tale sentenza (pag. 15) si legge testualmente che «Il progressivo distacco del patrimonio dell'ex Opera (oggi Fondazione accademia nazionale di danza) dalle attività delle Accademia di Danza è un fatto che la stessa difesa dei convenuti [id est, degli ex presidente ed ex direttore dell'Accademia nazionale della danza] assume come certo, e che anzi prospetta quale elemento che determinerebbe, ad oggi, l'insussistenza di alcun rapporto di servizio della Fondazione accademia nazionale di danza con la Accademia nazionale della danza, essendo la prima svincolata (nelle proprie finalità, e dunque nella destinazione dei propri proventi ed elargizioni) alle finalità (...) perseguite dall'Accademia»; la medesima sentenza, inoltre, prosegue rilevando che il «nuovo statuto del 2013 [approvato sempre dal prefetto di Roma] addirittura rafforza tale scissione»;
c) la decisione adottata dal Consiglio d'amministrazione della Fondazione accademia nazionale di danza nell'adunanza dell'11 settembre 2014, fa capo all'impossibilità di utilizzare quale sede uno degli immobili di proprietà della Fondazione in quanto detenuti da terzi per effetto di atti di disposizione posti in essere dalla precedente gestione della Fondazione accademia nazionale di danza composta dagli ex vertici dell'Accademia nazionale della danza; l'appartamento della Ruskaja, che doveva divenire il museo e la biblioteca della Fondazione, risulta all'interpellante essere tutt'ora l'appartamento privato dell'ex-direttore dell'Accademia nazionale della danza, Margherita Parrilla, ora pensionata; il villino di via delle Terme Deciane n. 15/a è interamente occupato dall'Accademia, senza che a quanto consta all'interpellante sia corrisposto un canone di locazione. A ciò deve aggiungersi che la sede romana della Fondazione non risulta individuata (né è altrimenti individuabile) persino nel registro delle persone giuridiche della prefettura di Roma, atteso che in tale registro è indicato soltanto l'indirizzo di via delle Terme Deciane n. 15/a, civico al quale corrispondono più immobili e locali e che costituisce anche accesso all'Accademia nazionale della danza. Peraltro l'asserita irregolarità del trasferimento di sede contestata dal prefetto Pecoraro, secondo il quale sarebbe stato disposto con un semplice verbale, è contraddetta dall'articolo 7 dello statuto Fondazione accademia nazionale di danza (approvato sempre dal prefetto di Roma Pecoraro, il 17 dicembre 2013) che abilita il Consiglio d'amministrazione con propria deliberazione, a disporre i trasferimenti di sede (si veda la lettera m) del comma 1), nonché dall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 2000, che sottopone il trasferimento di sede delle persone giuridiche private ad una mera comunicazione. Non appartiene secondo l'interpellante al prefetto, inoltre, il potere di sindacare nel merito il trasferimento di sede deliberato dal Consiglio d'amministrazione della fondazione nell'esercizio di un potere ad esso attribuito dallo statuto; se poi, come argomenta il prefetto, il trasferimento di sede dovesse dare luogo ad una modifica statuaria soggetta a preventiva autorizzazione prefettizia, quello disposto dal Consiglio d'amministrazione della fondazione sarebbe improduttivo di effetti giuridici e, pertanto, esso non può giustificare il commissariamento disposto dallo stesso prefetto;
d) il Consiglio d'amministrazione della Fondazione ha disposto il trasferimento di sede per la realizzazione di un ampio progetto di valenza internazionale presso il Forte Vittoria, sito nella rada del Porto di Augusta (SR), che ha comportato un articolato percorso preliminare all'avvio del procedimento amministrativo di concessione; il progetto, che è tuttora in tale fase preliminare, è coerente con gli scopi statutari e la Fondazione non ha assunto alcun onere economico per l'utilizzo del predetto bene demaniale; i «costi altissimi di gestione» propalati nell'atto di commissariamento, pertanto, rappresentano una mera congettura; non sembra corretta l'affermazione prefettizia che vorrebbe mai sottoscritti accordi o convenzioni inerenti al Forte Vittoria, laddove la Fondazione in nessun atto ha mai dichiarato di averne sottoscritti; contrariamente a quanto asserito dal prefetto Pecoraro, inoltre, la documentazione agli atti attesta l'esistenza dell’iter amministrativo finalizzato all'avvio della procedura per la realizzazione da parte della Fondazione di un Centro internazionale di danza presso il Forte Vittoria;
e) per anni, tra il 1996 e il 2009, come evidenziato da innumerevoli atti di sindacato ispettivo distribuiti su più legislature, uno stesso gruppo di persone si è scambiato le cariche tra Accademia nazionale della danza e Fondazione accademia nazionale di danza, disponendo dei beni di quest'ultimo e utilizzando la Fondazione come una sorta di bad company. La gravissima situazione economica della Fondazione è stata determinata dall'Accademia e dai suoi vertici amministrativi, come emerge dalla relazione del collegio ispettivo della prefettura di Roma del 17 febbraio 2011 e dall'atto di conclusione delle indagini preliminari emesso dalla procura della Repubblica di Roma in data 28 ottobre 2014 a carico degli ex presidente ed ex direttore dell'Accademia. Il citato atto della procura della Repubblica dà conto della stipula di un finanziamento di euro 400.000 da parte dell'ex presidente dell'Accademia, i cui oneri economici, sono stati posti a carico della Fondazione; tale situazione è stata ripetutamente rappresentata (e documentata) al prefetto di Roma sin dal 2010 dagli amministratori uscenti della Fondazione e, ciò nonostante, il prefetto Pecoraro nessun atto ha adottato per porvi rimedio;
f) l'esecuzione di una sentenza dell'autorità giudiziaria non può essere considerato un atto contrario allo statuto. Lo sfratto dell'Accademia nazionale della danza dal villino Munoz, non è un «atto ostile», ma l'applicazione della sentenza 25 settembre – 21 ottobre 2014 della Corte d'appello di Roma, con la quale l'Accademia nazionale della danza è stata condannata al rilascio del villino per morosità; semmai è un atto ostile dell'Accademia nazionale della danza, ente pubblico che riceve annualmente una dotazione finanziaria dal bilancio dello Stato non pagare l'affitto ad una Fondazione privata;
g) né lo statuto, né la legge prevedono il deposito dei bilanci della Fondazione (che non ha scopo di lucro) presso la prefettura, né questi sono mai stati richiesti da essa; i bilanci sono stati depositati presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al fine di ottenere i finanziamenti destinati alle istituzioni culturali; il richiamo nell'atto di commissariamento della nota prefettizia del 18 aprile 2011 si profila secondo l'interpellante errato e, in quanto in tale nota si dà atto della inefficacia della «revoca» della nomina del presidente della fondazione da parte del Consiglio d'amministrazione dell'Accademia nazionale della danza, disposta per iniziativa dei suoi ex vertici amministrativi ora inquisiti; nessuna prescrizione la nota prefettizia del 18 aprile 2011 contiene riguardo al deposito dei bilanci della fondazione;
h) non appare all'interpellante condivisibile l'affermazione contenuta nell'atto di commissariamento, secondo cui il comportamento del consiglio di amministrazione sarebbe stato improntato «a principi gestionali non cauti», anche considerato che il prefetto Pecoraro dichiara di non conoscere i bilanci della Fondazione e risultando che la Fondazione accademia nazionale di danza non ha assunto alcun onere economico per l'uso del Forte Vittoria di Augusta (SR);
i) la sentenza n. 657 del 2014 della Corte dei conti citata dal documento di commissariamento, riconosce la validità del debito di cui il giudice contabile era stato chiamato a giudicare, ma si dichiara incompetente all'azione contro gli ex presidente e direttore dell'Accademia nazionale della danza, in quanto la Fondazione Accademia nazionale di danza è un organismo privato; la sentenza stessa costituisce un pesante atto di accusa nei confronti dell'Accademia nazionale di danza ed elenca le innumerevoli irregolarità compiute a danno della Fondazione accademia nazionale di danza ma non di meno viene utilizzata nell'atto di commissariamento per sostenere l'esistenza di un «imprescindibile rapporto di servizio»;
l) quanto alla ricognizione sul patrimonio e i beni della Fondazione accademia nazionale di danza, basterà l'elenco dei beni mobili e immobili concessi e a quanto consta all'interpellante, ancora nella disponibilità dall'Accademia nazionale della danza nel corso degli anni grazie alla coincidenza dei rispettivi gruppi dirigenti, beni di cui a più riprese la Fondazione Accademia nazionale della danza ha chiesto la restituzione, nonché dei crediti sempre verso l'Accademia nazionale della danza per i quali sono in corso le procedure di recupero. Quanto ai bilanci dal 2011 in poi essi mostrano un progressivo e significativo miglioramento. Gli atti della gestione rivelano una complessiva opera di risanamento intrapresa dalla governance della Fondazione Accademia nazionale della danza che ha operato sino al dicembre 2014, nonché un rinnovato slancio delle attività istituzionali e uno sviluppo di iniziative di livello elevatissimo di caratura internazionale, anche attraverso stabili rapporti con le maggiori istituzioni mondiali del campo della danza. Quanto allo sviluppo delle attività statutarie, nell'interrogazione 3-01236 del 19 dicembre 2014, cui integralmente ci si richiama, si fa presente l'anomalia di un possibile commissariamento di un'istituzione che in quei giorni aveva ricevuto non solo i complimenti del Ministro dei beni e delle attività culturali, unitamente agli auguri per la prosecuzione della sua meritoria attività (che peraltro ha riguardato, come da statuto, gli studenti più meritevoli dell'Accademia nazionale della danza), ma anche insignita di una medaglia al valore per i rapporti con la società civile dal Presidente della Repubblica; istituzione che ha dato significativo lustro al nostro Paese e altro ne può dare;
m) secondo l'atto di commissariamento l'adozione della procedura di ricostituzione del consiglio di amministrazione della Fondazione da parte del presidente sarebbe illegittima perché attivata dopo le sue dimissioni; a contra si osserva che l'articolo 4 dello statuto vigente (approvato dallo stesso prefetto di Roma Pecoraro, il 17 dicembre 2013), prevede espressamente che, fino all'insediamento del nuovo consiglio d'amministrazione, restano in carica gli organi scaduti per il compimento degli atti dovuti. L'avvio della procedura di ricostituzione degli organi della Fondazione da parte del Presidente del Consiglio d'amministrazione uscente non integra «un atto di straordinaria amministrazione», ma costituisce puntuale applicazione dell'articolo 4 dello statuto vigente. In base all'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 25 del codice civile, non può essere disposto lo scioglimento dell'amministrazione della fondazione (e la nomina di un commissario) dopo che l'amministrazione è già sciolta (nella specie, per dimissioni dei componenti dei suoi organi) ed è in corso la procedura statutaria di ricostituzione, procedura che esclude qualsiasi possibilità di influenza da parte del precedente gruppo dirigente, essendo i consiglieri nominati da enti esterni quali l'Accademia nazionale della danza stessa, il Ministero dell'istruzione e dei beni culturali e gli enti territoriali competenti;
n) il commissariamento sembra ad avviso dell'interpellante evidenziare anomalie ed irregolarità –:
quali provvedimenti intendano adottare, anche di concerto, i Ministri interrogati in merito al commissariamento della fondazione accademia nazionale di danza;
se non ritengano di valutare la sussistenza dei presupposti per annullare il provvedimento del prefetto di Roma, ai sensi dell'ultimo periodo del comma 3 dell'articolo 14 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per la sua evidente illogicità ed illegittimità, o se non intendano sollecitarne la rimozione in via di autotutela da parte dello stesso prefetto di Roma, consentendo la ricostituzione a norma di statuto degli organi di governo della Fondazione, già in corso all'atto del commissariamento. (4-13529)
Risposta. — Con gli atti di sindacato ispettivo in oggetto, a cui si risponde congiuntamente in quanto vertenti sullo stesso argomento, l'interrogante richiama l'attenzione sulle criticità che hanno caratterizzato negli ultimi anni i rapporti tra l'Accademia nazionale di danza e la Fondazione Accademia nazionale di danza e chiede che vengano annullati i provvedimenti asserita mente illegittimi con cui il Prefetto di Roma ha, prima, nominato due commissari straordinari della fondazione e, poi, prorogato il loro incarico.
Non ci si sofferma sulle ragioni che hanno indotto il prefetto a commissariare la fondazione, in quanto già ampiamente riepilogate nel preambolo di uno degli atti in discussione.
Sul punto, ci si limita a rilevare che, nell'ambito del ricorso straordinario al Capo dello Stato promosso dall'ex presidente della fondazione e da altri interessati contro i provvedimenti prefettizi, il Consiglio di Stato, esprimendo il proprio parere obbligatorio e vincolante, ha ritenuto infondate le censure addotte e si è pronunciato quindi per la reiezione del gravame.
La decisione sul ricorso non è ancora intervenuta e si è in attesa di un ulteriore parere del Consiglio di Stato sui motivi aggiunti presentati dai ricorrenti, ma è un fatto che, a tutt'oggi, l'Alto Consesso ha riconosciuto la legittimità dell'operato del prefetto.
Per altro verso, l'interrogante formula considerazioni critiche sull'operato dei commissari della Fondazione e chiede, anche per questo, che siano avviate tempestivamente le procedure per la ricostituzione degli ordinari organi di governo dell'ente.
Al riguardo, si rileva innanzitutto che i commissari sono stati incaricati, prima ancora che di insediare gli organi di governo, di accertare la consistenza patrimoniale della fondazione e, nelle more, di gestire l'ente conformemente alle disposizioni statutarie. Come risulta dal provvedimento di conferimento delle funzioni commissariali, la ricognizione della situazione patrimoniale dell'ente è stata disposta anche per consentire al prefetto di valutare la sussistenza o meno dei presupposti di legge per lo scioglimento del medesimo.
Trovatisi ad operare in un quadro caratterizzato da una grave situazione contabile, da un numero elevato di contenziosi e dalla necessità di verificare puntualmente le esposizioni debitorie pendenti, i commissari hanno focalizzato l'attenzione sul risanamento economico-finanziario della fondazione, sospendendo in un primo tempo l'attività artistica.
Successivamente, hanno ritenuto opportuno che le attività della fondazione fossero ridotte all'essenziale, fino alla estinzione totale del mutuo esistente, in considerazione del fatto che esse avrebbero comportato in ogni caso una certa alea di rischio e determinato, quindi, la possibile insorgenza di ulteriori posizioni debitorie e il potenziale peggioramento dei conti dell'ente.
Nella relazione consegnata al prefetto, i commissari hanno rappresentato che, nonostante le diverse criticità riscontrate, il patrimonio della fondazione risulta ben dotato e idoneo a far fronte all'elevata esposizione debitoria della medesima. Hanno precisato, d'altro canto, che il consolidamento del debito totale dell'ente dipenderà in gran parte dall'esito dei giudizi in corso, nonché dall'eventuale prescrizione di buona parte dei crediti per i quali comunque non è stata finora avanzata alcuna pretesa.
Sulla base del risanamento avviato dalla gestione commissariale e della relazione conclusiva, il prefetto ha ritenuto insussistenti i presupposti per l'estinzione della fondazione.
Essendosi dischiusa la strada per la ricostituzione degli organi di governo statutari, i commissari hanno dato seguito alla relativa procedura, senza tuttavia riuscire a completarla. E ciò non per le improprie ragioni paventate dall'interrogante, ma perché, a causa delle vicende amministrative che hanno interessato il comune di Roma e l'Accademia nazionale di danza – ci si riferisce allo scioglimento del consiglio comunale di Roma capitale e alle dimissioni del neopresidente dell'Accademia —, i commissari, nonostante i reiterati solleciti esperiti, non hanno potuto acquisire dai due enti la designazione dei rispettivi consiglieri di amministrazione.
Questa circostanza ha indotto il prefetto di Roma a disporre, il 6 maggio 2016, un'ultima proroga dell'incarico dei due commissari, specificamente mirata a consentire la ricostituzione degli organi di governo della fondazione.
L'auspicio del Governo, che sullo specifico punto è assolutamente concorde con l'interrogante, è che il quadro delle designazioni sia completato quanto prima, sicché la Fondazione possa tornare subito dopo ad operare in regime ordinario.
Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Domenico Manzione.
VEZZALI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
il progetto «Sport di classe» che ha fatto seguito a quello sperimentale di alfabetizzazione motoria, effettuato in alcune scuole nell'anno scolastico 2013, ha previsto un nuovo modello operativo che consente la partecipazione delle scuole primarie d'Italia aderenti all'iniziativa;
«Sport di classe» è nato dall'impegno congiunto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR), del Comitato olimpico nazionale italiano (Coni) e della Presidenza del Consiglio dei ministri, per promuovere l'educazione fisica fin dalla scuola primaria e favorire i processi educativi e formativi delle giovani generazioni;
il progetto doveva garantire 2 ore settimanali di educazione fisica e coprire l'intero anno scolastico –:
se è a conoscenza del numero delle scuole che hanno aderito al progetto nell'anno scolastico 2015/2016 del numero dei tutor impegnati nel progetto nonché del numero dei docenti di educazione motoria che sono stati inseriti in organico per la sua realizzazione. (4-12757)
Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in epigrafe, vertente sulla realizzazione del progetto «Sport di classe» nell'anno scolastico 2015/2016, si forniscono i seguenti dati in possesso dell'Amministrazione:
1. le istituzioni scolastiche che registrano il coinvolgimento di almeno un plesso sono 2.668. I plessi che registrano almeno una classe coinvolta sono 6.126. Le classi complessive sono 51.153;
2. il numero totale dei tutor impegnati nel progetto è 3.436;
3. i posti in organico di diritto nel corrente anno scolastico relativi alla nuova classe di concorso A048 – scienze motorie e sportive negli istituti d'istruzione secondaria di II grado – sono 11.936. A questi si aggiungono circa 1.200 relativi al potenziamento. I posti in organico di diritto nel corrente anno scolastico relativi alla classe di concorso A049 – scienze motorie e sportive negli istituti d'istruzione secondaria di I grado – sono 7.666. A questi si aggiungono oltre 800 sul potenziamento.
Si evidenzia che soprattutto in quest'ultimo settore, considerando che i posti sono in gran parte assegnati ad istituti comprensivi che hanno al loro interno plessi di scuola primaria, i docenti impiegati nel potenziamento della secondaria di I grado possono essere parzialmente utilizzati anche nelle classi della prima parte del ciclo.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca: Stefania Giannini.