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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 30 giugno 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La I Commissione,
   premesso che:
    i minori stranieri sono titolari dei diritti garantiti dalla Convenzione di New York sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del 1989 in cui viene affermato il principio del «superiore interesse del minore» in merito a tutte le decisioni riguardanti i minori;
    a tale riguardo, è stata condivisa dal Governo la proposta di presentare una formale richiesta di risoluzione o conclusione del Consiglio dell'Unione europea, che preveda la riconoscibilità dei minori stranieri in tutto il percorso migratorio, dall'atto di ingresso nel territorio dell'Unione europea, fino alla loro destinazione finale, mediante l'introduzione di nuove regole di identificazione applicabili in tutta l'area Schengen, come risulta dalla risposta all'interrogazione scritta n. 4-07937 prima firma Dadone;
    l'Italia ha ratificato la Convenzione sui diritti dell'infanzia del 1989 con la legge n. 176 del 1991, stabilendo che i diritti sanciti devono essere riconosciuti a tutti i minori che si trovano sotto la giurisdizione dello Stato senza discriminazione alcuna;
    ai minori stranieri non accompagnati si applicano le norme previste dalla legge italiana in materia di assistenza e protezione minori, in particolar modo quelle concernenti l'accoglienza in luogo sicuro del minore non accompagnato;
    stando ai dati disponibili la presenza dei minori stranieri non accompagnati sul territorio italiano, risulta essere in aumento;
    il decreto legislativo n. 142 del 2015 di recepimento della Direttiva 2013/32/UE prevede disposizioni precise per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, nello specifico dispone ex articolo 19 comma 4 che l'accoglienza debba avvenire in appositi centri e mai presso centri di trattenimento o governativi di prima accoglienza;
    l'attuale condizione dei minori stranieri non accompagnati è estremamente difforme su tutto il territorio nazionale e troppo spesso le prassi non sono in linea delle disposizioni normative;
    nelle prassi si registrano lunghi periodi in cui i minori sono senza tutore nominato, oppure erroneamente identificati come maggiorenni a causa di inadeguate procedure per l'accertamento dell'età;
    la legge 28 marzo 2001, n. 149 («Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante “Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori”, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile») stabilisce che il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto, è affidato ad a famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia;
    la regione Sicilia ha approvato con il D.P. n. 513 del 2016, recante nuove norme sulle strutture di seconda accoglienza dei minori stranieri non accompagnati con standard inferiori e una retta inferiore del 42 per cento rispetto a quella stabilita per le comunità per minori italiani;
    risulta da fonti di stampa che vi siano numerosissimi casi di minori stranieri non accompagnati accolti in centri non adeguati quando non trattenuti, anche per periodi molto lunghi, in centri hotspot quali Lampedusa, Taranto, Pozzallo;
    il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno Prefetto Morcone, nell'audizione tenuta il 10 maggio 2016 presso la «Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impiegate», ha confermato la presenza di minori stranieri non accompagnati presso l’hotspot di Pozzallo,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere interventi maggiormente efficaci ed incisivi per porre termine a prassi illegittime e garantire la tutela dei minori stranieri non accompagnati;
   ad istituire un Sistema nazionale di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati responsabile di tutte le fasi di accoglienza, con il compito principale di monitorare costantemente i posti disponibili a livello nazionale ed individuare immediatamente la struttura adeguata dove collocare il minore;
   a garantire la collocazione immediata in luogo sicuro del minore straniero non accompagnato secondo la normativa vigente, monitorando altresì il rispetto degli standard qualitativi e prevedendo un'implementazione dei posti disponibili;
   ad assumere iniziative affinché sia impedita l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati in strutture non idonee, in azioni di promiscuità con adulti o il trattenimento all'interno di centri hotspot;
   ad assumere iniziative per dare piena attuazione a quanto disposto dall'articolo n. 25 della direttiva 2013/32/UE in tema di tutela dei minori stranieri non accompagnati, disciplinando inter alia la procedura per l'accertamento dell'età;
   ad assumere iniziative per dare piena attuazione a quanto previsto dalla direttiva 2013/33/UE rispetto agli standard del rappresentante del minore (tutore), nonché secondo quanto proposto nel documento «Verso un sistema di tutela dei minorenni stranieri non accompagnati» redatto dall'Autorità Garante per l'infanzia e l'adolescenza, nella convinzione che il compito di tutelare tali minori non possa essere adempiuto, salvo in casi di extrema ratio, dal Sindaco di un comune;
   ad affermare e garantire pari diritti ai minori stranieri non accompagnati, rispetto ai minori italiani senza limitazione o discriminazione alcuna, garantendo gli stessi standard minimi qualitativi dei servizi e dell'assistenza nelle comunità o istituti di accoglienza.
(7-01039) «Dadone, Colonnese, Lorefice, Cozzolino, Toninelli, D'Ambrosio, Brescia, Cecconi, Nuti, Dieni».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    in data 22 giugno 2016 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha pubblicato il decreto ministeriale n. 495 che prevede l'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento per il personale docente iscritto con riserva, in attesa del conseguimento del titolo, fissando all'8 luglio 2016 il termine entro cui devono per essere posseduti i relativi titoli e requisiti, e la data per la presentazione, attraverso la piattaforma informatica istituzionale, della dichiarazione dei titoli di specializzazione sul sostegno o dei metodi didattici differenziati ai fini dell'inclusione nei relativi elenchi;
    con decreto rettorale n. 967 del 24 dicembre 2014 il rettore dell'università degli studi della Basilicata ha indetto, ai sensi degli articoli 5 e 13, del decreto ministeriale del 10 settembre 2010, n. 249, e delle disposizioni attuative contenute nel successivo decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 30 settembre 2011, la selezione per l'accesso ai percorsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per l'attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità, istituiti presso lo stesso ateneo;
    i suddetti percorsi hanno regolarmente avuto inizio presso la sede di Potenza della UNIBAS, il 16 ottobre 2015 e stando a quanto stabilito dall'Allegato C al decreto (aspetti organizzativi e durata del corso), per il quale le relative attività del calendario accademico devono essere espletate in non meno di otto mesi, non potranno concludersi prima del 27 luglio 2016;
   la suddetta circostanza, che potrebbe riguardare anche i partecipanti ai corsi indetti da altre università italiane, non consentirà, pertanto, ai tanti aspiranti docenti di sostegno che hanno frequentato con profitto e sacrifici i percorsi formativi, di onorare la data dell'8 luglio 2016, ai fini della presentazione di dichiarazione del conseguimento del titolo di specializzazione ed il relativo inserimento nelle graduatorie ad esaurimento per il personale docente iscritto con riserva,

impegna il Governo

ad assumere iniziative volte a prorogare al 30 luglio 2016 il termine già fissato all'8 luglio 2016 dal decreto ministeriale n. 495 del 22 giugno 2016 entro il quale devono essere posseduti i titoli ed i requisiti ai fini dell'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento per il personale docente iscritto con riserva o, in subordine, ad ammettere con riserva tutti coloro che hanno partecipato con esito positivo ai corsi indetti nell'anno accademico 2015-2016 da varie università italiane, ai sensi degli articoli 5 e 13, del decreto ministeriale del 10 settembre 2010, n. 249.
(7-01038) «Pannarale, Giancarlo Giordano, Carlo Galli, Folino, Placido».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il 23 giugno 2016, a seguito del referendum indetto sulla cosiddetta «Brexit», il 51,9 per cento dei cittadini elettori britannici, ha votato per l'uscita dall'Unione europea;
   molte sono inevitabilmente le incognite e i problemi direttamente conseguenti al risultato referendario britannico, così come il nuovo scenario europeo potrebbe comportare anche qualche opportunità per il nostro Paese;
   una delle conseguenze dell'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea, è che alcune agenzie dell'Unione europea dovranno spostare le loro sedi attuali, e tra queste anche l’European Medicines Agency (EMA), ossia l'Agenzia europea del farmaco che attualmente ha sede a Londra, ed è responsabile della valutazione e della sicurezza dei farmaci nonché delle procedure che regolano il mercato farmaceutico europeo;
   autorevoli personalità del mondo scientifico hanno suggerito che l'EMA possa essere trasferita in Italia;
   si ritiene importante cogliere l'opportunità di proporre il nostro Paese come nuova sede dell'Agenzia europea del farmaco, pensando come sede ideale il sito ex EXPO a Milano, che è dotato di infrastrutture più che adeguate, anche alla luce del fatto che l'area milanese è sede di centri di ricerca farmacologica importanti, ma non di aziende farmaceutiche e questo renderebbe l'EMA più libera dai conflitti di interesse con l'industria rispetto a quanto sia avvenuto finora –:
   se il Governo non intenda attivarsi al fine di proporre il nostro Paese, quale nuova sede dell'Agenzia europea del farmaco (EMA);
   se non si intenda individuare, qualora l'Italia venga scelta per la nuova sede dell'EMA, il sito ex EXPO a Milano quale collocazione ideale per la citata Agenzia europea del farmaco.
(2-01414) «Daniele Farina, Nicchi».

Interrogazioni a risposta scritta:


   SANDRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) è un'istituzione finanziaria internazionale, con sede a Londra, istituita per favorire la transizione verso economie di mercato aperte e per promuovere l'iniziativa privata ed imprenditoriale nei Paesi terzi, dall'Europa centrale all'Asia centrale il cui capitale è detenuto da 61 Paesi, tra cui tutti gli Stati membri dell'Unione europea, dall'Unione europea e dalla Banca europea per gli investimenti (BEI);
   lo scopo della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) è di favorire la transizione verso l'economia di mercato dei Paesi dell'Europa centrale ed orientale e dei Paesi dell'ex Unione Sovietica, promuovendo l'iniziativa privata e la libera dinamica imprenditoriale nonché investimenti maggiori all'interno dell'area dei Balcani;
   tra le evidenti conseguenze che scaturiranno dall'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea, dopo il risultato del referendum sulla Brexit tenutosi il 23 giugno 2016 nel Regno Unito e a Gibilterra, vi è anche la necessità di prevedere lo spostamento della sede della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) da Londra ad un'altra città;
   le sedi principali delle maggiori istituzioni europee come la Commissione, il Parlamento, il Consiglio, la Banca centrale europea e la Corte di giustizia, sono collocate tra le città di Bruxelles, Lussemburgo, Strasburgo e Francoforte senza dare la possibilità ad un Paese come l'Italia, promotore della stessa Unione europea, di poter ospitare una delle stesse istituzioni;
   tra le città italiane, Trieste è considerata la città più europea poiché vanta la sede di alcuni dei maggiori centri di ricerca al mondo, un porto commerciale in piena espansione, fondamentale per i commerci da e verso l'Europea; un sistema formativo e di conoscenza di alto profilo, capace di formare risorse umane e di produrre ricerca, nonché buoni servizi e ottima qualità della vita con un welfare all'altezza dei cittadini;
   dimostrazione di quanto sia vivace e cosmopolita Trieste sono i dati emersi dall'indagine «La mobilità della conoscenza» realizzata dal Coordinamento degli enti di ricerca regionali (CER), che mostra come il sistema scientifico e accademico regionale, in controtendenza con il dato nazionale, risulti molto attrattivo per i giovani talenti stranieri ed europei. Basti pensare che nella nuova classifica del Times Higher Education, del 2016, l'università di Trieste rientra tra i migliori 200 atenei europei censiti e che nel solo 2013 le istituzioni del territorio sono state scelte complessivamente da 16.891 utenti tra studenti, ricercatori e docenti internazionali, provenienti in particolar modo dai Paesi dell'Unione europea;
   la città di Trieste in ragione della sua collocazione geografica e per le sue radici storiche è considerata come il «ponte» tra i Paesi fondatori dell'Unione europea e quelli che vi hanno aderito successivamente appartenenti all'Est Europa –:
   se il Governo intenda attivarsi, nelle sedi opportune, al fine di promuovere lo spostamento della sede della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo in Italia e precisamente nella città di Trieste. (4-13641)


   BARONI, GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA, COLONNESE, TONINELLI, DE ROSA, CARINELLI, TRIPIEDI, COMINARDI, MANLIO DI STEFANO, ALBERTI e PESCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con atto della Presidenza del Consiglio, in data 26 maggio 2016 è stata conferita la nomina, in seno al consiglio di amministrazione dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), in rappresentanza delle regioni, all'assessore all'economia, crescita e semplificazione della regione Lombardi dottor Massimo Garavaglia;
   l'AIFA, autorità nazionale competente per l'attività regolatoria dei farmaci in Italia, è un ente pubblico che opera in autonomia, trasparenza ed economicità, sotto la direzione del Ministero della salute e la vigilanza anche del Ministero dell'economia e delle finanze;
   non si comprende, pertanto, con quali criteri vengano proposte le nomine di assessorati politici;
   l'autonoma dell'ente deve essere garantite, preservata da possibili ingerenze e/o condizionamenti. Nel caso specifico, a giudizio degli interroganti contravvenuto al principio di autonomia, si è proceduto alla nomina di un esponente politico, tra l'altro, pluri-indagato e su cui pende, dal 26 gennaio 2016, una richiesta di rinvio a giudizio per turbativa d'asta e abuso di atto d'ufficio;
   Garavaglia, esponente della Lega nord, è stato indagato per reati contro la pubblica amministrazione. Il procedimento è allacciato ad un altro processo già in corso e che ha portato agli arresti domiciliari l'assessore regionale alla sanità lombarda Mario Mantovani;
   esponente della Lega, avrebbe richiesto al suo collega alla sanità, Mantovani, un intervento al fine di evitare l'aggiudicazione di una gara d'appalto in realtà già concluso e il cui esito era noto;
   l'ASL Milano 1, aveva affidato un lotto pari a 11 milioni di euro alla First Aid One Italia, costituitasi, tra l'altro, parte civile sia nel processo che riguarda l'assessore alla sanità, Mantovani, sia all'interno del procedimento che vede indagato, con richiesta di rinvio a giudizio, l'assessore al bilancio e neo componente del CdA dell'AIFA;
   i pubblici ministeri nell'ambito dell'inchiesta «Entourage» scrivono: «Garavaglia e Mantovani, interferendo con l'azione amministrativa procuravano un ingiusto vantaggio alla Onlus Croce Azzurra Ticino, di fatto prorogando un affidamento in convenzione, con aggravanti determinate dalla funzione di pubblico ufficio svolto dai due assessori regionali»;
   Massimo Garavaglia «in concorso con Giovanni Tomasini, presidente della Croce Azzurra Ticina, impedivano e comunque turbavano la procedura aperta ex articolo 59 D Lgs. N. 163/06 per l'affidamento del servizio di trasporto di soggetti nefropatici sottoposti a trattamento dialitico bandita dalla regione Lombardia»;
   forte del sostegno del segretario Matteo Salvini, Garavaglia non solo non si dimesso ma ha ottenuto cariche strategiche oltre che prestigiose;
   ad avviso degli interroganti, il combinato disposto tra l'aver disatteso un principio primario, quale quello dell'autonomia dell'ente pubblico, il sostegno ricevuto dal segretario di partito e la forza dell'assessore nel riuscire a stravolgere le regole delle pubbliche gare per favorire associazioni vicine al suo schieramento politico, potrebbero compromettere il buon funzionamento dell'ente pubblico. Tra l'altro, l'AIFA si inserisce in un delicato perimetro del sistema sanitario, che Raffaele Cantone (presidente dell'autorità nazionale anticorruzione) definisce «da sempre oggetto di interesse da parte del malaffare e di gruppi affaristici...» affermando che «una delle questioni che incidono moltissimo sulla possibilità che i servizi siano efficienti e sostenibili è sicuramente il prezzo del malaffare», essendo, la sanità, appunto, «uno dei settori in cui c’è un maggiore investimento pubblico»;
   alla luce di quanto richiamato, appare agli interroganti decisamente inopportuna la nomina del dottor Massimo Garavaglia;
   la circostanza merita una valutazione attenta e complessiva anche nel quadro della spesa pubblica e degli interessi economici in ordine alle migrazioni sanitarie e delle attrezzature biomedicali. Settore dove la sola regione Lombardia fattura la metà dei complessivi 9,5 miliardi di euro dell'intero Paese –:
   se il Governo fosse a conoscenza dei fatti esposti;
   se si ritengano di adottare iniziative di competenza per pervenire alla revoca della nomina del dottor Garavaglia poiché, esistono, gravi circostanze di inopportunità nella nomina del medesimo a membro del consigli d'amministrazione dell'AIFA;
   se non intendano assumere ogni iniziativa di competenza affinché simili circostanze non si replichino in futuro.
(4-13657)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazione a risposta scritta:


   PES. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi degli articoli 9 e 15 della legge 15 dicembre 1999, n. 482 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche), anche in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per gli Affari regionali un Fondo nazionale per la tutela delle minoranze linguistiche;
   tali risorse sono ripartite annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, anche sulla scorta di un decreto dello stesso Presidente del Consiglio dei Ministri, emanato con cadenza triennale ai sensi dell'articolo 8, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 2001, n. 345 (Regolamento di attuazione della legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante norme di tutela delle minoranze linguistiche storiche) e che definisce i criteri per l'attribuzione e la ripartizione dei fondi previsti dagli articoli 9 e 15 della legge, sentiti il comitato consultivo di cui all'articolo 12 del regolamento e la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
   dall'entrata in vigore della legge 15 dicembre 1999, n. 482 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche) e, soprattutto, del decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 2001, n. 345 (Regolamento di attuazione della legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante norme di tutela delle minoranze linguistiche storiche) ad oggi, in Sardegna – come nel resto d'Italia – gli enti locali presentatori dei progetti e assegnatari delle risorse statali hanno attivato gli interventi di tutela delle lingue riconosciute dalla legge (realizzazione di sportelli linguistici, istituzione di corsi di formazione per il personale in servizio presso le pubbliche amministrazioni, utilizzazione di traduttori e/o interpreti, realizzazione di progetti in materia di toponomastica, realizzazione di iniziative culturali) con una delle seguenti modalità:
    a) mediante procedura selettiva pubblica indetta ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), per l'assunzione degli operatori di sportello con contratto di lavoro a tempo determinato;
    b) mediante «esternalizzazione», cioè acquisendo il servizio attraverso ricorso a convenzioni-quadro, con verifica preventiva dei parametri di qualità e di prezzo (fino al 12 aprile 2006); con una delle procedure di individuazione degli operatori economici disciplinate dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), in Sardegna in disposto combinato con la legge regionale 7 agosto 2007, n. 5 (Procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, in attuazione della direttiva comunitaria n. 2004/18/CE del 31 marzo 2004 e disposizioni per la disciplina delle fasi del ciclo dell'appalto) (dal 13 aprile 2006 fino al 18 aprile 2016); con una delle procedure di individuazione degli operatori economici disciplinate dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali; nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) (a partire dal 19 aprile 2016);
    c) mediante la stipula di convenzione «con istituti pubblici di ricerca e professionali istituzioni scolastiche, università, ed altri soggetti istituzionali o con associazioni senza scopo di lucro, operanti nell'ambito territoriale da almeno tre anni, al fine di reperire e formare personale in grado di rispondere alle esigenze previste dalla legge», ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 2001, n. 345 (Regolamento di attuazione della legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante norme di tutela delle minoranze linguistiche storiche);
   il Dipartimento per gli affari regionali, in merito ai quesiti posti dai comuni di Gonnosnò e Masullas sulla disciplina vincolistica in materia di assunzioni a termine del personale destinato agli sportelli linguistici, interpellato il Ministero dell'economia e delle finanze – dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – I.G.O.P. con nota prot. DAR 8023 del 6 maggio 2016 ha comunicato che «... si ritiene che gli enti locali in indirizzo, ove soggetti alla disciplina vincolistica in materia di spesa di personale imposta dal patto di stabilità, in alternativa alle assunzioni a tempo determinato di cui trattasi, possano stipulare specifiche convenzioni con “istituti pubblici di ricerca e professionali, istituzioni scolastiche, università, ed altri soggetti istituzionali o con associazioni senza scopo di lucro, operanti nell'ambito territoriale da almeno tre anni”, come disposto dall'articolo 6, comma 3 del decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 2001, n. 345» e che «resta confermato l'orientamento di questo Dipartimento in merito all'esclusione dei costi relativi ad IVA e ad utile di impresa dalle voci finanziabili, ed al conseguente divieto di affidare il servizio relativo allo sportello linguistico mediante appalto pubblico a favore di soggetti diversi da quelli individuati dal precitato articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 345 del 2001»;
   l'orientamento comunicato agli enti locali dalla Presidenza del Consiglio dei ministri — Dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport – con nota prot. DAR 8023 del 6 maggio 2016 –, teso a vietare l'affidamento del servizio relativo allo sportello linguistico «mediante appalto pubblico a favore di soggetti diversi da quelli individuati dal precitato articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 345 del 2001», si porrebbe, secondo l'interrogante, in palese contrasto con la vigente disciplina statale ed europea in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, essendo di fatto lesivo dei principi di libera concorrenza e non discriminazione di cui all'articolo 30, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50; inoltre, esso introduce un motivo di esclusione degli operatori economici dalla partecipazione a una procedura d'appalto rispetto a quelli puntualmente specificati dall'articolo n. 80 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50;
   l'orientamento suddetto, dunque, teso a escludere i costi relativi all'I.V.A. dalle voci di spesa finanziabili, non suffragato da riferimenti giuridico-normativi a disposizioni di rango superiore, sarebbe per l'interrogante in palese contrasto con la disciplina dell'imposta sul valore aggiunto di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto), applicandosi l'imposta sul valore aggiunto sulle «cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell'esercizio di imprese o nell'esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate» (articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633) e non rientrando il servizio relativo allo sportello linguistico tra le operazioni esenti dall'imposta di cui all'articolo 10 del medesimo decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; infatti, come recentemente precisato anche dalla Corte di giustizia europea, «la base imponibile di una prestazione di servizi è costituita, da tutto ciò che è percepito quale corrispettivo del servizio prestato e una prestazione di servizi è pertanto imponibile solo quando esista un nesso diretto tra il servizio prestato e il corrispettivo ricevuto». Dunque, nel caso del servizio di gestione di uno sportello linguistico, poiché il compenso ricevuto dal prestatore costituisce il controvalore effettivo del servizio prestato all'utente nell'ambito di un rapporto giuridico formalizzato, si ravvisa senza alcun dubbio un'operazione imponibile;
   il servizio di sportello linguistico, oltre alle attività di tipo promozionale, risponde principalmente all'esigenza di agevolare gli amministratori locali, il personale dipendente degli enti locali, i cittadini che intendano avvalersi della lingua di minoranza nei rapporti con la pubblica amministrazione ed è ben notorio come, in Sardegna e altrove, le associazioni senza scopo di lucro, gli istituti pubblici di ricerca e professionali, le istituzioni scolastiche, le università, e gli altri soggetti istituzionali, dall'entrata in vigore della legge n. 482 del 1999 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 345 del 2001, abbiano usufruito della professionalità degli operatori degli sportelli linguistici territoriali, gestiti direttamente dagli enti locali attraverso personale assunto con contratto di lavoro a tempo determinato o da imprese (individuali, società cooperative, e altro) specializzate;
   in caso di affidamento a un operatore economico di cui all'articolo 3, comma 1, lettera p) del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, oppure a uno dei soggetti di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 2001, n. 345, essendo il costo orario del personale previsto per i progetti de quibus uniformato – già da anni – a costi standard stabiliti dallo stesso dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport, verrebbe, dunque, rispettato l'inderogabile principio di economicità e nulla cambierebbe sotto il profilo economico, fiscale e previdenziale;
   gli orientamenti espressi dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per gli affari regionali, Autonomie e lo Sport, la citata nota prot. DAR 8023 del 6 maggio 2016, hanno comportato in tutto il territorio nazionale un'incertezza operativa presso gli enti locali, in ordine alle modalità di avvio del servizio di sportello linguistico, determinando di fatto una situazione di stallo che, mentre, da un lato ha interrotto un indispensabile servizio volto a salvaguardare il diritto dei cittadini – costituzionalmente riconosciuto – di poter usare la lingua ammessa a tutela nei rapporti con la pubblica amministrazione, dall'altro, rischia di pregiudicare – per via della durata minima di 8 mesi prevista dai progetti – l'effettiva spendibilità in tempi utili dei finanziamenti statali e, per quanto riguarda la regione autonoma della Sardegna, anche di quelli regionali integrativi, la cui spesa è tecnicamente collegata ai primi –:
   se il Ministro interrogato intenda valutare l'opportunità di rivedere gli orientamenti espressi dal dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport, poiché ad avviso dell'interrogante – oltre a risultare in contrasto con la disciplina dell'imposta sul valore aggiunto di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 – potrebbero essere lesivi e pregiudizievoli dei principi di libera concorrenza e dare seguito a una lunga serie di contenziosi amministrativi a livello locale;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, se del caso con apposita nota circolare indirizzata agli enti locali, per divulgare un « vademecum» sulle modalità di attivazione del servizio di sportello linguistico, nel rispetto del quadro normativo statale ed europeo, che preveda alternativamente la possibilità di:
    a) ricorrere a procedura selettiva pubblica ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), se e in quanto compatibile con i vincoli di spesa in materia di personale dettati dalle norme di finanza pubblica per gli enti locali e con il vigente ordinamento del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, oppure; b) ricorrere all'acquisizione del servizio mediante una delle procedure di individuazione degli operatori economici disciplinate dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), oppure; c) ricorrere alla stipula di convenzione «con istituti pubblici di ricerca e professionali, istituzioni scolastiche, università, ed altri soggetti istituzionali o con associazioni senza scopo di lucro, operanti nell'ambito territoriale da almeno tre anni, al fine di reperire e formare personale in grado di rispondere alle esigenze previste dalla legge», ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 2 maggio 2001, n. 345 (Regolamento di attuazione della legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante norme di tutela delle minoranze linguistiche storiche), previa individuazione del soggetto affidatario mediante una delle procedure disciplinate dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. (4-13655)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TERZONI, GAGNARLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, ZOLEZZI, MANNINO e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Costa Crociere ha siglato in data 28 novembre 2014 il contratto con la società Micoperi, per lo svolgimento delle attività di ripristino dei fondali del sito interessato dalla rimozione della Concordia all'Isola del Giglio, con uno stanziamento di oltre 85 milioni di dollari;
   a luglio 2015, in occasione dell'anniversario delle operazioni di trasporto del relitto della Concordia verso il porto di Genova, l'Osservatorio di controllo sulle attività di ripristino dei fondali presentò il punto della situazione sui lavori di bonifica, effettuati da parte del consorzio Micoperi;
   in quella occasione l'Osservatorio relazionò sulla tempistica degli interventi registrando un sostanziale rispetto del calendario previsto;
   la presidente dell'Osservatorio Maria Sargentini dichiarò che il monitoraggio del cantiere era continuo e condotto da Ispra, Arpat e Università di Roma, ma che un'autentica valutazione sarebbe stata effettuata a fine lavoro, con rilascio di una certificazione secondo tutti i protocolli indicati e previsti dal capitolato di intervento;
   i lavori, secondo le previsioni dichiarate e mai smentite, avrebbero dovuto avere una durata di circa 15 mesi per concludersi quindi nei primi mesi del 2016;
   a gennaio 2016 il sindaco Sergio Ortelli nella giornata di commemorazione della tragedia del Giglio dichiarò che i lavori sarebbero terminati entro il mese di maggio 2016 con queste parole: «La società Micoperi di Ravenna sta effettuando un grande lavoro di recupero che dovrebbe essere concluso entro maggio, ma lo sforzo è stato maggiore rispetto a quanto previsto» –:
   se il Ministro sia in grado di fornire elementi circa lo stato di avanzamento dei lavori, la data di consegna del cantiere e i motivi per i quali questo non è avvenuto nei tempi previsti e annunciati.
(5-09042)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e CRIPPA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 22 giugno 2016 è avvenuto uno sversamento di gasolio – per l'ammontare di circa 30 mila litri – nella zona del Trinese e del Basso Monferrato, sulla strada statale 455 per Pontestura, all'altezza del cavalcavia che costeggia l'abitato di Trino, tale da provocare l'invasione della carreggiata e dei campi circostanti (tra cui le risaie) e il danno ambientale da penetrazione del liquido nel suolo;
   appare dolosa la natura di tale evento, il quale, secondo fonti stampa, non rappresenterebbe un episodio isolato ma piuttosto l'ennesimo caso di furto di carburante nel territorio piemontese, come nel recente caso di Tortona, sul quale è in corso un'indagine da parte della magistratura;
   l'ultimazione dell'installazione sulla linea dell'oleodotto Eni (da Sannazzaro de’ Burgondi verso la Liguria) del segnalatore vibro-acustico, consente di disporre di un sistema composto da sensori tale da registrare le onde vibro-acustiche atte a segnalare malfunzionamenti o manomissioni dell'impianto;
   i dati (Il Sole 24 ore del 6 giugno 2016) evidenziano l'esponente crescita di attacchi agli oleodotti, dell'ammontare di una decina l'anno fino al 2012 fino ad arrivare a 157 forzature nel solo 2015;
   il crescente fenomeno di furto e traffico illecito di carburante espone a rischio i 2.690 chilometri di oleodotti, soprattutto in Lazio, Toscana, Liguria, Piemonte, Lombardia e Veneto, di cui 857 portano greggio; 1.833 chilometri sono pieni di carburanti, come benzina, gasolio o cherosene per aerei –:
   se il Governo non ritenga di promuovere, per quanto di competenza, un monitoraggio dell'area colpita, con l'acquisizione di tutti i dati disponibili al fine di valutare il danno ambientale sul territorio;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare al fine di potenziare la vigilanza degli impianti, in modo da sottrarli al fenomeno in espansione del furto e del traffico illecito di carburanti;
   se il Governo non intenda assumere iniziative volte a garantire una messa in sicurezza degli impianti tale da favorire la tutela ambientale, compromessa dai frequenti sversamenti di carburante.
(5-09046)

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 maggio 2015, in risposta alla direzione integrazione socio sanitaria del dipartimento politiche sociali, sussidiarietà e salute di Roma Capitale, che chiedeva un parere sulla creazione del cosiddetto eco-distretto di Rocca Cencia, l'impianto di compostaggio AMA pensato per dare una svolta al ciclo dei rifiuti e chiudere definitivamente Malagrotta, il direttore del servizio igiene e sanità pubblica della asl Roma B ha elaborato una relazione nella quale denuncia la presenza di «rifiuti pericolosi interrati» e di sversamenti di solventi con il conseguente inquinamento delle falde acquifere;
   in merito, il direttore scrive che «Questo servizio è a conoscenza diretta di episodi avvenuti in passato che confermano tale ipotesi ed altri, anche recenti, che creano il sospetto dell'esistenza di ulteriori casi, come il riscontro di solventi nelle acque dei pozzi vicini ad alcuni insediamenti industriali»;
   il direttore parla anche dell'insediamento industriale di via di Salone, dove c’è stato il «riscontro della presenza di numerosi solventi nelle falde idriche da cui i pozzi attingono acqua destinata ai processi industriali», e rileva come in generale nel territorio esisterebbe il rischio di «un'eventuale presenza di solventi nei pozzi che potrebbe far sospettare la percolazione degli stessi nelle falde idriche a partire da interramenti di rifiuti industriali o comunque pericolosi»;
   con riferimento ai dati sulla salute dei residenti della zona, nella relazione si legge che «la valutazione epidemiologica sullo stato di salute della popolazione fornisce informazioni degne della massima attenzione in merito ad alcuni eccessi di mortalità, nonché di malformazioni congenite», e nel chiedere ulteriori controlli sulle falde, sui terreni «eventualmente da bonificare» e sullo stato di salute della popolazione, evidenzia come tutti i materiali analizzati, dal piombo al ferro, passando per idrocarburi e rame, suggeriscano valori di gran lunga fuori norma;
   la relazione affronta anche la questione dei roghi tossici provenienti dal campo rom di Salone, ma anche da Rocca Cencia, dove ignoti danno fuoco ai rifiuti lasciati nelle strade interne, trasformate in vere e proprie discariche, rilevando come non occorrano monitoraggi ambientali «per affermare sia l'aumento dell'inquinamento conseguente all'accessione di roghi, sia gli effetti immediati sull'apparato respiratorio, cardio-circolatorio ed oculare provocato dai fumi irritanti, responsabili della dispersione nell'ambiente di sostanze tossiche, in grado di provocare effetti ritardati sulla salute (tumori, aborti e malformazioni neonatali, danni del patrimonio genetico, ecc)»;
   già nel 2012 il dipartimento epidemiologia della regione Lazio assegnò a questa parte della città il triste primato di mortalità per tumori maligni nella popolazione maschile;
   nella zona, compresa nel sesto municipio di Roma Capitale, insistono cave mai bonificate e discariche abusive vecchie e nuove, tra le quali c’è anche la ex discarica abusiva di via del Casalone, una cava dove fra gli anni settanta e novanta sarebbero stati sversati rifiuti di ogni genere, fino ad alcuni parziali interventi di bonifica e di messa in sicurezza avvenuti dieci anni fa in occasione dei lavori per la realizzazione della tratta ferroviaria ad alta velocità Roma-Napoli, interventi mai completati a causa di un contenzioso fra il comune di Roma e il Gruppo Ferrovie dello Stato italiane e la mancata erogazione di tre milioni di euro promessi dall'amministrazione capitolina;
   in un'altra località della zona, denominata Colle del Sole, nel novembre 2014 il reparto sicurezza pubblica ed emergenziale della polizia locale di Roma ha scoperto rifiuti ospedalieri e speciali sotterrati in un terreno adibito al pascolo delle pecore;
   a fine aprile 2016, invece, la Guardia forestale ha confiscato un'area di ottocento metri quadri tra via di Rocca Cencia e via Sant'Alessio in Aspromonte sulla quale, stando alla relazione dei forestali, «è stato accertato l'accumulo illegale di circa 1.200 metri cubi di rifiuti anche pericolosi»;
   per quanto riguarda l'impianto dell'AMA di Rocca Cencia esiste una relazione dei responsabili della sicurezza dei lavoratori, datata 8 maggio 2015, che mette nero su bianco diverse criticità, tra le quali cattivo odore eccessivo, crepe nei muri, quantità di rifiuti trattati oltre il limite massimo consentito, il mancato filtraggio delle polveri e l'assenza del rilevatore di radioattività;
   sulla vicenda dell'impianto di trattamento meccanico-biologico di Rocca Cencia, sembrerebbe addirittura esistere un'inchiesta penale, posto che nel dicembre 2015, l'Arpa Lazio, nel chiedere un accesso agli atti presso la procura di Roma, scriveva: «si prega di comunicare se nulla osta alla consegna alla richiedente del verbale di sopralluogo e la relazione tecnica predisposta dal personale Arpa Lazio relativi all'impianto Ama (...) nell'ambito del procedimento penale n. 85321/15 RPM n. 209»;
   i residenti del quartiere si battono da decenni contro l'inquinamento ambientale della zona, che ne ha fatto una vera e propria «terra dei fuochi romana», denunciando la presenza di altre cave e chiedendo la bonifica dei terreni inquinati e l'adozione di misure sanitarie –:
   se non ritengano di adottare con urgenza le iniziative necessarie a verificare anche attraverso il comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, la situazione dei territori di cui in premessa a tutela della salute dei cittadini che vi risiedono. (4-13654)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANZI, NARDUOLO, PES e RAMPI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 27 aprile del 1937, nella clinica Quisisana di Roma, dopo anni di prigionia e di malattia moriva, all'età di 46 anni, Antonio Gramsci, fondatore e dirigente del Partito comunista italiano;
   senza che vi sia più distinzione alcuna tra chi si riconosce nelle sue posizioni politiche e chi ne è avversario, Gramsci è riconosciuto ormai da decenni come uno dei massimi studiosi del Novecento italiano, per i suoi scritti, le sue idee, la sua passione politica e civile, ma anche per la sua vicenda umana, segnata dalla malattia e dalla persecuzione politica;
   l'attualità del suo pensiero, sia di fine intellettuale che di importante dirigente politico, fanno di Gramsci, ancora oggi, un protagonista indiscusso della storia del nostro Paese e un punto di riferimento, non per una singola forza politica, ma per la coscienza civile e politica italiana ed internazionale;
   per questo ogni anno si susseguono cerimonie in suo onore e iniziative, mostre, dibattiti che ne ricordano il pensiero e rendono omaggio alla sua straordinaria capacità di resistenza morale e alla sua stoica operosità;
   il prossimo anno, ad ottanta anni dalla sua morte, molte e altre saranno le iniziative attese per ricordarne la memoria;
   è importante celebrare l'anniversario della sua morte per il valore che il messaggio Gramsciano può avere per le generazioni più giovani ed altrettanto importante è sostenere iniziative sul territorio proprio per una diffusione e divulgazione più capillare del suo pensiero –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano promuovere iniziative per celebrare l'ottantesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci, anche con bandi a sostegno di progetti culturali diffusi sul territorio o rivolti alle scuole di ogni ordine e grado che vogliano rendere omaggio ad uno dei protagonisti del novecento italiano. (5-09038)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PALLADINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   all'indomani della notoria crisi del 2003, che ha interessato le economie globali e che tuttora interessa l'economia italiana, ed in modo ancora più pesante la regione Campania, sono stati adottati diverse misure per aiutare le imprese con provvedimenti legislativi tesi ad evitare il « default»;
   il legislatore italiano, anche per adeguarsi alle normative adottate dagli Stati membri alle raccomandazioni della Commissione europea, ha emanato diversi provvedimenti negli corso degli ultimi anni al fine di aiutare le imprese virtuose in crisi, evitando, per quanto possibile, il fallimento e, quindi, la conservazione, in primis, dei livelli occupazionali;
   al fine di dare un significativo contributo dello Stato, quasi sempre il principale creditore delle imprese ed a volte il principale attore della causa della crisi (cattivo pagatore dei propri debiti e, nel contempo, creditore per l'applicazione di imposte e gravose sanzioni, interessi, more ed aggi esattoriali), sono state apportate significative variazioni con la riforma del diritto fallimentare;
   con l'Istituto della transazione fiscale e previdenziale, disciplinato dall'articolo 182-ter della legge fallimentare, si è reso disponibile il credito fiscale e previdenziale, nel senso che il creditore Stato, alla stregua degli altri creditori, può transigere il proprio credito, ove ne ricorrano i presupposti di legge, al fine di salvaguardare i fattori produttivi, tra cui si ribadisce un ruolo significativo assume la forza lavoro;
   anche le circolari emanate dalla direzione centrale normativa dell'Agenzia delle entrate (circolare n. 40/E del 18 aprile 2008, risoluzione n. 3/E del 5/01/2009, circolare n. 14/E del 10/04/2009 e circ. n. 19/E del 6/05/2015) impartiscono agli uffici periferici disposizioni al fine di agevolare le aziende nel ricorso a tale istituto transattivo;
   non di meno non si può non tenere in debita considerazione la raccomandazione n. 2014/135/UE del 12 marzo 2014 della Commissione europea «su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all'insolvenza» che invita gli Stati membri a favorire ed agevolare le aziende in crisi nel ricorso degli strumenti agevolativi per evitare il « default»;
   la Commissione europea, con la raccomandazione del 12 marzo 2014 «su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all'insolvenza», ha inteso garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, ovunque siano stabilite nell'Unione, l'accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l'insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l'economia in generale. Un altro obiettivo è dare una seconda opportunità in tutta l'Unione agli imprenditori onesti che falliscono;
   la raccomandazione ha il duplice obiettivo di: «incoraggiare gli Stati membri a instituire un quadro giuridico che consenta la ristrutturazione efficace delle imprese sane in difficoltà finanziaria e di dare una seconda opportunità agli imprenditori onesti, promuovendo l'imprenditoria, gli investimenti e l'occupazione e contribuendo a ridurre gli ostacoli al buon funzionamento del mercato interno. Riducendo tali ostacoli, la raccomandazione mira in particolare a: (a) diminuire i costi della valutazione dei rischi connessi agli investimenti in un altro Stato membro; (b) aumentare i tassi di recupero del credito; (c) eliminare le difficoltà di ristrutturazione dei gruppi transfrontalieri di imprese»;
   fatte queste doverose premesse si ritiene necessario, ad ogni buon fine, far presente che la direzione regionale dell'Agenzia delle entrate della Campania fino a dicembre 2014 ha sottoscritto numerose transazioni fiscali, salvando migliaia di posti di lavoro; successivamente, a quanto risulta all'interrogante non sono stati più concessi nulla osta per la stipula di accordi transattivi, pur avendo le direzioni provinciali di competenza espresso parere favorevole, contravvenendo, espressamente alle disposizioni impartite dalla direzione centrale dell'Agenzia delle entrate;
   a fronte di numerose richieste di transazioni fiscali, trasmesse con parere favorevole dalle direzioni provinciali e giacenti da oltre due anni presso la direzione regionale della Campania, in molti casi non sarebbe stato ancora espresso il parere o, per quelli espressi, sarebbero state rigettate le proposte transattive –:
   quali siano le ragioni del diniego delle proposte di transazioni fiscali per le imprese in Campania dal 2014 in poi, e quali urgenti iniziative intenda porre in essere ove ricorrano i requisiti di legge per accordare le transazioni fiscali alle imprese campane che ne hanno fatto richiesta, evitando in tal modo che venga a crearsi una sorta di concorrenza sleale da parte di aziende ubicate in altre regioni, alle quali a parità di condizioni dette transazioni fiscali vengono concesse.
(5-09039)


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO e NESCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa (La Repubblica del 27 febbraio 2016) si apprende che la Fondazione Enpam risulterebbe, ancora una volta, coinvolta in una truffa relativa ai propri investimenti; in particolare, nell'articolo citato si fa riferimento ad «una maxi tangente per la vendita, a una cifra spropositata, del palazzo destinato ad ospitare proprio la nuova sede dell'Enpam in piazza Vittorio Emanuele II, a Roma. I protagonisti della vicenda sarebbero i costruttori Pulcini, Antonio e Daniele, e presunta vittima l'ente nazionale di previdenza dei medici»;
   «i numeri non tornano – continua l'articolo de La Repubblica – l'ente di previdenza e di assistenza dei camici bianchi avrebbe sborsato in otto anni, dal 2005 al 2013, anno in cui l'Enpam ha preso possesso dell'immobile, alla New Esquilino Srl dei costruttori Pulcini la cifra folle di 136 milioni di euro. In realtà il valore del palazzo sarebbe meno della metà.». «Al centro di questa nuova inchiesta anche Luigi Antonio Caccamo, all'epoca dei fatti direttore del patrimonio immobiliare dell'Enpam, presunto collettore della mazzetta e l'architetto Giorgio Maria Tamburini». «La presunta mazzetta pagata dai Pulcini a Caccamo consisterebbe in un immobile venduto, dai costruttori all'ex dirigente dell'Enpam, ad un prezzo stracciato 2,5 milioni di euro. Una palazzina a Trastevere, il cui il valore sarebbe, come da informativa della Finanza infinitamente superiore, 15 milioni. A contribuire alla chiusura dell'affare per Caccamo figurerebbe Tamburini. Quest'ultimo, uomo di Pulcini, è il direttore dei lavori a Piazza Vittorio per la ristrutturazione del palazzo all'Enpam»;
   sempre in relazione a transazioni immobiliari con l'Enpam, oltre ai due costruttori citati e a Luigi Antonio Caccamo, è stato rinviato a giudizio anche il deputato Pd Marco Di Stefano, con riferimento alla vicenda dei due immobili di via del Serafico (zona Ardeatina) che i Pulcini acquistarono tra il 2009 e il 2010 e poi diedero in affitto alla Lazio Service (società della regione Lazio) a canoni elevati, a un prezzo fuori mercato, per poi essere ceduti all'Enpam, operazione che avrebbe determinato una plusvalenza di quasi 40 milioni di euro;
   gli imprenditori Antonio e Daniele Pulcini sono tra l'altro coinvolti in altre rilevanti indagini e cronache giudiziarie e, di recente, sono stati rinviati a giudizio dal gup di Roma per l'appalto del 2013 per un'area-parcheggio di piazzale Clodio, a pochi metri dalla cittadella giudiziaria e Daniele Pulcini compare anche tra gli imputati del maxiprocesso a Mafia Capitale;
   in occasione della presentazione del bilancio di previsione 2005 venne comunicata dal presidente pro tempore Parodi al Consiglio nazionale dell'Enpam l'intenzione di acquistare una nuova sede, in quanto l'Ente occupava due palazzi di proprietà, più parte di un altro edificio in affitto. La zona dove costruire il nuovo moderno palazzo era stata localizzata sempre nel centro di Roma e conseguentemente i due palazzi di proprietà, all'ora occupati dall'Ente, sarebbero stati affittati, in quanto la loro ubicazione nel centro della capitale poteva assicurare eccellenti introiti dall'affitto; come riportato dal Giornale della Previdenza, n. 1 del 2005 alla pagina 40;
   l'acquisto della nuova sede, che era stato deliberato dal consiglio di amministrazione il 17 dicembre 2004, prevedeva la consegna all'Enpam entro gennaio 2008, mentre è avvenuta solo a fine 2013 con la conseguenza di ulteriori e non previsti esborsi per affitti presso via Torino 98, sede della Feltrinelli, per 1.200.000 euro l'anno, con un esborso complessivo di 6.000.000 euro per il periodo di cinque anni, con conseguenti maggiori danni per i contribuenti;
   precedentemente al perfezionamento del contratto con l'Enpam la zona identificata era stata già interessata da indagini archeologiche, che avevano portato alla luce reperti di notevole interesse storico e artistico e, secondo le dichiarazioni del Soprintendente Maria Rosaria Barbera, «Il ritrovamento riguarda una tra le ville più grandi dell'antichità romana, una specie di Villa d'Este»;
   con l'avvio del progetto dell'Enpam, in piazza Vittorio, Roma, stante l'interesse pubblico per la zona in questione, veniva insediata un'unità per alta sorveglianza, presieduta dall'ingegner Balducci, che portava, però, alla ingiustificata chiusura del rapporto con il gruppo di archeologi e il prosieguo delle attività di indagine veniva affidato ad una ditta privata;
   in un comunicato stampa di Italia Nostra del 18 febbraio 2010, veniva riportata la notizia della richiesta di chiarimenti sia sullo scavo archeologico a Piazza Vittorio, sia sul ruolo di Angelo Balducci, Claudio Rinaldi e Enrico Bentivoglio, consulenti dell'Enpam a titolo di prestazione professionale privata per verificare della compatibilità degli scavi archeologici, disposti dalla Soprintendenza Archeologica, con la stabilità dell'edificio;
   risulterebbe che, successivamente, un'indagine interna sugli investimenti, voluta dal Consiglio di amministrazione della Fondazione Enpam, dopo le numerose polemiche su varie iniziative finanziarie, e condotta dal Comitato di controllo interno, non avrebbe evidenziato criticità particolari e anzi avrebbe fornito sufficienti elementi di correttezza;
   il Comitato di controllo interno è preposto istituzionalmente al controllo dell'Ente (l'organo è composto dal presidente Angelo Buscema, magistrato della Corte dei Conti, e da due avvocati, Alessandro Diotallevi e Salvatore Napoli e risulterebbe costituito a titolo oneroso per l'Enpam (60.000 euro annui per il presidente, 50.000 euro annui per ciascun componente);
   risulterebbe, inoltre, che la precedente sede dell'Enpam, sede di via Torino, sia ancora utilizzata dall'Enpam, in particolare per le società collegate Enpam RE, Enpam Sicura, Salute Mia, con ulteriori aggravi e rinunciando così agli eccellenti introiti preventivati e provenienti dall'affitto;
   la Corte dei Conti, nell'ambito della propria attività di controllo sugli enti e con riguardo al controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'ENPAM per l'anno 2014, nella propria determinazione del 21 aprile 2016, n. 40, evidenzia il forte incremento del fondo di svalutazione dei fabbricati registrato proprio nell'anno 2014 (passato da circa 141 milioni del 2013 a circa 236 milioni del 2014) ed in «larghissima misura, per circa 89 milioni di euro, imputabile alla svalutazione dell'immobile di Piazza Vittorio Emanuele in Roma»;
   la Corte dei Conti, nel medesimo documento, ricorda che l'immobile era stato acquistato al prezzo di circa 140 milioni di euro, prezzo determinato sulla base di una stima compiuta da una società partecipata dal comune di Roma nel 2004 (Risorse per Roma spa) e che nel 2014, anche a seguito del nuovo principio contabile OIC 9 (nuovo principio che disciplina il trattamento contabile per le perdite durevoli di valore), l'ente ha richiesto una nuova stima ad un diverso soggetto (BNP Real Estate), il quale ha fornito una valutazione di 62 milioni di euro, molto inferiore a quella originaria;
   nella seduta del 17 dicembre 2015 della «Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale», alla richiesta di delucidazioni riguardo le valutazioni e le svalutazioni degli immobili acquistati e con specifico riferimento proprio all'acquisto dell'immobile di piazza Vittorio, il presidente dell'Enpam Alberto Oliveti, nel rimandare le eventuali responsabilità alle precedenti gestioni («abbiamo gestito quello che abbiamo trovato»), evidenzia che il problema di un acquisto di cosa futura, che avvenne nel 2005, è venuto alla luce nell'ottobre 2013 in relazione al principio contabile citato e a tal fine è stata commissionata una valutazione da una primaria società peritale (BNP Real Estate) la quale ha appunto rilevato l'importante svalutazione, e che di fronte all'evidente discrepanza si è proceduto a chiedere ad entrambe le società, sia a BNP Real Estate e sia a Risorse per Roma spa, i criteri e gli standard con i quali avevano effettuato la perizia; a tale richiesta di chiarimenti la società pubblica Risorse per Roma spa non ha risposto, mentre la BNP Real Estate ha risposto affermando i criteri utilizzati sono stati quelli delle normali comparazioni di mercato;
   il presidente dell'Enpam Oliveti sempre nella succitata seduta del 17 dicembre 2015 ha riferito che, non avendo avuto soddisfazione delle motivazioni inerenti alla discrepanza di valutazioni, è stato fatto un esposto alla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma (esposto consegnato seduta stante alla Commissione parlamentare) e che non appena conosciuta tale discrepanza l'Enpam ha provveduto a portarla a bilancio come fondo di svalutazione; nel corso della medesima audizione ha anche fatto cenno alla esistenza «di indagini in corso» con presumibile riferimento alla società Risorse per Roma spa cui l'Enpam medesimo è indirettamente legato in quanto in possesso di quote di partecipazione totale di immobili di un fondo immobiliare; il sistema dei fondi immobiliari prevede gestioni di SGR (società di gestione del risparmi), che sono autonome, controllate da Bankitalia e quotate in borsa da Consob, che hanno le loro autonomie e utilizzano perizie indipendenti mediante i criteri prestabiliti e controllati da Bankitalia;
   risulta, infine, che il dottor Emilio Frascione, presidente dell'Organismo di vigilanza dell'Enpam ex decreto legislativo n. 231 del 2001 (O.d.V.) nella relazione-esposto del 20 novembre 2009, indirizzato non solo ai Ministeri vigilanti ma anche alla Corte dei Conti, sottolineava, tra l'altro, il fatto di aver sollevato, tempestivamente, varie perplessità e conseguenti richieste di chiarimenti ai vertici dell'ente, mai pervenuti, in merito alla vicenda della nuova sede dell'Enpam di Piazza Vittorio; nel citato documento/esposto si legge: «Altro argomento che potrebbe aver spinto il Presidente dell'Ente a far deliberare con tanta celerità la “revoca” dell'OdV (rectius soppressione) potrebbe essere quello relativo alla costruzione della nuova sede dell'ENPAM»;
   la Corte dei Conti con determinazione n. 24 del 2014, relativa al controllo di gestione dell'Enpam per gli anni 2008 e 2009, in riferimento alla gestione amministrativa, ricorda la vicenda relativa all'adeguamento del modello organizzativo della Fondazione alle disposizioni recate dal decreto legislativo n. 231 del 2001 evidenziando che nel gennaio 2008 è stato approvato lo statuto del relativo organismo di vigilanza che si è effettivamente insediato nel maggio 2008 e che nel maggio 2009 ha prodotto la propria relazione annuale, nella quale, dopo aver manifestato forti perplessità, concludeva dichiarando di non essere in grado di pronunciarsi su due settori decisivi dell'attività della Fondazione, quali il servizio investimenti e gestione finanziaria e il dipartimento del patrimonio immobiliare; appena un mese dopo l'Organismo di vigilanza correggeva la propria valutazione, rendendo un giudizio sostanzialmente positivo sulle due strutture appena citate, mentre nel mese di settembre del 2009 il consiglio di amministrazione deliberava (delibera 48/2009) di revocare il mandato all'organismo di vigilanza e solo nel settembre 2010, il consiglio di amministrazione ha approvato le linee guida relative al «sistema integrato di controllo per la Fondazione Enpam», istituendo fra l'altro, in via sperimentale per un anno, un Comitato di controllo interno. La Corte dei Conti, quindi, afferma: «la vicenda è invero singolare» e rappresenta l'esigenza che alla fine dell'anno di sperimentazione le nuove scelte siano sottoposte a una valutazione attenta e ponderata;
   diverse pronunce sia dell'allora AVCP (atto di segnalazione del 15 febbraio 2011) e sia del Consiglio di Stato (sentenza n. 182/2006, n. 6014/2012) hanno sottolineato, con riguardo alle casse di previdenza, la natura di organismo di diritto pubblico, evidenziando che gli enti previdenziali proprio per la contribuzione obbligatoria dispongono di indirette forme di finanziamento statale, e che l'attività istituzionale di questi enti consiste, anche dopo la privatizzazione, nello svolgere attività previdenziali ed assistenziali a favore delle categorie di lavoratori e professionisti con l'obbligatorietà dell'iscrizione e contribuzione, attuando in tal modo uno dei diritti fondamentali dei lavoratori sanciti dalla Costituzione;
   la sentenza del Consiglio di Stato n. 6014/2012, in particolare, così riporta: «Infatti, l'attrazione degli enti previdenziali nella sfera privatistica operata dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, riguarda il regime della loro personalità giuridica, ma lascia ferma: l'obbligatorietà dell'iscrizione e della contribuzione (articolo 1 d.lgs. cit.); la natura di pubblico servizio, in coerenza con l'articolo 38 Cost., dell'attività da essi svolte (articolo 2); il potere di ingerenza e di vigilanza ministeriale (articolo 3, per il cui comma 2 tutte le deliberazioni in materia di contributi e di prestazioni, per essere efficaci, devono ottenere l'approvazione dei Ministeri vigilanti), e fa permanere il controllo della Corte dei conti sulla gestione per assicurarne la legalità e l'efficacia (articolo 3)» –:
   se siano stati esaminati i verbali delle riunioni degli organi collegiali, relativi alla nuova sede dell'Enpam, anche quelli riguardanti le precedenti consiliature dell'ente, ed in particolare le delibere assunte, gli eventuali interventi, le dichiarazioni di voto a favore e contro quale sia stato l'esito delle votazioni, con esplicita menzione dei voti favorevoli, dei voti contrari espressi dai singoli componenti e delle astensioni;
   se gli incarichi assegnati ai componenti del Comitato di controllo interno e, in particolare quello ricoperto dal presidente Angelo Buscema, possano determinare il rischio di un eventuale caso di conflitto di interesse e porsi in contrasto con i principi di incompatibilità ed inconferibilità degli incarichi, nonché di economicità;
   se vi siano elementi per valutare un eventuale danno per le casse dell'Ente e per i contribuenti non solo per i fatti relativi all'acquisto della nuova sede dell'Enpam, ma per tutti i fatti conseguenti alla soppressione dell'organismo di vigilanza ex decreto legislativo n. 231 del 2001, in termini di mancato controllo e di adeguamento a norme efficaci volte alla prevenzione della corruzione;
   se non si ritenga necessario, nell'ambito delle proprie competenze, per salvaguardare i diritti degli iscritti all'Ente e più in generale degli interessi di tutti i cittadini contribuenti, porre in essere tutte le iniziative di competenza per il tempestivo adeguamento dell'Enpam alle norme sulla trasparenza e sulla prevenzione della corruzione che dovrebbero essere pienamente applicate in tutti quegli enti che svolgono un pubblico servizio, prevendo quanto meno un sollecito ripristino dell'organismo di vigilanza dell'Enpam ex decreto legislativo n. 231 del 2001, come evidenziato in un'interrogazione precedente, la n. 5/07315, della prima firmataria del presente atto. (5-09047)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 19 giugno 2016, presso la sede della casa circondariale di Matera, alcuni detenuti, ristretti al piano terra della sezione Sirio, hanno dato fuoco a materassi e suppellettili, creando una densa coltre di fumo che ha reso l'aria della sezione assolutamente irrespirabile, mettendo in serio pericolo la vita degli altri detenuti e del personale di polizia penitenziaria, prontamente intervenuto per fronteggiare la drammatica emergenza;
   soltanto il coraggio, lo spirito di abnegazione e la professionalità di questo personale, unito a quello dei carabinieri, della polizia di Stato, dei vigili del fuoco e degli operatori del 118 intervenuti in aiuto, hanno evitato il verificarsi di una tragedia, con la perdita di numerose vite umane, o di gravi turbative dell'ordine pubblico, come una rivolta dei detenuti o una loro possibile evasione;
   al termine delle operazioni congiunte, due unità appartenenti alla polizia penitenziaria sono state soccorse per aver riportato una intossicazione da fumo;
   appena pochi mesi fa, all'interno della stessa sezione, si era verificata una situazione analoga;
   nel penitenziario di Matera, in particolare, a quanto risulta all'interrogante, mancherebbero le finestre all'interno del corridoio e dell'ufficio del cosiddetto «corpo di guardia», l'impianto di rilevazione dei fumi non sarebbe funzionante, gli estintori sarebbero in numero insufficiente e molti scaduti, i cancelli elettrici del reparto, così come l'impianto di videosorveglianza, sarebbero non funzionanti, mancherebbero del tutto le maschere antigas e i teli antincendio;
   altra gravissima circostanza, sarebbe rappresentata dal fatto che, specialmente nei turni pomeridiani e notturni, la responsabilità della sorveglianza generale venga demandata a personale con la qualifica di assistente capo, contrariamente a quanto previsto dalla normativa che individua tali responsabili all'interno dei ruoli superiori (sovrintendenti o ispettori);
   l'UGL Polizia Penitenziaria e l'UGL Funzione Pubblica, a livello nazionale hanno sempre denunciato l'assenza di concrete strategie per prevenire i cosiddetti «eventi critici» che nelle carceri del nostro Paese sono ormai all'ordine del giorno e che mettono a serio rischio l'ordine e alla sicurezza interna nonché la vita degli operatori penitenziari. L'episodio di Matera rappresenta infatti l'inadeguatezza del sistema penitenziario italiano dove in moltissimi casi non sarebbero addirittura rispettati i parametri minimi di sicurezza –:
   se il Ministro sia a conoscenza dell'evento critico del 19 giugno 2016 indicato in premessa e quali iniziative intenda adottare al fine di fare piena luce sull'accaduto e, in caso di conferma di quanto evidenziato, se intenda adottare interventi finalizzati al ripristino immediato di tutti gli apparati e della strumentazione necessaria a garantire la prevenzione degli incendi e, più in generale, la sicurezza all'interno del reparto e dell'istituto tutto, ivi compresa la fornitura della attrezzature necessarie a fronteggiare simili emergenze;
   di quali strumenti disponga il Ministro interrogato, anche in relazione alla necessità di integrare gli organici di polizia penitenziaria in servizio presso l'istituto di Matera, al fine di garantire la copertura dei posti di maggior responsabilità da parte del personale individuato allo scopo dalla normativa vigente;
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per evitare che negli istituti penitenziari d'Italia gli appartenenti al ruolo agenti/assistenti siano continuamente impiegati in compiti di maggior responsabilità ai quali, oltretutto, al danno si aggiunge la beffa, non sembra possa essere riconosciuto neanche un trattamento economico adeguato, per le mansioni di grado superiore. (4-13643)


   MURA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   al 22 giugno del 2016 i detenuti morti, per varie cause, nelle carceri italiane sono 44, di cui ben 19 sono suicidi;
   dal 2000 a oggi l'Italia vanta il triste primato di decessi nelle strutture di detenzione, con 2538 morti di cui ben 906 sono suicidi;
   nelle carceri italiane i detenuti si tolgono la vita con una frequenza 19 volte maggiore rispetto alle persone libere e, spesso, lo fanno negli istituti dove le condizioni di vita sono peggiori, quindi in strutture particolarmente fatiscenti, con poche attività trattamentali, con una scarsa presenza del volontariato;
   in molti casi le persone che si sono tolte la vita erano affette da malattie invalidanti e ricoverate in centri clinici penitenziari: l'allocazione in un determinato reparto rappresenta spesso il principale fattore di rischio, più che la gravità della patologia;
   uno studio recente dice che il 35 per cento dei detenuti soffre di disturbi psichiatrici;
   il fatto di raggruppare i detenuti in base al loro stato di salute contribuisce a far perdere ogni speranza;
   negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della polizia penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 18 mila tentati suicidi ed impedito che quasi 133 mila atti di autolesionismo;
   gli istituti penitenziari hanno l'obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti e l'Italia è certamente all'avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a prevenire questi gravi eventi critici;
   malgrado i buoni propositi, nel campo della prevenzione c’è ancora tanto da fare: le leggi ci sono, ma sono insufficienti e, in ogni caso, spesso manca un attento esame sui trascorsi delle persone che si sono tolte la vita, per cercare di capire da dove nascesse la loro disperazione;
   l'elemento che accomuna la stragrande maggioranza dei suicidi (sia di quelli appena arrestati che di quelli che stanno per terminare la pena) è la mancanza totale di prospettive, seppure in situazioni molto diverse tra loro;
   non c’è nessuna prospettiva di riottenere la rispettabilità persa per chi, da detenuto, attende il processo per mesi ed anni: anche se fosse assolto, non potrà più liberarsi dal marchio del sospetto;
   non c’è nessuna prospettiva di poter trascorrere utilmente la detenzione per chi sa di dover scontare molti anni: in tante carceri, spesso proprio quelle dove sono più frequenti i suicidi, il tempo della pena è tempo vuoto, dissipato lentamente aspettando il fine pena;
   non c’è nessuna prospettiva di poter tornare a vivere «normalmente» per chi è entrato e uscito troppe volte dal carcere e si sente condannato (anche in libertà) ad una vita ai margini, di solitudine, di sofferenza fisica e psicologica;
   servono provvedimenti concreti perché la situazione nelle carceri resta allarmante;
   occorre maggior attenzione agli strumenti che le leggi offrono per una carcerazione alternativa, dai domiciliari alla libertà vigilata;
   con l'avvicinarsi del caldo torrido, il disagio psichico all'interno delle carceri è destinato ad aumentare –:
   se non ritenga opportuno individuare nuove misure per ridurre al minimo il rischio che un detenuto si uccida, pur nella consapevolezza che tante situazioni personali sfuggono ad ogni tentativo di comprensione;
   se non ritenga urgente definire un programma di prevenzione del suicidio e l'organizzazione di un servizio d'intervento efficace, come misure utili non solo per i detenuti ma anche per l'intero istituto dove questi vengono implementati;
   quali iniziative intenda adottare per assicurare la tutela della dignità sociale delle persone incarcerate nell'attesa del processo, sia sul versante della piena applicazione delle leggi in vigore sia per quanto riguarda la necessità di pervenire a nuovi interventi normativi che dettino tempi certi per il processo penale e limitino al massimo la custodia cautelare e ogni forma di detenzione in carcere, se non per i reati più gravi dove sia acclamata la pericolosità sociale dell'individuo sottoposto a forme di restrizione della libertà;
   quali iniziative intenda adottare per assicurare che il significato della pena non sia vanificato, da comportamenti carcerari, attivi e passivi, che possano indurre il detenuto, soprattutto quelli più fragili, a scegliere la via del suicidio come unica soluzione alla carcerazione, vanificando così la funzione rieducativa che la Costituzione assegna al carcere. (4-13646)


   MARCON. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alla recente pubblicazione da parte del Ministero della giustizia di alcuni dati relativi alla situazione di servizi incaricati della gestione delle misure alternative e dei lavori di pubblica utilità e delle messe alla prova, si ravvisa con grande evidenza e altrettante preoccupazione il rischio concreto di un fallimento operativo degli uffici di esecuzione penale esterna. Alla rilevazione dei dati del Ministero al 1o giugno 2016 infatti, un migliaio o poco più di assistenti sociali gestiscono sull'intero territorio nazionale la cifra record di 34.173 persone in esecuzione penale esterna e 19.007 attinenti la messa alla prova; osservazioni della personalità 14.814; indagini socio-familiari 6339;
   tutto il sistema dell'esecuzione penale esterna, a partire dai costi di gestione delle risorse umane, del mantenimento degli utenti, che gravano residualmente sul bilancio dello stato e della collettività (a differenza invece di quanto avviene in caso di detenzione in carcere), fino a quanto riguarda la gestione delle strutture, spesso demaniali, ha un costo notevolmente inferiore al sistema dell'esecuzione della condanna intramuraria (carcere);
   l'ufficio di esecuzione penale esterna è una struttura operativa che è stata ampiamente riconosciuta, anche sulla base di percentuali di efficacia in termini di prevenzione della recidiva, come la più ovvia ed efficace via d'uscita dall'emergenza del sovraffollamento delle carceri, anche in considerazione del fatto che, alla luce della situazione esplosiva del suo sistema carcerario, l'Italia è costantemente soggetta a sanzioni economiche imposte dagli organismi europei;
   il solo provveditorato del Triveneto nell'anno 2015, con i suoi 7 uffici di esecuzione penale esterna ha avuto complessivamente in carico circa 7.500 soggetti, tra misure alternative e sanzioni non detentive, quantità che rappresenta circa 1/6 della popolazione di competenza dell'area penale esterna a livello nazionale. A questi numeri si aggiunge il carico di lavoro derivante da più di 9.000 incarichi di collaborazione con gli Istituti di pena, per soggetti detenuti, e con i tribunali di sorveglianza e ordinari per soggetti in libertà;
   dichiarazioni pubbliche rilasciate dallo stesso Ministro della giustizia Orlando nel 2016 alla conclusione degli Stati generali dell'esecuzione penale, comprovano una sua chiara consapevolezza della situazione degli uffici di esecuzione penale esterna: «... credo che dovremmo potenziare (è un impegno che assumo concretamente) gli uffici dell'esecuzione penale esterna. Penso che il prossimo anno dovremo trovare le risorse, almeno 10 milioni di euro da investire sull'esecuzione penale ma, intanto, vorrei ringraziare gli uffici Uepe, perché hanno fatto fin qui, tanto per citare le parole di Rita Bernardini, le nozze con i fichi secchi, perché, a fronte di un aumento significativo delle competenze e anche di nuovi istituti di esecuzione penale esterna, si sono trovati a risorse invariate e a personale decrescente». Tuttavia la suddivisione del Fondo unico per la giustizia del 2016 ha assegnato l'irrisoria cifra di 500 mila euro a questo comparto, che seguita a svolgere il suo lavori fondamentale condizioni sempre più improbe;
   il 27 maggio 2016 i lavoratori degli uffici di esecuzione penale esterna del Veneto e del Friuli Venezia Giulia hanno manifestato pubblicamente di fronte alla cittadella della giustizia a Venezia per denunciare le condizioni di insostenibilità della situazione attuale, nonché il grave rischio di implosione dell'intero sistema, che rappresenterebbe un gravissimo fallimento da parte dell'Istituzione in indirizzo e dello Stato –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per garantire il mantenimento della mission istituzionale del sistema, degli uffici di esecuzione penale esterna, totalmente altro dal «sistema carcere» gestito da personale professionalizzato appartenente al comparto Ministeri, potenziandone le capacità e, in particolare, quale ruolo si intenda attribuire al personale di polizia penitenziaria, appartenente al comparto sicurezza, qualora immesso in tali servizi;
   se il Ministro interrogato non ravvisi l'opportunità di indire urgentemente un bando di concorso per l'assunzione a tempo indeterminato di funzionari di servizio sociale, considerata la mole degli interventi, la peculiarità del servizio finalizzato alla costruzione di sicurezza sociale e l'età media elevata del personale ora in servizio. (4-13648)


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, PASTORINO e MATARRELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Fabrizio Pellegrini, noto pianista e pittore di Chieti, malato di artrite reumatoide in cura con la cannabis, dall'8 giugno 2016 è recluso presso il carcere di Chieti;
   la situazione in cui versa il musicista sembra possa rappresentare al meglio un grave vulnus arrecato all'effettivo godimento del diritto alla salute e della libertà personale;
   Pellegrini, in seguito all'arresto, è stato dipinto dalla stampa locale non come un malato bensì come un pericoloso spacciatore di droga: «Coltivava marijuana in casa per poi venderla: arrestato. Durante un'operazione antidroga, in manette è finito F.P., classe 1968, di Chieti, fermato nell'ambito di specifici servizi mirati alla prevenzione e al contrasto dello spaccio»;
   Pellegrini, ad avviso degli interroganti, a causa di una interpretazione peggiorativa delle norme di riferimento, ha visto per la sua persona le porte del carcere aprirsi più volte, in considerazione del fatto che la legge non gli garantisce, e non garantisce nessuno, un accesso sicuro al farmaco di cui necessita per curarsi. A peggiorare il quadro, nonostante il suo precario stato di salute, in quotidiano peggioramento, non usufruisce di pene alternative, mentre è ancora in attesa di giudizio, essendogli preclusi l'affidamento in prova, gli arresti domiciliari e pene alternative;
   Pellegrini è stato già più volte condannato nonostante le prescrizioni mediche per l'uso terapeutico di una sostanza derivante dalla cannabis, poiché anche una pianta detenuta in casa a scopi terapeutici è considerato un comportamento illegale. Ciò accade nonostante sia affetto da patologie che necessitano di cure con cannabis; molti altri cittadini malati come lui possono incorrere, poiché la situazione non è omogenea su tutto il territorio nazionale, in detenzione ed essere equiparati agli spacciatori, visto che le normative vigenti sono di controversa interpretazione e causano fatti gravi quali quelli sopra descritti  –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se non si ritenga necessario avviare una fase di studio della materia al fine di promuovere una riforma del Codice penale che consenta alle persone affette da patologie che necessitano di cure palliative, come quelle che richiedono l'uso della cannabis e dei suoi derivati, di non dover incorrere in denunce e pene detentive;
   se non ritengano urgente e necessario, in attesa della riforma assumere iniziative normative urgenti che chiariscano con certezza a tutti il fatto che l'autoproduzione di cannabis per «uso personale medico» non integra ipotesi di reato.
(4-13651)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLA, MOGNATO, MURER, ZOGGIA e MORETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sulla base di uno studio effettuato da un team guidato dal dottor Luigi Tosi dell'Ismar-Cnr e del professor Pietro Teatini dell'università di Padova per monitorare la subsidenza delle coste venete sono emerse una serie di criticità in particolare per quello che riguarda le zone interessate opere del Mose;
   lo studio si è basato sui dati rilevati dai satelliti usati per misurare i movimenti delle terre emerse dell'area lagunare e costiera e i risultati hanno evidenziato uno «sprofondamento» di circa 3 millimetri all'anno che rappresenta un valore importante, soprattutto se rapportato al contestuale fenomeno dell'eustatismo e cioè dell'innalzamento del livello del mare, che 2-3 millimetri all'anno;
   i commissari del Consorzio Venezia Nuova sarebbero, come si apprende dagli organi di stampa, orientati a chiedere la consulenza del dipartimento di ingegneria civile e ambientale dell'università La Sapienza di Roma per monitorare la situazione, anche applicando dei sensori sui cassoni del Mose e studiarne ogni minimo scostamento;
   va detto che il fenomeno dello sprofondamento interessa tutta la costa veneta perché lo studio richiamato evidenzia anche un abbassamento di 15 millimetri all'anno della centrale di Porto Tolle così come della torre Aquileia di Jesolo e di tutto il delta del Po accrescendo le preoccupazioni;
   va tenuto conto della rilevanza del fenomeno nonché degli investimenti effettuati e ancora da completare per quel che riguarda il Mose, così come per il futuro della città di Venezia e di tutto il litorale –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e, conseguentemente, quali iniziative intenda eventualmente assumere con la massima tempestività per assicurare in monitoraggio costante ed analisi a medio-lungo termine della subsidenza lagunare, coinvolgendo in primis gli enti scientifici presenti sul territorio e detentori delle maggiori e più aggiornate conoscenze sul tema;
   se sia stato verificato, anche attraverso gli enti competenti, lo stato delle conoscenze disponibili presso i progettisti ed i tecnici del Consorzio Venezia Nuova, o loro incaricati, riguardo ai cedimenti segnalati nelle zone delle bocche di porto, e se questi cedimenti possano in qualche modo pregiudicare il buon funzionamento del MOSE;
   quale sia lo stato di avanzamento dei lavori di completamento del Mose e se il Governo, anche alla luce delle problematiche in questione, non ritenga opportuno acquisire e inviare, in tempi rapidi, al Parlamento, una nuova relazione, predisposta dal Comitato di indirizzo, coordinamento e controllo istituito ai sensi dell'articolo 4, comma primo, della legge 29 novembre 1984, n. 798, sullo stato di attuazione della legge recante interventi per la salvaguardia di Venezia, considerato che l'ultima risale al 29 novembre 2013 con riferimento al 31 dicembre 2012;
   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere, d'intesa con tutti i soggetti interessati, per eventuali interventi di contrasto del fenomeno, nel quadro di una visione sistemica della salvaguardia della laguna e della città di Venezia.
(5-09041)

Interrogazione a risposta scritta:


   SANTELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con comunicazione scritta in data 4 agosto 2015, inviata al presidente dell'Anas compartimento viabilità Calabria e per conoscenza presidente del Comitato «basta vittime sulla 106», al presidente della Commissione straordinaria antimafia del comune di Badolato e al prefetto di Catanzaro, un cittadino richiamava l'attenzione dei responsabili dei soggetti e degli enti citati sul fatto che il Ponte Vodà ormai inglobato nel territorio urbano, ed assolutamente privo di marciapiede, costituisce un continuo aggravio di pericolo per le numerose persone che abitano nella zona sud di Badolato Marina e che sono spesso costrette ad attraversare il ponte a piedi; in particolare si chiedeva la realizzazione di una pedana metallica per l'attraversamento pedonale sottoponendo la proposta ai dirigenti dell'Anas ma con esito negativo;
   con nota del 21 ottobre 2015 inviata dal vice prefetto vicario dottor Mariani si richiedevano al comune di Badolato notizie a riguardo della segnalazione di situazione di pericolosità della strada statale 106 nel tratto del Ponte Vodà;
   il comune di Badolato in data 9 dicembre 2014 giusto prot. n. 5799 nella persona del responsabile dell'ufficio tecnico architetto Giuseppe Carnuccio comunicava alla prefettura di Catanzaro che in data 5 dicembre 2014 il prefetto aveva convocato i rappresentanti dei comuni i cui territori sono attraversati dalla strada statale 106 alla presenza dei funzionari tecnici dell'Anas, raccogliendo la proposta di realizzazione della menzionata passerella pedonale;
   il comune di Badolato per il tramite del responsabile dell'ufficio tecnico architetto Giuseppe Carnuccio, con nota del 31 maggio 2016 giusto prot. n. 2467 inviata via pec al dipartimento Anas compartimento viabilità Calabria, denunciava una situazione di pericolo nella quale incorrono i pedoni che transitano il Ponte Vodà per raggiungere le proprie abitazioni, e senza aver previsto un piano di sicurezza pedonale, né tantomeno la costruzione di una passerella metallica, nonostante siano stati ultimati i lavori di ristrutturazione del Torrente Vodà –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare al fine di mettere in sicurezza la viabilità pedonale evitando una situazione di pericolo nella quale incorrono numerosi cittadini di Badolato che transitano per raggiungere le proprie abitazioni, nonché al fine di considerare quale soluzione possibile, la realizzazione di una passerella metallica.
(4-13650)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   per fronteggiare l'emergenza migratoria, una nuova tendopoli della Croce Rossa Italiana destinata all'accoglienza di migranti irregolari sembrerebbe in procinto di essere inaugurata in via Ramazzini a Roma;
   l'allarme è stato lanciato da alcuni residenti che, affacciandosi dai rispettivi balconi, hanno notato la presenza di tredici tende azzurre targate «ministero dell'interno» all'interno del perimetro gestito dalla Croce Rossa Italiana, fotografandole;
   informazioni confuse e caotiche rimbalzano tra i cittadini del quartiere: c’è chi parla di una tendopoli per l'accoglienza di centinaia di migranti, chi di una struttura voluta per ospitare gli ex occupanti dell'ospedale Forlanini, chi, infine, — forse più ingenuo — dei preparativi per una sorta di esercitazione;
   stando alle rassicurazioni fornite dalla Croce rossa a mezzo stampa, la tendopoli in allestimento sarebbe una soluzione temporanea, non destinata a trasformarsi in un centro permanente, ma solo a porsi come un hub di primissima accoglienza, non è chiaro tuttavia per quanto tempo;
   stando alle dichiarazione di Alessandra Filograno, addetta stampa del comitato Area metropolitana di Roma capitale, in effetti, «le persone saranno ricollocate altrove e non resteranno qui a lungo», precisando che si tratterebbe comunque di una situazione che la stessa Cri non gestisce, in attesa di istruzioni più dettagliate dalla prefettura di Roma;
   secondo alcuni politici locali, citati in un reportage dedicato al problema da un noto quotidiano nazionale, la struttura sarebbe destinata ad ospitare una parte dei 7.000 migranti irregolari sbarcati il 26 giugno 2016 a Brindisi, circostanza che non risulta al momento essere stata smentita da alcuna autorità competente;
   la sola certezza sembrerebbe dunque che il presidio umanitario è nato per volontà della Prefettura di Roma e si prepara ad accogliere un certo numero di rifugiati sbarcati nei giorni scorsi sulle coste pugliesi –:
   se trovino conferma le dichiarazioni della Croce Rossa Italiana in merito al costituendo centro di prima accoglienza in via Ramazzini a Roma e, in caso di risposta affermativa, quale termine ultimo si intenda porre alla temporaneità del centro, ovvero, in caso di risposta negativa, quale altra destinazione d'uso prevista per quell'area;
   se, trattandosi di centro di prima accoglienza della Croce Rossa Italiana, e dunque — si presume — con apposito presidio medico per lo screening d'ingresso e di primo soccorso sanitario, siano stati valutati i possibili rischi sanitari per la popolazione cittadina derivanti dall'individuazione di un'area in un quartiere così centrale della Capitale e densamente abitato stante l'indiscusso fatto che i migranti, per i territori da cui provengono e le condizioni in cui viaggiano per varcare confini del nostro Paese, risultano potenziali portatori di malattie contagiose.
(3-02358)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 15 marzo 2016 si è svolta, davanti al gup Laura Donati, l'udienza preliminare del processo nel quale risultano imputati 97 candidati alle elezioni amministrative del 2014 nei comuni di San Bonifacio, Bussolengo, Pescantina, tutti in provincia di Verona, e in regione, con l'accusa di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici, ex articolo 479 del codice penale;
   al centro delle indagini della procura scaligera, disposte dal pubblico ministero Beatrice Zanotti, vi sono le modalità e le dinamiche relative alle cosiddette «autenticazioni», sia per quanto riguarda le firme da depositare a sostegno delle varie liste, sia per i relativi documenti di identità, non in regola con quanto previsto dalla legge elettorale, per cui avrebbero dovuto essere vagliati e controllati singola ente, alla presenza dei consiglieri provinciali in tutte le fasi delle autenticazioni;
   come riportato da notizie di cronaca (vedasi articoli pubblicati su corrieredelveneto.corriere.it del 30 giugno 2015 e su www.larena.it del 1o luglio 2015) tra gli imputati figurano alcuni politici locali di spicco, appartenenti a diverse forze politiche, tra cui il sindaco di Pescantina, Luigi Cadura (Lista Civica — Cen. Sin.), il primo cittadino di San Bonifacio, Giampaolo Provoli (Pd), nonché i sindaci uscenti, ovvero Giuliano Elio Zigiotto (a San Bonifacio, ex assessore provinciale Pd), Manuel Fornaser e Damiano Berzacola (a Pescantina), Alberto Bozza (assessore al Comune di Verona), l'ex sindaco di Affi e assessore provinciale Carla De Beni (Lega Nord), Luigi Frigotto (Lega Nord);
   da recenti notizie di stampa emergono ulteriori sviluppi processuali, tra cui oltre 50 richieste di patteggiamento, molte delle quali sostanzialmente già accolte, mentre tra ottobre e novembre avranno luogo le udienze per gli eventuali rinvii a giudizio e per le decisioni sulle richieste di rito abbreviato;
   l'articolo 14, comma 1, della legge 21 marzo 1990, n. 53, nell'abilitare i consiglieri provinciali e comunali all'autenticazione delle firme dei presentatori delle liste elettorali ha inteso agevolare il corretto svolgimento delle firme dei presentatori delle liste del procedimento elettorale, ampliando il novero dei soggetti abilitati all'autenticazione delle firme dei sottoscrittori di liste (vedasi Consulta di Stato, sez. V, 11/057/2012 n. 2731), con l'unico limite costituito dal territorio di competenza dell'ufficio di cui sono titolari o al quale appartengono;
   l'autenticazione delle sottoscrizioni, che si distingue in una prima fase accertativa ed in una successiva fase certificativa, rappresenta un requisito prescritto per garantire, nell'interesse pubblico, la provenienza della presentazione della lista da parte di chi figura averla sottoscritta, con la conseguenza della nullità insanabile della sottoscrizione della lista dei candidati non autenticata in modo regolare entro il termine prescritto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e, alla luce dei fatti su esposti, non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di propria competenza, per verificare la sussistenza dei presupposti per l'eventuale sospensione dei soggetti imputati dalle cariche ricoperte. (5-09043)


   D'INCECCO, FEDI, LA MARCA, CAPONE, BENI, MURER e CARNEVALI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i diritti discendenti dal soggiorno da parte di cittadini stranieri non decadono nella fase del rinnovo del permesso qualora la domanda sia stata presentata prima della scadenza del permesso del soggiorno o comunque entro sessanta giorni dalla scadenza dello stesso; lo stabilisce la direttiva del Ministero dell'interno del 5 agosto 2006 sui diritti dello straniero nelle more del rinnovo del permesso di soggiorno;
   i diritti in materia di assistenza sanitaria nella fase del rinnovo del permesso di soggiorno rimangono garantiti così come stabilito dall'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica n. 334 del 2004 – che statuisce che l'iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale non decade nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno – e ribadito dalla circolare del Ministero della salute del 17 aprile 2007 ove è indicato che ai fini della conservazione dell'iscrizione al servizio sanitario nazionale gli stranieri devono esibire la ricevuta dell'istanza di rinnovo;
   quindi, l'iscrizione decade solamente in caso di mancato rinnovo, revoca o annullamento del permesso in questione;
   tuttavia, vengono frequentemente rappresentate dagli stranieri aventi diritto le difficoltà incontrate presso le Asl che provvedono alla cancellazione dell'iscrizione al servizio sanitario nazionale alla scadenza del permesso di soggiorno e non vengono tempestivamente informate dagli organismi competenti del Ministero dell'Interno della avvenuta presentazione della richiesta di rinnovo e quindi del mantenimento del diritto all'assistenza sanitaria nelle more di tale rinnovo –:
   se il Governo non ritenga utile ed opportuno istituire un sistema telematico di scambio di informazioni sull'avvenuta richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno da parte degli stranieri affinché le aziende sanitarie locali possano essere messe nelle condizioni di rispettare la legge è garantire agli stranieri aventi diritto ed in regola con gli adempimenti normativi ed amministrativi la continuità della fruizione del diritto all'assistenza sanitaria. (5-09044)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COZZOLINO e DA VILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la polizia di frontiera di Venezia opera in tre realtà distinte e separate: lo scalo aero «Marco Polo» di Tessera e gli scali marittimi, con il Porto di Venezia riservato al traffico passeggeri ed il porto commerciale di Marghera che ha competenza anche sul nuovo scalo traghetti di Fusina;
   l'aeroporto di Venezia è uno dei principali scali intercontinentali italiani e, come riportato dalla stampa nazionale, nel 2015 c’è stato sia un aumento di voli che di passeggeri in transito, trend positivo che sembra confermato anche per il 2016;
   negli scali marittimi ed aereo di Venezia nello scorso anno, sono state sottoposte a verifiche di sicurezza e di passaporti 10.788.097 persone e sono stati controllati 6.568 navi e 74.757 voli. Venezia si è confermato il primo home port crocieristico del Mediterraneo;
   nel nuovo terminal traghetti di Fusina operativo dal 2014, come segnala il Sindacato autonomo di polizia (SAP), non è stata ancora consegnata alla polizia di frontiera la sede logistica di appoggio, Ulteriore disagio per chi deve operare con un numero limitato di forze, gestendo tutte le problematiche di polizia in altri e diversi uffici nel porto di Marghera, situati ad una certa distanza da Fusina;
   i recenti attentati terroristici in Francia, Belgio e Turchia ed il diverso scenario internazionale che ne è scaturito, hanno comportato un ulteriore potenziamento dei servizi di vigilanza e controllo del territorio, confermando gli scali marittimo ed aereo di Venezia quali obiettivi sensibili;
   in tutti questi scali, la polizia di frontiera svolge la propria attività con un numero di personale ritenuto insufficiente alle reali esigenze. Appare pertanto opportuna la programmazione di un adeguato potenziamento dell'organico al fine di assicurare tutti i controlli di frontiera e di vigilanza nella stagione estiva, quando i traffici aumentano sensibilmente;
   il personale con qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria è, sempre come denuncia il SAP, numericamente ridotto, tale da non permetterne la presenza in tutti i quadranti nello scalo aereo «Marco Polo». Per questo, il fatto di attingere da tutto il personale disponibile per le sostituzioni con continue aggregazioni dal porto all'aeroporto, allo stato, non permette neppure di tamponare l'emergenza, lasciando inoltre scoperti uffici e realtà di frontiera importanti per la città lagunare;
   situazione questa di disagio in cui si trova ad operare il personale che ha determinato un rilevante numero di domande di trasferimento ad altre sedi. Da molti anni la segreteria provinciale di Venezia del SAP ha segnalato le carenze alla dirigenza locale e al direttore della IV zona di frontiera di Udine, che ha competenza territoriale su Venezia, e la necessità di avere un regolare turn over di ufficiali di polizia giudiziaria;
   giova evidenziare che nella polizia di Frontiera di Venezia sono operative anche la squadra cinofili ed il nucleo tiratori scelti, dove sono inseriti anche degli ufficiali di polizia giudiziaria, che, essendo inquadrati in un servizio specialistico, non possono essere impiegati per coprire la mansione più generica di capo turno nello scalo aereo;
   la dirigenza della polizia di frontiera nel corso degli anni si era impegnata ad assicurare che la funzione di «capo turno» presso lo scalo aereo «Marco Polo» di Venezia fosse ricoperta, con continuità e nell'arco delle 24 ore, da parte di personale della polizia di Stato in possesso della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria. Impegno che, sempre a quanto denuncia il SAP, non è stato più possibile mantenere per l'insufficienza di personale con questa qualifica, determinando da parte della stessa l'impiego quale capo turno di un appartenente al ruolo agenti/assistenti in turni serali e notturni, ed in alcuni casi anche nei quadranti giornalieri;
   tale mansione non è propria di un appartenente al ruolo, agenti/assistenti, sia per il numero di persone da dover coordinare (circa quindici) sia per la carenza di strumenti normativi idonei. Non da ultimo la mancata preparazione professionale per l'attuazione delle misure di intervento previste nel piano di sicurezza aeroportuale «Leonardo DA VINCI», da adottare in caso di emergenza anche di natura terroristica;
   va ricordato infatti che il capo turno della polizia di frontiera è il responsabile del dispositivo di sicurezza aeroportuale al quale partecipano anche le altre forze di polizia presenti in loco ed è per questo che sarebbe necessaria la presenza di un ufficiale di polizia giudiziaria per la gestione di tutte le problematiche di frontiera e di sicurezza che si verificano in uno scalo aereo così importante quale è l'aeroporto di Venezia;
   è in atto il concorso interno a 7563 posti per l'accesso alla qualifica di vice sovrintendente per colmare le carenze a livello nazionale nel ruolo ma che, ad oggi, non ha comportato variazioni nell'organico della polizia di frontiera di Venezia, non interessata ad alcuna nuova assegnazione;
   significativa conferma, che a giudizio degli interroganti ha il sapore di una beffa, è l'aggregazione all'aeroporto di Treviso di un ispettore da altra provincia per sopperire alle esigenze di quello scalo, come a dimostrare che i problemi fin qui illustrati e che riguardano gli scali marittimo ed aereo di Venezia siano stati sottovalutati;
   è indispensabile che un adeguato numero di neo sovrintendenti della polizia di Stato che devono ancora frequentare i corsi di formazione vengano assegnati all'ufficio polizia di frontiera di Venezia, nelle more di future assegnazioni di personale del ruolo degli ispettori;
   l'adeguamento del personale con qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria è necessario anche per il porto di Venezia, che si trova ad operare in sedi logistiche diverse e distanti tra loro, per svolgere funzioni anche di vigilanza e controllo in attuazione di quanto previsto nel locale piano di sicurezza «Cristoforo Colombo», approvato dalla prefettura di Venezia;
   ciò anche per permettere una programmazione del lavoro negli uffici della polizia di frontiera di Venezia, superando quella che è la situazione di emergenza quotidiana dove viene semplicemente garantito il tamponamento delle falle più grosse con copertura dei turni diurni, e garantendo al personale di svolgere il lavoro con più serenità –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intenda porre in essere al fine di risolvere le criticità segnalate. (4-13645)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   presso la ex caserma Cavarzerani di Udine sarebbero ospitate diverse centinaia di migranti di dubbia regolarità, provenienti in larga misura da Afghanistan e Pakistan;
   in seguito all'arrivo alla ex caserma Cavarzerani dei presunti profughi richiedenti tutela internazionale si è osservato, a quanto risulta all'interrogante, un sensibile degrado del decoro e delle condizioni di sicurezza locali;
   sono in particolare frequenti i furti operati nei frutteti dell'area, tutti situati su terreni per i quali i proprietari debbono pagare l'imu, l'acqua impiegata per irrigare i campi ed i prodotti che normalmente occorrono per svolgere con un minimo di redditività l'attività agricola;
   la popolazione locale ha modificato le proprie abitudini per tener conto di un accresciuto pericolo alla propria sicurezza personale, determinato dalla presenza di una gran moltitudine di persone sconosciute e dall'incerto passato;
   la situazione sarebbe stata generalizzata anche in alcuni esposti alle forze dell'ordine –:
   se il Governo sia o meno a conoscenza di quanto accade ai campi coltivati in prossimità della ex caserma Cavarzerani di Udine;
   se il Governo non ritenga opportuno almeno alleggerire la consistenza del numero di migranti irregolari ospitati alla Cavarzerani;
   se il Governo non intenda comunque rassicurare la cittadinanza locale potenziando i presidi delle forze dell'ordine nelle zone attigue alla ex caserma Cavarzerani. (4-13647)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Roma, nell'area della Croce Rossa di via Ramazzini, tra Monteverde e Portuense, è in allestimento una tendopoli per accogliere circa trecento immigrati irregolari che fanno parte dei settemila migranti sbarcati a Brindisi il 26 giugno 2016;
   l'area si trova nelle vicinanze di una clinica privata, della Fondazione Villa Maraini, del Centro di educazione motoria della Croce rossa, e delle strutture ospedaliere San Camillo e Spallanzani;
   nella zona sono all'ordine del giorno problemi legati allo spaccio e alla presenza di senzatetto in diverse zone dell'ospedale Forlanini, chiuso, abbandonato e in stato di degrado, balzato più volte agli onori delle cronache, in ultimo con la morte della sedicenne Sara Bosco, stroncata da una dose «killer» proprio in uno dei padiglioni dismessi del nosocomio nel frattempo diventati piazze di spaccio, e la scelta di posizionare proprio lì un centro di primissima accoglienza non appare sostenibile;
   tra gli abitanti del quartiere vi è molta preoccupazione e si stanno organizzando manifestazioni per esprimere la contrarietà alla tendopoli –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda al vero e, in tal caso, chi abbia assunto la decisione di allestire la tendopoli, quanti immigrati verranno ospitati nella stessa e a quanto ammontino le risorse stanziate;
   se e in che modo intenda garantire la sicurezza dell'area e dell'intero quartiere, già vessato da numerose problematiche sociali. (4-13649)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si apprende che a Torri del Benaco, sulla sponda veronese del Lago di Garda, dal 1o al 3 luglio si terrà un raduno dell'estrema destra europea, il Festival Boreal organizzato da Forza Nuova e autorizzato e patrocinato dal sindaco Stefano Nicotra;
   sul suolo pubblico di un comune repubblicano, si permette l'occupazione e lo svolgimento di giornate in cui prevale l'avversione razziale e l'estremismo politico;
   il sindaco di Verona, Flavio Tosi, ha lasciato un commento su una piattaforma social, che è stato ripreso dal Corriere del Veneto, con il quale, anziché spegnere le polemiche, le alimenta: «Difendere sempre la libertà di pensiero», scrive il sindaco di Verona, «valse x i 99Posse (agosto ’14) vale per Boreal ora. È lecito essere di estrema sinistra come di estrema destra»;
   il riferimento ai 99 Posse è, a parere dell'interrogante, poco calzante in quanto il concerto venne sì concesso dal sindaco Tosi, ma alla fine non si fece per pressioni sia di Forza Nuova sia del presidente Amia, sponsor del Vrban Festival, Andrea Miglioranzi, «delfino» di Tosi e parte dell'ex Veneto Fronte Skinhead. Appare evidente che vi siano due pesi e due misure. Il festival è al momento confermato anche da una dichiarazione del prefetto Salvatore Mulas; «In democrazia funziona così, con gli spazi garantiti a tutti nel rispetto della legge», in palese contraddizione con la «legge Mancino»;
   molti sono i dubbi che iniziative del genere portano con sé, dall'impatto per il comparto turistico, allo sforzo delle forze dell'ordine, all'adeguatezza dello spazio assegnato e, la negativa risonanza mediatica, ma su tutto spicca la superficialità di valutazione sulla ricaduta politica e culturale sul territorio con conseguenze peggiori di quanto non sia per il lago ospitare la causa e la propaganda della nostalgia fascista –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno attivarsi con ogni iniziativa di competenza affinché sia rilanciata la cultura antifascista nel nostro Paese;
   se non intenda valutare la sussistenza dei presupposti, anche sul piano dell'ordine pubblico, per impedire il prossimo raduno neofascista presso Torri del Benaco e se non ritenga urgente, in seguito al progressivo aumento di manifestazioni, raduni ed episodi xenofobi e di stampo fascista, intervenire al riguardo con le più opportune iniziative di competenza, anche normative;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per impedire che Torri del Benaco e le zone circostanti divengano luogo fertile per l'insediamento di realtà di ispirazione neofascista, xenofoba e razzista. (4-13652)


   SCOPELLITI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dall'attività di intercettazione nell'ambito dell'inchiesta del fermo purgatorio No 1878/07 R.G.N.R. della direzione distrettuale antimafia è stato possibile determinare che Domenica Gurzì, assessore dell'attuale amministrazione del comune di Limbadi guidata dal sindaco Giuseppe Morello, nella precedente campagna elettorale aveva contattato il boss della ‘ndrangheta Pantaleone Mancuso per informarlo della propria candidatura con la «Lista democratica Costruiamo il futuro» e per chiedergli sostegno, in quanto affermava testualmente di essere «della famiglia»;
   la stessa Gurzì è sorella di Giuseppe GURZÌ, nato a Vibo Valentia il 15 gennaio 1984 e, all'epoca dei fatti, fidanzato con Francesca MANCUSO, nata a Messina il 28 luglio 1987, figlia di Pantaleone Mancuso;
   l'attribuzione di identità dell'assessore Gurzì è corroborata anche dall'individuazione di rapporti di parentela riferiti alla sua famiglia di origine, emersi in una conversazione di Antonio Maccarone (28 dicembre 1979) e riportate nelle stesse intercettazioni relative all'inchiesta del Fermo Purgatorio;
   l'intercettazione è datata 23 aprile 2011 ed è ambientata in un fabbricato rurale sito in Limbadi località Fontanelle, nella disponibilità dei coniugi Pantaleone Mancuso e Domenica Torre, e riporta quanto segue:
    «Gurzì: [...parole incomprensibili...] dal coso... io ti stavo dicendo... gliel'ho detto pure al “barbuto” (il barbuto è il sindaco Giuseppe Morello): “i rapporti personali tra me e mio zio non si toccano... perché se io ho bisogno di qualche cosa o mi succede qualche cosa”(...);
    Gurzì: (continuando) “io vado a bussare a mio zio !... Non vengo da voi...” giusto ?... quindi se io ho voluto candidarmi... la politica non c'entra niente... quello con la destra quello con la sinistra non c'entra niente con la mia casa... è giusto, Mimma ? (si rivolge a Torre Domenica, ndr) io dove vado a bussare vado da altri ? (...);
    Gurzì: Quindi il voto non me lo date ?... lo date a Crudo ?...(avversario)»;
   nella stessa intercettazione, nonostante le critiche che le muove per la scelta della lista elettorale, il boss invita paternamente a pranzo la Gurzì, supportandola ogni volta che lei manifesta mancanze da parte del Morello, come ad esempio la mancata pubblicazione del suo nome nella lista alla conferenza stampa di apertura della campagna elettorale (la Gurzì racconta che molte persone l'avevano contattata dicendole «ti hanno già fatto fuori» e lei avesse risposto testualmente: «ma voi lo sapete chi sono le persone ?»;
   nella stessa intercettazione la Gurzì vanta le scuse dell'attuale sindaco, il giorno seguente;
   nonostante la situazione sopracitata, all'indomani dell'insediamento, quando il sindaco Morello viene intervistato riguardo al presidio dell'Esercito nella sede dell'università dell'Antimafia di Limbadi, dichiara testualmente alle telecamere del TGR Calabria (edizione 19.30 del 10 luglio 2015) «Sono forzature dei mass media di una certa posizione, Limbadi ha sempre dimostrato di essere dalla parte della legalità [...]», ad avviso dell'interrogante minimizzando la storica presenza della ‘ndrangheta nell'area del comune e lasciando chiaramente intendere che questa, sarebbe solo un'enfatizzazione mediatica e non una grave realtà, assolvendo così di fatto, secondo l'interrogante, i mafiosi e sminuendo di conseguenza il duro lavoro di chi si impegna nell'ambito dell'antimafia;
   da tutti i fatti sopra riportati sembrano emergere chiari elementi di collegamenti diretti e indiretti tra amministratori comunali e criminalità organizzata, così come di forme di condizionamento nei riguardi degli amministratori stessi;
   a causa di quanto descritto, il comune di Limbadi incorre nel grave pericolo di veder compromessi non solo la libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento dell'ente e il regolare funzionamento dei servizi, ma anche lo stato della pubblica sicurezza –:
   se, in considerazione della gravità dei fatti esposti, si intendano attivare le procedure previste per lo scioglimento del comune di Limbadi, ai sensi degli articoli 143 e seguenti del testo unico degli enti locali. (4-13653)


   BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, CIVATI, PASTORINO e MATARRELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 20 giugno 2016, Carlo Monaco – affetto da una patologia curabile con un farmaco contenente cannabis o delta 9-THC – e componente dell'Associazione per la sensibilizzazione della canapa autoprodotta in Italia (ASCIA), si è recato a Roma presso la Camera dei deputati per partecipare a un'audizione tenutasi presso le Commissioni permanenti giustizia e affari sociali della Camera dei deputati riunite in seduta congiunta; si trattava di un'audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge recanti disposizioni in materia di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis e dei suoi derivati;
   Monaco, uscito dalla Camera dei Deputati alla guida del proprio scooter e in compagnia di un attivista del Canapa info point è stato inizialmente seguito su via Tuscolana per poi essere invitato ad accostare da una volante della polizia di Stato;
   in seguito a normali controlli di rito, gli agenti della polizia di Stato hanno chiesto ad entrambi se avessero con sé sostanze stupefacenti. Hanno ricevuto una immediata risposta affermativa e hanno consegnato spontaneamente due barattolini contenenti infiorescenze del farmaco Bedrocan. Il barattolino appartenente a Monaco conteneva circa un grammo di tale farmaco;
   contestualmente ai barattolini contenenti le infiorescenze del farmaco, è stata consegnata la documentazione che attesta il diritto alla cura di Monaco, l'attestazione della consegna del farmaco da parte dell'asl di competenza, le prescrizioni mediche necessarie e diverso materiale informativo che deteneva proprio in virtù del fatto che era stato audito lo stesso giorno presso le Commissioni suddette sul tema della legalizzazione della cannabis;
   i due agenti, non essendone informati, nonostante le spiegazioni rassicuranti fornite di Monaco e la documentazione comprovante il suo stato di salute, chiamavano ugualmente rinforzi presso la centrale;
   in attesa dei rinforzi, i due fermati sono stati perquisiti e denudati, mentre i beni venivano trattenuti dagli agenti, tra cui circa 820 euro in contanti, provenienti dalla cassa del Canapa caffè S.r.l. appena costituita;
   all'arrivo di un maresciallo, i fermati venivano definitivamente privati dei loro beni, tra cui il denaro e i telefoni cellulari. Il maresciallo, sembrava non essere a conoscenza della legislazione che consente di detenere, per scopi terapeutici, una determinata grammatura di estratto di cannabis (Monaco, era in possesso di circa 120 grammi) e inviava una pattuglia mobile al domicilio di Monaco e in quella dei genitori, dove lo stesso è residente. In seguito ad un sopralluogo gli agenti hanno trovato circa 70 grammi di fiori e foglie di cannabis contemporaneamente alle prescrizioni e autorizzazioni al ritiro del farmaco;
   anche l'altro fermato ha subito la perquisizione dell'abitazione, dove gli agenti hanno trovato circa 30 grammi di cannabis;
   nonostante le certificazioni trovate e le spiegazioni date dai fermati, le forze dell'ordine non hanno tenuto conto del fatto che l'ordinamento consenta ai malati la detenzione di quella grammatura di cannabis, da utilizzare a fini terapeutici;
   entrambi i fermati, dopo essere stati perquisiti e aver subito stress psicologico, sono stati condotti sulla volante della polizia di Stato e portati al commissariato Casilino di Roma. Monaco è stato successivamente accompagnato presso una struttura ospedaliera della città per eseguire diverse analisi;
   a causa di ciò Monaco ha potuto accedere alle terapie solo dopo essersi sottoposto alle analisi effettuate presso la struttura ospedaliera;
   a mattina inoltrata del 21 giugno 2016, dopo aver proceduto con le impronte digitali e aver segnalato entrambi ai sensi dell'articolo 73 del codice penale, i fermati venivano lasciati in zona Tor Cervara all'altezza del raccordo anulare;
   si rileva inoltre che, a quanto consta agli interroganti, il farmaco di cui in premessa, verrebbe consegnato dalle asl competenti ai soggetti che ne hanno diritto, con notevoli ritardi –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se gli atti posti in essere dagli agenti siano stati assunti nel pieno rispetto della normativa vigente, tenuto conto della dichiarazione e della prova date dai fermati di essere pazienti in trattamento farmacologico con cure mediante l'uso della cannabis;
   se il Ministro dell'interno non ritenga utile l'invio di una nota esplicava alle forze dell'ordine per fare in modo che, in caso vengano controllati cittadini malati in cura con cannabis, quindi in casi diversi da quelli dello spaccio di sostanze stupefacenti, siano rese pienamente edotte dal diritto alla cura e siano messi a conoscenza della riconosciuta funzione terapeutica della citata sostanza;
   se il Ministro della salute ritenga opportuno effettuare un monitoraggio sui tempi di consegna dei medicinali di cui in premessa dalle strutture competenti, al fine di verificare che vengano garantiti i livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale. (4-13656)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIMÌ, ASCANI e COVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 186 del 18 luglio 2003 consentì l'immissione in ruolo, previo concorso abilitativo nel 2004, di circa quindicimila insegnanti di religione su circa venticinquemila complessivi, a copertura del 70 per cento delle ore di insegnamento previste. Il restante 30 per cento dell'orario, sempre secondo la medesima legge, è coperto con incarichi annuali;
   l'ultimo concorso per l'immissione in ruolo degli insegnanti di religione risale dunque a quello bandito nel 2004 e non ha ancora visto il passaggio in ruolo degli insegnanti abilitati in quel momento;
   il comma 131 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 «la buona scuola» riporta che, dall'anno scolastico 2016/2017, la somma temporale dei contratti a tempo determinato non potrà superare il tetto dei 36 mesi;
   a settembre 2016, come previsto dal piano nazionale straordinario per il personale docente, si procederà alle ultime assunzioni attingendo dalle residue graduatorie ad esaurimento, tra le quali non figura la categoria dei docenti di religione cattolica –:
   se sarà bandito a breve un nuovo concorso che miri ad affrontare il precariato anche per la categoria degli insegnanti di religione cattolica con incarico annuale;
   se, nel suddetto concorso, possano essere valutati come titolo anche il servizio reso, l'abilitazione concorsuale acquisita nel 2004 e gli eventuali titoli culturali;
   se gli incarichi annuali necessari per coprire il 30 per cento delle ore destinate all'insegnamento della religione cattolica siano in deroga, vista la legge speciale del 2003, rispetto a quanto disposto dal comma 131 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015. (5-09037)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   RIBAUDO, CULOTTA, ROCCHI e VENTRICELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 142 del 2001, all'articolo 1, nell'ambito delle società cooperative, si è stabilito che il rapporto mutualistico (vale a dire il rapporto di lavoro attraverso il quale il socio persegue il fine istituzionale della cooperativa) può essere di varia natura, ovvero sotto forma di lavoro subordinato, o autonomo, o in qualsiasi altra forma, non escluso il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa non occasionale (ora contratto a progetto);
   il comma 2 del medesimo articolo 1 dispone che i soci lavoratori di cooperativa concorrono alla gestione dell'impresa partecipando alla formazione degli organi sociali e alla definizione della struttura di direzione e conduzione dell'impresa, partecipano alla elaborazione di programmi di sviluppo e alle decisioni concernenti le scelte strategiche, nonché alla realizzazione dei processi produttivi dell'azienda, contribuiscono alla formazione del capitale sociale e partecipano al rischio d'impresa, ai risultati economici ed alle decisioni sulla loro destinazione, mettono a disposizione le proprie capacità professionali anche in relazione al tipo e allo stato dell'attività svolta, nonché alla quantità delle prestazioni di lavoro disponibili per la cooperativa stessa;
   al comma 3 dello stesso articolo 1 viene sancito, inoltre, che, dall'instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro, derivano i relativi effetti di natura previdenziale e fiscale e tutti gli altri effetti giuridici previsti dalla legge n. 142 del 2001 e, in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra fonte. Pertanto, la disciplina inerente al rapporto di lavoro subordinato, troverà integrale applicazione laddove il rapporto con il socio sia inquadrato nel campo del lavoro subordinato e viceversa per il lavoratore autonomo;
   nel mese di giugno 2011, l'INPS ha diramato il messaggio n. 12441 con il quale viene ribadita la posizione dell'Istituto in merito all'inquadramento lavorativo del rappresentante legale della società cooperativa. In particolare, è data la possibilità di inquadramento lavorativo di tipo subordinato a quel rappresentante legale della cooperativa che è anche presidente del relativo consiglio di amministrazione, mentre ciò non è concesso quando lo stesso legale rappresentante è invece un amministratore unico, che quindi incarna l'intero organo governativo della cooperativa;
   risulta evidente che tale ragionamento sia contraddittorio in presenza di piccole o micro cooperative, dove solitamente l'assemblea dei soci di fatto ha la piena possibilità di controllare l'operato del legale rappresentante-amministratore unico, nonché di indicare le linee imprenditoriali da seguire e di aver contezza di ciò che viene realmente effettuato;
   negli ultimi mesi, sono state svolte ispezioni, sia nella provincia di Catania che in molte zone d'Italia, che hanno messo in luce la presenza di amministratori unici-lavoratori subordinati, risolte in modo diverso, contribuendo dunque a creare confusione in materia. In taluni casi gli ispettori dell'INPS hanno proposto la cancellazione della posizione INPS di quel lavoratore con effetto retroattivo rispetto al messaggio, mentre in altri casi tale cancellazione è stata presa in considerazione per il periodo posteriore al messaggio;
   a seguito di tali ispezioni sono stati revocati numerosi rapporti di lavoro subordinato ad amministratori di piccole cooperative paragonandoli a società di capitali –:
   quali iniziative si intendano mettere in atto per definire un quadro normativo chiaro e univoco, volto a salvaguardare il pregresso di tali cooperative nonché a distinguere tra società di capitali e società di persone, nonché tra cooperative e piccole cooperative. (4-13642)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Associazione italiana per la ricerca sul cancro riporta come ogni giorno in Italia si scoprono quasi 1.000 nuovi casi di cancro;
   sempre secondo tali dati si stima che nel nostro Paese vi siano nel corso dell'anno circa 363.000 nuove diagnosi di tumore (esclusi i tumori della pelle, per i quali è prevista una classificazione a parte a causa della difficoltà di distinguere appieno le forme più o meno aggressive), circa 194.400 (54 per cento) fra gli uomini e circa 168.900 (46 per cento) fra le donne. Lo affermano i dati dell'Associazione italiana registri tumori (AIRTUM) relativi al 2015. Negli ultimi anni sono complessivamente migliorate le percentuali di guarigione: il 63 per cento delle donne e il 57 per cento degli uomini è vivo a cinque anni dalla diagnosi;
   il miglioramento della situazione risulta essere merito soprattutto della maggiore adesione alle campagne di screening, che consentono di individuare la malattia in uno stadio iniziale, e della maggiore efficacia delle terapie. Molti tumori potrebbero, infatti, essere prevenuti o diagnosticati in tempo se tutti adottassero stili di vita corretti e aderissero ai protocolli di screening e diagnosi precoce;
   a fronte di questo dato vi è purtroppo il fenomeno sempre più ampio di cittadini che non fanno più prevenzione a causa del costo elevato dei ticket per gli esami strumentali;
   in questa prospettiva il Censis ha presentato recentemente uno studio che dimostra come ben 11 milioni di italiani rinuncino alla prevenzione e a alle cure a causa di questi costi crescenti;
   esiste poi il fenomeno dell'esaurimento delle risorse da parte degli ospedali per la cura dei pazienti oncologici; questo comporta importanti fenomeni di migrazione sanitaria e pazienti che non hanno accesso alle cure;
   il piano oncologico nazionale (PON) è uno strumento che il Governo ha posto in essere per garantire standard diagnostici e terapeutici elevati ai cittadini italiani, tentando di ridurre le disomogeneità fra regione e regione nella stretta osservanza della gestione ottimale delle risorse al fine di contenere la spesa sanitaria;
   il Pon 2013/2016 ha avuto un'attuazione molto modesta, poiché in esso non sono presenti degli indicatori predefiniti né obiettivi concretamente misurabili da parte delle istituzioni sanitarie né tanto meno di sanzioni in caso di mancato raggiungimento degli stessi;
   il Pon è quindi in scadenza e il Governo non ha reso noti in nessun modo i suoi intendimenti per il futuro né in termini di tempo necessario all'approvazione che di obiettivi –:
   se il Ministro interrogato, sia a conoscenza della situazione e se, non intenda attivarsi, nel più breve tempo possibile, per la definizione del nuovo Pon e, in particolare, se, con la predisposizione di tale piano si intendano definire sia obiettivi misurabili sia indicatori predefiniti a livello regionale, al fine di consentire la verifica delle spese sostenute nei casi di migrazione sanitaria riuscendo in questo modo ad ottemperare alla necessità di contenimento della spesa sanitaria e assicurando un'omogeneità qualitativa di accesso alle cure per i pazienti. (4-13644)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 164 del 2000 all'articolo 14, comma 4, si limita a disporre che «Alla scadenza del periodo di affidamento del servizio, le reti, nonché gli impianti e le dotazioni dichiarati reversibili, rientrano nella piena disponibilità dell'ente locale»;
   le reti del gas sono configurabili quali beni del cosiddetto patrimonio indisponibile, e ai sensi dell'articolo 826 del codice civile «non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano». Tale previsione non impedisce che questi beni possano essere oggetto di negozi giuridici (quali la compravendita), vietando solo di sottrarli alla funzione pubblica a cui sono destinati;
   le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ribadito che «i beni patrimoniali indisponibili, a differenza dei beni demaniali, sono commerciabili, ma sono gravati da uno specifico vincolo di destinazione all'uso pubblico, pur potendo formare oggetto di negozi traslativi di diritto privato»;
   ai sensi dell'articolo 15, comma 5, del decreto legislativo n. 164 del 2000, come modificato dall'articolo 1, comma 16, del decreto-legge n. 145 del 2013 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2014 e dall'articolo 31 del decreto-legge n. 91 del 2014 convertito, con modificazioni dalla legge n. 116 del 2014, il valore di rimborso al gestore uscente deve essere «calcolato nel rispetto di quanto stabilito nelle convenzioni o nei contratti, purché stipulati prima della data di entrata in vigore del regolamento di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale 12 novembre 2011, n. 226, e, per quanto non desumibile dalla volontà delle parti nonché per gli aspetti non disciplinati dalle medesime convenzioni o contratti, in base alle linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso di cui all'articolo 4, comma 6, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98»;
   il decreto legislativo n. 164 del 2000, non disciplina come valutare le reti e gli impianti di proprietà dell'ente locale;
   il decreto ministeriale n. 226 del 2011 «Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione dell'offerta per l'affidamento del servizio della distribuzione del gas» tratta solo la valutazione dei cespiti di proprietà del gestore uscente;
   il Ministero dello sviluppo economico, con decreto in data 22 maggio 2014, ha approvato le «Linee Guida su criteri modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale;
   dette linee guida, al capitolo 19, specificano le informazioni ed i documenti che il gestore uscente è tenuto a condividere con l'ente concedente; tra questi, l'amministrazione comunale deve procedere, in contraddittorio con il gestore uscente, a determinare il valore industriale residuo (VIR) ad esso spettante, quindi calcolato con le norme sopra esposte. Il comune dopo aver approvato il suddetto valore industriale residuo dei cespiti del gestore deve provvedere a comunicarlo, unitamente ad altra documentazione tecnica, ricevuta dal gestore, all'ente appaltante affinché lo stesso lo inserisca tra i valori messi in gara e che il gestore subentrante dovrà corrispondere ai gestori uscenti;
   il comune contestualmente alla comunicazione dei dati fisici ed economici dei cespiti di proprietà del gestore uscente, se interessato a cedere le sue proprietà, dovrà comunicare alla stazione appaltante la volontà di mettere in gara anche gli impianti del gas di proprietà del comune;
   l'ente locale si trova a dover condividere la valutazione degli impianti del gestore uscente a valore di VIR e a dover approvare la valutazione dei suoi impianti a valore di RAB (Regulatory Asset Base); consapevole della diversità di trattamento, con evidente sottovalutazione dei suoi cespiti, cosa che potrebbe far intravedere dalla Corte dei Conti anche un danno patrimoniale a carico degli amministratori che lo hanno approvato;
   nella risposta del Ministero dello sviluppo economico ad un chiarimento (FAQ) chiesto da ANCI Lombardia circa la possibilità per gli enti locali di alienare il proprio asset, costituito dalla rete e dagli impianti di distribuzione del gas naturale è scritto: «Tenuto conto della circostanza della prossimità delle gare d'ambito per l'affidamento del servizio della distribuzione del gas naturale, si ritiene che la tutela di interessi pubblici quali la trasparenza e l'ampio confronto competitivo alle gare, nonché la tutela del consumatore finale da rialzi del prezzo della fornitura, indichino quale sede più opportuna per l'eventuale alienazione dei beni patrimoniali nella titolarità dell'ente locale, proprio le future gare d'ambito; in questa sede, per via dei limiti sopra espressi, i beni patrimoniali in dotazione all'ente locale potranno essere ceduti in concomitanza della gara, inserendoli nel bando di gara e trasferendoli al soggetto privato aggiudicatario del servizio.»;
   pertanto, ad avviso del Ministero dello sviluppo economico, la vendita di reti e impianti di proprietà pubblica contestualmente alla gara per l'affidamento del servizio di distribuzione gas non solo appare legittima, ma diviene la soluzione ottimale per procedere all'alienazione dei cespiti di proprietà degli enti locali, configurandosi come la modalità più trasparente;
   la risposta del Ministero dello sviluppo economico si conclude (con un'aggiunta postuma) spiegando che «In conformità con lo spirito delle norme vigenti, il valore di trasferimento è pari al valore delle immobilizzazioni nette di località del servizio di distribuzione e misura, relativo agli impianti che vengono alienati, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località (c.d. RAB) (Regolatory Asset Base), come riconosciuto dall'Autorità nella tariffa valida per la gestione d'ambito e come già spettante all'ente locale in quanto titolare della rete. Pertanto, la decisione dell'ente locale di alienare o meno la rete di proprietà pubblica non deve creare nuovi oneri a carico dei clienti finali del servizio in termini di aumento delle tariffe di distribuzione gas.»;
   le norme sopra esposte, ad avviso degli interpellanti, sono anzitutto in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione e non giustificabili sotto il profilo della logica. Non si comprende infatti per quale ragione nel caso in cui ad alienare le reti dei gas sia un soggetto privato, questi debba percepire il VIR, valutato come se tutti gli impianti fossero costruiti ora e nel rispetto delle leggi attuali con i degradi dovuti alla vetustà ed al netto dei contributi pubblici e privati percepiti, invece quando a farlo è un ente pubblico questi debba percepire la RAB, che se corretta, accoglie i valori di costo del momento della sua realizzazione al netto dei contributi pubblici, privati e relativi degradi in base alle vetustà;
   il decreto ministeriale n. 226 del 2011 «Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione dell'offerta per l'affidamento del servizio della distribuzione del gas» tratta solo la valutazione dei cespiti di proprietà del gestore uscente, ma nulla sancisce riguardo ai cespiti di proprietà dell'ente locale;
   l'ente locale si trova in una insostenibile posizione in quanto dovrà condividere la valutazione a VIR dei cespiti di proprietà del gestore uscente e valutare i suoi cespiti a RAB, consapevole della considerevole differenza di prezzo applicata ai due asset, il tutto a favore del gestore uscente;
   l'articolo 7, comma 2, del decreto n. 226 del 2011, disciplina le modalità di cessione degli impianti tra gestore uscente e gestore entrante prevedendo che «il gestore uscente cede la proprietà della propria porzione di impianto al gestore subentrante, previo pagamento da parte di questo ultimo del valore di rimborso» (cosiddetto VIR);
   l'articolo 8, comma 3, regola invece le modalità di remunerazione per gli enti pubblici che metteranno a disposizione del gestore entrante gli impianti, mantenendone la proprietà. Per questi è previsto un canone corrispondente alla «remunerazione del relativo capitale investito netto che l'Autorità riconosce ai fini tariffari» (cosiddetto RAB) ma non regola la eventuale alienazione dei cespiti di proprietà dell'Ente locale;
   in molti casi gli enti locali sono proprietari, di consistenti proprietà comunali in quanto realizzati con mutui o fondi dell'ente locale;
   si invita a tenere conto che i gestori hanno inserito nei sistemi RAB messi a loro disposizione dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico anche i valori dei beni di proprietà dell'ente locale, senza aver chiesto ad essi i relativi costi sostenuti;
   la RAB, è gestita esclusivamente dal gestore, l'ente locale non conosce il valore che l'autorità riconosce alle sue proprietà anzi l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico lo mette a disposizione del solo gestore sia per le sue proprietà che per quelle del comune ed in fase di gara all'ente appaltante;
   le norme in materia quindi hanno stabilito, sulla base della risposta FAQ del Ministero dello sviluppo economico, che chiaramente non ha portata normativa, che le tariffe possono aumentare a causa dell'incremento del valore dei cespiti di proprietà del gestore (VIR) rispetto alla sua attuale RAB, ma non possono avere lo stesso trattamento per i cespiti di proprietà dell'ente locale anche se la RAB relativa ai suoi impianti non è stata inserita o da essa verificata nella sua correttezza. L'inserimento della RAB è stata eseguita autonomamente dal gestore, senza che l'ente locale sia stato assolutamente interessato; anche in fase di gara l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico non lo mette a disposizione del comune ma solo del gestore e dell'ente appaltante;
   quanto asserito nella FAQ dal Ministero dello sviluppo economico, che chiaramente non ha portata normativa, è in evidente contrasto secondo gli interpellanti anche con l'articolo 97 della Costituzione che impone all'amministrazione pubblica di valorizzare i propri beni e di ricavarne il massimo importo percepibile;
   quindi, secondo quanto riportato nel sito del Ministero dello sviluppo economico con la predetta FAQ, che – si ribadisce – chiaramente non ha portata normativa, vale la pena evidenziare;
   se ad alienare le reti gas è un gestore, questi ha diritto a percepire il VIR, valore industriale residuo; ad alienare le reti gas è un comune, questi ha diritto a percepire la RAB, corrispondente al valore a libro contabile delle reti gas;
   la risposta FAQ del Ministero dello sviluppo economico, che – come detto – chiaramente non ha portata normativa, contrariamente ad ogni logica, stabilisce che il valore ai cespiti degli impianti del gas viene assegnato in funzione di chi è il proprietario; non è il cespite che ha il suo valore a prescindere da chi lo possiede; addirittura se è del gestore (quindi un privato), il valore viene calcolato in base al suo costo attuale di ricostruzione, a nulla rilevando le differenze costruttive del momento della sua reale realizzazione;
   sul punto vale la pena chiarire che tale evidente disparità di trattamento non può essere in alcun modo giustificata dal carattere pubblico del soggetto alienante, la tariffa può aumentare se il beneficio è a favore del gestore uscente, e non se dovesse produrre benefici economici al comune;
   infatti, questi non si trova nell'esplicazione di una propria funzione pubblicistica (che potrebbe giustificare un diverso trattamento). Si trova invece in una situazione di carattere privatistico e cioè quella di un titolare di un cespite che intende alienare;
   l'esigenza di tutelare gli utenti è certamente condivisibile. Tuttavia, non si comprende per quale ragione l'onere economico di tale necessità debba gravare solo su una categoria di alienanti e cioè i comuni;
   si tiene inoltre a mettere in evidenza che il gestore uscente durante tutta la pluriennale durata della concessione ha avuto il riconoscimento dell'importo degli investimenti, calcolati al lordo dei contributi, con la relativa remunerazione in tariffa, anche per i cespiti di proprietà dell'ente locale. Inoltre, sempre il gestore uscente, negli anni di durata della concessione ha fiscalmente avuto il riconoscimento dell'ammortamento dei suddetti costi di realizzazione degli impianti, calcolato sempre al lordo dei contributi percepiti. Di tutto questo non ha beneficio l'ente locale in quanto rimasto ad esclusivo beneficio del gestore. Ora in fase di gara, a fronte di un cespite del gestore uscente, forse già totalmente ammortizzato, e forse totalmente ulteriormente remunerato sia dalla tariffa che dai contributi pubblici e privati degli utenti, gli viene riconosciuto un valore partendo dalla base del costo di ricostruzione ad oggi anche se gli impianti sono stati realizzati con norme diverse e meno onerose; solo a titolo esemplificativo, ma sicuramente non esaustivo, si fanno presenti alcune delle anomalie che si possono riscontrare; il codice della strada attualmente impone un interramento delle tubazioni del gas di metri 1 (uno) misurata dalla generatrice superiore del tubo, mentre il vecchio decreto ministeriale 24 novembre 1984 «norme di sicurezza antincendio per il trasporto, la distribuzione, l'accumulo del gas naturale con densità non superiore a 0,8, e successive modificazioni» prevedeva per le reti in bassa pressione, corrispondente alla quasi totalità delle condotte di distribuzione, un interramento di metri 0,60 (zerovirgolasessanta); ora per calcolare il VIR da riconoscere al gestore uscente viene considerato come se il tubo fosse tutto posato a metri 1 (uno). Il riempimento dello scavo in precedenza veniva effettuato principalmente con il materiale di scavo, ora ci si attiene alle nuove disposizioni dei regolamenti, per sabbia, inerti e misto cementato; inoltre se la strada al momento della realizzazione delle reti presentava un tipo di pavimentazione in Macadam (strade bianche) ed ora asfaltata, per il calcolo del VIR viene considerata asfaltata; in sintesi al gestore uscente vengono riconosciuti anche dei costi sicuramente non sostenuti;
   le stazioni appaltanti, ritenendo valida la predetta FAQ, ritengono di mettere eventualmente in vendita nella gara d'ambito le proprietà dell'ente locale a RAR e le proprietà del gestore uscente a VIR;
   vista l'evidente disparità di trattamento, per quanto risulta agli interpellanti, sia il sindaco di Lecco che di Venezia, rispettivamente a marzo 2016 e maggio 2016 hanno inoltrata al Presidente del Consiglio una missiva nella quale «si chiede un intervento del Governo volto a sostenere gli interessi dei Comuni proprietari, rimuovere il chiarimento pubblicato sul sito internet del Ministro dello sviluppo economico e sostenere un emendamento al decreto ministeriale n. 226 del 2011 volto a permettere ai comuni di alienare le reti per la distribuzione del gas al VIR come per i gestori uscenti –:
   quali siano le norme che supportano quanto affermato nella risposta FAQ del Ministero dello sviluppo economico richiama in premessa e se si intenda rimuovere il chiarimento (FAQ) pubblicato sul sito internet del Ministero dello sviluppo economico;
   se intenda adottare ogni opportuna iniziativa volta a modificare il decreto ministeriale n. 226 del 2011, in modo da permettere ai comuni di alienare le reti per la distribuzione del gas al VIR, come per i gestori uscenti;
   se intendano assumere iniziative per eliminare comunque la disparità di trattamento che attualmente sussiste tra gestore uscente ed ente locale, ponendosi così in linea con i principi costituzionali;
   se le disposizioni richiamate in premessa siano compatibili con la normativa comunitaria, con particolare riferimento alla disciplina degli aiuti di Stato.
(2-01415) «Fabrizio Di Stefano, Occhiuto».

Interrogazioni a risposta orale:


   TERZONI, DI BATTISTA, CECCONI e AGOSTINELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal comunicato stampa di Unioncamere Marche del 19 aprile 2016 si apprende che per il primo trimestre del 2016 nella regione Marche «il saldo tra assunzioni e cessazioni per i contratti a tempo indeterminato è pesantemente negativo (-2.397)»;
   in particolare, i dati descrivono una situazione per la quale nello stesso periodo si sono iscritte al registro imprese delle Camere di commercio 3.208 nuove aziende, mentre in 4.409 hanno cessato l'attività con la perdita di 1.201 aziende e di almeno 3.500 posti di lavoro, quasi tutti di lavoratori autonomi e dei loro soci;
   a subire i maggiori effetti della crisi sono state le imprese artigiane: il saldo negativo tra nuove imprese artigiane e cessazioni ammonta a 557 unità, e rappresenta da solo circa la metà del saldo negativo tra tutte le iscritte e le cessate del trimestre;
   per quanto riguarda il dettaglio dei settori produttivi, saldo tra iscrizioni e cessazioni risulta negativo per i comparti agricolo (-416), del commercio (-330), delle costruzioni (-260) e del manifatturiero (-131);
   manifatturiero, in particolare, le perdite maggiori si concentrano nel settori pelli e cuoio (-51 imprese il saldo tra iscrizioni e cessazioni), ma anche nell'aggregato della meccanica (-39), nel legno (-19) e nel tessile-abbigliamento (-16). Registrano, invece, una crescita le imprese della Riparazione, manutenzione ed installazione di macchine (+14). Complessivamente le imprese manifatturiere scendono da 19.638 a 19.507.
   già nel 2015 per l’export marchigiano registrava dati allarmanti sia nei Paesi dell'Unione europea (-1,7 per cento) sia in quelli extra Ue (-3,2 per cento), con un calo pesantissimo dell’export verso la Russia (-30 per cento) in gran parte frutto delle sanzioni;
   secondo Giuseppe Santarelli, segretario regionale Cgil, «la cosa che più colpisce non è tanto il crollo dell'occupazione dopo il doping degli incentivi, ma le sue dimensioni. A marzo 2016, registriamo un –38,6 per cento rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno; ciò che più preoccupa è il confronto con il 2014, anno in cui ancora non c'erano gli incentivi. Infatti rispetto allo stesso periodo del 2014, c’è un calo dei tempi indeterminati del 9,67 per cento, dei tempi determinati del 10,28 per cento e dei contratti di apprendistato del 23,79 per cento». «Se il Governo non cambierà politica, il rischio è che a fine anno si assista ad un'ecatombe occupazionale»;
   i dati soprariportati posizionano la regione Marche tra quelle con il più basso tasso di crescita sopra solo a Friuli Venezia Giulia, Abruzzo e Valle D'Aosta;
   a livello nazionale in base ai dati forniti dall'Ufficio studi della CGIA a seguito della crisi politico militare con l'Ucraina, le sanzioni economiche introdotte nel 2014 dall'Unione europea nei confronti della Russia e le reazioni di Mosca sono costate al made in Italy 3,6 miliardi di euro. L’export italiano verso la federazione russa, infatti, è passato dai 10,7 miliardi di euro del 2013 ai 7,1 miliardi di euro del 2015 (-34 per cento) –:
   quali iniziative i Ministri interrogati abbiano intenzione di intraprendere al fine di tutelare le imprese manifatturiere colpite dalle misure restrittive imposte dall'Unione europea alla Russia;
   se non ritengano necessario istituire un tavolo di lavoro permanente per interloquire con i rappresentanti delle imprese manifatturiere e artigianali della regione Marche, al fine di monitorare in modo costante la situazione e individuare le possibili misure in grado di contrastare la perdita di lavoro e il trend che sta portando alla chiusura di migliaia di imprese all'anno. (3-02357)


   GALGANO, BARADELLO, MARZANO, FAUTTILLI, CATALANO, MATARRESE, MOLEA, VARGIU e CATANIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie apparse sulla stampa, il 13 giugno 2016 la direzione generale per la politica commerciale internazionale (autorità per l'esportazione beni a duplice uso), che fa capo al Ministero dello sviluppo economico, ha concesso alla società Area spa di Vizzola Ticino (Varese) un'autorizzazione specifica (valida per una singola operazione) ad esportare in Egitto un «sistema di monitoraggio delle comunicazioni su rete funzionante con protocollo internet»;
   desta stupore la concessione di questa autorizzazione dopo che il 31 marzo 2016 la stessa autorità del Ministero ha disposto la revoca alla società milanese Hacking Team dell'autorizzazione globale alla commercializzazione del software Rcs Galileo per le «mutate situazioni politiche» in alcuni dei 46 Stati, tra i quali proprio l'Egitto, destinatari del suo prodotto;
   il programma Galileo è un sofisticato sistema che consente di spiare a distanza dati e informazioni che transitano su computer e smartphone;
   sebbene i prodotti software venduti dalle due società Hacking Team e Area spa siano diversi, ma assimilabili per funzioni, l'utilizzatore finale è sempre lo stesso: il Consiglio nazionale di difesa egiziano, istituito nel 2012 dopo la «primavera araba» che portò alla destituzione dell'ex presidente Hosni Mubarak e balzato nei mesi scorsi agli onori delle cronache per la vicenda del giovane ricercatore, Giulio Regeni, scomparso il 25 gennaio 2016 e ritrovato cadavere il 3 febbraio nei pressi de Il Cairo con evidenti segni di tortura;
   fonti del Ministero dello sviluppo economico precisano che alla base della revoca dell'autorizzazione globale precedentemente concessa ad Hacking Team, oltre alla mutata situazione politica in Egitto, ci sarebbero anche altri fattori, come l'hackeraggio subito dalla società milanese nel 2015. Peraltro, aggiungono dal Ministero, nulla impedisce ad HT di richiedere autorizzazioni specifiche per i singoli Paesi con i quali ha in corso rapporti commerciali;
   tale versione, però, si scontra con quella fornita dalla stessa Hacking Team, alla quale sarebbe stato spiegato, in un incontro con alcuni dirigenti competenti del Ministero, che la revoca dell'autorizzazione globale era stata decisa in seguito ai noti fatti legati all'omicidio di Giulio Regeni e alle conseguenti tensioni nate tra il Governo italiano e quello egiziano. Nessun accenno sarebbe stato invece fatto alla violazione dei sistemi informatici subita da Hacking Team;
   in proposito il portavoce di Hacking Team fa notare che «Tra l'altro, se questa fosse la reale motivazione, dal momento che l'episodio risale al luglio 2015 e la revoca è stata disposta il 31 marzo 2016 non si spiegherebbe come mai il Mise avrebbe atteso oltre otto mesi prima di decidere il blocco dell'export di Galileo». Quanto alla possibilità di richiedere un'autorizzazione specifica per ciascuno dei Paesi (46 in tutto quelli autorizzati) interessati dalla revoca, il portavoce conclude che «l'azienda ha preferito impugnare il provvedimento del Mise dinanzi al Tar del Lazio, puntando piuttosto a ripristinare l'autorizzazione globale revocata con esclusione dell'Egitto, vista la carenza di motivazioni dello stesso e visti i tempi lunghi che le singole procedure di autorizzazione richiederebbero»;
   tornando all'autorizzazione concessa ad Area spa, fonti del Ministero dello sviluppo economico spiegano, per far fronte alle critiche che potrebbero arrivare per il caso Regeni ancora irrisolto, che la decisione è stata presa in conformità al parere espresso dal Comitato consultivo, parere per legge «obbligatorio ma non vincolante». L'ultima parola per la concessione delle autorizzazioni spetta infatti sempre ai competenti organi del Ministero dello sviluppo economico i quali, nel rilascio dell'autorizzazione, sono tenuti a considerare con la massima attenzione il rispetto dei diritti umani. In Egitto, tuttavia, stando ai dati di Amnesty International, solo nel 2015 sono stati riscontrati 1.176 casi di tortura, 500 dei quali con esito mortale;
   il via libera all’export della propria tecnologia è arrivato per Area spa dopo la «sospensione dei termini di conclusione del procedimento» di 30 giorni, decisa il 14 maggio 2016 dopo ben quattro rinvii del Comitato consultivo per l'esportazione dei beni a duplice uso (utilizzabili cioè sia in applicazioni civili che militari), chiamato ad esprimere un parere sull'istanza presentata il 16 novembre 2015 dall'azienda di Vizzola Ticino;
   secondo quanto risulta dagli organi di stampa, la sospensione si era resa necessaria per consentire ai componenti del Comitato stesso (tra i quali i rappresentanti del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che lo presiede, della difesa, dell'interno, dell'economia e delle finanze, dell'istruzione, dell'università e della ricerca e della salute, oltre che dello stesso Ministero dello sviluppo economico) un'ulteriore valutazione dello stato dei rapporti bilaterali tra Italia ed Egitto e dei possibili sviluppi eventualmente intervenuti. Una pausa di riflessione cui è seguita l'autorizzazione dal Ministero dello sviluppo economico ad Area spa ad esportare la sua tecnologia in Egitto;
   pertanto, due mesi e mezzo dopo il blocco dell’export imposto ad Hacking Team, con il caso Regeni alla base delle tensioni tra Roma e Il Cairo tutt'altro che risolto, l'autorità del Ministero dello sviluppo economico ha autorizzato un'altra società, Area spa, a vendere all'Egitto una tecnologia diversa ma assimilabile per funzioni;
   in base all'autorizzazione ottenuta, Area spa dovrà ora presentare, «entro 15 giorni dal completamento della fornitura, una dichiarazione di presa in carico, dettagliata, da parte dell'utilizzatore finale dei beni autorizzati» –:
   quali siano i motivi di questa radicale cambio di indirizzo dell'autorità di cui in premessa, dalla revoca dell'autorizzazione ad Hacking Team al rilascio della concessione ad Area spa, in un lasso di tempo così ristretto e senza che siano intervenute nel frattempo sostanziali novità sul caso Regeni che ancora rimane irrisolto.
(3-02359)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 45 della legge 23 luglio 2009, n. 99, ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, il fondo preordinato alla riduzione del prezzo, alla pompa, dei carburanti per i residenti nelle regioni interessate dall'estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi. A decorrere dal 1o gennaio 2009 per le produzioni di idrocarburi liquidi e gassosi ottenute in terraferma, ivi compresi i pozzi che partono dalla terraferma, l'aliquota di prodotto che il titolare di ciascuna concessione di coltivazione è tenuto a corrispondere annualmente, è elevata dal 7 per cento al 10 per cento. Le somme corrispondenti al valore dell'incremento di aliquota sono versate in apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato;
   la norma riguarda particolarmente la Basilicata, il più grande giacimento petrolifero in terraferma d'Europa, soggetto, ad opere di ricerca di combustibili da parte di società che estraggono idrocarburi. La carta « bonus carburante» è riservata ai cittadini maggiorenni della regione Basilicata in possesso di patente di guida (A, B o C) o del patentino CIG (certificato di idoneità alla guida per ciclomotori);
   la prima ricarica, di 100,70 euro, era stata erogata a fine gennaio 2012 riferita al fondo del 2009 pari ad euro 38.509.302,54; la seconda da metà gennaio 2013 da 140,25 euro, riferita al fondo del 2010 pari ad euro 55.322.098,87 e la terza un anno fa, da metà gennaio 2015 variabile in tre erogazioni in base al reddito da 30, 77, 40 o 154,80 euro riferita al fondo 2011 pari ad euro 78.953.276,51. A tutt'oggi sono circa tremila i lucani che a causa di problemi nelle comunicazioni e vari disguidi, attendono ancora la terza ricarica;
   in base alle previsioni e sulla scia di quanto avvenuto per la terza erogazione, gli importi relativi alla quarta tranche saranno di tre entità: a quanti hanno percepito un reddito superiore a 75 mila euro, che sono l'1 per cento degli aventi diritto, sarà accreditata la somma di 30 euro; per quanti hanno dichiarato un reddito che va dai 28.001 euro a 75 mila euro, pari al 9 per cento della platea dei beneficiari, dovrebbe andare una somma pari a 110 euro e quanti hanno dichiarato un reddito che va da zero a 28 mila euro, pari al 90 per cento degli aventi diritto, dovrebbero percepire la somma di circa 220 euro;
   a decorrere dal 12 novembre 2014, le modifiche introdotte dal decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, revisione del fondo e una diversa finalità del suo utilizzo, sancendo la chiusura del progetto « bonus» idrocarburi con la quarta annualità riferita all'anno 2012;
   l'accredito dell'ultimo « bonus» idrocarburi era previsto inizialmente per la fine dell'estate del 2015 e a quasi un anno di distanza non c’è ancora nessuna traccia. I ritardi dovuti a inspiegabili lungaggini burocratiche, accentuate dal periodo burrascoso vissuto dal Ministro dello sviluppo economico dopo le dimissioni del Ministro Guidi in seguito all'inchiesta della procura di Potenza sul presunto traffico illecito di rifiuti dal Centro Oli di Viggiano all'impianto Tecnoparco di Pisticci;
   sono numerosi i lucani che chiedono notizie per il mancato accredito della quarta ed ultima ricarica della card idrocarburi riferita al fondo 2012, pari a ad euro 93.224.035,28. L'annuncio della ricarica della card idrocarburi per via di una serie di circostanze, quali la mancanza di liquidità, la lentezza nell'acquisizione dei dati reddituali, ma anche i ritardi da parte di Poste italiane nel rilascio delle carte di pagamento per il quarto bonus idrocarburi richieste dai nuovi aventi diritto nel 2014, sta creando slittamenti nei tempi dell'accredito ai beneficiari –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare entro l'estate 2016 per lo sblocco dell'ultima erogazione relativa all'accredito della card carburanti atteso da 338 mila beneficiari lucani in un momento di crisi per tante famiglie. (5-09040)


   BURTONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni giorni il comprensorio del comune di Tursi è interessato da una serie di disagi alla rete di telefonia fissa e mobile:
   sono numerose le segnalazioni da parte degli abbonati, e pur tuttavia ad oggi l'azienda Tim non è riuscita a risolvere il citato disservizio;
   la stessa amministrazione comunale è intervenuta per sollevare la questione presso le sedi opportune;
   si è in presenza di un problema serio per la popolazione, non solo per lo svolgimento della normale attività, ma anche in considerazione dei rischi legati ad eventuali situazioni di emergenza –:
   di quali elementi disponga in ordine alle ragioni di tale disservizio e quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda intraprendere per il ripristino nel più breve tempo possibile del normale funzionamento della rete telefonica presso il territorio del comune di Tursi e per garantire il servizio universale. (5-09045)

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Sani n. 7-01035, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Oliverio, Venittelli, Romanini.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Pellegrino e Scotto n. 2-01408, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Kronbichler.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Scotto n. 4-13628, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 644 del 29 giugno 2016.

   SCOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2015 è entrata in vigore la riduzione dei trattamenti economici di mobilità prevista dalla «riforma Fornero»;
   tale processo porterà nel 2017 ad unico trattamento di disoccupazione (la «NASPI») della durata di 12 mesi per tutti, a prescindere da età, territorio e settore produttivo, a differenza di quanto avviene con l'attuale disciplina;
   i decreti attuativi del Jobs Act hanno definito la fine della mobilità in deroga nel 2016, ma nel frattempo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso la circolare 40/0005425 del 24 novembre 2014 ha escluso la possibilità di accedere alla mobilità in deroga per tutti i lavoratori che avrebbero terminato nel 2015 e nel 2016 la mobilità ordinaria;
   in tal modo, dunque, i lavoratori licenziati e collocati in mobilità che hanno avuto la mobilità in deroga nel 2014 hanno avuto la possibilità di continuare a percepirla per altri otto mesi, mentre coloro che nella stessa azienda hanno terminato la mobilità ordinaria nel 2015 e nel 2016 non hanno avuto diritto neppure ad un mese di proroga;
   eppure, inizialmente, il «decreto Poletti» n. 83473 del 1o agosto 2014 aveva lasciato la possibilità di accesso a tutti i lavoratori per altri otto mesi alla sola condizione di non aver superato 36 mesi di mobilità in deroga;
   tale situazione ha creato una forte discriminazione per migliaia di lavoratori in tutta Italia, rimasti senza reddito per non aver mai usufruito di sostegno in deroga;
   sulla scorta di tali norme la regione Campania ha, nel mese di aprile 2016, sottoscritto con un solo sindacato (e rompendo dunque l'unità sindacale) un'intesa sugli ammortizzatori sociali;
   tale intesa ricalca, sostanzialmente, quanto sopra citato e crea dunque un'enorme differenza di trattamento tra chi ha concluso la fase di mobilità ordinaria nel 2014 e chi l'ha conclusa nel 2015 e nel 2016;
   in una regione come la Campania, fortemente colpita dalla crisi economica di questi ultimi anni, una condizione di tal fatta rischia di mettere in ginocchio centinaia di famiglie;
   tale scenario risulta ancor più drammatico nella provincia di Caserta, in cui ad oggi circa 1.500 lavoratori del «bacino di crisi Caserta» e appartenenti alle ex-aziende metalmeccaniche, non hanno più nessun sostegno al reddito, nonostante gli impegni delle istituzioni nazionali, regionali e locali che prevedevano, a seguito dei fallimenti di gruppi storici internazionali e con le misure dei contratti di programma del 2008 e successivamente con i piani di azione e coesione, che avrebbero dovuto garantire nuove politiche attive e nuovo sviluppo;
   un intervento del Governo per correggere questo ennesimo paradosso dovuto a politiche del tutto sbagliate diventa a questo punto doveroso –:
   quali iniziative intenda assumere per evitare discriminazioni tra i lavoratori in base all'anno di fine della mobilità ordinaria che li ha coinvolti e per evitare di lasciare migliaia di lavoratori privi di ogni forma di sostegno al reddito. (4-13628)