XVII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 724 di lunedì 16 gennaio 2017
Pag. 1PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI
La seduta comincia alle 15.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
FERDINANDO ADORNATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 9 gennaio 2017.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Alli, Amici, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Caso, Castiglione, Causin, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Migliore, Orlando, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Francesco Saverio Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Scalfarotto, Scotto, Tabacci, Tidei, Valeria Valente e Velo sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente ottanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Discussione della relazione sulle infiltrazioni mafiose e criminali nel gioco lecito e illecito, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (Doc. XXIII, n. 18) (ore 15,03).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione sulle infiltrazioni mafiose e criminali nel gioco lecito e illecito, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (Doc. XXIII, n. 18).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
Avverto, altresì, che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.
(Discussione – Doc. XXIII, n. 18)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.Pag. 2
Ha facoltà di intervenire l'onorevole Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.
ROSY BINDI, Presidente della Commissione di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Presidente, onorevoli colleghi, la Commissione parlamentare antimafia, già dalla scorsa e, in particolare, in questa legislatura, ha dedicato una particolare attenzione al tema delle infiltrazioni mafiose nel settore del gioco lecito e illecito e delle scommesse. Vi ha lavorato un comitato appositamente costituito presieduto dal senatore Vaccari, che sarà poi il relatore per il Senato. Qui, come presidente, svolgo una funzione che mi è stata affidata dall'ufficio di presidenza e intendo anche illustrare la risoluzione che verrà poi depositata, che è sempre a mia firma e a firma degli altri componenti del comitato.
È un dato di fatto che la penetrazione mafiosa non riguarda solo più i tradizionali settori imprenditoriali, ma si snoda e permea di sé anche quelli di più recente sviluppo, rappresentati proprio dal gioco e dalle scommesse, dalla gestione delle slot machine, dalle scommesse sportive online fino al fenomeno del match fixing. Il comparto del gioco risulta di altissimo interesse per la criminalità di tipo mafioso, stante la possibilità di realizzare, attraverso la gestione diretta o indiretta delle società inserite a vario titolo in tale comparto, ingenti introiti, anche attraverso il riciclaggio e il reinvestimento di capitali provenienti dalle tradizionali attività delittuose, riducendo al minimo il rischio di incorrere nella morsa dell'attività repressiva delle forze di polizia. Il lavoro di inchiesta della Commissione ha infatti rilevato che, a fronte di rilevanti introiti economici, l'accertamento delle condotte illegali è alquanto complesso e le conseguenze giudiziarie piuttosto contenute, in ragione di un sistema sanzionatorio, quale quello vigente, che, a causa di pene edittali non elevate per il reato di gioco illecito, non permette l'utilizzo di più efficaci sistemi di indagine, ed esso è presto destinato alla prescrizione.
Le stesse dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e le risultanze delle indagini fin qui svolte forniscono un quadro preciso di quale sia l'attenzione della criminalità nei confronti di un settore che, nonostante i diversi interventi normativi e l'impegno delle forze dell'ordine, dimostra purtroppo di essere ancora permeabile e vulnerabile, presentando aree di opacità che consentono alle organizzazioni criminali un facile inserimento e la realizzazione di lauti guadagni, tanto da costituire una valida alternativa ad altre attività altrettanto lucrose, quali, per esempio, il traffico di stupefacenti, con un rischio tutto sommato molto più contenuto sotto il profilo dei controlli.
Le situazioni di illegalità e di irregolarità osservate nel settore continuano purtroppo ad essere largamente diffuse. Ad esempio, il rapporto annuale della Guardia di finanza per il 2015 evidenzia che, in oltre 5.765 interventi effettuati presso le sale giochi e centri scommesse, sono state riscontrate irregolarità nel 30 per cento dei casi, che hanno condotto al sequestro di 576 apparecchi automatici di gioco, 1.224 postazioni di raccolta di scommessa clandestina, scoprendo nel complesso oltre 36 milioni di euro di giocate nascoste al fisco.
L'attenzione della Commissione si è focalizzata anche sul gioco legale, cioè nei confronti di un settore che, non dimentichiamo, appartiene allo Stato, e che, sebbene gestito da privati attraverso il sistema delle concessioni, è pur sempre esercitato in nome dello Stato. All'esito di numerose indagini è stato accertato che la criminalità mafiosa ha operato enormi investimenti in questo comparto, acquisendo ed intestando a prestanome sale deputate al gioco, oppure mediante l'inserimento di uno o più sodali, all'interno dell'organigramma delle compagini societarie di gestione degli esercizi deputati al gioco, quali preposti o con altri compiti di rappresentanza, Pag. 3sia per percepire rapidamente guadagni consistenti sia per riciclare capitali illecitamente acquisiti.
Si tratta di interferenze mafiose che talvolta lambiscono anche le stesse società concessionarie, che, proprio perché poste al vertice della filiera del gioco legale, sono le prime a spendere il nome dello Stato di fronte ai cittadini giocatori. La relazione, approvata dalla Commissione parlamentare antimafia lo scorso 6 luglio 2016, non ha mancato di sottolineare con forza, tra i vari punti, quanto sia necessario adottare talune misure atte ad arginare tale fenomeno, a partire innanzitutto da una più stringente regolamentazione, dal momento concessorio, idoneo ad assicurare l'effettività di un sistema di legalità sostanziale, fino all'ultimo anello della catena della filiera del gioco. Nessun operatore deve essere escluso. La Commissione è stata facile profeta, in questo senso: nel novembre 2016 la procura di Roma e la Guardia di finanza, su impulso della procura nazionale antimafia, hanno eseguito l'operazione «Rouge et noir» nei confronti degli esponenti di una concessionaria di slot machine, gruppo Atlantis BpLUS gioco legale, che utilizza persino la locuzione gioco legale nella propria denominazione sociale. Tale società, peraltro, era stata a suo tempo già colpita da interdittiva antimafia, poi annullata dai giudici amministrativi. L'indagine ha evidenziato gli oscuri rapporti tra ambienti vicini a Cosa Nostra, imprenditori del gioco d'azzardo operanti nello scenario anche internazionale, e perfino un parlamentare della Repubblica, che è stato peraltro membro dalla Commissione bilancio, della stessa Commissione antimafia, e che, proprio in qualità di parlamentare, ha potuto influire sulla formazione della legislazione in qualche modo protettiva degli interessi della società alla quale ho fatto riferimento.
Sarà compito della magistratura fare piena luce su questi rapporti, che sembrano avere quale denominatore comune enormi interessi economici, tali da aver potuto condizionare l'adozione di un provvedimento di legge appunto in senso favorevole agli interessi di questa eterogenea consorteria. Desta profonda preoccupazione la circostanza che dagli atti di quell'indagine sia emerso addirittura un passaggio di denaro, 2,4 milioni di euro, che recava addirittura come espressa causale il riferimento ad una norma di legge (decreto-legge n. 78 del 2009) allora appena approvata, che, come sembra potersi desumere dall'inchiesta, era il frutto dell'asservimento dell'attività legislativa agli interessi criminali e mafiosi. Non credo che possiamo pensare che questo possa essere ritenuto un episodio isolato. Credo che serva una grande vigilanza perché questo non continui a verificarsi, perché i soggetti sono molto aggressivi, molto attenti, molto presenti nelle istituzioni, e di volta in volta sanno individuare gli interlocutori più efficaci per poter approvare anche norme di legge a loro favorevoli.
Passo dunque ad illustrare per vari punti le principali risultanze del nostro lavoro. In primo luogo, occorre rafforzare ulteriormente le barriere all'ingresso del sistema pubblico dei giochi, in modo da chiudere possibili varchi alla criminalità organizzata e ai loro prestanome. I requisiti di base attualmente previsti per la partecipazione a gare o a procedure ad evidenza pubblica in materia di giochi e scommesse hanno delle lacune, al pari dei requisiti per il rilascio e il mantenimento di concessione in materia di giochi pubblici. Le norme vigenti, ad esempio, non prevedono, nell'ambito dei delitti ostativi, reati contro la pubblica amministrazione come la corruzione e la concussione interna ed internazionale, il traffico di influenze illecite, la turbata libertà degli incanti e la turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente.
Non si prevedono altresì l'autoriciclaggio, di cui all'articolo 648-ter del codice penale, i delitti di terrorismo interno e internazionale, lo scambio elettorale politico-mafioso (416-ter), anche per i soggetti semplicemente sottoposti a indagine, come, invece, è già previsto per i reati di associazione a delinquere, associazione di tipo mafioso, nonché per altri reati di particolare gravità. Non si prevedono le fattispecie più gravi di reati in materia Pag. 4fiscale (articoli 2 e 8 del decreto legislativo n. 74 del 2000), come la fatturazione per operazioni inesistenti e l'utilizzo di dichiarazione di falsa documentazione, e le ipotesi più gravi di reati comuni, ad esempio l'omicidio, da individuarsi specificatamente, ora apparentemente escluse dal novero delle condizioni ostative. In tali ambiti andrebbero, inoltre, presi in considerazione non solo i delitti consumati, ma anche quelli tentati. Così come la trasparenza sulla composizione personale delle società partecipanti, al fine di individuare l'origine dei capitali, potrebbe essere estesa anche al di là dei limiti previsti dalla normativa vigente.
Un altro evidente vulnus nel sistema di prevenzione è costituito dalla mancata previsione di provvedimenti di confisca e sequestro in relazione alla fattispecie penale di gioco illecito. In considerazione del fatto che il mercato dei giochi è sempre più internazionalizzato e integrato a livello europeo, è necessario che siano annoverate, tra le cause ostative, anche le condanne erogate all'estero, quantomeno per i delitti di criminalità organizzata, corruzione e riciclaggio. In analogia con quanto previsto dalle norme sugli appalti pubblici, occorre introdurre il divieto di partecipazione alle gare per gli operatori economici colpiti da sanzione di interdittiva sulla responsabilità amministrativa della società e degli enti, da altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione o che abbiano subito condanna per il reato di falso in bilancio. Sempre al fine di rafforzare le barriere di prevenzione del sistema del gioco legale, è necessario estendere l'applicazione della normativa che sottopone il rilascio dell'autorizzazione alla sussistenza dei requisiti previsti dalla legge antimafia e dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza a tutta una serie di soggetti attualmente esclusi. Lo standard antimafia e di moralità deve, cioè, essere omogeneo per tutti gli attori della filiera del gioco pubblico, dal vertice fino all'ultimo gestore, si tratti di concessionari delle reti online e di raccolta di gioco, di gestori di apparecchi o di terzi incaricati, di produttori o di importatori di apparecchi di gioco.
Parimenti, appare non più prorogabile un intervento sistemico che tenda ad uniformare la disciplina della tempistica delle gare delle concessioni di gioco, troppo spesso bandite nell'imminenza della scadenza della concessione tramite i provvedimenti spot, non di rado scarsamente meditati circa le conseguenze che possono derivare da una normazione imperfetta, anche sotto il profilo della prevenzione, da cui si originano contratti la cui durata si protrae ordinariamente fino a nove anni. Va da sé che tutti gli interventi di riforma sulle barriere d'ingresso nel sistema dei giochi dovranno tener conto principalmente della normativa europea in tema di libertà di stabilimento e dell'evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia europea in tale materia, salvaguardando la funzionalità e l'efficienza del sistema italiano dei giochi nell'ottica delle ragioni dell'ordine pubblico. Per il futuro, è fondamentale che, anche per gli operatori di società aventi sede all'estero, l'obbligo di concessione o autorizzazione di polizia sia ancorato alla tutela di interessi di ordine pubblico.
Altro profilo di grande rilevanza è la repressione dell'illegalità. L'attenzione della Commissione antimafia si è focalizzata sulla necessità che il legislatore proceda ad una puntuale revisione del quadro sanzionatorio penale. La misura della pena attualmente prevista per i reati in materia di giochi e scommesse non consente, di per sé, l'attivazione di intercettazioni telefoniche e telematiche, che, invece, risultano assolutamente necessarie per accertare le modalità con cui si realizza l'infiltrazione criminale, sempre più caratterizzata dall'uso di strumenti tecnologici nell'ambito di operatività transnazionale. Parimenti, la pena da irrogarsi per le condotte maggiormente pericolose dovrebbe essere tale da comportare il prolungamento del termine di prescrizione. Occorre, inoltre, intervenire per colpire adeguatamente la condotta del cosiddetto «giocatore clandestino», attraverso Pag. 5la previsione di un reale deterrente. Solo sanzioni penali più adeguate potranno contribuire a ridurre il bacino di utenza da cui le mafie traggono considerevoli profitti nel settore dei giochi.
Quanto al mondo delle società concessionarie, la Commissione antimafia ritiene che sia necessario un profondo ed urgente intervento, teso a rendere più responsabile il comportamento delle società cui è demandata la gestione dell'attività, vero cuore strategico del sistema del gioco legale, rispetto a tutto ciò che accade nella filiera e nelle rispettive filiere.
In capo ai concessionari deve essere configurabile una responsabilità civile in vigilando o in eligendo rispetto ai titolari dei punti di gioco. Così, a un necessario inasprimento delle sanzioni pecuniarie per l'operatore della filiera, direttamente responsabile delle violazioni, conseguirebbe una presunzione di corresponsabilità del concessionario, salvo che questo non dimostri di aver fatto tutto il possibile per impedire, controllare e costantemente vigilare la condotta del titolare del punto di gioco. Quale corollario sarà utile che il legislatore preveda specifiche e stringenti ipotesi di sanzioni accessorie, quali la sospensione, la decadenza delle concessioni o dell'autorizzazione.
Presidente, ho ancora bisogno di qualche minuto, che serve a illustrare anche la risoluzione.
PRESIDENTE. Bisogna concentrare ed equilibrare la sua esigenza con quella dei tempi.
ROSY BINDI, Presidente della Commissione di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Procedo. Oltre ai punti appena accennati sulle responsabilità delle società di gestione del punto di raccolta delle scommesse per la trasmissione dei cosiddetti CTD sulla responsabilità amministrativa degli enti, ci teniamo ad insistere perché l'idea che il gioco legale sia una filiera che fa da barriera nei confronti del gioco illegale è ampiamente dimostrato non essere vero dalla nostra inchiesta. Infatti, oggi le mafie entrano a far parte della filiera legale ed è dentro la filiera legale che si annidano i pericoli ai quali ho fatto riferimento.
Allora, l'aspetto altrettanto importante, per quanto ci riguarda, è quello della collocazione e della programmazione dei punti di gioco. Noi, da questo punto di vista, prendiamo atto che la responsabilità della programmazione fa capo, di fatto, alla Conferenza unificata. Noi ci teniamo molto a sottolineare l'importanza che l'ente locale non sia semplicemente responsabile della decisione della collocazione dei punti gioco, ma che possa avere voce in capitolo nella programmazione, tenendo presente soprattutto, nei vari territori, il rischio di infiltrazione mafiosa attraverso il sistema dei giochi, per fare in modo, come diciamo nella nostra risoluzione, che ciascun sindaco non sia, in qualche modo, l'ultimo responsabile, ma che possa influire, a partire dalla propria situazione locale, nella programmazione di carattere nazionale e che, dimostrando che attraverso il gioco è penetrata l'organizzazione mafiosa nel proprio territorio, possa arrivare anche a distanziarsi dalla stessa indicazione che viene dalla programmazione. Così come, per noi, è fondamentale il fatto che la programmazione e la collocazione dei punti gioco consenta un vero e proprio controllo. La polverizzazione alla quale stiamo assistendo oggi non consente il controllo. Ecco perché noi prevediamo anche la possibilità di punti organizzati dentro i quali ci sia davvero la possibilità di un controllo da parte delle istituzioni.
Tutto questo naturalmente – concludo – richiede che la sede europea non ci lasci soli e che, soprattutto, sia la sede nella quale si armonizzano le normative. In questo senso noi abbiamo già lavorato, con la risoluzione in occasione del semestre europeo e con le nostre visite presso il Parlamento europeo, che sono state abbastanza frequenti in questa legislatura, perché la lotta alla mafia abbia delle norme armonizzate anche a livello sovranazionale, a partire da quei settori economici nei quali le mafie influiscono in maniera Pag. 6particolare. Questa relazione è stata approvata in Commissione all'unanimità. La risoluzione che presentiamo contiene sostanzialmente i punti ai quali ho fatto riferimento nella relazione. Ci auguriamo che la discussione sia ampia e che, come accaduto altre volte, trovi una corale partecipazione di tutte le forze politiche (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e della deputata Binetti).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bruno Bossio. Ne ha facoltà.
VINCENZA BRUNO BOSSIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, è piuttosto recente l'approfondimento, anche legislativo, sulla questione delle infiltrazioni mafiose nel gioco d'azzardo.
In questa relazione della Commissione l'interesse è orientato non tanto sugli aspetti legati alle conseguenze sociali e sanitarie, che sicuramente sono importanti, ma soprattutto a come trovare misure sempre più efficienti e aggiornate per prevenire e contrastare l'infiltrazione criminale, soprattutto di matrice mafiosa.
Noi sappiamo bene – l'ha detto prima la Presidente Bindi – che ormai non riguarda più i tradizionali settori imprenditoriali, ma quelli del più recente sviluppo: il gioco, le scommesse fino al fenomeno del match fixing. Nei racket della droga e delle scommesse le mafie stanno superando le divisioni territoriali – è questa la novità – e hanno iniziato a dare vita a vere e proprie holding del malaffare. È un allarme lanciato nella sua relazione del secondo semestre 2015 dalla Direzione investigativa antimafia quando afferma che droghe e scommesse sono due settori che sembrano essersi definitivamente affrancati da quella logica di frammentazione verticale degli interessi in cui ciascuna mafia domina in maniera esclusiva un proprio business criminale. Proprio l'operazione Gambling della DDA di Reggio Calabria eseguita nel luglio 2015 è stata definita dal procuratore nazionale antimafia come il paradigma dei rapporti tra la ’ndrangheta e il mondo della imprenditoria per le modalità con cui le cosche calabresi si sono avvalse in questa circostanza di alcune società estere di diritto maltese, di innumerevoli siti Internet di scommesse online e di una rete commerciale strutturata gerarchicamente.
Come si è evoluto il gioco d'azzardo in Italia ? Dal 1992 si incomincia a considerare il gioco d'azzardo un'importante leva fiscale ma solo nel 2003 c’è il vero obiettivo di cambiamento del decisore pubblico: diventa un vero e proprio settore economico anche attraverso la trasformazione dei Monopoli di Stato nell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. La legislazione è ancora però frammentaria fino al decreto Balduzzi 2012 e alla delega al Governo della legge n. 23 del 2014 e, prima dell'effettiva delega, interviene la legge di stabilità per il 2015 e poi quella per il 2016 dove il legislatore, oltre a prevedere una revisione sul prelievo fiscale, introduce sanzioni in caso di installazione negli esercizi pubblici delle apparecchiature che permettono di giocare sulle piattaforme online.
Qual è il fatturato del gioco d'azzardo in Italia ? Gli italiani giocavano 24 mila miliardi di lire nel 1998 pari a 15,8 miliardi di euro nel 2012; 84,5 miliardi nel 2014: un decimo della spesa complessiva delle famiglie. Di questi 84,5 miliardi 47 sono destinati in slot e videolottery. Quindi la spesa media di un italiano è 1.260 euro l'anno pari al 70 per cento della propria spesa alimentare. Secondo l’Economist l'Italia, nota una volta come patria di forti risparmiatori, sembra essere diventata il Paese di chi perde al gioco. È il sesto Paese al mondo quanto a perdite medie per abitante. I sostenitori però del gioco d'azzardo legale sostengono che invece lo Stato ricavi risorse ingenti (circa 8 miliardi di euro netti all'anno) e che il settore dà lavoro a 120 mila persone. Ma la questione non è così semplice e numerica. Non solo considerando i costi sanitari ed economici della ludopatia: consideriamo che solo qualche settimana è entrata nei nuovi LEA l'assistenza socio-sanitaria alle persone con dipendenze patologiche e pensiamo a quanto è accaduto l'altro giorno, quando un padre ha dimenticato il bambino in Pag. 7macchina per andare a giocare alle slot machine. Con un giocatore patologico ogni 75 persone l'azzardo può essere considerato una vera e propria piaga sociale, ma soprattutto perché rivolta alle persone più povere. Il gioco non va impedito, ma neanche agevolato e pubblicizzato. L'ultima parola spetta alla Conferenza Stato-regioni, ma ci auguriamo che oggi, con questa Relazione, inizi quel percorso, come annunciato dal Governo Renzi, che prevede l'eliminazione di oltre 114 mila macchinette per il gioco d'azzardo da bar, ristoranti e luoghi pubblici. Per combattere gli affari delle mafie sull'azzardo e gioco patologico bisogna ridurre slot e sale scommesse e consolidare il potere di regolamentazione dei comuni. Come dice giustamente la nostra presidente, se vuoi fare la lotta alla mafia non aumenti l'offerta del gioco. Più si gioca, più ci si ammala, più si gioca ancora.
È evidente dunque però che la diffusione del gioco legale non contribuisce a ridurre quello illegale, anzi la Consulta nazionale antiusura già nel 2000 parlava di uno sconcertante tandem tra il legalizzato e il criminalizzato e aggiungeva che il successo delle operazioni di marketing del primo finisce per riflettersi sull'altro, e ancora sempre la Consulta ribadisce la propria visione e, dagli ultimi dati disponibili, indica che a fronte di 85 miliardi incassati grazie ai giochi di Stato si avrebbero 23 miliardi lordi di guadagno nero per i gruppi criminali e mafiosi. Il comparto del gioco è dunque di altissimo interesse per la criminalità di stampo mafioso, che non si è lasciata sfuggire l'opportunità di penetrare in un settore in cui ci sono meno rischi per riciclare elevatissime somme di denaro. Come afferma Saviano, riciclaggio ed economia criminale sono due mali che si tengono per mano e che si autoalimentano. Le differenti modalità di infiltrazione della criminalità mafiosa sono state descritte nella relazione presentata dal ROS dei carabinieri nell'audizione alla Commissione del 3 marzo 2016 e sono: la tradizionale attività estorsiva nei confronti delle società concessionarie delle sale da gioco e la diffusa imposizione delle macchinette di videopoker; l'infiltrazione di società, punti scommesse e sale da gioco sia intestandoli a prestanome sia attraverso la compartecipazione delle società che hanno ottenuto regolare concessione da parte dell'Agenzia; la raccolta e la gestione su piattaforme legali di scommesse sportive mediante la gestione di siti Internet dislocati in Paesi esteri che sono privi di concessioni in Italia, ma che ne consentono il gioco in violazione della normativa vigente. Dunque è abbastanza evidente che l'espansione del gioco d'azzardo legale fa da battistrada a quello illegale e i perdenti diventano preda dello strozzinaggio vivendo anche nelle province più povere. L'Agenzia svolge un lavoro periodico di monitoraggio sui siti anche gestiti da soggetto non autorizzato e procede ad oscurare i siti web. Tuttavia le indagini eseguite da vari uffici hanno dimostrato come le organizzazioni riescono a bypassare tali provvedimenti.
La lotta all'illegalità risulta compromessa anche in ragione del grado di sofisticazione tecnologica, ma tutto ciò, allo stato attuale delle tecnologie, sarebbe il più delle volte diagnosticabile, registrabile e tracciabile senza scampo per i trasgressori. In particolare, considerata l'annunciata intenzione da parte del Governo di attivare una strategia ad hoc sulla cyber security per il Paese, la Relazione della Commissione giustamente raccomanda una profonda riflessione su questo versante del cybercrime che, agendo su un obiettivo qualsiasi non protetto da soluzioni adeguate, può diventare in breve un attacco a un'infrastruttura critica nazionale. Il patrimonio di professionalità ed esperienza nel nostro Paese è enorme. Tuttavia proprio le mafie si uniscono rispetto a questa sfida. Noi dobbiamo sostanzialmente unire e porre le fondamenta per mettere insieme tutte le risposte disponibili in modo da rendere il meccanismo di vigilanza, controllo e repressione un unico armonico così come ci suggerisce anche un report del Fondo monetario internazionale. Occorre procedere ad una responsabilizzazione Pag. 8dell'intera filiera, considerando anche il rapporto dei concessionari. Occorre fare le cose di cui ha parlato la presidente nelle sue conclusioni e soprattutto ci tengo a sottolineare che bisogna andare nella direzione di un coordinamento tra i diversi Stati europei e non solo. Il cyber-crime è la sfida che la nuova mafia imprenditrice internazionale lancia agli Stati democratici. Per questo, insieme, dobbiamo essere in grado di affrontarlo e sconfiggerlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Sarti. Ne ha facoltà.
GIULIA SARTI. Grazie, Presidente. Quello dei giochi leciti e illeciti è uno dei problemi più gravi di questo Paese – lo sappiamo – e in realtà, se ci pensiamo, quando parliamo di gioco d'azzardo, utilizziamo un ossimoro perché dovremo abituarci all'utilizzo di altri termini per descrivere questa vera e propria piaga sociale.
È una piaga che in realtà investe una marea di settori nel nostro Paese, quindi il problema dei giochi dovrebbe essere affrontato, secondo noi, da tanti punti di vista: dal punto di vista della salute, dal punto di vista economico, dal punto di vista della sicurezza informatica e del controllo sulla certificazione dei software, e questa relazione si inserisce nel quadro di questi macro settori, perché per competenza – ovviamente, il Comitato, in Commissione antimafia, ha preso in esame il ruolo delle organizzazioni criminali di stampo mafioso nei giochi e in vari tipi di scommesse – andiamo, come abbiamo detto prima, dalle varie attività estorsive a tutto quello che concerne le concessioni, il rilascio delle concessioni, il mantenimento, il controllo del territorio. E il modo in cui la criminalità organizzata si è infiltrata nei giochi leciti e illeciti è veramente, secondo noi, lo specchio di un Paese che non ha ancora saputo reagire nella maniera più corretta, perché, a fronte di un lavoro immenso da parte delle forze dell'ordine e della magistratura – prima è stata ricordata l'ultima recente indagine che ha coinvolto anche un ex parlamentare, Laboccetta, e se ne potrebbero citare tante altre; penso, per quanto riguarda la mia regione, l'Emilia-Romagna, all'indagine Black Monkey, ma, davvero a tantissime altre che in questi anni hanno caratterizzato il lavoro della magistratura – ecco, lo ripeto, a fronte di questo immenso lavoro, dal punto di vista normativo non c’è stata, a nostro avviso, una risposta altrettanto eclatante e importante per combattere il fenomeno.
Certo, in questa relazione sono contenute delle ottime proposte; noi abbiamo condiviso in toto quello che è stato fatto all'interno del Comitato e abbiamo collaborato, appunto, inserendo anche delle proposte, come MoVimento 5 Stelle, alcune sono state accolte, altre, purtroppo, no. Però, rendiamoci conto che siamo di fronte ad una situazione, ad oggi, dove abbiamo delle scadenze e degli appuntamenti importanti, penso al recepimento della direttiva antiriciclaggio entro giugno 2017, la quarta, penso, appunto, alla Conferenza unificata Stato-regioni che, in realtà, non ha ancora prodotto un'intesa e, poi, c’è il fardello, chiamiamolo così, di questa delega ancora non attuata, che è stata fatta scadere, della legge n. 23 del 2014 che, appunto, all'articolo 14, poneva le basi per avviare dei decreti legislativi in grado di andare a contrastare maggiormente il fenomeno e a regolarlo. Questa delega non è stata ancora esercitata; noi abbiamo numerose proposte di legge, una è quella del mio collega Endrizzi, che giace in Senato e che ancora non è stata presa in considerazione.
Però, a fronte di questa situazione e delle scadenze che abbiamo, certo, ci sono dei buoni propositi, ma, poi, dal punto di vista di ciò che è stato fatto fino ad oggi, vediamo che in questa legislatura non si è andati nella direzione che noi auspicavamo. Mi viene in mente il famoso decreto in tema di giustizia sulla tenuità del fatto, sulle depenalizzazioni, che ha investito, purtroppo, anche il settore dei giochi leciti e illeciti.
Quindi, di questa relazione condividiamo, come dicevo prima, l'impianto e Pag. 9abbiamo, appunto, collaborato, anche con numerose proposte. Penso, ad esempio, all'ampliamento della gamma dei reati ostativi per la partecipazione alle gare o il rilascio, il mantenimento delle concessioni, al fatto di aver inserito tutta questa serie di reati, tra cui, appunto, anche tutti quelli contro la pubblica amministrazione, l'articolo 416-ter, numerosi reati fiscali e così via; sono tutte proposte sulle quali, appunto, c’è stata un'intesa fortissima, e così su tante altre, però, dal punto di vista sia del metodo sia di quello che è stato fatto fino ad oggi in questa legislatura, vediamo che le situazioni sono state, insomma, quasi un po’ contrarie a quello che poi si scrive e si vorrebbe fare all'interno di questa relazione condivisibilissima. Quindi, un altro momento di attenzione, secondo noi, ci dovrebbe essere nel momento in cui si parla di questione territoriale, quindi, di leggi regionali e regolamenti comunali che vanno a inserirsi in questo quadro, laddove manca una disciplina nazionale.
Allora è davvero preferibile che, al di là di quello che poi dovrebbe fare la Conferenza unificata Stato-regioni, ci sia un quadro normativo nazionale minimo, regolare, uguale per tutti e che poi le regioni e i comuni vadano, ovviamente, magari, a scrivere norme o regolamenti ancora più restrittivi, ma non in mancanza di una legislazione nazionale che fa acqua da tante parti, piuttosto per – come dicevo – andare a rafforzarla. Oggi, questo quadro, dal punto di vista nazionale, è davvero tanto carente e speriamo che i buoni propositi di questa Relazione vengano tradotti in leggi approvate, magari, anche da questo Parlamento. Tuttavia, secondo noi, ci sono alcune proposte di cui parleremo anche domani in dichiarazione di voto, che non sono state completamente prese in considerazione ed è molto importante che dal punto di vista dei giochi si faccia un ragionamento non teso solo a contrastare le organizzazioni criminali di stampo mafioso, ma che vada a guardare il tema nella sua organicità. Perché, come dicevo, questa è una piaga che investe tantissimi settori e, quindi, non possiamo ragionare a compartimenti stagni, dobbiamo, piuttosto, ripensare la disciplina nella sua organicità, meglio di quanto è stato fatto fino ad ora dai vari decreti Balduzzi o dalle varie leggi di stabilità, con emendamenti un po’ qua e là e con una legge delega che, ancora, non è stata tradotta in decreti legislativi. È per questo che domani, probabilmente, decideremo di astenerci su questa Relazione, pur condividendo tantissimo il lavoro dentro il Comitato diretto dal collega senatore Vaccari in maniera egregia e condividendo le proposte, anche se non tutte, che sono state finora qui fatte.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Annunzio di una risoluzione – Doc. XXIII, n. 18)
PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione Bindi e Binetti n. 6-00281 (Vedi l'allegato A – Doc. XXIII, n. 18), che è in distribuzione.
Chiedo al rappresentante del Governo se, anche al fine di esprimere il parere sulla risoluzione presentata, intenda intervenire ora o si riservi di farlo in altra seduta.
FILIPPO BUBBICO, Sottosegretario di Stato per l'Interno. Domani.
PRESIDENTE. Sta bene. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Minardo; Cancelleri ed altri; Basso ed altri; Ricciatti ed altri: Disciplina dell'attività di ristorazione in abitazione privata (A.C. 3258-3337-3725-3807-A) (ore 15,40).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle Pag. 10proposte di legge nn. 3258-3337-3725-3807-A: Disciplina dell'attività di ristorazione in abitazione privata.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali – A.C. 3258-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la X Commissione (Attività produttive) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Angelo Senaldi.
ANGELO SENALDI, Relatore. Presidente, il testo unificato della proposta di legge di iniziativa parlamentare Atto Camera 3258 Minardo, Atto Camera 3337 Cancelleri, Atto Camera 3725 Basso e Atto Camera 3807 Ricciatti, che consta di sette articoli, è volto ad introdurre nell'ordinamento giuridico italiano, che ne è privo, così come molti altri ordinamenti comunitari, una disciplina specifica per l'attività di ristorazione in abitazione privata, detta home restaurant, al fine di valorizzare e favorire la cultura del cibo tradizionale di qualità, operata attraverso l'organizzazione di eventi enogastronomici gestiti attraverso piattaforme digitali. Si tratta di un primo passo nell'elaborazione di una nuova e specifica legislazione delle recenti modalità di interazione e di intermediazione di attività non professionali di condivisione nate grazie allo sviluppo della rete e delle relative piattaforme digitali. Ricordo che la X Commissione ha iniziato lo scorso 7 aprile 2016 l'esame della proposta di legge n. 3337 Cancelleri, recante disposizioni relative a uno specifico settore della cosiddetta economia della condivisione di beni e servizi; nelle successive sedute la Commissione ha disposto l'abbinamento delle seguenti proposte di iniziativa parlamentare su materia identica: n. 3258 Minardo, n. 3725 Basso e n. 3807 Ricciatti. A seguito dell'esame condotto nella sede del Comitato ristretto, nella seduta del 20 settembre 2016, la Commissione ha deliberato l'adozione di un testo unificato delle proposte di legge in esame che è stato adottato quale testo base per il seguito dell'esame. L'esame del testo unificato si è concluso nella seduta dello scorso 3 novembre con l'approvazione di emendamenti volti al coordinamento formale del testo ed il conferimento del mandato al relatore. Nella precedente seduta del 2 novembre la Commissione ha proceduto all'approvazione di proposte emendative che hanno modificato in più punti il testo.
L'articolo 1, al comma 1, definisce l'oggetto della disciplina relativa all'attività di ristorazione esercitata da persone fisiche in abitazione privata e agli strumenti tesi a garantire la trasparenza, la tutela dei consumatori e la leale concorrenza nell'ambito dell'economia della condivisione, ferme restando le competenze delle regioni e degli enti locali. Al riguardo, si richiama la recente comunicazione della Commissione europea – «Un'agenda europea per l'economia collaborativa», atto comunitario COM(2016)356 – che attribuisce grande rilievo alla sharing economy ed invita gli Stati membri a favorirne lo sviluppo quale contributo importante alla crescita e all'occupazione dell'Unione europea, anche al fine di garantire il pieno rispetto del principio di concorrenza.
L'articolo 2, come modificato nel corso dell'esame in sede referente, reca alcune definizioni relative all'attività di home restaurant, definita come l'attività finalizzata alla condivisione di eventi enogastronomici esercitata da persone fisiche all'interno delle unità immobiliari ad uso abitativo di residenza o domicilio, proprie o di un soggetto terzo, per il tramite di piattaforme digitali che mettono in contatto gli utenti, anche a titolo gratuito, e dove i Pag. 11pasti sono preparati all'interno delle strutture medesime; al soggetto gestore, inteso come il soggetto che gestisce la piattaforma digitale finalizzata all'organizzazione di eventi enogastronomici; all'utente operatore cuoco, ossia il soggetto che attraverso la piattaforma digitale svolge l'attività di home restaurant; all'utente fruitore, inteso come soggetto che attraverso la piattaforma digitale utilizza il servizio di home restaurant condiviso dall'utente operatore cuoco.
Le definizioni sono coerenti alle indicazioni contenute nella legge generale sull'economia di condivisione attualmente in discussione, congiuntamente, nelle Commission IX e X della Camera dei deputati.
Gli obblighi del gestore sono individuati all'articolo 3, come modificato nel corso dell'esame in sede referente, che reca prescrizioni in capo al soggetto gestore della piattaforma digitale di home restaurant e, in particolare, si prevede che: il gestore deve garantire che le informazioni relative alle attività degli utenti iscritti alle piattaforme medesime siano tracciate e conservate nel rispetto delle vigenti norme sulla privacy; è tenuto a mettere le informazioni relative alle attività degli utenti iscritti alle piattaforme medesime nella disponibilità degli enti di controllo competenti. Le transazioni di denaro sono operate mediante le piattaforme digitali, che prevedono modalità di registrazioni univoche dell'identità e avvengono esclusivamente attraverso sistemi di pagamento elettronico. La partecipazione dell'utente fruitore all'evento enogastronomico richiede in ogni caso l'assenso da parte dell'utente operatore cuoco. Verifica che gli utenti operatori cuochi siano coperti da polizze assicurative per la copertura dei rischi derivanti dall'attività di home restaurant e che l'unità immobiliare ad uso abitativo sia coperta da apposita polizza che assicuri per la responsabilità civile verso terzi. La piattaforma, inoltre, verifica che gli utenti operatori cuochi siano in possesso dei requisiti di cui alla legge per lo svolgimento dell'attività di home restaurant ai fini dell'iscrizione alla piattaforma digitale stessa. Il gestore fornisce, infine, all'utente fruitore, nel rispetto del principio di trasparenza, le corrette informazioni relative al servizio offerto ed alle polizze assicurative per la copertura dei rischi derivanti dall'attività di home restaurant, esplicitando che si tratta di un'attività non professionale di ristorazione.
Si prevede, inoltre, che le attività di home restaurant devono essere inserite nella piattaforma almeno trenta minuti prima del loro svolgimento e che l'eventuale cancellazione del servizio prima della sua fruizione deve rimanere tracciata.
Entro novanta giorni dalla data dall'approvazione della legge, con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, saranno determinate le modalità per garantire il controllo delle attività svolte per il tramite delle piattaforme digitali di home restaurant.
L'articolo 4 reca disposizioni per lo svolgimento dell'attività di home restaurant, escludendo dall'applicazione della nuova disciplina le attività svolte in ambito privato comunque da persone unite da vincoli di parentela o di amicizia, che sono definite libere e non soggette certamente a procedura amministrativa.
L'attività di home restaurant è considerata saltuaria e come tale non può superare il limite massimo di 500 coperti per anno solare né generare proventi superiori a 5 mila euro annui. Per lo svolgimento dell'attività di un home restaurant sono richiesti specifici requisiti, quali l'utilizzo della propria organizzazione familiare e di parti di un'unità immobiliare ad uso abitativo dotata dei requisiti prescritti all'articolo 5 del progetto di legge, nonché il possesso da parte degli utenti operatori cuochi dei requisiti di onorabilità di cui al decreto legislativo n. 59 del 2010, articolo 71, commi 1 e 2.
Inoltre, si deve seguire il rispetto delle procedure previste dall'attestato dell'analisi dei rischi e controllo dei punti critici (HACCP), ai sensi del regolamento comunitario n. 852 del 2004 del Parlamento e del Consiglio, datato 29 aprile 2004, sull'igiene Pag. 12dei prodotti alimentari. Inoltre, dovrà essere espressamente dichiarata una comunicazione al comune competente attraverso la segnalazione certificata di inizio attività (la SCIA).
Per lo svolgimento di attività di home restaurant non è invece richiesta, secondo quanto indicato al comma 6 dell'articolo 4, l'iscrizione al registro degli esercenti il commercio, che, peraltro, risulta soppressa a decorrere dal 4 luglio 2006.
L'articolo 5 definisce i requisiti degli immobili ad uso abitativo destinati all'attività di home restaurant, che devono possedere le caratteristiche di agibilità e di igiene previste dalla normativa vigente. La norma specifica, inoltre, che l'attività esercitata non comporta la modifica della destinazione d'uso dell'immobile. Si prevede, inoltre, che l'attività di home restaurant non possa essere esercitata nelle unità immobiliari ad uso abitativo in cui sono esercitate attività turistico-ricettive in forma non imprenditoriale o attività di locazione per periodi di durata inferiore a trenta giorni.
L'apparato sanzionatorio introdotto all'articolo 6 prevede che in caso di esercizio dell'attività di home restaurant, in assenza di segnalazione certificata di inizio attività, si disponga la cessazione dell'attività medesima e l'applicazione della sanzione amministrativa prevista dalla normativa sull'insediamento e sull'attività dei pubblici esercizi, in conformità con la legge n. 287 del 1991.
L'articolo 7 prevede l'invarianza economica del provvedimento.
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo: prendo atto che si riserva di intervenire successivamente.
È iscritta a parlare l'onorevole Camani. Ne ha facoltà.
VANESSA CAMANI. Grazie, Presidente. Oggi l'Aula avvia la discussione di un testo unificato, come illustrato ora dal relatore, definito partendo da diverse proposte di iniziativa parlamentare, che si pone l'obiettivo di offrire una soluzione normativa precisa alla disciplina delle attività di home restaurant.
Il tema è molto complesso e, pur essendo limitato nella casistica, già in fase di discussione in sede di Commissione, ha presentato alcune criticità, in primo luogo, dovute al fatto che siamo di fronte ad un intervento legislativo che potremmo definire inedito: non esistono, infatti, altri interventi normativi né in questo settore specifico né in altri settori simili. Si tratta, dunque, per il Parlamento di affrontare per la prima volta il tema e di introdurre nell'ordinamento giuridico nazionale una disciplina di fatto nuova. In secondo luogo, perché siamo chiamati a regolamentare un fenomeno già esistente, seppure in maniera ancora limitata, ma che vede nel nostro Paese un numero di casi esistenti dovuti, ovviamente, alla tradizione enogastronomica in cui il nostro Paese è leader.
Ci troviamo, insomma, nella condizione di dover intervenire per la prima volta in un ambito che presenta forti caratteristiche di novità, che si è sviluppato in maniera autonoma e spontanea e che, però, necessita, a questo punto, di regole chiare e di regole trasparenti. Lo sforzo compiuto durante i lavori preparatori in Commissione e che siamo sicuri proseguirà anche nel corso del dibattito in Assemblea, dunque, è stato quello di ricercare una soluzione normativa che sia in grado di essere sintesi efficace dei diversi interessi in campo, senza mortificarne alcuno e, anzi, incentivando nuove forme di impresa.
L'economia collaborativa, il contesto generale nel quale si inserisce la specifica attività di settore che intendiamo andare a disciplinare con il testo di legge in esame, rappresenta un nuovo modello imprenditoriale in cui le attività economiche sono facilitate da piattaforme digitali, che, intermediando lo scambio e la condivisione di beni e servizi, si pongono la finalità di promuovere forme di consumo più consapevole, più sostenibile e più razionale.
Nella crisi, infatti, si sono generati nuovi modelli imprenditoriali, le cui potenzialità sono ancora parzialmente inespresse e che, oggi, possono rappresentare Pag. 13un contributo importante per la crescita e per l'occupazione. Da questo punto di vista, l'economia collaborativa può costituire una sfida stimolante per i mercati, oltre che offrire ai cittadini nuove opportunità in termini di servizi, ma anche in termini di occupazioni e di nuove fonti di reddito. Allo stesso tempo, però, si sollevano questioni rilevanti rispetto all'applicazione del quadro normativo vigente, spesso, inadatto a cogliere le innovazioni intrinseche alla sharing economy.
Ecco perché diviene cruciale la capacità che i legislatori anche nazionali dimostreranno nel saper interpretare presto e bene queste novità, cercando di rispondere efficacemente alle preoccupazioni circa l'incertezza su diritti e obblighi di coloro che partecipano all'economia collaborativa.
Rispetto alla vastità delle materie che riguardano la sharing economy (su cui esiste già una proposta di legge incardinata in X Commissione, del cui iter parlamentare auspichiamo una rapida conclusione), l'intervento legislativo oggetto della discussione odierna si concentra su un singolo specifico settore, quello della condivisione, per il tramite di piattaforme digitali, di eventi enogastronomici; ma questa proposta, pur riguardando un tema specifico, fa già i conti con le diverse criticità che l'innovazione rappresentata dalla sharing economy pone in termini intersettoriali anche in altri contesti.
Siamo infatti convinti che dall'economia collaborativa possono generarsi nuove opportunità per i consumatori come per le imprese e siamo altrettanto convinti che una legislazione puntuale possa contribuire proprio alla promozione di queste nuove opportunità.
Questa è dunque, signor Presidente, la sfida: di fronte a fenomeni esistenti ed emergenti, di cui il mercato e l'innovazione tecnologica hanno già definito dimensione e contorni, occorre intervenire per governare ed organizzare i processi in corso, per evitare storture e iniquità.
Con questa proposta di legge, dunque, intendiamo prevedere regole e norme che consentano di introdurre elementi di equità e trasparenza tra gli operatori di home restaurant e tra di essi e gli operatori del mercato tradizionale, al fine di tutelare i consumatori e la leale concorrenza.
Per farlo si è dovuti necessariamente partire da una serie di definizioni, che siano finalizzate a chiarire sia il campo di gioco sia i giocatori della partita, prima di tutto definendo specificatamente le dimensioni e i contorni dell'attività di home restaurant, che sia attività occasionale, che sia esercitata per condividere un servizio, che sia esercitata da persone fisiche, che sia svolta all'interno di residenze private e che sia intermediata da piattaforme digitali e poi definendo i soggetti, i giocatori della partita.
In questo senso, lo schema imprenditore-cliente non è stato sufficiente per consentirci di definire con chiarezza quali siano i rapporti da tutelare e quali siano gli interessi da mediare.
Del resto – e l'abbiamo detto anche in premessa, signor Presidente – nell'ambito della sharing economy gli interessi meritevoli di attenzione si sovrappongono e gli strumenti normativi tradizionali di tutela non offrono le garanzie necessarie.
L'ambito dell’home restaurant riguarda infatti quelle attività non professionali in cui persone fisiche, in qualità di utenti di piattaforme digitali, scelgono di condividere con altri soggetti, anch'essi utenti di piattaforme, la loro abilità a cucinare, il tutto all'interno di abitazioni private.
Non siamo dunque di fronte ad una fattispecie in cui l'imprenditore vende un servizio ad un cliente all'interno di un locale pubblico.
Il carattere di non professionalità dell'utente operatore cuoco modifica profondamente il quadro e di conseguenza richiede tutele differenti.
La proposta di legge risponde a questa necessità, tenendo in considerazione due elementi fondamentali: da un lato individuare il corretto bilanciamento delle regole, in modo tale da garantire una distribuzione equa del valore aggiunto che si genera e, dall'altro lato, definire l’home restaurant come una nuova opportunità Pag. 14per la crescita, senza incidere negativamente sui mercati già esistenti e tradizionali.
Abbiamo, sulla base di queste valutazioni, definito i requisiti di accesso a questa attività, in modo che siano giustificati e proporzionati rispetto al modello imprenditoriale di home restaurant e che, al tempo stesso, non appaiano penalizzanti per gli operatori tradizionali.
La sintesi raggiunta si basa sulla maturata convinzione che una regolamentazione flessibile e leggera sia lo strumento ideale da un lato per aumentare e sostenere la produttività del settore e dall'altro per raggiungere gli obiettivi di interesse pubblico più rilevanti, come la tutela del consumatore e della sicurezza pubblica, il contrasto all'evasione fiscale, la salvaguardia della sicurezza alimentare, un equilibrio ricercato e raggiunto anche in considerazione del requisito di non professionalità del soggetto che condivide o che decide di condividere l'evento.
L'unico soggetto che al contrario, per definizione, dispone del requisito della professionalità è la piattaforma digitale e per questa regione si è scelto di porre, proprio in capo al gestore della piattaforma che fa impresa, una serie di obblighi, incentivandone il ruolo di controllore tra pari che si scambiano il servizio e dall'altro lato stimolandolo ad una condotta responsabile e di garanzia.
Gli operatori tecnologici infatti offrono il servizio di intermediazione per via elettronica in forma professionale e informa normalmente retribuita e rappresentano, a nostro avviso, lo strumento attraverso cui regolamentare e controllare il sistema.
Il gestore dunque è obbligato ad una serie di azioni che da un lato garantiscono il mittente fruitore (il gestore, lo diceva il relatore all'inizio, deve verificare la copertura di polizze assicurative da parte dell'utente operatore cuoco, deve verificare i requisiti dell'utente operatore cuoco e dell'immobile all'interno del quale si svolge la prestazione) e dall'altro lato contribuiscono al rispetto e alla regolarità degli adempimenti fiscali.
Un aspetto infatti molto rilevante collegato alla sharing economy in generale e all'attività di home restaurant nel caso specifico, è rappresentato dalla questione fiscale relativa a soggetti che, non essendo professionisti per definizione, non sono sottoposti ai regimi fiscali e di vigilanza tipici dell'impresa, anche perché è evidente che, nella logica di voler superare positivamente e per quanto possibile la contrapposizione tra il modello proposto con l’home restaurant e le forme tradizionali di attività di somministrazione di alimenti e bevande, diviene rilevante eliminare possibili zone grigie di evasione o di elusione fiscale, che pongano limiti oggettivi alla leale concorrenza.
In questo senso si è previsto un sistema di registrazione e di controlli che sia in grado di superare i problemi legati agli adempimenti degli obblighi fiscali, all'identificazione dei contribuenti e dei redditi imponibili, alla necessità di disporre di informazioni certe e controllabili.
Su questo tema, peraltro, credo si colgano pienamente le opportunità che un sistema basato unicamente su transizioni elettroniche e su registrazioni univoche dell'identità dei soggetti possa offrire in termini di fiscalità e di tracciabilità.
E per completare il quadro, una volta definiti i compiti e le responsabilità della piattaforma, è divenuto necessario specificare gli obblighi degli altri elementi, in particolare dell'utente operatore cuoco e del luogo in cui si svolge la prestazione e anche a proposito di questi aspetti è necessario porre attenzione a due elementi e in particolare al tipo di equilibrio che si è tentato di raggiungere tra questi elementi e cioè come tutelare efficacemente i consumatori da un lato e come organizzare l'attività non professionale del cuoco senza soffocarla con eccessive previsioni regolatorie.
Se la scelta è stata quella di premiare una normativa leggera e flessibile, che incentivi nuove competenze, allo stesso modo è necessario individuare con precisione i requisiti dei soggetti che scelgono di sperimentare questa nuova forma di economia collaborativa.Pag. 15
L'utente operatore cuoco che esercita attività di home restaurant deve dunque presentare con chiarezza il requisito della non professionalità, requisito definito sia in termini quantitativi, con l'indicazione del numero dei pasti massimi annui che un utente operatore cuoco può condividere o con il limite, sempre in numero di pasti, posto in capo all'unità abitativa dove si svolgono queste prestazione, ma anche in termini e in relazione alla quantità di proventi generati dall'attività stessa.
Solo queste condizioni definiscono l'attività di home restaurant e solo a queste condizioni si può beneficiare delle normativa leggera e flessibile riservata all'economia della condivisione.
Le stesse precauzioni si sono tenute nel definire i requisiti degli immobili destinati all'esercizio dell'attività di home restaurant, in modo tale da garantire requisiti minimi di abitabilità e di igiene, ma anche in grado di non risultare talmente rigorosi da mortificare l'iniziativa di condivisione.
Sono dunque questi, signor Presidente, in sintesi, gli aspetti più rilevanti della proposta in esame, il risultato di una ricerca approfondita e seria per offrire uno strumento legislativo che sia in grado di stimolare la piena realizzazione dei benefici che possono generarsi dalle attività di ristorazione in abitazione privata, nel pieno rispetto delle legittime aspettative degli operatori tradizionale.
Confidiamo che l'Aula continuerà nel lavoro di approfondimento e di miglioramento.
Alcuni aspetti sono ancora in discussione e rappresentano ancora elementi critici; credo che potrebbero essere ulteriori passi verso una riduzione dei passaggi burocratici previsti nella proposta di legge, così come credo sarebbe importante che l'Aula decidesse di offrire un riconoscimento in legge del principio del cosiddetto social eating, cioè della pratica di condivisione di eventi enogastronomici fortemente caratterizzati dall'elemento della spontaneità e della socialità.
Siamo però convinti in generale, signor Presidente, che questa sia per il Parlamento italiano un'occasione straordinaria per porsi in una posizione di avanguardia legislativa sul tema dell’home restaurant e, più in generale, sulla questione dell'economia collaborativa, sperimentando soluzioni flessibili e leggere che possano sostenere l'occupazione e la crescita.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Cancelleri. Ne ha facoltà.
AZZURRA PIA MARIA CANCELLERI. Presidente, oggi finalmente in Aula arriva la proposta di legge che andrà a disciplinare il settore della ristorazione in abitazione privata, ormai conosciuto con il termine inglese di home restaurant. Da molti anni il nostro Paese è colpito da una crisi economica imponente, che colpisce le classi sociali tradizionalmente meno esposte, lasciando senza lavoro i meno giovani, che trovano difficile ricollocarsi nel mercato del lavoro, ma anche giovani che vorrebbero intraprendere percorsi spesso innovativi ed ambiziosi ma non trovano i finanziamenti e le risorse. In questo scenario si diffonde sempre di più la cosiddetta sharing economy, traducibile in «economia della condivisione», che altro non è che un'espressione riferibile a un nuovo modello di economia della condivisione, un nuovo modello economico che parte dai reali bisogni dei consumatori, un modello di economia circolare all'interno del quale professionisti, consumatori e semplici cittadini mettono a disposizione competenze, tempo, beni e conoscenze per la creazione di legami virtuosi che si basano sull'utilizzo della tecnologia in modo relazionale. Così facendo, si promuovono nuovi stili di vita, che prediligono il risparmio o la ridistribuzione del denaro, favoriscono la socializzazione e la salvaguardia dell'ambiente.
Facendo una ricerca su Internet è possibile trovare degli studi sul tema, condotti sia a livello nazionale che internazionale. Secondo un recente studio internazionale il giro d'affari della sharing economy in Europa potrebbe valere, in termini di volumi di transito, 570 miliardi di euro entro il 2025, un valore 20 volte superiore a quello attuale e cresciuto del 77 per Pag. 16cento fra il 2014 ed il 2015, e in grado di assicurare, alle piattaforme che operano in questo ambito nel vecchio continente, ricavi per 83 miliardi di euro. A livello geografico, invece, lo studio evidenzia come i Paesi maggiormente attivi nella sharing economy sono quelli del nord Europa: Germania e Gran Bretagna, nello specifico, registrano più di cinquanta imprese già operative sul mercato; Olanda e Spagna, tra quindici e trenta; Italia e Polonia, meno di venticinque. I ricavi totali lordi nell'Unione europea di piattaforme e prestatori di servizi di collaborazione sono stimati per un totale di 28 miliardi di euro nel 2015. Rispetto all'anno precedente, i ricavi nell'Unione europea sono quasi raddoppiati, e si prevede che continueranno stabilmente a crescere.
Venendo all'Italia, un'altra ricerca condotta dalla facoltà di economia dell'Università degli studi «Niccolò Cusano» rivela che il nostro è uno tra i tre primi Paesi per numero di fruitori e conoscitori della sharing economy. Secondo uno studio condotto invece dall'Università di Pavia, le piattaforme che offrono questi servizi di condivisione sono cresciute, tra il 2014 e il 2015, del 35 per cento. Oggi in Italia se ne contano circa 97, cui bisogna aggiungere 41 attive per il pro-funding. Osservando i dati presentati dall'università «Niccolò Cusano», la sharing economy appare come un trend sempre più in crescita: la stima di fatturato del 2016 si attesta sui 13 miliardi di euro e, secondo le previsioni, nel 2025 si toccheranno i 300 miliardi di euro. Tanti i servizi e le piattaforme più popolari che incidono sul successo quotidiano del concetto di condividere guadagnando. Tra questi servizi partecipati, uno in forte espansione è quello della ristorazione, tramite appunto gli home restaurant. Alla grande e capillare diffusione, però, non è mai stata affiancata una normativa ad hoc. Questa proposta di legge, la nostra, che è stata poi inglobata nel testo unificato oggi in discussione, vuole andare a colmare questo gap normativo e regolamentare finalmente questo fenomeno, che comprende tutte le attività finalizzate all'erogazione di cibo esercitate da persone fisiche all'interno delle proprie strutture abitative, avente anche lo scopo di valorizzare e favorire la cultura del cibo tradizionale e di qualità.
L'articolo 4 – il relatore ha già presentato il contenuto dei vari articoli – è forse il fulcro della legge, poiché reca le disposizioni per lo svolgimento dell'attività di home restaurant, escludendo dall'applicazione della nuova disciplina le attività non rivolte al pubblico o comunque svolte da persone unite da vincoli di parentela o di amicizia che sono definite «libere e non soggette a procedura amministrativa». Invece, i requisiti numerici che sono stati inseriti in merito all'attività di home restaurant, sono quelli di non poter superare il limite massimo di 500 coperti per anno solare e che non si possono generare proventi superiori a 5.000 euro annui. Questo perché si è voluto mantenere e delineare l’home restaurant come un'attività saltuaria.
Perché si è sentita la necessita di questa proposta ? Perché non stiamo parlando di casi isolati, basta visitare i diversi siti che ormai si sono specializzati in questo tipo di eventi, per farsi un'idea: ce ne sono in ogni città, in ogni quartiere, per tutti i gusti e per tutte le tasche. Secondo uno studio del Centro studi turistici per Fiepet Confesercenti, l'universo degli home restaurant, solo nel 2014, ha fatturato 7,2 miliardi di euro in Italia, con ben 7 mila cuochi social attivi nel Paese e con una tendenza prevista di ulteriore crescita per il 2015 ed il 2016. Si stima che siano stati organizzati, nel 2014, ben 37 mila eventi di social eating andati a buon fine, con la partecipazione di circa 300 mila persone e con un incasso medio stimato per singola serata pari a 194 euro. Secondo un altro sondaggio della società SWG per Confesercenti, l'83 per cento dei ristoratori intervistati è a conoscenza del fenomeno, e di questi il 62 per cento ritiene che l’home restaurant sottrae fino al 5 per cento del fatturato, mentre per il 15 per cento il fenomeno sottrae dal 6 al 10 per cento del fatturato. Di questi ristoratori intervistati, l'80 per cento ritiene l’home Pag. 17restaurant concorrenza sleale; per il 92 per cento l’home restaurant è un fenomeno che deve essere normato.
Da questi numeri emerge, quindi – dire anche giustamente – che gli home restaurant vengono avvertiti, ad oggi, dai ristoratori come un fenomeno di concorrenza sleale. Ed effettivamente, se pensiamo al settore della ristorazione classica, carico di tasse, imposte, norme e burocrazia spesso inutile, come nella tradizione italiana, un settore invece così diffuso e non normato non può altro che essere avvertito come concorrenza sleale. Dall'altra parte ci sono delle persone che già svolgevano eventi da vari anni con una certa frequenza, e che si ritrovavano ad agire al buio, quindi senza sapere se quello che stavano facendo fosse legale o meno, perché aspettavano una legge a cui fare riferimento. Per questo abbiamo sentito la necessità di andare a colmare questa disparità avvertita dai ristoratori, ma al tempo stesso anche di dare una garanzia di legalità a chi già l’home restaurant lo pratica da tempo. Quindi, come MoVimento 5 Stelle abbiamo cercato di andare a normare questo settore in espansione senza farlo diventare l'ennesimo nuovo settore carico di norme e di burocrazia, ma pensando anche ai ristoratori, limitando cioè l’home restaurant a un'attività saltuaria, in modo tale da differenziarla nettamente, per numeri di coperti e per guadagno possibile, dalla ristorazione classica.
Concludo dicendo che anche noi pensiamo che qualcosa si possa ancora sistemare, e confidiamo nel dibattito in Aula, che spero sia come quello avvenuto in Commissione, in particolare facendo riferimento anche ai pareri che sono stati espressi dalle varie Commissioni. Però, diciamo anche che non si può far finta di non vedere l'imponenza della sharing economy, di questo nuovo modello che si sta diffondendo, sia nei volumi che nel numero di settori coinvolti. Per questo motivo riteniamo che questa norma sia un primo significativo e necessario – appunto per priorità – passo di un cammino che speriamo sia sempre così condiviso verso una norma più generale ed ugualmente fondamentale.
PRESIDENTE. Ne approfitto per salutare gli alunni e i docenti dell'Istituto comprensivo «Marino» di Napoli, che sono presenti in tribuna e stanno assistendo ai nostri lavori
(Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Catalano. Ne ha facoltà.
IVAN CATALANO. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, la presente proposta di legge intende disciplinare una nuova attività diretta all'erogazione del servizio di ristorazione esercitato, da persone fisiche, all'interno dell'immobile destinato ad abitazione. L'attività di home restaurant, intesa come condivisione di beni e servizi atti a creare socialità e/o razionalizzazione di risorse, rientra pacificamente nel fenomeno della sharing economy. Essa non va confusa, né concettualmente né soprattutto a livello di regolamentazione normativa, con forme essenzialmente professionali di ristorazione, agrituristica o a domicilio, svolte sfruttando il tramite di piattaforme telematiche di intermediazione. Il Ministero dello sviluppo economico nella risoluzione n. 50481 del 10 aprile 2015 ha affermato che l'attività di home restaurant non può essere classificata come un'attività di somministrazione di alimenti e bevande, in quanto, anche se i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati coincidenti con il domicilio del cuoco, essi rappresentano comunque locali attrezzati aperti alla clientela. Secondo me, occorre partire da qui.
I fenomeni legati alla sharing economy, proprio perché difficilmente inquadrabili nei settori tradizionali, spesso vengono visti come una minaccia alla loro esistenza, creando delle vere e proprie battaglie giuridiche, a volte, facendo intervenire addirittura l'autorità sanitaria. La sharing economy non è e non deve essere Pag. 18un'economia sostitutiva a quella del capitale classica, ma, piuttosto, complementare ad essa.
In qualità di relatore in Commissione del testo di legge sulla sharing economy, vorrei fare un appunto all'Aula. Ritengo che la procedura che abbiamo utilizzato, ovvero quella di approvare prima un testo settoriale rispetto alla legge quadro, sia profondamente sbagliata. La logica vuole che prima si approvino leggi quadro e poi le varie declinazioni nei settori. Invece, contro ogni logica, abbiamo rincorso un testo ancora in fase di definizione in Commissione, quello della legge quadro, per evitare di approvare due testi confliggenti e incoerenti. Comunque, il lavoro svolto in Commissione ha consentito, grazie all'approvazione di alcuni emendamenti, di armonizzare i due testi e di renderli, quindi, coerenti.
La proposta in esame è nata dall'abbinamento di quattro proposte di legge di segno ben diverso. Tre proposte su quattro consideravano l'attività di home restaurant un'attività di promozione del territorio, del cibo e delle specialità, svolta da casalinghe, mamme, nonne e da giovani che si improvvisano cuochi. Per alcuni c’è da difendere un interesse di settore, quello della ristorazione, per altri, invece, è un'opportunità innovativa. Comunque, quello che accomuna tutti è che va salvaguardata la salute di chi, poi, fruisce di questi servizi. Tuttavia, ad eccezione di chi ha provato ad avvicinarsi al concetto di home restaurant tagliando dal contesto della norma la cena tra amici e parenti, non si è riusciti a focalizzarsi su ciò che realmente dovrebbe essere l’home restaurant, ovvero una cena tra persone che vogliono conoscersi, intermediata tramite piattaforme, condividendo le spese per organizzare l'evento conviviale. Così configurato, l’home restaurant non rappresenta una minaccia per la ristorazione professionale; la minaccia può nascere, semmai, da formulazioni ambigue, da definizioni che, forse anche per un'ottica strettamente settoriale, sono incapaci di cogliere il segno innovativo della sharing economy. Formulazioni ambigue farebbero il gioco dei furbi, che, abusando della buona fede di chi vuole creare comunità, usano le piattaforme digitali per nascondere, invece, dei ristoranti, aggirando le norme di settore e le regole fiscali.
L'inserimento di assurde previsioni protezionistiche in sede di delimitazione del fenomeno non aiuta a definire l'oggetto della discussione. L'obbligo di utilizzare prodotti locali costituisce una limitazione e un'indebita ingerenza dello Stato nella vita economica, mentre le possibilità di utilizzarli crea valore aggiunto per quest'attività. L'eventuale ingerenza dello Stato sulla provenienza locale o meno delle materie prime sarebbe, quindi, intollerabile. Ciascuno è libero di fare la spesa sulla base di considerazioni anche autarchiche, ma non certo di imporle agli altri. L’home restaurant, se chiaramente inteso e delimitato come una forma di sharing economy, si configura non come espressione della vita economica classica, ma della vita privata.
Proseguendo, abbiamo trovato nel testo ulteriori limiti. C’è chi ha introdotto la necessità per chi cucina di possedere l'HACCP, chi ha introdotto requisiti stringenti che deve possedere l'immobile e chi addirittura ha introdotto l'obbligo di SCIA, come se fosse un'attività imprenditoriale. Queste restrizioni sono sempre frutto del ragionamento protezionista, volte alla tutela di una categoria a discapito di un'altra. Con le definizioni inserite in Commissione è stato ampiamente chiarito che il perimetro dell’home restaurant rientra nella sharing economy in senso stretto, ovvero condivisione di tempo e spazio. Sottolineo, quindi, il parere fortemente contrario del nostro gruppo a queste limitazioni, che poi verranno discusse anche in Aula con emendamenti che speriamo vengano approvati.
Quanto all'ambito di applicazione della legge, segnalo che il comma 1 dell'articolo 4 è, di fatto, superato dalla modifica del testo avvenuta in Commissione, ma rimane nel testo oggi presente in Aula. A nostro avviso è un refuso e, di conseguenza, abbiamo previsto un emendamento per la sua soppressione. È nostra volontà, in Pag. 19quanto legislatori, non includere nell'attività di home restaurant la cena tra amici, anche se organizzata tramite supporti digitali. Giudico positivamente due emendamenti che contribuiscono a graduare il livello di regolamentazione, che sono stati presentati da alcuni colleghi. Il primo è quello del collega Coppola, che stabilisce che, se in un anno solare l'utente operatore cuoco organizza un numero di eventi enogastronomici inferiore a 5 e l'unità abitativa in cui si svolge l'evento viene utilizzata per un numero di volte inferiore a 5, l'attività viene definita social eating e le disposizioni della presente legge non vengono applicate. Il secondo emendamento, sempre presentato dalla maggioranza, riguarda la parte fiscale e tende a migliorare notevolmente il testo, anche chiarendo il discorso dell'occasionalità. Volevo chiarire, Presidente, la volontà del legislatore nell'utilizzare il termine «proventi», utilizzato nel testo, che vuole essere interpretato nel significato tecnico del testo, quindi di «utili», ossia la sottrazione delle spese ai ricavi.
Voglio concludere sottolineando quello che è, di fatto, il principio guida della sharing economy in campo alimentare. L’home restaurant è, prima di tutto, una cena con lo scopo di creare occasioni di incontro e socialità, nelle quali chi cucina può far conoscere le tradizioni culinarie della propria regione, ma anche della propria famiglia, e tramandare, così, la cultura del cibo e chi partecipa come ospite ha l'occasione di entrare a far parte di una rete sociale che gli consenta di recuperare, attraverso il rito del cibo, rapporti sociali che spesso si perdono a causa dei ritmi frenetici e dei continui spostamenti che una persona fa nel corso della sua vita. Quest'ultimo punto, Presidente, non va trascurato. La nostra società cambia a una velocità tale da non consentire nemmeno, a volte, di organizzare una cena tra amici; figuriamoci, tanto meno, di organizzare eventi con cui conoscere nuove persone. Questo è quanto, Presidente. Auspico anch'io che, durante la discussione in Aula, vengano approvati alcuni emendamenti e che il testo possa subire delle ulteriori modifiche che mirino a migliorare la sua comprensione.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Giammanco. Ne ha facoltà.
GABRIELLA GIAMMANCO. Grazie, Presidente. Negli ultimi anni il fatturato della sharing economy è cresciuto notevolmente in tutto il mondo. Si tratta di un fenomeno culturale e sociale sempre più diffuso. A partire dal 2015 l'economia della condivisione ha determinato una crescita del 35 per cento delle piattaforme che offrono servizi condivisibili e si prevede che nel 2025 il fatturato complessivo di questo settore possa raggiungere i 300 miliardi di euro.
Nello specifico, sembra che il nostro Paese abbia la maggiore propensione – dopo Spagna e Turchia – a condividere beni e servizi, tanto che, con un giro d'affari di circa 3,5 miliardi di euro, occupa una bella fetta dei 28 miliardi dell'intero fatturato europeo. Secondo l'ultima rilevazione curata da Collaboriamo.org, in Italia ci sono 186 piattaforme collaborative, divise in 13 settori diversi, dal crowdfunding, ai trasporti, al turismo, passando per lo scambio di beni di consumo e servizi alla persona. Insomma, piattaforme online e applicazioni hanno inaugurato un nuovo modo di spostarsi, di viaggiare, di lavorare e anche di mangiare. In quest'ultimo caso, quindi, si tratta di un fenomeno, quello della ristorazione in abitazioni private, che da molti anni è in voga soprattutto in America, ma che si sta estendendo a macchia d'olio anche nel nostro Paese, che denota una forte propensione, soprattutto da parte delle nuove generazioni, ad aprire la propria casa e a condividere la cultura enogastronomica nostrana.
Da qui, la necessità di un intervento normativo che si prefigga lo scopo di regolamentare l'esercizio di un'attività che, in assenza di una disciplina di riferimento, può essere attuata in modo incontrollato, senza garantire la necessaria tutela del consumatore né rispettare i principi che Pag. 20sottendono ad una leale concorrenza. Allo stato attuale, infatti, non esiste una normativa che disciplini lo svolgimento dell'attività di ristorazione in casa e, in assenza di una legge chiara, l'unica fonte di diritto su cui si basano amministrazioni comunali, gestori ed enti di controllo è una risoluzione del Ministro dello sviluppo economico del 2015, che si limita, in modo semplicistico, a equiparare gli home restaurant ai pubblici esercizi, quando, invece, si dovrebbe partire dall'assunto che la casa propria non può essere assimilata un pubblico esercizio.
La risoluzione ha imposto un iter burocratico farraginoso e regolamenti impossibili a tutti coloro che sono intenzionati ad aprire un'attività di ristorazione in un'abitazione privata. L'unica fonte di diritto in materia scoraggia quindi l'iniziativa di tanti italiani che, durante la crisi economica, cercano nell’home food l'opportunità di arrivare anche a fine mese. Giusto, quindi, dare un quadro normativo specifico all'attività di ristorazione in abitazione privata e definire in modo più compiuto la natura saltuaria dell'attività di un restaurant, garantendo il pieno rispetto dei principi di trasparenza e di concorrenza. Seppure quindi in questo contesto sia evidente la necessità di un intervento normativo, non possiamo sottacere i limiti che ci appaiono evidenti nella proposta in discussione e che, ci auguriamo, possano essere superati nel lavoro di esame e approvazione del testo in Aula che, a nostro parere, necessita quindi di essere migliorato. Innanzitutto quando si ha a che fare con la somministrazione di alimenti e bevande la tutela del consumatore deve essere una condicio sine qua non e, per essere efficace, deve essere prima di tutto basata non solo su norme di principio ma sul controllo reale del rispetto delle stesse regole. Un'attività rivolta al pubblico e ampiamente pubblicizzata sul web come quella della ristorazione in abitazione privata comporta la necessità di proteggere i consumatori che scelgono la prestazione dell’home restaurant così come quelli che si rivolgono alla ristorazione tradizionale. Ciò detto quindi non si capisce perché il testo unificato in discussione non abbia recepito le osservazioni e le condizioni espresse sullo stesso né i pareri delle Commissioni affari costituzionali, affari sociali e agricoltura le quali, anche in linea con alcuni emendamenti al testo presentati da Forza Italia, evidenziano la necessità di rendere il provvedimento meno lacunoso e più efficace, delineando in modo più chiaro e preciso il capitolo che riguarda i controlli igienico-sanitari a garanzia dei fruitori del servizio di home restaurant. La Commissione affari costituzionali, per esempio, ha sottolineato la necessità di specificare quali siano gli enti di controllo richiamati nel provvedimento. La Commissione affari sociali ha chiesto che «all'articolo 4, comma 6, si preveda che i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1, comunichino all'azienda sanitaria locale di riferimento, nelle forme semplificate previste per le comunicazioni alla pubblica amministrazione, l'ora e il luogo di ogni evento organizzato, per consentire l'eventuale svolgimento di controlli sanitari». Purtroppo si è preferito ignorare questa richiesta lasciando intatto il testo. La Commissione agricoltura ha chiesto di «integrare le disposizioni contenute all'articolo 4 prevedendo che anche per l'esercizio dell'attività di home restaurant sia necessario il possesso da parte degli operatori di uno dei requisiti professionali necessari per la somministrazione di alimenti e bevande a norma dell'articolo 71, comma 6, del decreto legislativo n. 59 del 2010 come modificato dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 147 del 2012». Sempre la Commissione agricoltura ha chiesto di integrare le disposizioni contenute all'articolo 5 del testo oggi in discussione, «inserendovi una compiuta disciplina dei controlli ai quali devono essere soggetti i locali nei quali viene esercitata l'attività di home restaurant». Nonostante tutti questi rilievi, nonostante le osservazioni ma anche le condizioni delle Commissioni che sono state chiamate ad esprimere un loro parere sul testo in questione, nulla è stato modificato, il tema dei controlli è stato eluso ed il testo finale del provvedimento lascia ancora a desiderare, almeno insomma Pag. 21sotto questo punto di vista, quindi per quanto riguarda il capitolo controlli igienico-sanitari. Nello specifico riteniamo fondamentale che in materia siano previste norme che consentano controlli più stringenti nelle abitazioni private adibite ad home restaurant per tenere a freno eventuali abusi e soprattutto tutelare il consumatore che usufruisce di tale servizio. Parliamo ad esempio del divieto di somministrare alcolici ai minori, dell'obbligo di cessare la somministrazione degli stessi dopo una certa ora, di mettere a disposizione della clientela informazioni sugli effetti dell'alcool e i precursori della trasparenza dei prezzi, dell'indicazione degli allergeni contenuti nei piatti serviti, della tracciabilità degli alimenti. Si tratta di prescrizioni delle quali deve essere controllato l'adempimento in merito al quale è necessario superare l'assioma dell'inviolabilità del domicilio privato quando questo è necessario per la tutela dei diritti primari dei cittadini quali quello alla salute e quello alla sicurezza.
Risulta inoltre fondamentale completare il regime sanzionatorio prevedendo una specifica sanzione amministrativa per coloro che effettuano la somministrazione di pasti al di fuori delle piattaforme tecnologiche e che accettano pagamenti delle loro prestazioni con modalità diverse da quelle previste nel testo unificato in discussione. In questo caso l'assenza di una previsione sanzionatoria rende privo di efficacia il provvedimento. Inoltre è necessario fare una riflessione sulla norma che stabilisce che l'attività di home restaurant non possa generare proventi superiori ai 5.000 euro annui. A fronte di nuovi adempimenti e obblighi da parte di chi presta questo genere di servizio, infatti, a maggior ragione se il regime dei controlli fosse più certo, non si capisce perché, come la stessa Commissione affari costituzionali ha osservato nel suo parere, non si debba dare seguito al principio sancito dall'articolo 41 della Costituzione cioè quello relativo alla libertà della iniziativa economica. Un tetto così basso infatti, anziché favorire lo svolgimento dell'attività di home restaurant, potrebbe scoraggiare a intraprendere tale attività, facendo in modo che il provvedimento in esame, una volta diventato legge, resti semplicemente lettera morta. Infine, preso atto favorevolmente che l'intervento normativo si prefigge lo scopo di valorizzare e favorire la cultura del cibo tradizionale, del cibo di qualità, del cibo nostrano in particolare attraverso l'utilizzo prioritario di prodotti tipici del nostro territorio, non si capisce in che modo e con quali strumenti questo buon proposito possa essere attuato. A tal proposito nulla è stato specificato all'interno del testo in discussione che quindi, dal punto di vista concreto, non va oltre questo mero principio. Per concludere quindi, pur riconoscendo necessario dare una cornice normativa all'attività dell’home restaurant, ci auguriamo che il provvedimento oggi in discussione non rimanga solo una delle tante leggi che affollano il nostro ordinamento legislativo ma sia davvero utile a disciplinare un fenomeno nuovo ma sempre più diffuso come abbiamo visto (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Tentori. Ne ha facoltà.
VERONICA TENTORI. Grazie, Presidente. Il provvedimento in esame si inserisce in un ambito complesso ma, allo stesso tempo, ricco di opportunità: la sharing economy o economia della condivisione che rappresenta in questo momento economico e sociale una vera e propria sfida per noi legislatori. Credo sia importante partire da questa premessa per comprendere più a fondo la novità e la complessità cui ci troviamo di fronte quando affrontiamo il tema dell’home restaurant oggetto della presente legge. La sharing economy infatti è un fenomeno in costante evoluzione. Si tratta della condivisione di beni e servizi tra utenti per il tramite di piattaforme digitali che intreccia temi quali innovazione, nuovi modelli di consumo, stili di vita, nuovi modelli di business e modi di fare impresa, nuove forme di relazioni tra persone e di fare comunità. Pag. 22Quando parlo di innovazione, infatti, non mi riferisco solamente a quella di tipo tecnologico che permette, grazie ad un device come lo smartphone, di essere connessi direttamente e in tempo reale con chiunque in ogni momento e che ha permesso di abilitare in un rapporto «molti a molti» la condivisione diretta di beni e servizi tra le persone, ma anche all'innovazione sociale. Le persone oggi sono disponibili a condividere le proprie risorse e le proprie capacità con gli altri, prediligono l'accesso a beni e servizi piuttosto che l'acquisto e il possesso e, qualora possiedano già dei beni, tendono ad ottimizzarne l'impiego condividendoli con gli altri piuttosto che lasciarli inutilizzati o dormienti tanto che alcuni preferiscono definire questo tipo di economia «economia degli asset sottoutilizzati». Questa nuova forma di consumo si sta sviluppando nei più svariati settori. Attualmente in Italia abbiamo una crescita particolare delle attività correlate al turismo come gli alloggi e appunto la ristorazione oppure i trasporti, così come mettere a disposizione una stanza della propria casa, che resterebbe vuota, per dare ospitalità attraverso una piattaforma online oppure condividere un viaggio con la propria auto insieme ad altri utenti per dividere i costi del carburante.
Nel caso dell’home restaurant, di cosa stiamo parlando ? Di cittadini che vogliono condividere con altri la propria abilità culinaria e, dunque, attraverso piattaforme digitali che svolgono un ruolo di intermediari organizzano eventi enogastronomici in abitazioni private. Gli utenti della piattaforma interessati all'evento culinario, come ad esempio una cena, possono quindi iscriversi tramite il sito web e partecipare, generalmente pagando una quota. Ne risultano delle cene che mettono a tavola persone che non si conoscono tra di loro, creando nuove relazioni e conoscenze che permettono al cuoco amatoriale di condividere la propria abilità e, contestualmente, ricevere un piccolo ricavo. Le attività di cui stiamo parlando, infatti, non costituiscono una professione per chi le svolge; sono di tipo occasionale e non si inseriscono nel contesto di norme che vanno a regolamentare i professionisti del settore, in questo caso della ristorazione, spesso anche molto articolate e pensate per pubblici esercizi e per attività commerciali di natura diversa rispetto a quanto oggi stiamo andando a regolare con la legge in discussione. Su questo, appunto, mi riferisco anche a quello che è appena stato detto nell'intervento della collega Giammanco; con questa legge, infatti, vogliamo promuovere quel tipo di economia della condivisione, in questo caso legata all'ambito degli eventi culinari, che non viene svolta a livello professionale ma occasionale; per questo ritengo si possa chiarire ulteriormente questo aspetto, andando a precisare nella definizione di home restaurant che si tratta di un'attività occasionale e ho depositato un emendamento in tal senso che spero possa essere accolto nei lavori d'Assemblea. Si tratta di un concetto importante da sottolineare, a mio parere fondamentale per fare in modo che questa legge che appunto va ad occuparsi di un settore specifico sia coordinata e in armonia con la legge quadro in materia di sharing economy che, al momento, è in fase di discussione congiunta qui alla Camera nelle Commissioni parlamentari Attività produttive e Trasporti. Obiettivo di entrambe le leggi deve essere, infatti, quello di promuovere la sharing economy, cogliendone le opportunità, e contestualmente fornire una cornice di regole che devono essere più semplici possibili per consentire la tutela del consumatore e della leale concorrenza oltre che garantire trasparenza. Una legge, in questo caso, si rende necessaria proprio perché serve chiarezza per tutti i soggetti coinvolti in questa filiera, il gestore della piattaforma digitale, ovvero il soggetto economico, e gli utenti che attraverso questa piattaforma mettono a disposizione i propri beni e servizi o ne fruiscono. Chiarezza e trasparenza per chi intraprende e per chi consuma sono la base per generare fiducia e per fare in modo che queste attività innovative possano integrarsi con le forme di impresa tradizionali. Inoltre, la fiducia è anche la base per attrarre investimenti Pag. 23che, laddove il rischio regolatorio è troppo elevato, non sono certo favoriti. La mia convinzione è che regolando in maniera equilibrata e trasparente queste nuove forme di consumo sia possibile ampliare l'offerta e, quindi, creare maggiori opportunità per i cittadini e per i consumatori. Importante sarebbe, allo stesso tempo, cogliere questa occasione per rivedere le norme cui oggi sono soggetti gli operatori tradizionali dei settori coinvolti per attuare una semplificazione laddove si individuino necessità di adeguamento ai tempi, alle nuove tecnologie e laddove si sia in presenza di regole obsolete e anacronistiche. Quindi, occorre: non complicare questo nuovo ambito, ma, piuttosto, semplificare gli ambiti tradizionali, cogliere le opportunità dell'economia della condivisione, in questo caso dell’home restaurant senza ostacolarne lo sviluppo e contestualmente abbattere i rischi e le distorsioni che potrebbero generarsi da una totale assenza di regole. Proprio qui sta la sfida complessa e allo stesso tempo entusiasmante cui il legislatore si trova di fronte: regolare senza soffocare, come ha affermato anche la Commissione europea nelle proprie comunicazioni sulla sharing economy nel mese di giugno 2016. La legge in discussione si muove in questo solco e credo, anche grazie al lavoro importante svolto in Commissione, sia un tentativo importante per contemperare tutte le esigenze, avendo come obiettivo l'interesse collettivo, considerato che è la prima volta che si cerca di trovare una soluzione concreta ai problemi complessi cui le nuove forme di economia, anche a causa dell'uso sempre più intenso delle piattaforme digitali, ci pongono di fronte. Ci sono tuttavia dei punti che vanno migliorati in questo testo e ne parlerò tra poco.
Da questo punto di vista probabilmente sarebbe stato più lineare procedere in prima battuta con la definizione delle regole trasversali ai diversi settori, cioè con la legge quadro sulla sharing economy, per fissare le soluzioni alle principali questioni, tra cui la parte relativa alle definizioni, ai rapporti tra i soggetti in campo e alla parte fiscale, per poi procedere con le diverse norme verticali di settore, tra cui appunto quella dell’home restaurant. Nonostante ci troviamo oggi a discutere, prima, questa norma di settore, attraverso un proficuo e approfondito lavoro in Commissione, essa può considerarsi in gran parte omogenea e conforme alla norma quadro nella parte definitoria e nell'impostazione. Mantengo, invece, dei dubbi riguardo la parte fiscale che nella legge oggi al nostro esame limita l'attività di home restaurant attraverso la soglia di proventi fissata dall'articolo 4 che va ad accavallarsi con la soglia già prevista sul numero di coperti; un punto che confido possa essere migliorato attraverso i lavori d'Aula. In ogni caso sicuramente l'aspetto fiscale sarà affrontato più compiutamente nella norma quadro e, quindi, potrà anche vedere questa parte migliorata ed omologata in seguito.
Un importante passo avanti che, oggi, invece, possiamo evidenziare è quello inerente la parte definitoria, attraverso l'introduzione della figura dell'utente operatore cuoco. Chi è l'utente operatore cuoco e perché lo fa ? Non si tratta di un professionista della ristorazione, ma di un cittadino che vuole mettersi in gioco attraverso la propria abilità in cucina – possiamo dire: un cuoco amatoriale –, condividendo l'esperienza con altre persone, un hobby che lo porta anche, talvolta, ad arrotondare i propri redditi e integrare le proprie entrate mensili. Questo soggetto è, sì, un utente e, quindi, un consumatore, perché opera attraverso la piattaforma digitale che è il vero soggetto economico ed è anche un operatore, ovvero fornitore del servizio, in quanto organizza l'evento e cucina. Oggi, in assenza di norme specifiche, tutte le responsabilità ed i rischi connessi allo svolgimento dell'attività in questione sono in capo all'utente operatore cuoco che, però, non svolgendo questa attività come prevalente o a livello professionale, ma semplicemente amatoriale, non è detto che sia dotato dell'adeguata struttura per farsi carico di tutti gli adempimenti e delle garanzie necessarie per tutelare chi usufruisce del servizio. Per questo abbiamo deciso di Pag. 24limitare il più possibile le incombenze in capo all'utente operatore cuoco e porre maggiori responsabilità in capo al soggetto economico strutturato, ovvero il gestore della piattaforma digitale. In questo modo è più facile favorire la partecipazione degli utenti alle piattaforme in quanto più sicuri dal punto di vista del rispetto delle regole e, dunque, meno a rischio di incorrere in sanzioni o addirittura in illeciti e allo stesso tempo è possibile fornire maggiori garanzie a tutti i consumatori. A proposito di favorire la partecipazione, un altro elemento su cui potremmo ragionare nei lavori di Assemblea è quello legato all'utente operatore cuoco che vuole provare a sperimentare l'attività e che potrebbe essere scoraggiato se messo subito di fronte a numerosi adempimenti burocratici anche onerosi. In ogni caso, credo che questa chiarezza normativa sia un fattore positivo anche per il gestore della piattaforma digitale che può, finalmente, muoversi con maggior sicurezza, abbattendo notevolmente i rischi generati dall'assenza di un riferimento normativo specifico. Certo, non bisogna complicare la vita a chi vuole intraprendere; spesso siamo di fronte a start-up innovative, per lo più ideate e gestite da giovani; in particolare nel campo dell’home restaurant tante sono italiane in quanto l'enogastronomia e la tradizione culinaria fanno parte del DNA del nostro Paese e, quindi, trovano terreno fertile anche nella domanda. Per esempio, da questo punto di vista, credo siano possibili degli ulteriori miglioramenti nei lavori d'Aula per andare a snellire le procedure in capo agli utenti e ai gestori delle piattaforme e renderle più semplici, soprattutto laddove possono essere svolte per via telematica con semplice comunicazione.
Un altro aspetto su cui faccio una riflessione è quello che l'articolo 5, comma 3, prevede, ovvero che chi svolge attività turistico-ricettiva in modo occasionale non possa svolgere home restaurant, impedendo, per come è formulato, che uno stesso cittadino possa sperimentare attività di sharing economy diverse; forse serve un approfondimento per evitare, poi, appunto, di entrare in contrapposizione con la norma sulla sharing economy che stiamo discutendo.
Per concludere, questa prima approvazione della legge sull’home restaurant resta un passo importante che ci ha permesso di cominciare a discutere ed affrontare un tema seppure in maniera parziale e su un singolo settore che è quello di come cambiano i modelli di consumo e le forme di lavoro e di impresa, anche a causa della digitalizzazione e delle nuove tecnologie.
Credo che questa sarà una delle sfide più grandi e decisive cui la politica dovrà dare risposte nei prossimi mesi. Il cambiamento non può essere arrestato o impedito, ma abbiamo il dovere di approfondire i fenomeni per conoscerli, comprenderli ed orientarli affinché diventino un'occasione di crescita per la collettività e non un motivo di scontro o di esclusione. Spesso sono gli enti locali che si trovano a dover gestire le conseguenze di questi conflitti e provano a gestirle sui territori con i mezzi che hanno a disposizione, ma che, a volte, non sono sufficienti. Faccio un esempio: recentemente, la Corte costituzionale ha bocciato la normativa della regione Piemonte che era intervenuta sulla materia dei servizi di trasporto basati sulle piattaforme informatiche di sharing economy, dichiarando che si trattava di materia relativa alla concorrenza e che le norme in materia di concorrenza sono di esclusiva competenza dello Stato. Auspicava, quindi, una legislazione nazionale sulla materia. Un'ulteriore conferma dell'urgenza di approvare una norma nazionale che vada a fornire una cornice per quanto riguarda la sharing economy, una proposta che è già al vaglio delle Commissioni qui alla Camera e che può dimostrare che la politica è in grado di dare delle risposte e non attendere le sentenze.
Mi auguro che, dopo questo primo passo importante sull’home restaurant, si possa procedere velocemente anche con l'approvazione della legge quadro sulla sharing economy. Se lo faremmo, potremmo essere i primi in Europa a portare un contributo fattivo ad un dibattito – quello sull'innovazione dei modelli di consumo Pag. 25e d'impresa – che rappresenta nel campo delle politiche industriali e del lavoro una delle più grandi sfide del nostro tempo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche – A.C. 3258-A ed abbinate)
PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore ed il rappresentante del Governo, onorevole Amici, si riservano di replicare.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della mozione Fedriga ed altri n. 1-01231 concernente iniziative in materia di gestione dei flussi migratori, anche alla luce di recenti circolari del Ministero dell'interno (ore 16,45).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Fedriga ed altri n. 1-01231 concernente iniziative in materia di gestione dei flussi migratori, anche alla luce di recenti circolari del Ministero dell'interno (Vedi l'allegato A – Mozione).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
Avverto che sono state presentate le mozioni Palazzotto ed altri n. 1-01465, Altieri ed altri n. 1-01466 e Andrea Maestri ed altri n. 1-01467 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Simonetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01231, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
ROBERTO SIMONETTI. Grazie, Presidente. Lei, nella descrizione di questa mozione, ha giustamente letto il titolo che concerne nuove circolari emanate dal Ministero dell'interno, però parliamo dell'aprile dell'anno scorso, perché questa mozione fu presentata il 20 aprile dell'anno scorso e, pertanto, un po’ un'evoluzione c’è stata, da nove mesi a questa parte. Quindi, noi ringraziamo il Parlamento che vuole, dopo nove mesi, discutere in Aula di una problematica che è diventata di fatto mondiale, ma le tempistiche sono queste: sono quelle, appunto, di un ritardo cronico, che ha portato un'evoluzione e un'espansione incredibile sui territori – e l'esasperazione dei territori – di questa che non è più un'immigrazione, ma è, di fatto, un'invasione.
Ma cosa diceva quella circolare emanata dal Ministero dell'interno, nel periodo storico e politico in cui avevamo un Ministro dell'interno e un Presidente del Consiglio che dicevano che tutto andava bene ? Tra l'altro, non sono neanche più in quei ruoli: il Presidente del Consiglio, adesso, è al partito a metterlo a posto e a sistemarlo e il Ministro dell'interno non è più il Ministro Alfano. Quando proprio loro dicevano che tutto andava bene e che non c'era alcun tipo di problema, il prefetto Morcone mandava una circolare a tutti i prefetti del Paese, dicendo che la situazione del 2016 – eravamo all'inizio del 2016, perché eravamo solo al quarto mese del 2016 – avrebbe visto un incremento dell'80 per cento rispetto all'anno 2015 e, quindi, si sarebbe creata una situazione che «indurrebbe una preoccupazione in vista della stagione estiva e rende necessaria una diffusa organizzazione che riesca a far fronte» – leggo testualmente – «all'accoglienza, in un quadro che, peraltro, è attraversato anche dal vivace dibattito politico».
Una circolare che diceva che c'era la necessità di avere delle intese bilaterali fra Pag. 26il Governo italiano e alcuni Paesi terzi, appunto, di provenienza di questa immigrazione, in modo tale da rendere, poi, tra l'altro, condivisa questa accoglienza con i territori, con le esperienze comunali e territoriali. La circolare diceva, sostanzialmente, che o si utilizzavano gli spazi del Ministero della difesa – quindi, caserme dismesse –, oppure, comunque, «tutti quelli che potranno essere reperiti sul territorio provinciale».
Io ricordo che durante una risposta ad un question time, il Ministro Alfano, proprio da quei banchi, disse che qualora non ci fossero state iniziative dirette da parte o dei privati, attraverso la partecipazione ai bandi delle prefetture con l'organizzazione dei CAS, dei centri di accoglienza straordinaria, o i comuni non avessero attivato gli SPRAR, il prefetto aveva titolo di sequestrare gli immobili sfitti. Quindi, faceva uno più uno: il prefetto Morcone diceva che c'era la necessità di rendere reperibili su tutto il territorio nazionale tutti i fabbricati che si potevano utilizzare e il Ministro, in Aula, diceva, e dava man forte a quel perfetto, che aveva reperito, di fatto, tra virgolette, con la forza, con un obbligo burocratico, quell'albergo che non era in utilizzo.
Guardate che la Lega non è razzista, come, purtroppo, non ci ha dato ragione il tribunale in questi giorni ad una querela che noi abbiamo rivolto all'ex Ministro Kyenge. La Lega non è razzista, dice sostanzialmente che non vuole i clandestini: vuole i rifugiati, vuole tutti quelli che scappano da una guerra, ma non vuole chi scappa per crearsi un futuro migliore in maniera illegale. Noi non vogliamo i clandestini sul nostro territorio, ecco perché noi facciamo una grande battaglia, anche identitaria e di difesa dei confini, che, tra l'altro, spetterebbe più al Governo rispetto ad una forza di minoranza: perché l'unico Paese al mondo che usa le proprie navi e la propria forza militare per farsi invadere, è proprio questo Paese governato dal centrosinistra.
E ci pare particolare anche, così come ho ricordato prima, che questa mozione venga ad essere discussa proprio quando non è più Ministro Alfano. C’è qualcosa che lega gli articoli sul giornale, come il Fatto Quotidiano ha evidenziato, in cui si dice che il business dei centri d'accoglienza è nelle mani del Nuovo Centrodestra e, pertanto, il Ministro è stato spostato altrove proprio perché stanno iniziando a venire fuori determinati legami fra l'accoglienza e la gestione dell'accoglienza, che fa affari più o meno leciti, e l'operazione politica del Ministro ?
Non lo so. Io dico soltanto che quando era Ministro Alfano, la mozione non si è discussa; nel momento in cui escono queste notizie e il Ministro è stato spostato altrove, la mozione viene discussa e il nuovo Ministro Minniti attua quelle che sono le richieste che noi proponiamo al Parlamento e al Paese da almeno dieci anni, che, tra l'altro, in parte, erano anche state attuate quando il Ministro era Maroni: quelle, cioè, di realizzare i CIE, i centri di identificazione ed espulsione; mettere i soldi per il fondo rimpatri; utilizzare, quindi, le forze dell'ordine non per farci invadere, ma per espellere.
Tutto questo è un sistema che noi abbiamo attuato quando eravamo al Governo, abbiamo richiesto da quando siamo in minoranza e da quando Alfano non è più Ministro. Fortunatamente, non è più Ministro dell'interno, poi, vedremo quando non farà neanche più il Ministro degli affari esteri: tra l'altro, il presidente capogruppo Fedriga ha annunciato che il gruppo provvederà a produrre una mozione di sfiducia singola per il Ministro Alfano proprio per questi articoli che ho citato prima.
Il periodo che va dal 2008 al 2010 vedeva gli sbarchi pari a circa 37 mila unità nel 2008 con il Governo Prodi, 9.500 con il Governo Maroni l'anno successivo, 4 mila nel 2010: quindi, una discesa sostanziale quando il Governo si oppone, quando il Governo è presente, quando il Governo fa vedere a tutti quei Paesi del Centro Africa e, soprattutto, del Nord Africa, che qui «non c’è trippa per gatti», che qui non c’è nessuno scafista che tenga, che non c’è nessun centro di accoglienza che vuole fare business, che non c’è nessuna associazione Pag. 27che è più o meno caritatevole che vuole fare business con loro. Quando questo è il messaggio, si evitano gli sbarchi.
Quindi, invito il Governo, fra le altre cose, oltre che a fare un accordo con i Paesi del Nord Africa riguardo ai rimpatri, a riuscire a fare degli accordi affinché, con riferimento agli hotspot – i centri di richiesta di asilo, di richiesta di avere la qualità di rifugiato –, tutte le richieste vengano fatte là, prima che partano: perché una volta che sono arrivati qui è difficile gestire l'invasione, è difficile gestire tutte le richieste e produrre, quindi, un forte, pertinente e molto intenso rimpatrio.
Questo perché quando i numeri sono esageratamente alti, diventa difficile gestirli, perché, se dal 2013 gli sbarchi erano pari a 43 mila unità, nel 2015 sono stati 153 mila e nel 2016 181 mila, significa che non sono profughi quelli che arrivano sul nostro territorio, ma sono clandestini, sono clandestini e come tali devono essere trattati, perché la legge ne prevede l'espulsione.
E addirittura noi vorremmo che il reato di immigrazione clandestina fosse ripristinato, in modo tale da non lasciare nessun dubbio a coloro che vogliono illegalmente accedere al nostro Paese.
Tra l'altro, lo status di rifugiato è passato dal 15 per cento del 2010 al 5 per cento del 2016, proprio perché il grande numero di arrivi non è fatto di richiedenti asilo, ma è fatto di migranti economici, che nulla hanno a che vedere né con la protezione sussidiaria né tanto meno con la protezione umanitaria, che invito il Governo a cancellare, anche questa, dall'elenco delle leggi nazionali, proprio perché è l'unico Stato europeo che prevede questo nuovo status di «rifugiati» di terzo livello, quello della protezione umanitaria, che tra l'altro consente, per certe categorie, addirittura anche il ricongiungimento familiare, con l'amplificazione, appunto, delle presenze, quindi a valle del rilascio del permesso di soggiorno per protezione umanitaria, di ingressi.
Quando Maroni era Ministro, la rete d'accoglienza era effettiva e mirata; poi successivamente, nel 2015, è stata allargata attraverso la realizzazione dei CAS nel 2015 con il decreto legislativo n. 142 e sono state poi tutte gestite, queste operazioni di accoglienza, dalle cooperative, come dicevo prima, più o meno caritatevoli.
Quindi, tenete presente che con 35 euro al giorno per 365 giorni all'anno ogni 100 immigrati, il volume appunto dell'incasso dell'associazione caritatevole è più di un milione di euro.
Sono cifre da capogiro, il Paese spende più di 3 miliardi, suoi soldi per la gestione dell'immigrazione e, a fronte di tutto questo, abbiamo la povertà dei nostri concittadini che aumenta: abbiamo più di 2 milioni di poveri.
E poi sarebbe anche interessante capire – c'entra anche questo, ai margini del dibattito – perché questo Parlamento e, soprattutto, questa maggioranza, non ha licenziato al Senato il disegno di legge sulla povertà, che stanziava 500 milioni per il 2015, un miliardo per il 2016, un miliardo per il 2017 legato al tema della povertà dei nostri concittadini, cosa che è giustamente, secondo me, insufficiente, ma comunque un primo passo.
Noi abbiamo fatto una battaglia sul nostro territorio, al Senato questa maggioranza ha affossato questo provvedimento, che dava dei sussidi ai nostri concittadini.
Ecco, quindi, che noi chiediamo sostanzialmente poche cose, ma chiare: basta sbarchi, punto uno. Basta sbarchi e, per far questo, bisogna far dagli accordi per i respingimenti di chi arriva. Ma non bisogna farli partire, quindi le domande di asilo devono essere fatte nel Nordafrica: chi viene qua deve essere inserito all'interno di un circuito dei CIE, dei centri di identificazione e di espulsione, non dei centri dove ognuno fa quello che vuole e, di fatto, può oggi girare per le strade o addirittura non farsi identificare.
Una mano forte e ferrea, un pugno molto potente è quello che deve avere lo Stato nei confronti della lotta alla schiavitù e a tutti i processi appunto di invito e di scafismo che si annidino all'interno di Pag. 28questa gestione molto vasta dell'immigrazione clandestina e ovviamente fare degli accordi con le regioni; questi CIE devono essere fatti uno per regione, in accordo con le regioni, produrre una grande forza di identificazione, rimettere i soldi nel fondo espulsioni ed evitare questa accoglienza pelosa, che non fa altro che creare delle sacche di delinquenza e delle sacche di sicurezza che difficilmente saranno gestibili.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palese, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01466, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
ROCCO PALESE. Grazie, signor Presidente; nell'ultimo anno l'ondata migratoria non solo non ha conosciuto soste, ma addirittura è esplosivamente aumentata: secondo i dati resi noti ad inizio 2017 da Frontex, l'Agenzia europea della Guardia di frontiera costiera, nel 2016 il numero di migranti arrivati in Europa attraverso la rotta centromediterranea che riguarda l'Italia e, in misura minore, Malta è cresciuto di circa il 20 per cento rispetto all'anno precedente, facendo registrare un totale di 181.000 sbarchi.
Tale considerevole incremento riflette una pressione migratoria proveniente dal versante occidentale del continente africano, in particolare da Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d'Avorio e Gambia.
Dal 2010 l'Italia ha visto decuplicare il numero di arrivi dall'Africa occidentale: nel 2016 sono arrivate in Italia via mare 181.405 persone rispetto alle 153.842 del 2015 e alle 170.100 del 2014 (i dati sono del Viminale).
La gran parte di questi sbarchi avviene in Sicilia (70 per cento), ma ci sono arrivi via mare anche in Calabria (17 per cento), Puglia (7,5 per cento) e Sardegna (4 per cento).
Particolarmente significativo risulta il raddoppio, nell'ultimo anno, del numero dei minori stranieri non accompagnati sbarcati lungo le coste del Paese, passato da 12.360 nel 2015 a 25.846 nel 2016, cui va aggiunto il numero, anch'esso in costante crescita, dei minori che arrivano attraverso i valichi alpini, in particolare dal Friuli-Venezia Giulia.
Contestualmente, come affermato dal direttore di Frontex, gli Stati europei disperdono solo il 43 per cento dei migranti cui non è stato riconosciuto asilo.
Alla luce di tutto ciò, va registrato sicuramente, signor Presidente, il sostanziale fallimento del piano Junker di ricollocamento di migliaia di profughi da Grecia e Italia, deciso nel 2015 e boicottato da parte dei Paesi del cosiddetto gruppo Visegrád (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) e che ha portato a meno di 10.000 ricollocati (dati aggiornati al 1o dicembre 2016).
Secondo i conservatori e riformisti, il modello fin qui seguito nella gestione dei flussi migratori va ripensato, mettendo in atto un intervento a tutto campo basato su quelle esperienze che nel mondo hanno dato risultati positivi e centrato alcuni punti fissi.
Per questo motivo, noi riteniamo e chiederemo l'impegno da parte del Governo a mettere in atto misure di contrasto all'illegalità e alla migrazione irregolare, nel medio e lungo termine, con regole certe, che vedano l'avvio di un nuovo sistema basato su quei modelli che nel mondo hanno dato prova di efficacia, come quello canadese e quello australiano; ad intensificare la stipula dei necessari accordi internazionali con i Paesi di partenza degli immigrati (Libia, Nigeria, Eritrea ed altri), al fine di facilitare e velocizzare i rimpatri dei migranti non in possesso dei requisiti necessari per usufruire delle forme di protezione internazionale e a promuovere accordi bilaterali, volti ad agevolare il trasferimento dei detenuti stranieri nei Paesi d'origine; a verificare la possibilità di stipulare accordi con i Paesi di provenienza dei migranti per allestire in loco centri di accoglienza dove lo straniero che tenti di entrare in Italia via mare, se intercettato, potrà soggiornare fino alla definizione delle pratiche per l'eventuale ingresso legale nel nostro Paese; a intensificare gli sforzi diplomatici con i partner europei, con il Governo libico Pag. 29e con le Nazioni Unite, anche rispetto alla situazione della posizione di membro non permanente nel Consiglio di sicurezza, al fine di portare alla cosiddetta fase 3, a dotare le Forze dell'ordine e gli apparati di sicurezza di mezzi e risorse necessari al fine di meglio condurre quell'attività di intelligence volta a prevenire infiltrazioni terroristiche e a fronteggiare fenomeni di proselitismo jihadista; ad agire, infine, in sede comunitaria per la stipula di accordi economici fra l'Unione europea e i Paesi di origine e transito dei migranti, incrementando le politiche di cooperazione, perché, ad avviso dei Conservatori e riformisti questi punti sono essenziali e in altre parti del mondo hanno dato risultati positivi.
Dovremo senza dubbio cambiare completamente sistema, perché riuscire a governare questo grande problema dei flussi migratori in altre parti è stato possibile e io ritengo che anche nel nostro Paese possa essere possibile, se si seguono queste indicazioni.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Maestri, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01467. Ne ha facoltà.
ANDREA MAESTRI. Signor Presidente e onorevoli colleghi, con questa mozione Alternativa Libera Possibile indica al Parlamento e al Governo una strada rigorosa e seria, per dare una cornice di legittimità e di efficacia al sistema di accoglienza italiano per migranti e richiedenti protezione internazionale, una strada radicalmente alternativa a quella indicata dalla mozione leghista e da quelle affini, ma parimenti critica nei confronti della strada indicata dal Governo.
Oggi il sistema dell'accoglienza vede 137.000 persone ospitate, trattenute, ristrette in strutture temporanee, emergenziali e solo 23.800 persone ospitate nella rete SPRAR, che consente invece un'accoglienza diffusa, sostenibile, più attenta al rispetto della dignità e dei diritti umani fondamentali.
Nonostante i toni allarmistici e le sparate demagogiche di chi strumentalizza il fenomeno migratorio, l'Italia accoglie appena il 7 per cento dei richiedenti asilo che fanno ingresso in Europa, contro il 35 per cento della Germania. E per non rimanere indietro nella corsa elettorale al consenso prêt-à-porter, anche il Governo annuncia di voler riformare in senso restrittivo le norme sul diritto di asilo, con una visione miope, strumentale e rozza.
Serve invece rompere gli indugi e mettere subito in campo un modello costruttivo e una gestione intelligente, efficace, lungimirante. Non conviene a nessuno trasformare i migranti in irregolari. E in un'epoca di guerre, tensioni internazionali, crisi economiche, drammatici eventi climatici, crisi umanitarie di diversa origine ed intensità, è sempre più evidente l'artificialità e l'opinabilità della summa divisio tra richiedenti asilo e migranti economici; una divisione artificiale tutta politica e giuridica. Ci preoccupa, in particolare, la condizione dei minori stranieri non accompagnati. Proprio il 13 gennaio, la Corte europea dei diritti umani, su ricorso di alcuni minori illegittimamente trattenuti e non segnalati nel centro di Cona, in Veneto – un vero e proprio campo di concentramento che ospita 1.400 migranti in condizioni disumane – ha chiesto allo Stato italiano di chiarire quali sono la condizione dei minori ivi trattenuti e quali misure di protezione siano state adottate, compreso il loro trasferimento in centri rispettosi degli standard di tutela previsti dalle norme interne ed internazionali a protezione dei minori. Il Governo italiano dovrà rispondere entro il 19 gennaio: Possibile vigilerà !
Dobbiamo evitare di costruire nel nostro Paese banlieue giuridiche, periferie dove vige una sorta di diritto speciale, di diritto minore riservato agli stranieri. Radicalizzazione, ostilità e frustrazione trovano terreno fertile nei diritti dimezzati, nei diritti negati, nel rifiuto dell'accoglienza e di una buona integrazione. Ci opporremo con ogni mezzo alla volontà manifestata dai Ministri Orlando e Minniti di eliminare il grado di appello nei procedimenti giudiziari di impugnazione dei dinieghi di riconoscimento dello status di Pag. 30rifugiato. Si tratterebbe di un atto gravemente discriminatorio ed incostituzionale, una vera e propria apartheid giuridica. Piuttosto, il Governo dovrebbe percorrere l'autostrada che ha davanti a sé, cioè la possibilità di riformare con serietà e rigore il sistema dell'accoglienza con un decreto integrativo e correttivo del decreto legislativo n. 142 del 2015. C’è una delega aperta fino a settembre 2017, usiamola; non ci sono più alibi né scorciatoie, solo l'urgenza di una riforma rigorosa e radicale delle norme in materia di asilo, di accoglienza, di rimpatri. C’è da abolire il cosiddetto reato di clandestinità, che lo stesso Presidente della Corte di cassazione ha definito inutile e dannoso. C’è da riformare radicalmente il testo unico, da approvare la legge sulla cittadinanza, ancora parcheggiata in Senato. C’è da rimuovere la riserva alla ratifica della Convenzione di Strasburgo del 1992 sull'elettorato attivo e passivo alle elezioni amministrative per i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti da almeno cinque anni. C’è, insomma, tanto buon lavoro politico da fare. Temo, però, che a questo Governo e alla sua maggioranza manchino il coraggio e la visione per andare oltre la dimensione delle furbizie mediatiche e delle scorciatoie demagogiche, rincorrendo tardivamente la Lega. Ricordo che un'alternativa è sempre possibile.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giuseppe Guerini. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE GUERINI. Presidente, onorevole sottosegretario Amici, la presentazione di questa serie di mozioni – peraltro annuncio incidentalmente che anche il mio gruppo avrà l'opportunità di depositare nelle prossime ore appunto una mozione – ci consente di fare un ragionamento più complessivo sul tema ed il fenomeno dell'immigrazione, prendendo appunto le mosse dalle richieste delle diverse mozioni che qui sono state illustrate da chi mi ha preceduto. Quindi, vorrei attenermi specificamente e ancorarmi a una serie di dati oggettivi per liberare il campo da tante inesattezze o strumentalizzazioni che sono state in qualche modo propagandate, però credo che sia d'obbligo previamente esplicitare una sorta di premessa metodologica.
Infatti, rispetto le tesi e l'opinione di tutti, però mi spiace e mi duole che non ci sia la presenza del rappresentante della Lega, in quest'Aula, perché, pur nel rispetto delle legittime opinioni di tutti, credo non sia accettabile sentirsi fare lezioni rispetto all'abolizione del reato di immigrazione clandestina – introdotto dal Governo di centrodestra e ahimè non ancora abolito, ma mi auguro che venga dato corso a quanto anche affermato in questi giorni dal Ministro dell'Interno Minniti –, che è risultata essere una fattispecie completamente inutile che non solo non ha avuto nessun tipo di effetto repressivo, ma ha intasato ulteriormente i nostri tribunali, e di cui è stata richiesta l'abolizione da parte di chiunque. Veniva ricordato prima il Presidente della Cassazione, io voglio ricordare il presidente dell'Autorità nazionale antimafia e della Procura nazionale antimafia, perché oltre a essere un provvedimento completamente inutile, una misura completamente inutile, al di là della sua discutibilità dal punto di vista del diritto, ha anche finito per danneggiare le operazioni di rimpatrio dei cittadini irregolari e, soprattutto, ha anche finito per rendere più complicate le indagini a carico degli scafisti, perché le persone che vengono in Italia irregolarmente, ove vengano considerate imputate di un qualche reato, hanno una serie di facoltà anche rispetto all'identificazione di chi è lo scafista, quindi possono sottrarsi alla testimonianza in quanto imputati di reato connesso. Non voglio scendere in particolari eccessivamente tediosi, ma quello che mi preme sottolineare è che è davvero curioso che il rappresentante della Lega Nord venga in quest'Aula a rivendicare il fatto che è stato abolito un reato che non è stato abolito ma che dovrebbe essere abolito a brevissimo, perché oltre ad essere completamente inutile è risultato anche dannoso.
La stessa cosa riguardo al fatto che, secondo la mozione della Lega, noi andremmo Pag. 31con le navi a prendere gli irregolari: vorrei solo ricordare che questo Paese ha subito una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo, nel 2012 – rispetto a fatti avvenuti quando il Presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi e Ministro dell'interno Roberto Maroni –, per respingimento illegale. Quindi, venire a sentire lezioni di come si dovrebbero fare i respingimenti – che per fortuna sono illegali – da parte di forze politiche che hanno subito condanne in sede europea, e quindi, oltre alla brutta figura, hanno anche fatto spendere dei soldi in sanzioni al nostro Paese proprio perché avevano tentato di fare dei respingimenti collettivi che sono stati immediatamente colpiti e sanzionati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, appare anche qui abbastanza curioso. Così come il richiamo al permesso di soggiorno per motivi umanitari, che – curiosissimo ! – fu fatto dalla forza politica che esprimeva il Ministro dell'interno, il quale, durante le Primavere arabe del 2011, conferì a tutti i tunisini un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Capisco che ci siano esigenze elettorali e propagandistiche, però, quanto meno, bisognerebbe avere l'accortezza e la decenza di ancorarsi a dati di realtà, perché poi le opinioni sono tutte legittime, i fatti, invece, hanno una qualche oggettività in più.
Chiusa questa premessa su interventi di chi mi ha preceduto, omettendo di citare una serie di altre storture e manchevolezze sulla risposta che è stata data dai Governi precedenti a questo tema, voglio solo ricordare che ormai è quasi d'uopo – è diventato uno stereotipo – iniziare ogni dibattito sull'immigrazione dicendo che quest'ultima è fenomeno ormai strutturale e non più emergenziale – cosa che è assolutamente vera – a partire dalle Primavere arabe del 2011 – che citavo poco fa –, quindi ancora più grave è stata l'inerzia e l'inettitudine di Governi che al tempo non hanno minimamente pensato di procedere a dare una risposta strutturale ma si sono limitati ad arrabattare una qualche risposta a metà strada fra il propagandistico e l'illegale, come ricordavo prima: ogni riferimento al Ministro dell'interno Roberto Maroni non è casuale. Quindi, essendo un fenomeno che è diventato assolutamente strutturale – ripeto che è diventato ormai quasi uno stereotipo fare questa affermazione –, credo che questa sia un'affermazione che dice parte del vero ma non racconta poi del tutto la situazione, per come si è venuta a creare.
È vero che ormai i fenomeni sono ripetuti e costanti e, ahimè, alimentati da guerre civili, guerre, carestie e da situazioni intollerabili nel Corno d'Africa, nell'Africa subsahariana e nel Medioriente, è vero anche, però, che in questi ultimi due, tre anni specificamente il nostro Paese è stato meta di un flusso migratorio davvero imponente, e qui mi rifaccio al puro dato che veniva prima ricordato e che è stato fornito in bozza alla Commissione parlamentare d'inchiesta sui CIE, di cui faccio parte: risulta che nel 2016 abbiamo avuto un numero di sbarchi, di persone giunte sulle nostre coste, pari a 181.400 persone, con un incremento del 6,70 per cento rispetto al 2014, ma addirittura del 18 per cento rispetto all'anno 2015.
Peraltro, i minori stranieri erano 13 mila nel 2014, 12 mila nel 2015 e sono più che raddoppiati l'anno scorso, arrivando alla considerevolissima cifra di 25.700 persone. En passant mi auguro che l'altro ramo del Parlamento provveda molto rapidamente all'approvazione definitiva della legge a prima firma dell'onorevole Sandra Zampa, che ridisegna la disciplina per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, che al momento si rifà ancora alla legge n. 328 del 2000. Quindi, credo che sia davvero doveroso riuscire a portare a compimento e all'approvazione definitiva un provvedimento di questa importanza.
Ovviamente, in parallelo all'aumento esponenziale degli arrivi e degli sbarchi, si è verificato anche un aumento delle istanze di protezione internazionale: i dati di settembre 2016, rispetto a settembre 2015, prevedono addirittura un aumento del 43 per cento. Questo significa che, ovviamente, il sistema è stato sottoposto a uno stress notevole. Anche per rispondere Pag. 32ad interventi di illustrazione di mozioni di chi mi ha preceduto, direi che appare quanto meno ingeneroso dire che in questi anni il Governo non sia pesantemente e radicalmente intervenuto in questa materia, a partire dal decreto legislativo n. 142 del 2015, che di fatto ha recepito nel nostro ordinamento delle direttive relative all'accoglienza e alle procedure, e, poi, con una serie di altre misure, che, magari, non hanno ottenuto le prime pagine dei giornali e non hanno fatto clamore, ma credo che abbiano consentito a questo Paese di reggere un urto così imponente in maniera non emergenziale, come siamo stati abituati a fare fino al 2011, ma nel tentativo di gestire il fenomeno con gli strumenti ordinari che i vari livelli dello Stato hanno a disposizione.
Mi riferisco al fatto che sono state più che raddoppiate le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Nonostante tutti gli indicatori, tutti gli indici e il contesto internazionale facessero supporre un aumento notevole e una pressione migratoria fortissima, non si era mai posto mano a questo importantissimo presidio: in questa legislatura sono state più che raddoppiate. Mi permetto un piccolo inciso, anche rispetto alle ipotesi, che sono circolate, di modifica e di velocizzazione delle procedure. Ho sentito che si starebbe introducendo una sorta di apartheid qualora venisse, in qualche modo, eliminata la possibilità del grado d'appello. Direi di andare un po’ più cauti e più prudenti quando si usano certe affermazioni. Basterebbe studiare la modalità con cui questo Paese riconosce la protezione internazionale e metterla a confronto e compararla con le modalità con cui altri Paesi riconoscono la protezione internazionale per rendersi conto che sostanzialmente in Italia già il grado iniziale, quello innanzi alle commissioni, è un grado paragiurisdizionale. Quindi, credo davvero che sia quantomeno ingeneroso sostenere la tesi che in questo Paese ci sarebbe un denegato accoglimento di tutti gli standard migliori, costituzionalmente previsti, a livello sia nazionale che europeo, per la garanzia e la tutela del diritto ad avere il riconoscimento effettivo del proprio status di rifugiato, o comunque alla propria situazione di protezione internazionale. Un po’ di cautela credo che sarebbe consigliabile.
Detto questo, a fianco di questo provvedimento, quindi del raddoppio delle commissioni, ricordo l'importantissima decisione della Conferenza unificata del 10 luglio 2014, nella quale si è stabilita la ripartizione pro quota, presso ogni regione italiana, dei flussi dei migranti che sbarcavano sulle nostre coste. Anche in questo caso è curioso che non venga mai ricordato che questo accordo, fatto a Roma, è stato sottoscritto anche da regioni governate non sicuramente dal mio partito, per esempio Lombardia e Veneto. È curioso che venga sottoscritto questo accordo in sede di Conferenza unificata, poi, una volta tornati sui territori, lo si impugni o si cerchi in qualche modo di disconoscerlo. Ci si è assunti delle responsabilità e non capisco per quale motivo si debba poi tornare nei propri territori e urlare all'invasione, laddove è stato sottoscritto dai presidenti delle regioni Veneto e Lombardia che la Lombardia dovesse avere il 14 per cento del carico di migranti giunti sulle coste italiane e il Veneto il 7-8 per cento. Sono accordi presi esattamente, specificamente ed esplicitamente, poi, per ragioni che sono facilmente comprensibili, c’è il gioco di tornarsene nei propri territori e disconoscerli e fare finta che, invece, sia lo Stato centrale, perfido e cattivo, che vuole che i nostri territori vengano invasivi dai profughi. Fa molto comodo, fa guadagnare qualche decimale di voto in più, ma non depone certo a favore della serietà di chi sostiene queste tesi.
Peraltro, anche in questo caso, mi duole di nuovo che non ci sia il rappresentante della Lega Nord, perché mi sarebbe piaciuto porgli un quesito. Rispetto a una situazione che vede, in questo momento, la presenza di 170 mila profughi ho sentito ancora, anche oggi, parlare di invasione da parte di un movimento che, quando stava al Governo, fece una serie di sanatorie, una delle quali mise in Pag. 33regola 300 mila persone (dovessi definirle come la Lega Nord dovrei dire «300 mila clandestini»). Quindi, se c’è un'invasione in questo momento, con 170 mila persone, immagino cosa voglia dire metterne in regola 300 mila. Lo chiederò, appena possibile, a qualche collega della Lega Nord, visto che qualcuno di coloro che siedono in quei banchi fu anche sottoscrittore e votò a favore della sanatoria a cui sto facendo riferimento in questo momento.
Ma torniamo a quello che ha fatto questo Paese per affrontare questa situazione di particolare imponenza e numerosità degli arrivi presso le nostre coste. Stavamo parlando dell'accordo in Conferenza unificata. È da ritenere altrettanto valido e positivo – a mio modestissimo parere, ancor più positivo – anche il piano nazionale di riparto, che è stato annunciato dal Ministero, in accordo e collaborazione con ANCI, laddove si stabilisce il principio della proporzionalità dell'accoglienza e viene fissato questo famoso tetto e il criterio dei 2,5 posti di accoglienza ogni mille residenti, anche in questo caso nell'ottica di una diffusione degli arrivi di profughi, richiedenti protezione internazionale, che sia più capillare possibile sul territorio nazionale, in modo da evitare macro concentrazioni che non portano sicuramente all'integrazione dei richiedenti e spesso danno origine anche a fenomeni diversi. Ovviamente la concentrazione di migliaia di persone in un unico territorio, in un unico contesto rischia di diventare pericolosa. Anche in questo caso è curioso che venga mossa la critica, giustissima, alla concentrazione di tantissime persone in uno stesso posto da parte di chi, quando era al Governo, ha iniziato, per esempio, l'esperienza del CARA di Mineo. Dal mio punto di vista è una cosa abbastanza paradossale.
Il nostro Paese, inoltre, si è portato a livelli accettabili, anzi direi assolutamente commendevoli all'interno dell'Unione europea rispetto alle percentuali di fotosegnalamento e identificazione, che erano uno dei nostri talloni d'Achille, perché probabilmente chi aveva contrattato e pattuito l'Accordo di Dublino nel 2003 – cioè l'accordo che prevede che sia il Paese di approdo quello che deve analizzare e esaminare la richiesta di protezione internazionale, quindi il Paese di primo approdo – si immaginava di poter fare un accordo di questo tipo, assolutamente illogico e che non ha nessun tipo di giustificazione, con il retropensiero, poi, di non identificare le persone sbarcate e favorirne in qualche modo l'espatrio verso altri Paesi dell'Unione europea. Questo Governo e questa maggioranza, pur contestando frontalmente la validità del regolamento di Dublino, si è fatta promotrice più volte, in sede europea, di una sua revisione, anche se dobbiamo lamentare il fatto che, purtroppo, siamo fermi al tavolo di un negoziato che sta stentando a decollare e a continuare. In ogni caso, questo Governo ha cercato di ottemperare al resto delle obbligazioni che si era assunto in sede europea, a differenza di altri Governi. Quindi, si è proceduto al fotosegnalamento e all'identificazione di tutti coloro che sbarcano sui nostri territori e siamo arrivati, in questo momento, a percentuali di identificazione che sono assolutamente in linea con tutti gli standard migliori richiesti dall'Unione europea.
Quindi – dicevo – nonostante questo, è chiaro che c’è una serie di partite ancora aperte nelle quali il nostro Governo ha cercato di fare sentire la propria voce in sede europea.
Ricordavo prima la richiesta più volte reiterata di riformare il regolamento Dublino III in modo da ripartire in maniera diversa e più sensata e più logica l'onere dell'accoglienza e dell'ospitalità di chi arriva nell'Unione europea, non ovviamente ancorandolo al criterio assurdo e completamente insensato del Paese di primo approdo, ma cercando di stabilire delle modalità di ripartizione più coerenti, così come è stato fatto, per esempio, nell'accordo Stato-regioni che ricordavo prima. Credo che quella sia la strada maestra, così come il Migration Compact, cioè tutte quelle proposte che, ahimè, sono ancora ferme ai tavoli di Bruxelles, ma che potevano in qualche modo far presagire uno scarto e un salto di qualità nell'affrontare Pag. 34un tema di questo tipo, cioè attivando le cosiddette misure di relocation, misure per le quali sia possibile suddividere l'onere e, quindi, gli arrivi tra i Paesi europei a seconda di una serie di voci e di criteri, in modo che, riuscendo a ripartirseli in maniera equa, non si generino tensioni sociali.
Purtroppo, anche questo principio, che sembrava essere stato accolto con i primi progetti di relocation, si è poi fermato a poche migliaia di ricollocamenti per la ben nota opposizione dei Paesi del gruppo di Visegrád. Tuttavia, possiamo dire che ci si augura che il dibattito ne tenga conto: quanto meno il Governo italiano è stato in splendida solitudine qualche anno fa nel proporre queste tesi, invece adesso fanno parte del dibattito dell'Unione europea. Evidentemente il dibattito non è sufficiente se poi non viene tradotto in azioni concrete. Ci si augura davvero che tali misure siano entrate a far parte ormai della coscienza comune dei Paesi dell'Unione europea e che la ricollocazione e la suddivisione pro quota dei migranti sia l'unica strada percorribile a livello europeo.
Per quanto riguarda, invece, il livello più domestico, locale sembrano comunque essere salutati con favore e appaiono molto significativi gli accordi che sono stati fatti con il Ministero dell'interno, ultimamente con la Tunisia, per continuare la cooperazione con l'Italia e il rimpatrio dei cittadini irregolari. Il negoziato è difficile e complesso, ma necessario e assolutamente indispensabile, con la Libia, che rappresenta uno dei principali, se non il principale, Paese di transito dell'immigrazione irregolare verso l'Italia e la recente missione a Malta, dove si è tenuto l'incontro con il nuovo Presidente del Consiglio europeo. Tutta una serie di misure che dovrebbero riuscire a coniugare l'obbligo sacrosanto dell'accoglienza all'interno di una cornice che non è solo costituzionale e italiana ma anche europea con l'obbligo altrettanto indefettibile di procedere all'identificazione e al riconoscimento di chi ha il diritto di stare in Italia con un permesso di soggiorno e ha un destino separato da chi non può vantare questo diritto e quindi non ha titolo di soggiorno nel nostro Paese.
Ripeto: nessuno ha ricette miracolistiche, ma questo Governo ha operato una serie di interventi molto concreti e ci si augura che si prosegua su questa strada senza dubbio, senza avere nulla in particolare da apprendere da parte di altre forze politiche che, quando sono state chiamate alla prova del Governo, si sono distinte per una inettitudine e un'inazione davvero poco condivisibili.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gregorio Fontana. Ne ha facoltà.
GREGORIO FONTANA. Grazie, Presidente. In tema di immigrazione i numeri parlano chiaro. Gli arrivi sulle nostre coste non solo sono aumentati quasi del 20 per cento in un anno ma nel 2016, toccando quasi quota 181.000, registrano un record mai verificatosi nella storia delle statistiche degli ultimi vent'anni. Ciò ha messo a dura prova il nostro sistema di accoglienza. A tale proposito vale qui la pena di notare come la drammaticità della situazione abbia indotto spesso le autorità a fare scelte estremamente discutibili, mettendo a repentaglio l'ordine pubblico sul territorio.
Mi riferisco, ad esempio, a quelle situazioni, quelle tante situazioni nelle quali il Governo ha imposto a determinati comuni l'accoglienza di un certo numero di richiedenti asilo, ben al di là delle potenzialità concrete di accoglienza dei comuni interessati. Invece di compiere tali atti di forza, forse il Governo farebbe bene a intervenire a monte del problema per disinnescare le tensioni garantendo ogni supporto logistico ed economico alle comunità costrette ad affrontare l'impatto dei flussi migratori. Per questo ci auguriamo che gli annunciati sostegni ai comuni vadano a tutti quelli in qualche modo coinvolti nel problema, indipendentemente dall'adesione volontaria alla rete di accoglienza. Purtroppo, signor Presidente, episodi come quello sopra citato Pag. 35sono il segno di una grave debolezza dei Governi del centrosinistra sul fronte delle politiche migratorie. Con questi Governi l'Italia non è stata in grado di collocarsi all'altezza della sfida che aveva di fronte: un approccio sistemico, non occasionale, non approssimativo, non emergenzialistico al problema dei flussi migratori. La lista dei fallimenti è lunga, tentiamo qui una brevissima sintesi. Cominciamo con la carenza di iniziativa in politica estera: per la sua particolare collocazione geopolitica l'Italia non può sviluppare una propria politica di gestione del fenomeno migratorio senza passare attraverso solide e durature intese con i Paesi da cui originano i flussi, in particolare attraverso accordi di riammissione. Ma su questo fronte si assiste a un deficit clamoroso da parte dei Governi della sinistra e le ultime iniziative in tal senso – quelle degli accordi – risalgono a prima dell'inizio della primavera araba con il Governo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi. Sul fronte europeo poi si è assistito, in particolare nel corso di questa legislatura, a un curioso alternarsi di clamorosi annunci di battaglia e altrettanto clamorosi cedimenti. Il Governo ha protestato contro le censure dell'Unione europea all'inefficiente gestione italiana del fenomeno migratorio, ma poi non ha fatto sentire la propria voce quando l'Europa ha cercato soluzioni strategiche di medio periodo senza tener conto degli interessi dell'Italia. È inammissibile infatti che vi sia un accordo Unione europea e Turchia per tenere sotto controllo le rotte del Mediterraneo orientale, mentre non è stato assunto alcun impegno condiviso sul controllo delle rotte che interessano il nostro Paese. Ma è altrettanto inammissibile ridurre tutto il problema della gestione dei flussi alla questione della ricollocazione. Questa infatti riguarda solo i migranti provenienti dai Paesi considerati a rischio quali possono essere, ad esempio, Siria, Iraq o Eritrea. Si tratta dunque di una percentuale del tutto irrisoria rispetto alla massa di richiedenti asilo che grava sul sistema italiano, solo sul sistema italiano e, in generale, sulla popolazione del nostro Paese. La maggior parte di quelle persone non proviene da Paesi considerati a rischio, pertanto non rientra nel sistema della ricollocazione. Quindi anche se il meccanismo della ricollocazione a livello europeo funzionasse al cento per cento e tutti i ricollocabili presenti in Italia fossero effettivamente ricollocati in altri Paesi europei, il problema dell'impatto sociale dei flussi migratori in Italia resterebbe tale e quale ad adesso. Ne consegue che il coinvolgimento dell'Europa nella gestione del fenomeno va fatto a 360 gradi e deve riguardare sia la difesa delle frontiere sia la gestione degli irregolari ma è necessario anche un impegno comune a monte del problema degli sbarchi, intervenendo direttamente nei territori sui quali si organizzano gli scafisti. Per questo la nostra partecipazione a missioni come quella denominata Eunavfor Med ha senso solo se si procede con operazioni dirette di assistenza sul territorio libico e non solo in mare. In caso contrario è molto meglio sospendere la nostra partecipazione.
Sul piano interno la gestione del fenomeno migratorio da parte del Governo Renzi è stata caratterizzata da una confusione e una grande disorganizzazione tanto da richiedere l'intervento dell'Europa che ha pesantemente censurato il nostro Paese sull'argomento delle gravi falle presenti nelle nostre procedure di identificazione.
Quel caos fa sentire i suoi effetti deleteri innanzitutto sui comuni costretti ad essere in prima linea rispetto a tutti i problemi relativi all'accoglienza, ma esso ha anche prodotto una situazione criminogena: molti migranti, con o senza titolo di soggiorno, si aggirano sul territorio, finendo, spesso, nei giri della criminalità organizzata. Questa è una riflessione importante perché da quanto si apprende sembrerebbero quasi 435.000 gli irregolari presenti sul nostro territorio nazionale.
Altro fronte su cui i Governi della sinistra sono stati particolarmente carenti è quello dell'iniziativa legislativa; c’è l'esigenza, innanzitutto, di razionalizzare, semplificare e aggiornare la nostra disciplina di accoglienza, anche come noi abbiamo proposto, attraverso la riduzione Pag. 36alle due sole forme dettate dal nostro diritto costituzionale e dalla normativa europea, vale a dire l'asilo politico e la protezione sussidiaria. Così come c’è l'esigenza di moltiplicare e potenziare le commissioni territoriali per la valutazione delle domande di protezione internazionale, queste, infatti, sono ancora poche e lavorano, malgrado la buona volontà dei propri componenti, con una lentezza preoccupante che lascia i migranti in un inaccettabile stato di incertezza e contribuisce a fare aumentare il numero di stranieri presenti sul territorio nazionale a spese dei cittadini. La lista degli interventi legislativi, quindi, è lunga, ma vogliamo chiudere citando una proposta più volte annunciata, ma che non è riuscita, finora, a passare nemmeno il vaglio del Consiglio dei ministri. Si tratta del potenziamento dei tribunali e di una drastica riduzione delle possibilità di appello, in modo da evitare che i ricorsi avverso il non riconoscimento della protezione internazionale intasino la nostra giustizia. L'iniziativa viene enunciata da quasi 2 anni, ma in Parlamento non è ancora arrivata una sola riga del testo proposto.
Signor Presidente, Forza Italia è animata da uno spirito costruttivo perché il Paese è di fronte a una sfida epocale che riguarda il suo presente e il suo futuro. Qui, è in gioco la sicurezza degli italiani nel senso più ampio dell'espressione, è in gioco la sicurezza sotto il profilo sociale ed economico, perché l'immigrazione incontrollata o gestita in maniera irrazionale ha costi insostenibili che gravano, alla fine, su tutti i cittadini, ma è in gioco anche la sicurezza sotto il profilo dell'ordine pubblico, perché c’è il rischio sia dell'esplosione di gravi tensioni sia della diffusione, anche in Italia, di cellule terroristiche. Riteniamo, pertanto, che la discussione di oggi rappresenti un'occasione molto significativa per fare il punto sullo stato delle cose e aprire nel Parlamento, tra le forze politiche, un confronto a tutto campo con il Governo. Forza Italia presenterà una mozione nella quale saranno contenute le nostre proposte insieme alla richiesta di una radicale inversione di rotta rispetto al passato. Se questa inversione non ci sarà, la maggioranza e il Governo se ne dovranno assumere la responsabilità; si sarà persa, infatti, una grande occasione per incardinare in maniera razionale il fenomeno migratorio nella nostra vita pubblica ed evitare che esso provochi gravi lacerazioni nel tessuto sociale ed economico del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Ordine del giorno della seduta di domani.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.
Martedì 17 gennaio 2017, alle 11:
1. – Svolgimento di interrogazioni.
(ore 15)
2. – Seguito della discussione della relazione sulle infiltrazioni mafiose e criminali nel gioco lecito e illecito, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (Doc. XXIII, n. 18).
3. – Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:
MINARDO; CANCELLERI ed altri; BASSO ed altri; RICCIATTI ed altri: Disciplina dell'attività di ristorazione in abitazione privata (C. 3258-3337-3725-3807-A).
– Relatore: Senaldi.
Pag. 374. – Seguito della discussione delle mozioni Fedriga ed altri n. 1-01231, Palazzotto ed altri n. 1-01465, Altieri ed altri n. 1-01466 e Andrea Maestri ed altri n. 1-01467 concernenti iniziative in materia di gestione dei flussi migratori, anche alla luce di recenti circolari del Ministero dell'interno.
La seduta termina alle 17,40.
TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: ROSY BINDI (DOC. XXIII, n. 18).
ROSY BINDI (Relazione – Doc. XXIII, n. 18). Signora Presidente, onorevoli colleghi, la Commissione parlamentare antimafia, già dalla scorsa e in particolare in questa legislatura, ha dedicato una particolare attenzione al tema dell'infiltrazione mafiosa nel settore del gioco lecito e illecito e delle scommesse.
Ad uno dei quattordici comitati, istituiti secondo l'organizzazione interna dei lavori prevista dalla legge 19 luglio 2013, n. 87, la Commissione ha affidato il compito specifico di analizzare le tipologie di infiltrazione mafiosa e criminale nel gioco lecito e illecito emerse dalle indagini della magistratura e delle forze dell'ordine e di svolgere un'attività istruttoria tesa ad una più approfondita conoscenza del fenomeno altresì finalizzata alla formulazione di adeguate proposte normative che si inseriscano utilmente nell’iter legislativo di riordino complessivo della materia, in corso presso le competenti Commissioni parlamentari.
Un'inchiesta parlamentare sui giochi, peraltro, è apparsa necessaria alla stregua della consapevolezza, ampiamente condivisa, che il rinnovato interesse del legislatore per il fenomeno debba incentrarsi non soltanto sugli aspetti più direttamente legati a conseguenze sociali e sanitarie (in primo luogo, la dipendenza da gioco patologico) o di natura economica o tributaria, pur essi di particolare rilevanza, ma anche sull'adozione di misure sempre più efficienti, efficaci ed aggiornate riguardanti la prevenzione e il contrasto dell'infiltrazione criminale – comune o di matrice mafiosa – in tale settore in cui fenomeni di tal genere trovano terreno reso ancor più fertile dalla contingente situazione di crisi economica.
È un dato di fatto che la penetrazione mafiosa non riguarda più solo i tradizionali settori imprenditoriali, ma si snoda e permea di sé anche quelli di più recente sviluppo, rappresentati proprio dal gioco e dalle scommesse, dalla gestione delle slot machine, dalle scommesse sportive online fino al fenomeno del match fixing.
Il comparto del gioco risulta di altissimo interesse per la criminalità di tipo mafioso stante la possibilità di realizzare, attraverso la gestione diretta o indiretta delle società inserite a vario titolo in tale comparto, ingenti introiti anche attraverso il riciclaggio ed il reinvestimento di capitali provenienti dalle tradizionali attività delittuose, riducendo al minimo il rischio di incorrere nella morsa dell'attività repressiva delle forze di polizia. Il lavoro d'inchiesta della Commissione ha infatti rilevato che, a fronte di rilevanti introiti economici, l'accertamento delle condotte illegali è alquanto complesso e le conseguenze giudiziarie piuttosto contenute in ragione di un sistema sanzionatorio, quale quello vigente, che a causa di pene edittali non elevate, per il reato di gioco illecito, non permette l'utilizzo di più efficaci sistemi d'indagine ed è presto destinato alla prescrizione.
Le stesse dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e le risultanze delle indagini sin qui svolte forniscono un quadro preciso di quale sia l'attenzione della criminalità nei confronti di un settore che, nonostante i diversi interventi normativi e l'impegno delle forze dell'ordine, dimostra purtroppo di essere ancora permeabile e vulnerabile, presentando aree di opacità che consentono alle organizzazioni criminali un facile inserimento e la realizzazione di lauti guadagni, tanto da costituire una valida alternativa ad altre attività altrettanto lucrose, quali il traffico di Pag. 38stupefacenti, con rischi tutto sommato molto più contenuti sotto il profilo dei controlli.
Le situazioni di illegalità o di irregolarità osservate nel settore continuano, purtroppo, ad essere largamente diffuse. Ad esempio, il rapporto annuale della Guardia di Finanza per il 2015 evidenzia che in oltre 5.765 interventi effettuati presso le sale giochi e centri scommesse, sono state riscontrate irregolarità nel 30 per cento dei casi che hanno condotto al sequestro di 576 apparecchi automatici di gioco e 1.224 postazioni di raccolta di scommessa clandestina, scoprendo nel complesso oltre 36 milioni di euro di giocate nascoste al Fisco.
L'attenzione della Commissione si è focalizzata anche sul gioco legale, cioè nei confronti di un settore che, non va dimenticato, appartiene allo Stato e che, sebbene gestito da privati attraverso il sistema delle concessioni, è pur sempre esercitato in nome dello Stato. All'esito di numerose indagini, è stato accertato che la criminalità mafiosa ha operato enormi investimenti in questo comparto, acquisendo ed intestando a prestanome sale deputate al gioco, oppure mediante l'inserimento di uno o più sodali all'interno dell'organigramma delle compagini societarie di gestione degli esercizi deputati al gioco, quali preposti o con altri compiti di rappresentanza, sia per percepire rapidamente guadagni consistenti (soprattutto se le regole vengono alterate per azzerare le già ridotte probabilità di vincita dei giocatori o per abbattere l'entità dei prelievi erariali), sia per riciclare capitali illecitamente acquisiti.
Si tratta di interferenze mafiose che talvolta lambiscono anche le stesse società concessionarie, che, proprio perché poste al vertice della filiera del gioco legale, sono le prime a «spendere» il nome dello Stato di fronte ai cittadini giocatori.
La relazione approvata dalla Commissione parlamentare antimafia lo scorso 6 luglio 2016 non ha mancato di sottolineare con forza, tra i vari punti, quanto sia necessario adottare talune misure atte ad arginare tale fenomeno – a partire, innanzitutto, da una più stringente regolamentazione del momento concessorio – idonee ad assicurare l'effettività di un sistema di legalità sostanziale sino all'ultimo anello della catena della filiera del gioco, nessun operatore escluso.
La Commissione è stata facile profeta in questo senso. Nel novembre 2016 la Procura di Roma e dalla Guardia di Finanza su impulso della Procura nazionale antimafia hanno eseguito l'operazione ROUGE ET NOIR nei confronti degli esponenti di una concessionaria di slot machine (gruppo «Atlantis/BPlus gioco legale») che utilizza persino la locuzione «gioco legale» nella propria denominazione sociale: tale società peraltro era stata a suo tempo già colpita da interdittiva antimafia poi annullata dai giudici amministrativi.
L'indagine ha evidenziato gli oscuri rapporti tra ambienti vicini a cosa nostra, imprenditori del gioco d'azzardo operanti sullo scenario anche internazionale e persino un parlamentare della Repubblica che è stato, peraltro, membro della Commissioni Bilancio (dal 2008 al 2011), Finanze (dal 2008 al 2013) e della stessa Commissione antimafia (dal 2008 al 2013).
Sarà compito della magistratura fare piena luce su questi rapporti che sembrano avere quale denominatore comune enormi interessi economici, tali da aver potuto condizionare l'adozione di un provvedimento di legge in senso favorevole agli interessi di questa eterogenea consorteria criminale capace di penetrare le più alte istituzioni della Repubblica giungendo a orientare persino la funzione legislativa che si esercita in quest'Aula.
E desta profonda preoccupazione la circostanza che dagli atti di quell'indagine sia emerso addirittura un passaggio di denaro di 2,4 milioni di euro che recava addirittura come espressa casuale il riferimento ad una norma di legge (decreto-legge 79 del 2009), allora appena approvata, che – come sembra potersi desumere dall'inchiesta – era il frutto dell'asservimento dell'attività legislativa agli interessi criminali e mafiosi.Pag. 39
Passo dunque ad illustrare – per punti – le principali risultanze del lavoro della Commissione, che si è fondato sull'istruttoria condotta in seno al X Comitato, coordinato dal Sen. Vaccari, attraverso sedici audizioni e un sopralluogo presso la sede operativa dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
In primo luogo, occorre rafforzare ulteriormente le barriere all'ingresso nel sistema pubblico dei giochi in modo da chiudere possibili varchi alla criminalità organizzata e ai loro prestanome.
I requisiti di base attualmente previsti per la partecipazione a gare o a procedure ad evidenza pubblica in materia di giochi e scommesse hanno delle lacune, al pari dei requisiti per il rilascio e il mantenimento di concessioni in materia di giochi pubblici.
Le norme vigenti, ad esempio, non prevedono nell'ambito dei delitti ostativi:
reati contro la pubblica amministrazione, come la corruzione e la concussione interna e internazionale, il traffico di influenze illecite, la turbata libertà degli incanti e la turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente;
l'autoriciclaggio di cui all'articolo 648-ter.1 del codice penale;
i delitti di terrorismo interno e internazionale;
lo scambio elettorale politico-mafioso (articolo 416-ter c.p.) anche per i soggetti semplicemente sottoposti a indagini, come invece già previsto per i reati di associazione per delinquere (articolo 416 c.p.), associazione di tipo mafioso (articolo 416-bis c.p.) nonché per altri reati di particolare gravità;
le fattispecie più gravi di reati in materia fiscale (articoli 2 e 8 del D.Lgs. n. 74 del 2000), come la fatturazione per operazioni inesistenti e l'utilizzo in dichiarazione di falsa documentazione;
le ipotesi più gravi di reati comuni (per esempio l'omicidio), da individuarsi specificatamente, ora apparentemente escluse dal novero delle condizioni ostative.
In tali ambiti, andrebbero inoltre presi in considerazione non solo i delitti consumati ma anche quelli tentati.
Così come la trasparenza sulla composizione personale delle società partecipanti, al fine di individuare l'origine dei capitali, potrebbe essere estesa anche al di là dei limiti previsti dalla normativa vigente.
Un altro evidente vulnus del sistema di prevenzione è costituito dalla mancata previsione di provvedimenti di confisca e sequestro in relazione alla fattispecie penale di gioco illecito; in tal caso la confisca andrebbe prevista anche in ipotesi di sentenza di patteggiamento.
In considerazione del fatto che il mercato dei giochi è sempre più internazionalizzato e integrato a livello europeo, è necessario che siano annoverate tra le cause ostative anche le condanne irrogate all'estero, quanto meno per i delitti di criminalità organizzata, corruzione e riciclaggio, attraverso un espresso richiamo e rinvio alle nozioni di tali classi di reato accolte dalla comunità internazionale.
In analogia con quanto previsto dalle norme sugli appalti pubblici, occorre introdurre il divieto di partecipazione alle gare per gli operatori economici colpiti:
da sanzione interdittiva ex D.Lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle società e degli enti (articolo 9, comma 2, lettera c);
da altra sanzione che comporta il divieto di contrarre con la pubblica amministrazione;
o che abbiano subito condanna per il reato di falso in bilancio.
Sempre al fine di rafforzare le barriere di prevenzione del sistema del gioco legale è necessario estendere l'applicazione della normativa che sottopone il rilascio dell'autorizzazione alla sussistenza dei requisiti previsti dalle leggi antimafia e dal testo Pag. 40unico delle leggi di pubblica sicurezza, a tutta una serie di soggetti attualmente esclusi o a cui tali disposizioni sono applicabili solo parzialmente.
Lo standard antimafia e di moralità deve, cioè, essere omogeneo per tutti gli attori della filiera del gioco pubblico, dal vertice a valle, si tratti di concessionari delle reti on line di raccolta di gioco, di gestori di apparecchi o di terzi incaricati, di produttori o di importatori di apparecchi di gioco.
Parimenti, appare non più prorogabile un intervento sistemico che tenda ad uniformare la disciplina della tempistica delle gare delle concessioni di gioco, troppo spesso bandite nell'imminenza della scadenza della concessione tramite provvedimenti «spot» e non di rado scarsamente meditati circa le conseguenze che possono derivare da una normazione imperfetta, anche sotto il profilo della prevenzione, da cui si originano contratti la cui durata si protrae ordinariamente fino a nove anni.
Va da sé che tutti gli interventi di riforma sulle barriere all'ingresso del sistema dei giochi dovranno tener conto, principalmente, della normativa europea in tema di libertà di stabilimento e dell'evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia europea in tale materia, salvaguardando la funzionalità e l'efficienza del sistema italiano dei giochi nell'ottica delle ragioni di «ordine pubblico» e così includendo anche le esigenze di prevenzione antimafia.
Per il futuro, è fondamentale che anche per gli operatori di società aventi sede all'estero l'obbligo di concessione o autorizzazione di polizia sia ancorato alla tutela di interessi di ordine pubblico (controllo del gioco d'azzardo, contrasto alla criminalità organizzata e al riciclaggio).
Altro profilo di grande rilevanza è poi la repressione delle illegalità.
L'attenzione della Commissione antimafia si è focalizzata sulla necessità che il legislatore proceda ad una puntuale revisione del quadro sanzionatorio penale.
La misura della pena attualmente prevista per i reati in materia di giochi e scommesse non consente, di per sé, l'attivazione di intercettazioni telefoniche e telematiche, che invece risultano assolutamente necessarie per accertare le modalità con cui si realizza l'infiltrazione criminale sempre più caratterizzata dall'uso di strumenti tecnologici e dall'ambito di operatività transnazionale.
Parimenti, la pena da irrogarsi per le condotte maggiormente pericolose, dovrebbe essere tale da comportare il prolungamento del termine di prescrizione ad un tempo congruo perché le indagini, solitamente assai laboriose, possano giungere ad una completa conclusione tale da svelare le effettive dimensioni dell'attività illecita ed i suoi eventuali collegamenti con realtà criminali complesse come quelle di tipo mafioso.
Occorre, inoltre, intervenire per colpire adeguatamente la condotta del cosiddetto «giocatore clandestino» attraverso la previsione di un reale deterrente. Solo sanzioni penali più adeguate potranno contribuire a ridurre il bacino di «utenza» da cui le mafie traggono considerevoli profitti nel settore del gioco e delle scommesse clandestine.
Quanto al mondo delle società concessionarie, la Commissione antimafia ritiene che sia necessario un profondo ed urgente intervento teso a rendere più responsabile il comportamento delle società cui è demandata la gestione dell'attività, vero cuore strategico del sistema del gioco legale, rispetto a tutto ciò che accade a valle delle rispettive filiere.
In capo ai concessionari deve essere configurabile una responsabilità civile in vigilando o in eligendo rispetto ai titolari dei punti di gioco. Così, a un necessario inasprimento delle sanzioni pecuniarie per l'operatore a valle della filiera direttamente responsabile delle violazioni, conseguirebbe in tal modo una presunzione di corresponsabilità del concessionario, salvo che quest'ultimo non dimostri di non aver fatto tutto il possibile per impedire, controllare e costantemente vigilare la condotta del titolare del punto di gioco.
Quale corollario, sarà utile che il legislatore preveda specifiche e più stringenti ipotesi di sanzioni accessorie, quali la Pag. 41sospensione e la decadenza dalle concessioni o dalle autorizzazioni, non soltanto in presenza di reati ma anche nei casi più gravi di violazione delle condizioni di esercizio del gioco lecito da parte dei concessionari che intrattengono rapporti contrattuali con soggetti non in regola dal punto di vista autorizzativo, sia che si tratti di gestori o terzi incaricati, di produttori o importatori di apparecchi non in regola, sia di distributori o installatori di apparecchi abilitati al gioco da remoto attraverso una connessione telematica dedicata non conforme alla normativa.
Non solo. Occorre prevedere, colmando un'altra evidente lacuna, la responsabilità delle società di gestione del punto di raccolta delle scommesse e di trasmissione dati (cosiddetti CTD) ai sensi della legge n. 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti, così pure delle società in cui vengono riversate le somme della raccolta delle scommesse illegali e che fornisce la provvista per il pagamento delle vincite e della percentuale spettante a chi ne organizza la raccolta.
Sarà comunque necessario prevedere strumenti straordinari che possano essere adottati all'occorrenza per far fronte a situazioni più ad alto rischio che potrebbero verificarsi in ambito locale. Penso ai casi in cui le comunità locali avvertano una pericolosa diffusione del gioco minorile o di una straordinaria diffusione in alcuni quartieri urbani della dipendenza del gioco patologico, oppure quando sia necessario fronteggiare il rischio di infiltrazione o condizionamento della criminalità organizzata nel settore pubblico. Tutte situazioni accertate sulla scorta di concreti ed univoci elementi di fatto. In questi casi un valido strumento di intervento immediato potrebbe essere costituito da una sorta di DASPO in tema di giochi e scommesse, ad esempio stabilendo per legge i presupposti e le modalità affinché l'autorità di pubblica sicurezza (il Questore) ordini la chiusura di uno o più punti di offerta di gioco, o l'esclusione della relativa rete di raccolta del gioco, presenti in un determinato ambito territoriale «a rischio».
Sul delicato rapporto tra territorio e diffusione del gioco d'azzardo e sul ruolo degli enti locali in questo settore, la Commissione si è ampiamente soffermata, nella relazione conclusiva, sugli interessanti elementi di valutazione forniti nel corso delle audizioni anche da parte dell'ANCI.
Si è pervenuti alla conclusione che lo Stato e le autonomie locali debbano raggiungere un'intesa che assicuri un'offerta di gioco complessiva che la Relazione definisce «eticamente e territorialmente sostenibile».
Abbiamo così indicato nella relazione e nelle proposte conclusive in che modo sarebbe possibile raggiungere questo obiettivo.
Innanzitutto, al fine di agevolare i controlli sui vari punti di gioco è indispensabile trovare un equilibrio tra l'offerta e la distribuzione sul territorio dei punti vendita di gioco che sia sostenibile sotto il duplice profilo dell'impatto sociale e dei controlli che in concreto possono essere eseguiti.
Dalle audizioni è emerso infatti che l'eccessiva polverizzazione sul territorio delle diverse tipologie di punti di gioco non agevola i controlli. La criticità è più fortemente avvertita nelle aree del Paese dove le autorità inquirenti sono già impegnate nel contrasto alla criminalità organizzata o al terrorismo. Occorre, pertanto, offrire alle Regioni e agli enti locali la possibilità, in alternativa o in aggiunta alle tipologie di punti di gioco ora previsti, che la propria quota di offerta di gioco sia concentrata in un numero limitato di «luoghi di gioco» ritenuti più sicuri. Una soluzione del genere agevolerebbe anche l'esecuzione dei controlli.
Potrebbero, dunque, essere istituite sale da gioco certificate, con caratteristiche tali da ridurre il rischio di infiltrazioni criminale o comunque di illegalità, quali, ad esempio, personale dotato di requisiti di moralità e una formazione specifica, l'accesso selettivo all'ingresso, la completa identificazione dell'avventore, la tracciabilità piena delle giocate e delle vincite, Pag. 42l'installazione di apparati di videosorveglianza interna simili a quelli in dotazione ai tradizionali casinò.
Inoltre, nei criteri di distribuzione sul territorio dell'offerta di gioco va tenuto conto che le varie aree del Paese hanno profili di rischio di criminalità diversi, oltreché diversa da luogo a luogo è la propensione al gioco compulsivo e alla dipendenza al gioco patologico; differenti pure sono le situazioni di tensione o degrado sociale. Sono stati elaborati diversi indici che tengono conto di questi fattori, tra cui l’«indice di presenza mafiosa» dell'Osservatorio sulla criminalità organizzata dell'Università degli Studi di Milano.
In sostanza, in Commissione antimafia è emerso il convincimento che, ferma restando la pianificazione che deriverà dagli accordi in sede di Conferenza unificata, sia necessario che agli enti locali, primi sensori sul territorio in grado di cogliere situazioni di pericolo del quadro sociale e del diffondersi di illegalità e disagio connesso al gioco, venga data l'opportunità di far fronte adeguatamente e con prontezza a tali situazioni. Gli enti locali dovranno essere sostenuti con tempestività e adeguate risorse nell'adozione di misure tese a porre rimedio ad impreviste situazioni emergenziali, anche attraverso la destinazione di risorse straordinarie per il potenziamento dell'operatività della polizia locale e dei servizi sociali.
La Commissione ha inoltre esaminato il settore dei giochi e delle scommesse e del suo impatto sulle dinamiche criminali anche in un orizzonte di lungo periodo e di carattere sistemico sui delicati meccanismi di vigilanza e controllo del settore.
Atteso che, come sopra ampiamente riportato, il rischio di infiltrazione mafiosa non riguarda solo il gioco illecito ma anche il lucroso mercato del gioco in concessione dello Stato, la Commissione è dell'avviso che occorre ripensare l'intero sistema in modo più strutturato sì da collegare il rispetto della normativa antimafia e antiriciclaggio con le ispezioni amministrative, le verifiche tributarie e il monitoraggio continuo e capillare delle tecnologie elettroniche e informatiche. Un sistema, cioè, che sia in grado di garantire, ad esempio, la «continuità» del processo, la condivisione delle informazioni e il coordinamento sulla sicurezza informatica delle reti critiche funzionali a questo settore.
In questo contesto, la Commissione auspica che la prossima riforma dei giochi che si discuterà in queste aule ponga le premesse per un nuovo modello di governance della vigilanza nel settore dei giochi e delle scommesse, basato anche sulla centralizzazione di qualunque dato o informazione giudiziaria riguardanti il gioco d'azzardo.
Ricordo, al riguardo, che anche la Quarta direttiva europea in materia di antiriciclaggio, in via di attuazione, prevede esplicitamente la necessità che il settore del gioco d'azzardo, considerato vulnerabile al riciclaggio al pari delle banche e degli istituti finanziari, sia adeguatamente governato da un'autorità di vigilanza dotata di «poteri rafforzati».
Da ultimo la Relazione della Commissione parlamentare antimafia, oltre alle proposte normative di cui sopra, ha ritenuto opportuno formulare due raccomandazioni al Governo.
La prima riguarda la minaccia del crimine informatico sulle infrastrutture critiche del gioco legale che poggiano su reti telematiche e di telecomunicazione. Occorre proteggere queste infrastrutture dagli attacchi di hacker, legati o meno alla criminalità italiana o internazionale, che potrebbero acquisire notevoli benefici anche da blocchi temporanei del sistema di gioco.
Con la seconda raccomandazione la Commissione parlamentare antimafia invita il Governo ad adoperarsi per l'attuazione dei contenuti della risoluzione approvata, nello stesso testo, dalla Camera (11 dicembre 2014) e dal Senato (29 ottobre 2014) al termine dell'esame della relazione presentata anch'essa dalla Commissione antimafia sul semestre europeo e sulla lotta alla criminalità mafiosa su base europea ed extraeuropea, nell'ambito della quale (punto 10) sono stati indicati aspetti rilevanti trattati anche nella presente Relazione.Pag. 43
In tale risoluzione si chiede di porre in essere opportune iniziative al fine di adottare a livello europeo misure armonizzate, o comunque concertate, al fine di evitare la penetrazione e l'infiltrazione della criminalità organizzata nel settore del gioco d'azzardo a distanza, in particolare delle scommesse telematiche, dei videopoker e dei casinò online.
Occorre, in sintesi, coinvolgere anche l'Unione europea e non essere lasciati soli nella lotta alla criminalità organizzata (anche) nel settore dei giochi, settore sempre più integrato a livello europeo e a livello globale. In particolare, vi è necessità di regole comuni in tema di requisiti di onorabilità e di professionalità per tutti gli operatori della filiera del gioco, occorre assicurare lo scambio di informazioni e di intelligence sulle ipotesi di comportamenti anomali o sospetti, al fine di consentire la piena tracciabilità delle operazioni e l'identificazione dei soggetti che partecipano ai giochi a distanza.
I segnali di criticità del sistema nazionale dei giochi e delle scommesse provenienti dalla numerose indagini giudiziari, dalle inquietudini che in diverse aree del paese la comunità sociale manifesta nei confronti dell'azzardo e delle connesse patologie, e dalle iniziative degli enti locali che sempre più spesso adottano misure tese a limitare la diffusione dei punti di gioco, non debbono essere ignorati dal Parlamento e dal Governo.
L'auspicio è che alle buone intenzioni si passi rapidamente ai fatti e che presto sia avviato l’iter per la riforma del settore dei giochi e delle scommesse che da troppo tempo rimane opera incompiuta.