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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 3 aprile 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nonostante i progressi registrati in questi anni a livello globale, l'Hiv continua a rappresentare un serio problema di sanità pubblica. Nel 2015, secondo quanto riferito dall'Organizzazione mondiale della sanità in occasione dell'edizione 2016 della Giornata mondiale contro l'Aids – World Aids Day 2016 –, che ogni anno si svolge il 1o dicembre, l'epidemia globale di infezioni da Hiv e Aids ha registrato una battuta d'arresto rispetto agli ultimi 20 anni. In particolare, emerge come i programmi di prevenzione abbiano portato a una riduzione del numero annuale di nuove infezioni da Hiv (2,1 milioni nel 2015), con una riduzione nell'incidenza del 35 per cento rispetto al 2000;
    è stata registrata una diminuzione del numero di decessi per cause correlate all'Hiv, circa 1,1 milioni nel 2015, con una flessione del 45 per cento rispetto al 2005, grazie alla diffusione delle terapie antiretrovirali;
    per far fronte alla diffusione dell'Hiv, le Nazioni Unite, attraverso la rete Unaids, promuovono fin dal 2014 la strategia « Fast Track» che mira a raggiungere l'obiettivo globale – espresso nei Sustainable Development Goals – di eliminare l'Aids entro il 2030 (End Aids 2030);
    nell'ambito del semestre di Presidenza maltese del consiglio dell'Unione europea, nel gennaio 2017, è stata organizzata, in collaborazione con l’European Centre for Disease Prevention and Control, Ecdc, una conferenza sull'Hiv, in cui esperti provenienti da tutti gli Stati dell'Unione hanno discusso le strategie comuni necessarie per raggiungere l'obiettivo di End Aids 2030;
    in tale contesto, l'Ecdc ha reso pubblico un documento contenente risultati e gap della strategia europea, nonché le modalità con cui i singoli Paesi dell'Unione europea e dello Spazio economico europeo (Ue/See) hanno dato attuazione agli impegni previsti dalla carta di Dublino sull'alleanza per combattere l'Aids in Europa e nell'Asia Centrale. Va ricordato che, nel 2004, gli Stati europei e dell'Asia centrale tennero la conferenza «Breaking the Barriers – Partnership to fight HIV/AIDS in Europe and Central Asia» che si concluse con la Dichiarazione di Dublino, nella quale i partecipanti si impegnarono a predisporre ed attuare azioni politiche volte a contrastare l'epidemia nell'intera regione;
    l'Hiv rimane un problema significativo di sanità pubblica nei 31 Paesi dell'Unione europea e dello Spazio economico europeo: nel 2015 sono stati diagnosticati 29.747 nuovi casi di infezione da Hiv negli Stati Ue/See e il tasso di nuove infezioni non risulta in significativo declino nell'ultimo decennio (da 6.6 su 100.000 abitanti nel 2006 a 6.3 su 100.000 abitanti nel 2015). Si stima che siano circa 810.000 le persone che vivono con l'Hiv negli Stati Ue/See (lo 0,2 per cento della popolazione adulta), con forti differenze fra paesi e fra tipologie di categorie a rischio. Nel 2015 il tasso di nuove infezioni è stato maggiore nella popolazione maschile (9.1 su 100.000) che in quello femminile (2.6 su 100.000). La trasmissione per via sessuale rimane ancora la maggior causa delle nuove infezioni registrate nei Paese Ue/See. In particolare, continua a registrarsi un incremento dei casi di infezione dovuti a rapporti omosessuali maschili: nel 2015, il 42 per cento di tutti i casi riportati nei Paesi Ue/See riguardano rapporti omosessuali fra uomini e in 15 Stati tale percentuale supera il 50 per cento delle nuove diagnosi. Tale categoria a rischio risulta la sola a non registrare un declino nel numero di nuove infezioni nel corso dell'ultima decade. Il 32 per cento delle nuove diagnosi sono invece attribuite a rapporti eterosessuali, con significative variazioni percentuali fra i diversi Stati membri, in calo rispetto alle precedenti rilevazioni;
    i nuovi casi di Hiv diagnosticati fra migranti non provenienti da Paesi Ue/See ammontano, complessivamente, al 22 percento, con significative variazioni fra gli Stati membri. Mentre si registra una diminuzione di casi diagnosticati in migranti provenienti da Paesi con alti tassi di infezione da Hiv, risultano evidenze di un aumento del rischio di acquisizione dell'infezione in sotto gruppi di popolazioni migranti dopo il loro arrivo nei Paesi Ue/See;
    tra il 2006 e il 2015 il numero di casi di Hiv registrati negli Stati Ue/See legati ad iniezioni di sostanze stupefacenti ha registrato un costante declino, attestandosi attualmente al 4 per cento del totale delle nuove diagnosi nel 2015. Tale dato riflette gli sforzi e gli investimenti messi in campo da molti Paesi in politiche di riduzione del danno. Tuttavia, lo scambio di siringhe infette rimane ancora un'importante via di trasmissione dell'Hiv in diversi Stati e un potenziale fattore di rischio: in quattro Paesi, un quarto e più dei nuovi casi registrati sono, infatti, correlati a tale pratica;
    virtualmente, eliminate nell'area Ue/See, invece, sono le nuove infezioni dovute alla trasmissione madre-figlio durante la gravidanza (inferiori all'1 per cento/anno) e alle trasfusioni;
    complessivamente, i dati indicano che, nei Paesi Ue/See, i casi di infezione vengono trattati precocemente ed efficacemente (circa 9 pazienti Hiv positivi su 10 sono virologicamente soppressi), tuttavia 1 persona su 6 dell'Ue/See non ha ancora scoperto di essere sieropositivo, con evidenti conseguenze sul rischio di trasmettere l'infezione. Ancora eccessivamente alto risulta il numero dei casi rilevati tardi: nel 2015, basandosi sulle informazioni disponibili relative alla conta dei CD4, è stato calcolato che il 47 per cento dei soggetti presentava, al momento della diagnosi, una conta di CD4 inferiore a 350/mm3;
    il numero di Paesi che iniziano terapie antiretrovirali (Art), indipendentemente dal conteggio delle cellule CD4 è cresciuto da quattro nel 2014 a 24 nel 2016, tuttavia, sulla base dei dati provenienti da 25 Paesi, risulta che il 17 per cento di persone con Hiv non ricevono terapie antiretrovirali (a causa dell'applicazione di protocolli terapeutici obsoleti, ostacoli normativi, carenza di risorse, fattori culturali). In particolare, va segnalata la situazione dei migrati illegali, per i quali più della metà degli Stati Ue/See non prevede l'accesso ai trattamenti;
    per quanto attiene ai casi di Aids conclamati e alle morti da Aids, i dati della relazione segnalano una continua diminuzione nell'area: nel 2015 i casi di Aids registrati sono stati 3.754, rispetto agli 8.465 del 2006, mentre il numero dei decessi è sceso dai 2.608 del 2006 agli 885 del 2015;
    quello che emerge dal rapporto è, tuttavia, la necessità di aumentare le risorse per le azioni di prevenzione e cura dell'infezione: due su tre Stati dell'area Ue/See riportano, infatti, che i fondi a disposizione non sono sufficienti a ridurre il numero delle nuove infezioni da Hiv. Interventi mirati su gruppi a rischio, comprese campagne di promozione all'uso e di distribuzioni di profilattici, iniziative informative per promuovere corretti stili comportamentali, profilassi pre-esposizione (PrEP) e politiche di riduzione del danno per soggetti tossicodipendenti, rimangono ancora troppo esigui in molti Paesi per poter produrre risultati apprezzabili. L'elevata percentuale di soggetti con Hiv che non conoscono il proprio stato o che ottengono tardi una diagnosi, riflette una carenza nella diffusione dei test, falle nella strutturazione dei servizi e difficoltà nel raggiungere le categorie maggiormente a rischio;
    in Italia, in base ai dati pubblicati dall'Istituto, superiore di sanità, nel 2015 si sono registrate 3.444 nuove diagnosi di infezione da Hiv, con una incidenza di 5,7 nuovi casi per 100.000 residenti, con un lievemente calo di nuove infezioni rispetto ai tre anni precedenti per tutte le modalità di trasmissione, tranne che per i maschi che fanno sesso con maschi (MSM);
    per quanto attiene le modalità di trasmissione, i dati 2015 indicano come sia prevalente la via dei rapporti eterosessuali (44,9 per cento), seguita dai rapporti tra maschi che fanno sesso con maschi (40,7 per cento) e dai consumatori di sostanze stupefacenti per via iniettiva (3,2 per cento);
    anche nel nostro Paese si registra la tendenza dell'ultimo decennio all'aumento – dal 20,5 per cento del 2006 al 74,5 per cento del 2015 – del numero di persone che giungono alla diagnosi già in stadio di Aids. Complessivamente si stima che il numero di persone con infezione da Hiv/Aids sia pari a circa 130 mila, dei quali almeno 12.000-18.000 siano «inconsapevoli» di avere il virus, con grave pericolo per la propria salute e rischio per i propri partner sessuali; il 20 marzo 2017 il Ministero della salute ha inviato alle regioni, ai fini della firma dell'intesa in materia di interventi contro l'Hiv e l'Aids in sede di Conferenza Stato-regioni, il Piano nazionale Hiv-Aids per il triennio 2017-2019 che ha l'obiettivo di ottenere, nell'ambito di un più generale allineamento delle politiche italiane, con l’«action plan» dell'Organizzazione mondiale della sanità e dell'Unione europea, l'incremento dei casi diagnosticati e mantenuti in cura fino al raggiungimento del 90 per cento delle persone che vivono con Hiv/Aids (Plwha); l'attivazione di un percorso diagnostico terapeutico definito in almeno l'80 per cento dei Centri clinici deputati all'assistenza alle persone con Hiv/Aids; il mantenimento di livelli di viremia tali da restare al di sotto del 5 per cento i fallimenti virologici/anno; la riduzione a meno del 5 per cento della perdita di contatto, da parte dei centri clinici, con i pazienti seguiti;
    il dimezzamento delle diagnosi tardive: un piano che miri ad essere effettivamente efficace necessita, innanzitutto, di azioni di prevenzione che, basate sulle evidenze scientifiche, oltre a comprendere le campagne di informazione, l'impiego degli strumenti di prevenzione e gli interventi finalizzati alla modifica dei comportamenti, estendano l'uso delle terapie antiretrovirali (Arv) come prevenzione;
    l’«aggancio» di soggetti e categorie a rischio, a cominciare dal mondo giovanile, deve rivestire un aspetto centrale della strategia d'intervento e una particolare attenzione deve riguardare i migranti e, complessivamente, le comunità straniere risiedenti in Italia; contestualmente, sarà necessario intervenire contro quei fenomeni di stigmatizzazione ed emarginazione che ancora colpiscono le persone con questa malattia;
    il 5 per cento della popolazione carceraria italiana risulta affetta da Hiv, il 6,5 per cento ha l'epatite B ed il 25 per cento l'epatite C. Controlli specifici, prevenzione e cura assumono quindi un significato di assoluto rilievo, anche in considerazione del rischio di ulteriore diffusione nella popolazione, una volta che i detenuti affetti dalle patologie riassumono la libertà al termine del periodo di carcerazione;
    seppure il numero annuale conosciuto di nuovi casi di Hiv risulti in calo rispetto ad un recente passato, non si può sottostimare la circostanza che, oggi, l'attesa di vita per i sieropositivi è sensibilmente allungata, determinando una forte crescita nella domanda di cure continue, che accompagnano tutta la vita del paziente;
    è radicalmente cambiata la morfologia di formazione della malattia: se a metà degli anni ‘80 la principale modalità di trasmissione era rappresentata dalla tossicodipendenza per via venosa (76,2 per cento nel 1985, ora calata al 4,5 per cento) oggi, sono sensibilmente aumentati i casi attribuibili a trasmissione sessuale;
    dati recenti indicano che, al momento della diagnosi di infezione da Hiv, la gran parte dei casi risulta già in fase avanzata di malattia, a dispetto della necessità iniziare il trattamento di cura il più precocemente possibile;
    se attivato tempestivamente, infatti, è dimostrato che il trattamento è stato in grado di ridurre del 53 per cento lo sviluppo di Aids o patologie correlate, abbattendo la mortalità del 70 per cento;
    il costo medio a carico dello Stato, per la cura, è di circa 8.000 euro annui per paziente,

impegna il Governo:

1) ad assumere tutte le iniziative volte a sviluppare efficaci progetti di informazione e prevenzione delle infezioni da Hiv/Aids e delle patologie sessualmente trasmissibili, rivolte ai giovani, con il coinvolgimento attivo delle istituzioni scolastiche, alle fasce sociali più vulnerabili e alle categorie a rischio;
2) a predisporre, coinvolgendo le comunità straniere residenti in Italia, specifiche campagne informative e di prevenzione rivolte agli stranieri presenti nel nostro Paese;
3) a promuovere, a cominciare dalle scuole, campagne contro la discriminazione sociale dei soggetti che hanno contratto l'infezione;
4) a rilanciare, attualizzandole, le campagne informative e di prevenzione delle infezioni da Hiv e Aids rivolte ai soggetti tossicodipendenti, anche in relazione ai preoccupanti dati che indicano un considerevole aumento dell'uso di eroina soprattutto fra gli adolescenti;
5) ad assumere iniziative volte ad allocare adeguate risorse finanziarie nei programmi volti ad incentivare l'esecuzione dei test Hiv, ad estendere la profilassi pre-esposizione (PrEP) e l'uso delle terapie antiretrovirali (Arv) come prevenzione; ad assumere iniziative per implementare l'assistenza domiciliare alle persone con Hiv/Aids, compresi interventi volti a lenire le conseguenze sociali ed economiche dell'infezione;
6) a valutare l'ipotesi di richiedere la rinegoziazione del prezzo dei farmaci anti Hiv per la sola popolazione carceraria, che rappresenta però una vera «bomba virologica» sia per i tassi di promiscuità, che per i tassi di prevalenza doppi rispetto ai numeri del Paese e coinfezioni da Hiv, Hcv;
7) a valutare l'opportunità, nel caso in cui le aziende produttrici dei farmaci anti Hiv non addivenissero ad un accordo negoziale, di poter ricorrere all'acquisto all'estero di farmaci così come previsto dalla recente circolare del Ministro della salute n. 3251 del 23 marzo 2017, che fornisce le istruzioni operative in merito all'applicazione del decreto ministeriale 11 febbraio 1997 per le modalità di importazione di specialità medicinali registrate all'estero;
8) a valutare l'opportunità di prevedere, con riferimento alla profilassi pre-esposizione (PrEP), modalità specifiche di intervento da utilizzare ai fini di una più completa attività preventiva.
(1-01570) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    nel 2015 si sono venduti 250.000 robot in tutto il mondo, di cui 100.000 nel solo settore dell’automotive;
    la comparsa dei primi robot industriali avviene intorno agli anni Settanta, in particolare nel settore dell’automotive, in applicazioni dove l'uomo opera in condizioni di pericolo e grande fatica fisica. Per più di 40 anni l'attenzione dei progettisti si è incentrata principalmente sulla sicurezza; solo da poco si è iniziato a parlare di «collaborazione» tra uomo e macchina e di «robot collaborativi», sulla spinta di coniugare la «potenza» e la «velocità» dei robot industriali, con i sensi e l'intelligenza umana, la nuova tendenza al prodotto pensato per il singolo cliente e la necessità di affiancare i robot all'uomo in nuove applicazioni nei settori della medicina, dell'agricoltura e dell'artigianato;
    come le tecnologie Information & Communication Technology (ICT) sono diventate parte della nostra vita quotidiana, anche la robotica può e ancor più potrà, giocare un ruolo importante nel miglioramento della qualità della vita, aggiungendo all'ICT la capacità di movimento e azione nel mondo reale;
    in questo settore, l'Italia è sempre stata all'avanguardia, anche in ambito industriale, dove le aziende italiane di automazione e robotica hanno avuto e continuano ad avere posizioni di rilievo, insieme a Germania, Giappone e Stati Uniti. Nella ricerca, l'Italia è tra i Paesi leader nella robotica di servizio, nella biorobotica e nella soft robotics;
    occorre che anche in Italia sia considerata una standard practice la collaborazione università-impresa, così come accade negli Stati Uniti, in Israele e in Germania, soprattutto in un contesto di crescente innovazione tecnologica che rischia di vedere depauperate le potenzialità che il nostro Paese indubbiamente possiede;
    nei primi mesi del 2017 partiranno 17 nuovi progetti selezionati dalla Commissione europea, nell'ambito dei finanziamenti « Horizon 2020» e di questi ben 5 saranno sviluppati da centri di ricerca italiani. I 17 progetti finanziati toccano ogni settore, dalla telemedicina di SmartSurg, alle piattaforme intelligenti per la sicurezza; quasi tutti i progetti scelti sono proiettati verso le applicazioni commerciali, volte a migliorare la qualità della vita e del lavoro;
    l'utilizzo delle tecnologie digitali per la produzione di beni fisici, la robotizzazione, la tecnologia cloud, l’Internet of Things, l'impiego di intelligenze artificiali e la flessibilizzazione del mercato del lavoro costituiscono, nel loro complesso, quella che è stata definita la rivoluzione dell'Industria 4.0, che, come tutte le rivoluzioni, determinerà notevoli cambiamenti sociali, a partire dal mercato del lavoro. La rivoluzione 4.0 è destinata a investire tutti i settori di mercato e le diverse aree aziendali, generando grandi opportunità;
    su quale sarà l'impatto sull'occupazione di Industria 4.0 gli esperti non sono concordi: mentre vi è una convergenza di opinioni su alcuni punti (i robot e l'intelligenza artificiale permeeranno in breve tempo ogni aspetto della nostra vita; l'attuale formazione scolastica e universitaria non sono in grado di preparare adeguatamente le persone per le sfide del prossimo decennio; occorre cogliere l'occasione per ripensare l'attuale concetto di lavoro), diversa è la valutazione dell'impatto sulla creazione di posti di lavoro;
    secondo il World Economic Forum, entro il 2020 a fronte di 7,1 milioni di posti di lavoro persi, ne saranno creati appena 2 milioni di nuovi e ciò a causa della digitalizzazione dei processi – smart manufacturing; d'altro canto, una ricerca condotta da Manpower Group tra 18.000 datori di lavoro in 43 Paesi del mondo, rileva che oltre il 90 per cento dei datori di lavoro intervistati prevede che la propria azienda verrà impattata dalla «quarta rivoluzione industriale» nei prossimi due anni, mentre l'83 per cento del campione ritiene che l'automatizzazione e la digitalizzazione del lavoro faranno crescere il totale dei posti di lavoro;
    in questa indagine, l'Italia si attende il maggior incremento di nuovi posti di lavoro, al netto di un « upskilling», con una creazione di nuovi posti di lavoro prevista tra il 31 per cento ed il 40 per cento. Meno ottimistiche appaiono le prospettive per i datori di lavoro di Germania, Francia, Finlandia, Svezia e Svizzera, secondo cui l'impatto potrebbe essere nullo o addirittura negativo (tra lo 0 e il –9 per cento);
    l'automazione è parte di un più ampio processo di innovazione che dovrebbe favorire la domanda e di conseguenza l'offerta in settori più svariati, alimentando quindi l'occupazione, sempre che si affronti in modo determinato quel «cambiamento culturale» che Industria 4.0 impone;
    industria 4.0 sicuramente potrà far ripartire investimenti e produttività in Italia, ma indispensabile è compiere sforzi adeguati per sostenere la nascita di una nuova generazione di lavoratori digitalizzati, sia formando persone con competenze tecniche, sia riqualificando coloro che stanno già lavorando, accompagnandoli con l'acquisizione di soft skill minimi di base, sia rafforzando gli interventi sulla formazione di competenze digitali nelle piccole e medie imprese;
    sempre secondo l'analisi del World Economic Forum, il 65 per cento dei bambini che iniziano oggi il loro ciclo di studi è destinato a trovare un lavoro che oggi ancora non esiste. Proprio per questo risulta fondamentale uno sforzo congiunto tra le piccole e medie imprese e il Governo per l'attuazione delle best practice, a partire dalla scuola e dall'università, e la creazione di centri di competenza;
    la legge di bilancio 2016 ha puntato sulla conferma e sul potenziamento degli incentivi agli investimenti, tuttavia, gli incentivi fiscali, in un tessuto industriale composto da molte piccole e medie imprese, riusciranno difficilmente a stimolare investimenti in ricerca e sviluppo, soprattutto in un clima ancora caratterizzato da forte incertezza;
    la previsione, inoltre, che per accedere all'iper-ammortamento, i beni, oltre ad essere funzionali alla trasformazione tecnologica delle imprese in ottica di Industria 4.0, debbano dimostrare di essere interconnessi al sistema di gestione aziendale, rischia di escludere buona parte delle piccole e medie imprese, che dovrebbero rivedere l'intero sistema informativo interno; gli incentivi fiscali previsti, incluso il super-ammortamento, si dimostrano quindi più adatti alle grandi imprese che non alle realtà di piccole dimensioni,

impegna il Governo:

1) a porre maggiore attenzione ai problemi che riguardano la piccola e media industria nel suo processo di passaggio a «Industria 4.0», in particolare prevedendo un piano industriale ragionato, basato su quello che l'Italia può e meglio sa fare, delineando una nuova Italia produttiva con le piccole e medie imprese come protagoniste;

2) ad assumere iniziative di competenza, volte a promuovere attività di formazione, ricerca e sviluppo nelle scuole, nelle università e nei centri di ricerca, favorendo la collaborazione università-impresa e prevedendo anche l'allocazione di maggiori risorse per la creazione dei centri di competenza.
(1-01571) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Aids, o sindrome da immunodeficienza acquisita, ha rappresentato un vero flagello negli anni ottanta e novanta del secolo scorso, causando decine di milioni di morti, oltre che in Europa e in USA, nei continenti africano e asiatico dove la penetrazione del virus ha trovato minor contrasto per effetto della debolezza dei sistemi sanitari;
    l'epidemiologia dell'Aids continua peraltro a far paura anche in questo nuovo secolo: nel 2005, si sono registrati nel mondo 2,3 milioni di morti, che sono scesi a 1,7 nel 2011 e a 1,6 milioni nel 2013;
    ancora oggi si calcola che il numero totale degli ammalati nel mondo oscilla intorno ai 35 milioni di individui, di cui soltanto 15 milioni avrebbero accesso alle terapie garantite dai farmaci antivirali;
    ancora molto lontano appare dunque l'obiettivo enunciato dall'Organizzazione mondiale della sanità che mira all'eradicazione del contagio entro il 2030;
    altrettanto lontano purtroppo appare anche il traguardo «90, 90, 90», proposto da Ban Ki Moon alla conferenza sull'Aids svoltasi nella città sudafricana di Durban nel luglio 2016, che prevede di raggiungere percentuali del 90 per cento di pazienti consapevoli dell'avvenuto contagio, mira a consentire al 90 per cento dei malati l'accesso alle terapie e punta alla riduzione della carica virale nel 90 per cento dei pazienti;
    la patologia, sostanzialmente a trasmissione ematica e attraverso il liquido spermatico (oltre che verticalmente, nel corso della gravidanza), è stata nei primi due decenni di diffusione tragicamente associata all'utilizzo «sporco» di droghe per via iniettiva e ai rapporti sessuali non protetti, in particolare nella sfera della omosessualità;
    nei primi decenni di diffusione della malattia, anche le trasfusioni di sangue non testato hanno comportato il contagio di particolari categorie di pazienti (talassemici, politrasfusi);
    la particolare via di trasmissione della malattia le ha conferito uno specifico stigma sociale che ha determinato forti difficoltà nella diagnosi precoce che pure, sin dall'inizio, si è dimostrata fondamentale per garantire il contenimento della diffusione del contagio insieme ad una migliore prognosi per il paziente;
    la drammatica prognosi dell'Aids al suo esordio e il rischio della diffusione epidemica in tutti gli strati della popolazione ha comportato che i Paesi occidentali abbiano stanziato importanti risorse per la prevenzione, per l'educazione dei comportamenti e per il trattamento dei malati e che, contestualmente, si sia fatto un grande sforzo di ricerca scientifica che ha introdotto nel mercato farmaci antiretrovirali sempre più raffinati ed efficaci, in grado di «cronicizzare» la patologia, allungando notevolmente il lasso di tempo intercorrente tra la conversione ematica e la comparsa dei sintomi della malattia e modificandone radicalmente, in senso positivo, la prognosi;
    il sostanziale cambiamento del decorso della malattia ha purtroppo avuto come effetto secondario non desiderato l'abbassamento del livello di allarme sociale nei confronti della patologia e, conseguentemente, la riduzione delle attività di educazione a corretti comportamenti sociali e sessuali e la minor attenzione alla diagnosi precoce, ancora oggi fondamentale per il miglior controllo terapeutico della malattia;
    in tal senso, la Kaiser Family Foundation ha lanciato l'allarme sul complessivo stanziamento Mondiale di risorse economiche per la lotta contro l'Aids che si sarebbe ridotto dagli 8,6 miliardi di euro del 2014 ai 7,5 miliardi di euro del 2015;
    l’European centre for disease prevention and control ha recentemente pubblicato un report sulle attività di prevenzione e di trattamento dell'Aids in 55 Paesi europei e dell'Asia centrale, dimostrando i sostanziali progressi nella diagnosi e nel trattamento della patologia, ma anche sottolineando come un paziente su sette sia oggi sieropositivo senza sapere di esserlo e, conseguentemente, senza poter iniziare il trattamento terapeutico in grado di differire notevolmente la comparsa dei sintomi della malattia;
    in Italia, secondo l'Istituto superiore di sanità, nel 2015 sono state segnalate 3.444 nuove diagnosi da infezione da Hiv, il 10 per cento in meno rispetto alle 3.850 del 2014. L'Italia è tredicesima in Europa in termini di incidenza delle nuove diagnosi;
    in Italia, la riduzione dei nuovi casi (l'incidenza è intorno a 1,4 per centomila), si accompagna al decremento del numero dei morti/anno (attualmente intorno ai 700/800 decessi/anno), mentre aumenta la prevalenza (intorno al 6,1 per centomila) e cresce l'età media dei soggetti colpiti, che sfiora i 40 anni;
    in Italia (come nel resto del mondo occidentale), è nel frattempo cambiata anche la modalità prevalente di contagio. Nel 1985, solo l'8 per cento della trasmissione di sieropositività avveniva attraverso la via sessuale, attualmente le percentuali di contagio per via sessuale raggiungono l'85,5 per cento e riguardano principalmente la sfera dei rapporti eterosessuali;
    in Italia, l'attuale sistema di raccolta dei dati epidemiologici sull'HIV e sull'Aids, che prevede due differenti percorsi per l'afferenza delle informazioni parrebbe essere alla base di una sottostima dei dati complessivi sulla patologia, che è stata denunciata dallo stesso Istituto superiore di sanità;
    come già ricordato dai parlamentari Ilaria Capua e Pierpaolo Vargiu, in una interrogazione parlamentare, presentata nel 2015 al Ministero della salute, «la letteratura scientifica internazionale è concorde nel sottolineare come la diagnosi precoce della sieropositività rappresenti un momento fondamentale della lotta all'HIV e alla patologie correlate, in quanto consente l'immediato inizio di un trattamento farmacologico mirato a mantenere condizioni ottimali del paziente per il tempo più lungo possibile»;
    «in particolare in Italia, i virologi sono concordi nell'adottare un approccio terapeutico « test and treat», con intervento immediato al riconoscimento della sieropositività, avendo ormai abbandonato la prassi di dare inizio al trattamento terapeutico anti HIV sulla base del superamento della soglia nella conta delle cellule Cd4»;
    «i dati dello studio Ecdc purtroppo confermano come nel 2013, neppure la metà dei soggetti a rischio nei Paesi europei testati sia stato effettivamente sottoposto a test diagnostico e come ben il 47 per cento dei soggetti diagnosticati sia stato riconosciuto in fase avanzata, con conseguente riduzione dell'efficacia del trattamento sanitario»;
    nel contesto della citata interrogazione parlamentare, veniva altresì sottolineata l'urgenza di introdurre anche nel nostro Paese l'utilizzo dei kit di autodiagnosi dell'Aids, a basso costo, in vendita diretta presso le farmacie al pubblico, a tutti i soggetti maggiorenni che ne facessero richiesta;
    tale pronta disponibilità e immediata accessibilità dei kit autodiagnostici consente di superare con facilità il pregiudizio sociale che, ancora oggi esiste intorno alla malattia, rendendo assai difficile l’outing del paziente sieropositivo e rischiando di ritardare drammaticamente il momento della diagnosi;
    seppure in ritardo rispetto agli altri Paesi europei, dal dicembre del 2016 il kit di autodiagnosi è finalmente in vendita nelle farmacie italiane, fornendo un significativo aiuto all'emersione del fenomeno della mancata diagnosi di sieropositività (tali casi in Francia sarebbero circa 30.000, quelli italiani tra i 10 e i 20.000) e consentendo così il miglior controllo della diffusione del contagio e il trattamento precoce della positività;
    appare assolutamente evidente come la diffusione dell'utilizzo dei kit da autodiagnosi debba andare di pari passo con il rafforzamento della risposta sanitaria specifica, che consenta l'accertamento definitivo della sieropositività e la sua gestione terapeutica;
    uno sforzo particolare va effettuato nella sistematicità dell'approccio diagnostico in gravidanza, a tutela delle madri e del feto, al fine di eradicare completamente la trasmissione verticale della sieropositività che, purtroppo, non è completamente scomparsa neppure nel nostro Paese;
    parallelamente, si è purtroppo ridotta la sensibilità verso la necessità di azioni di regolamentazione dell'attività di prostituzione maschile e femminile, con il rischio che l'assenza di sistematici controlli sanitari nel settore, associata all'alta incidenza di sieropositività in alcune fasce di offerta e alla elevata richiesta di rapporti non protetti, mantenga comunque abnormemente alta la progressione dei nuovi contagi;
    appare invece importantissimo il rafforzamento delle attività di prevenzione primaria, attraverso la corretta informazione sulle modalità di trasmissione del virus, che indirizzino verso comportamenti sessuali corretti e, in particolare, sulla protezione dei rapporti che si realizzano nel mondo della prostituzione;
    tale azione di prevenzione rischia di restare estremamente difficoltosa sino a quando non verrà regolamentata l'attività di prostituzione, con la realizzazione di un rigoroso sistema di controlli sanitari, a garanzia del soggetto che si prostituisce, ma anche dei fruitori di tale attività;
    tale considerazione ha senz'altro particolare rilievo nel nostro Paese dove si stima che quasi il 95 per cento dell'attività di prostituzione sia esercitata da donne straniere clandestine, circa il 50 per cento delle quali provenienti dai Paesi africani, che presentano più elevata diffusione della sieropositività HIV;
    secondo Richard Horton e Pamela Das, rispettivamente direttore e direttore esecutivo della prestigiosa rivista scientifica « Lancet», con la regolamentazione dell'attività di prostituzione, le nuove infezioni potrebbero complessivamente ridursi nei prossimi 10 anni in una percentuale variabile tra il 33 e il 46 per cento,

impegna il Governo:

1) a potenziare le attività di prevenzione della diffusione della sieropositività da Hiv e di tutte le malattie a trasmissione sessuale, rafforzando le azioni divulgative sulle modalità di contagio e sottolineando la assoluta necessità di protezione dei rapporti sessuali a rischio;
2) a valutare l'opportunità, anche per motivi di carattere sanitario correlati alla attuale recrudescenza di incidenza delle malattie a trasmissione sessuale, di assumere iniziative normative per la regolamentazione e per la sorveglianza sanitaria dell'attività di prostituzione;
3) a promuovere l'informazione sulla necessità della diagnosi precoce della condizione di sieropositività, incentivando l'utilizzo dei kit di autodiagnosi disponibili in farmacia che, grazie alla loro facile disponibilità ed elevata attendibilità, consentono di intercettare anche quella fascia di popolazione a rischio che – a causa di pregiudizi culturali e sociali difficili da superare – non entra in contatto con le strutture sanitarie;
4) ad assumere iniziative per rendere routinaria e sistematica l'attività di screening della Hiv positività nel corso delle varie fasi della gravidanza;
5) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a potenziare non solo il sistema sanitario della presa in carico del paziente sieropositivo, ma anche e soprattutto le strutture socio sanitarie che ne devono fiancheggiare le attività esistenziali, al fine di garantire la miglior inclusione sociale del paziente sieropositivo, ma anche la correttezza dei suoi comportamenti nella circoscrizione di qualsiasi rischio di contagio;
6) a garantire l'adeguata dotazione e diffusione su tutto il territorio nazionale delle strutture di degenza e cura che consentano la gestione ottimale del paziente ammalato di Aids con la prevenzione e il trattamento tempestivo di tutte le possibili complicanze;
7) ad assumere iniziative per potenziare ogni attività di ricerca scientifica e di collaborazione medica con le autorità sanitarie internazionali e con quelle dei Paesi con maggior incidenza e prevalenza della malattia per favorire le attività di educazione e prevenzione che circoscrivano la diffusione del virus Hiv, per favorire la diagnosi precoce e per garantire l'accesso alle cure del maggior numero possibile di pazienti sieropositivi e ammalati;
8) ad unificare ed omogeneizzare i percorsi di raccolta delle informazioni su Hiv positività e Aids che hanno come riferimento l'Istituto superiore di sanità.
(1-01572) «Vargiu, Monchiero, Matarrese, Molea, Mazziotti Di Celso, Dambruoso, Librandi, Quintarelli, Mucci, Galgano, Oliaro».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il progetto Trans Adriatic pipeline (TAP) prevede la costruzione di un gasdotto lungo 871 chilometri per il trasporto di gas naturale dalla regione caspica alla costa meridionale della Puglia;
   il percorso del gas, trasportato mediante una condotta in acciaio, prevede una competenza italiana di circa 50 chilometri, di cui 45 offshore e 8 onshore. È previsto che quest'ultimo tratto si concluda presso il terminale di ricezione del gas ubicato nella località turistica di San Foca, in prossimità del comune di Melendugno (Lecce);
   la regione Puglia e le istituzioni locali hanno comunicato in diverse occasioni la propria contrarietà a quest'opera. Così come è netta la contrarietà delle numerose associazioni ambientaliste e stakeholder (pesca e turismo) alla realizzazione del gasdotto;
   detta infrastruttura, ad alto impatto ambientale, comprometterebbe definitivamente un paesaggio e un territorio di pregio, segnandolo dal punto di vista ambientale, con conseguenze pesanti anche sul comparto turistico. I lavori prevedono, inoltre, anche un micro tunnel in zona carsica e ad alto rischio idrogeologico;
   è di queste settimane la forte protesta nel cantiere, da parte di associazioni e cittadini contro la realizzazione del gasdotto TAP, in conseguenza del quale a Melendugno si stanno sradicando moltissimi ulivi per consentire la prosecuzione dei lavori. I lavori in corso riguardano 215 ulivi, ma a lavori conclusi si prevede che saranno espiantati oltre duemila alberi. E sono gli stessi tecnici a dubitare fortemente circa la possibilità che questi ulivi possano essere ripiantati dov'erano;
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative per interrompere i lavori dell'infrastruttura e riavviare immediatamente le procedure di consultazione con le comunità locali.
(2-01742) «Duranti, Zaratti, Sannicandro, Kronbichler».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia che in Russia senza neppure attendere la sentenza della Corte suprema, in molte province russe, la polizia ha cominciato a chiudere i luoghi di culto dei Testimoni di Geova, facendo scendere un velo oscuro sulla società che ricorda i tempi del più oscuro stalinismo;
   il 21 febbraio 2017 il Ministero della giustizia della Federazione russa ha emesso una nuova ingiunzione nei confronti del centro amministrativo dei Testimoni di Geova in Russia;
   il Ministero ha ordinato al Centro amministrativo di fornire informazioni su tutte le 2.277 congregazioni dei Testimoni di Geova in Russia;
   il Ministero della giustizia ha emesso questa ingiunzione mentre stava conducendo un'ispezione del Centro amministrativo per ordine della Procura generale. Durante questa indagine le autorità si erano concentrate solo sugli enti giuridici usati dai Testimoni di Geova;
   il 7 febbraio 2017 il Ministero della giustizia ha terminato l'ispezione e ha concluso che il Centro amministrativo avrebbe violato la legge e risulterebbe coinvolto in «attività estremiste»;
   il 15 marzo 2017 la Corte suprema ha comunicato sul suo sito ufficiale di aver ricevuto l'istanza presentata dal Ministero della giustizia. Il Centro amministrativo è stato in seguito informato che la Corte suprema prenderà in esame tale istanza e che l'udienza è stata fissata per il 5 aprile 2017 alle ore 10:00;
   se la Corte suprema accogliesse l'istanza presentata dal Ministero della giustizia, per i Testimoni di Geova della Russia le conseguenze sarebbero disastrose. Le proprietà usate per le loro attività religiose potrebbero essere confiscate, quasi 400 enti legali potrebbero essere sciolti e più di 170.000 Testimoni potrebbero essere perseguiti solo perché tengono riunioni religiose, leggono la Bibbia insieme o parlano ad altri della propria fede;
   i Testimoni di Geova di tutto il mondo sono gravemente preoccupati per i loro compagni di fede in Russia;
   sulla base delle ultime azioni intraprese dalle autorità, i Testimoni di Geova temono che la Procura generale si stia muovendo non solo per sciogliere tutti gli enti giuridici dei Testimoni di Geova in Russia, ma anche per mettere fuori legge i Testimoni di Geova in tutta la Federazione Russa;
   i vertici dei Testimoni di Geova di tutto il mondo hanno invitato persone di ogni nazione ad inviare una lettera alle autorità russe, a Putin, al presidente della Corte suprema russa e ad altri per chiedere loro di non mettere al bando i Testimoni di Geova e rispettare la libertà religiosa;
   la magistratura russa accusa i Testimoni di Geova di «estremismo religioso», settarismo, «incitamento all'isolamento sociale» e di minare l'armonia della società, dividere le famiglie e indottrinare i più giovani. Vieta inoltre le pubblicazioni dei Testimoni di Geova, considerate «sediziose», perché «dipingono le altre religioni in chiave negativa» o invitano gli uomini a evitare il servizio militare;
   la Costituzione della Federazione Russa, all'articolo 28 garantisce la libertà di religione, incluso il diritto di professare una fede individualmente, collettivamente o di non professarla affatto, di scegliere liberamente, di avere e diffondere credenze religiose e, all'articolo 30, sancisce che ogni individuo gode del diritto alla libertà di associazione; i Testimoni di Geova sono legalmente riconosciuti in oltre 220 nazioni del mondo; le loro attività religiose sono pacifiche e rispettose delle libertà altrui e della legge come ha avuto modo di affermare la Corte europea dei diritti dell'uomo in oltre 47 sentenze –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda assumere iniziative diplomatiche volte a sensibilizzare il Governo russo a rispettare le professioni religiose presenti nel territorio russo.
(2-01744) «Rostellato, Lacquaniti, Oliverio, Paola Boldrini, Tidei».

Interrogazione a risposta scritta:


   PIAZZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel 2005 un gruppo di 91 lavoratori veniva assunto tramite agenzia interinale «obiettivo lavoro» per svolgere le mansioni di autisti-soccorritori per conto dell'azienda Ares 118, con contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato della durata di tre mesi, più volte prorogato;
   dal 10 agosto 2006 al 9 agosto 2009 questi ultimi stipulano contratto di lavoro a tempo determinato con la Croce rossa italiana, per lo svolgimento delle medesime mansioni. Seguono anche in questo caso numerose proroghe, l'ultima delle quali scaduta il 30 settembre 2011;
   nel frattempo la Croce rossa italiana diffondeva tra i propri dipendenti un avviso pubblico per la stabilizzazione del personale ai sensi dell'articolo, comma 519, della legge n. 296 del 2006, per partecipare al quale i lavoratori in questione presentavano domanda;
   analoga domanda veniva presentata per partecipare al procedimento di stabilizzazione ai sensi dell'articolo 2, commi 366 e 367, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, anche esso bandito con avviso pubblico diramato dalla Croce rossa italiana;
   con domande inviate alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la funzione pubblica – in data 27 maggio e in data 10 luglio 2013, veniva chiesta formalmente l'attivazione delle procedure selettive prodromiche alla stabilizzazione, chiedendo, in subordine, l'avvio delle procedure di stabilizzazione con l'adozione di tutti i provvedimenti necessari;
   alla data attuale una parte di questi lavoratori ha visto riconosciuto il diritto alla stabilizzazione, mentre un altro gruppo non ha visto conclusione positiva di questo iter, pur versando nelle medesime condizioni;
   il tribunale di Roma, IV, sezione lavoro, con sentenza emessa in data 19 febbraio 2015 (n. registro 17053/2013) ha riconosciuto ai lavoratori ivi ricorrenti per la stabilizzazione ex articolo 1, comma 519, della legge n. 296 del 2006, tale diritto, con contestuale condanna della Croce rossa italiana ad immettere gli stessi nelle qualifiche possedute a decorrere dal 31 maggio 2008;
   il Tar del Lazio, I sezione, con sentenza emessa in data 1o dicembre 2015, n. 13527, ha accolto ricorso dei lavoratori ivi ricorrenti, limitatamente alla declaratoria dell'obbligo per la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per la funzione pubblica – di provvedere, con provvedimento formale sulle istanze dei ricorrenti, nel termine non superiore a sessanta giorni dalla notificazione o dalla comunicazione, se anteriore, del provvedimento in questione;
   in data 30 giugno 2016, essendo ampiamente scaduto il termine di cui sopra, i ricorrenti chiedevano alle amministrazioni interessate (tra cui i destinatari della presente interrogazione) l'emissione di un provvedimento in ordine alla citata sentenza del Tar e, in particolare, l'avvio delle procedure selettive prodromiche alla stabilizzazione ovvero comunque l'avvio delle procedure con l'adozione di tutti i provvedimenti necessari;
   il Tar del Lazio, I sezione, in seguito a tale richiesta, ha emesso ordinanza collegiale n. 8743/2016 pubblicata il 28 luglio 2016 con la quale è stato nominato commissario ad acta per l'ottemperanza della sentenza n. 13527/2015 il capo dipartimento della funzione pubblica, con facoltà di delega ad eventuale dirigente generale, affinché superi l'inerzia con pronuncia non elusiva entro il 27 ottobre 2016;
   risultando tale termine ampiamente scaduto, i ricorrenti hanno presentato nuova istanza al Tar per la revoca dell'attuale commissario ad acta e per provvedere alla nuova nomina –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, pronunciarsi in maniera chiara e compiuta sulla questione, dando luogo per gli aventi diritto all'avvio delle procedure di stabilizzazione più volte citate.
(4-16147)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DADONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 gennaio 2017 l'interrogante presentava un'interrogazione in riferimento all'avvio da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione sull'Acna di Cengio n. 2009/4426 posto che la realizzazione di discariche richiede tanto l'acquisizione del parere favorevole del Comitato regionale di VIA quanto il rispetto delle direttive 1999/31/CE e 2008/98/CE (Interrogazione n. 5-10414);
   ad oggi non risulta pervenuta alcuna risposta da parte del Ministero;
   l'Arpal ha inviato al consigliere regionale ligure Andrea Melis informativa sulle rilevazioni eseguite nell'area esterna al sito dell'ex Acna di Cengio ma interna al Sin posta tra la strada provinciale e il tracciato ferroviario;
   tali rilevazioni appaiono allarmanti in quanto risulta che gli esiti dei campioni di acque sotterranee evidenziano elevate concentrazioni di contaminanti univocamente riferibili all'ex Acna quali clorobenzeni, nitroclorobenzeni e altro. In particolare si rilevano altissime concentrazioni di clorobenzeni (concentrazioni variabili da 17.000 a 3.600 ug/l a fronte di un limite pari a 40 ug/l);
   gli esiti dei monitoraggi eseguiti da Syndal nei mesi di aprile e maggio 2016 nell'area denominata «Basso Piave Esterna», poi, evidenzierebbero, a quanto consta all'interrogante, concentrazioni superiori alle CSC normative. Anche in questo caso, le concentrazioni di clorobenzene variano da decine di ug/l ad alcune centinaia;
   si è individuato, quindi, un tratto di fiume prospiciente l'area «Basso Piave Esterna» in cui si determina un incremento di concentrazioni di clorobenzene. In questa area vi sono concentrazioni nell'ordine di migliaia ug/l nell'area Merlo, nell'ordine di centinaia nell'area «Basso Piave Esterna» e di unità nelle acque superficiali del fiume Bormida;
   si sottolinea, inoltre, come questa falda sia stata segnalata alle autorità competenti;
   in data 15 dicembre 2016 la provincia di Savona ha emesso ordinanza n. 3973 in cui viene ordinato alla società Syndial Servizi Ambientali Spa di provvedere ai sensi del Titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006 e di intraprendere tutte le misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza necessarie al contenimento e all'isolamento della potenziale contaminazione dell’«Area Merlo» dalle matrici esterne ed adiacenti;
   visto che l'Area Merlo si trova all'interno del Sin, anche il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 304, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, può provvedere in qualsiasi momento ad emettere ordinanza nei confronti della Syndial Servizi Ambientali Spa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative intenda assumere al fine di tutelare la salute dei cittadini della Val Bormida;
   se il Ministro interrogato abbia intenzione, alla luce dell'articolo 304, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, di emettere ordinanza nei confronti della Syndial Servizi Ambientali Spa in cui si obblighi la stessa società ad adottare le specifiche misure considerate necessarie per bonificare l'Area Merlo. (5-11032)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato maggiore della difesa – I reparto – centro unico stipendiale risorse, ha comunicato, allegando l'elenco del personale interessato, che non si è potuto procedere al pagamento nel cedolino nel mese di marzo 2017, attesa la momentanea carenza di risorse finanziarie sul piano di gestione n. 8 del capitolo 4461, sia del compenso forfettario d'impiego (CFI), sia del compenso forfettario di guardia (CFG), relativo alle esigenze dell'anno 2016;
   nella medesima comunicazione viene specificato che il pagamento verrà disposto direttamente con il primo cedolino utile una volta formalizzata la disponibilità di bilancio;
   tale comunicazione crea forte preoccupazione tra il personale interessato in quanto nulla viene riportato in merito a una precisa data entro la quale verranno pagati i compensi sopra richiamati;
   tali ritardi producono gravi effetti negativi per la vita del personale interessato e per loro famiglie, sia dal punto di vista economico, sia da quello dello stress psicologico, con possibili ripercussioni anche sullo svolgimento dell'attività lavorativa;
   più in generale, pur essendo già passati quindici mesi da quando anche al personale delle Forze armate è stato disposto il cedolino unico NoiPa, vengono lamentate ripetute e serie disfunzioni nelle erogazioni delle competenze;
   alla prontezza operativa del personale delle Forze armate non fa riscontro, a quanto consta all'interrogante, un'adeguata tempestività da parte del Ministero dell'economia e delle finanze nell'erogare, per tempo, i fondi necessari al pagamento di quanto dovuto;
   più volte e da ripetuto tempo è già stato sollecitato al Ministro della difesa un deciso intervento per risolvere nell'immediato i problemi burocratici che attanagliano il personale militare –:
   quali iniziative urgenti ed immediate siano state intraprese dal Governo al fine di procedere al pagamento, per il personale interessato, sia del compenso forfettario d'impiego (CFI), sia del compenso forfettario di guardia (CFG), relativo alle esigenze dell'anno 2016 e, comunque, più in generale, al fine di risolvere definitivamente le criticità sopra richiamate dovute ai lamentati ritardi delle amministrazioni competenti;
   quale sia la data precisa in cui sia previsto il pagamento dei suddetti compensi;
   quali iniziative siano previste per fornire la massima comunicazione al personale interessato in merito alla vicenda sopra richiamata, anche per una doverosa opera di trasparenza;
   quali iniziative si intendano intraprendere per evitare che simili ritardi possano ripetersi;
   quali iniziative si intendano adottare affinché le lamentate ripetute disfunzioni del NoiPa non si ripetano nell'immediato futuro. (5-11031)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la lettera a firma del segretario dell'Ugl – viabilità e logistica di Messina, datata 8 febbraio 2017 ed indirizzata, tra gli altri, anche al Ministro interrogato, con la quale si comunica l'inizio di uno stato di agitazione del personale del Consorzio autostrade siciliane per la mancata erogazione dello stipendio di gennaio 2017, evidenzia una situazione di grave problematicità nella quale versano i lavoratori dipendenti del Consorzio che percepiscono le retribuzioni senza alcun carattere di regolarità causando, di conseguenza, notevoli pregiudizi di carattere economico;
   diversi articoli giornalistici riportano, in particolare, che la mancata erogazione dello stipendio di gennaio 2017, qualificandosi come ennesimo episodio di irregolarità, ha spinto l'assemblea dei lavoratori del Consorzio ad intraprendere una serie di azioni di lotta guidate dalle organizzazioni sindacali di Ugl, Sla-Cisal e Cub-Trasporti che, oltre al mancato accredito degli emolumenti, hanno denunciato una situazione di assenza di misure di sicurezza sul posto di lavoro, nonché di relazioni industriali con i vertici consortili;
   con nota del tesoriere Unicredit, avente ad oggetto l'anticipazione di cassa per il pagamento degli stipendi, si comunica che questa è stata autorizzata sino al 31 marzo 2017, subordinando tale pagamento tuttavia, da un lato, ad una formale ratifica dei conti da parte del collegio dei revisori del Consorzio e, dall'altro lato, alla formalizzazione dell'assessorato regionale delle infrastrutture e della mobilità della richiesta del ricorso a tale anticipazione, pur in presenza di un persistente livello critico del quadro contabile-amministrativo del Consorzio. Ciò ha consentito dunque di sbloccare i pagamenti;
   il Consorzio, nel procedere con l'accredito degli stipendi arretrati spettanti ai lavoratori, ha deciso di riferirsi alle entrate accertate nel 2014, il cui bilancio consuntivo è stato approvato, anziché a quelle relative all'esercizio finanziario 2015, che è ancora in corso di definizione;
   il comunicato del Segretario provinciale dell'Ugl – viabilità e logistica, pur dando atto della soddisfazione per il raggiungimento dell'auspicato blocco delle tre mensilità stipendiali in sospeso (gennaio-marzo), ribadisce che la situazione di assoluta criticità nella quale versa il Consorzio impone la prosecuzione della vertenza auspicando, al contempo, l'attivazione di un confronto e l'apertura di un tavolo di mediazione e raffreddamento del conflitto con le competenti istituzioni regionali e la prefettura;
   articoli giornalistici riportano, inoltre, che l'assemblea organizzata dalle citate sigle sindacali ha deliberato un documento con il quale si chiedono le dimissioni del consiglio direttivo del Consorzio per non avere approvato i bilanci consuntivi del 2015 e del 2016 –:
   se intenda fornire gli opportuni chiarimenti in ordine alla vicenda esposta in premessa e, per quanto di competenza, se intenda intraprendere le necessarie iniziative per approfondire le ragioni delle difficoltà strutturali che attanagliano il Consorzio autostrade siciliane, anche al fine di scongiurare reiterazioni nella mancata erogazione degli stipendi ai dipendenti e, comunque a tutela dei lavoratori. (4-16149)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti (Uic) è una onlus con personalità giuridica di diritto privato, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell'interno;
   a seguito del commissariamento, avvenuto nel marzo 2016, dell'intero gruppo Uici siciliano (26 componenti) da parte del consiglio nazionale, il nuovo garante regionale ha commissariato la sede di Messina a causa della presenza di sofferenze finanziarie in un quadro di bilancio negativo. Le sezioni di Trapani e Catania avevano già subito lo stesso provvedimento di commissariamento;
   da quanto risulta agli interpellanti, gli ultimi due anni di passività di bilanci della sezione di Messina scontano pesantemente il dimezzamento del contributo della regione a favore dell'Unione italiana ciechi, che da svariati mesi non riesce a pagare gli stipendi agli impiegati;
   le determinazioni di commissariamento hanno provocato sia al livello regionale sia a quello provinciale dei ricorsi di fronte al giudice ordinario per una sproporzione tra le contestazioni formulate e il tipo di provvedimenti adottati;
   per quanto riguarda la sede di Messina, la decisione del commissario regionale ha causato uno sconvolgimento improvviso nella vita associativa dell'ente ed una reazione di assoluto sgomento per i soci della provincia Uici di Messina e per i molti cittadini frequentatori dell'associazione. Tali sentimenti di sorpresa e rammarico sono stati canalizzati in una assemblea straordinaria permanente durante la quale si sono registrati anche momenti di tensione, con conseguente intervento delle forze dell'ordine;
   i servizi e le attività della sede di Messina, al pari di quelle di Trapani e Catania, come l'integrazione scolastica e lavorativa dei non vedenti e degli ipovedenti, la distribuzione di libri in braille, l'accompagnamento con personale specializzato che segue i bisognosi del trattamento e le visite oculistiche gratuite ai cittadini per monitorare continuamente lo stato della propria vista, rischiano di subire un forte ridimensionamento qualitativo e quantitativo. Infatti, i commissariamenti, sia a livello regionale che provinciale, implicano una gestione verticistica da parte di un funzionario esterno, che per gli interpellanti non può conoscere nel dettaglio ed affrontare con contezza di causa e piena efficacia le situazioni concrete e le storie particolari dei territori siciliani e le peculiari esigenze dei singoli cittadini;
   il compito di vigilanza sull'Uici, che pure si esplica nel rispetto dell'autonomia statutaria, non comporta la facoltà di incidere sulle delibere e contempla il potere di commissariamento governativo ex articolo 15 del decreto-legge n. 98 del 2011 solo nei casi in cui il bilancio non venga deliberato o si verifichino disavanzi per due esercizi consecutivi, è attribuito dalla legge all'Amministrazione dell'interno;
   la questione dei commissariamenti delle articolazioni territoriali dell'Uici in Sicilia ha assunto proporzioni non più trascurabili dall'amministrazione statale, investendo direttamente la politica regionale, il mondo sindacale e quello del libero associazionismo dei cittadini, con specifico riguardo alle province di Catania, Trapani e Messina –:
   quali iniziative il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze, ritenga di adottare nel modo più efficace e rapido e nel quadro e con i limiti sopra ricordati relativamente ai propri poteri di vigilanza, per garantire che i rapporti tra i differenti livelli associativi dell'Unione italiana ciechi e degli ipovedenti (Uici) siano effettivamente, ispirati ai principi costituzionali e statutari di democrazia, equa partecipazione e diritto al contraddittorio e che i provvedimenti adottati dai vertici dell'associazione non pregiudichino lo svolgimento delle iniziative e l'erogazione dei servizi che le sezioni territoriali siciliane dell'Uici quotidianamente hanno garantito e garantiscono ai soci e alla cittadinanza in generale.
(2-01741) «D'Alia, Bosco».

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Ventimiglia è vigente un'ordinanza del sindaco datata agosto 2016 e mai revocata che vieta la somministrazione di cibo e bevande a persone non autorizzate, emessa con l'intento esplicito che ai migranti presenti nel comune in attesa di transito verso la Francia possano essere consegnati generi di conforto fuori dai canali ufficiali;
   appare quantomeno discutibile che tale atto abbia il fine di «eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana». Certo è tuttavia che non può essere ricondotto ai criteri di contingibilità e urgenza, dato che risulta in vigore da 8 mesi senza aver mai prodotto effetti fino al 20 marzo 2017;
   in quella data, infatti, la polizia di Stato, richiamando appunto l'ordinanza del sindaco e di conseguenza l'articolo 650 del codice penale, ha sanzionato tre persone per aver «somministrato senza autorizzazione cibo ai migranti»;
   sembra incredibile all'interrogante che sia richiamato in un verbale della pubblica autorità il divieto non tanto di somministrazione di alimenti in contrasto con la normativa d'igiene, ma il fatto che questi alimenti fossero destinati ad una specifica categoria di persone, i migranti appunto;
   migrante non è peraltro una categoria giuridica riconosciuta dalla normativa italiana e sarebbe quindi curioso sapere sulla base di quale criterio gli ufficiali di polizia abbiano deciso di utilizzarla per giustificare una sanzione, sulla base del codice penale;
   forse la cosa non appare chiara nella sua gravità, ma se fosse accettato che a Ventimiglia sia lecito offrire un pasto ad un turista ma non ad un migrante, ci si troverebbe, per la prima volta, dal dopoguerra, di fronte ad un provvedimento che discrimina esplicitamente sulla base di un criterio che attiene alla condizione soggettiva;
   per essere espliciti, ci si troverebbe, secondo l'interrogante, nello stesso campo determinato dalle leggi razziali del 1938 –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare in merito alla validità dell'ordinanza vigente a Ventimiglia, per tutte le ragioni espresse in premessa;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire presso gli agenti di polizia che hanno disposto la sanzione, per verificare quali siano le ragioni che hanno determinato un simile intervento e le motivazioni, che per l'interrogante risultano inaccettabili, esplicitamente descritte nel verbale;
   se non ritenga che le norme del decreto-legge n. 14 del 2017 possano incentivare l'adozione e l'applicazione di atti analoghi all'ordinanza di cui in premessa. (4-16140)


   FICO e COLONNESE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dagli organi di stampa, a Napoli vi sarebbero famiglie di camorristi risultate assegnatarie di alloggi pubblici, quali ad esempio quelli previsti in conseguenza del progetto di riqualificazione delle Vele di Scampia: fra queste, la famiglia di Davide Francescone, indagato per l'omicidio di Antonio Landieri, ragazzo disabile, una delle tante vittime innocenti della camorra;
   l'assegnazione sarebbe avvenuta a seguito di un parere dell'Avvocatura del comune di Napoli che, contrariamente a quanto stabilito in prima istanza dagli uffici competenti, avrebbe riconosciuto la titolarità del diritto alla casa, nonostante le condanne per reati associativi a carico di componenti dei nuclei familiari assegnatari dell'alloggio pubblico. Secondo l'Avvocatura, infatti, gli assegnatari dei nuovi alloggi di Scampia vedrebbero derivare il proprio diritto da una graduatoria già aperta in passato, senza che la normativa regionale – la legge regionale n. 18 del 1997, come modificata dalla legge n. 13 del 2000 – abbia annoverato la sopravvenuta condanna per reati associativi fra le cause di decadenza dal diritto alla casa. Infine, l'Avvocatura ritiene che il suddetto requisito si applicherebbe esclusivamente, alle procedure di regolarizzazione delle occupazioni abusive, non potendosi estendere per analogia ai subentri e alle nuove assegnazioni;
   di diverso orientamento l'Istituto case popolari e il servizio politiche per la casa del comune di Napoli, secondo cui non soltanto il programma di mobilità abitativa conseguente allo sgombero di Scampia può essere considerato alla stregua di un procedimento di regolarizzazione – dovendosi perciò applicare nella fattispecie il requisito dell'assenza di reati associativi – ma in generale l'esclusione dei nuclei familiari con condannati per reati di camorra dovrebbe essere applicata anche nei procedimenti di subentro e nuova assegnazione di alloggi pubblici, come infatti recentemente avvenuto nel Rione De Gasperi, a Ponticelli;
   essendo stato, tuttavia, l'orientamento degli uffici competenti ritenuto non conforme al dettato normativo da parte dell'Avvocatura municipale, esiste oggi a livello il paradosso per cui famiglie con reati di associazione camorristica sono escluse dalle procedure di regolarizzazione di occupazioni abusive, ma possono legittimamente concorrere per l'assegnazione o per il subentro in alloggi pubblici;
   l'edilizia residenziale pubblica è materia ricondotta alla competenza esclusiva delle regioni, ma avente carattere di «trasversalità», come affermato dalla Corte costituzionale, ex multis, nella sentenza n. 94 del 2007. In questa materia la potestà legislativa esclusiva dello Stato si esplicherebbe nella determinazione della «offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze abitative dei meno abbienti», nonché nella «fissazione dei principi che valgono a garantire l'uniformità dei criteri di assegnazione» degli stessi su tutto il territorio nazionale –:
   se per ragioni di ordine pubblico e nell'ambito di una seria attività di contrasto alla criminalità organizzata i Ministri interrogati non ritengano di dover promuovere – nel rispetto delle proprie competenze e del quadro costituzionale – iniziative per l'introduzione di principi normativi volti a impedire che soggetti appartenenti a clan camorristici possano essere in qualsiasi caso assegnatari di alloggi pubblici su tutto il territorio nazionale, anche alla luce del problema annoso delle occupazioni abusive gestite da organizzazioni criminali, recentemente evocato dal questore di Napoli Antonio De Iesu. (4-16144)


   ANDREA MAESTRI e PAGLIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal 15 al 17 marzo 2017, a Rimini, si è tenuta la 27esima edizione della Mostra internazionale degli apparecchi da intrattenimento e da gioco, «Enada Primavera», la più importante fiera per operatori del Sud Europa;
   in fiera presenziava uno stand Guendalina Femia, condannata in primo grado il 22 febbraio 2017, a 10 anni di carcere per associazione criminale di stampo mafioso e reati collegati al gioco d'azzardo illegale, a conclusione del processo cosiddetto « Black Monkey»;
   non è la prima volta che la donna partecipa alla fiera in veste rappresentativa, anche dopo che l'azienda Starvegas di Guendalina Femia è stata bloccata dall'Unione dei comuni della Bassa Romagna nel 2013, a seguito della conclusione dell'indagine preliminare che ne dispose l'immediata chiusura, sulla base delle informative prefettizie antimafia interdittive emanate dal prefetto di Ravenna;
   in seguito, sempre a Conselice con sede nella medesima villa della «Starvegas di Guendalina Femia», citata nell'ordinanza « Black Monkey» il 20 febbraio 2014, viene iscritta nel registro delle imprese la nuova «Starvegas S.R.L.S.», con socio e amministratore unico Ioan Roxana Gabriela, compagna del fratello di Guendalina, Rocco Maria Nicola Femia – secondo la stampa «almeno fino al momento di chiusura delle indagini» – mantenendo tra i contatti anche quelli della stessa Guendalina (come si può leggere sul sito internet dell'azienda), senza che questo fatto sia stato in nessun modo ostacolato dalle autorità preposte, ai sensi del decreto legislativo n. 159 del 2011 recante il codice delle leggi antimafia;
   Guendalina Femia, quest'anno, era presente allo stand Nankurunaisa, proponendo, tra i vari prodotti:
    la slot Sibille: una scheda elettronica realizzata da Starvegas srls e utilizzata per un apparecchio anche da «Nazionale Elettronica», una nota azienda del gruppo Terrabusi di Faenza (come evidenziato nell'elenco dei modelli certificati dall'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato);
    Pinguini D'Egitto: una scheda elettronica realizzata sempre da Starvegas srls ed utilizzata per un apparecchio da «Star Elettronica», con evidenza sullo stesso documento dall'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;
   a giudizio degli interroganti appare sconcertante che il marchio Star Elettronica, presente allo stand Nankurunaisa, e contemporaneamente presente anche all'interno dello stand di un'azienda col nome evocativo di «Gieffe srl», sia un'unione del logo di quest'ultima e della coccinella presente nel logo di «Starvegas srls»;
   se il Governo non ritenga di adottare iniziative normative al fine di evitare che situazioni quali quelle descritte in premessa possano ripetersi. (4-16150)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   la Fincantieri S.p.a. è uno dei più importanti complessi cantieristici navali del mondo: azienda pubblica italiana, già di proprietà dell'Iri fin dalla sua fondazione, è oggi controllata al 71,6 per cento da Fintecna S.p.A., finanziaria del Ministero dell'economia e delle finanze;
   il cantiere navale di Monfalcone, la cui attuale denominazione è Fincantieri – cantiere navale di Monfalcone, è impegnato nella costruzioni di navi da crociera ad elevato tonnellaggio;
   il 15 marzo 2017 il giudice del lavoro di Gorizia, Barbara Gallo, ha ordinato alla Fincantieri – cantiere navale di Monfalcone il reintegro in servizio di quattro operai un saldatore e tre carpentieri – che nell'ottobre 2016 erano stati licenziati dopo essere stati trovati a riposare durante una pausa del turno di notte;
   i fatti oggetto della sanzione della Fincantieri – cantiere navale di Monfalcone non risultano completamente chiari, altri due dipendenti sono stati solamente sospesi e non licenziati e, secondo i sindacati, la sanzione riguarderebbe dei lavoratori con un curriculum fino ad allora cristallino, senza alcun richiamo, che sarebbero rimasti invischiati in un episodio colmo di malintesi sul fronte della gestione interna delle pause dell'orario di lavoro;
   il giudice del lavoro del tribunale di Gorizia ha comunque accertato l’«illegittimità» dei licenziamenti in quanto sproporzionati e ha disposto l'immediata reintegra dei lavoratori a carico della società Fincantieri – cantiere navale di Monfalcone, condannandola a ricostituire la posizione assicurativa e contributiva dei dipendenti, con adempimento dei relativi oneri, nonché a corrispondere le retribuzioni globali risultanti dalle ultime buste paga emesse a loro favore, dal licenziamento alla reintegra effettiva, oltre al pagamento delle spese legali;
   ad oggi, nonostante il termine di cinque giorni per richiamare in servizio i quattro operai, la Fincantieri – cantiere navale di Monfalcone ha reintegrato i quattro operai solamente nello stipendio, mentre ha comunicato loro di essere «dispensati» dal presentarsi al cantiere senza alcun limite temporale –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, per garantire che avvenga l'immediato e completo reintegro lavorativo dei quattro operai nella Fincantieri – cantiere navale di Monfalcone, azienda con la maggioranza di capitale in mano allo Stato italiano, che in quanto tale deve essere di esempio nel rispetto delle regole e del diritto.
(2-01745) «Pellegrino, Marcon, Airaudo».

Interrogazioni a risposta scritta:


   ALLASIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   già con precedente atto di sindacato ispettivo, l'interrogazione n. 5-10651, tuttora privo di risposta, l'interrogante richiamava l'attenzione del Governo sulla difficile situazione dei 184 lavoratori della Pmt di Pinerolo, azienda dichiarata fallita a fine gennaio 2017;
   il curatore della Pmt Italia, si ricorda, ha avviato l'esercizio provvisorio, con 42 lavoratori impiegati, mentre tutti gli altri sono «sospesi» dal 1o febbraio 2017 in una sorta di limbo che non gli riconosce alcuna forma di sostegno al reddito;
   il 7 marzo 2017 si è tenuto l'incontro al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, tra le istituzioni, le organizzazioni sindacali e la curatela del fallimento in regione Piemonte, per ottenere gli ammortizzatori sociali, purtroppo conclusosi con un esito negativo –:
   se e quali iniziative di propria competenza, promuovendo iniziative per apportare correttivi alla riforma cosiddetta « jobs act», il Ministro interrogato intenda adottare al fine di tutelare tutti quei lavoratori che si ritrovano in situazioni come quella della Pmt di Pinerolo descritta in premessa. (4-16141)


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel 2010 la multinazionale statunitense MedTronic, operante nel settore delle tecnologie biomedicali, acquisisce per 350 milioni di euro (prima tranche, più successivi 150 milioni di euro erogati in un secondo momento perché legati ad obiettivi) l'azienda bresciana Invatec, specializzata in dispositivi per interventi cardiovascolari mini-invasivi;
   al momento dell'acquisizione, Invatec ha un fatturato di 85 milioni di euro, una presenza strutturata sul mercato internazionale, 900 dipendenti, di cui 500 negli stabilimenti di Roncadelle e Torbole Casaglia;
   dopo un anno, MedTronic sviluppa il proprio piano industriale per l'Italia, che prevede la concentrazione su R&S e sulle produzioni a maggiore valore aggiunto, con trasferimento delle altre attività in Messico e conseguente forte ridimensionamento del personale, quantificato in 300 unità da ridurre;
   si apre quindi una fase gestita con esuberi volontari, cassa integrazione ordinaria e straordinaria, contratti di solidarietà, finalizzata a verificare la possibilità di limitare gli esuberi;
   venerdì 24 marzo 2017, tuttavia, l'azienda avvia le procedure di licenziamento collettivo per 125 lavoratori e lavoratrici;
   le organizzazioni sindacali reagiscono comunicando la disponibilità di un cospicuo numero di lavoratori a ridurre il proprio orario di lavoro da 40 a 30 ore settimanali, pur di salvaguardare l'occupazione, senza ancora ottenere una risposta da parte dell'azienda che si sarebbe riservata di pensarci. Seppure la situazione volgesse favorevolmente su questo punto, il problema degli esuberi non sarebbe definitivamente risolto dato che un'eventuale riduzione dell'orario di, lavoro non coprirebbe tutti i licenziamenti;
   appare chiaro agli interroganti che le istituzioni locali e nazionali dovrebbero attivarsi, ciascuna per le proprie competenze, per favorire un accordo che tuteli il lavoro e il mantenimento in Italia di produzioni importanti, nate grazie alla qualità del nostro lavoro e delle nostre infrastrutture materiali e immateriali;
   non può infatti essere accettato che multinazionali straniere acquisiscano aziende capaci di generare profitti importanti, per rilevarne brevetti e portafoglio clienti, salvo poi liquidarne in breve tempo le attività nazionali;
   se questo trend di cui abbiamo ormai troppi esempi, non viene immediatamente interrotto da una diversa azione di Governo, il nostro Paese sarà irrimediabilmente impoverito nella sua base produttiva;
   il caso in esame appare poi particolarmente significativo, visto che l'Italia per MedTronic rappresenta anche un importante mercato e non solo un luogo di produzione;
   è quindi paradossale che si permetta alla società di continuare a lavorare con profitto, vendendo dispositivi al sistema sanitario nazionale, mentre licenzia centinaia di persone in Italia –:
   se anche alla luce dell'esaurimento degli ammortizzatori sociali disponibili, il Governo non intenda intervenire con urgenza per favorire un accordo che tuteli l'occupazione e il futuro a Brescia della filiera del biomedicale. (4-16143)


   AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Dussmann è l'azienda tedesca che a Torino ha vinto l'appalto per i servizi di pulizia, sanificazione e logistica presso la Asl To1 e la Città della salute;
   l'azienda Dussmann ha deciso unilateralmente una riduzione del 33 per cento delle ore di lavoro, in questo modo le lavoratrici e i lavoratori scenderanno sotto le venti ore di lavoro, perderanno il diritto al bonus previsto dal Governo Renzi degli 80 euro, nonché agli assegni familiari. Tali condizioni saranno applicate a che alle nuove assunzioni;
   sono 700 i lavoratori interessati dal nuovo contratto, compresi quelli delle Molinette che già lavorano per la Dussmann a cui è stato chiesto di sottoscrivere lo stesso contratto proposti agli altri;
   i sindacati hanno stigmatizzato l'atteggiamento dell'azienda come intollerabile, visto il rifiuto ad aprire una trattiva e la decisione di volere ricontrattare su base volontaria con ciascun dipendente, una proposta di nuovo contratto con le riduzioni di orari;
   l'azienda Dussmann sta attuando un'azione di forza alla quale le lavoratrici e i lavoratori stanno rispondendo in maniera energica;
   il contratto part-time già in essere non è modificabile senza la firma del lavoratore, che non è obbligato a firmare e qualsiasi azione unilaterale è perseguibile per via legale;
   gli incontri che si sono succeduti in prefettura e in assessorato al lavoro della regione Piemonte non hanno registrato alcun passo in avanti se non un mese di proroga per la trattativa;
   emerge la questione di garanzie efficaci per i dipendenti laddove si verifichino subentri di aziende vincitrici di appalti pubblici che, come nel caso dell'azienda Dussmann procedono come primo atto a richieste di riduzione di orari di lavoro e delle retribuzioni, con contraccolpi sui servizi prestati negli ospedali pubblici relativi a servizi di pulizia, sanificazione e logistica;
   il caso della Dussmann evidenzia come nella gestione degli appalti non siano garantiti i diritti dei lavoratori e che le aggiudicazioni dei servizi producono risparmi ma derivanti dalle ricadute sui lavoratori che subiscono licenziamenti o riduzioni di orari di lavoro e retribuzioni, tale situazione è inaccettabile;
   l'azienda ha dichiarato che ha presentato alle lavoratrici e ai lavoratori un'offerta nel pieno rispetto del capitolato di gara e con parametri economici in linea con quanto previsto dai prezzi di riferimento dell'Anac che, come previsto dalla legge n. 11 del 2011, non sono superabili. Agli interroganti questo appare il punto dirimente della questione: non può essere ammissibile che appalti siano assegnati con parametri economici che portano sicuramente a ricadute pesanti sui lavoratori dei servizi ospedalieri e sui cittadini –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative in merito alla vicenda di cui in premessa, considerato che per gli interroganti, è grave e inaccettabile che, con l'appalto per i servizi di pulizia, sanificazione e logistica presso la Asl To1 e presso l'azienda ospedaliera Città della salute, si proceda ad assegnazioni sulla base di capitolati di gara aventi parametri economici che comportano pesanti ricadute nei confronti delle lavoratrici e lavoratori interessanti;
   se non intendano assumere l'iniziativa di convocare un tavolo istituzionale, coinvolgendo l'azienda Dussmann e le parti sociali, affinché sia chiarita l'impossibilità dell'azienda a modifiche dei contratti part-time già in essere, l'impossibilità di modificare gli stessi senza la firma del lavoratore, e il non obbligo di firmare nuove clausole che prevedano riduzione di ore di lavoro e retribuzione;
   se sulla base dell'esperienza dell'assegnazione dell'appalto all'azienda Dussmann, per i servizi di pulizia, sanificazione e logistica presso la Asl To1 e l'azienda ospedaliera Città della salute e di altre esperienze similari non ritenga necessario ed urgente intervenire anche mediante iniziative normative per garantire i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici nei casi di appalti dei servizi, a partire dalla garanzia del posto di lavoro, del mantenimento dell'orario di lavoro e della retribuzione. (4-16146)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MANTERO, PESCO, SILVIA GIORDANO, COLONNESE, DI VITA, LOREFICE, NESCI e GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il naloxone cloridrato (Narcan) è un farmaco capace di inibire gli effetti dell'intossicazione da stupefacenti, è composto da molecola di sintesi antagonista degli stupefacenti naturali e sintetici, derivata dall'ossimorfone. Somministrato per via endovenosa, l'attività di Narcan è in generale evidente dopo due minuti ed è in grado di bloccare gli effetti dell'overdose: insufficienza respiratoria, analgesia (assenza di percezione del dolore), allucinazioni ed effetti delusionali;
   il naloxone cloridrato è indicato, secondo la Farmacopea Ufficiale tra le «sostanze medicinali» di cui le farmacie debbono essere provviste obbligatoriamente (articolo 123, lettera a) del Testo unico delle leggi sanitarie (Tuls), approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265; articolo 34 del regolamento per il servizio farmaceutico approvato con regio decreto 30 settembre 1938, n. 1706). Le farmacie sono obbligate ad essere provviste del medicinale nei quantitativi ritenuti sufficienti al regolare espletamento del loro servizio;
   dall'elenco dei medicinali attualmente carenti, reso disponibile dall'Aifa sul proprio portale, il naloxone cloridrato risulta carente per «problemi produttivi» dal 20 aprile 2016 e non è prevista una data di presunta fine dall'indisponibilità;
   per carente si intende un «medicinale non disponibile o reperibile in commercio su tutto il territorio nazionale in quanto il titolare A.I.C. non ne assicura la fornitura appropriata e continua in modo da soddisfare le esigenze dei pazienti»;
   nella circolare ministeriale, inviata il 18 giugno 2014, agli operatori della filiera del farmaco (produttori, distributori e farmacie), a Nucleo antisostificazioni e sanità dell'Arma dei Carabinieri e all'Agenzia italiana del farmaco, con la quale il Ministero della salute ha richiamato a una più attenta applicazione delle norme varate con il recente decreto legislativo «anticontraffazioni» (decreto legislativo n. 17 del 2014) per contrastare il fenomeno dell'indisponibilità di farmaci nel circuito distributivo nazionale. Le carenze di tipo produttivo sono gestite istituzionalmente dall'Agenzia italiana del farmaco che provvede a mettere in atto azioni di monitoraggio, pubblicando, tra l'altro, un elenco di farmaci carenti sul portale dell'Agenzia stessa e mettendo in atto le molteplici iniziative finalizzate a ridurre al minimo i tempi tecnici per assicurare la reperibilità dei medicinali e ripristinarne il regolare approvvigionamento –:
   quali siano le azioni intraprese dall'Agenzia italiana del farmaco al fine di assicurare la reperibilità dei medicinali e ripristinarne il regolare approvvigionamento. (5-11029)


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, DI VITA, LOREFICE, NESCI, MANTERO e GRILLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le aree più a rischio corruzione in sanità, indicate dell'Autorità nazionale anticorruzione (Anac) nell'Aggiornamento 2015 al Piano nazionale anticorruzione sono: la selezione del personale (fortemente esposta alle spinte clientelari), la gestione degli accreditamenti e la fornitura di prestazioni (sovrafatturazioni, fatturazione di prestazioni non necessarie, e altro), l'acquisto di beni (dalle modalità di selezione del fornitore fino ai pagamenti), i contratti di opere e lavori, le sperimentazioni dei farmaci, e altro;
   particolare attenzione merita il capitolo degli acquisti di beni e servizi, uno dei settori più interessati da fenomeni corruttivi. In tale ambito, i fattori di rischio presenti nel settore sanitario sono analoghi a quelli osservati nel resto della pubblica amministrazione, con la rilevante differenza che i beni acquistati sono estremamente numerosi, presentano una grande complessità tecnica e sono diversificati per aspetti qualitativi che possono anche incidere oltre che sulla sostenibilità del sistema, anche sull'esito del percorso di cura del paziente;
   la sanità campana è stata segnata da diversi scandali negli ultimi mesi:
    a febbraio 2016 la magistratura contabile ha ipotizzato un danno erariale nella sanità campana di circa 16 milioni di euro, somme indebitamente spese a carico del bilanci della regione Campania;
    a marzo 2016, le indagini sugli appalti dell'Irccs «Pascale» di Napoli hanno rilevato commesse aggiudicate in modo illecito pari a 1.922.000 euro;
   tali vicende evidenziano non solo l'assenza di integrità, ma anche la carenza dei sistemi di controllo da parte dei soggetti a ciò deputati, inappropriatezza organizzativa e gestionale ed un inesatto adempimento da parte dei responsabili prevenzione, corruzione e trasparenze degli obblighi previsti dalla legge, infatti da quanto emerge nel rapporto «Curiamo la corruzione 2016», promosso da Transparency International Italia, il 60 per cento delle aziende sanitarie campane non ha adempiuto agli obblighi anticorruzione;
   nel primo rapporto stilato dall'Agenas sullo stato di attuazione delle azioni adottate dalla sanità pubblica in materia di trasparenza ed integrità emerge che le varie forme di illegalità messe in atto nel settore sanitario non si limitano a sottrarre risorse ai programmi di assistenza, ma minano la fiducia nel sistema di tutela della salute da parte delle persone. Per tale ragione l'affermazione della legalità e dell'integrità nel settore sanitario deve costituire un impegno prioritario per i responsabili delle politiche pubbliche, soprattutto in un momento in cui le istituzioni sono percepite come molto lontane dai loro problemi quotidiani dai cittadini. Le numerose iniziative in corso presso le aziende sanitarie, anche in attuazione delle recenti normative in tema di trasparenza e lotta alla corruzione, impongono un approccio che in nessun caso deve limitarsi a un mero adempimento burocratico, ma che deve porsi l'obiettivo di aumentare il livello di integrità in tutte le aree della sanità, pubblica e privata, anche a difesa della sostenibilità del sistema sanitario;
   il Ministero della salute, l'Anac e l'Agenas, ad aprile 2016, hanno stipulato un protocollo di intesa per condurre in maniera condivisa e congiunta attività di verifica, controllo e valutazione, anche sul campo, circa la corretta e completa implementazione da parte della aziende sanitarie e degli enti assimilati del Servizio sanitario nazionale delle raccomandazioni e degli indirizzi per la predisposizione e attuazione dei piani di prevenzione della corruzione, contenuti nella sezione sanità dell'Aggiornamento 2015 al Piano nazionale anticorruzione di cui alla determinazione dell'Anac n. 12 del 28 ottobre 2015 e nel Piano nazionale anticorruzione 2016;
   per lo svolgimento delle attività contemplate nell'anzidetto protocollo è stato istituito apposito Registro del personale ispettivo cui l'Anac possa attingere al fine di creare una task force per coadiuvare il proprio personale ispettivo al fine di monitorare il grado di attuazione ed implementazione delle misure di trasparenza ed integrità e di prevenzione della corruzione da parte degli enti del Servizio sanitario nazionale –:
   se il Ministro interrogato ritenga, alla luce di quanto esposto in premessa, indispensabile e urgente assumere iniziative di competenza per attivare una task force anticorruzione, in collaborazione con l'Anac, con lo specifico compito di controllare, nell'alveo delle proprie competenze, le attività e l'operato, in primis, dell'Asl Na 1 Centro e dell'Istituito nazionale tumori «Fondazione Pascale» e, in seguito, di ogni altra azienda sanitaria ed ospedaliera della regione Campania, ove ne ricorrano i presupposti. (5-11030)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il 3 marzo 2015, presso il Ministero dello sviluppo economico, si è tenuta la conferenza dei servizi relativa all'ampliamento del deposito costiero di prodotti petroliferi sito a Chioggia — località Val di Rio, gestito dalla Società Costa Bioenergie Srl;
   in merito all'ampliamento dello stabilimento, che si trova a poche centinaia di metri dal centro abitato, si ricorda, in via preliminare, che con il decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5 convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, e successive modificazioni e integrazioni, recante «Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo» agli articoli 57 e 57-bis sono state individuate le infrastrutture e gli insediamenti strategici per i quali, fatte salve le normative in materia ambientale, le autorizzazioni previste all'articolo 1, comma 56, della legge 23 agosto 2004, n. 239, sono rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per gli impianti definiti costieri, d'intesa con le regioni interessate e vista la localizzazione dell'impianto non si esclude un coinvolgimento anche della Commissione per la salvaguardia di Venezia, a detta anche dei soggetti coinvolti nella vicenda;
   infatti, tale deposito sorge sulla laguna sud di Venezia e quindi è sottoposto alla legislazione speciale per la sua tutela. Il mancato coinvolgimento della Commissione è stato segnalato al Ministero dello sviluppo economico, curatore primo della procedura di autorizzazione dell'impianto, ma anche al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, non solo perché contitolare del potere di autorizzazione, quanto piuttosto perché titolare primo, tra gli altri ministeri, delle competenze governative per la salvaguardia di Venezia in attuazione della legislazione speciale;
   la società Costa Bioenergie srl, subentrata nella titolarità dell'autorizzazione per l'installazione di un deposito costiero di gasolio ed oli lubrificanti destinati al servizio di bunkeraggio per la flotta peschereccia e il naviglio locale della capacità di 1.350 metri cubi, da realizzarsi su terreno privato ricadente in area portuale del comune di Chioggia, già rilasciata alla società Costa Petroli con il decreto ministeriale n. 17369 del 21 maggio 2013, con istanza in data 8 aprile 2014 ha chiesto di essere autorizzata a modificare il deposito portando la capacità complessiva a 10.350 metri cubi di oli minerali mediante l'installazione di n. 3 serbatoi tumulati da 3.000 metri cubi ciascuno per GPL;
   le quantità di sostanze pericolose trattate in tale stabilimento sono davvero notevoli, per questo è stato classificato come stabilimento soggetto agli adempimenti di cui agli articoli 6, 7 ed 8 del decreto legislativo n. 334 del 1999 (la cosiddetta normativa «Seveso» le cui finalità sono quelle di fissare azioni, misure e controlli grazie al fine di prevenire i così detti «incidenti rilevanti» e ridurne gli eventuali effetti in modo tale da limitarne gli impatti;
   con riferimento alla pericolosità potenziale dell'impianto, proprio in questi giorni, su diversi articoli della stampa locale, viene espressa tutta la preoccupazione della collettività che, attraverso manifestazioni e comitati intende tutelare la salute e l'ambiente;
   la Conferenza di cui sopra si conclude, comunque, positivamente e viene concessa l'autorizzazione all'ampliamento del deposito costiero: ma, avverso il decreto interministeriale n. 17407 del 26 maggio 2015, che ha autorizzato la società Costa Bioenergie all'aumento della capacità di stoccaggio, il comune di Chioggia ha proposto ricorso al Presidente della Repubblica, datato 15 gennaio 2016, per ottenere l'annullamento del provvedimento in relazione al quale il Consiglio di Stato ha espresso il parere che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile in quanto la materia è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;
   sempre in materia è stato di recente dichiarato irricevibile il ricorso presentato al Tar da parte del Comitato per il No. Il Tar si legge testualmente nella nota pubblicata da diversi giornali, è giunto alla conclusione che: «elementi gravi, precisi e concordanti inducono a ritenere il ricorso tardivo, poiché proposto quando oramai erano spirati i termini di decadenza...»;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano verificare la legittimità di tutto l’iter autorizzativo dell'impianto di stoccaggio Gpl in Val Da Rio al fine di verificare innanzitutto, vista l'estrema vicinanza con il centro abitato, se esso non pregiudichi effettivamente la sicurezza pubblica per tutto l'abitato di Chioggia;
   se i Ministri interpellati, per quanto di competenza, non intendano rivedere l'iter autorizzativo di cui sopra in relazione alla sua «compatibilità e congruenza con la legislazione speciale».
(2-01743) «Pastorelli, Locatelli, Marzano, Furnari, Turco, Prodani, Labriola, Bruno, Lo Monte, Segoni, Baldassarre, Prataviera, Bechis, Vezzali, D'Agostino, Vecchio, Pisicchio».

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPARINI, BORGHESI, INVERNIZZI, ALLASIA, RONDINI, SIMONETTI, MOLTENI e GUIDESI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le onde dei ponti radio che governano il dialogo tra i server dei comandi di polizia locale e le oltre 1.500 telecamere che sorvegliano i comuni della provincia di Brescia;
   gli indirizzi diramati dalle prefetture confermano l'operatività del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259 del 2003) che impone «per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica di ottenere il rilascio da parte del Ministero dello sviluppo economico, di un'autorizzazione generale». I comuni devono presentare al suddetto Ministero una dichiarazione per l'intenzione di installare o esercitare una rete di comunicazione elettronica ad uso privato, ovvero una «segnalazione certificata di inizio attività», facendo scattare i 60 giorni in cui il Ministero verifica d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti e dispone, se del caso, con provvedimento motivato, il divieto di prosecuzione dell'attività. In parallelo, va presentata al Ministero dello sviluppo economico una dichiarazione contenente l'intenzione di installare o esercire una rete di comunicazione elettronica ad uso privato, il progetto tecnico, la dichiarazione antimafia, i versamenti per il primo anno da cui decorre l'autorizzazione;
   la circolare AF-3-2017 emessa il 24 febbraio dal Ministero dello sviluppo economico, richiamandosi ad una vecchia norma, impone ai comuni la tassa per la concessione governativa, equiparando i sistemi di video sorveglianza istituzionali a quelli privati e pertanto sottoposti alla normativa dettata dal codice delle comunicazioni elettroniche;
   la regione Lombardia che in due anni ha speso 1,8 milioni di euro per finanziare 641 impianti di videosorveglianza, ha protestato contro la circolare che ritiene «erronea, assurda, arbitraria in ordine di formulazione nella circolare e comunque da cambiare»;
   nei patti per la sicurezza siglati dai comuni in prefettura non vi era alcun riferimento a questi ulteriori oneri –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per esentare gli enti locali dal pagamento della tassa per la concessione governativa e per semplificare l’iter autorizzativo per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica.
(4-16142)


   SAMMARCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Tirrenia di Navigazione S.p.a. (ex compagnia pubblica) è come noto, sottoposta – a seguito del provvedimento del tribunale fallimentare di Roma del 2013 – a una procedura concorsuale liquidatoria ai sensi di quanto disposto dall'articolo 73 del decreto legislativo n. 270 del 1999;
   la società è stata acquisita totalmente a partire dalla fine del 2015 dalla Compagnia italiana di Navigazione S.p.a. di proprietà di Vincenzo Onorato che ha, conseguentemente anche rilevato i debiti della precedente gestione;
   in ottemperanza alla disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (decreto legislativo 8 luglio 1999 n. 270) l'andamento della gestione della società è sottoposta al controllo del Ministero dello sviluppo economico. L'amministrazione straordinaria è tenuta infatti a presentare relazioni trimestrali o semestrali in ossequio al dettato del articolo 61, comma 2 del decreto legislativo n. 270 del 1999;
   la settima relazione ufficiale riferisce l'attività compiuta dal 1o gennaio 2016 al 30 giugno 2016 e riporta crediti da riscuotere nei confronti della Compagnia italiana di navigazione pari a 180 milioni di euro;
   si tratta, in particolare, di tre rate rispettivamente da 55, 60 e 65 milioni di euro. Il termine per adempiere al pagamento delle stesse è fissato al 30 aprile del 2016 per la prima, al 30 aprile 2020 per la seconda e al 30 aprile 2021 per la terza;
   secondo quanto riportato dalla relazione, però, Compagnia italiana di navigazione non ha mai provveduto al pagamento della rata ormai scaduta del 2016, adducendo come motivazione la mancata conclusione di una procedura di infrazione, avviata nel 2011 dall'Unione europea per aiuti di stato a favore dell'ormai ex compagnia di bandiera;
   a seguito di questa presa di posizione, Tirrenia ha riportato la volontà di agire per tutelare al meglio i propri interessi anche in sede legale;
   non risultano però, ulteriori documenti ufficiali a riguardo e, anzi, secondo quanto riportato da un articolo de Il Fatto Quotidiano del 20 marzo 2017, la società starebbe sottoponendo ad alcuni fondi d'investimento di private equity l'acquisizione del credito residuo nei confronti di Cin-Onorato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'andamento della gestione della Tirrenia di Navigazione S.p.A. in amministrazione straordinaria successiva alla data del 30 giugno 2016 e, qualora, le indiscrezioni giornalistiche siano fondate e sia confermata la scelta di Tirrenia di non procedere nei confronti di Compagnia italiana di navigazione per ottenere il recupero dei 180 milioni di euro, come ritenga che questa decisione possa tutelare al meglio l'interesse pubblico, oltre che quello dei contribuenti e dei creditori.
(4-16145)


   ARLOTTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 5 marzo 2008 è stato sottoscritto l'accordo di collaborazione in materia radiotelevisiva fra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo della Repubblica di San Marino fatto a Roma, ratificato dal Parlamento;
   la Rai, concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo italiano, è socia al 50 per cento del capitale sociale della concessionaria pubblica Sammarinese San Marino RTV Spa richiamata nei predetti accordi;
   l'articolo 9 della legge 198 del 2016 pone il limite massimo retributivo di euro 240.000,00 annui di cui all'articolo 13 della legge n. 89 del 2014 per gli amministratori ed il personale dipendente del soggetto affidatario del servizio radiotelevisivo/multimediale italiano –:
   quali iniziative il Governo e il Ministro interrogato abbiano adottato o intendano adottare circa il rispetto degli accordi internazionali di collaborazione in materia radiotelevisiva tra Italia e Repubblica di San Marino ed in particolare se corrisponda al vero la designazione sin dal 2008 da parte del Consiglio di amministrazione della Rai dei direttori generali della San Marino RTV Spa individuati tra il personale già alle dipendenze della socia Italiana;
   se corrisponda al vero lo svolgimento della prestazione di servizio dei direttori, generali della RTV Spa in carico alla RAI ed in regime di distacco presso la partecipata Sammarinese;
   se corrisponda al vero la corretta ripartizione dell'ammontare relativo alla retribuzione ed ai relativi oneri dei direttori generali della società Sammarinese in misura del 50 per cento tra Rai Radiotelevisione Italiana e San Marino RTV;
   quale sia l'ammontare dei trattamenti economici lordi corrisposti ai direttori generali della San Marino RTV Spa sin dal 2008;
   quale sia l'ammontare degli importi erogati sin dal 2008 dalla RAI ai direttori generali della RTV Spa e delle somme eventualmente rimborsate alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo italiano a tale titolo. (4-16148)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Lenzi e altri n. 1-01437, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Miotto, Carnevali.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Nicchi e altri n. 4-16135, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 marzo 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Roberta Agostini, Albini, Bersani, Franco Bordo, Capodicasa, Cimbro, D'Attorre, Duranti, Epifani, Fava, Ferrara, Folino, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Laforgia, Leva, Martelli, Matarrelli, Melilla, Mognato, Murer, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Rostan, Sannicandro, Speranza, Stumpo, Zaccagnini, Zaratti, Zoggia.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Di Vita n. 1-00293, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 143 del 21 dicembre 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    il 1o dicembre di ogni anno si celebra la giornata mondiale per la lotta contro l'AIDS;
    l'infezione da HIV continua a propagarsi e l'Aids rimane la pandemia che miete più vittime al mondo; tutti i Paesi ONU si sono impegnati formalmente, attraverso la rete Unaids e in particolare il progetto «Getting to Zero 2011-2015», a ridurre a zero le nuove infezioni da HIV, entro il 2015;
    il rapporto Unaids «Global Report 2013 – Getting to Zero» sottolinea come la percentuale globale delle infezioni e dei decessi per HIV siano diminuiti per la maggiore disponibilità di accesso alle cure: le morti relative all'AIDS sono passate da 2,3 milioni nel 2005 a 1,6 milioni del 2012. Nel 2011 le persone con AIDS erano 5 milioni, nel 2012 sono divenuti 2.3 milioni;
    con la strategia Unaids 2016-2021, si è definito il quadro della politica di sviluppo globale nel corso dei prossimi 15 anni, che prevede, tra l'altro, l'obiettivo di porre fine all'epidemia di AIDS entro il 2030;
    i dati relativi all'Italia, raccolti ed elaborati dal 1984 dall'Istituto superiore di sanità, vengono pubblicati sul sito del centro operativo AIDS (COA);
    la relazione sull'AIDS 2015, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, della legge 5 giugno 1990, n. 135, è stata inviata al Parlamento il 16 novembre 2016 e illustra le attività svolte dal Ministero della salute nell'ambito dell'informazione, prevenzione, assistenza e attuazione di progetti relativi all'Hiv/Aids;
    nella relazione si legge che, secondo i dati dell'ultimo report UNAIDS (Joint United Nations Programme on HIV and AIDS), nel 2015 ci sono state, in tutto il mondo, oltre 2 milioni di nuove diagnosi di infezione da HIV e sono 36,7 milioni le persone che vivono con l'infezione da HIV. Gli ultimi dati forniti dall'Ecdc (Centro europeo per il controllo delle malattie), riferiti al 2014, riportano circa 30.000 nuove diagnosi di infezione da HIV nei 31 Paesi dell'Unione europea ed European economic area (EU/EEA);
    in quanto Stato membro dell'Onu, l'Italia aderisce agli obiettivi Unaids per la sconfitta del virus entro il 2030, che prevedono, tra l'altro, di rendere consapevoli del proprio stato sierologico il 90 per cento delle persone con Hiv. Oggi invece, nel nostro Paese, almeno una persona con Hiv su 4 non conosce il proprio stato sierologico e circa la metà delle persone che hanno contratto il virus scopre molto tardi il proprio stato, fattore che pregiudica l'efficacia delle terapie e che può favorire la diffusione del virus;
    nel 2014 sono stati diagnosticati 858 nuovi casi di AIDS segnalati entro giugno 2015, pari a un'incidenza di 1,4 per 100.000 residenti. Dopo il Portogallo, l'Italia presenta la più alta incidenza di nuovi casi di AIDS tra i Paesi dell'Europa occidentale. In totale, 43.028 persone risultano decedute al 31 dicembre 2014. Il numero annuale di nuovi casi di AIDS al 31 dicembre 2014 è di 67.369 casi;
    il nostro Paese, con un'incidenza del 6,1 per 100.000 abitanti, si posizionava nel 2014 al 12o posto rispetto ad altri Paesi dell'Europa occidentale. I dati sono stati aggiornati dall'Istituto superiore di sanità nell'ultimo «Notiziario dell'ISS (Volume 29 – Numero 9, Supplemento 1 – 2016), Aggiornamento delle nuove diagnosi di infezione da HIV e dei casi di Aids in Italia al 31 dicembre 2015», che riporta i dati sulle nuove diagnosi di infezione da HIV e sui casi di Aids segnalati in Italia aggiornati a dicembre 2015. Tali dati portano invece l'Italia al 13o posto in termini di incidenza HIV tra le nazioni europee, registrando un lieve calo delle diagnosi di HIV e di casi di Aids;
    nel notiziario dell'ISS citato si legge che, dall'inizio dell'epidemia, nel 1982, a oggi sono stati segnalati oltre 68.000 casi di AIDS, di cui oltre 43.000 deceduti. Nel 2015 sono stati diagnosticati 789 nuovi casi di AIDS pari a un'incidenza di 1,4 nuovi casi per 100.000 residenti;
    le persone che hanno scoperto di essere HIV positive nel 2015 sono maschi nel 77,4 per cento dei casi. L'età mediana era di 39 anni per i maschi e 36 anni per le femmine. L'incidenza più alta è stata osservata nella fascia d'età 25-29 anni (15,4 nuovi casi ogni 100.000 residenti). Nel 2015 la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da HIV è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono l'85,5 per cento di tutte le segnalazioni: eterosessuali 44,9 per cento, maschi che fanno sesso con maschi 40,6 per cento;
    nel 2015, il 28,8 per cento delle persone diagnosticate come HIV positive era di nazionalità straniera. Nello stesso anno l'incidenza è stata di 4,3 nuovi casi ogni 100.000 tra italiani residenti e di 18,9 nuovi casi ogni 100.000 tra stranieri residenti. Le incidenze più elevate tra stranieri sono state osservate in Abruzzo, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna;
    nel 2015, il 36,6 per cento delle persone con una nuova diagnosi di infezione da HIV è stato diagnosticato con un numero di linfociti CD4 inferiore a 200 cell/μL e il 54,5 per cento con un numero inferiore a 350 cell/μL. In Piemonte e nella Provincia autonoma di Trento l'esecuzione del test di avidità anticorpale, che permette con una buona approssimazione di identificare le infezioni recenti, ha evidenziato che nel 2015 il 17,3 per cento delle persone con una nuova diagnosi di infezione da HIV aveva verosimilmente acquisito l'infezione nei 6 mesi precedenti la prima diagnosi di HIV positività;
    nel 2015, il 32,4 per cento delle persone con una nuova diagnosi di infezione da HIV aveva eseguito il test HIV per la presenza di sintomi HIV-correlati, il 27,6 per cento in seguito a un comportamento a rischio non specificato;
    la recente indagine condotta da Doxa per il Cesvi, ha rilevato che in Italia sono soprattutto i giovani a sottovalutare i rischi della malattia: 1 su 3 pensa che esiste, ma è tenuta sotto controllo e non fa quasi più vittime, 1 giovane su 5 è a rischio, perché non ne ha sentito parlare a scuola e solo raramente sui media. Solo il 35 per cento dei ragazzi e ragazze in Italia, nonostante sappiano perfettamente che la via di trasmissione principale è quella sessuale, usa abitualmente il preservativo nelle proprie relazioni e solo il 29 per cento dichiara di aver fatto il test dell'HIV. Le giovani donne si espongono maggiormente al rischio, sentendosi protette da una relazione stabile;
    i dati suddetti sono soprattutto la diretta conseguenza della mancanza di qualsiasi forma di educazione alla sessualità nelle scuole, ed in particolare del tabù che continua a limitare l'uso del preservativo. La scuola è invece il luogo privilegiato per attuare un metodo partecipativo, che consenta di raggiungere obiettivi comportamentali che siano determinanti nel prevenire e conservare la salute. Nelle scuole e nelle università si registra, di contro, la totale mancanza di distributori di preservativi; acquistarli risulta poi ancora troppo caro per un'ampia fascia di cittadini;
    il preservativo maschile e femminile, unico metodo per prevenire tutte le malattie a trasmissione sessuale ed insieme le gravidanze non desiderate, è un presidio sanitario; per tale ragione deve esserne garantita l'accessibilità a tutti; elencare i preservativi tra i farmaci prescrivibili, effettuare campagne nelle scuole e per il pubblico generalista, inserire l'educazione alla sessualità (utile anche contro la discriminazione di genere e per l'orientamento sessuale), sono la base minima per una politica seria per la salute della popolazione relativa alle malattie sessualmente trasmissibili;
    quanto al mondo lavorativo, poi, l'infezione da HIV non è tuttora considerata una normale patologia cronica appartenente alla categoria delle malattie sessualmente trasmissibili. Anche in questo campo, a causa della disinformazione, questa malattia provoca un processo di stigmatizzazione e discriminazione: licenziamenti, trasferimenti e cambi di mansioni del tutto illegittimi e immotivati;
    la riduzione degli ostacoli per l'accesso al test per l'HIV e la conseguente diagnosi precoce rappresentano l'unica possibilità per offrire adeguate cure al sieropositivo, tant’è che in data 22 novembre 2012, in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, è stato stipulato «l'Accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sulla proposta del Ministro della salute di linee guida per l'utilizzo da parte delle regioni e province autonome delle risorse vincolate, ai sensi dell'articolo 1, commi 34 e 34-bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale per l'anno 2012», che prevede l'erogazione alle regioni di fondi funzionalizzati alla realizzazione di progetti finalizzati alla prevenzione e al contrasto della diffusione dell'HIV (linea progettuale 3: diagnosi di infezione da HIV) con una dotazione di 15 milioni di euro;
    un'analisi condotta di recente da cittadini («Cittadinanza attiva» e «LILA») ha evidenziato molte incongruenze tra i progetti presentati dalle regioni sulla «linea progettuale 3: diagnosi di infezione da HIV» e gli obiettivi definiti dall'accordo citato, tant’è che gli stessi hanno sollecitato gli organi preposti, affinché vigilino sul corretto utilizzo dei fondi dedicati;
    numerosi nuovi casi di sieropositività potrebbero essere facilmente scongiurati, attraverso l'informazione e i comportamenti corretti: attività di prevenzione fondamentale, con programmi di educazione sanitaria della popolazione, rivolti ai giovani in particolare, garantiti nel tempo e costanti nella loro applicazione;
    l'Italia si è recentemente dotata di un Piano nazionale di interventi contro l'Hiv e l'Aids, valido per il triennio 2017-2019, da poco inviato dal Ministero della salute alle regioni per essere esaminato in sede di Conferenza Stato-regioni. Tra i temi principali oggetto del piano vi è quello dell'informazione, della prevenzione innovativa, dell'accesso al test Hiv e ai trattamenti, del mantenimento in cura, della TasP, della lotta allo stigma e alle discriminazioni;
    tra i principali obiettivi del Piano nazionale di interventi contro l'Hiv e l'Aids c’è quello di ampliare e facilitare l'accesso al test per incrementare i casi di Hiv diagnosticati, fino a rendere consapevoli del proprio stato il 90 per cento delle persone con Hiv. Il risultato atteso è, dichiaratamente, quello di proteggere la salute dei singoli, consentendo loro un accesso tempestivo alle cure, dimezzando il fenomeno delle diagnosi tardive e raggiungendo per oltre il 90 per cento dei pazienti in trattamento la soppressione della carica virale;
    la criticità principale resta comunque quella delle risorse finanziarie necessarie a rendere le azioni proposte immediatamente attuabili. Al momento non è stato, infatti, annunciato nessuno stanziamento specifico a supporto di un piano che, nel medio termine, potrebbe portare a risultati molto positivi sia per la salute dei cittadini sia per i costi sociali e sanitari,

impegna il Governo:

1)  ad ottemperare puntualmente all'impegno di cui all'articolo 8, comma 3, della legge 5 giugno 1990, n. 135, quindi a riferire annualmente al Parlamento sullo stato di attuazione delle strategie attivate per fronteggiare l'infezione da HIV, tenuto conto che l'ultima relazione è stata quella per l'anno 2015, inviata al Parlamento il 16 novembre 2016;

2)  ad assumere iniziative volte a garantire il corretto svolgimento dei compiti del Comitato tecnico-sanitario operante presso il Ministero della salute, al quale sono state trasferite le funzioni della Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS e della Consulta delle associazioni di volontariato per la lotta contro l'AIDS;

3)  ad assumere iniziative per ridurre l'Iva sui profilattici;

4)  ad attivare iniziative di informazione e prevenzione continuative utili alla diffusione dell'uso del profilattico nei rapporti sessuali e a rendere noto il suo costo nonché la sua effettiva disponibilità nei luoghi maggiormente frequentati soprattutto dai giovani;

5)  ad adottare iniziative, anche alla luce del Protocollo di intesa 2 aprile 2015 con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per prevedere la distribuzione possibilmente gratuita, in particolare nelle scuole e nelle università, del profilattico in quanto presidio sanitario, anche tramite appositi distributori automatici;

6)  ad adottare, anche alla luce del suddetto Protocollo, iniziative permanenti di informazione e prevenzione relative all'igiene sessuale nelle scuole e nei luoghi di maggior aggregazione, così come avviene da anni in tutti gli altri Paesi europei;

7)  a promuovere, in qualsiasi ambito lavorativo e scolastico, programmi di educazione e informazione finalizzati al superamento di ogni pregiudizio nei confronti delle persone sieropositive, compreso quello sull'orientamento sessuale, capace di motivare violenza e discriminazione e così disinnescare un processo di stigmatizzazione, che spesso conduce a discriminazione, licenziamenti, trasferimenti e cambi di mansioni del tutto illegittimi e immotivati;

8)  a garantire la pubblicazione da parte dell'Unar di resoconti annuali sulle azioni di contrasto alla discriminazione e sulle attività di informazione e sensibilizzazione specie dei più giovani sulle tematiche di Hiv e Aids, anche in collaborazione col Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;

9)  a promuovere, per quanto di competenza del Ministero della salute, una revisione dei criteri cui riconnettere il trattamento pensionistico assistenziale in favore dei soggetti affetti da immunodeficienza, considerando, oltre all'attuale criterio tabellare basato sul numero di linfociti CD4 presenti nel sangue, ulteriori parametri obiettivi da stabilire congiuntamente alle associazioni e agli esperti del settore;

10) ad adottare iniziative per sostenere e sviluppare la presenza di cliniche metaboliche ospedaliere, al fine di curare malattie cronico degenerative quali; cancro, leucemie, AIDS, diabete mellito di secondo tipo, Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica, malattie auto-immuni, malattie allergiche, intolleranze alimentari, osteoporosi;

11) a ottemperare all'impegno verso le istituzioni internazionali Unaids e Ecdc per la stesura del rapporto sullo stato dell'epidemia e sulle azioni per contrastarla (country progress reports);

12) a vigilare sul corretto utilizzo dei fondi erogati alle regioni per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale, così come da accordo del 22 novembre 2012 in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano;

13) a garantire sull'intero territorio nazionale quanto previsto dalla legge n. 135 del 1990 in merito all'anonimato del test HIV, al fine di tutelare integralmente la riservatezza delle persone sieropositive;

14) ad intervenire per assicurare il dovuto supporto a chi ricorre al self-test anche sulla base dell'approccio «community based» indicato proprio dal Piano nazionale di interventi contro l'Hiv e l'Aids, nonché ad attivarsi affinché sia ampliata e migliorata l'offerta del test per l'Hiv nelle strutture pubbliche, eliminando le barriere che ne limitano l'accesso, a partire dal mancato rispetto dell'anonimato;

15) a prevedere, ai fini dell'attuazione del Piano nazionale di interventi contro l'Hiv e l'Aids, forme di collaborazione e coinvolgimento del mondo dell'associazionismo con maggiore esperienza nel settore;

16) a dare in tempi brevi piena attuazione al Piano nazionale di interventi contro l'Hiv e l'Aids, valido per il triennio 2017-2019, prevedendo a tal fine, già dal prossima disegno di legge di bilancio, l'apposito stanziamento di risorse finanziarie necessarie a programmare, per i prossimi tre anni, le azioni ivi proposte immediatamente attuabili, con particolare riferimento a quelle volte ad ampliare e facilitare l'accesso al test dell'Hiv, dando loro priorità, nonché a pubblicare, sul sito internet del Ministero della salute, con cadenza annuale, lo stato di avanzamento del piano e le modalità di utilizzo dei relativi fondi;

17) a favorire, nel più breve tempo possibile, il raggiungimento dell'accordo in sede di Conferenza Stato-regioni sul nuovo piano nazionale contro l'Hiv e l'Aids.
(1-00293)
(Ulteriore nuova formulazione) «Di Vita, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Cecconi, Colonnese, Brugnerotto, Lorefice, Sorial, Nuti, Nesci, Fico, Marzana, Luigi Gallo, Vacca, Battelli, Simone Valente, Baroni, Cozzolino, Vignaroli, Dieni, Dadone, Di Benedetto, D'Uva, Brescia, Chimienti».

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Lenzi n. 1-01437, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 710 del 28 novembre 2016.

   La Camera,
    premesso che:
    a settembre 2016 è stato sottoscritto dagli Stati della regione europea dell'Oms, l’«Action plan for the health sector response to HIV in the WHO European Region», sulla base delle evidenze che indicano una ripresa dell'infezione nell'area di pertinenza e che impegna i paesi a dotarsi di strumenti e risorse per contrastare l'infezione;
    sulla base di tale documento, è stato presentato il «Piano nazionale di interventi contro HIV e AIDS» valido per il triennio 2017-2019, da pochi giorni inviato dal Ministero della salute alle regioni per essere esaminato in sede di Conferenza Stato-regioni;
    dall'inizio dell'epidemia, circa 35 anni fa, l'Aids ha fatto nel mondo 35 milioni di morti e 70 milioni di contagiati;
    le terapie antiretrovirali hanno permesso di controllare la malattia, ma non tutti nel mondo hanno uguale possibilità di accedervi: solo 17 milioni di persone, che è comunque il doppio di quanti erano in cura nel 2010 (dati rapporto Unaids Conferenza di Durban 2016);
    oggi in Italia le persone con Hiv, secondo dati forniti in occasione del 15o Congresso internazionale della Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali), sono oltre 90.000, attualmente o in terapia o in contatto con i centri specializzati. Si stima che ce ne siano altre 20.000/30.000 che non sono consapevoli dell'infezione o non sono in contatto con i centri. Delle circa 4.000 nuove diagnosi di infezione registrate ogni anno, oltre la metà è diagnosticata quando l'infezione è già in uno stadio avanzato. Un dato, quest'ultimo, che non accenna a diminuire nonostante ormai si sappia, ma evidentemente non abbastanza, quali comportamenti preventivi sia necessario tenere;
    secondo l'ultimo rapporto dell'Istituto superiore di sanità nel 2015, sono state segnalate 3.444 nuove diagnosi di infezione da HIV pari a un'incidenza di 5,7 nuovi casi di infezione da HIV ogni 100.000 residenti. Un dato che segna un calo del 10 per cento rispetto alle 3.850 nuove diagnosi del 2014, le regioni con l'incidenza più alta sono state il Lazio, la Lombardia, la Liguria e l'Emilia-Romagna;
    sempre secondo questo rapporto l'Italia si colloca al 13o posto in termini di incidenza delle nuove diagnosi HIV tra le nazioni dell'Unione europea, ma le stime dell'Istituto superiore di sanità indicano che in Italia potrebbero vivere 135.000 persone con Hiv;
    secondo i dati del bollettino del sistema di sorveglianza Hiv/Aids dell'Istituto superiore di sanità i casi di Hiv pediatrico a causa della trasmissione materno infantile sono in ripresa: 9 casi registrati nel 2013-14 rispetto ai 4 del 2007-2008;
    il sistema di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da Hiv e il sistema di sorveglianza dei casi di AIDS costituiscono due basi di dati che vengono permanentemente aggiornate dall'afflusso continuo delle segnalazioni inviate al centro operativo AIDS (COA) dell'Istituto superiore di sanità (ISS) con l'obiettivo di avere un quadro aggiornato della frequenza e della distribuzione dei casi ossia quanta gente viva con l'Hiv e quante persone raggiungano lo stadio dell'Aids in Italia;
    secondo un'inchiesta condotta dalla associazione Lila pare però che i circa 4.000 casi di Hiv che si registrano ogni anno non sia totalmente veritieri ma siano invece sottostimati. Non esistono dati oggettivi su quanti test per l'Hiv vengano somministrati nel nostro Paese, né se sono in diminuzione, poiché l'osservatorio riceve le segnalazioni dei casi positivi ma non di quelli negativi;
    gli stessi responsabili del sistema di sorveglianza parlano di dati certamente sottodimensionati. La dottoressa Barbara Suligoi, direttrice del centro operativo Aids dell'Istituto superiore di sanità, afferma in un'intervista che la sovrapposizione di due analoghi sistemi di sorveglianza istituiti da due leggi diverse possono portare a una perdita stimabile anche superiore al 10 per cento delle nuove diagnosi. Sembra infatti assodato che gli operatori sanitari tendano a registrare i nuovi casi solo in un registro piuttosto che in entrambi;
    sia nel resto del mondo, che nel nostro Paese, questa malattia non è stata sconfitta, semmai essa non è più all'attenzione dell'opinione pubblica con gravi conseguenze sul piano della prevenzione ed importanti ricadute in termini di salute pubblica;
    infatti, nel nostro Paese, il rapporto sessuale non protetto è la prima causa di infezione e l'Italia è all'ultimo posto in Europa nell'uso del profilattico. L'inadeguata percezione del rischio di Aids tra la popolazione è quindi ancora molto alta, come è diffusa l'errata convinzione che la malattia riguardi solo particolari gruppi di persone maggiormente esposti al rischio Hiv, ad esempio i tossicodipendenti e gli omosessuali;
    pesante rimane invece lo stigma contro chi ha contratto la malattia. Si pensi che il 37 per cento degli italiani non si è mai sottoposto al test HIV e il 5 per cento delle persone che vivono con HIV non lo avrebbe mai detto al proprio partner. Il 40 per cento non rivela ai familiari di aver contratto il virus e il 74 per cento non lo dichiara nel contesto lavorativo;
    drammatica anche la situazione dei figli contagiati durante la gravidanza. Secondo i dati 2012/2013 raccolti nel registro pediatrico tenuto dall'ospedale Anna Meyer di Firenze, oggi ci sono 656 tra giovani e adolescenti che hanno acquisito l'Hiv dalla madre negli anni ’80-’90, che continuano ad essere discriminati ed emarginati dalla comunità e dalle istituzioni, proprio perché manca informazione e consapevolezza sulla trasmissione del virus che non impedisce le normali relazioni con gli altri;
    è grave che, nel 2016, in Italia una donna in gravidanza non venga sottoposta al test Hiv e che questo abbia comportato la trasmissione del virus al figlio. Le linee guida sulla gravidanza prevedono che a tutte le donne in gravidanza sia eseguito il test Hiv, uno nel primo trimestre e uno nell'ultimo trimestre della gestazione, poiché permettono di escludere l'infezione da Hiv nella madre oppure di assicurarle le terapie che impediscono la trasmissione materno-infantile del virus;
    anche recenti episodi di cronaca hanno portato all'attenzione casi nei quali ciò non è avvenuto. Emblematico è il caso del trentenne romano in carcere per aver trasmesso il virus a molte donne, una delle quali purtroppo lo avrebbe trasmesso a suo figlio durante la nascita. A questa donna è evidente che nessuno dei due test è stato somministrato ed oggi il bambino ne paga le conseguenze;
    la terapia farmacologica oggi ha elevato di molto le prospettive di vita ma non la qualità, si tratta di una vita comunque sempre sotto controllo, perché questo è un virus che accelera il processo di invecchiamento;
    la riduzione di nuovi casi di malattia conclamata non è infatti tanto attribuibile ad una riduzione delle infezioni da Hiv, quanto piuttosto alle nuove terapie di farmaci antiretrovirali che hanno allungato in modo significativo il periodo di tempo che trascorre tra l'infezione e la malattia;
    la giornata per la lotta all'Aids (1o dicembre), oltre a mantenere viva la memoria delle tante persone scomparse nei 35 anni di epidemia, ha l'obiettivo di mantenere e rinforzare l'informazione sulla necessità di prevenire il contagio, incrementare il sostegno alle persone con infezione da Hiv (riduzione dello stigma), sensibilizzare le persone ad eseguire il test per l'Hiv (prevenire nuovi casi) e, non ultimo, supportare le persone che tutti i giorni lavorano e studiano in questo ambito della medicina,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per introdurre nel percorso scolastico, a partire dalle scuole inferiori, programmi di educazione alla sentimentalità e sessualità propedeutici a qualsiasi intervento preventivo su Hiv e tutte le altre infezioni sessualmente trasmissibili che sono in aumento tra i giovani;

2) ad avviare campagne informative e preventive, rivolte soprattutto alle popolazioni maggiormente vulnerabili all'Hiv e alle infezioni sessualmente trasmissibili per diffondere la cultura e la conoscenza delle patologie parenterali o sessualmente trasmesse, ma anche per educare alle buone pratiche e alla prevenzione;

3) ad attivarsi con iniziative di informazione e comunicazione sia verso i cittadini che nei confronti della classe medica affinché sia garantito il rispetto delle linee guida sulla gravidanza per quanto riguarda il test dell'Hiv;

4) ad avviare, con il coinvolgimento dei Ministeri interessati, programmi nazionali per la prevenzione della trasmissione e il contrasto dello stigma sociale, veicolando messaggi tra i cittadini, soprattutto rivolti alle donne, nel mondo della scuola e nel mondo socio-sanitario;

5) ad adoperarsi affinché sia definitivamente operativa l'unificazione dei due registri Hiv e Aids, al fine di poter rilevare con maggiore esattezza la diffusione dell'infezione;

6) ad adoperarsi per il superamento di tutti gli ostacoli normativi al fine di rendere immediatamente attuabili le indicazioni contenute nel «Piano nazionale di interventi contro l'Hiv e l'Aids» e relative ad una implementazione dell'offerta del test Hiv e della sua demedicalizzazione come previsto dalle Agenzie internazionali e all'accesso al test per i «grandi minori»;

7) ad assumere iniziative volte a reperire adeguate risorse per l'avvio del piano e per l'attuazione delle innovazioni contenute nel «Piano nazionale di interventi contro l'Hiv e l'Aids», che devono essere portate a compimento nel più breve tempo possibile.
(1-01437)
(Nuova formulazione) «Lenzi, Amato, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Capone, Casati, D'Incecco, Fossati, Patriarca, Piazzoni, Miotto, Carnevali».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Lorefice n. 1-01569, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 771 del 31 marzo 2017.

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017, concernente la definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2017 – suppl. ordinario n. 15, in attuazione del combinato disposto degli articoli 32 e 117 della Costituzione, definisce i nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) e dunque le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale deve garantire, gratuitamente o tramite compartecipazione, a tutela della salute individuale e collettiva, attraverso le strutture pubbliche oppure attraverso le strutture private accreditate che quindi sono remunerate, in base a tariffe stabilite e declinate in diversi nomenclatori che il nuovo decreto del presidente del Consiglio dei ministri non ha ancora predisposto;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017, dopo ben 15 anni, ha sostituito il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2001 e buona parte dei provvedimenti normativi ad esso correlati, con un impatto economico finanziario stimato in 800 milioni di euro, quale risultato di una diffusa e diversificata opera di compensazione, non chiaramente desumibile dall'esame del decreto, scaturente dall'eliminazione di talune prestazioni e l'introduzione di nuove;
    sulla base delle quantificazioni effettuate in sede di intesa Stato-regioni dell'11 febbraio 2016, al fine di garantire la sostenibilità economico-finanziaria dei LEA, sono stati ritenuti necessari 113.063 milioni di euro per il 2017 e 114.998 milioni di euro per il 2018 laddove invece la legge di bilancio per il 2017 prevede un livello del finanziamento del Fondo sanitario nazionale pari a 113.000 milioni di euro per il 2017 e 114.000 milioni di euro per il 2018;
    attraverso il recente Accordo Stato-regioni per il riparto del Fondo sanitario nazionale per l'anno 2017 è stato confermato il «taglio» di 422 milioni al finanziamento per la sanità da parte dello Stato a seguito del mancato accordo con le regioni autonome e pertanto il livello del finanziamento del Fondo si attesta a e 112.578 milioni di euro, ulteriormente diminuito rispetto a quanto richiesto dalle regioni a garanzia della esigibilità dei LEA;
    il decreto sui nuovi LEA ha un'impostazione diversa dal precedente decreto poiché attraverso i numerosi e corposi allegati intende riportare, anche se non in maniera esaustiva, tutte le tipologie di assistenza, di servizi e prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza, evitando quindi un rimando ai diversi decreti ministeriali che contengono tutte le diverse esenzioni ed elencazioni;
    appare opportuno apportare specifiche modifiche e integrazioni, da attuare o da valutare in fase di predisposizione della proposta di primo aggiornamento dei LEA che, sulla base dell'Intesa Stato-regioni del 7 settembre 2016, spetta alla Commissione nazionale per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e la promozione dell'appropriatezza nel Servizio sanitario nazionale, assicurando che ogni modifica e/o integrazione e delisting sia rigoroso dal punto di vista metodologico e sostenuto da criteri etici e scientifici che siano resi pubblici e noti, con una chiara e contestuale indicazione delle ricadute organizzative ed economiche per i cittadini e per il Servizio sanitario nazionale;
    nell'ambito della prevenzione collettiva e della sanità pubblica, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017 include il Nuovo piano nazionale vaccini (NPNV) 2016-2018, già diffuso e richiamato nell'Intesa del 7 settembre 2016, e introduce nuovi e costosi vaccini che, senz'altro, non possono definirsi né obbligatori e né fortemente raccomandati e, ciò nonostante, sono posti a carico del Servizio sanitario nazionale con specifici fondi stanziati dalla legge di bilancio 2017 che ha destinato e vincolato 100 milioni di euro per il 2017, 127 milioni per il 2018 e 2018 e 186 milioni a decorrere dal 2019, stanziamenti che peraltro non corrispondono alle stime effettuate nella relazione tecnica decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, pari a 303 milioni di euro (solo per i nuovi vaccini) sulle quali sono state poi operate ulteriori stime al ribasso che, come evidenziato anche dalla nota del servizio di bilancio del Senato, appaiono aleatorie anche sulla base di presunti risparmi derivanti dall'abbattimento dei costi connessi alla gestione delle malattie che con tali vaccinazioni verrebbero debellate; le stime di spesa sull'impatto economico dei nuovi vaccini non sono infatti sorrette da una valutazione, anche sperimentale, dell'impatto avuto, in termini di riduzione dei costi sanitari diretti e indiretti e degli effetti/esiti in termini di salute, in quelle regioni che li hanno già introdotti; s'introducono, con costi rilevanti per i vaccini che in nessun Paese europeo sono inseriti nei corrispondenti programmi vaccinali;
    all'allegato 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui nuovi LEA, tra le azioni di prevenzione della salute collettiva, appare opportuno inserire un efficace programma informativo sui vaccini ed anche un piano diretto ad un uso consapevole del consumo degli antibiotici, tenuto conto che la comunità scientifica internazionale, è ormai ampiamente concorde nel sostenere la necessità di contrastare il fenomeno «dell'antibiotico resistenza», tramite una inversione di tendenza che porti ad un corretto utilizzo (mirato, razionale e parsimonioso) degli antibiotici attualmente a disposizione;
    la continuità dell'assistenza per tutta la giornata e per tutti i giorni della settimana, come prevista all'articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, prevede che le aziende sanitarie si organizzino in modo da assicurare le prestazioni non differibili anche nelle ore serali e notturne e nei giorni prefestivi e festivi, ma non sono indicate in maniera esauriente le modalità e le risorse atte a garantirla né si fa cenno alla continuità delle cure che secondo l'OMS rappresenta «uno degli indicatori più sensibili del buon funzionamento di un Servizio Sanitario»; a riguardo è altresì necessario assicurare il servizio delle «dimissioni protette» così da realizzare sia la continuità assistenziale e sia l'effettiva integrazione tra gli interventi in regime di ricovero ospedaliero e l'attività ambulatoriale specialistica e distrettuale di base, come già richiesto nel parere approvato dalla Commissione XII in data 14 dicembre 2016;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevede che il servizio sanitario nazionale garantisca attraverso le farmacie convenzionate la fornitura dei medicinali appartenenti alla classe a) la cui erogazione non sia affidata direttamente alle strutture sanitarie regionali; a riguardo risulta assente un'indicazione concernente l'equivalenza terapeutica e in relazione al prezzo più basso permane la limitazione riferita «ai medicinali aventi uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosaggio unitario uguali»; nell'ambito dell'assistenza farmaceutica erogata attraverso i servizi territoriali e ospedalieri, sarebbe opportuno prevedere che la dispensazione dei farmaci appartenenti al «Prontuario della distribuzione diretta per la presa in carico e la continuità assistenziale ospedale – territorio», dei farmaci ad alto costo non ricompresi nel sopracitato prontuario e destinati a pazienti affetti da pluripatologie in politerapia, nonché dei farmaci classificati in fascia H ovvero ad esclusiva dispensazione ospedaliera avvenga esclusivamente tramite la distribuzione diretta delle ASL o degli ospedali;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, include nell'assistenza integrativa anche l'erogazione dei dispositivi medici monouso e garantisce tali ausili ai soggetti che si trovino nelle specifiche condizioni indicate dalla disposizione medesima; a riguardo sarebbe necessario assicurare, come già richiesto nel parere approvato dalla Commissione XII del 14 dicembre 2016, che tale trasferimento non comporterà alcuna conseguenza agli aventi diritto attualmente indicati nel decreto ministeriale del 27 agosto 1999 n. 322, e assicurare altresì che i dispositivi per soggetti incontinenti, stomizzati e diabetici, siano erogati in misura rispondente alle esigenze delle singole e specifiche disabilità;
    in riferimento all'assistenza specialistica ambulatoriale, il nuovo nomenclatore riporta per ciascuna prestazione, tra le altre cose, anche eventuali note riferite a condizioni di erogabilità o indicazioni di appropriatezza prescrittiva e include numerose prestazioni che prima erano garantite in regime di day hospital o day surgery; le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza prescrittiva, sono peraltro numerose (circa 328) ed assorbono quelle già inserite nel decreto ministeriale del 9 dicembre 2015 n. 103; tali condizioni, unitamente all'introduzione del cosiddetto meccanismo « reflex» che garantisce il secondo accertamento diagnostico o clinico solo qualora l'esito del primo lo richieda, rischiano di rappresentare di fatto un limite alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza;
    appaiono ingiustificate talune esclusioni di procedure diagnostiche e/o terapeutiche invasive riguardanti talune branche come ad esempio quella dell'ematologia effettuate quotidianamente per i pazienti affetti da malattie del sangue e che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attribuisce ad altre specialità che raramente le effettuano, con la conseguenza di un notevole esborso economico per i pazienti che saranno costretti a pagare di tasca propria tali prestazioni;
    parimenti appare ingiustificato il mancato riferimento alla branca specialistica in reumatologia per le prestazioni di specialistica ambulatoriale, nonostante le patologie (circa duecento condizioni) riferibili a tale branca siano le più diffuse, per prevalenza, tra quelle croniche, come ad esempio l’«artrosi ed artrite» che interessano più del 16 per cento (ISTAT) delle cronicità e coinvolgono circa 9 milioni di abitanti;
    per le prestazioni odontoiatriche permangono ancora inaccettabili condizioni di erogabilità legate anche alla vulnerabilità sociale ossia alla condizione di svantaggio sociale ed economico e comunque solo per talune prestazioni; alla generalità dei cittadini è invece garantita la sola visita odontoiatrica e il trattamento delle urgenze;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri garantisce alle persone affette da disabilità o menomazione l'erogazione di protesi, ortesi ed ausili tecnologici nell'ambito di un piano riabilitativo-assistenziale e sulla base di condizioni o limiti di erogabilità e si demanda alle regioni l'individuazione delle procedure autorizzative per usufruire di tali dispositivi senza che siano indicati criteri e modalità omogenee su tutto il territorio nazionale; inoltre se da un lato s'inseriscono protesi e ortesi tecnologicamente avanzate, soprattutto nel settore delle tecnologie informatiche e di comunicazione, dall'altro si eliminano taluni dispositivi ortopedici molto diffusi come ad esempio i plantari o scarpe ortopediche che la relazione tecnica al provvedimento ha indicato come «oggetti di frequente prescrizione inappropriata»; inoltre il nuovo nomenclatore protesico, non riferisce in maniera esaustiva la diversa collocazione operata nell'elenco «su misura» o nell'elenco «di serie» che, come noto, comporta una differente gestione di acquisizione da parte delle strutture sanitarie senza che sia istituito un repertorio che renda tracciabile ogni dispositivo presente sul mercato; peraltro appare opportuno che per alcuni ausili particolarmente complessi sia sempre assicurata la necessaria personalizzazione nell'acquisizione non altrimenti assicurata con gare ad evidenza pubblica;
    l'integrazione tra le prestazioni dell'area sanitaria e le prestazioni dei servizi sociali è demandata ad un Accordo Statoregioni che dovrà definire le linee di indirizzo per garantire l'omogeneità e l'integrazione nonché l'utilizzo delle risorse, anche con riferimento al Fondo per le non autosufficienze introdotto con la stabilità 2016 che deve essere diretto all'assistenza diretta per le persone con gravissima disabilità e per gli anziani non autosufficienti, favorendo la loro permanenza nel domicilio; in relazione all'assistenza sociosanitaria residenziale e semiresidenziale alle persone non autosufficienti, con disabilità e con disturbi mentali alcuni trattamenti sono solo parzialmente a carico del Servizio sanitario nazionale;
    in riferimento alla disabilità è opportuno colmare i vuoti lamentati dalle diverse associazioni sia in riferimento all'esigenza di introdurre la definizione di disabilità quale relazione esistente con le barriere socio-ambientali che impediscono la piena ed effettiva partecipazione alla società e sia assicurando l'accessibilità di tutti i servizi sanitari, nel rispetto dell'articolo 25 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, sia prevedendo espressamente il diretto coinvolgimento della persona con disabilità e della sua famiglia nella predisposizione del percorso assistenziale, garantendo la continuità assistenziale attraverso il progetto individuale previsto dall'articolo 14 della legge n. 328 del 2000; a riguardo il mero richiamo alla citata Convenzione ONU, effettuato nelle premesse del provvedimento definitivamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, non appare esaustivo e risolutivo della carenza segnalata;
    le procedure analgesiche nel corso del travaglio e del parto fisiologico saranno garantite solo nelle strutture di I e II livello e con un numero di parti pari o maggiore ai 500 e, pur apprezzando che nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale è stato introdotto un chiaro riferimento all'analgesia epidurale, come richiesto dal M5S durante l'esame in Commissione XII, permane la carenza di un chiaro richiamo alla libera scelta della donna nonché una stima adeguata di risorse economiche e umane per la sua concreta realizzazione, tenuto conto della necessità di garantire il personale anestesista; sempre in relazione al parto si demanda in maniera generica alle regioni l'adozione di misure per incentivare il parto fisiologico, sulla base di una percentuale da fissare secondo criteri uniformi su tutto il territorio nazionale e in coerenza con gli standard internazionali e a riguardo si evidenzia l'opportunità che tale percentuale o comunque delle indicazioni di massima fossero già inserite nei LEA e che si prevedano dei meccanismi disincentivanti sul parto cesareo intervenendo anche sul costo di rimborso e sui meccanismi di accreditamento e convenzionamento con le strutture private ove è più diffuso il ricorso al taglio cesareo, escludendo anche qualsiasi possibilità di accreditamento per quelle strutture che prevedono meccanismi incentivanti per i medici che generano maggiori rimborsi, e prevedendo protocolli per l'effettuazione del VBAC (parto vaginale per pre-cesarizzate); in relazione alla tutela della maternità, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non garantisce più l'esecuzione di villocentesi e amniocentesi per le donne di età pari o maggiore di 35 anni mentre per contro saranno garantite indagini prenatali di tipo non invasivo;
    le procedure connesse alla procreazione medicalmente assistita eterologa, come previsto all'articolo 49 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, relativamente alla donazione dei gameti, saranno in massima parte a carico dei cittadini, nella misura che sarà differentemente determinata da ciascuna regione, a seconda delle risorse a disposizione;
    appare evidente che si rischia di reiterare un distinguo implicito tra procreazione omologa e procreazione eterologa (già censurato dalla Consulta in relazione alla legge 40) e demandare alle regioni la determinazione dei costi connessi alla PMA eterologa può non garantire a tutti i cittadini questa procedura tenuto conto che le strutture pubbliche che garantiscono tale procedura sono pochissime, con liste di attesa di fatto inaccessibili e, in taluni casi, anche i costi imposti dalle regioni sono inaccessibili;
    il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri definisce l'appropriatezza dei ricoveri ordinari, in day surgery e in day hospital demandando alle regioni l'adozione di misure per incentivare l'appropriatezza sulla base di una percentuale che sarà fissata dalla Commissione LEA per ciascun DRG ad alto rischio di non appropriatezza ed inoltre si prevede il trasferimento di numerose prestazioni dal regime di ricovero al regime ambulatoriale; a riguardo si teme che gli ambulatori pubblici potrebbero non essere in condizioni di gestire, in termini di risorse umane e tecnologiche, tali prestazioni od anche che l'erogazione delle prestazioni possa risultare frammentata con ulteriori costi per i cittadini;
    in riferimento al reperimento di cellule staminali a carico del servizio sanitario nazionale appare opportuno assicurare che lo stesso debba avvenire in «banche pubbliche» o comunque che rispettano le norme o i principi che sostengono la donazione di cellule staminali a fini solidaristici e non la donazione autologa; sul punto si segnala l'enorme criticità legata alle banche estere che raccolgono le cellule staminali del cordone ombelicale e con rilevanti introiti aggirano di fatto la norma che in Italia vieta la cosiddetta conservazione «autologa», a uso e consumo personale del neonato;
    l'elenco delle malattie rare è stato revisionato con l'introduzione di circa 110 nuove malattie rare e dal nuovo elenco sono state escluse alcune patologie come la celiachia o la sindrome di Down rispetto alle quali sarebbe opportuno chiarire quali siano le conseguenze assistenziali; appare inoltre opportuno il riconoscimento delle malattie rare cardiache come risultanti in un network sulle patologie rare cardiache recentemente approvato dalla Commissione europea;
    in riferimento all'esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni di assistenza correlate alle malattie croniche e invalidanti, a fronte dell'inserimento di 6 nuove patologie, sono state ridotte alcune prestazioni legate alla ipertensione senza danno d'organo per una stima di minori oneri/maggiori entrate pari a circa 16 milioni; in Italia sono 16 milioni le persone che soffrono di ipertensione arteriosa e ogni anno ne muoiono 280 mila a causa di malattie cardiovascolari e fra loro, per ovvie ragioni, la stragrande maggioranza è rappresentata dai cittadini più anziani, talché proprio loro, saranno costretti a rivolgersi alla sanità privata mentre chi non se lo potrà permettere (chi ha una pensione minima non potrà permetterselo) resta la rinuncia alle prestazioni; nelle esenzioni per malattie croniche, in relazione all'ipertensione, non risultano più in esenzione le prestazioni come il potassio, l'esame delle urine, l’holter delle 24 ore e la radiografia toracica;
    appare necessario prevedere, nella fase di aggiornamento dei LEA, un termine entro il quale devono essere adottati gli Accordi stato regioni finalizzati alla fissazione di criteri uniformi per l'individuazione di limiti e modalità di erogazione delle prestazioni che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri demanda alle regioni, così da non correre il rischio che numerose disposizioni rimangano inapplicate;
    sarebbe auspicabile che, in tempi brevi e comunque entro le scadenze previste per l'aggiornamento dei LEA che, sulla base dell'Intesa Stato/regioni del 7 settembre 2016, spetta alla Commissione nazionale per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e la promozione dell'appropriatezza nel servizio sanitario nazionale, siano rispettate le osservazioni e condizioni, alcune delle quali richiamate in premessa al presente atto ed inserite nel parere approvato dalla Commissione Affari sociali in occasione dell'esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui i nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA),

impegna il Governo:

1)  a garantire le adeguate risorse economiche necessarie a sostenere l'esigibilità dei nuovi LEA che, mentre nel Patto per la salute 2014-2016, già per il 2016, prevedeva un livello di finanziamento di 115,444 miliardi, è stato poi progressivamente ridotto anche rispetto all'intesa Stato-regioni dell'11 febbraio 2016 che riteneva necessari 113.063 milioni di euro per il 2017 e 114.998 milioni di euro per il 2018, laddove invece la successiva legge di bilancio per il 2017 ha previsto un livello del finanziamento del Fondo sanitario nazionale pari a 113.000 milioni di euro per il 2017 e a 114.000 milioni di euro per il 2018, fino a ridursi ulteriormente per l'anno 2017 il cui riparto effettivo, confermato con il recente Accordo Stato-regioni, vede il livello del finanziamento del Fondo attestarsi a euro 112.578 milioni di euro;
2)  a rendere pubbliche e note le motivazioni scientifiche di ogni modifica e/o integrazione e di ogni delisting, secondo una rigorosa procedura metodologica e con una chiara e contestuale indicazione delle ricadute organizzative ed economiche per i cittadini e per il Servizio sanitario nazionale;
3)  a prevedere nel prossimo aggiornamento dei LEA, nell'ottica di assicurare una reale incidenza sulle leggi di mercato e abbassare i costi dei vaccini, la vendita non in associazione di vaccini così da assicurare anche la libera scelta ai trattamenti sanitari da parte degli assistiti ed introdurre efficaci norme sul conflitto d'interesse e sulla trasparenza, nonché ad introdurre campagne istituzionali di informazione e di educazione sanitaria che inducano ad una scelta informata e consapevole sull'uso prudente di antimicrobici, volte ad incoraggiare tutti i cittadini ad agire in modo proattivo per ridurre le malattie infettive e la minaccia alla resistenza antibiotica;
4)  ad introdurre nel prossimo aggiornamento dei LEA un repertorio dei dispositivi protesici erogabili e i requisiti di accreditamento dei soggetti erogatori dei dispositivi medesimi nonché il nomenclatore tariffario così da avere e/o fornire strumenti adeguati per valutare esaustivamente l'impatto economico delle diverse prestazioni garantite e la susseguente efficacia;
5)  ad introdurre nel prossimo aggiornamento dei LEA, in relazione ai percorsi assistenziali integrati, i principi e i criteri direttivi per garantire l'omogeneità e l'integrazione sul territorio nazionale nonché l'utilizzo delle risorse, comprese con riferimento al Fondo per le non autosufficienze introdotto con la stabilità 2016, al fine di sostenere l'assistenza diretta per le persone con gravissima disabilità e per gli anziani non autosufficienti, favorendo la loro permanenza nel domicilio;
6)  ad introdurre nel prossimo aggiornamento dei LEA un esplicito riferimento ai consultori, contemplandone anche un efficace potenziamento e una capillare diffusione, in relazione all'assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad accesso diretto, per le donne, i minori, le coppie e le famiglie;
7)  ad introdurre nel prossimo aggiornamento dei LEA, in relazione alle diagnosi precoce delle malattie metaboliche ereditarie, un esplicito riferimento alla legge n. 167 del 4 agosto 2016 (non già solo nelle premesse al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, affinché sia chiaro che le risorse e le prestazioni in essa previste siano tutte garantite, ivi inclusa la previsione che gli screening siano assicurati a tutti i neonati a prescindere dalla struttura di nascita;
8)  ad introdurre, in riferimento alle procedure analgesiche nel corso del travaglio e del parto, un chiaro riferimento alle procedure sia farmacologiche e sia naturali, con garanzia del personale dedicato ad assicurare l'analgesia epidurale in tutti i punti nascita, nonché un'adeguata attività di counselling per la libera e informata scelta della donna;
9)  in riferimento al trasferimento di talune prestazioni in regime di day surgery, di day hospital e in regime ambulatoriale, a pubblicare tempestivamente sul sito istituzionale del Ministero della salute quali siano queste prestazioni, adottando la massima prudenza e chiarezza nell'identificazione delle strutture ambulatoriali a ciò accreditate e assicurando che le strutture pubbliche abbiano le dotazioni umane e tecnologiche atte a garantire che le prestazioni trasferite siano effettuate in condizioni di massima sicurezza per gli assistiti;
10) a rivalutare la necessità di inserire nei LEA le prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche riguardanti talune branche specialistiche come ad esempio quella in reumatologia le cui patologie (circa duecento condizioni) sono le più diffuse, per prevalenza, tra quelle croniche, come ad esempio l’«artrosi ed artrite» che interessano più del 16 per cento (ISTAT) delle cronicità e coinvolgono circa 9 milioni di abitanti, nonché quella dell'ematologia le cui prestazioni sono effettuate quotidianamente per i pazienti affetti da malattie del sangue e che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attribuisce ad altre specialità che raramente le effettuano;
11) a rivalutare la necessità di inserire nell'elenco delle malattie rare anche quelle cardiache come risultanti nel network sulle patologie rare cardiache recentemente approvato dalla Commissione europea;
12) a chiarire nel prossimo aggiornamento dei LEA che l'esclusione dall'elenco delle malattie rare della celiachia e della sindrome di Down non comporterà alcuna conseguenza in termini assistenziali;
13) a rivalutare la necessità di reinserire nel prossimo aggiornamento dei LEA le prestazioni legate alla ipertensione senza danno d'organo, eliminate nei nuovi LEA, tenuto conto che in Italia sono 16 milioni le persone che soffrono di ipertensione arteriosa e ogni anno ne muoiono 280 mila a causa di malattie cardiovascolari e fra loro, per ovvie ragioni, la stragrande maggioranza è rappresentata dai cittadini più anziani, talché proprio loro, saranno costretti a rivolgersi alla sanità privata mentre chi non se lo potrà permettere (e chi ha una pensione minima non potrà permetterselo) resta la rinuncia alle prestazioni;
14) ad intervenire affinché nel prossimo aggiornamento dei LEA sia chiaro che tutti i costi connessi alle procedure di procreazione medico assistita sia omologa e sia eterologa, ivi inclusi i costi per la donazione eterologa, sono a carico del Servizio sanitario nazionale indicando altresì i principi e i criteri direttivi a cui le regioni devono attenersi per garantire tale prestazione;
15) ad incentivare il parto fisiologico e disincentivare i parti cesarei inappropriati indicando nel prossimo aggiornamento dei LEA la percentuale di appropriatezza già desumibile dagli standard internazionali, intervenendo sul DRG e sul costo di rimborso del parto cesareo (rimborsare solo nel rispetto di tali percentuali) nonché sui meccanismi di accreditamento e convenzionamento con le strutture private ove è più diffuso il ricorso al taglio cesareo, escludendo anche qualsiasi possibilità di accreditamento per quelle strutture che prevedono meccanismi incentivanti per i medici che generano maggiori rimborsi; a prevedere altresì, sempre nell'ottica di ridurre il ricorso al taglio cesareo inappropriato, un riferimento anche al VBCA e all'individuazione di protocolli che lo rendano possibile;
16) ad intervenire affinché l'amniocentesi e la villocentesi siano garantite a tutte le donne in gravidanza, con costi a carico del Servizio sanitario nazionale, a prescindere dall'età materna e dagli esiti degli screening indicati nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o in subordine a ripristinare la gratuità per le donne di oltre 35 anni di età, garantendo altresì un'adeguata informazione sul grado di attendibilità e di rischio delle diverse indagini prenatali, così da consentire alla donna una scelta informata e consapevole sulle procedure diagnostiche disponibili, invasive e non.
(1-01569)
(Nuova formulazione) «Lorefice, Nesci, Cecconi, Colonnese, Grillo, Mantero, Silvia Giordano, Di Vita, Baroni, Dall'Osso».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
  interrogazione a risposta scritta Pastorelli n. 4-14935 del 6 dicembre 2016;
  interrogazione a risposta scritta D'Alia n. 4-15112 del 10 gennaio 2017;
  interrogazione a risposta in Commissione Paola Boldrini n. 5-10965 del 28 marzo 2017.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Massimiliano Bernini n. 4-16094 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 770 del 30 marzo 2017. Alla pagina 46115, seconda colonna, alla riga trentaduesima, deve leggersi: «presidio di chirurgia pediatrica d'urgenza», e non come stampato.

  Nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 marzo 2017 si intendono soppresse le righe alla pagina XCIX, prima colonna, dalla riga ventesima alla pagina CIII, seconda colonna, alla riga quattordicesima.