XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Mozioni:
La Camera,
premesso che:
come già evidenziato nell'interpellanza urgente n. 2-01648 discussa in Aula della Camera il 24 febbraio 2017, la relazione annuale al Pni (Piano nazionale integrato) 2015 indica un livello minimo di controlli/annuo diversificato, a seconda delle strutture interessate, per verificare la tracciabilità del farmaco prima di arrivare all'utilizzatore finale;
tale livello minimo di controlli annuali sono così riportati: attività commercio ingrosso, una ispezione/annua, farmacie e parafarmacie, controlli/annui pari al 33 per cento, ditte produttrici di medicinali veterinari e attività di vendita al dettaglio e all'ingrosso, una ispezione/annua; inoltre, la relazione indica un livello minimo di controlli/annuo pari al 33 per cento per gli allevamenti di animali da reddito senza detenzione di scorte, mentre deve essere fatto un controllo/annuo per gli allevamenti zootecnici di animali da reddito con scorta di farmaci veterinari;
nella tabella 1 della «Relazione annuale al Piano nazionale integrato 2015» appare evidente come gli allevamenti «con scorte» risultino in percentuale tra lo 0,5 per cento e il 5 per cento degli allevamenti italiani effettivamente presenti sul territorio, con controlli quasi sempre al di sopra dell'80 per cento degli allevamenti/anno. Mentre gli allevamenti «senza scorte», che risultano il 95-98 per cento degli allevamenti, vengono controllati solo nel 5-20 per cento dei casi. Questo dato indica che i controlli sulla corretta tracciabilità del farmaco veterinario e sull'uso corretto dei farmaci veterinari risultano estremamente deficitari, in quanto vanno ad interessare un numero ridottissimo di allevamenti e di animali da reddito; dalla relazione annuale al Piano nazionale integrato non vengono identificati i criteri di scelta degli allevamenti di animali da reddito senza scorte che vengono controllati annualmente, in quanto è previsto solo il 33 per cento annuo di ispezioni in questi allevamenti;
infatti, solo il 5 per cento degli allevamenti di bovini da latte e da carne ha fatto richiesta di detenere le scorte; nel campo dei suini, 1.206 allevamenti che corrispondono al 2 per cento degli allevamenti suini. Inoltre, se si analizza la consistenza dei capi, si evidenzia che gli allevamenti bovini che hanno più di 50 capi fino ad oltre 500, e che pertanto sicuramente sono soggetti ad avere una scorta sono 25.000, quelli che ne hanno fatto richiesta sono solo 6.000, quelli che hanno da 20 a 50 capi sono altri 23.000, per cui, su quasi 50.000 aziende potenzialmente soggette a una richiesta di scorte, solo 6.000 hanno fatto richiesta;
tale dato si può riportare anche nell'allevamento dei suini: solamente 1.200 aziende hanno richiesto scorte su 67.000 e le aziende che hanno una consistenza non familiare in Italia sono circa 30.000;
a fronte di questo, un altro dato che riporta il Piano nazionale integrato è il numero delle ricette: 6.000 aziende che hanno detenzione di scorte fanno 93.000 ricette all'anno; delle altre restanti – sia di bovini che di suini, per cui quasi 250.000 aziende – quelle che non hanno scorta ne fanno solo 5.000. Considerato che parte di queste 250.000 aziende senza scorte che sono moltissime ha una consistenza di capi che giustifica un consumo di farmaci, appare chiara una netta discrepanza sul numero di ricette veterinarie fatte per acquistare i farmaci e per la tracciabilità;
la relazione annuale al Piano nazionale integrato indica che il mancato raggiungimento del numero minimo di controlli dipende «da carenze croniche di personale veterinario ed amministrativo e da difficoltà di riorganizzazione territoriale». In Italia, risultano assunti circa 6.500 medici veterinari pubblici dipendenti e altri circa 1.500 medici veterinari assunti come convenzionati dalle regioni con un patrimonio zootecnico composto da circa 5.800.000 capi bovini, 400.000 capi bufalini, 8.600.000 capi suini, 6.700.000 capi ovini. In Francia, con una popolazione identica a quella italiana, risultano assunti circa 900 medici veterinari pubblici dipendenti, con un patrimonio zootecnico composto da circa 19 milioni di capi bovini, 13 milioni capi suini, 7 milioni di capi ovini. In Germania con una popolazione di circa 83 milioni di persone si hanno circa 1.200 veterinari pubblici dipendenti assunti dai singoli Lander che vigilano su un patrimonio zootecnico di 12,6 milioni di capi bovini, 28 milioni di suini e circa 1,6 milioni di capi ovini;
anche ai fini dell'attuazione delle relative disposizioni del regolamento (UE) 2016/429, va definita la figura del veterinario aziendale di cui al decreto legislativo n. 117 del 2005, i requisiti professionali, i compiti e le responsabilità dello stesso, quale soggetto autorizzato a svolgere funzioni di epidemio sorveglianza a supporto del Servizio sanitario nazionale e a immettere nel sistema informativo per la epidemio-sorveglianza gestito dalle autorità competenti, i dati e le informazioni relative agli stabilimenti presso cui svolge le dovute visite veterinarie;
nella risposta all'atto di sindacato ispettivo di cui sopra, il Sottosegretario per lo sviluppo economico, Antonio Gentile, nel ribadire che la normativa sui controlli ufficiali in materia di distribuzione e impiego dei medicinali veterinari è disciplinata dal decreto legislativo 6 aprile 2016, n. 193, nonché da linee guida prese in conformità anche del regolamento (CE) n. 882/2004, ha affermato che «per gli allevamenti, sono presi in considerazione i seguenti indicatori di rischio: il management aziendale, la verifica della coerenza per quantità e tipologia dei trattamenti eseguiti e dei medicinali presenti nella scorta alla realtà zootecnica, alla dimensione e alla tipologia dell'allevamento e alla situazione epidemiologica locale, la registrazione dei trattamenti, le segnalazioni di reazioni avverse e di sospetta diminuzione di efficacia, l'uso prudente degli antimicrobici anche attraverso l'acqua di abbeverata dei mangimi, unitamente alle implicazioni di benessere animale legate alla dimensione e alla tipologia dell'allevamento stesso. Ciò permette di classificare ciascuno allevamento in tre classi di rischio: alto, medio e basso. Gli allevamenti autorizzati alla tenuta delle scorte e anche quelli in cui viene dichiarata l'assenza di trattamento sono considerati ad alto rischio e pertanto la frequenza dei controlli è di almeno una volta all'anno. Per quelli, invece, sprovvisti di scorta le ispezioni avvengono in un congruo tempo (tre anni) sulla base del rischio definito “rischio alto”: almeno un controllo annuo, “rischio medio”: almeno un controllo ogni due anni, “rischio basso”: almeno un controllo ogni tre anni. Pertanto la percentuale di attuazione per dette attività dovrebbe essere del 33 per cento annuo. Tra gli allevamenti a basso rischio rientrano anche quelli registrati per autoconsumo che, sebbene certamente caratterizzati da elementi di rischio meno rilevanti rispetto alle attività di allevamento per fini commerciali, non possono comunque prescindere da un'accurata e puntuale valutazione da parte delle autorità competenti»,
impegna il Governo:
1) alla luce dei dati indicati nella relazione annuale al Piano nazionale integrato 2015 e parzialmente soprariportati a modificare le «linee guida per la predisposizione, effettuazione e gestione dei controlli sulla distribuzione e l'impiego dei medicinali veterinari» affinché sia previsto un maggiore controllo della tracciabilità dei farmaci veterinari, a partire dalle aziende senza detenzione di scorta, e affinché come criterio di valutazione di rischio sia indicato almeno un controllo annuale, di tutti gli allevamenti senza scorta ad iniziare da quelli che detengono un numero maggiore di capi di bestiame o che non ci sia congruità tra i capi presenti e le ricette fatte nell'anno;
2) a prevedere l'obbligatorietà della richiesta di scorte di medicinali per quegli allevamenti che abbiano un numero di capi bovini e suini pari o superiore a 50 capi adulti;
3) ad assumere iniziative per regolamentare la tracciabilità di tutti i passaggi del farmaco veterinario per animali destinati alla produzione di alimenti attraverso sistema elettronico nel portale del Ministero della salute, interessando tutta la filiera a partire dall'industria farmaceutica, con grossisti, farmacie e parafarmacie;
4) a promuovere urgentemente l'uso della ricetta elettronica per i farmaci veterinari per animali destinati alla produzione di alimenti.
(1-01578) «Cova, Lenzi, Arlotti, Bonomo, Paola Bragantini, Censore, Crimì, Lodolini, Manfredi, Piazzoni, Preziosi, Rostellato, Zanin».
La Camera,
premesso che:
la crisi siriana è iniziata nel marzo 2011 con le manifestazioni pubbliche contro il governo di Bassar Al Asad ed è sprofondata in una vera e propria guerra civile a partire dal 2012;
in questi sei anni, il conflitto ha causato oltre 300 mila vittime secondo le stime delle Nazioni Unite, tra le 400 mila e le 500 mila secondo un conteggio effettivo di altre organizzazioni umanitarie. Secondo la stima ONU, delle 300 mila vittime 100 mila sarebbero civili, 20 mila i bambini e 10 mila le donne;
dall'inizio del conflitto 11,5 milioni di persone, ovvero quasi metà della popolazione prima dell'inizio della guerra, sono state costrette ad abbandonare le proprie case: 5 milioni di persone hanno trovato rifugio fuori dalla Siria, mentre è di 6,5 milioni di persone il numero degli sfollati interni. Moltissime di queste persone hanno bisogno di assistenza;
di queste persone, diverse centinaia di migliaia di persone si trovano attualmente sotto assedio delle bombe in varie aree del Paese, pressoché isolate, con crescenti difficoltà a far giungere loro aiuti umanitari. In particolare risultano esserci centinaia di migliaia di persone bloccate al confine turco, 640 mila persone bloccate sotto assedio militare nel Paese e 78 mila persone bloccate al confine giordano;
le persone che in totale necessitano di assistenza sanitaria e protezione risultano essere più di 13 milioni, di queste 5,7 milioni di persone hanno bisogno immediato di aiuto e 6,5 milioni di persone hanno scarso accesso ai beni e servizi primari in un Paese dove più del 50 per cento delle strutture pubbliche sono state chiuse nel corso di questi anni;
dall'inizio del conflitto la perdita economica in Siria è stimata in 255 miliardi di dollari e oggi 4 siriani su 5 vivono in condizioni di estrema povertà, ma sono i bambini che hanno pagato il prezzo più alto del conflitto;
secondo l'organizzazione Save the Children sono ancora 5,8 milioni i bambini che vivono sotto i bombardamenti e necessitano di aiuti immediati. Sono almeno 3 milioni i bambini che hanno oggi sei anni e non hanno mai conosciuto altro che la guerra;
1,7 milioni di bambini non possono andare a scuola in Siria e una scuola su tre è oggi inutilizzabile nel Paese, mentre molte risultano essere occupate dalle varie milizie e gruppi armati che operano in Siria;
il 2016 è risultato essere l'anno peggiore per i bambini siriani con 652 bambini, uccisi e 647 feriti gravi, rispettivamente il 20 e 25 per cento in più rispetto all'anno precedente;
l'ultimo bilancio di morte è avvenuto nella città di Khan Sheykhun ed ha provocato 72 vittime, tra cui 20 bambini e 17 donne. Sarebbe stato un attacco effettuato con armi chimiche. Complessivamente stando alle fonti mediche e ospedaliere che si trovano in Siria, i morti dopo i raid degli ultimi due giorni ad Idlib e a Khan Shaykhun sono 125, di cui 32 bambini e 12 professionisti della sanità;
dall'inizio delle proteste di piazza, inquadrate nell'ambito di quella che poi è stata definita «Primavera araba», la situazione in Siria è sprofondata velocemente verso il caos, via via alimentato da una sanguinosa «guerra per procura», iniziata dalle speculazioni delle potenze regionali – su tutte Turchia, Iran, Arabia Saudita – che poi si sono incrociate con le strategie delle grandi potenze globali – in particolare Usa, Russia;
la destabilizzazione della Siria è stata alimentata dal conflitto e dalla successiva disgregazione di un altro Paese, l'Iraq, di cui è responsabile in larga parte l'Occidente;
negli ultimi mesi, da quando è partita l'operazione per la liberazione della città di Mosul in Iraq, molte decine di migliaia di persone hanno varcato la frontiera con la Siria ed hanno raggiunto le zone del Rojava-Federazione della Siria del nord;
in particolare, queste persone hanno raggiunto i campi profughi allestiti nell'area di Derek. Tuttavia la situazione di embargo che persiste sulla Federazione della Siria del Nord, sia al confine con la Turchia, sia con il confine con il Kurdistan Irakeno, non consente l'invio di aiuti umanitari e scarseggiando i rifornimenti di cibo, acqua, medicine e strutture di accoglienza, la situazione è vicina al collasso;
occorrerebbe quindi un aiuto straordinario per quell'area così come per le altre zone della Siria oggi sotto assedio o isolate e non è più rinviabile l'apertura di corridoi umanitari per consentire urgentemente l'invio di aiuti umanitari e la messa insicurezza della popolazione civile che non più rimanere in quelle zone;
al tempo stesso, anche alla luce dell'imminente liberazione della città di Raqqa, da parte delle Forze democratiche siriane, non è più rinviabile l'elaborazione di un serio piano appoggiato dalla comunità internazionale e da tutti gli attori parti in causa, che preveda la fine delle ostilità una road map nella direzione di una Siria democratica. Decine di migliaia di abitanti di Raqqa stanno lasciando in queste ore la città e la sua provincia;
dopo sei anni di conflitto è arrivato il momento per le armi di tacere e alla soluzione militare non può che sostituirsi una soluzione politica, da costruirsi nel quadro dell'unità della Siria, in cui le parti in conflitto si impegnino a rispettare le diversità dei popoli costituenti in una nuova Siria democratica, quindi per un sistema democratico decentrato in cui tutti condividono autonomia, a discapito di una struttura autoritaria, nazionalistica e sciovinista, come è il regime di Bassar Al Asad, che è alla base, tra l'altro, dello scoppio delle violenze,
impegna il Governo:
1) ad assumere le iniziative di competenza volte a favorire un immediato «cessate il fuoco» che preveda in particolare la cessazione dei bombardamenti indiscriminati che sempre più spesso prendono di mira obiettivi sensibili, quali, scuole, mercati, ospedali;
2) ad assumere iniziative urgenti per l'apertura di corridoi umanitari dalla Siria, in particolare prevedendo misure straordinarie con riferimento ai minori, facendo sì che la Turchia apra immediatamente le frontiere per permettere il passaggio dei convogli umanitari;
3) a promuovere con gli altri partner internazionali la ricostruzione delle aree liberate dalla presenza dello Stato Islamico in Siria e nella Federazione della Siria del Nord;
4) a favorire il dialogo tra le forze democratiche del Paese e gli attori regionali, implementando la road map tracciata dal vertice di Vienna con l'obiettivo di tenere una Conferenza nazionale siriana promossa dalle Nazioni Unite a cui devono essere invitate tutte le altre parti in conflitto, le organizzazioni della società civile siriana, nonché le forze politiche democratiche a partire dalle istituzioni autonome della Federazione della Siria del Nord e le Forze siriane democratiche (SDF);
5) a proporre nelle sedi internazionali misure immediate per bloccare le risorse di finanziamento delle varie fazioni armate in, Siria e fermare la fornitura di armi alle parti in conflitto nel Paese;
6) a proporre in sede ONU una indagine internazionale su quanto accaduto a Idlib e a Khan Shaykhun, affinché i responsabili siano processati per crimini contro l'umanità davanti alla Corte penale internazionale.
(1-01579) «Laforgia, Scotto, Speranza, Cimbro, Piras, Roberta Agostini, Albini, Bersani, Franco Bordo, Bossa, Capodicasa, D'Attorre, Duranti, Epifani, Fava, Ferrara, Folino, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Leva, Martelli, Matarrelli, Melilla, Mognato, Murer, Nicchi, Giorgio Piccolo, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Rostan, Sannicandro, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti, Zoggia».
La Camera,
premesso che:
la globalizzazione a cui stiamo assistendo negli anni recenti è un fenomeno assai complesso. Essa è sinonimo di creazione di un unico villaggio globale favorito dalla crescita delle relazioni e degli scambi tra i vari Paesi del mondo;
il fenomeno, è stato molto graduale, si è accelerato solo in epoca moderna creando un mercato globale privo di barriere protezionistiche; nel settore agricolo ed agroalimentare, la globalizzazione ha accentuato il divario esistente tra paesi ricchi e paesi poveri e i problemi legati alla fame nel mondo. Le disponibilità di beni alimentari a livello mondiale sono sufficienti a far fronte alla domanda globale: la fame non è un problema legato alla disponibilità dei prodotti agricoli, ma ai bassi livelli di reddito in taluni Paesi. Alle scarse rese produttive si è cercato di rispondere con l'introduzione di sementi ibride più produttive rispetto a quelle normali. Al di là di quelli che sono i dubbi circa gli effetti che il consumo di tali prodotti possa avere sull'uomo, va detto che tali ibridi non possono essere riprodotti e devono essere acquistati ogni anno da società multinazionali che li detengono e che ne stabiliscono i prezzi dato che operano in regime oligopolistico. D'altra parte, tali ibridi sono molto vulnerabili agli attacchi di insetti nocivi e richiedono l'uso massiccio di pesticidi la cui spesa è notevolmente crescita con il rischio di un aumento dei costi che devono sostenere gli agricoltori dei Paesi più poveri: tutto ciò si traduce in un aumento della loro povertà, al di là di possibili conseguenze sulla salute umana. Inoltre, la ripetizione delle stesse colture nel tempo riduce la biodiversità e rischia di incidere negativamente sia sulla produttività del suolo, che sulla diversificazione del cibo disponibile;
in questo quadro vi è da specificare come per l'agricoltura italiana diventata la più green d'Europa, sia di vitale importanza mettere in campo azioni e politiche atte a salvaguardare il settore, tutelandolo dalle prassi della globalizzazione. Dati alla mano, l'Italia si presenta infatti: con il maggior numero di certificazioni alimentari a livello comunitario per prodotti a denominazione di origine Dop/Igp, detenendo la leadership nel numero di imprese che coltivano biologico ma anche la minor incidenza di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma. L'Italia è anche campione di biodiversità, il paese infatti può contare su 504 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei francesi, e su 533 varietà di olive contro le 70 spagnole, ma sono state salvate dall'estinzione anche 130 razze allevate tra le quali ben 38 razze di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini, sulla base dei Piani di sviluppo rurale della precedente programmazione. L'Italia detiene il record europeo della biodiversità, con 55.600 specie animali pari al 30 per cento delle specie europee e 7.636 specie vegetali. Un primato raggiunto anche grazie al fatto che in Italia ci sono ben 871 parchi e aree naturali protette che coprono ben il 10 per cento del territorio nazionale. Ha conquistato anche il primato green con quasi 50 mila aziende agricole biologiche in Europa ed ha fatto la scelta di vietare le coltivazioni ogm a tutela del patrimonio di biodiversità. Con l'azione di tutela dell'ambiente l'Italia si è portata al vertice della sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,4 per cento), quota inferiore di quasi 4 volte rispetto alla media europea (1,4 per cento) e di quasi 20 volte quella dei prodotti extracomunitari (7,5 per cento);
il nostro made in Italy agroalimentare è il più copiato e contraffatto al mondo, nonostante la crescita del settore agricolo, confermi le enormi potenzialità dell'agricoltura e dei nostri imprenditori, specialmente i giovani, esso deve affrontare e contrastare la pressione delle distorsioni di filiera e il flusso delle importazioni selvagge dall'estero, che fanno concorrenza sleale alla produzione nazionale, perché vengono spacciati come prodotti Made in Italy e sono privi di indicazione chiara sull'origine in etichetta. Nelle campagne, oggi, vige una situazione di deflazione profonda: i prezzi sono crollati per raccolti e per gli allevamenti che non coprono più neanche i costi di produzione o dell'alimentazione del bestiame;
l'Ente nazionale risi ha organizzato a gennaio 2017 a Milano una riunione di tutti i Paesi europei produttori di riso (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Romania, Bulgaria e Ungheria) per creare un fronte comune nel confronto con l'Unione europea. La posizione italiana è quella di richiedere l'immediato ripristino dei dazi alle importazioni di riso da Cambogia e Myanmar, aboliti nel 2009. L'emergenza è determinata dal record delle importazioni comunitarie di riso lavorato «Indica» nella campagna 2015/2016 e dalla riduzione delle esportazioni comunitarie che hanno generato un aumento degli stock comunitari di riporto nella campagna attuale. L'Italia, con i suoi 234 mila ettari coltivati a riso e un consumo pro capite annuo di 6 chilogrammi, è il primo Paese produttore di riso dell'Unione europea. Nella filiera italiana operano 4.265 aziende risicole e circa 5.000 addetti, circa 100 industrie risiere, di cui 6 detengono complessivamente più del 50 per cento del mercato. Il riso lavorato rappresenta un giro d'affari di circa un miliardo di euro;
il disinteresse ministeriale rispetto alle decisioni europee rischia di vanificare i risultati positivi ottenuti dalle regioni, Lombardia in testa, che sul riso erano riusciti nelle fasi negoziali della Pac a escludere la coltura dal greening e a collocare 22,6 milioni di euro per gli aiuti accoppiati. La situazione, già resa pesante dalle grandi importazioni di riso dalla Cambogia e dal Myanmar (anch'esse esenti dal pagamento del dazio grazie agli accordi EBA), rischia inoltre di creare un gravissimo precedente per i negoziati in corso sugli accordi di libero scambio con altri Paesi asiatici, grandi produttori di riso, come Thailandia, Pakistan e India, ma anche con gli USA e con i Paesi del Mercosur;
la tutela della qualità delle produzioni agroalimentari è, in sede europea, un complemento alla politica di sviluppo rurale e alle politiche di sostegno dei mercati e dei redditi nell'ambito della politica agricola comune e rappresenta in particolare per l'Italia uno dei principali obiettivi della politica agroalimentare, considerato che il nostro è il Paese che vanta in Europa il maggior numero di prodotti a marchio registrato, oggetto di numerosi e sofisticati tentativi di contraffazione. La disciplina sull'etichettatura dei prodotti e sulle conseguenti informazioni ai consumatori costituisce anch'essa un aspetto della tutela della qualità del prodotto;
il Ministero dello sviluppo economico in materia di etichettatura sui prodotti di origine agroalimentare specifica che: «Il principio alla base della legislazione dell'Unione sull'etichettatura è che il consumatore ha il diritto di essere informato nelle proprie scelte e che l'etichettatura non può essere fuorviante. Quando l'etichettatura di origine geografica è obbligatoria, l'indicazione di origine geografica deve essere visualizzata correttamente in etichetta. Quando l'etichettatura di origine geografica è opzionale, gli operatori sono liberi di decidere se citare l'origine, a meno che l'omissione di tale informazione possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto. Se l'indicazione di origine viene indicata, l'informazione deve essere corretta in modo da non indurre in errore il consumatore. L'indicazione di origine è obbligatoria per la frutta ed i legumi freschi, il vino, il miele, l'olio di oliva, i prodotti ittici, la carne bovina, le carni di pollame proveniente da Paesi terzi, le carni fresche refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, le uova ed i prodotti biologici. Anche nei casi in cui l'indicazione di origine non sia obbligatoria, le informazioni sull'origine eventualmente fornite su base volontaria devono essere corrette e tali da non risultare ingannevoli per il consumatore»;
in seguito a quanto disposto dalla legge n. 4 del 2011 (articolo 4) e in attesa di una regolamentazione europea generale che dia attuazione al paragrafo 3 dell'articolo 26 del regolamento (UE) n. 1169 del 2011, è stato emanato il decreto interministeriale 9 dicembre 2016 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 gennaio 2017), concernente l'indicazione dell'origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattiero-caseari, in attuazione del predetto regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Il 20 dicembre 2016, in analogia con la procedura adottata con riferimento al decreto sull'origine del latte, è stata inviata a Bruxelles, dal Governo italiano, una bozza di schema di decreto interministeriale sull'origine obbligatoria in etichetta di grano e pasta, come da comunicato del MIPAAF: «(...) Risulta in corso di elaborazione il regolamento esecutivo della Commissione europea del suddetto articolo 26 del regolamento (UE) n. 1169 del 2011 che, al paragrafo 3, fa riferimento al caso in cui il Paese d'origine o il luogo di provenienza di un alimento sia indicato e non sia lo stesso di quello del suo ingrediente primario. In linea generale, si ricorda l'importanza dell'intero regolamento n. 1169 del 2011, il quale, in particolare, agli articoli 9 e seguenti, prevede le informazioni obbligatorie che devono essere fornite sugli alimenti, come la denominazione degli stessi e l'elenco dei loro ingredienti. (...)». Fenomeni come le agromafie e la globalizzazione dei mercati in tutte le fasi della filiera agroalimentare, danneggiano la nostra agricoltura basata, al contrario, su prodotti provenienti da culture non intensive attente alla salvaguardia dell'ambiente, alle biodiversità e alla genuinità del prodotto;
sempre in quest'ottica di tutela del made in Italy che si può inquadrare l'iniziativa del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che costituisce una risposta alla battaglia del grano del luglio scorso (periodo di trebbiatura), quando le quotazioni sono crollate del 42 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015. Per fronteggiare questa emergenza è stato approvato nel decreto fiscale l'emendamento, che stanzia 10 milioni di euro per polizze su rischi climatici e di mercato. La filiera grano-pasta è uno dei principali settori dell'agroalimentare italiano, con una produzione di grano duro di circa 4 milioni di tonnellate e di 3,4 milioni di tonnellate annue di pasta, che rende il nostro Paese il principale produttore mondiale. Il valore della produzione supera invece i 4,6 miliardi di euro, con 2 miliardi di euro di export. «Saremo i primi in Europa – ha dichiarato il Ministro Maurizio Martina – a sperimentare un'assicurazione sui ricavi per i produttori di grano. Si tratta di uno strumento concreto di tutela del reddito per gli agricoltori e risponde in maniera più efficace all'esigenza di proteggere le aziende rispetto al passato. In particolare in una produzione come quella cerealicola, esposta a fluttuazioni di mercato e all'influenza di variabili internazionali, diventa fondamentale che le imprese possano programmare meglio la produzione e avere un meccanismo di protezione in caso di crollo del prezzo. Lo abbiamo visto quest'anno quando le quotazioni sono scese fino a 18 centesimi al chilo. Un prezzo che non consente nemmeno di recuperare i costi di produzione. Con l'assicurazione ci sarebbe stato un indennizzo immediato rispetto a queste perdite. È uno strumento sperimentale nel quale vogliamo investire e per questo abbiamo stanziato 10 milioni di euro che serviranno ad agevolare la sottoscrizione da parte dei nostri agricoltori. Allo stesso tempo andiamo avanti per rafforzare i rapporti nella filiera grano pasta, attraverso il sostegno ai contratti di filiera inseriti nel Piano cerealicolo nazionale e puntando alla massima informazione dei consumatori con l'origine della materia prima in etichetta»,
impegna il Governo:
1) ad assumere iniziative per estendere, così come per il latte, l'etichettatura d'origine alle altre filiere, che ancora non lo comprendono, così come descritto in premessa;
2) ad assumere iniziative volte a prevedere l'estensione della polizza salva grano ad altre filiere, «reti protettive» per assicurare il reddito degli agricoltori, così come descritto in premessa;
3) ad attivarsi affinché, a tutti i livelli, nazionale, comunitario e internazionale, siano promosse politiche utili alla difesa del prodotto made in Italy, al fine di contrastare con maggiore determinazione ed efficacia il fenomeno dell’italian sounding;
4) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per rielaborare la normativa vigente in materia di contraffazione, in particolare quella relativa ai prodotti agroalimentari, al fine di assicurare maggiore trasparenza e la sicurezza in tutti i passaggi della filiera;
5) ad intervenire nelle opportune sedi europee affinché le denominazioni DOP e IGP, in particolare dei prodotti di eccellenza italiani, continuino ad essere una priorità della Commissione europea anche nell'ambito di eventuali trattati internazionali come Ceta e TTIP;
6) a garantire un maggiore e continuativo coordinamento istituzionale, con particolare riferimento alle posizioni da assumere in sede europea, a tutela degli interessi italiani, assicurando la completezza e la trasparenza relativamente all'etichettatura dei prodotti agroalimentari;
7) ad avviare un monitoraggio sull'effetto che l'abolizione dei dazi ha avuto sui produttori italiani messi in diretta concorrenza con i mercati asiatici che però riescono a produrre a costi molto inferiori.
(1-01580) «Zaccagnini, Stumpo, Laforgia».
Risoluzioni in Commissione:
Le Commissioni VIII e XIII,
premesso che:
secondo studi realizzati negli Usa l'impatto contro vetri o superfici trasparenti/riflettenti è la prima causa di morte diretta degli uccelli per opera dell'uomo. L'Audubon Society stima che ogni anno dai 100 ai 900 milioni di uccelli muoiono contro i vetri, e l'ordine di grandezza in un'Europa densamente abitata potrebbe essere intorno ai 100 milioni;
il problema delle vetrate emerge negli anni ’40, quando i manufatti che contenevano pareti a specchio, vetri, plexiglas trasparente si sono moltiplicati a dismisura: la nuova architettura ha sviluppato palazzoni con vetrate riflettenti, a cui si sono aggiunte pensiline degli autobus di vetro, autostrade e linee ferroviarie lastricate di pannelli trasparenti;
tutte le specie e tutte le classi di età di uccelli sono soggette alla morte per collisione con il vetro: in uno studio americano vennero registrate 225 specie, per quanto riguarda l'Europa vi sono osservazioni per quasi ogni specie;
gli uccelli preferiscono seguire traiettorie rette e non hanno paura ad attraversare in volo stretti spazi fra i rami, in tunnel di piante o «finestre» create dalla vegetazione: una vetrata o la finestra di una casa sembrano proprio richiamare loro alla mente queste strutture naturali;
le proprietà del vetro pericolose per gli uccelli sono la trasparenza e il riflesso, di conseguenza spesso risultano fatali le grandi o piccole vetrate riflettenti o qualsiasi situazione in cui uno o più vetri permettono a un uccello di vedere lo spazio verde o il cielo dalla parte opposta (serre, pensiline, pannelli fonoassorbenti, corridoi con vetrate trasparenti su ambo i lati), perché esso avrà sempre l'istinto di raggiungere il cespuglio che vede attraverso il vetro, ma non percepisce l'ostacolo e vi si schianta contro;
l'Audubon Society e American Bird Conservation negli Stati Uniti e la Vogelwarte di Sempach in Svizzera hanno finanziato degli studi per capire come gli uccelli percepiscono il vetro e quali misure permettano di renderlo visibile all'avifauna. Da questi studi è emersa la quasi totale inutilità delle silouhettes di uccelli rapaci e non, mentre risultano estremamente più efficaci punti, reticoli o linee che abbattano la trasparenza per la percezione degli uccelli, mantenendo l'effetto vetro per l'occhio umano;
la soluzione più efficace e più semplice, suffragata dai test in laboratorio realizzati da Christine Sheppard per l'American Bird Conservancy sembrerebbero le strisce autocollanti (o serigrafate), poste in verticale su tutta la superficie trasparente, posizionate con grandezza e distanza ben precise, in modo che gli uccelli non percepiscano più chiaramente il paesaggio oltre il vetro;
soluzioni più complesse, ma architettonicamente più interessanti, prevedono invece l'uso di materiale traslucido, serigrafie, vetro colorato a bassa trasparenza;
alla luce di tali analisi, al fine di tutelare tutte le specie di uccelli messe in pericolo dalla presenza di strutture trasparenti e riflettenti,
impegnano il Governo:
a promuovere uno studio nazionale relativo all'impatto delle superfici trasparenti e riflettenti delle strutture pubbliche sull'avifauna al fine di individuare quali siano nel nostro Paese le cause di morte diretta degli uccelli per opera dell'uomo;
ad assumere iniziative per mitigare l'impatto delle suddette superfici sull'avifauna, sulla base dei dati esposti in premessa, attraverso gli opportuni interventi su tutte le superfici trasparenti realizzate in luoghi pubblici a protezione dai rumori o dagli agenti atmosferici (pannelli fonoassorbenti, pensiline, frangivento), mediante apposizione di strisce autocollanti o serigrafate verticali su tutta la superficie trasparente, ovvero in alternativa con marcature di differenti forme geometriche autocollanti o serigrafate, purché esse coprano almeno il 25 per cento dell'intera superficie e siano distribuite sull'intera superficie trasparente;
ad assumere iniziative per prevedere, nella revisione delle barriere stradali, autostradali o ferroviarie, per la manutenzione o sostituzione dei pannelli fonoassorbenti trasparenti installati la dotazione di strisce autocollanti o serigrafate verticali su tutta la superficie trasparente;
a promuovere una campagna di sensibilizzazione sul tema della morte degli uccelli per impatto contro vetri e superfici trasparenti, affinché tutti i cittadini, anche nel contesto della realizzazione di una propria abitazione o struttura, tengano conto di tali problematiche e possano eventualmente provvedere attraverso l'utilizzo dello stesso sistema preventivo usato per le strutture pubbliche.
(7-01239) «De Rosa, Gagnarli».
La XI Commissione,
premesso che:
il decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, all'articolo 44, comma 11-bis, primo periodo, come modificato dall'articolo 3, comma 1, lettere a), b) e c) del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19 (cosiddetto Decreto Milleproroghe) prevede espressamente che: «In deroga all'articolo 4, comma 1, e all'articolo 22, commi 1, 2 e 3, entro il limite massimo di spesa di 216 milioni di euro per l'anno 2016 e di 117 milioni di euro per l'anno 2017, previo accordo stipulato in sede governativa presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la presenza del Ministero dello sviluppo economico e della regione, può essere concesso un ulteriore intervento di integrazione salariale straordinaria, sino al limite massimo di 12 mesi, alle imprese operanti in un'area di crisi industriale complessa riconosciuta alla data di entrata in vigore della presente disposizione ai sensi dell'articolo 27 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134»;
in buona sostanza, in base a quanto previsto dal cosiddetto decreto Milleproroghe si consente che, nel 2017, entro un limite di spesa pari a 117 milioni di euro, sia concesso, previo accordo stipulato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la presenza del Ministero dello sviluppo economico e della regione interessata, un ulteriore intervento di integrazione salariale straordinaria, fino al limite di 12 mesi, alle imprese operanti in un'area di crisi industriale complessa riconosciuta, in deroga ai limiti di durata generali stabiliti per la suddetta tipologia di intervento. Tale deroga è stata prevista – ai sensi dell'articolo 44, comma 11-bis, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148 – anche per l'anno 2016, entro un limite di spesa pari a 216 milioni di euro;
le condizioni per la deroga – oltre all'accordo ed al limite di spesa summenzionato – corrispondono alla circostanza che l'area di crisi industriale complessa deve essere riconosciuta dal Ministero dello sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 27 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, e successive modificazioni (la crisi può riguardare anche una sola impresa, se di grande o media dimensione e con effetti sull'indotto). Inoltre, l'impresa deve presentare (oltre alla dichiarazione di non poter ricorrere al trattamento di integrazione salariale straordinaria in base alla normativa vigente) un piano di recupero occupazionale, che preveda appositi percorsi di politiche attive del lavoro, concordati con la regione ed intesi alla rioccupazione dei lavoratori. Resta fermo che con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, le risorse annue in oggetto sono proporzionalmente ripartite tra le regioni in base alle richieste e che l'INPS provvede al monitoraggio del rispetto del limite di spesa (trasmettendo altresì relazioni semestrali al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze);
all'onere finanziario per il 2017 si fa fronte mediante impiego delle disponibilità in conto residui del Fondo sociale per occupazione e formazione;
con riferimento a tale disposizione, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, considerato il particolare momento storico di crisi economica in cui versano le aziende e il relativo impatto che ne consegue sotto il profilo della protezione sociale dei lavoratori, appare quanto mai necessario che il Governo ponga in essere con la massima sollecitudine ogni atto di competenza finalizzato ad estendere la durata degli interventi di integrazione salariale straordinaria in favore delle imprese operanti in un'area di crisi industriale complessa «per ogni anno di riferimento» e non già «sino al massimo di 12 mesi», in modo tale da consentire a tutte le aziende che si trovano nelle aree di crisi complessa già riconosciute (come l'azienda avicola matesina Gam in Molise, ma anche altre 8 nella regione Lazio) che hanno usufruito delle risorse per la cassa integrazione per l'anno 2016 di poter utilizzare anche per l'anno 2017 le risorse già stanziate a legislazione vigente,
impegna il Governo
ad adottare iniziative normative finalizzate a dare seguito a quanto descritto in premessa al fine di consentire in tempi celeri l'estensione della durata degli interventi di integrazione salariale straordinaria in favore delle imprese operanti in un'area crisi industriale complessa.
(7-01238) «Martelli, Leva, Zappulla».
La XIII Commissione,
premesso che:
nel corso della 40a edizione della Fiera in campo, organizzata da Anga Vercelli Biella, che rappresenta tra gli incontri più importanti dedicati all'agricoltura (la prima in Italia sulla risicoltura), si è svolta una manifestazione dei risicoltori italiani, sostenuti anche dalle numerose associazioni agricole, per evidenziare l'attuale e gravissima situazione, causata dalle importazioni di riso a dazio zero, provenienti in particolare dalla Cambogia, dalla Birmania e Myanmar, (i cui Paesi beneficiano dell'accordo Eba – Everything but arms, tutto tranne le armi), in considerazione che nel 2016 il mercato comunitario è stato invaso da 1 milione e 380 mila tonnellate di chicchi orientali;
le denunce da parte delle imprese risicole nazionali, evidenziano come le importazioni indiscriminate di riso orientale in Italia, (che rappresenta il primo produttore europeo con 234 mila ettari coltivati a riso, 4.265 aziende risicole, 100 industrie risiere ed un fatturato annuo di 1 miliardo di euro) sta provocando una crisi senza precedenti, in quanto:
a) i prezzi quotati nelle principali borse merci stanno crollando;
b) le aziende del settore, non riescono più a sostenere le spese di produzione, come il gasolio o i fertilizzanti, che devono sottostare a precise regole di utilizzo a differenza dei Paesi esportatori (ed è una delle principali accuse che viene rivolta all'Unione europea) il cui utilizzò di fitofarmaci o prodotti chimici sono utilizzati senza accurati controlli;
c) l'abolizione dei dazi sull'importazione di riso dai Paesi meno avanzati, come quelli suindicati (a cui si aggiungono anche altri come il Vietnam Laos e Bangladesh) stabilito dalla Commissione europea nel 2009, ha determinato come suesposto, una massiccia presenza di riso asiatico, che ha determinato come suesposto una grave riduzione della produzione europea di riso ed un calo delle quotazioni di mercato;
le numerose iniziative legislative presentate nel corso della scorsa e della presente legislatura, finalizzate a sostenere il comparto risicolo italiano ed evitare il processo in corso d'indebolimento nei mercati nazionali ed internazionali delle tradizionali varietà italiane di riso, (che costituisce un'eccellenza dell'agroalimentare italiano per qualità, tipicità e sostenibilità) non sembrano pertanto aver determinato risultati positivi e tangibili per le imprese europee ed in particolare quelle nazionali, se si valuta come gli ostacoli di varia natura persistono attualmente in modo grave e penalizzante per l'intera filiera;
risultano urgenti e indifferibili, ad avviso dei sottoscrittori del presente atto, in considerazione delle criticità in precedenza richiamate, misure volte all'introduzione di dispositivi di sorveglianza e salvaguardia, (strumenti normativi rientranti all'interno del Sistema di preferenze generalizzate (SPG) di cui al regolamento (CE) n. 978/2012, che permettono di ripristinare i normali dazi della tariffa doganale comune), se si valutano le gravi difficoltà che i suesposti Paesi orientali (beneficiari di regimi preferenziali), stanno determinando ai produttori risicoli dell'Unione europea ed in particolare all'Italia, in termini di concorrenza sleale e sistemi di tracciabilità del prodotto;
l'impatto produttivo ed economico, sull'intera filiera risicola italiana, causato dall'importazione di riso dai paesi del sud-est asiatico, in quantità tutt'altro che rilevante, necessita altresì, ulteriori misure finalizzate a tutelare il settore risicolo nazionale ed i relativi investimenti produttivi che, oltre ad avere una tradizione secolare ed un considerevole valore culturale, paesaggistico ed ambientale, rappresentano una delle forme più evolute di agricoltura del nostro Paese e contribuiscono all'affermazione del made in Italy attraverso la produzione di varietà uniche al mondo,
impegna il Governo:
ad intervenire in tempi rapidi nelle competenti sedi europee a tutela delle imprese risicole italiane e del mercato nazionale in senso più generale, affinché sia attivata la clausola di salvaguardia prevista all'articolo 22 del regolamento (UE) 978/2012;
ad adottare adeguate misure per rendere immediatamente applicabili al riso e ai prodotti a base di riso la normativa sull'etichettatura di origine dei prodotti agroalimentari a tutela dei consumatori e degli operatori della filiera e ad attivarsi affinché, nel quadro di quanto stabilito nel regolamento (UE) n. 1169/2011, l'Unione europea si doti di norme efficaci, rigorose, chiare e trasparenti in materia di origine dei prodotti;
a potenziare l'attività di vigilanza e prevenzione delle pratiche commerciali scorrette, della pubblicità ingannevole e comparativa illecita, affinché siano resi noti e pubblici i riferimenti degli operatori eventualmente coinvolti;
ad assumere iniziative dirette a prevedere infine una rivisitazione della disciplina delle attività dell'Ente risi, al fine di migliorare il sistema di crescita e competitività dell'agricoltura risicola italiana e di un più incisivo coinvolgimento dell'Ente medesimo.
(7-01240) «Faenzi, Nastri».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazione a risposta in Commissione:
LEVA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il villaggio provvisorio del comune di San Giuliano di Puglia (Cb) che a seguito del sisma del 2012 fu utilizzato per accogliere la popolazione sfollata è stato oggi individuato per accogliere 500 migranti (450 adulti e 50 minori);
la Conferenza unificata, nella seduta del 10 luglio 2014, ha approvato l'intesa tra Governo, regioni ed enti locali che esenta i comuni colpiti da calamità naturali dall'ospitare centri e strutture per l'accoglienza dei migranti;
il villaggio è ubicato in una zona isolata, in aperta campagna, servito da vie di comunicazione dissestate e fatiscenti, distante circa 4 chilometri dal centro abitato di San Giuliano e circa 2 chilometri dal comune di Santa Croce di Magliana;
i comuni sopracitati e l'intera area limitrofa sono a bassissima densità abitativa (poco più di 6000 abitanti) e con una popolazione prevalentemente anziana;
la rete dei servizi nell'intera area è particolarmente povera e debole, con un unico ospedale che recentemente è stato trasformato in casa della salute e quindi privo di presidi per le urgenze e le emergenze e con soltanto due presidi di pubblica sicurezza, le stazioni dei Carabinieri di Santa Croce di Magliano e Colletorto;
la popolazione residente, già sofferente per una ricostruzione post-sisma non ancora del tutto completata e che ha pagato, anche per questo motivo, pesantemente gli effetti della crisi economica degli ultimi anni, è profondamente preoccupata e a riguardo contro la realizzazione del progetto sono state raccolte oltre 2.000 firme;
il Molise in rapporto alla propria popolazione già ospita in percentuale il numero più elevato di migranti in Italia –:
se non si intenda intervenire con urgenza al fine di sospendere tutte le procedure in atto e avviare una interlocuzione con i comuni dell'area interessata al fine di verificare se esistono i presupposti, alla luce delle criticità esposte, per accogliere i migranti in condizioni di sicurezza per le popolazioni residenti e i migranti stessi;
se non si intenda valutare, alla luce della situazione attuale dei migranti in Molise, l'opportunità di prevedere forme di accoglienza che si basino su un modello di piccoli gruppi di migranti che risulterebbe assai più compatibile con le specificità demografiche della regione, che presenta agglomerati urbani di dimensioni ridotte, considerato che 100 comuni su 136 hanno meno di 2.000 abitanti. (5-11072)
Interrogazioni a risposta scritta:
COMINARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
in data 11 maggio 2016 l'azienda socio sanitaria territoriale della Franciacorta aggiudicava, con due distinte deliberazioni adottate dal direttore generale, ai sensi dell'articolo 36 del decreto legislativo n. 50 del 2016, rispettivamente il servizio di rifacimento del sito istituzionale e di realizzazione del sistema internet/extranet documentale e applicativo, e il servizio di assistenza specialistica volta all'aggiornamento del manuale di gestione aziendale per la durata di due anni;
le aziende socio sanitarie territoriali (ASST) concorrono con gli altri soggetti erogatori del sistema, di diritto pubblico e di diritto privato, all'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (Lea) e di eventuali livelli aggiuntivi definiti dalla regione con risorse proprie, nella logica della presa in carico della persona;
l'aggiudicazione del primo servizio è stata a favore della società Sistema Intranet.com d Luca Morisi;
Luca Morisi, secondo varie fonti di informazione, sarebbe lo spin doctor del segretario della Lega Nord (http.www.linkiesta.it);
il direttore generale della sopracitata Asst è Mauro Borelli è, sempre secondo fonti di stampa, esponente della Lega Nord. La sua militanza lo avrebbe condotto nel 2011, quando dirigeva l'Asl di Mantova, a invitare in forma scritta gli altri direttori generali Asl iscritti alla Lega Nord, a versare un cospicuo contributo nelle casse del partito;
ai sensi dell'articolo 117 del regolamento generale del consiglio regionale della Lombardia, in data 10 giugno 2016, con riferimento a tali aggiudicazioni il gruppo consiliare regionale MoVimento 5 Stelle depositava apposita interrogazione a risposta scritta;
sarebbe estremamente grave che l'aggiudicazione dei servizi in questione fosse collegata all'appartenenza politica dei soggetti coinvolti –:
di quali elementi disponga il Governo con riferimento alle aggiudicazioni di cui in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intenda adottare, in particolare alla luce dell'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
(4-16184)
STELLA BIANCHI, BECATTINI, QUARTAPELLE PROCOPIO e ZANIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
dal 27 al 31 marzo 2017 si è svolta a New York la prima sessione di negoziati per un Trattato di messa al bando delle armi nucleari;
l'Italia ha votato contro nel Primo Comitato, e sì in Assemblea Generale; non ha partecipato alla prima sessione;
i Paesi Bassi, che con l'Italia condividono la responsabilità del seggio non permanente del Consiglio di sicurezza dell'Onu per il biennio 2017-2018, partecipano alle sessioni di negoziazione del 2017 pur facendo parte della Nato ed essendosi astenuti nella votazione in Assemblea generale del dicembre 2016;
non vi è alcuna incompatibilità tra la partecipazione ai negoziati e l'appartenenza all'Alleanza atlantica;
anche l'Irlanda e l'Austria sostengono la negoziazione di un Trattato di messa al bando delle armi nucleari;
in quanto firmataria del Trattato di non proliferazione nucleare, l'Italia è tenuta a sostenere il rispetto dell'articolo VI, che prevede l'obbligo di concludere negoziati che portino al disarmo nucleare in tutti i suoi aspetti;
nell'ottobre 2016 il Parlamento europeo ha deciso, a larga maggioranza, di invitare gli Stati membri dell'Unione europea a sostenere la convocazione nel 2017 di una conferenza per negoziare un Trattato per vietare le armi nucleari e partecipare in modo costruttivo ai suoi lavori;
il rischio della proliferazione nucleare e di un uso di armi nucleari rappresenta una minaccia più che mai presente nel contesto internazionale. Oggi, nel mondo, sono ancora circa 15.000 le testate nucleari –:
se il Governo intenda o meno partecipare alla seconda sessione dei negoziati previsti per giugno-luglio 2017 in sede Onu al fine di elaborare e redigere un Trattato di messa al bando delle armi nucleari e la motivazione di tale scelta. (4-16186)
MELILLA, DURANTI, NICCHI, RAGOSTA, KRONBICHLER, ZACCAGNINI, PIRAS, ALBINI, BOSSA, RICCIATTI e QUARANTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
la spesa a carico dello Stato per i cappellani militari in attività e in pensione in questi ultimi anni è notevolmente aumentata nonostante tutta la pubblica amministrazione, compresa la Difesa, sia interessata dai noti processi di revisione-riduzione della spesa;
i cappellani militari sono 205, a cui si aggiungono altri 160 in pensione sempre a carico dello Stato;
gli stipendi dei cappellani militari sono di tutto rispetto e oscillano in base al loro grado dai 2.500 lordi per i cappellani «semplici» con il grado di tenente ai 9.000 euro lordi percepiti dall'Ordinario che ha il grado di generale di brigata;
il mantenimento dell'Ordinariato dei cappellani militari nel 2015 è costato al Ministero della difesa 10.445.732 euro tra stipendi e benefici vari tra cui le auto di servizio, a cui si aggiungono altri 7-8 milioni di euro per le pensioni, che hanno un importo medio annuo lordo di 43 mila euro cadauna;
secondo Adista negli ultimi tre anni la spesa a carico dello Stato per i cappellani è aumentata del 35 per cento;
le pensioni dei cappellani militari maturano in netto anticipo sia rispetto ai lavoratori che agli stessi militari;
la Chiesa italiana non sembra porsi il problema di superare questa situazione anche in considerazione del fatto che alla Chiesa cattolica italiana con l'8 per mille ogni anno vanno ingenti e crescenti risorse, e solo l'anno scorso lo Stato italiano ha versato oltre un miliardo di euro –:
se non ritengano necessario assumere le iniziative di competenza per una revisione della disciplina richiamata in premessa sui cappellani militari nel senso di una riduzione della spesa pubblica e di un superamento di ogni situazione di privilegio, anche in coerenza con la dottrina della Chiesa in materia di pace e di giustizia sociale. (4-16191)
GARAVINI, GIANNI FARINA, FEDI, LA MARCA e PORTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
sono circa 800.000 i connazionali, civili e militari, che dopo l'armistizio di Cassibile furono arrestati e deportati in Germania o nei territori occupati dalla Wehrmacht; concedendo loro una «medaglia d'onore», la Repubblica italiana ha voluto riconoscere il sacrificio dei propri cittadini che durante la seconda guerra mondiale rifiutarono il nazi-fascismo e si impegnarono per difendere i valori della Resistenza;
la legge 27 dicembre 2006, n. 296, prevede che il riconoscimento e la consegna della medaglia sia estesa anche ai familiari dei deceduti; è stabilito, inoltre, che le domande di riconoscimento dello status di lavoratore coatto, eventualmente già presentate dagli interessati alla Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), sono riconosciute valide a tutti gli effetti della presente legge; a tal fine si prevede che l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, tramite la sua missione di Roma trasmetta al comitato istituito dalla legge presso la Presidenza del Consiglio le istanze di riconoscimento sinora pervenute insieme alla documentazione eventualmente allegata;
quattro anni dopo l'istituzione della medaglia, la trasmissione dei dati dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni al Comitato di cui al comma 1274 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, non aveva ancora trovato attuazione; in risposta all'interrogazione n. 5-05715 (XVI legislatura) il Sottosegretario di Stato agli affari esteri pro tempore, dettagliando gli ostacoli che si erano fino ad allora presentati nella trasmissione dei dati, assicurava la massima collaborazione per fare in modo che le circa 115.000 istanze presentate a suo tempo all'Organizzazione internazionale per le migrazioni, potessero essere quanto prima esaminate dal Comitato;
gli aventi diritto risultano raramente informati dell'istituzione di tale riconoscimento; al fine del raggiungimento dello scopo della legge, è dunque essenziale che le istanze a suo tempo presentate all'Organizzazione internazionale per le migrazioni siano integralmente trasmesse al Comitato presso la Presidenza del Consiglio, sul quale deve poi gravare l'onere di informare gli aventi diritto della facoltà di ritirare la medaglia;
come dimostra la recente consegna della medaglia al Ministro della cultura francese Aurélie Filippetti, il cui nonno italiano fu deportato in un campo di concentramento nazista tra gli aventi diritto al riconoscimento si contano anche numerosi connazionali residenti all'estero, che si sacrificarono per i valori della Resistenza, e per i quali occorre assicurare il massimo impegno, affinché vengano effettivamente messi al corrente della possibilità di ottenere la medaglia;
l'onere complessivo derivante dall'istituzione della medaglia d'onore ai cittadini deportati nei campi nazisti, inizialmente previsto nell'importo di 250.000 euro, non è mai stato integrato con nuovi stanziamenti –:
se le istanze di riconoscimento presentate in passato all'Organizzazione internazionale per le migrazioni siano state integralmente trasmesse al Comitato per l'individuazione degli aventi diritto e se, conseguentemente questi ultimi siano stati individualmente informati della facoltà di ottenere la medaglia;
se gli stanziamenti fino ad ora effettuati risultino sufficienti per coprire le spese di gestione dei dati eventualmente trasmessi dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni e i costi necessari per informare individualmente gli aventi diritto;
se sia stato assicurato il massimo sforzo per attivare i canali d'informazione degli emigrati italiani in Europa, affinché anche i connazionali all'estero siano messi al corrente dell'istituzione della medaglia d'onore. (4-16202)
BALDASSARRE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
come si può leggere da recenti articoli di stampa sul portale web arezzonotizie.it, sembrerebbe che la scuola materna di Matrignano (Arezzo) stia per chiudere e che i bambini che frequentano la stessa saranno ricollocati in altra struttura;
i bambini che attualmente frequentano la struttura sono 47;
solitamente i bambini provengono da famiglie che hanno scelto la scuola in base alla dislocazione geografica a loro più comoda e per questo con molta probabilità risiedono nelle vicinanze della struttura stessa;
per quanto riportano gli organi di stampa suddetti appare che la struttura non sarebbe a norma e che attualmente mancherebbero le risorse per poter procedere ad una messa in sicurezza a norma di legge;
le interviste riportate dalla stampa fanno emergere che sui piani triennali del comune ci sarebbero dei fondi che potrebbero essere utilizzati a tale scopo, ma su tale dichiarazione emergerebbero pareri discordanti;
il 22 novembre 2016, l'allora Presidente del Consiglio dei ministri e l'allora Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dichiaravano, durante la giornata nazionale della sicurezza delle scuole, l'implementazione della disponibilità economica per investimenti volti alla messa in sicurezza degli edifici scolastici che ne avessero bisogno;
la situazione sopra illustrata appare di grande rilievo per la comunità locale con particolare attenzione ai possibili disagi a cui andrebbero incontro i genitori dei bambini, il personale della scuola e gli insegnanti;
appare anomala la situazione attuale, nel quale i bambini si trovano a metà anno scolastico, con l'eventualità di dover cambiare scuola, compagni scolastici, insegnanti quando pochi mesi fa sono state fatte le iscrizioni senza alcun rilievo di criticità –:
se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, siano a conoscenza dei fatti suddetti;
se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano procedere con estrema celerità ad un'approfondita analisi del problema suddetto;
se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, siano a conoscenza di qualsivoglia procedura di richiesta di finanziamenti da parte del comune di Arezzo, volti alla riqualificazione e messa in sicurezza dell'immobile in premessa e di tutti gli immobili che volgono nelle medesime condizioni sul territorio di competenza. (4-16204)
DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
le spese effettuate dalla pubblica amministrazione dovrebbero essere compiute solo se necessarie a finalità compatibili con gli scopi della stessa, dato che vengono effettuate attraverso il ricorso del denaro dei contribuenti;
da ciò che si apprende, invece, dall'articolo «Sedie, catering per i voli di Stato, gadget e foto ricordo di Renzi. A Palazzo Chigi solo lo spreco è Esecutivo» pubblicata sul sito www.lanotiziagiornale.it la Presidenza del Consiglio si sarebbe caratterizzata per una lunga lista di spese di dubbia utilità e di importo molto elevato;
sarebbe stato bandito «un appalto per realizzare una foto in bianco e nero 30x40 “del Presidente Matteo Renzi” con una targa “in pelle color marrone e stampa oro” nella quale si ricorda il suo premierato da febbraio 2014 a dicembre 2016»;
sarebbero stati spesi inoltre più di 50 mila euro per nuove «sedute da lavoro» per oltre 50 mila euro tra le quali 25 sgabelli, 150 sedie «con schienale in rete e braccioli», 100 dotate pure di poggiatesta e, infine, altre 10 «seduta da lavoro direzionali» in pelle;
sarebbero inoltre stati acquistati anche 125 computer nuovi per altri 50 mila euro mentre la Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico di Erasmo D'Angelis avrebbe affidato, per 16 mila euro, al Politecnico di Milano la gestione del sito e «dei profili account e social network della Struttura di missione»;
vi sarebbero inoltre da aggiungere al computo le spese del «servizio catering aeronautico» sui voli di Stato da parte della Sima Ristorazione, per oltre 130 mila euro e circa 5 mila euro per la manutenzione del giardino del Centro Residenziale e Studi della Scuola Nazionale dell'Amministrazione;
acquisti di dubbia entità sarebbero stati effettuati anche dal dipartimento delle pari opportunità dato che sarebbero stati spesi più di 27 mila euro per la fornitura di gadget con il claim: «A colori è meglio», che sono stati distribuiti durante la settimana contro il razzismo;
vi sarebbe inoltre un bando per il «Servizio di collaborazione specialistica per il supporto alla realizzazione dei compiti di promozione, analisi, controllo e sostegno della parità di trattamento nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura» rivolto anche alla stesura della relazione annuale da consegnare in Parlamento sulle differenze di genere, che è stato affidato ad un soggetto esterno: la S.&T. Società Cooperativa, che riceverà per tale onere quasi 100 mila euro e la cui socia fondatrice e presidente è Alberta Pasquero, esponente del Partito Democratico –:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga che le suddette spese, in un periodo di difficoltà economica dalla quale il Paese non si è ancora ripreso, siano eccessive e inopportune;
quali misure di propria competenza intenda adottare al fine di razionalizzare la spesa della Presidenza del Consiglio dei ministri, specie per ciò che riguarda quelle sopra elencate. (4-16212)
LAFFRANCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
nel corso del mese di aprile del 2014 è stato presentato a Bruxelles il cosiddetto «Piano d'azione per le libere professioni», promosso dall'allora vicepresidente della Commissione europea, Antonio Tajani;
tale Piano prevede l'inquadramento e la valorizzazione dei servizi professionali, per sfruttarne appieno il potenziale attraverso nuove misure, quali: la formazione all'imprenditorialità, l'accesso ai mercati, la riduzione dell'onere amministrativo, l'accesso al credito, la partecipazione delle libere professioni ai programmi e ai progetti europei;
l'iniziativa, che ridisegna il ruolo delle professioni in Europa prende le mosse dal «Piano d'azione imprenditorialità 2020», presentato all'inizio del 2013 dalla Commissione per rilanciare lo spirito imprenditoriale in Europa;
il Piano d'azione è stato recepito dallo Stato italiano con la legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, comma 821, della legge n. 208 del 2015) ed attuato dalla quasi totalità delle Regioni, eccezion fatta per l'Umbria;
così, ad oggi, i professionisti umbri sono impossibilitati ad essere ammessi ai bandi europei (Por, Fse e Fesr 2014-2020), cosa che invece accade nelle restanti 19 regioni italiane;
questo, a parere dell'interrogante, è un fatto gravissimo e non tollerabile, in primis perché non in linea con una legge dello Stato che, ancorché non preveda sanzioni, deve essere assolutamente rispettata dalle regioni e poi perché fonte di incomprensibile discriminazione e penalizzazione per i professionisti della regione Umbria;
l'esclusione dai bandi europei di avvocati, commercialisti, medici, geometri, ingegneri, architetti, geologi e via discorrendo umbri costituisce una grave perdita per l'economia della regione e per i valori di condivisione dello spirito europeo –:
di quali elementi disponga il Governo in merito alla scelta della regione Umbria di non attuare quanto previsto dalla legge di stabilità per il 2016 (articolo 1, comma 821, legge n. 208 del 2015) che ha recepito in Italia le disposizioni del piano europeo per le libere professioni;
se il Governo non intenda, nell'immediato, adoperarsi, per quanto di competenza affinché sia data piena attuazione al «Piano d'azione per le libere professioni» sopra richiamato, in modo tale che non risultino ulteriormente penalizzati i liberi professionisti appartenenti ad alcune aree territoriali, come quella descritta in premessa. (4-16214)
AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
Interrogazione a risposta in Commissione:
MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
l'interrogante ha ricevuto, dopo 5 mesi, risposta alla propria interrogazione 4-14804 del 16 novembre 2016 da parte del sottosegretario Amendola, ancorché ampiamente insoddisfacente;
la questione, come è noto, si riferisce alla vicenda dell'azienda italiana Barolo & C. Snc Lituania e del mancato recupero del credito commerciale, garantito da istituti bancari del Paese e risalente al 1995, già evidenziata nella citata interrogazione che, tuttavia non può essere rubricata alla stregua di «una questione commerciale tra privati», come scrive il Sottosegretario nella sua risposta;
appare evidente, infatti, come, fra tutti gli alti funzionari e diplomatici o Ministri che si sono susseguiti nel tempo, nessuno sia mai stato capace, a parere dell'interrogante, di sottolineare con forza agli omologhi lituani la vicenda della ditta Barolo & C., poiché la garanzia bancaria da essa ricevuta e costituita da un credito documentario irrevocabile, era stata emessa da una banca interamente di proprietà del stato lituano, la quale aveva anche posto il riservato dominio sui macchinari forniti e quando il cliente è fallito, anziché almeno restituirli alla citata ditta, li hanno venduti e trattenuto l'intero ricavato. Peraltro, come si evince dalla lettera dell'11 dicembre 2008 inviata al signor Barolo dal Ministero interrogato, questi avrebbe potuto utilizzare proprio tale argomento senza tuttavia minimamente imporsi, visti i risultati, in quanto, secondo lo scrivente, sembra sia stato sempre accettata passivamente la contestabilissima risposta dei lituani, ovvero che si tratta solo di mere questioni commerciali tra privati;
quantomeno, nell'occasione della concessione di alcuni immobili all'ambasciata lituana a Roma (questione già evidenziata nella citata interrogazione) e in parziale contropartita, i funzionari avrebbero dovuto e potuto facilmente imporre ai lituani il pagamento del dovuto al signor Barolo;
peraltro, appare interessante quanto afferma anche l'attuale ambasciatore a Vilnius che, nella sua e-mail del 7 marzo 2014 indirizzata al signor Barolo, ammette gli innumerevoli errori che erano stati commessi nel passato riferiti soprattutto al fatto che sarebbe stato molto facile sfruttare quell'occasione per ottenere il pagamento delle somme dovute;
sempre nella citata risposta del sottosegretario Amendola si fa riferimento al mancato ricorso alle vie legali da parte del signor Barolo, nel senso di un errore che andava evitato; tuttavia, come scrive all'interrogante il signor Barolo, egli non aveva potuto adire le vie legali perché in caso di controversia il contratto prevedeva solo il ricorso a un arbitrato internazionale che a quel tempo la Corte lituana non riconosceva e che aveva atteso tutti questi anni perché quando egli ne sollecitava la conclusione gli veniva chiesto sempre di pazientare in quanto ogni volta venivano addotte sempre svariate motivazioni tipo: visite ufficiali di Capi di Stato o Ministri, oppure che erano in corso importanti trattative per la vendita di elicotteri e altro, oltre alla famosa questione della Villa Lituania –:
quali ulteriori e più decise iniziative di competenza intenda adottare per consentire al signor Barolo di poter recuperare il suo credito;
se non ritenga di voler verificare se e quali inadempienze si siano eventualmente verificate in ordine alla vicenda in oggetto da parte dei funzionari diplomatici succedutisi nel tempo. (5-11080)
Interrogazione a risposta scritta:
GARAVINI, TACCONI, FEDI, LA MARCA e PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
l'innesto dell'insegnamento in italiano negli ordinamenti scolastici dei diversi Paesi nei quali si realizza la promozione della lingua e della cultura italiana all'estero rappresenta un obiettivo primario che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale persegue da alcuni anni in considerazione dei positivi risultati ottenuti sul piano dei percorsi di integrazione, della formazione interculturale e multilinguistica e della serietà dell'organizzazione e delle metodologie didattiche;
l'invio del personale insegnante all'estero, adibito nello svolgimento dei corsi d'italiano, inseriti nelle scuole locali o nelle classi bilingue, rappresenta uno snodo essenziale di questo sistema formativo e una garanzia di qualità culturale e didattica del servizio offerto;
l'applicazione dell'insegnamento in italiano nelle scuole straniere è fondata su accordi stabiliti con le autorità scolastiche locali e presuppone la precisa osservanza degli impegni convenzionalmente assunti, ad iniziare da quelli riguardanti il calendario scolastico e l'organizzazione didattica dei corsi nei diversi istituti;
nell'area europea, dove esistono consistenti comunità italiane che esprimono ancora una sensibile domanda di formazione in italiano delle giovani generazioni, si manifesta il maggior interesse per il pronto e corretto inserimento del personale scolastico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca inviato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, volto a corrispondere alle vive attese educative delle famiglie e, nello stesso tempo, a sviluppare i rapporti di cooperazione con le autorità scolastiche locali;
di fatto, però, gli insegnanti inviati dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, negli ultimi anni sono arrivati con diverse settimane di ritardo rispetto all'apertura dell'anno scolastico, a causa della sfasatura tra i tempi delle nomine ministeriali e l'avvio delle attività di insegnamento, che nella maggior parte dei Paesi europei partono in anticipo rispetto all'Italia;
per il corrente anno scolastico, a seguito di ricorsi giudiziari avanzati da alcuni interessati, pare che le nomine siano andate anche al di là del consueto ritardo, determinando gravi disagi negli istituti scolastici di diverse realtà europee e una perdita di credibilità nella capacità del nostro Paese di rispettare sul piano amministrativo gli impegni assunti;
questa situazione, ad esempio, a quanto consta agli interroganti, si è verificata diffusamente in Germania, in particolare nelle classi bilingue di Francoforte, che ad alcune settimane di distanza dall'apertura dell'anno scolastico non hanno potuto ancora regolarizzare i corsi in italiano;
la diffusione della lingua e della cultura italiane negli ordinamenti locali e il bilinguismo rappresentano opzioni prioritarie e di prospettiva, che non possono essere limitate o compromesse da pratiche amministrative sfasate e contraddittorie rispetto al funzionamento degli ordinamenti scolastici di Paesi verso i quali le nostre autorità diplomatiche e consolari hanno assunto precisi impegni operativi –:
quali disposizioni intendano dare i Ministri interrogati alle strutture amministrative ministeriali affinché il sistema di nomine e di invio di personale scolastico all'estero sia regolato in modo da tener conto dei calendari scolastici dei Paesi ai quali esso è destinato e da poter onorare gli impegni assunti, evitando cadute di credibilità, disfunzioni operative e delusione tra gli utenti. (4-16203)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazione a risposta orale:
MARZANA, DE ROSA, ZOLEZZI, DAGA, BUSTO, MICILLO, MANNINO, TERZONI, D'UVA, GRILLO, VILLAROSA, RIZZO e LOREFICE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il 15 marzo 2017 la Direzione distrettuale antimafia di Catania, ha proceduto all'arresto di 17 persone, nell'ambito dell'operazione denominata «Piramidi», tra cui vi sarebbero gli imprenditori Antonino Paratore e il figlio Carmelo, considerati braccio economico del clan Santapaola-Ercolano per traffico illecito di rifiuti, associazione di stampo mafioso, usura, estorsione, corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio in favore della società Cisma spa, sita nel comune di Melilli, agevolando così la realizzazione di una discarica per rifiuti speciali;
coinvolti, fra gli altri, i funzionari regionali: ingegner Mauro Verace firmatario del parere favorevole numero 3 del 12 marzo 2015, come risulta dal decreto AIA; l'architetto Gianfranco Cannova che ha sottoscritto il decreto VIA 874/2013 e l'ingegner Giuseppe Latteo;
inoltre è stata disposta l'interdizione dall'attività professionale per Mario Corradino, nel cui capo d'imputazione si legge che «con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, quale funzionario in servizio presso l'Assessorato infrastrutture e mobilità della Regione Sicilia, (...) si faceva dare e promettere da Carmelo Paratore, consistenti somme di denaro come prezzo della propria mediazione illecita verso i predetti funzionari (Verace, Cannova e Latteo) (...) per l'accoglimento della richiesta di ampliamento del sito di discarica della Cisma», in sostanza tangenti per ampliare la discarica di rifiuti speciali, avere l'autorizzazione ambientale, ed evitare poi i controlli sul rispetto delle norme ambientali nello smaltimento;
secondo gli investigatori, la Cisma Ambiente spa sarebbe diventata, negli anni, il collettore finale di ingenti flussi di rifiuti provenienti non solo dal comparto petrolchimico siciliano: dal 2011 al 2014, i rifiuti nella discarica si sono moltiplicati di sette volte, passando da 86 mila a 587 mila tonnellate. Di questi, oltre la metà (350 mila tonnellate) provenienti da altre regioni, tra cui il polverino dell'Ilva di Taranto;
l'inchiesta ha portato al sequestro di sei imprese per un valore complessivo di 50 milioni di euro, tra queste, l'inceneritore della Gespi srl di Augusta, società gestita dai fratelli Giuseppe e Giovanni Amara, in rapporti di affare con i Paratore, che avrebbe dovuto ridurre in cenere i rifiuti della Cisma;
nella ricostruzione dei militari del NOE, questo trasferimento sarebbe avvenuto in modalità tutt'altro che lecite, infatti nell'ordinanza firmata dal Gip del tribunale di Catania, dottoressa Raffaella Vinciguerra, si legge: «I rifiuti triturati dalla Cisma venivano trasportati alla Gespi dove venivano ridotti a ceneri con i codici CER 190107 e CER 190111. A tali ceneri sarebbe dovuta essere attribuita la caratteristica di pericolo H7 (cancerogeno) (...). Peraltro, l'attività di triturazione veniva eseguita all'aperto, senza alcuna misura di captazione delle polveri sottili che si sprigionavano dalla triturazione, benché si trattasse di rifiuti altamente nocivi»;
si aggiunga che, a tutt'oggi, non è ancora pervenuta risposta all'interrogazione 5-10040 del 23 novembre 2016 a firma della prima firmataria del presente atto, in cui si chiedeva, tra le altre cose, di valutare l'effettiva pericolosità dei rifiuti conferiti in Sicilia, provenienti dall'Ilva, nonché i presupposti di liceità di tale trasferimento –:
quali provvedimenti urgenti e indifferibili il Ministro interrogato, nei limiti delle proprie attribuzioni, intenda intraprendere, affinché siano rispettate tutte le norme sia in materia ambientale, che con riguardo alla tutela della salute dei cittadini;
se intenda avvalersi della collaborazione dell'Ispra a dell'Arpa per verificare a quale tipo di classificazione sia assoggettabile il polverino, e se la discarica Cisma sia stata congrua per accoglierli;
considerata l'eccezionalità e gravità dei fatti descritti in premessa, se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per quanto di competenza affinché i cittadini che risiedono nel territorio non debbano continuare a subire ulteriori danni. (3-02938)
Interrogazioni a risposta scritta:
GUIDESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
con due precedenti interrogazioni n. 4-14155 e n. 4-11550, attualmente senza risposta, l'interrogante aveva messo in evidenza le preoccupazioni dei cittadini del lodigiano per la conversione del giacimento esaurito di gas naturale a Cornegliano Laudense (Lodi) in un maxi impianto di stoccaggio di gas, di capacità stimata in 2,2 miliardi di metri cubi, chiedendo iniziative urgenti da parte del Ministro interrogato per effettuare verifiche preventive, controlli e monitoraggi a tutela della salute della popolazione locale;
la concessione per la realizzazione e l'esercizio dell'impianto è stata rilasciata alla società Ital Gas Storage il 15 marzo 2011 per una durata complessiva di 40 anni, e i lavori, iniziati alla fine 2015, dovrebbero concludersi nell'anno 2018;
dall'inizio 2015 sono stati avviati una serie di monitoraggi concordati con l'Arpa Lombardia per la qualità dell'aria (PM10), delle acque di prima falda e dei livelli acustici e, nei prossimi giorni, è in programmazione l'avvio dei rilievi in 3D dell'area, insieme ai parametri geologici e fisici, per mappare, con altissima definizione, l'assetto geologico del sottosuolo;
si tratta di monitoraggi prescritti da Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ministero dello sviluppo economico, anche a seguito alle conclusioni della «Commissione I.c.h.e.s.e.» e alle conseguenti prescrizioni previste per accompagnare le attività di movimentazione del gas con reti di monitoraggio ad alta tecnologia, finalizzate a seguire nel tempo l'attività microsismica delle deformazioni del suolo e l'andamento delle pressioni;
inoltre, sono da poco conclusi i test al Cluster B, con prove di combustione del gas metano, per le quali la società ha annunciato l'esito positivo delle auto-misurazioni degli impatti e il rispetto dei limiti di norma, nei comunicati pubblicati sul sito web www.italgasstorage.it;
tuttavia, su tale sito, istituito dalla società per garantire l'informazione dei cittadini, non sono presenti dati ambientali e da quanto si apprende dal giornale il Giorno, edizione Lodi, del 9 marzo 2017, sembra che «il Ministero ha messo sotto segreto industriale i dati sull'inquinamento ambientale durante i test dell'impianto»;
i cittadini sono indignati e preoccupati per la propria salute, e chiedono di sapere i dati della qualità dell'aria durante i test sui pozzi;
inoltre, si apprende dal medesimo giornale che, nonostante il presidente della provincia avesse garantito l'utilizzo ai fini della sicurezza delle risorse messe a disposizione da parte della società per l'attuazione di compensazioni ambientali, pari ad un milione di euro, attualmente, la provincia intende utilizzare tali risorse per interventi sulla rete viaria provinciale –:
quali iniziative il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda adottare per assicurare l'accesso dei cittadini di Cornegliano Laudense ai dati dei monitoraggi e della mappatura in 3D, durante la costruzione e l'esercizio del deposito di gas naturale;
quali interventi saranno possibili, qualora venissero registrate delle anomalie nell'attività microsismica delle deformazioni del suolo e se l'eventuale utilizzo per opere viarie delle compensazioni ambientali, messe a disposizione dalla società Ital Gas Storage, possa corrispondere agli standard e agli indirizzi del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. (4-16196)
PALESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 3 del decreto-legge n. 243 del 2016 convertito dalla legge n. 18 del 2017 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2017) istituisce un fondo da 1 milione di euro per l'anno 2017 per finanziare un piano straordinario di indagine di approfondimento teso alla verifica dello stato delle matrici ambientali al fine di scongiurare l'emergere di criticità dovute alla presenza dell'impianto di discarica in località Burgesi, nel comune di Ugento;
allo scopo di finanziare la realizzazione del piano, da predisporre a cura della regione Puglia con la collaborazione di Arpa Puglia e Asl competente, nel bilancio del Ministero dell'ambiente è stato istituito un Fondo per la verifica dello stato di qualità delle matrici naturali in località Burgesi/Ugento con uno stanziamento, in termini di competenza e cassa, di 1 milione di euro per l'anno 2017;
tale articolo, inserito nella relativa legge di conversione deriva da una proposta dell'interrogante, in seguito all'allarme suscitato dalle dichiarazioni di un pentito nell'ambito di una inchiesta della procura di Lecce e la stessa procura invitò regione, provincia di Lecce e comuni del territorio interessato, ad attivarsi quanto prima per procedere a campionamenti, verifiche, bonifiche;
venne ipotizzato che nel territorio sottostante la discarica possano essere stati tombati rifiuti pericolosi e tossici, mettendo così a rischio la salute e la pubblica incolumità dei cittadini dei comuni di Ugento, Acquarica e Presicce;
sull'onda di questi allarmi e di quelli in seguito arrivati anche formalmente dai sindaci dei comuni interessati, il Presidente della regione Puglia effettuò un sopralluogo tecnico nella discarica, garantendo che quanto prima i suoi uffici si sarebbero attivati;
ad oggi non risulta all'interrogante che la regione Puglia si sia attivata per attingere al fondo istituito con l'articolo 3-ter del decreto n. 243 del 2016, né che sia stata avviata alcuna procedura per predisporre la realizzazione del Piano straordinario –:
se quanto denunciato in premessa corrisponda al vero;
se al Ministro interrogato risulti o meno che la regione si stia attivando per attingere al fondo istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 3-ter del decreto-legge n. 243 del 2016, convertito dalla legge n. 18 del 2017;
quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per verificare quali azioni siano state compiute per la predisposizione del piano di cui in premessa per la cui realizzazione è stato istituito il suddetto fondo, tenendo conto che dall'esito delle verifiche sul territorio in cui insiste la discarica in località Burgesi dipende la tutela della salute pubblica di centinaia di migliaia di cittadini.
(4-16206)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazione a risposta in Commissione:
BURTONE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
in un articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno, edizione del 5 aprile 2017, a firma di Rocco Brancati viene denunciato un grave danno per la cultura meridionale poiché risulta essere disperso un importante carteggio del poeta ingegnere lucano, Leonardo Sinisgalli;
si tratta di un preziosissima corrispondenza tra Sinisgalli e molti autorevoli e importanti esponenti della cultura italiana ed anche europea che, a vario titolo, erano in contatto attraverso la rivista bimestrale Civiltà delle macchine;
si tratta di una triste vicenda di eredità mai chiarita e che rischia di pregiudicare la divulgazione di un pezzo importante della storia culturale di questo Paese;
in occasione delle celebrazioni per i 150 anni dall'Unità d'Italia, Leonardo Sinisgalli è stato indicato come il personaggio che più di ogni altro rappresenti oggi la «lucanità»;
la Fondazione dedicata al poeta, con sede a Montemurro (Potenza), che pure avrebbe avuto un diritto di prelazione, non sarebbe stata neppure messa al corrente della messa in vendita di questo carteggio e di altro materiale appartenente al Sinisgalli;
alcuni titoli risulterebbero essere sul sito eBay e altri si teme possano essere andati dispersi con grave nocumento per la cultura –:
se il Ministro interrogato, in considerazione di quanto sopra esposto, non ritenga opportuno attivarsi per recuperare il suddetto carteggio affinché, anche in collaborazione con la Fondazione di cui in premessa, possa essere adeguatamente tutelata e valorizzata la memoria di una delle figure intellettuali più autorevoli del Mezzogiorno. (5-11077)
Interrogazione a risposta scritta:
D'AGOSTINO e VEZZALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
il Teatro «Carlo Gesualdo» di Avellino costituisce una realtà nel panorama culturale che nel corso degli anni si è affermata a livello nazionale, distinguendosi per la qualità dei cartelloni proposti e per le iniziative portate avanti, alcune delle quali hanno avuto attenzione anche al di là dei confini nazionali;
il teatro versa in condizioni di difficoltà finanziarie;
da tempo sono in corso verifiche di tipo contabile e amministrativo da parte dell'amministrazione comunale di Avellino;
tale condizione di difficoltà finanziaria rischia di mettere in discussione il futuro del teatro;
attualmente la gestione del teatro è affidata a un commissario;
c’è il rischio, paventato da molti durante l'ultima seduta del consiglio comunale di Avellino, che la gestione del teatro possa essere assegnata al Comune, determinando una sorta di «annacquamento» che rischia di essere decisamente dannoso per la gestione dello stesso;
a giudizio dell'interrogante, inoltre, sarebbe gravissimo, come prospettato, chiudere il teatro anche se solo per un anno, se non altro perché ci sarebbero conseguenze estremamente dannose per la sua reputazione;
ancora non sono cominciati i lavori per definire il nuovo cartellone, nonostante questo sia il periodo durante il quale solitamente tale attività viene avviata;
a giudizio dell'interrogante, si rende necessario unire gli sforzi affinché le politiche di contenimento della spesa pubblica non colpiscano quelle realtà di impegno che ben funzionano e che hanno contribuito in maniera significativa alla crescita culturale e civile della provincia di Avellino;
la città di Avellino e l'intera provincia non possono consentirsi di perdere una realtà come il Gesualdo;
a giudizio dell'interrogante è necessario che tutti i livelli istituzionali assicurino un impegno diretto e concreto per scongiurare la chiusura del Teatro Carlo Gesualdo;
occorre completare le verifiche amministrative e contabili in corso, ma queste devono essere espletate nella massima celerità per evitare che abbiano come conseguenza non solo l'accertamento della verità ma anche, paradossalmente, la chiusura del teatro –:
quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per sostenere il Teatro «Carlo Gesualdo» di Avellino e per scongiurarne la chiusura.
(4-16193)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazioni a risposta in Commissione:
D'INCÀ e SIBILIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
l'attività della Fondazione Cassamarca – continuazione della Cassa di risparmio della Marca Trivigiana – è istituzionalmente preposta, al pari di ogni altra fondazione di origine bancaria, alla promozione dello sviluppo economico e sociale del territorio. Da fonti stampa si apprende che la gestione della medesima, affidata, senza soluzione di continuità da circa 25 anni, all'avvocato trevigiano Dino De Poli abbia ridotto notevolmente le disponibilità economiche della fondazione che ab origine poteva disporre di un patrimonio di ben 1 miliardo di euro –:
se l'Autorità di vigilanza abbia provveduto a chiedere alla Fondazione Cassamarca la comunicazione di dati e notizie, nonché la trasmissione di atti e documenti al fine di accertare eventualmente:
irregolarità nella gestione, ovvero violazioni delle norme che disciplinano l'attività delle fondazioni di origine bancaria;
la conformità della gestione, soprattutto in materia di diversificazione degli investimenti ed adeguatezza delle spese di funzionamento, rispetto agli atti di indirizzo generale ed ai criteri di efficienza e di sana e prudente gestione indicati dalla medesima autorità di vigilanza;
l'adeguatezza degli investimenti patrimoniali al profilo prudenziale di rischio, previsto dalle disposizioni normative e dal Protocollo di intesa sottoscritto tra il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Associazione delle fondazioni e casse di risparmio;
se la gestione della Fondazione Cassamarca affidata all'avvocato Dino de Poli, senza soluzione di continuità da circa 25 anni, con ben 10 milioni di euro di compensi, sia, sul piano formale e sostanziale, conforme ai divieti normativamente previsti e quali siano le iniziative che l'Autorità di vigilanza intenda assumere al fine di evitare che la gestione delle fondazioni di origine bancaria venga tramandata, senza soluzione di continuità, ai medesimi esponenti per periodi così lunghi e con compensi così elevati. (5-11073)
BATTAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
la Banca di Italia, a seguito di una azione di vigilanza avviata nel 2014, nella quale avrebbe riscontrato gravi irregolarità e ripetute violazione delle norme antiriciclaggio ha proceduto nel mese di marzo 2017, al commissariamento della Banca di credito cooperativo di Cittanova, in provincia di Reggio Calabria;
nell'azione ispettiva posta in essere da Bankitalia sarebbero emerse gravi violazioni della normativa antiriciclaggio e un elevato numero di relazioni intrattenute dalla Banca di credito cooperativo con controparti interessate da indagini o provvedimenti della Direzione distrettuale antimafia o con soggetti a loro collegati, nonché finanziamenti concessi a soggetti sotto indagine ed anche una movimentazione anomala e per importi significativi (circa 25 milioni nell'ultimo triennio, importi inusuali per una Banca di credito cooperativo) nonostante il rischio di riciclaggio;
la banca non avrebbe attivato alcuno degli interventi chiesti dalla vigilanza, inducendo Bankitalia a far scattare appunto l'amministrazione straordinaria, nonostante la Banca di credito cooperativo abbia una situazione patrimoniale solida;
la banca in questione consta di 8 filiali e 59 dipendenti;
la gestione della Banca di credito cooperativo è ora affidata ai commissari che si sono insediati lunedì 3 aprile 2017 e che opereranno sotto la supervisione della Banca d'Italia –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza intenda assumere al fine di monitorare tale situazione a garanzia di quanti, soci e correntisti, hanno sempre agito correttamente e ora sono fortemente preoccupati per il futuro di tale istituto di credito.
(5-11078)
Interrogazione a risposta scritta:
ABRIGNANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il bollo auto storiche 2017 e moto d'epoca è stato profondamente modificato con l'entrata in vigore della legge di stabilità 2015 che ne ha previsto l'esenzione solo per quelle con età pari o superiore a 30 anni mentre i veicoli storici ventennali, ossia, quelli con età tra 20 e 29 anni sono soggetti alla normale tassa automobilistica regionale di possesso;
in particolare l'articolo 1, comma 666 della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 dispone l'eliminazione dell'esenzione dal bollo per gli autoveicoli e per i motoveicoli ultraventennali di particolare interesse storico e collezionistico;
la legge n. 190 del 23 dicembre 2014 non è stata recepita da tutte le regioni allo stesso modo e questo ha comportato la disputa innanzi alla Corte Costituzionale di diversi conflitti di attribuzione;
ciascuna regione infatti, possiede margini di manovra che consentono di intervenire con legge regionale; in particolare, l'articolo 24 del decreto legislativo n. 504 del 1992 dà facoltà a ciascuna regione di approvare, entro il 10 novembre di ciascun anno, variazioni tariffarie (in più o in meno) nel limite del 10 per cento rispetto agli importi vigenti nell'anno precedente;
su tale tributo, nel suo complesso, si è formata nel corso degli anni una articolata stratificazione di competenze che sono ripartite fra Stato e regioni; più precisamente, nei riguardi delle regioni a Statuto ordinario e delle Province Autonome di Bolzano – Alto Adige e di Trento è stata affidata ogni competenza di gestione afferente il tributo, ivi compresa la riscossione, l'accertamento, il recupero, i rimborsi e il contenzioso (articolo 17, comma 10 della legge n. 449 del 1997);
il Ministero dell'economia e delle finanze aveva previsto un gettito a regime (ovvero in maniera permanente per ogni annualità di bilancio futura) di 78,5 milioni di euro dall'anno 2015 –:
quanto sia stato effettivamente il gettito derivante dall'incasso della tassa automobilistica regionale di possesso per i veicoli ed i motoveicoli con età compresa tra i venti e i ventinove anni per gli anni 2015 e 2016. (4-16192)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
FOLINO, FRANCO BORDO e MOGNATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
come si legge sulla Gazzetta del Mezzogiorno, il nuovo tratto che gli automobilisti in transito sul raccordo autostradale Sicignano-Potenza sono costretti a percorrere tra gli svincoli Balvano e Vietri, a causa della chiusura del tragitto originale, in conseguenza di una lesione comparsa sul viadotto Marmo (Potenza) è un coacervo di strade provinciali e comunali assolutamente impraticabili;
il raccordo autostradale, compreso tra gli svincoli vietresi situati in contrada San Vito e Cugni, è completamente chiuso e tutto il traffico è deviato attraverso il percorso alternativo della strada provinciale n. 94 e nelle contrade vietresi, fino ad una settimana fa, utilizzato solo dai mezzi pesanti. Il tutto a causa di due lesioni riscontrate su una trave del viadotto «Marmo» in direzione nord;
tantissime sono le segnalazioni dei cittadini; in particolare viene segnalato che, in alcuni tratti, di sera, si viaggerebbe totalmente al buio, mentre, in altri, la carreggiata sarebbe particolarmente disconnessa, con la presenza di numerose buche non segnalate;
l'Anas, ente proprietario del raccordo, ha dato risposte totalmente insufficienti a giudizio degli interroganti, comunicando, per il tramite del proprio ufficio stampa: «entro metà di aprile verrà aperta al traffico una bretella di circa 600 metri, attualmente in disuso, ma sulla quale Anas sta lavorando per rimetterla in uso» –:
quali iniziative urgenti s'intendano avviare al fine di garantire il ripristino di una corretta e sicura viabilità per un tratto fondamentale e al fine di garantire un pezzo della viabilità nazionale nel contesto del Mezzogiorno;
se, in particolare, s'intendano fornire maggiori dettagli in merito al crono programma di ripristino e alla tipologia degli interventi che sono stati messi in atto da Anas sui tratti di viabilità di cui in premessa. (5-11068)
BATTAGLIA, BRUNO BOSSIO e COVELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
i sindacati dei lavoratori del porto di Gioia Tauro hanno annunciato 10 giorni di sciopero, dal 13 al 24 aprile 2017 contro i 400 licenziamenti annunciati da Mct, società che gestisce il terminal containers dello scalo;
Gioia Tauro è uno dei porti più importanti del Mediterraneo ed è strategico per il nostro Paese;
il Governo ha sempre supportato le linee di sviluppo di tale infrastruttura, considerandola imprescindibile per l'intera portualità nazionale in relazione al suo potenziale di competitività anche con i porti del nord Europa;
anche nell'ultimo decreto-legge per il Mezzogiorno sono state previste misure finalizzate ad affrontare alcune criticità come ad esempio le istituzioni dell'Agenzia per la somministrazione del lavoro per i porti tra cui Gioia Tauro e per la riqualificazione professionale;
in questa drammatica situazione stupisce la decisione da parte del Ministro Delrio, annunciata nella sua recente visita a Messina, di prorogare l'Autorità portuale della città e quindi con il conseguente prolungamento, ad avviso degli interroganti, dell'attuale commissariamento della Autorità portuale di Gioia Tauro;
suddetta notizia va valutata anche alla luce di rischi di conflitti di interesse che gravitano intorno ad Aponte ed Mct che sono stati oggetto anche di un atto di sindacato ispettivo presentato il 18 gennaio 2017;
tale situazione di stallo accresce l'incertezza sul futuro dello scalo italiano più importante nel sistema portuale italiano, contraddicendo, nei fatti, quanto invece viene costantemente sostenuto sulla centralità del Porto di Gioia Tauro –:
quali siano le ragioni che non consentono il superamento della fase commissariale per l'Autorità portuale di Gioia Tauro, procedendo verso la piena attuazione della riforma e quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di convocare in tempi rapidi un tavolo istituzionale per affrontare le criticità presenti a Gioia Tauro, con l'obiettivo di scongiurare ulteriori ridimensionamenti occupazionali e per rilanciare la strategicità della infrastruttura. (5-11076)
Interrogazioni a risposta scritta:
D'AGOSTINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
da mesi la comunità di San Mango attraverso i suoi amministratori, chiede alle autorità locali di intervenire per ottenere il ripristino dello svincolo che collega la strada statale 7 al centro abitato;
detto svincolo fu interessato da uno smottamento determinato dall'alluvione che nell'ottobre del 2015, colpì non solo la città e la provincia di Benevento, ma anche una parte del territorio irpino su quale ricade quel tratto di strada;
si tratta di una strada che è strategica per raggiungere non solo l'abitato, ma anche il vicino nucleo industriale;
detto svincolo serve anche altre località come quelle di Paternopoli, Luogosano, Sant'Angelo all'Esca, Gesualdo e Fontanarosa;
lo svincolo è chiuso da ormai 8 mesi;
a giudizio dell'interrogante, occorre evitare ulteriori disagi ai residenti e riattivare una infrastruttura che è necessaria per raggiungere le aziende che operano nel nucleo industriale di San Mango;
a giudizio dell'interrogante non è possibile prospettare nessuna forma di rilancio delle aree interne senza infrastrutture, senza l'ammodernamento di quelle esistenti, così come è impensabile immaginare programmi di valorizzazione delle nostre realtà ai fini dell'incentivazione del turismo enogastronomico;
i numerosi pendolari che quotidianamente si recano ad Avellino per motivi di lavoro o di studio sono costretti ad una serie tortuosa di deviazioni, così come tutti gli automobilisti che raggiungono ogni giorno la città di Benevento o quella di Ariano Irpino;
a giudizio dell'interrogante è necessario che il Governo intervenga prontamente agevolando i lavori necessari a rimuovere i blocchi di cemento che sbarrano l'accesso all'Ofantina, eliminando finalmente gli ormai insostenibili disagi ai residenti e alle aziende operanti nel vicino nucleo industriale –:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare nell'immediato per mettere in sicurezza lo svincolo della strada statale 7 che conduce a San Mango e ad altri comuni nelle vicinanze. (4-16195)
D'ARIENZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
come si legge dalla stampa, il gestore aeroportuale SAVE, che controlla con il 40 per cento i due aeroporti Valerio Catullo di Verona e Gabriele D'Annunzio di Brescia/Montichiari, sarà oggetto di un'offerta pubblica di acquisto da parte di due fondi infrastrutturali stranieri che compreranno una quota maggioritaria della società (il francese InfraVia Capital Partners e il tedesco Deutsche Asset Management, espressione di Deutsche Bank);
la scelta non appare motivata da requisiti industriali, bensì obbligata per risolvere i problemi economici dei due soci di SAVE, in litigio tra loro;
una cosa simile è già accaduta in passato. Infatti, il Catullo era controllato da comune, provincia e camera di commercio di Verona ed i soci veronesi sono stati costretti a vendere le proprie quote dell'aeroporto perché l'avevano quasi condotto al fallimento e non avevano altra scelta;
l'interrogante valuta, in linea di principio, l'intervento economico dei privati un fatto tutto sommato positivo, perché dimostra l'attrattività e le potenzialità dello scalo e di Verona;
è socio di SAVE con il 20 per cento circa anche il fondo Atlantia del Gruppo Benetton, già proprietario degli aeroporti di Roma;
suscita perplessità la questione della governance, sebbene dalla stampa si legga che «il controllo di Save sarà però assicurato da un accordo parasociale tra Marchi, InfraVia e Deutsche» –:
se il Governo sia a conoscenza di quanto prospettato;
se il Ministro interrogato ravvisi le condizioni per verificare l'interesse di eventuali investitori italiani;
in che modo intenda intervenire per verificare se le condizioni di governance siano rispettose dei soci italiani;
se gli investimenti promessi dal gestore SAVE sull'aeroporto Valerio Catullo e sull'aeroporto di Brescia/Montichiari saranno comunque garantiti, in qualsiasi scenario futuro. (4-16205)
INTERNO
Interrogazioni a risposta scritta:
SALVATORE PICCOLO, PALMA, CARLONI, MANFREDI, SGAMBATO e BOSSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il Fondo rustico Amato Lamberti di Chiaiano (circa 14 ettari di terreno), ubicato a Napoli in via Tirone, nel quartiere di Chiaiano, è un bene confiscato al clan Simeoli e affidato in gestione alla cooperativa «Resistenza»;
nella predetta tenuta agricola, sono realizzate molteplici iniziative di carattere sociale, per ragazzi a rischio, per il reinserimento sociale degli ex detenuti, per il recupero dei minori;
l'area ospita anche detenuti in affidamento al lavoro e una comunità alloggio per minori;
la cooperativa che gestisce il bene ha siglato un protocollo col dipartimento di giustizia minorile e colloca sul mercato anche prodotti solidali;
più volte, i volontari impegnati nel bene confiscato hanno dovuto subire intimidazioni, minacce, attacchi da parte – probabilmente – di quei clan di camorra che hanno mal digerito l'assegnazione e la gestione sociale dei terreni;
in particolare, sono stati segnalati negli anni numerosi furti;
quattro anni fa, gli attivisti si sono ritrovati, una mattina di giugno, di fronte a due fosse scavate nel terreno, rappresentanti due tombe, sulle quali erano state collocate due croci fatte di terra, con un chiaro messaggio intimidatorio;
lo scorso due aprile, si è registrato l'ultimo, grave episodio: una porzione notevole del podere è stata data alle fiamme; sono andati a fuoco molti ettari di vigneti, a cui i volontari avevano lavorato duramente nei mesi scorsi; sul posto sono state rinvenute tracce di liquido infiammabile e l'incendio, dai primi accertamenti, sembra essere di natura dolosa;
il titolare della cooperativa, mentre supervisionava la procedura di spegnimento dell'incendio, è stato avvicinato da due persone in scooter che gli hanno gridato «ve ne dovete andare»;
la reiterazione di episodi violenti e/o intimidatori alimentano la sensazione di assedio tra gli operatori sociali e i volontari;
gli attacchi ai soggetti che provano a far rivivere i beni confiscati sono cronaca quotidiana in tutta la provincia di Napoli, segno che i clan soffrono non poco la determinazione e la ferma volontà dello Stato di recuperare un bene frutto del crimine e della violenza camorristica per restituirlo ai cittadini e consentirne un proficuo utilizzo sociale, esaltandone nel contempo anche quel valore simbolico ed educativo che serve a rafforzare nella coscienza comune il sentimento della legalità e la fiducia nelle istituzioni;
questi episodi non fermano, naturalmente, le realtà associative che sono impegnate nei beni confiscati e continuano il loro lavoro, ma diffondono paura, disorientamento e disagio, a cui lo Stato deve opporre una reazione adeguata –:
quali iniziative intende assumere il Ministro, per quanto di competenza, per proteggere e tutelare dalle intimidazioni e da fatti delittuosi di chiara connotazione camorristica le attività sociali che la cooperativa affidataria svolge sul bene confiscato, denominato Fondo rustico Amato Lamberti, di Chiaiano (Napoli) e per testimoniare ancor più l'impegno e la fermezza dello Stato nel contrasto all'illegalità ed al crimine organizzato. (4-16197)
SCOTTO e FORMISANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
negli scorsi giorni il sindaco di Torre del Greco, comune tra i più estesi e popolosi dell'area metropolitana di Napoli, ha più volte annunciato a mezzo stampa l'arrivo di trecento migranti assegnati in base al piano nazionale di riparto;
questo annuncio è basato su dicerie e voci di corridoio, giacché l'amministrazione comunale ha ammesso di non aver ricevuto alcuna comunicazione ufficiale da parte della prefettura;
secondo le ricostruzioni giornalistiche circa 130 migranti arriverebbero nella zona Leopardi ospitati dalla comunità del Buon Consiglio, una settantina dovrebbero trovare ospitalità in una struttura ricettiva di via Litoranea e i restanti cento, invece, verrebbero distribuiti a pioggia in varie tipologie di alloggio sul territorio;
a tale ipotesi, che, attualmente è sostenuta solo da dicerie, il sindaco ha già espresso categorica contrarietà e la volontà di opporsi con ogni modalità possibile all'arrivo di eventuali migranti;
secondo il sindaco di Torre del Greco i migranti rischiano di impoverire il tessuto economico locale e si è detto contrario al flusso di immigrazione perché «gli extracomunitari devono restare a casa loro»;
il sindaco afferma, peraltro, che il comune non sarebbe dotato di locali idonei a dare accoglienza a nuovi extracomunitari, eppure da ricostruzioni giornalistiche risulta che la già comunità del Buon Consiglio sia già sufficientemente attrezzata e che alcuni imprenditori stiano già verificando le normative da rispettare per garantire l'idoneità di diverse strutture ricettive sul lungomare;
tra le varie affermazioni del sindaco va sottolineata quella secondo cui non andrebbero accettati migranti nigeriani perché provenienti da un Paese che non vive in Stato di guerra, dimenticando però che in Nigeria si vive una condizione di perenne tensione e la guerriglia urbana è all'ordine del giorno, anche per la presenza di una delle più grandi organizzazioni terroristiche mondiali, Boko Haram;
dichiarazioni di tal fatta da parte della massima istituzione locale sono estremamente pericolose, specie considerato che sul territorio torrese sono attive realtà dichiaratamente neofasciste come CasaPound e Forza Nuova che hanno sempre espresso posizioni estremamente radicali e pericolose sull'immigrazione;
Torre del Greco, tra l'altro, è una città storicamente accogliente e ben disposta all'integrazione umana e culturale, che non ha mai vissuto l'immigrazione come un «problema»;
parliamo, peraltro, di un comune di oltre 85.000 abitanti, in cui l'eventuale dislocazione di trecento migranti non potrebbe certo essere considerata eccessiva –:
se quanto dichiarato dal Sindaco di Torre del Greco riguardo l'imminente arrivo di trecento migranti in esecuzione del piano di riparto nazionale corrisponda a verità;
quali misure intenda prendere, per quanto di competenza, al fine di non rendere una situazione del tutto sostenibile un motivo di tensione sociale del tutto immotivata. (4-16201)
BRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
si apprende a mezzo stampa (Il fatto quotidiano.it del 18 marzo 2017) la vicenda di Adriana, transessuale 34enne di origini brasiliane, immigrata in Italia da 17 anni e attualmente trattenuta nel centro di identificazione ed espulsione di Restinco (Brindisi) dove è presente unicamente il reparto maschile;
dopo aver perso il lavoro a causa dei cambiamenti fisici procurati dalla cura ormonale a cui si è sottoposta e a seguito della scadenza del permesso di soggiorno, Adriana ha prima ricevuto il foglio di via, poi è stata rinchiusa a fine gennaio 2017 scorso nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Brindisi, senza che si tenesse conto della sua identità sessuale;
Adriana si trova adesso in un Cie per soli uomini dove non sono mancati insulti e minacce, vivendo pertanto una situazione di costante disagio che la porta a trascorrere le sue giornate sotto l'occhio delle telecamere di sicurezza, unico strumento di «difesa» che ha all'interno del centro;
durante questi due mesi di reclusione la difficile convivenza con alcuni soggetti trattenuti nel Cie non è stato il solo problema che Adriana ha dovuto affrontare. In concomitanza alla sua detenzione, Adriana ha dovuto interrompere la cura ormonale. Le sue richieste per ricevere tali cure sono state respinte perché pare non sia possibile sottoporla a visite mediche per la prescrizione delle pillole e la prosecuzione della terapia ormonale;
sebbene al momento Adriana si trovi in una situazione di irregolarità nei confronti dell'ordinamento italiano, è dovere dello Stato tutelare la sua dignità e i suoi diritti di individuo. Il suo caso si aggiunge ai controlli e le inchieste sui Cie promossi negli anni da associazioni, organizzazioni non governative e specialmente il Parlamento, nonché alle testimonianze dei migranti trattenuti, che hanno puntualmente e chiaramente evidenziato la totale inadeguatezza delle strutture e di tutto il modello dei centri di identificazione ed espulsione;
la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica ha sancito, a fronte delle tante criticità riscontrate, l'urgenza di superare l'attuale sistema e di riconsiderarlo completamente esponendo le motivazioni nel «Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione in Italia» aggiornato a febbraio 2016;
il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, ignorando tutti i risultati delle inchieste e degli studi effettuati, rilancia i Cie rinominandoli Cpr – Centri per il rimpatrio, prevedendo inoltre un sostanziale ampliamento dei posti disponibili e l'apertura di un Cpr per ogni regione;
il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale nella sua recente «Relazione al Parlamento 2017» esprime con forza e chiarezza le numerose criticità dei Cie e Cpr dichiarandone l'inopportunità e l'inefficacia nel garantire la tutela dei migranti detenuti;
l'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, prevede al secondo comma che nei Cie lo straniero sia trattenuto «con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza e il pieno rispetto della sua dignità» –:
se il Ministro interrogato intenda verificare compiutamente se siano stati rispettati i diritti della persona di cui in premessa trattenuta nel Centro di identificazione ed espulsione di Restinco (Brindisi) e che le sia stato garantito l'accesso ad un difensore, ad un medico, ad ottenere la giusta informativa sulla sua condizione e a contattare parenti o terze persone a propria scelta per informarli della propria condizione;
quali iniziative intenda assumere al fine di tutelare i diritti di tale persona, anche provvedendo a un suo pronto trasferimento in un luogo più idoneo rispetto a un Cie per soli uomini e garantendo la possibilità di proseguire con le cure a cui si sottoponeva in precedenza anche in una situazione di trattenimento come quella attuale. (4-16207)
BARONI, LOREFICE, DI VITA, NESCI, SILVIA GIORDANO, MANTERO, LOMBARDI, DAGA, RUOCCO, BRESCIA, DALL'OSSO, DI BATTISTA, ZOLEZZI e CECCONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la casa di cura Colle Cesarano è gestita dal 2004 dalla società Geress s.r.l. Accreditata definitivamente dalla regione Lazio il 9 maggio 2013 per 160 posti letto di psichiatria (DCA n. U00155) e ulteriori 40 posti letto di Rsa (DCA n. 000169) è una delle strutture più pagate della regione Lazio, con un budget di circa euro 8.300.000 l'anno;
in data 21 dicembre 2016, tramite atto di sindacato ispettivo n. 4-15052 a prima firma Roberta Lombardi, è stato chiesto l'intervento agli stessi Ministri in indirizzo per fare chiarezza sull'utilizzo di alcuni immobili all'interno della struttura sanitaria denominati «Centro Agorà» sottratti all'utilizzo dei pazienti della casa di cura e adibiti all'accoglienza profughi;
quest'ultima interrogazione è la sesta presentata, tra Camera e Senato. Alcun riscontro è stato dato ai precedenti atti ispettivi e nessuna risposta da parte del commissario ad acta alla sanità della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, in ordine alle sette interrogazioni presentate dai nostri colleghi regionali in merito ai temi richiamati e riguardanti la medesima struttura;
in data 13 marzo 2017 durante il programma televisivo Presa Diretta su rai3, è stato provato che il «Centro Agorà» è ancora adibito all'accoglienza profughi, privo di qualsiasi presidio o di un adeguato isolamento rispetto alla Casa di Cura i cui ospiti sono in costante commistione con i pazienti dal novembre del 2011;
durante il servizio è emerso, inoltre, per ammissione dello stesso legale rappresentante dottor Manfredino Genova, che il Centro, ceduto alla gestione della Cooperativa 29 giugno di Salvatore Buzzi, è privo dell'adeguata autorizzazione;
l'8 febbraio 2017 l'ex collaboratore di Luca Odevaine, Mario Schina, accusato di corruzione aggravata e arrestato nel corso della prima tranche «Mondo di Mezzo», ha dichiarato che Colle Cesarano fu segnalato da lui a Sandro Coltellacci (braccio destro di Buzzi e imputato nel maxiprocesso su mafia capitale) come sito idoneo per i rifugiati;
inoltre, considerato che gli immobili ceduti sono di pertinenza sanitaria, in quanto afferenti alla casa di cura e accatastati in categoria D4 – case di cura ed ospedali, risulta inspiegabile la facilità con la quale siano stati destinati all'accoglienza dei profughi, senza autorizzazione e senza che l'ASL di competenza sollevasse prescrizioni in ordine all'ottenimento dell'accreditamento istituzionale definitivo;
dalle diverse ispezioni della ASL RMG (competente sul territorio), condotte anche per il rilascio del parere favorevole all'ottenimento dell'accreditamento definitivo istituzionale, non risulta alcun riscontro rispetto alle numerose anomalie denunciate nel corso degli anni, sollevate anche dopo l'ispezione fatta dal M5S nel giugno del 2015 e accertate tramite la puntata di presa diretta di cui sopra –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti;
se si intendano fornire notizie sull'accreditamento e sull'autorizzazione del «centro Agorà» destinato all'accoglienza degli immigrati all'interno di immobili la cui destinazione d'uso è vincolata alla funzione sanitaria e riabilitativa della clinica;
se si intendano assumere le iniziative di competenza, anche per il tramite del commissario ad acta per il rientro dai disavanzi sanitari, per fare chiarezza sull'operato e sulla gestione della casa di cura Colle Cesarano;
se ancora sussistano in capo alla casa di cura Colle Cesarano i requisiti presenti per il mantenimento dell'accreditamento da parte del servizio sanitario;
se non si ritenga opportuno, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, assumere iniziative per la revoca dell'accreditamento, al fine di salvaguardare il fondamentale diritto alla cura dei malati e comunque, quali iniziative di competenza intendano assumere al riguardo. (4-16209)
CIPRINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
come si apprende in un articolo del 31 marzo del 2017 dal sito online www.grRet.it Informazione Sicurezza e Difesa, il concorso per il reclutamento di 559 agenti tenutosi nel maggio del 2016 venne annullato «a seguito di una denuncia presentata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma perché, come si legge nell’“Ordine di esibizione di atti e documenti” del 16 novembre 2016, a firma del Procuratore della Repubblica, un partecipante al concorso aveva denunciato delle anomalie. In particolare il denunciante affermava che un altro partecipante era in possesso di domande e risposte del test un'ora prima che iniziasse e, a riprova di ciò, esibiva un messaggio Whatsapp ricevuto dall'amico “furbo”, che riportava ora e data precedenti all'effettuazione del test stesso»: più precisamente si trattava del concorso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – 4a Serie speciale del 29 gennaio 2016 per il reclutamento di n. 559 allievi agenti della Polizia di Stato, riservato ai sensi dell'articolo 2199, comma 4, lettera a), del decreto legislativo n. 66 del 2010, ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma;
recentemente l'amministrazione ha bandito il nuovo concorso; tuttavia, secondo quanto riportato nell'articolo del 31 marzo 2017 di www.grRet.it Informazione Sicurezza e Difesa dal titolo: «Concorso per 559 Agenti di Polizia: è rivolta in rete». L'accusa dei candidati: «Test truccato come il precedente», «le 80 domande da somministrare ai candidati vengono estratte da un corposo “database” composto da circa 3.000 quesiti. Ebbene, questo “database” non è mai stato pubblicato ufficialmente dal ministero dell'Interno, né prima del concorso del maggio 2016 (poi annullato) né in occasione di quello successivo tenutosi pochi giorni fa. Come abbiamo visto però, nel precedente concorso questo database non solo era in possesso di alcuni presunti “furbi”, ma – a quanto si legge nel documento del tribunale di Roma – erano indicate anche le risposte esatte. Adesso, a pochi giorni dal nuovo concorso, un utente rimasto anonimo ha inviato ad un blog di militari il famigerato “database” che ufficialmente – lo ricordiamo – non è mai stato reso pubblico dal ministero»;
la notizia ha suscitato allarme nei candidati al concorso che nutrono dubbi sulla regolarità anche del nuovo concorso bandito dalla amministrazione;
l'immissione in ruolo di nuovi agenti è indispensabile al fine di garantire l'efficienza della Polizia di Stato che spesso si trova ad operare con una carenza di personale che incide sull'attività di controllo del territorio, a fronte di una sempre maggiore esigenza di contrasto della criminalità e anche dei fenomeni terroristici, ma è altrettanto importante garantire la regolarità delle selezioni dei nuovi agenti –:
se il Ministro si a conoscenza dei fatti esposti e se questi trovino conferma;
quali iniziative intenda intraprendere per garantire la regolarità e la trasparenza delle selezioni e dei concorsi per il reclutamento degli agenti della Polizia di Stato. (4-16210)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazione a risposta in Commissione:
PETRENGA, RIZZETTO, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
la provincia di Caserta, con deliberazione del consiglio provinciale n. 37 del 29 dicembre 2015 ha dichiarato lo stato di dissesto finanziario;
la relazione sulla situazione finanziaria della provincia prodotta dall'ente stesso evidenzia come l'esercizio finanziario 2017 risulta privo di una programmazione contabile e pone, con urgenza, il problema della continuità stessa delle funzioni e delle attività dell'ente, con il rischio dell'interruzione dei pubblici servizi;
dopo la scadenza dell'esercizio provvisorio, il 1o aprile 2017 l'ente non è più in grado di garantire nessuno dei servizi erogati dalla provincia, con conseguente sospensione degli stipendi dei dipendenti, licenziamento diretto dei lavoratori in forza alle società appaltanti dei vari servizi (si vedano ad esempio i 48 del gruppo Samir, così come i 64 di Terra di Lavoro Spa), chiusura del museo campano di Capua e del centro per l'impiego;
il presidente della provincia ha dichiarato, in un incontro pubblico, come riportato anche a mezzo stampa, che, non essendovi più le condizioni minime di operare si potrebbe arrivare alla chiusura degli istituti scolastici mettendo a rischio anche gli esami di Stato;
a causa del dissesto, si paventa il licenziamento degli operatori delle società che si occupano di manutenzione delle scuole e molti istituti scolastici hanno già chiuso i laboratori informatici così come le cucine degli alberghieri;
quasi nessuna delle 96 scuole superiori si è adeguata alle norme sulla sicurezza per mancanza dei fondi e 94 istituti non hanno né l'agibilità, né il certificato di staticità –:
quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda mettere in atto per scongiurare l'eventuale chiusura degli istituti scolastici statali superiori alle porte degli esami di maturità e per garantire una gestione ordinaria e normale dei servizi didattici essenziali per la comunità. (5-11071)
Interrogazione a risposta scritta:
VALLASCAS. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
a partire dagli anni ’50, è in attività nella città di Cagliari il liceo artistico, nato da prima come istituto d'istruzione privato parificato, dall'anno scolastico 1967-1968 scuola pubblica, mentre dal 2015 è diventato liceo artistico musicale statale;
nel 2005, il liceo è stato intitolato a «Foiso Fois», uno dei maggiori protagonisti del panorama artistico regionale della seconda metà del ’900, già docente e preside dell'istituzione;
nel corso degli oltre sessant'anni di storia, il liceo è diventato punto di riferimento nella formazione artistica nelle sue diverse espressioni e applicazioni, annoverando, tra l'altro, tra i suoi docenti, grandi artisti quali, oltre il già citato Foiso Fois, Primo Pantoli, Gaetano Brundu, Italo Antico, Caterina Lai, Luigi Mazzarelli, Mirella Mibelli, Giuseppe Pettinau, Rosanna Rossi, Attilio della Maria, Pinuccio Sciola;
il liceo «Foiso Fois» accoglie studenti provenienti da località a oltre cinquanta chilometri di distanza dalle sedi scolastiche, mentre la popolazione scolastica ha un tasso di pendolarismo del 78 per cento;
nonostante il ruolo centrale nella formazione e nella divulgazione artistica, che nel tempo è accresciuta con un'articolata offerta didattica, a cui si è aggiunta recentemente la formazione musicale, il liceo non ha una sede propria;
è il caso di riferire che, nella sua storia, il liceo stato ospitato in due edifici storici di Cagliari (piazza Dettori e via San Giuseppe), dove gli spazi consentivano lo svolgimento di attività didattiche e laboratoriali proprie di un liceo artistico;
dal 2003, il liceo è stato trasferito, una prima volta in un plesso in via Bixio e, dal 2011, la sede centrale è stata individuata nel Parco martiri delle Foibe, con due succursali, tra Cagliari e Monserrato, peraltro individuate di volta in volta all'ultimo momento in base alla disponibilità dei plessi;
anche a seguito di una visita alla sede centrale, l'interrogante ha potuto verificare che i locali dell'istituto, a malapena adatti allo svolgimento di lezioni frontali, sono del tutto inadeguati alle attività laboratoriali proprie di un liceo artistico;
in particolare, sono del tutto assenti gli spazi per le esercitazioni pratiche e i laboratori, ad eccezione di alcuni locali, originariamente con diversa destinazione d'uso, inadeguati per mancanza di spazio e illuminazione naturale;
da segnalare che nella succursale di Monserrato, ai ragazzi che a rotazione frequentano il plesso, è del tutto preclusa la possibilità di svolgere attività laboratoriale, vista l'assenza di spazi adeguati;
l'agenzia giornalistica Ansa del 4 ottobre scorso ha riferito che gli studenti del liceo «Hanno scoperto il giorno prima dell'avvio delle lezioni che le aule dell'istituto “Leonardo” che li ospitavano fino allo scorso anno erano state consegnate agli studenti del “Martini” e che avrebbero dovuto trasferirsi al “Besta” di Monserrato che però è inagibile»;
per l'anno scolastico 2017-18, il liceo prevede di costituire 43 classi (40 di liceo artistico, più tre di liceo musicale) per un totale di 897 studenti (51 dei quali disabili);
da quanto esposto sullo stato e sulla disponibilità dell'edilizia scolastica in provincia di Cagliari, sono rilevabili oggettivi ostacoli al regolare svolgimento delle funzioni educative e formative all'interno del liceo «Foiso Fois», con grave danno alla formazione culturale e professionale nonché alla crescita personale degli studenti –:
quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per garantire al personale docente e agli studenti del liceo «Foiso Fois» un regolare esercizio dell'insegnamento e dell'apprendimento didattico finalizzato alla formazione artistica;
se non intenda intervenire, per quanto di competenza e attraverso le articolazioni territoriali del Ministero, presso le istituzioni locali per rimuovere gli ostacoli che si frappongono all'individuazione di una sede idonea alle attività del liceo. (4-16198)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
RICCIATTI, MARTELLI, GIORGIO PICCOLO, ZAPPULLA, NICCHI, PLACIDO, AIRAUDO, PIRAS, QUARANTA, SCOTTO, MURER, FOSSATI, DURANTI, MELILLA, ZARATTI, FRANCO BORDO e SANNICANDRO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
secondo quanto emerge dai dati dell'Inps, elaborati da Ires Cgil Marche, attualmente, nella regione sono erogate 559 mila prestazioni pensionistiche e assistenziali;
l'importo medio delle pensioni risulta essere di 720 euro, con valori medi che variano dai 925 euro delle pensioni di vecchiaia ai 406 euro delle pensioni e assegni sociali;
i dati richiamati registrano importi significativamente inferiori rispetto a quelli nazionali, con 212 euro in meno sul lordo medio mensile;
tale divario aumenta (-299 euro mensili rispetto alla media nazionale) se si prendono in considerazione le pensioni di vecchiaia dei lavoratori dipendenti;
dai dati emerge, inoltre, come sia altrettanto elevata la differenza di prestazioni pensionistiche tra uomini e donne; mentre gli uomini, infatti, percepiscono mediamente nelle Marche 951 euro di pensione, le donne arrivano a 558; vale a dire mediamente –393 euro ogni mese;
a destare allarme è anche il dato generale secondo il quale il 69 per cento del totale delle pensioni (pari a circa 387 mila prestazioni) sono inferiori a 750 euro al mese, una cifra che non consente di superare a questa larga fascia di popolazione la soglia di povertà; anche su tale aspetto si registra una importante differenziazione di genere, mentre gli uomini con pensioni fino a 750 euro sono il 49 per cento del totale, le donne sono l'83 per cento –:
se il Ministro interrogato sia al corrente della grave situazione illustrata in premessa;
quali iniziative intenda adottare al fine di garantire pensioni più dignitose. (5-11070)
RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
nel 2009 è stata avviata un'indagine dell'ispettorato del lavoro – direzione provinciale di Roma, sui collaboratori dei parlamentari che prestano la propria opera presso la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica;
tale attività avrebbe comportato un lungo lavoro, dato che i risultati della stessa sono stati pubblicati dagli organi di informazione solo nel 2013;
come sottolineato da un articolo di Gianluca Di Feo e Primo Di Nicola, «Colf o portaborse ? Un palazzo di collaboratori in nero», pubblicato da L'Espresso nel marzo 2013, a 635 deputati corrispondevano solo 272 collaboratori accreditati per l'accesso ai Palazzi;
nel corso delle verifiche effettuate sui collaboratori impiegati presso le sedi della Camera dei deputati, sarebbero state riscontrate 58 irregolarità – pari circa al 20 per cento dei controlli complessivi effettuati – in materia lavoristica, previdenziale e assicurativa;
per i collaboratori di senatori invece sarebbero state riscontrate 21 irregolarità e le sanzioni comminate sarebbero state pari a circa 19 mila euro;
in due casi vi sarebbero state controversie, nate a seguito dell'ispezione, risolte con conciliazioni davanti ai giudici;
al cambio di legislatura, visto il fisiologico ricambio degli eletti, si sono stipulati nuovi contratti di lavoro, ma non si è avuto un effettivo riscontro circa un miglioramento delle condizioni contrattuali dei collaboratori parlamentari, mentre diverse ulteriori controversie legali lasciano supporre, ad avviso dell'interrogante la presenza di sacche non sanate di irregolarità –:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quali siano i dati effettivi risultanti dalle indagini operate dall'Ispettorato del lavoro – direzione provinciale di Roma sui rapporti contrattuali intercorrenti tra parlamentari e i loro collaboratori nell'anno 2009 e se non intenda promuovere analoga attività ispettiva anche nella presente legislatura. (5-11074)
CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
al fine di promuovere forme di occupazione stabile, il comma 118 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) ha introdotto un incentivo generale per le assunzioni a tempo indeterminato a decorrere dal 1o gennaio e fino al 31 dicembre del 2015, applicando un esonero contributivo a favore degli imprenditori per le nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato per un periodo massimo di 36 mesi;
per ottenere gli sgravi, la legge di stabilità per il 2015 richiedeva che il lavoratore assunto non avesse avuto contratti a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti: i centri per l'impiego regionali (uno per ogni regione) sono gli organi deputati ad attestare l'assenza di precedenti rapporti di lavoro a tempo indeterminato;
come si apprende dalla rivista Panorama del 16 marzo 2017, è accaduto che, poiché i centri per l'impiego regionali non sono stati dotati di una banca dati unificata in rete, «un certo numero di candidati all'assunzione non ha comunicato ai futuri datori di lavoro che nei sei mesi precedenti aveva già avuto un contratto a tempo indeterminato in un'altra regione, cosa che rendeva lo sgravio indisponibile. Lo ha certificato l'Inps con l'ultimo aggiornamento sul fenomeno fornito alla Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, il 7 marzo scorso. Risulta da quei dati che su oltre 600 mila imprese che hanno fatto ricorso agli sgravi triennali ben 28.591 hanno sbagliato, presumibilmente senza colpa, assumendo persone che nei sei mesi precedenti avevano avuto contratti a tempo indeterminato con altri datori di lavoro»;
i datori di lavoro che hanno beneficiato del suddetto sgravio ora si vedono richiedere i contributi di cui erano convinti di non dover versare, con l'aggiunta di una sanzione minima;
sono 28.591 le aziende che hanno ricevuto una diffida a rimborsare i predetti contributi e 42.254 i lavoratori oggetto della diffida per una somma complessiva da recuperare alle casse dell'Inps di oltre 154 milioni di euro tra contributi e sanzioni –:
se il Governo sia a conoscenza della situazione sopra riportata e quali iniziative intenda adottare o stia adottando al fine di creare una banca dati unificata o interconnessa di quelle dei centri per l'impiego regionali e per istituire efficienti servizi per il collocamento al fine di evitare il ripetersi dei fatti descritti in premessa. (5-11075)
MOGNATO, MURER, ZOGGIA, FRANCO BORDO e FOLINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
in data 6 ottobre 2016 l'azienda TIM ha comunicato la disdetta unilaterale del contratto di secondo livello sottoscritto con le organizzazioni sindacali nel 2008;
dopo la disdetta si è dovuto attendere oltre 4 mesi per il primo incontro ufficiale tra azienda e le organizzazioni sindacali avvenuto il 23 gennaio 2017, nonché l'organizzazione di uno sciopero unitario in data 13 dicembre 2016;
nelle more della convocazione del tavolo del 23 gennaio l'azienda ha annunciato procedure di trasferimento di personale delle aree di staffa da Torino e Milano a Roma;
durante il tavolo del 23 gennaio l'azienda ha giustificato la disdetta del contratto in un'ottica di contenimento e razionalizzazione dei costi, e ha contestualmente illustrato i contenuti del nuovo regolamento aziendale, che agisce in maniera restrittiva sulle condizioni lavorative del personale, avuto riguardo in particolare agli orari di lavoro, alle ferie collettive coatte, alla flessibilità spinta;
il 14 marzo 2017 è stato effettuato un ulteriore sciopero di 8 ore con due manifestazioni nazionali a Roma e Milano cui hanno partecipato migliaia di lavoratori;
ad aggravare tale quadro si inserisce la decisione di TIM di reinternalizzare una serie di attività che erano state precedentemente esternalizzate e cedute a società esterne (Accenture, HPCDS, Targa FLEET, CEVA Logistic, Manutencoop) perché ritenute no-core senza però procedere al contestuale riassorbimento dei lavoratori Telecom a suo tempo esternalizzati. Emblematica a questo riguardo, seppur non unica, è la situazione degli attuali 144 lavoratori ex TIM che nel 2000 vennero trasferiti alla società Accenture a seguito della cessione di ramo d'azienda di parte delle attività di amministrazione del personale, che corrono il rischio dell'interruzione del loro rapporto lavorativo a seguito della decisione unilaterale di TIM di disdettare anticipatamente l'accordo con Accenture e di reinternalizzare il servizio a partire dal 1o gennaio 2018 (anziché arrivare a scadenza naturale nel 2022 dell'affidamento) senza procedere alla riassunzione dei lavoratori;
le organizzazioni sindacali hanno proclamato un pacchetto di 16 ore di sciopero, di cui 4 a livello nazionale per il 6 aprile, a sostegno della vertenza occupazionale sulla disdetta dell'appalto TIM;
coerentemente con quanto fissato dall'articolo 41 della Costituzione italiana vi è una responsabilità sociale di impresa;
le vertenze sono state oggetto di audizioni presso le competenti commissioni della Camera dei deputati –:
quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere, nell'ambito delle proprie competenze, per verificare le concrete volontà da parte dell'azienda TIM di redigere un piano industriale coerente e credibile che, anziché agire solamente sul versante della compressione dei costi e quindi penalizzando le condizioni lavorative, valorizzi le competenze professionali, individui linee strategiche di sviluppo sul mercato, assicuri nei processi di reinternalizzazione che saranno attuati la riassunzione del personale a suo tempo esternalizzato.
(5-11079)
Interrogazioni a risposta scritta:
ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il 5 aprile 2017 si è tenuto a Ravenna, in Piazza del Popolo, un presidio di lavoratori e sindacati, per protestare contro i 104 licenziamenti avanzati da Acmar come soluzione alla crisi aziendale che sta attraversando la cooperativa edile;
nonostante sia stato indetto uno sciopero per l'intera giornata e circa la metà del personale abbia aderito, al presidio hanno partecipato un numero di persone nettamente inferiore alle aspettative e, secondo il segretario provinciale della Fillea Cgil, possono aver influito le «forti pressioni interne a non partecipare, con insinuazioni velate sulla possibilità di venire messi in questo modo in una “lista di persone sgradite”»;
la mobilitazione è la conseguenza di una decisione unilaterale della cooperativa di costruzioni ravennate che ha dato l'avvio, ai primi di marzo 2017, alla procedura di mobilità per 104 lavoratori e ora al loro licenziamento;
le organizzazioni sindacali hanno ritenuto «completamente insufficienti le proposte della direzione sugli incentivi all'esodo e hanno ribadito la necessità di utilizzare la cassa integrazione straordinaria per crisi, ancora nella disponibilità della cooperativa, con un percorso di mobilità volontaria e incentivi che traghettasse questo difficile momento»;
in seguito alla protesta, una delegazione di lavoratori e rappresentanti sindacali è stata ricevuta in prefettura alla presenza di rappresentanti del comune che si sono impegnati a sollecitare il Governo e l'azienda per le richieste dei lavoratori;
dal 2008, in Italia non si ferma la grave crisi del settore edile e del suo indotto, dovuta ad un immobiliare poco più che fermo e alla scarsità di investimenti pubblici e privati. Una crisi dura che colpisce in maniera particolare la provincia di Ravenna –:
se il Governo sia stato messo a conoscenza della crisi aziendale e delle decisioni unilaterali assunte dalla cooperativa Acmar;
se il Governo non ritenga opportuno, in ragione del perdurare della crisi del comparto edile, aprire un tavolo di trattativa tra le parti per sostenere i lavoratori dell'azienda e le ragionevoli richieste avanzate dai sindacati. (4-16188)
FRANCO BORDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
Ceva Logistics Italia è una società internazionale di trasporti e logistica, con sede ad Assago, che fornisce soluzioni per la gestione del trasporto delle merci, contratti di logistica, distribuzione e gestione dei trasporti e gestisce una rete globale con strutture in oltre 170 Paesi e impiega 51.000 persone in tutto il mondo;
possiede diversi stabilimenti in Italia, tra i quali Stradella nell'Oltrepò Pavese, nel quale, per essere assunti, i lavoratori hanno firmato un contratto proposto da Byway Jpb Consulting srl, un'agenzia interinale con sede a Bucarest, alla quale si era rivolta un'altra agenzia della provincia di Lodi alla quale aveva a sua volta fatto ricorso il consorzio di cooperative «Premium Net», serbatoio di manodopera appaltato dalla Ceva;
l'accordo romeno prevedeva che i 70 assunti nel polo della «Città del Libro», zona industriale di Stradella, ricevessero uno stipendio «misto» nella valuta, in cui la parte fissa veniva pagata in leu, e una piccola parte in euro arrivando in un mese a poco più di 300 euro (1.400 leu), mentre da un articolo apparso su un quotidiano locale pare emerga, attraverso registrazioni con alcuni lavoratori, che il contratto trimestrale in «leu» arrivasse ad un compenso equivalente a 1250 euro netti mensili per otto ore di lavoro al giorno, eludendo la contribuzione Inps e i contributi che versano normalmente le aziende italiane in caso di assunzioni;
l’escamotage denunciato da una nota del sindacato Cgil è che gli addetti, a dispetto della nazionalità italiana, vengono pagati come se avessero il passaporto romeno e sono facchini, camionisti, operai e prevede che le agenzie interinali registrino una trasferta in modo da far risultare il lavoratore «romeno» prestante servizio in Italia, ad esempio, tre giorni al mese, e con le trasferte viene pagata una parte della retribuzione;
nel caso dei 70 lavoratori assunti a Stradella, la «trasferta» veniva pagata 85 euro al giorno, che moltiplicati per i giorni lavorati, dei quali non si ha mai certezza poiché è un'agenzia interinale, fanno la parte più consistente dei 307 euro della paga, quindi la zona «grigia» della busta paga è in moneta romena, quella «in chiaro» è saldata in euro;
a Stradella, venerdì 31 marzo 2017, è stato indetto un giorno di sciopero poiché finiva il primo mese di lavoro dei 70 dipendenti citati;
le buste paga non sono arrivate, ci sono solo i contratti, la Byway Jpb Consulting, somministrando i lavoratori dall'estero, pagano le tasse in Romania e risparmiano, ma per il lavoratore dal punto di vista contributivo e fiscale non c’è traccia di niente;
la Conftrasporto ha diffuso una nota in cui sostiene di aver denunciato da tempo il dumping sociale cui sono sottoposti alcuni lavoratori e chiede che venga applicato il protocollo « Road Alliance», sottoscritto a Parigi da Italia, Francia, Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Lussemburgo, Norvegia e Svezia, per regolamentare l'autotrasporto in Europa e che mira a promuovere una politica integrata per la tutela dei diritti sociali dei lavoratori e della sicurezza stradale –:
quali iniziative intenda promuovere il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti affinché il protocollo «Road Alliance» venga esteso a tutti i Paesi dell'Unione europea;
quali iniziative intenda intraprendere il Ministro del lavoro e delle politiche sociali affinché in Italia non abbiano a ripetersi situazioni come questa, in cui ai lavoratori non viene riconosciuta la necessaria contribuzione solo perché l'azienda appalta l'assunzione dei lavoratori a società non italiane. (4-16190)
AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
come hanno riportato vari organi di stampa, un operaio è stato licenziato perché affetto dal morbo di Parkinson;
Franco Minutiello, 59 anni, della provincia di Torino, a metà marzo 2017 ha ricevuto dalla Tecknoservice, la società che si occupa della raccolta rifiuti del Canavese, una lettera di licenziamento perché il medico aziendale lo ha valutato «inabile al lavoro» in quanto malato di Parkinson;
il caso sembra la fotocopia di quello avvenuto un mese fa a Rivoli, dove un operaio della Oerlikon Graziano S.p.A., rientrato dal trapianto di fegato, è stato mandato via per lo stesso motivo e poi reintegrato dopo la bufera mediatica che ne è seguita;
Franco Minutiello lavorava presso la stessa ditta da dieci anni. La malattia ha iniziato a manifestarsi 3 anni fa e già nel 2015 ha dovuto assentarsi a lungo dal lavoro per le cure e per i ricoveri in ospedale;
il 17 di febbraio 2017 la Tecknoservice lo ha dichiarato inidoneo, nonostante lui stesso avesse fatto richiesto di accesso ai benefici della legge n. 104 del 1992 e al part time. «Questo per non gravare troppo sul mio datore di lavoro» racconta, ma è stato tutto inutile;
il 6 marzo 2017 dinanzi alla direzione territoriale del lavoro di Torino, si sarebbe dovuto svolgere un tentativo di conciliazione al quale il signor Minutiello non ha potuto presenziare perché non stava bene. La stessa cosa si è ripetuta il 15 marzo 2017, quando il signor Minutiello era in ospedale per sottoporsi ad una risonanza magnetica;
due giorni dopo è arrivato il telegramma di licenziamento. Il responsabile della Tecknoservice ha dichiarato che l'azienda già occupa altri lavoratori inabili e che «per un dipendente malato in più non c'erano altre mansioni idonee da svolgere»;
il licenziamento verrà impugnato dinanzi al tribunale a Ivrea: «Stiamo studiando il caso – ha spiegato il suo avvocato, Silvia Ingegneri – ma c’è da dire che Minutiello è stato particolarmente sfortunato»;
il signor Minutiello ha scritto una lunga lettera-appello per denunciare la sua storia: «una persona che viene, non per causa sua, colpita da una malattia nel corso della sua vita, può esser buttata – questo è il termine giusto – in mezzo ad una strada senza che l'azienda cerchi una ricollocazione interna, senza che ci sia un ente, che non sia il tribunale, che controlli se esistono o meno la causa idonee del licenziamento per giustificato motivo oggettivo ?»;
tra due anni e qualche mese il signor Minutiello avrebbe potuto accedere allo scivolo della pensione anticipata se l'azienda avesse continuato ad occuparlo;
l'evoluzione della malattia non lo fa arrivare ad avere – oggi – una invalidità assoluta e la possibilità di continuare a lavorare, part time, gli avrebbe dato più stimoli per non arrendersi alla malattia –:
se il Ministro interrogato non intenda intervenire, per quanto di competenza, per sollecitare una positiva soluzione del caso illustrato e per dare indicazioni generali per prevenire il ripetersi di casi simili. (4-16194)
MERLO e BORGHESE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
la crisi del settore tessile in Italia sta attraversando, negli ultimi tempi un momento particolarmente difficile, e senza ombra di dubbio è in questo momento quella più profonda che ha investito il nostro Paese dal periodo del dopoguerra ad oggi;
l'industria italiana del tessile è un comparto produttivo di enorme importanza per l'economia del nostro Paese. Parliamo di cifre che raggiungono i 60,4 miliardi di produzione nel 2016, di 500.700 occupati e di un saldo della bilancia commerciale di più di 8,5 miliardi;
il settore tradizionalmente genera un surplus della bilancia commerciale secondo soltanto a quello della meccanica;
il sistema attuale deve la sua competitività a livello internazionale agli investimenti in innovazione, alla ricerca e sviluppo dei prodotti, alla tradizione del gusto produttivo, al know how e alla sinergica collaborazione fra le diverse fasi della filiera sino all'integrazione con il retail;
l'Italia ha rappresentato negli scorsi anni un'eccellenza mondiale, in crescita sia nella produzione sia nell’export del settore tessile;
purtroppo i numeri degli anni precedenti, non martoriati dalla crisi mondiale, erano diversi da quelli che si registrano oggi;
questa situazione ha portato ad oggi ad una diminuzione di aziende e occupati molto rilevante;
nell'anno 2016, dai dati rilevati dal settore di ricerca tessile si è presentato un fatturato in diminuzione (-0,6 per cento) rispetto allo stesso dato dell'anno precedente;
sono circa 230 milioni in meno suddivisi tra il tessile e abbigliamento che con non pochi comparti di cui si compone l'articolata filiera a livello nazionale si chiude l'anno in passivo –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra indicato, in quanto dal punto di vista dei posti di lavoro venuti meno in questo settore nell'ultimo decennio si rende clamorosamente evidente la particolare necessità ed urgenza di fornire risposte concrete al Paese;
se non ritengano di adoperarsi a tutela di quei lavoratori licenziati che sono in cerca di un nuovo lavoro per lo più donne lontane dall'età pensionabile o persone che sono esodate già in altri settori;
se e quali misure intendano adottare per frenare la devalorizzazione del « made in Italy» su tutto il territorio italiano in quanto oramai India e Cina «dilagano» nel settore. (4-16199)
MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 «Testo Unico salute e sicurezza sul Lavoro» definisce al Titolo IV, Capo II, articolo 105, le attività soggette alle «norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni e nei lavori in quota» ed all'articolo 106 le attività escluse;
in nessun articolo del Titolo IV, Capo II, viene menzionata l'attività lavorativa su alberi; nei lavori in quota qualora non siano state attuate misure di protezione collettiva come previsto all'articolo 111, comma 1, lettera a), del medesimo decreto è necessario che i lavoratori utilizzino idonei sistemi di protezione idonei per l'uso specifico composti da diversi elementi, non necessariamente presenti contemporaneamente, conformi alle norme tecniche; nei lavori su pali il lavoratore deve essere munito di ramponi o mezzi equivalenti e di idoneo dispositivo anticaduta;
solo nell'Allegato XXI del decreto si fa riferimento all'attività lavorativa su alberi, ed è specificato che debba essere eseguita su funi, per la quale è richiesta una specifica abilitazione;
l'articolo 111 (comma 1 e 2) dispone che sia il datore di lavoro a scegliere il tipo più idoneo di sistema di accesso ai posti di lavoro temporanei in quota e che (comma 4) «siano impiegati sistemi di accesso e di posizionamento mediante funi alle quali il lavoratore è direttamente sostenuto, soltanto in circostanze in cui, a seguito della valutazione dei rischi, risulta che il lavoro può essere effettuato in condizioni di sicurezza e l'impiego di un'altra attrezzatura di lavoro considerata più sicura non è giustificato a causa della breve durata di impiego e delle caratteristiche esistenti dei siti che non può modificare»;
appare perciò chiaro che l'attività lavorativa in quota su alberi, che richieda la movimentazione all'interno della chioma (e quindi poggiando i ramponi sui rami e non sulla scala), essendo menzionata solo nei casi di lavoro su fune, debba essere esercitata solo ed esclusivamente con specifica abilitazione;
il livello di sicurezza del lavoratore abilitato all'accesso e posizionamento su funi è superiore rispetto alla formazione che si riceve nel «lavoro in quota» rispetto ai rischi specifici che corre arrampicando su un sito che non è una struttura artificiale stabile metallica, in cemento o un ancoraggio certificato;
la normativa attuale consente agli operatori di spostarsi all'interno della chioma solo con cordini di posizionamento per la caduta totalmente trattenuta senza possedere nessuna nozione per la movimentazione in sicurezza e per l'eventuale recupero del ferito, specifica per il caso dell'infortunio su alberi, dove la struttura stessa del supporto può risultare compromessa, diversamente da quanto accade per la caduta dai tetti, dal ponteggio o da opere strutturali artificiali;
anche le linee guida Inail recanti «Istruzioni per l'esecuzione in sicurezza di lavori su alberi con funi» specificano i campi di applicazione del « treeclimbing» e la corretta esecuzione, non prendendo mai in considerazione la possibilità di operare senza una fune di lavoro e una formazione specifica per il lavoro in chioma –:
quali iniziative anche di carattere normativo intenda intraprendere il Governo al fine di disciplinare al meglio l'attività lavorativa su alberi a tutela degli operatori di treeclimbing;
se non ritenga necessario assumere iniziative per l'istituzione di una abilitazione specifica per il lavoro con funi su alberi per ogni intervento in quota durante il quale ci si trovi in posizionamento con i piedi sull'albero e non sulla scala o sulle piattaforme di lavoro mobili elevabili.
(4-16208)
CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il gruppo Colussi è una realtà imprenditoriale italiana che opera nel settore alimentare;
il gruppo può contare su una importante presenza all'estero e in Italia con gli stabilimenti di Fossano (Cuneo) e di Petrignano di Assisi (Perugia) e diversifica le proprie attività nel settore dell'alimentazione di qualità, confrontandosi sui principali mercati europei: le sue attività comprendono la produzione e commercializzazione di una gamma completa di prodotti di alta qualità: pasta, riso, prodotti da forno e pasticceria;
fanno parte del gruppo alcuni dei più prestigiosi marchi della tradizione italiana: Colussi, Misura, Agnesi, Flora;
nel 2014 la società decide di puntare sullo stabilimento di Fossano (Cuneo) dove il Gruppo alimentare annuncia un investimento di quasi 10 milioni di euro per dotarlo delle più moderne tecnologie produttive e di nuove linee per la produzione della pasta;
lo stabilimento di Petrignano, invece, incomincia a subire un calo di lavoro e della produzione per la progressiva perdita della linea delle fette biscottate e alla fine del 2014 viene aperta una procedura di cassa integrazione guadagni e a gennaio del 2015 la società ricorre ai contratti di solidarietà, tutt'ora in essere;
già alla fine del 2015 il sindacato Ugl agroalimentare Umbria segnalava il calo della competitività dello stabilimento di Petrignano di Assisi riconducibile, secondo il sindacato, alla mancanza di investimenti in ammodernamento tecnologico delle linee di produzione, nella progettazione e nel marketing (www.assisioggi.it del 7 settembre 2015);
recentemente dalla stampa online (www.assisinews.it del 8 marzo 2017: «Colussi, 480 lavoratori a rischio per lo spostamento da Petrignano». L'allarme del segretario della Camera del Lavoro Filippo Ciavaglia) si apprende che: «Alla Colussi di Petrignano ci sono 480 lavoratori col fiato sospeso. Lo segnala il segretario della Camera del lavoro di Perugia, Filippo Ciavaglia. “L'Umbria del comparto manifatturiero non può permettersi di perdere un altro pezzo importante di storia, rappresentata dallo smantellamento della produzione di fette biscottate e grissini della Colussi, che da Petrignano d'Assisi ha deciso di spostare i volumi in un altro stabilimento del gruppo”. A preoccupare, è anche il “futuro occupazionale dei lavoratori, 480 maestranze tutte coinvolte nel percorso degli ammortizzatori sociali”»;
i più toccati da questa situazione di stallo e inerzia sono soprattutto i lavoratori che si trovano a dover vivere una fase di incertezza sconcertante: infatti mentre va avanti la vertenza in chiave locale del trasferimento della produzione delle fette biscottate da Petrignano a Fossano, da una parte si apprende che il gruppo Colussi sarebbe intenzionato ad aprire un nuovo stabilimento in Thailandia per la produzione di cornetti (www.corrieredellumbria.corr.it del 23 marzo 2017) oltre a quello in Messico dove è già operativo un sito che sforna biscotti, dall'altra, i dipendenti hanno accettato il contratto di solidarietà – tutt'ora in essere – nella speranza di supportare l'azienda nella realizzazione di un piano di rilancio;
a tutt'oggi permane la preoccupazione di un progressivo «depauperamento» della produzione dello stabilimento di Petrignano e grande è l'incertezza dei lavoratori in merito al futuro lavorativo –:
se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta e se non ritenga opportuno richiedere a Colussi group quali siano le reali intenzioni del Gruppo sia in termini di nuovi investimenti per il rilancio dello stabilimento di Petrignano di Assisi sia in termini di garanzie sul versante del mantenimento dei livelli occupazionali. (4-16211)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazione a risposta in Commissione:
COMINARDI, GAGNARLI, ALBERTI, BASILIO e SORIAL. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
il Giornale di Brescia del 10 marzo 2017 riporta la notizia che, nei primi due mesi del 2017, sono già andati in fumo 895 ettari contro i 588 dell'intero 2016. Drammatica la conta per ciò che riguarda i boschi: 541 ettari nei primi mesi del 2017, contro i 127 dell'intero 2016. Per spegnere le fiamme, in questo primo scorcio dell'anno, sono intervenuti 504 volontari e 127 vigili del fuoco, sono state necessarie 23 missioni degli elicotteri regionali e 16 dei canadair. Secondo la statistica regionale riferita al periodo 2009-2015, il 54 per cento degli incendi in Lombardia è doloso, il 16 per cento è colposo, il 28 per cento è dubbio e soltanto il 2 per cento è accidentale o naturale. Gli incendi sono costati alla regione Lombardia 15 milioni e 100 mila euro nel triennio 2014-2016;
a giudizio degli interroganti, gli incendi dolosi possono derivare dall'erroneo convincimento che le aree boscate distrutte dal fuoco possono successivamente essere utilizzate a vantaggio di interessi specifici, connessi alla speculazione edilizia, all'esercizio della caccia, alla pastorizia ed al bracconaggio. Tali motivazioni dovrebbero essere vanificate dalle disposizioni contenute nella legge n. 253 del 2000, legge quadro in materia di incendi boschivi, che prevede, per un consistente numero di anni successivi all'incendio, precisi divieti e limitazioni d'uso del suolo nelle superfici percorse dal fuoco (articolo 10, comma 1). In adempimento al dettato normativo, l'imposizione di tali vincoli, attraverso l'istituzione del catasto incendi, spetta ai comuni. Tale legge, che costituirebbe un valido deterrente, non è stata applicata dai comuni bresciani interessati dagli incendi dolosi e, questo, nonostante siano stati sollecitati più volte nel corso degli anni da vari enti ed autorità territoriali (Corpo forestale, prefettura, comunità montane e altro), in numerose occasioni e tavoli di confronto istituzionali (Giornale di Brescia 6 gennaio 2017);
per la realizzazione del catasto incendi, senza ulteriori oneri di spesa, i comuni bresciani si possono attualmente avvalere del lavoro di chi, questo compito, lo svolge abitualmente per motivi istituzionali, vale a dire il Comando per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare, che dispone dei rilievi delle aree ed ha fornito a tutti i comuni interessati il materiale cartografico delle perimetrazioni degli incendi (allegato A). Tali dati sono altresì accessibili attraverso la connessione all'area riservata del S.I.M. (Sistema informativo della montagna), che mette a disposizione dei comuni interessati specifici servizi software di supporto alla istituzione delle aree boscate percorse dal fuoco –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti e degli elementi riportati in premessa;
quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, unitamente agli altri enti preposti alla vigilanza in materia di incendi boschivi, affinché, in attuazione alle disposizioni contenute nella legge quadro n. 253 del 2000, tutti i comuni inadempienti istituiscano, nel più breve termine possibile, il catasto incendi. (5-11069)
SALUTE
Interrogazioni a risposta scritta:
AGOSTINELLI, COZZOLINO, DA VILLA e SPESSOTTO. — Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
il 27 marzo 2017, presso il Palasport «Taliercio» di Mestre si sono svolte le prove di pre-selezione per il concorso da infermieri, bandito dall'USL 3 Serenissima, per assunzioni a tempo indeterminato, a cui hanno partecipato 4.200 candidati provenienti da tutta Italia, rispetto alle 6.000 iscrizioni pervenute;
da notizie di stampa (vedasi « il Gazzettino» del 31 marzo 2017) si apprende che lo svolgimento delle prove è stato caratterizzato da gravi anomalie e irregolarità, denunciate dai concorrenti: le prove, organizzate in due turni, uno mattutino ed uno pomeridiano, per permettere di contenere l'enorme afflusso di persone all'interno della struttura, sono iniziate, in entrambi i casi, con circa tre ore di ritardo rispetto all'orario di convocazione e in una situazione difficile, con centinaia di persone costrette a restare per ore in spazi molto limitati. Inoltre i test erano sprovvisti di barcode, che invece comparivano soltanto sulla scheda anagrafica ed erano inseriti in buste aperte insieme al foglio del test;
successivamente, gravi anomalie si sono riscontrate anche nella graduatoria apparsa sul sito internet della Usl 3 Serenissima, con evidenti errori tra cui doppi nominativi o nominativi mancanti, che hanno costretto la Usl 3 Serenissima a rimuoverla dal proprio sito, sostituendola con il seguente messaggio: «a seguito di errori materiali presenti nell'esito della pre-selezione effettuata in data 27 marzo 2017 dalla società Psycometrics Srl si comunica che la pubblicazione dell'esito è stata momentaneamente ritirata dal sito internet al fine di effettuare ogni dovuta verifica»;
consta all'interrogante che la società padovana Psycometric Srl si sarebbe scusata per il disagio provocato, causato da un mero errore di trascrizione, che avrebbe portato ad una graduatoria contenente alcuni errori negli abbinamenti anagrafici, garantendo di fornire a breve un nuovo file, verificato e certificato, contenente l'esito della prova;
in seguito a tale vicenda, vi sono state moltissime lamentele e proteste da parte dei candidati, che hanno minacciato anche di ricorrere agli organi competenti per richiedere l'annullamento del concorso –:
di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda descritta in premessa e quali iniziative di competenza si intenda adottare, anche valutando la sussistenza dei presupposti per l'esercizio dei poteri di cui all'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001. (4-16187)
GREGORI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
i livelli essenziali di assistenza (Lea), sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale (Ssn) è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione, con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale;
come emerge da fonti stampa locali, all'interno dell'ospedale di Subiaco continuano a persistere una serie di gravi criticità;
nel 2015 l'ospedale di Subiaco ha effettuato 1087 ricoveri ordinari, riuscendo a coprire solo il «29,7 per cento della domanda» espressa dai 40 mila residenti nei 21 comuni del distretto. Per i quali vi sono solo «1,19 posti letto disponibili ogni mille residenti», mentre la media complessiva dell'Asl Rm 5 scende ulteriormente a 0,84 posti letto ogni mille residenti, pari a 1/4 del parametro previsto dagli standard regionali, fissato in 3,3 posti letto ogni mille residenti. Ora questo nosocomio, secondo i «Programmi Operativi 2016-18» della regione Lazio, è indicato come una delle sedi definitive delle Rems;
l'associazione per la tutela dei diritti del malato «Antonio Lollobrigida» ha contestato la disparità di trattamento fra le 3 sedi (a Subiaco e Ceccano ben 2 moduli da complessivi 40 posti letto e a Rieti neanche uno intero da 20). Una disparità, peraltro, in aperto contrasto con le conclusioni della seconda relazione semestrale sulle attività svolte dal commissario di governo per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, Franco Corleone, nella quale, a pagina 13 si rileva che sul «Progetto della REMS definitiva di Ceccano con la presenza di due moduli da 20 posti il Commissario ha fatto presente i suoi dubbi su questa soluzione, dal punto di vista edilizio e del modello terapeutico che prefigura poiché, tendenzialmente, la sua preferenza è per una scelta verso modelli di strutture di accoglienza più piccole»;
anche il progetto della Rems definitivo di Subiaco prevede un'analoga «presenza di due moduli da 20 posti» ed è, per giunta, l'unica realizzata all'interno di un ospedale per acuti, in aperto contrasto con la suddetta relazione del commissario nella quale, a pagina 6, si sostiene, infatti, che «le REMS andranno costantemente monitorate e tenute sotto stretta sorveglianza; dovranno essere architettonicamente e strutturalmente adeguate alla loro funzione e natura che è quella di una comunità e nemmeno lontanamente di un ospedale o di un carcere» –:
se s'intenda per il tramite del Commissario di Governo per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari riesaminare il progetto Rems di Subiaco, in considerazione delle criticità sopra citate e, conseguentemente, bloccare la realizzazione, di concerto con le autorità regionali competenti, del secondo modulo Rems, anche al fine di restituire gli spazi sottratti ai servizi sanitari per acuti dell'ospedale di Subiaco. (4-16200)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazione a risposta in Commissione:
GINEFRA, BOCCIA, CASTRICONE, CHAOUKI, GRASSI, MARRONI, MONGIELLO, PELILLO, TARANTO e VALIANTE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il 3 aprile 2017 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministro dello sviluppo economico 7 dicembre 2016, recante il «Disciplinare tipo per il rilascio e l'esercizio dei titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale»;
in particolare, l'articolo 15 del citato decreto consentirebbe, di fatto, alle compagnie petrolifere non solo di terminare un progetto, ma persino di modificare il programma di sviluppo previsto al momento del rilascio di una concessione e recuperare le riserve esistenti anche entro le 12 miglia;
tale articolo appare agli interroganti essere in contrasto con il dettato dell'articolo 1, comma 239, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che dispone il divieto di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi all'interno del perimetro delle aree marine e costiere protette e nelle zone di mare poste entro 12 miglia dalle linee di costa, fatti salvi i titoli abilitativi già rilasciati per la durata di vita utile del giacimento e comunque nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale;
in tal modo, inoltre, sarebbero vanificati anche gli obiettivi al 2030 di Winter package e di rispetto degli accordi di Parigi, proseguendo con la corsa alle energie fossili –:
quali siano state le valutazioni che hanno determinato la scelta di adottare le misure di cui all'articolo 15 del decreto ministeriale 7 dicembre 2016;
se il Ministro interrogato non ritenga opportuna una modifica del citato decreto finalizzata a garantire il rispetto di quanto disposto all'articolo 1, comma 239, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, in materia estrattiva;
se non ritenga altresì necessario assumere iniziative, anche in seno alla Conferenza Stato-regioni, per avviare un'ampia consultazione sulla materia anche al fine di recepire gli indirizzi degli attori locali. (5-11081)
Interrogazioni a risposta scritta:
DA VILLA, VALLASCAS, CRIPPA, DELLA VALLE, FANTINATI e CANCELLERI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
con l'interrogazione n. 5-10925 si chiedeva se il decreto interministeriale n. 17407 del 26 maggio 2015 produca gli effetti previsti dall'articolo 52-quinquies, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, cioè se esso sia atto a sostituire, «anche ai fini urbanistici ed edilizi nonché paesaggistici, ogni altra autorizzazione, concessione, approvazione, parere, atto di assenso e nulla osta comunque denominati, costituendo titolo a costruire e ad esercire tutte le opere e tutte le attività previste nel progetto approvato, fatti salvi gli adempimenti previsti dalle norme di sicurezza vigenti»;
con risposta del 28 marzo 2017, il Ministro interrogato concludeva che «il decreto di autorizzazione non ha esplicitamente disposto in merito alla variante agli strumenti urbanistici ai sensi dell'articolo 52-quinquies, indipendente dalla data della domanda, in quanto il comune stesso aveva dichiarato che l'intervento conforme agli strumenti urbanistici, ivi compreso il piano portuale, e quindi nessuna variante era necessaria»;
il decreto de quo, all'articolo 2, specifica che «la Società Costa Bioenergie S.r.l., sotto pena di decadenza dell'autorizzazione di cui all'articolo 1, è tenuta a ultimare i lavori relativi alla modifica del deposito costiero (...) nel più breve tempo possibile», facendo a giudizio degli interroganti un riferimento alla realizzazione dell'opera, la cui costruzione, ai sensi di legge, non s'intende autorizzata con la mera attestazione della sua conformità urbanistica;
per la realizzazione dell'opera occorre che il soggetto legittimato presenti domanda per ottenere il permesso di costruire, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, permesso che può essere rilasciato dal competente comune dietro preventivo nulla osta qualora il progetto interessi beni soggetti a particolari tutele (ambientali, architettoniche, artistiche): tali domanda, permesso e nulla osta possono essere tuttavia sostituiti dal decreto interministeriale se esso è «atto a sostituire, anche ai fini urbanistici ed edilizi, nonché paesaggistici, ogni altra autorizzazione (...) atto di assenso o nulla osta comunque denominati» –:
se il Ministro interrogato ritenga che il decreto n. 17407 del 2015 – in quanto produttivo degli effetti previsti dall'articolo 52-quinquies, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, o per qualunque altra ragione – sia atto a sostituire il permesso di costruire ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, e costituisca quindi valido titolo a costruire tutte le opere previste nel progetto ivi approvato, indipendentemente dalla presentazione di specifica domanda di Costa Bioenergie S.r.l. per l'ottenimento del permesso di costruire al competente comune di Chioggia, e dal rilascio del medesimo. (4-16185)
D'AGOSTINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
dal 21 febbraio 2017 i circa 100 lavoratori del contact center del Gestore dei servizi energetici spa, società controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, hanno aperto lo stato di agitazione perché rischiano di perdere il lavoro in conseguenza dell'assegnazione della gara per la gestione del servizio ad altra azienda privata, la Almaviva contact;
i lavoratori hanno tenuto il 30 e il 31 marzo due presìdi, uno presso la sede della società del Gestore dei servizi energetici e uno presso il Ministero dello sviluppo economico;
a giudizio dell'interrogante, ci si trova dinanzi a un vero e proprio paradosso: in tempi di crisi occupazionale il Ministero dello sviluppo economico ha provveduto ad affidare il servizio ad un'altra impresa, determinando lo stato di crisi di quei lavoratori assunti dalla società di cui è socio unico;
la vicenda è ancora più singolare in quanto il trasferimento della commessa è stata effettuata a vantaggio di una società come la Almaviva che nel mese di dicembre del 2016 ha licenziato ben 1.666 lavoratori;
a quanto è dato sapere, anche dalle notizie riportate da alcuni organi di informazione, l'appalto è stato attribuito alla nuova azienda, indicando il vincolo di assunzione del personale che attualmente è impegnato nella erogazione del servizio;
tuttavia, il passaggio da una società ad un'altra potrebbe determinare la perdita di alcuni diritti che i lavoratori hanno maturato presso il precedente datore di lavoro –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quale sia il destino dei lavoratori del contact center di Gestore dei servizi energetici, se il personale manterrà effettivamente il posto di lavoro e se si perderanno i diritti acquisiti con il precedente datore di lavoro. (4-16189)
CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
l'interrogante ha avuto notizia dalla stampa di un provvedimento di rinvio a giudizio, nell'ambito territoriale siciliano, di due dipendenti di Poste Italiane, F.G. e A.I., con l'accusa di peculato per una somma che arriverebbe a diverse centinaia di migliaia di euro;
da quanto si legge in uno degli articoli di stampa, «i fatti che hanno portato all'inchiesta giudiziaria risalgono alla fine del 2015, quando partì una segnalazione dall'ufficio antifrode delle Poste, che trovò delle anomalie in alcuni investimenti effettuati presso l'ufficio postale di Bagheria»;
da documenti in possesso dell'interrogante risulta però che, già a fine anno 2011, la struttura di Atta Sud 1, in persona del Ratta S.m., fosse stata messa a conoscenza con atti interni delle condizioni di irregolarità in cui versava quell'ufficio, coinvolgenti proprio i soggetti attualmente imputati;
risulta all'interrogante che, ancora nell'anno 2013, la struttura di tutela aziendale sia stata destinataria di più esposti afferenti all'operato di uno di tali imputati;
risulta infine all'interrogante che presso il suddetto ufficio di Bagheria, nel febbraio del 2013, sia stato postalizzato un pacco diretto in Ontario (Canada) sequestrato in data 21 febbraio 2013, nel corso di una operazione dei Ros dei Carabinieri di Palermo e nell'ambito di procedimento instaurato presso la direzione distrettuale antimafia;
risulta all'interrogante che, malgrado i fatti di cui sopra, le strutture preposte alla sicurezza aziendali, sia periferiche che centrali, rimasero inerti fino al 2015, ossia quasi quattro anni dopo le prime segnalazioni –:
di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto esposto in premessa;
se il Governo, per quanto di propria competenza, non intenda promuovere, anche nell'ambito della definizione degli indirizzi strategici dei nuovi vertici, un potenziamento delle azioni di contrasto agli illeciti interni, e in particolar modo di quelli aventi ad oggetto i servizi finanziari e il risparmio postale. (4-16213)
Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.
La mozione Rosato e altri n. 1-01508, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 febbraio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Tancredi e, contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme si intende così modificato: «Rosato, Carrozza, Basso, Coppola, Boccadutri, Quintarelli, Tancredi, Miotto, Zan, Giorgis, Senaldi, Misiani, Dell'Aringa, Braga, Cinzia Maria Fontana, Cardinale, Marantelli, Montroni, Parrini, Baruffi, Murer, Lenzi, Patriarca, Carnevali, Simoni, Lodolini, Borghi, Lattuca, Realacci, Giuliani, Fossati, Casellato, Monaco, Ribaudo, Schirò, Rostellato, Grassi, Fragomeli, Giovanna Sanna, Falcone, Rocchi, Piazzoni, Catalano, Venittelli, Taranto, Albanella, Bergonzi, Marco Di Maio, Amato, Gadda, Gnecchi, Tullo, Manfredi, Campana, Mognato, Taricco, Cominelli, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Pinna, Fontanelli, Petrini, Carrescia, Mariani, Rampi, De Menech, Capone, Zampa, Moretto, Rubinato, Albini, Arlotti, D'Ottavio, Peluffo, Colaninno, Bruno Bossio, Vico, Amoddio, Gribaudo».
Apposizione di firme ad interrogazioni.
L'interrogazione a risposta in Commissione Pannarale n. 5-09775, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Giancarlo Giordano.
L'interrogazione a risposta in Commissione Agostinelli e Colletti n. 5-10203, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 gennaio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ferraresi.
L'interrogazione a risposta in Commissione Francesco Sanna e altri n. 5-10729, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o marzo 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marco Meloni.
L'interrogazione a risposta in Commissione Toninelli e D'Uva n. 5-11013, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 marzo 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Vacca, Marzana, Luigi Gallo, Simone Valente, Di Benedetto, Brescia.
L'interrogazione a risposta in Commissione Fabbri n. 5-11063, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 aprile 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gianni Farina.
L'interrogazione a risposta scritta Garavini e altri n. 4-16172, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 aprile 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: La Marca, Tacconi, Porta.
L'interrogazione a risposta scritta Senaldi n. 4-16174, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 aprile 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Braga, Guerra.
Pubblicazione di testi riformulati.
Si pubblica il testo riformulato della mozione Grillo n. 1-01563, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 769 del 29 marzo 2017.
La Camera,
premesso che:
i dirigenti dell'area medica e sanitaria del Servizio sanitario nazionale, in deroga al generale divieto posto per i pubblici dipendenti, hanno la possibilità di esercitare l'attività libero professionale medica in due diverse forme:
intramoenia o intramuraria, se in rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale;
extramoenia o extramuraria se in rapporto non esclusivo con il Servizio sanitario nazionale;
l'attività libero-professionale intramuraria di tali dirigenti è rappresentata dall'attività che detto personale, individualmente o in équipe esercita fuori dall'orario di lavoro e dall'impegno di servizio istituzionale sia in regime ambulatoriale (comprese le attività di diagnostica strumentale e di laboratorio, di day hospital, di day surgery) che di ricovero, nonché dalle prestazioni farmaceutiche ad esso collegate. Tale attività può essere esercitata nelle strutture ospedaliere o territoriali, in favore e su libera scelta dell'assistito e con oneri a carico dello stesso, su richiesta di assicurazioni o di fondi sanitari integrativi del Servizio sanitario nazionale ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 502 del 1992;
l'esclusività del rapporto con il Servizio sanitario nazionale, da una parte, comporta un trattamento economico aggiuntivo per la rinuncia all'esercizio di attività libero professionale extramoenia e, dall'altra, consente al professionista dipendente del Servizio sanitario nazionale di esercitare la propria attività libero professionale intramoenia, con oneri a carico del cittadino che lo richieda liberamente, al di fuori dell'orario di lavoro, in misura non superiore all'attività che il professionista sanitario è tenuto ad erogare in ragione del suo ruolo di dipendente pubblico della medesima struttura;
l'attività libero-professionale e aggiuntiva può essere svolta, sia individualmente che in équipe, all'interno o all'esterno delle strutture sanitarie ospedaliere o territoriali, sia pubbliche che private convenzionate e concerne ogni tipo di prestazione (ambulatoriale, diagnostica strumentale e di laboratorio, di ricovero sia diurno che ordinario, farmaceutiche);
l'intramoenia può essere anche richiesta dalla direzione strategica della stessa struttura di appartenenza del dipendente per esigenze specifiche connesse alla necessità di ridurre le liste di attesa e rispondere alla domanda degli utenti ed è utilizzata a patto che non incrementi le liste di attesa, non contrasti con gli interessi o le finalità pubbliche e con gli obiettivi della struttura sanitaria;
l'esercizio dell'attività libero professionale intramuraria non deve contrastare con le finalità istituzionali dell'azienda e il suo svolgimento deve essere organizzato al di fuori dell'orario di lavoro in modo da garantire l'integrale assolvimento dei compiti di istituto assicurando la piena funzionalità dei servizi: per questo l'attività libero professionale intramuraria non può globalmente comportare un volume di prestazioni superiore a quello assicurato per i compiti istituzionali;
l'intramoenia può essere effettuata nel rispetto dell'equilibrio tra attività istituzionali e libero-professionali e compete alle regioni il controllo sulle modalità di svolgimento dell'attività intramoenia e sul rispetto del limite quantitativo consentito. Ogni struttura sanitaria deve quindi regolamentare l'attività intramoenia nell'ambito del piano aziendale, con l'indicazione dei volumi consentiti, della rilevazione oraria, del monitoraggio, controllo e verifica tramite appositi organismi paritetici con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e le organizzazioni degli utenti e di tutela dei diritti;
le tipologie di attività libero professionale consentite sono così sintetizzabili:
libera professione individuale, caratterizzata dalla scelta diretta del professionista da parte dell'utente;
attività libero professionale a pagamento svolta in équipe, caratterizzata dalla richiesta di prestazioni da parte dell'utente, singolo o associato, all’équipe;
partecipazione ai proventi di attività richiesta a pagamento da singoli utenti, svolta individualmente o in équipe, in strutture di altra azienda del Servizio sanitario nazionale o di altra struttura sanitaria non accreditata, previa convenzione con le stesse;
partecipazione ai proventi di attività professionali a pagamento richiesta da terzi all'azienda anche al fine di consentire la riduzione dei tempi di attesa. Sono considerate tali anche le prestazioni richieste, in via eccezionale e temporanea, ad integrazione dell'attività istituzionale, dalle aziende ai propri dirigenti allo scopo o di ridurre le liste di attesa o di acquisire prestazioni aggiuntive specie nei casi di carenza di organico o di impossibilità anche momentanea di coprire i posti con personale in possesso dei requisiti di legge;
sono, altresì, consentite altre forme di attività a pagamento dei dirigenti sanitari ai sensi dell'articolo 58 del C.C.N.L. dell'8 giugno 2000 – Quadriennio normativo 1998-2001 – biennio economico 1998-1999;
infine, per attività libero-professionale, cosiddetta «allargata», si intende l'attività svolta in studi privati professionali;
le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliero-universitarie, i policlinici universitari a gestione diretta e gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) di diritto pubblico gestiscono, con integrale responsabilità propria, l'attività libero-professionale intramuraria, al fine di assicurarne il corretto esercizio;
l'attività intramoenia è consentita anche presso il proprio studio professionale, secondo precise modalità ed in via transitoria ed eccezionale, solo in caso di carenza di strutture e spazi aziendali idonei e a riguardo le regioni, per superare la carenza degli spazi, devono programmare interventi di ristrutturazione edilizia o la realizzazione e/o acquisizione di strutture sanitarie per l'attività libero-professionale intramuraria, utilizzando i fondi destinati all'edilizia sanitaria e comunque nei limiti introdotti dalle misure sulla spending review e sulla riorganizzazione della rete ospedaliera e territoriale; in tali casi si configura la tipologia di attività intramoenia «allargata» che può essere svolta, previa autorizzazione dell'azienda e nel rispetto di apposito regolamento emanato dalla stessa azienda comprendente anche le tariffe e le quote di distribuzione, in studi privati professionali non accreditati/convenzionati con il Servizio sanitario nazionale;
il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto «Decreto Balduzzi») ha proceduto ad un riordino dell'attività intramoenia nell'intento di garantire, entro il mese di febbraio 2015, il passaggio di tale istituto da un regime transitorio ad un regime ordinario ed, in tal senso, ha previsto la necessità di procedere ad una ricognizione degli spazi, prevedendo anche un programma sperimentale per consentire l'intramoenia negli studi privati dei professionisti collegati in rete anche con le aziende sanitarie e a condizione che nello studio non vi siano medici che svolgano attività privata o non in regime di esclusività o, qualora vi siano, che assicurino anch'essi la tracciabilità delle prestazioni;
il succitato decreto ha previsto anche la necessità di realizzare la tracciabilità dei pagamenti e la rideterminazione delle tariffe per gli assistiti a copertura sia del compenso del professionista e degli eventuali componenti dell’équipe e sia i costi diretti ed indiretti sostenuti dalle aziende; nell'ambito delle tariffe, una quota pari al 5 per cento del compenso del professionista è trattenuta per essere vincolata ad interventi di prevenzione ovvero volti alla riduzione delle liste d'attesa, ai fini del progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramoenia. Il sistema sanzionatorio prevede, nell'ipotesi di gravità, il potere sostituivo o la destituzione del direttore generale o la decurtazione del 20 per cento sulla retribuzione di risultato;
la legge 3 agosto 2007, n. 120 «Disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria», all'articolo 1, comma 4, lettera g), recita «progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, al fine di assicurare che il ricorso a quest'ultima sia conseguenza di libera scelta del cittadino e non di carenza nell'organizzazione dei servizi resi nell'ambito dell'attività istituzionale. A tal fine, il Ministro della salute presenta annualmente al Parlamento una relazione sull'esercizio della libera professione medica intramuraria, ai sensi dell'articolo 15-quater-decies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, con particolare riferimento alle implicazioni sulle liste di attesa e alle disparità nell'accesso ai servizi sanitari pubblici»;
la determina dell'Anac 28 ottobre 2015, n. 12 sul Piano nazionale anticorruzione – aggiornamento 2015 (Gazzetta Ufficiale 16 novembre 2015, n. 267) recita: «Fra gli eventi rischiosi della fase di esercizio dell'ALPI possono configurarsi l'errata indicazione al paziente delle modalità e dei tempi di accesso alle prestazioni in regime assistenziale, la violazione del limite dei volumi di attività previsti nell'autorizzazione, lo svolgimento della libera professione in orario di servizio, il trattamento più favorevole dei pazienti trattati in libera professione. Misure di contrasto possono individuarsi, ad esempio, nella informatizzazione delle liste di attesa; nell'obbligo di prenotazione di tutte le prestazioni attraverso il CUP aziendale o sovra-aziendale con gestione delle agende dei professionisti in relazione alla gravità della patologia; nell'aggiornamento periodico delle liste di attesa istituzionali; nella verifica periodica del rispetto dei volumi concordati in sede di autorizzazione; nell'adozione di un sistema di gestione informatica dell'ALPI dalla prenotazione alla fatturazione; nel prevedere nel regolamento aziendale una disciplina dei ricoveri in regime di libera professione e specifiche sanzioni;
per quanto concerne l'ALPI espletata presso «studi professionali in rete», al fine di evitare la violazione degli obblighi di fatturazione e la mancata prenotazione tramite il servizio aziendale, occorre rafforzare i controlli e le verifiche periodiche sul rispetto della normativa nazionale e degli atti regolamentari in materia;
non risulta ancora pubblicato il nuovo Piano nazionale per il Governo delle liste di attesa 2016-2018 e l'ultimo Piano nazionale di Governo delle liste di attesa (Pngla) 2010-2012 è del 28 ottobre 2010;
l'ultima relazione annuale al Parlamento sull'esercizio dell'attività libero professionale intramuraria, relativa all'anno 2014, e presentata nel settembre 2016, ha messo in evidenza diffuse criticità attuative di tutte le condizioni che consentono l'intramoenia; infatti, rispetto alle novità introdotte dal cosiddetto «decreto Balduzzi», solo 13 regioni hanno provveduto ad emanare/aggiornare le linee guida regionali, mentre sono solo 10 le regioni in cui tutte le aziende presenti hanno dichiarato di aver attivato l'infrastruttura di rete e solo in 5 regioni si garantiscono spazi idonei e sufficienti per esercitare la libera professione e pertanto la maggior parte delle regioni ha proceduto all'acquisizione di spazi tramite acquisto, locazione e stipula di convenzioni e/o all'attivazione del programma sperimentale per lo svolgimento dell'attività libero-professionale, in via residuale, presso gli studi privati dei professionisti collegati in rete;
la relazione, citando il conto annuale della Ragioneria generale dello Stato, ha evidenziato che, mediamente, circa il 94 per cento dei dirigenti medici e sanitari non medici, è legato alla propria azienda da un rapporto di esclusività, seppur con percentuali diverse per le singole figure professionali, e ha altresì rilevato che il numero dei medici che hanno optato per l'attività libero professionale intramuraria, è passato da 59.000 unità relative all'anno 2012, pari al 48 per cento del totale dei dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale, a 53.000 unità nel 2014, pari al 44 per cento circa del totale dei dirigenti medici stessi. In media, dunque, nel Servizio sanitario nazionale il 48,7 per cento dei dirigenti medici, con rapporto esclusivo, esercita la libera professione intramuraria;
la medesima relazione ha però precisato che il riscontro sul numero dei medici che hanno optato per l'attività libero professionale intramuraria non tiene conto degli universitari, ossia i medici che pur fornendo prestazioni assistenziali nelle strutture del servizio sanitario regionale sono dipendenti dell'università, gli specialisti ambulatoriali convenzionati, i cosiddetti «sumaisti» ed altre tipologie di personale non legate al Servizio sanitario nazionale da un rapporto di lavoro dipendente;
il ricorso all'intramoenia è sempre più spesso una conseguenza obbligata per il cittadino dinanzi alle lunghe liste di attesa e alle inefficienze del Servizio sanitario nazionale in netto contrasto con quanto previsto dalle norme che avevano introdotto tale istituto;
è necessario dunque garantire che, nella valutazione dei parametri di riferimento relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, si tenga conto del rispetto del progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria come previsto dalla succitata legge 3 agosto 2007, n. 120;
è altresì necessario dare concreta attuazione alla determina Anac 28 ottobre 2015, n. 12, prevedendo che, in caso di mancato rispetto di tutte le disposizioni e condizioni che consentono l'esercizio dell'attività libero-professionale intramoenia, la stessa non sia in alcun modo autorizzata, prospettando reali conseguenze penalizzanti per le strutture sanitarie e per i soggetti responsabili;
la giunta della regione Emilia Romagna, in data 27 luglio 2015 (Progr.Num. 1056/2015), ha deliberato la proposta di deliberazione ad oggetto: «Riduzione delle liste di attesa per l'accesso alle prestazioni sanitarie». L'assessore alla sanità della regione Emilia Romagna, Sergio Venturi, ha recentemente dichiarato che: «il nostro Piano regionale contro le liste di attesa è partito a luglio del 2015. Dopo poco più di un anno a regime possiamo dire di riuscire a garantire le prestazioni sanitarie entro i tempi stabiliti in circa il 98 per cento dei casi»,
impegna il Governo
1) ad emanare i decreti del Ministro della salute per la definizione della metodologia di valutazione dei parametri di riferimento relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, previsti all'articolo 1, commi 526 e 536, della legge 28 dicembre 2015 n. 208, tenendo conto dell'articolo 1, comma 4, lettera g) della legge 3 agosto 2007 n. 120 «Disposizioni in materia di attività libero professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria» nonché dell'attuazione della Determina ANAC 28 ottobre 2015, n. 12 Piano nazionale anticorruzione – aggiornamento 2015 (Gazzetta Ufficiale 16 novembre 2015, n. 267);
2) ad assumere iniziative normative affinché il mancato rispetto delle indicazioni previste dalla legge 3 agosto 2007 n. 120 «Disposizioni in materia di attività libero professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria» nonché della determina dell'Anac 28 ottobre 2015, n. 12 Piano nazionale anticorruzione – aggiornamento 2015 (Gazzetta Ufficiale 16 novembre 2015 n. 267) determini reali conseguenze penalizzanti per le strutture sanitarie e per i soggetti responsabili delle strutture sanitarie prevedendo che il sistema sanzionatorio di cui al comma 7 dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007 n. 120, specificatamente la destituzione del direttore generale e la decurtazione, pari ad almeno il 20 per cento, della sua retribuzione di risultato, nonché l'automatismo dei poteri sostitutivi susseguenti alla mera rilevazione dell'inadempienza, come certificata dall'attività di monitoraggio prodromica alla relazione che il Ministro della salute invia annualmente al Parlamento sullo stato di attuazione dell'esercizio dell'attività libero-professionale intramuraria, secondo quanto disposto dalla medesima legge 120 del 2007;
3) ad assumere iniziative, anche normative, affinché le regioni e le province autonome provvedano a non autorizzare e comunque a sospendere l'attività libero-professionale, laddove, non si siano realizzate, ai sensi di quanto previsto dal comma 4 dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 120, le seguenti condizioni:
avvenuta attivazione dell'infrastruttura di rete per il collegamento in voce o in dati, in condizioni di sicurezza, tra l'ente o l'azienda e lo studio del professionista con le modalità tecniche di realizzazione individuate dal decreto del Ministro della salute 21 febbraio 2013 «Modalità tecniche per la realizzazione della infrastruttura di rete per il supporto all'organizzazione dell'attività libero professionale intramuraria, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, lettera a-bis) della legge 3 agosto 2007, n. 120 e successive modifiche ed integrazioni»;
avvenuta attivazione del servizio di prenotazione esclusivamente mediante l'infrastruttura di rete per il collegamento in voce o in dati e che, attraverso la medesima siano inseriti e comunicati in tempo reale i dati tra l'ente o l'azienda e le singole strutture, interne o esterne, e/o gli studi professionali in rete, ossia i dati concernenti l'impegno orario del sanitario, i pazienti visitati, le prescrizioni e gli estremi dei pagamenti, escludendo in ogni caso che l'agenda dell'attività libero-professionale sia tenuta dal professionista;
avvenuta attivazione dei sistemi e dei moduli organizzativi e tecnologici che consentono il controllo dei volumi delle prestazioni libero-professionali, e accertamento che gli stessi, globalmente considerati, non abbiano superato quelli eseguiti nell'orario di lavoro;
avvenuta adozione della strumentazione necessaria ad assicurare la tracciabilità della corresponsione di qualsiasi importo per il pagamento di prestazioni direttamente all'ente o azienda del Servizio sanitario nazionale;
4) ad assumere iniziative affinché lo specifico monitoraggio finalizzato a presentare una relazione al Parlamento concernente un quadro complessivo del fenomeno Attività libero professionale intramuraria (Alpi), il grado di adeguamento alla norma nazionale, le disomogeneità presenti e le criticità che impediscono o rallentano il percorso attuativo della legge nazionale sull'Alpi, includa anche l'attività libero-professionale svolta da tutto il personale medico ivi inclusi i medici universitari, ossia quei medici che, pur essendo dipendenti dell'università, forniscono prestazioni assistenziali al Servizio sanitario nazionale in regime di convenzione, nonché i medici specialisti ambulatoriali convenzionati, i cosiddetti «sumaisti», anch'essi operanti in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale e qualsiasi altra tipologia di personale non legato all'azienda da un rapporto di lavoro dipendente;
5) ad assumere iniziative affinché il monitoraggio periodico sullo stato di attuazione dell'esercizio dell'attività libero-professionale intra ed extramuraria e la susseguente relazione al Parlamento rispettino le tempistiche previste dalla legislazione vigente, prevedendo che, in caso di inadempienza nella partecipazione alle rilevazioni da parte delle aziende o strutture sanitarie, sia inibita o sospesa la possibilità di svolgere attività libero-professionale nell'azienda o struttura sanitaria inadempiente;
6) ad assumere iniziative normative affinché, entro il più breve tempo possibile, venga presentato alle commissioni competenti di Camera e Senato una bozza del «nuovo» Piano nazionale per il governo dei tempi di attesa che contempli l'implementazione, a livello nazionale, delle iniziative approvate dalla regione Emilia Romagna, tra cui l'analisi e le conseguenze rispetto alla possibilità di interruzione dell'attività libero professionale intramuraria, prevedendo altresì, che l'approvazione definitiva del nuovo Piano nazionale per il governo dei tempi di attesa, attraverso un parere obbligatorio delle commissioni competenti di Camera e Senato, avvenga entro e non oltre il 30 settembre 2017;
7) ad assumere iniziative normative affinché il piano nazionale 2016-2018 per il governo dei tempi di attesa includa anche la possibilità di accesso alle prestazioni nei giorni festivi e nelle ore serali, soprattutto per quelle prestazioni che presentano tempi di attesa eccessivamente critici, prevedendo che gli ambulatori delle cure primarie siano specificatamente finalizzati anche all'abbattimento delle liste di attesa, oltre che a regolare in maniera più efficace l'accesso ai pronto soccorso e a garantire la continuità dell'assistenza;
8) ad assumere iniziative affinché il piano nazionale per il governo dei tempi di attesa sia adeguato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017 che, in attuazione del combinato disposto degli articoli 32 e 117 della Costituzione, definisce i nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) e dunque le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale deve garantire, gratuitamente o tramite compartecipazione, a tutela della salute individuale e collettiva, attraverso le strutture pubbliche o private accreditate che quindi devono garantire un accesso adeguato all'elenco delle prestazioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative di assistenza specialistica ambulatoriale e di assistenza ospedaliera per le quali il DPCM si è limitato, invece, solo a definirne l'appropriatezza ma non anche l'adeguata accessibilità;
9) ad assumere iniziative affinché il «nuovo» Piano nazionale per il Governo dei tempi di attesa contempli, con il supporto dell'Agenzia per l'Italia digitale (Agid) la realizzazione di una piattaforma tecnologica, sul modello del Programma nazionale esiti, per il monitoraggio e l'implementazione del rispetto dei tempi di attesa delle prestazioni di tutti gli enti del sistema sanitario nazionale, considerato che i dati forniti da questi ultimi, a livello di singolo professionista o équipe professionale, devono rappresentare un importante indicatore da inserire nella griglia di monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza (Lea) per gli anni a partire dal 2018, e facendo in modo tale che l'accesso alla piattaforma tecnologica sia di facile fruizione e garantito a tutti i cittadini, e che l'aggiornamento dei dati sia a cadenza massimo mensile;
10) ad assumere iniziative affinché il Piano nazionale per il Governo dei tempi di attesa e il suo monitoraggio siano debitamente inseriti in una relazione annuale al Parlamento e contempli che, in caso di mancata informatizzazione del sistema di prenotazione e in caso di mancata realizzazione delle misure indicate nel «Piano e-government 2012 Obiettivo 4 – progetto “Rete centri di prenotazione”», finalizzato a realizzare il Centro unico di prenotazione (Cup), siano previste forme di penalizzazione sulla possibilità di realizzare l'attività libero professionale intramoenia per quelle regioni che non abbiano realizzato l'informatizzazione completa del sistema di prenotazione, partitamente separato per le prestazioni istituzionali e per le prestazioni libero-professionali e accessibile online nei siti istituzionali della Regione e delle aziende sanitarie pubbliche e private accreditate, a garanzia della trasparenza e dell'accesso alle informazioni su liste e tempi di attesa, garantendo altresì funzionalità automatizzate per la gestione del processo di prescrizione, prenotazione e refertazione digitale, sistemi per l'accesso informatizzato ai referti e uso della telemedicina;
11) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché presso tutti gli enti del SSN, le visite specialistiche, le prestazioni diagnostiche ambulatoriali nonché i ricoveri di elezione siano garantiti secondo le normative in vigore, assicurando, se necessario anche attraverso nuove iniziative normative, che in caso di inadempienza, il direttore generale dell'ente del SSN provveda tempestivamente alla sospensione di tutte le prestazioni rese in regime libero professionale sino al rientro di queste nei tempi di attesa previsti dalle normative e prevedendo altresì che il mancato intervento da parte del direttore generale sia da intendersi grave inadempienza con automatica decadenza dell'incarico;
12) ad assumere iniziative affinché il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza contempli il coinvolgimento delle associazioni dei cittadini e pazienti;
13) a prevedere già nel prossimo Documento di economia e finanze una valutazione di investimento, da approvare d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, su reti digitali dei Centri unici di prenotazione per raggiungere, ove ancora non sia avvenuto, la completa applicazione delle linee guida per i sistemi dei centri unici di prenotazione stessi;
14) ad assumere iniziative di competenza, nell'ambito dell'esercizio dei poteri di indirizzo nei confronti dell'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran), affinché siano disposte regole più stringenti ai fini del rinnovo contrattuale dell'area della dirigenza medica e sanitaria in linea con quanto espresso nella presente mozione per l'esercizio dell'attività libero professionale intramuraria (Alpi).
(1-01563)
«Grillo, Nesci, Cecconi, Mantero, Silvia Giordano, Lorefice, Colonnese, Di Vita, Baroni, Dall'Osso».
Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Caparini 4-16142, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 772 del 3 aprile 2017.
CAPARINI, BORGHESI, INVERNIZZI, ALLASIA, RONDINI, SIMONETTI, MOLTENI e GUIDESI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
le onde dei ponti radio che governano il dialogo tra i server dei comandi di polizia locale e le oltre 1.500 telecamere che sorvegliano i comuni della provincia di Brescia;
gli indirizzi diramati dalle prefetture confermano l'operatività del codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259 del 2003) che impone «per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica di ottenere il rilascio da parte del Ministero dello sviluppo economico, di un'autorizzazione generale». I comuni devono presentare al suddetto Ministero una dichiarazione per l'intenzione di installare o esercitare una rete di comunicazione elettronica ad uso privato, ovvero una «segnalazione certificata di inizio attività», facendo scattare i 60 giorni in cui il Ministero verifica d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti e dispone, se del caso, con provvedimento motivato, il divieto di prosecuzione dell'attività. In parallelo, va presentata al Ministero dello sviluppo economico una dichiarazione contenente l'intenzione di installare o esercire una rete di comunicazione elettronica ad uso privato, il progetto tecnico, la dichiarazione antimafia, i versamenti per il primo anno da cui decorre l'autorizzazione;
la circolare AF-3-2017 emessa il 24 febbraio dal Ministero dello sviluppo economico, richiamandosi ad una vecchia norma, impone ai comuni la tassa per la concessione governativa, equiparando i sistemi di video sorveglianza istituzionali a quelli privati e pertanto sottoposti alla normativa dettata dal codice delle comunicazioni elettroniche;
la regione Lombardia che in tre anni 2015/2017 ha speso 13.063 milioni di euro per finanziare 285 progetti di videosorveglianza, dei quali 50.000 euro per la città di Brescia nel 2016 e 1.935.693,04 milioni di euro per la provincia di Brescia nelle annualità 2015, 2016 e 2017 ha protestato contro la circolare che ritiene «erronea, assurda, arbitraria in ordine di formulazione nella circolare e comunque da cambiare»;
nei patti per la sicurezza siglati dai comuni in prefettura non vi era alcun riferimento a questi ulteriori oneri –:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per esentare gli enti locali dal pagamento della tassa per la concessione governativa e per semplificare l’iter autorizzativo per l'esercizio dei servizi di comunicazione elettronica.
(4-16142)
Pubblicazione di un testo riformulato e modifica dell'ordine dei firmatari.
Si pubblica il testo riformulato della mozione Allasia n. 1-01549, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 762 del 20 marzo 2017.
La Camera,
premesso che:
la direttiva 2006/123/CE, nota come «direttiva Bolkestein», in materia di servizi nel mercato interno, è stata recepita dall'Italia con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, che provvede a regolare anche i settori del commercio su aree pubbliche e del demanio marittimo;
la direttiva Bolkestein ha irrigidito il sistema autorizzatorio prevedendo che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsità delle risorse naturali, i comuni applichino una procedura di selezione tra i potenziali candidati;
l'articolo 16, del decreto legislativo n. 59 del 2010, sul commercio ambulante in aree pubbliche, oltre ad introdurre un limite al numero delle concessioni di posteggio utilizzabili nella stessa area, stabilisce, al comma 4, il divieto di rinnovo automatico dei titoli scaduti, creando non poche difficoltà per il settore, che impiega circa 500.000 addetti a livello nazionale;
il citato articolo, equiparando la nozione di «risorse naturali» con quella di «posteggi in aree di mercato» ha avuto l'effetto di generare una forte concorrenza nel settore, questa non sostenibile per gli operatori del commercio ambulante. Infatti, esso fa rientrare il suolo pubblico, concesso per l'esercizio dell'attività di commercio ambulante, nella nozione di «risorse naturali», assoggettandolo quindi alla procedura di selezione pubblica;
alle suddette criticità si aggiungono quelle relative all'applicazione dell'articolo 70 del citato decreto legislativo, il quale riconosce l'accesso al settore anche alle società di capitali, rischiando di mettere fuori dal mercato le piccole aziende a conduzione familiare, che fino ad oggi hanno operato nel settore rendendolo fortemente competitivo;
il parere sullo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2006/123/CE, approvato dalle Commissioni II e X della Camera dei deputati, in data 11 marzo 2010, invitava il Governo, anche su proposta del gruppo della Lega Nord, a «escludere espressamente l'equiparazione dei posteggi in aree di mercato alle risorse naturali» al fine di «evitare interpretazioni estensive della nozione di “risorse naturali”», sia per ragioni di coerenza con la normativa comunitaria sia per non penalizzare il settore del commercio ambulante e su aree pubbliche;
il medesimo parere invitava altresì il Governo a «escludere la possibilità di esercizio del commercio al dettaglio sulle aree pubbliche da parte di società di capitali»;
il 5 luglio 2012, ai sensi del comma 5, dell'articolo 70 del citato decreto legislativo n. 59 del 2010, è stata adottata un'intesa in sede di Conferenza unificata per la definizione della durata e del rinnovo delle autorizzazioni; in tale intesa, in particolare, viene stabilita la durata delle autorizzazioni da 9 a 12 anni, e soltanto in prima applicazione, viene data priorità al criterio della «professionalità acquisita». Essa, tuttavia, non supera del tutto le criticità di settore, continuando di fatto a far ricadere espressamente la fattispecie del commercio su aree pubbliche nell'ambito di applicazione dell'articolo 16, del citato decreto legislativo n. 59 del 2010;
la suddetta intesa al fine di evitare eventuali disparità di trattamento tra i soggetti le cui concessioni di aree pubbliche sono scadute prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (recante attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno) e che hanno, quindi, usufruito del rinnovo automatico ed i soggetti titolari di concessioni scadute successivamente a tale data, che non hanno usufruito di tale possibilità, stabilisce l'applicazione, in fase di prima attuazione delle seguenti disposizioni transitorie:
a) le concessioni scadute e rinnovate (o rilasciate) dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010 (8 maggio 2010) sono prorogate di diritto per sette anni da tale data, quindi fino al 7 maggio 2017 compreso;
b) le concessioni che scadono dopo l'entrata in vigore dell'Accordo della Conferenza unificata (16 luglio 2015) e nei due anni successivi, sono prorogate di diritto fino al 15 luglio 2017 compreso;
c) le concessioni scadute prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010 e che sono state rinnovate automaticamente mantengono efficacia fino alla naturale scadenza prevista al momento di rilascio o di rinnovo;
il decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, recante proroga e definizioni di termini, convertito, con, modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, all'articolo 6, comma 8, ha da ultimo prorogato il termine delle concessioni per il commercio su aree pubbliche al 31 dicembre 2018, ed ha stabilito l'obbligo per i comuni di avviare, qualora non abbiano già provveduto, le procedure di selezione pubblica per il rilascio delle nuove concessioni, entro il 31 dicembre 2018, nel rispetto della normativa vigente;
il suddetto decreto non risolve tuttavia l'annosa questione legata all'opportunità di escludere la categoria dall'applicazione della direttiva comunitaria relativa ai servizi nel mercato interno, ed anzi rischia di generare profonda incertezza in merito all'espletamento delle gare già avviate dai comuni, che a giudizio dei proponenti, dovrebbero ritenersi nulle;
con l'entrata in vigore della direttiva 2006/123/CE, anche la disciplina delle concessioni demaniali marittime è stata oggetto di una lunga contrattazione tra le istituzioni europee e quelle italiane circa l'assoggettabilità della stessa alla procedura della gara pubblica;
nei confronti dell'Italia, che ha ritenuto di estromettere il settore demaniale marittimo dalla disciplina della gara pubblica, sono state aperte due procedure di infrazione comunitaria, sanate dal legislatore italiano dapprima, con l'abrogazione dell'articolo 37 del Codice della Navigazione nella parte inerente il «diritto di insistenza», ossia il diritto di preferenza accordato al cessionario uscente, e successivamente, con l'eliminazione del rinnovo automatico delle concessioni, previsto dall'articolo 1, comma 2 del decreto-legge n. 400 del 1993;
in questo arco temporale, le imprese balneari hanno potuto usufruire di un periodo di proroga della concessione, da ultimo rinnovato con il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, che ha rinviato al 31 dicembre 2020, la scadenza delle concessioni in essere al 31 dicembre 2015. In conseguenza di tale disposizione sono state sollevate questioni interpretative da parte dei giudici italiani che hanno portato alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 14 luglio 2016 (C-458/14), con la quale la Corte medesima ha affermato che il diritto comunitario non consente la possibilità di prorogare in modo automatico e in assenza di qualsiasi procedura di selezione pubblica dei potenziali candidati, le concessioni relative all'esercizio di attività turistico-ricreative nelle aree demaniali marittime e lacustri;
con l'articolo 24, commi 3-septies e 3-octies, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, per evitare la nascita di eventuali contenziosi nelle more dell'adozione di una nuova disciplina di riordino del settore, il legislatore italiano ha riconosciuto la validità dei rapporti concessori già instaurati e pendenti in base alla proroga concessa al 31 dicembre 2020;
in molti sostengono la necessità di escludere le concessioni demaniali dall'ambito di applicazione della stessa direttiva 2006/123 /CE, rilevando che le autorizzazioni sono concesse in riferimento ai «beni» demaniali e non ai «servizi», e perciò riguardano il conferimento in uso di una superficie e non l'autorizzazione a svolgere un servizio; questo orientamento ha trovato conferme nelle recenti posizioni assunte da altri Paesi europei; la Spagna, ad esempio, con la legge sulla protezione del litorale e di modifica della legge costiera, ha elevato il termine massimo di durata delle concessioni da settanta a settantacinque anni, per quelle scadute o in scadenza nel 2018; il Portogallo, nel 2007, ha emanato una disciplina che accorda al concessionario uscente il diritto di prelazione in caso di riassegnazione della concessione,
impegna il Governo:
1) a chiarire, con apposita iniziativa normativa, che i posteggi utilizzati per l'esercizio del commercio ambulante su aree pubbliche non rientrano nella nozione di «risorse naturali» e che le relative concessioni non sono soggette all'applicazione del comma 4 dell'articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59;
2) ad assumere le necessarie iniziative normative per la modifica dell'articolo 70 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, riservando l'attività del commercio al dettaglio su aree pubbliche esclusivamente alle imprese individuali e alle società di persone;
3) a promuovere tavoli di confronto con le associazioni di categoria delle imprese del commercio su aree pubbliche affinché siano al meglio risolte le problematiche da questi denunciate, anche al fine di mettere ordine nella normativa di settore per quanto concerne i criteri per il rilascio ed il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio dell'attività;
4) ad adottare opportune iniziative normative al fine di chiarire che sono nulle le procedure di gara avviate dalle amministrazioni comunali prima del 31 dicembre 2018, esonerando quindi le stesse dall'obbligo di avviare le procedure di selezione pubblica entro la medesima data;
5) ad attivarsi presso le istituzioni comunitarie per fare in modo che le concessioni demaniali marittime siano estromesse dall'applicazione della direttiva 2006/123/CE, anche alla luce del fatto che le stesse si riferiscono a «beni» e non a «servizi».
(1-01549)
«Allasia, Saltamartini, Gianluca Pini, Fedriga, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Rondini, Simonetti».
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta scritta Piras n. 4-16101 del 30 marzo 2017;
interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-11052 del 5 aprile 2017.
Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
interrogazione a risposta in Commissione Garavini e altri n. 5-00598 dell'11 luglio 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-16202;
interrogazione a risposta in Commissione Garavini e altri n. 5-09589 del 27 settembre 2016 in interrogazione a risposta scritta n. 4-16203.
ERRATA CORRIGE
Interrogazione a risposta scritta Basilio e altri n. 4-16175 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 774 del 5 aprile 2017. Alla pagina 46290, seconda colonna, alla riga trentunesima e alla pagina 46291, seconda colonna, alle righe terza e ventitreesima, sostituire le iniziali F.R. con le parole Francesco Raiola.
INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA
BURTONE, CARDINALE, ALBANELLA, CENSORE, BATTAGLIA, CUOMO, MARCO DI STEFANO, RACITI, SALVATORE PICCOLO, MAGORNO, GIOVANNA SANNA, CASSANO, PIERDOMENICO MARTINO, SIMONI, COVELLO, GINEFRA, VECCHIO, MOSCATT, ANZALDI, ROTTA, VENTRICELLI, IACONO, CULOTTA, MALPEZZI, GITTI, RIGONI, PIEPOLI, GARAVINI, PES, MARROCU, GALPERTI, CAPONE e MARTELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
con circolare n. 11 del 2017 l'Inps ha chiarito i requisiti per la domanda di accesso all'ottava salvaguardia, di cui ai sensi dei commi 214-216 della legge n. 232 del 2016 da presentare entro il 2 marzo 2017;
per poter accedere a suddetta tutela i lavoratori interessati devono essere in possesso di alcuni requisiti come: essere in mobilità o in trattamento speciale edile in base ad accordi stipulati entro il 31 dicembre 2011; essere in mobilità o in trattamento speciale edile per aziende cessate o che abbiano subito procedure concorsuali; essere cessati dall'attività lavorativa entro il 31 dicembre 2014; perfezionare entro 36 mesi, anche attraverso il versamento di contributi volontari, dalla fine di fruizione di indennità, i contributi richiesti dalla normativa in vigore prima della «riforma Fornero»;
si pone una questione di necessario chiarimento per quanto concerne i lavoratori attualmente in mobilità in deroga o la cui mobilità risulta essere scaduta nel dopo il 1° agosto 2014 a seguito delle disposizioni intervenute con il decreto ministeriale n. 83473 del 1° agosto 2014;
poiché gli interessati devono presentare domanda entro il 2 marzo 2017 e assolutamente necessario che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali chiarisca le modalità di accesso anche per i lavoratori in mobilità in deroga compresi quelli per i quali sono subentrati accordi regionali di ulteriore proroga;
inoltre, su tutto il territorio nazionale, si pone la questione del futuro di suddetti lavoratori in quanto ciascuna regione in questi mesi ha dato o sta dando risposte parziali e non del tutto efficace in termini di tutela;
se è vero che il decreto legislativo 24 settembre 2016 n. 185, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 235 del 7 ottobre 2016, ha aggiunto all'articolo 44 del decreto legislativo n. 148 del 2015, dopo il comma 6, il comma 6-bis, con il quale è stata ampliata, sotto diversi profili rispetto alla previgente disciplina, la possibilità per le regioni e le province autonome di derogare ai criteri di cui agli articoli 2 e 3 del decreto interministeriale n. 83473 del 1° agosto 2014, in particolare derogando ai criteri del decreto interministeriale n. 83473 nella misura del 50 per cento delle risorse ad esse assegnate e non più solo nella misura del 5 per cento;
nei mesi passati, secondo notizie di stampa, si era ipotizzata anche una misura una tantum di 12 mesi con un importo tra i 400 e i 500 euro a supporto dei lavoratori in mobilità in deroga, misura di cui però non si è avuta più notizia;
per molti lavoratori appartenenti a questa platea l'ottava salvaguardia rappresenta una opportunità per poter andare in pensione in molti casi avendo già subito penalizzazioni dalle previsioni della «legge Fornero»
la mancanza di chiarezza della declinazione delle norme previste in legge di stabilità la cui ratio e volontà del legislatore era sicuramente quella di voler includere anche suddetti soggetti rischia di determinare ulteriori tensioni e allarmi già, sollevati dalle organizzazioni sindacali –:
se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative al fine di chiarire se le citate disposizioni previste dalla legge n. 232 del 2016 si applicano anche ai lavoratori in mobilità in deroga, prevedendo, campagne informative circa l'applicazione delle disposizioni di accesso ai benefici dell'ottava salvaguardia anche per questi lavoratori;
se, a fronte delle difficoltà in cui si trovano gli appartenenti in questa platea, non ritenga di valutare l'opportunità di assumere le iniziative di competenza, anche di concerto con l'Agenzia nazionale politiche attive del lavoro, per promuovere, su tutto il territorio nazionale, progetti di riqualificazione professionale e di supporto nella ricerca di nuova occupazione. (4-15840)
Risposta. — Con il presente atto parlamentare l'interrogante richiama l'attenzione sull'ambito di applicazione della cosiddetta «Ottava salvaguardia», con particolare riguardo alla categoria di lavoratori in mobilità in deroga.
In particolare, secondo gli interroganti, è necessario chiarire se le disposizioni di cui all'articolo 1, commi da 214 a 216, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017) che individuano le categorie di lavoratori che possono accedere al beneficio dell'ottava salvaguardia, possano trovare applicazione anche per i lavoratori in mobilità in deroga.
Al riguardo, occorre, precisare che, dalla interpretazione letterale delle predette disposizioni normative, risulta evidente l'esclusione della categoria dei lavoratori in mobilità in deroga, dal beneficio pensionistico in esame.
Diversamente, l'articolo 1, comma 231, lettera a) della legge n. 228 del 2012, che ha disciplinato la terza procedura di salvaguardia, e il successivo decreto ministeriale del 23 aprile 2013 di attuazione, hanno espressamente previsto l'estensione dell'applicazione della salvaguardia «.... ai lavoratori cessati da rapporti di lavoro entro il 30 settembre 2012 e collocati in mobilità ordinaria o in deroga...».
Tale estensione non è stata invece inserita nelle disposizioni normative che hanno disciplinato le altre operazioni di salvaguardia che, infatti, non fanno riferimento alla categoria attenzionata dall'interrogante (lavoratori collocati in mobilità in deroga).
Per contro, le disposizioni relative alla ottava salvaguardia prevedono l'accesso al beneficio per i soli lavoratori collocati in mobilità ordinaria, ai sensi degli articoli 4, 11 e 24 della legge n. 232 del 1991.
Da ultimo, con riferimento al secondo quesito formulato dall'interrogante, si rappresenta che il decreto legislativo n. 150 del 2015, emanato in attuazione del cosiddetto Jobs Act, ha istituito l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) allo scopo precipuo di coordinare la gestione, delle politiche attive del lavoro, fornendo alle Regioni strumenti comuni finalizzati a migliorare la capacità dei territori di fornire ai cittadini un servizio di riqualificazione e di ausilio alla ricerca di una collocazione.
In tale contesto, dunque, potranno essere prese in considerazione le difficoltà in cui versano i soggetti in esame.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Massimo Cassano.
CARINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
in data 24 febbraio 2016, al Piccolo Teatro di Milano è stato presentato « Human Technopole Italy 2040», il progetto scientifico che verrà realizzato nell'area che ha ospitato Expo 2015 e che prevede l'insediamento di sette centri di ricerca e di un unico grande parco;
Arexpo spa, proprietaria delle aree in uso alla società Expo 2015 spa, è attualmente partecipata da: regione Lombardia e comune di Milano, che detengono ciascuno il 34,67 per cento del capitale; Fondazione Fiera di Milano, che detiene il 27,66 per cento del capitale; città metropolitana di Milano, che detiene il 2 per cento del capitale; comune di Rho, che detiene l'1 per cento del capitale;
l'ingresso del Governo in Arexpo spa è stato già definito con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 marzo 2016;
nell'assemblea di Arexpo spa, che si terrà a novembre 2016, il Ministero dell'economia e delle finanze si affiancherà ufficialmente a comune di Milano e regione Lombardia come socio di Arexpo spa;
secondo quanto si apprende da fonti di stampa è emersa la volontà da parte di Arexpo Spa di realizzare le aree verdi previste dall'accordo di programma secondo una distribuzione differente rispetto a quella richiesta dai consigli comunali di Milano e Rho. La nuova configurazione delle aree a verde sembrerebbe prediligere una distribuzione frammentaria e diffusa all'interno dell'intero ambito di Expo, vanificando l'idea di un unico e unitario grande parco;
nel giugno 2011 i cittadini milanesi si sono espressi in merito alla destinazione futura dei terreni dell'Expo 2015, attraverso lo strumento del referendum consultivo; il 95,51 per cento dei votanti ha chiesto la conservazione integrale del parco agroalimentare;
le linee guida del piano strategico di sviluppo e valorizzazione di Arexpo spa (pubblicate nel settembre 2016) ricordano «la variante urbanistica definisce una superficie da destinare al parco non inferiore al 56 per cento dell'area totale» –:
se il Governo, una volta formalizzato l'ingresso nell'azionariato di Arexpo Spa, intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire la realizzazione di un grande parco unitario all'interno del sito Expo, al fine di contrastare ogni ipotesi di frantumazione e dispersione della quantità di verde pubblico e sostenere così il rispetto della volontà dei cittadini milanesi e dei consigli comunali di Milano e Rho. (4-14443)
Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede una verifica sulla situazione relativa ad un progetto scientifico denominato human technopole Italy 2040, che prevede l'insediamento di sette centri di ricerca e di un unico grande parco nell'area che ha ospitato EXPO 2015, nella città di Milano. La proprietà dell'area, riporta l'interrogante, risulta in capo ad Arexpo spa, già a totale partecipazione pubblica (regione Lombardia, comune e città metropolitana di Milano, Fondazione Fiera di Milano e comune di Rho), nella quale è stato previsto, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 marzo 2016, anche l'inserimento del Ministero dell'economia e delle finanze (di seguito MEF).
L'interrogante, riportando notizie di stampa, paventa che la società AREXPO voglia realizzare le previste aree verdi, in deroga al progetto presentato, in modo diffuso e frammentario, vanificando l'idea di un unico grande parco. Chiede quindi al Governo quale sarà la linea che adotterà, una volta entrato formalmente nella compagine di azionariato.
Al riguardo, si ritiene utile precisare, preliminarmente, che il richiamato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri definisce le iniziative finalizzate alla valorizzazione delle aree in uso alla società EXPO 2015 s.p.a., e le modalità attuative della partecipazione dello Stato al capitale di Arexpo s.p.a. e che, comunque, il Mef esercita i diritti dell'azionista nei confronti delle società partecipate, astenendosi, ai sensi delle vigenti disposizioni normative (articolo 19, comma 6 del decreto-legge n. 78 del 2009, che fornisce un'interpretazione autentica dell'articolo 2497, comma 1, del codice civile), dall'esercitare attività di direzione e coordinamento, lasciate all'autonomia ed alle responsabilità gestionali delle società stesse. E l'entrata formale del Mef è prevista in data imminente.
Per iniziative di valorizzazione si intendono le azioni funzionali al riutilizzo delle aree e delle opere realizzate per Expo Milano 2015 e l'intervento finanziario dello Stato è attuato attraverso la sottoscrizione di un aumento di capitale sociale di Arexpo s.p.a., che dovrà essere tale da determinare l'acquisizione di una partecipazione di maggioranza relativa al capitale stesso, con la previsione di dettagliate modalità operative, tra le quali è previsto anche l'apporto di modifiche statutarie della società.
Per quanto attiene al merito dell'interrogazione, si rappresenta che Arexpo persegue varie finalità istituzionali, tra cui il monitoraggio del processo di infrastrutturazione e trasformazione dell'area per assicurare la valorizzazione e la riqualificazione dell'area medesima anche nella fase post-Expo e il coordinamento del processo di sviluppo del piano urbanistico dell'area, relativamente alla fase post-Expo. In ciò deve tener conto della disciplina urbanistica e del mix funzionale definito dalla variante urbanistica approvata mediante l'accordo di programma, approvato con decreto del presidente della Giunta regionale della Lombardia n. 7471 del 2011.
Allo stato, risulta, da notizie richieste alla società stessa, che Arexpo stia definendo le procedure per la selezione del soggetto che svolgerà l'attività di advisor tecnico, economico e finanziario per la predisposizione del Masterplan e del piano industriale, strumenti di riferimento per la pianificazione e realizzazione delle funzioni da insediare. Al momento, quindi, non potrebbe essere subentrata alcuna specifica scelta progettuale che possa contrastare le ipotesi previste dagli atti programmatici ufficiali.
Le linee guida strategiche, che dettano i criteri generali e di indirizzo per la redazione del Masterplan, dovranno basarsi su quanto previsto dall'Accordo di programma del 2011 (variante urbanistica 4 Agosto), che ha definito le funzioni ammissibili e le destinazioni, nonché l'indice di utilizzazione edificatoria (UT= 0.52, rispetto all'area totale con una capacità edificatoria di circa 480.000 mq di SLP), e la superficie da destinare al parco tematico, non inferiore al 56 per cento dell'area totale, quindi pari a 440.000 metri quadri.
Il modello di parco individuato dalle linee guida, afferma Arexpo, è quello di un parco della scienza, del sapere e dell'innovazione, non frammentato, ma integrato in un unico ambito territoriale pubblico, fruibile e aperto che, oltre a creare connessioni territoriali a nord e a sud dell'area (parco sud e parco delle Groane) valorizzi gli investimenti effettuati per l'Esposizione del 2015, preservando il valore paesaggistico e di biodiversità che negli anni si è creata (rilevanti gli insediamenti di specie migratorie e stanziali oggi presenti).
Il percorso di sviluppo dell'area dovrà quindi allinearsi agli atti programmatori del 2011, con l'accordo di programma, nonché al recente atto integrativo dello stesso (maggio 2016), nel quale tutti i soggetti sottoscrittori, tra i quali i comuni di Milano e Rho, hanno condiviso un concept di sviluppo unitario dell'area che, a partire dalla presenza di due eccellenze come Human Technopole e Unimi, catalizzatori di attrazioni di altre realtà pubbliche e private, veda la realizzazione di un Parco tematico che, nel rispetto dei vincoli dettati dagli strumenti urbanistici di riferimento, possa integrare le funzioni insediative pubbliche e private con gli spazi aperti a queste connesse.
Per tutto quanto esposto, si rappresenta all'onorevole interrogante che l'orientamento governativo sulla questione non potrà che essere improntato sull'intrapresa strategia di sviluppo unitario ed integrato nonché di valorizzazione delle aree interessate, sempre nel rigoroso rispetto dei vincoli urbanistici ed ambientali e della volontà della cittadinanza.
Il Viceministro dell'economia e delle finanze: Enrico Morando.
MANLIO DI STEFANO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
nel 1995, il signor Agostino Barolo, titolare dell'azienda Barolo & C. snc, ha fornito dei macchinari a una azienda lituana per un valore di circa 1,2 milioni di dollari. Il pagamento era stato garantito dalla State Commercial Bank of Lithuania, con l'emissione di un credito documentario irrevocabile che prevedeva una rateizzazione per tre anni con rate semestrali. Detta banca però a quanto risulta all'interrogante, ha pagato solo la prima scadenza, poiché è stata sciolta successivamente e ogni competenza è stata ripartita con altre due banche, sempre di Stato, che hanno sempre negato d'aver ricevuto in carico tale credito;
si è reso necessario dare l'incarico a uno studio legale, che era stato indicato alla Barolo & C. snc dalla ambasciata italiana di Vilnius, per dirimere la questione, ma non risulta esser accaduto nulla in tal senso, anche perché il contratto prevedeva solo il ricorso a un arbitrato internazionale, strumento non riconosciuto dalla corte lituana; peraltro, erano in ogni caso scaduti i termini;
nel frattempo, l'azienda lituana citata è andata fallita e il ricavato della vendita dei macchinari della Barolo & C. snc sarebbe andato interamente alla banca che vi aveva messo il riservato dominio, invece di restituire gli stessi alla Barolo & C. snc, o almeno girare la relativa somma;
in quel periodo la Lituania, tra l'altro, reclamava di ritornare in possesso di Villa Lituania a Roma, che era stata occupata dall'ambasciata russa, e sembra si sia creata, a giudizio dell'interrogante indebitamente, una stretta connessione tra questa richiesta e il buon fine della vicenda relativa al citato credito; per tale motivo, le trattative sono andate avanti per anni; attualmente, Villa Lituania è la sede della sezione consolare della Federazione russa, mentre, a seguito di un accordo con l'Italia, l'ambasciata della Lituania a Roma sarà ospitata all'interno di palazzo Blumenstihl, all'altezza di piazza Cavour;
risulta all'interrogante che l'attuale ambasciatore italiano a Vilnius, Stefano Taliani De Marchio, abbia preso molto a cuore la vicenda dell'azienda italiana, concordando con il fatto che la stessa abbia subito un'ingiustizia e che solo una decisa presa di posizione politica da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, possa portare finalmente al recupero del credito dovuto;
il signor Agostino Barolo ha più volte investito in passato il Ministro degli affari esteri pro tempore, Franco Frattini, e l'allora ambasciatore in ordine all'annosa questione, senza riscontro –:
se e quali iniziative di competenza intenda adottare per agevolare la positiva soluzione di questa incresciosa vicenda, anche in considerazione della predisposizione manifestata dall'ambasciatore italiano a Vilnius in tal senso. (4-14804)
Risposta. — La Farnesina e l'ambasciata d'Italia a Vilnius seguono da tempo con grande attenzione il caso dell'azienda italiana Barolo & C Snc Lituania e del mancato recupero del credito commerciale, garantito da istituti bancari del Paese e risalente al 1995.
L'ambasciata d'Italia ha sensibilizzato a più riprese e a vari livelli le autorità lituane, tenendo nello stesso tempo informato il Signor Agostino Barolo dei passi intrapresi e rassicurandolo che non esisteva alcun collegamento, come da lui paventato, fra la sua vicenda e quella della sede dell'ambasciata lituana a Roma. Un caso, quest'ultimo, che è stato risolto con un accordo bilaterale fra Italia e Lituania. Alcuni passi, anche recenti, sono stati compiuti dall'ambasciatore d'Italia a Vilnius presso i Ministeri dell'economia e della giustizia locali.
Le autorità lituane hanno sempre eccepito l'impossibilità di intervenire in quella che considerano una questione commerciale fra privati, invitando nel contempo l'interessato a rivolgersi alla giustizia ordinaria, anche se la decorrenza dei termini di prescrizione sembra averne pregiudicato ogni possibilità di attivazione, come evidenziato nel parere dello studio legale di Vilnius investito della questione. La Farnesina, nel rispetto di questo limite, si è comunque sempre adoperata affinché gli interessi del signor Barolo trovassero adeguata considerazione da parte lituana e nelle opportune sedi bilaterali si continuerà a segnalare il caso alle autorità lituane.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Vincenzo Amendola.
FANTINATI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
il Monte Moscal di Affi, in provincia di Verona, nasconde il più grande bunker antiatomico d'Europa: il «West Star», attualmente proprietà del V Reparto infrastrutture dell'Esercito romano;
realizzato negli anni della «guerra fredda», costituiva il comando delle forze operative terrestri della NATO nel sud Europa in caso di guerra, nonché la sala operativa della V APAF dell'Aeronautica della NATO per la difesa aerea, la cui sede si trovava e si trova presso l'Aeroporto Dal Molin di Vicenza;
è una struttura di 13 mila metri quadrati suddivisi in due piani più l'interrato che conteneva cavi e sistemi di comunicazione. Poteva ospitare fino a 500 persone in oltre 110 stanze con tre ingressi ed una galleria di accesso;
progettato per essere completamente autonomo in caso di attacco nucleare — con l'aria interna filtrata e mantenuta sotto pressione senza contatti con quella esterna, vasche per l'acqua potabile, infermerie, cucina, docce antiradiazioni, filtri antiatomici, un sistema antisismico — durante l'arco della sua operatività, il bunker è stato costantemente aggiornato e ammodernato;
la base è rimasta attiva dal 1966 al 2007 quando fu ceduta dalla Nato al Ministero della difesa, ancora funzionante. L'uso militare del bunker, però, fu abbandonato nel 2010, dopo il sopralluogo dell'allora Ministro della difesa, che confermò la proposta dei vertici militari di dismettere la base. Dal 2010, dunque, «West Star» perse interesse per i militari, ma continuò ad essere video-sorvegliato e con gli impianti di aerazione funzionanti al minimo;
con la cessione al Ministero della difesa, la custodia del sito antiatomico è stata affidata al 5° reparto infrastrutture (sezione distaccata di Verona);
secondo notizie di stampa, il 10 giugno 2015, il «Comando infrastrutture nord» ha sollecitato l'Agenzia del demanio del Veneto a «rendere note le azioni eventualmente già intraprese in esito alla richiesta del comune di Affi, ovvero se sussistano elementi ostativi all'auspicata acquisizione da parte dell'amministrazione locale»;
nel 2010, la finanziaria regionale autorizzava il Veneto a stipulare una convenzione con il Ministero della difesa per un progetto di valorizzazione turistica e culturale del rifugio antiatomico, per cui furono stanziati 100 mila euro l'anno per tre anni, fino al 2012, ipotizzando la creazione di un museo sulla «guerra fredda», per scongiurare, così, le voci che individuavano la struttura come sito per lo stoccaggio di scorie radioattive;
non si conosce quale sia lo stato dei lavori che avrebbero dovuto valorizzare «West Star» trasformandolo in un centro d'interesse turistico-culturale;
di recente, una pubblicazione a carattere locale, ha riferito di un'esplosione, avvenuta nel 2013, all'interno di «West Star»: «manca la luce dal 2013, quando, secondo fonti militari, scoppiarono dei grossi fusibili dell'impianto elettrico: l'esplosione fu accompagnata da una grande boato ed avvenne mentre all'interno si trovavano alcuni dipendenti della Difesa addetti al controllo, che pensarono ad un terremoto ed ebbero l'impressione che il monte Moscal stesse collassando. Persero persino l'orientamento e riuscirono ad uscire incolumi con le torce dei loro cellulari, ma presero un gran spavento. Da allora la base non ha più ricevuto la corrente elettrica ed è stata trasformata in “Infrastruttura Non Attiva” (Ina). Ma il bunker è ancora “sotto attacco”: nell'estate del 2015 ci sono stati degli atti di vandalismo al suo interno e così, da settembre, lo Stato Maggiore non rilascia più autorizzazioni per visite all'ex base Nato. Oggi, a distanza di otto anni dalla dismissione delle attività militari, non se ne conosce ancora il suo destino» –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
considerando che si tratta di un sito di grande rilevanza storica, quali iniziative di competenza intendano adottare per riqualificare il rifugio anti-atomico a fini espositivi e renderlo una meta turistica visitabile. (4-12343)
Risposta. — In merito ai contenuti dell'atto di sindacato ispettivo in esame, si evidenzia che il rifugio anti-atomico oggetto dell'interrogazione parlamentare è rimasto in consegna alla NATO sino al 2007 e, quindi, restituito allo Stato italiano perché ritenuto non più utile da parte della citata Alleanza, visto il quadro geostrategico mutato.
Nel 2009 lo Stato maggiore della difesa, verificata la mancanza di interesse per i fini istituzionali da parte delle Forze armate, ha incaricato gli uffici tecnici del genio militare di avviare le procedure per la dismissione del bene. In tale quadro, il cespite è stato inserito nell'elenco delle infrastrutture da dismettere ai sensi della legge n. 133 del 2008 per una possibile valorizzazione.
In seguito, lo stesso è stato anche segnalato all'agenzia del demanio tra gli immobili non più utili per i fini istituzionali nell'ambito della legge n. 98 del 2013 per un'eventuale cessione, a «titolo gratuito», alle Amministrazioni locali eventualmente interessate, ai sensi del comma 2 dell'articolo 56-bis del citato disposto normativo.
Si rende noto, altresì, che il comune di Affi ha formalizzato alla task force per la valorizzazione e dismissione degli immobili del Ministro della difesa, la volontà di acquisire il sito proprio ai sensi del citato articolo 56-bis per valorizzarlo dal punto di vista turistico attraverso l'impiego di finanziamenti pubblici e privati; ma a tale iniziale richiesta non è stato dato più alcun seguito, da parte dell'ente territoriale, né posta in essere alcuna attività volta all'acquisizione del bene.
Allo stato, l'immobile è in consegna alla sezione staccata di Verona del 5o reparto infrastrutture di Padova quale infrastruttura inattiva (Ina).
In conclusione, nel confermare il mancato interesse del bene ai fini istituzionali della difesa, si ribadisce che Io stesso potrà essere alienato valorizzato secondo le possibilità offerte dalla normativa vigente in materia, ivi inclusa la cessione gratuita alle amministrazioni locali interessate.
Il Sottosegretario di Stato per la difesa: Gioacchino Alfano.
MUCCI, MONCHIERO e GALGANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
tra le misure del pacchetto famiglia contenute nella legge di bilancio 2017 è previsto il « bonus asilo», (articolo 1, comma 355), che consiste nell'istituzione, a partire dal 2017, per i nuovi nati dal 2016, di un buono di 1.000 annui per l'iscrizione in asili nido pubblici o privati. Il buono è corrisposto in undici mensilità (cifra 90,9 euro mensili) dall'INPS al genitore che ne faccia richiesta presentando documentazione idonea a dimostrare sia l'iscrizione in strutture pubbliche o private, sia il pagamento della retta. Le modalità di attuazione di questa previsione saranno stabilite con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro con delega in materia di politiche per la famiglia, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell'economia e delle finanze –:
se i Ministri interpellati non ritengano opportuno assumere iniziative per accelerare l'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 1, comma 355, della legge n. 232 del 2016, che avrebbe dovuto essere emanato entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge, al fine di rendere al più presto operative pure le disposizioni relative al bonus asili nido. (4-16013)
Risposta. — In riferimento all'atto parlamentare in esame, inerente all'attuazione della misura bonus asili nido, si rappresenta quanto segue.
La legge di bilancio per l'anno 2017 stabilisce, con riguardo ai nati a decorrere dal 1o gennaio 2016, l'istituzione di un buono (bonus asili nido) di 1.000 euro annui per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici o privati, nonché per l'introduzione di forme di supporto presso la propria abitazione in favore di bambini con meno di tre anni, affetti da gravi patologie croniche.
L'attuazione della misura è demandata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro con delega in materia di politiche per la famiglia, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell'economia e delle finanze. Tale decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dopo la necessaria condivisione da parte delle suddette amministrazioni, è stato sottoscritto, il 17 febbraio 2017, dal Presidente del Consiglio dei ministri ed è attualmente all'esame della Corte dei Conti per la prescritta registrazione.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali: Luigi Bobba.
SBERNA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 148 della legge del 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001) dispone che le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato siano destinate al finanziamento di iniziative a vantaggio dei consumatori, al fine di compensare, o in qualche modo risarcire, i consumatori e/o utenti per gli effetti lesivi che hanno subito dai comportamenti scorretti tenuti dalle imprese sanzionate;
il comma 2 del citato articolo specifica che le predette entrate sono riassegnate (anche nell'esercizio successivo) con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze ad un apposito fondo per essere destinate alle iniziative a vantaggio dei consumatori, individuate di volta in volta con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentite le commissioni parlamentari competenti. Nello stato di previsione del citato Ministero è stato istituito il capitolo n. 1650 (Fondo derivante da sanzioni amministrative irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato da destinare ad iniziative a vantaggio dei consumatori);
con le risorse del fondo predetto sono finanziati ad esempio, il programma dei controlli per la sicurezza dei prodotti, la convenzione per i servizi di supporto al Consiglio nazionale consumatori e utenti, la struttura di esame e liquidazione dei cofinanziamenti per le conciliazioni paritetiche delle controversie di consumo, interventi sulla prescrizione delle polizze dormienti, il fondo consumatore pacchetto turistico, lo sportello europeo del consumatore e molte altre iniziative di assistenza, informazione, educazione e tutela del consumatore (sicurezza alimentare, iniziative per il « made in Italy», la sicurezza in internet, la pubblicità ingannevole, la lotta alla contraffazione, e altro). E sono, altresì, finanziati interventi miranti alla restituzione delle somme versate in relazione alla retroattività delle disposizioni in materia di «polizze dormienti»;
si tratta dell'unica fonte di finanziamento della politica dei consumatori in Italia e, non trattandosi di risorse finanziarie pubbliche, ma di proventi da sanzioni irrogate ad imprese private che hanno in vario modo frodato i consumatori o gli utenti, nella logica della legge citata, dovrebbero essere reindirizzate, previo parere del Parlamento a favore della generale categoria dei consumatori;
la relazione che accompagna lo schema di decreto – presentato alla Camera nel luglio 2015 concernente la ripartizione per l'anno 2015 del fondo derivante dalle sanzioni amministrative irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato da destinare a iniziative a vantaggio dei consumatori, evidenzia, in particolare, che, per quanto attiene lo stato di attuazione degli interventi realizzati (aggiornato ad aprile 2015) nel 2014, le somme impegnate per dare copertura finanziaria a provvedimenti non rientranti tra le previsioni di cui all'articolo 148 della legge n. 388 del 2000, a fronte di un importo complessivo di euro 311.151.744,39, ammontano a 304.000.000,00 di euro;
il citato schema di decreto ministeriale – sottoposto al parere delle competenti commissioni parlamentari – recante il riparto delle risorse assegnate per l'anno finanziario 2015, assegna alla restituzione delle somme versate, in relazione alla retroattività delle disposizioni in materia di polizze dormienti, la somma di 3.500.000,00 euro;
nonostante lo schema di decreto citato abbia ricevuto tra luglio ed agosto 2015 parere favorevole da entrambe le competenti commissioni di Camera e Senato, non risulta che, ad oggi, questo si stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale;
l'interrogante ha già posto all'attenzione del Governo, con l'interrogazione n. 3-01420, la situazione di quei risparmiatori esclusi dall'indennizzo che ha visto beneficiari i titolari di polizze dormienti con scadenza dicembre 2009, poiché titolari di polizze la cui prescrizione è intercorsa tra il 1° gennaio 2010 ed il 20 ottobre 2012, ricevendo come risposta l'impegno di valutare l'esigenza a condizione che, nel 2015, siano riassegnate risorse congrue all'apposito fondo gestito dal Ministero dello sviluppo economico;
i due bandi precedentemente emanati per l'indennizzo delle polizze dormienti aventi scadenza più prossima alle modifiche normative intervenute hanno impiegato risorse pari a 7 milioni e 700 mila euro –:
se il Ministro interrogato non ritenga oramai improcrastinabile la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale suddetto affinché le risorse da esso destinate alle polizze dormienti siano utilizzate per garantire l'indennizzo dei titolari di polizze dormienti scadute tra il 1° gennaio 2010 ed il 20 ottobre 2012, anche attraverso l'emanazione di un terzo bando da parte di Consap s.p.a. (concessionaria servizi assicurativi pubblici). (4-12039)
Risposta. — Si risponde all'atto in esame rappresentando ciò che segue.
L'articolo 6 del decreto ministeriale 6 agosto 2015 (registrato alla Corte dei conti – ufficio controllo atti Ministero dello sviluppo economico e Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali il 30 settembre 2015 Reg.ne Prev. n. 3514 e pubblicato nella sezione trasparenza del sito internet del Ministero dello sviluppo economico ha assegnato al Ministero dello sviluppo economico l'importo di euro 3.500.000,00 per favorire una restituzione almeno parziale a favore dei beneficiari di polizze prescritte e nel limite delle relative somme versate all'entrata per effetto delle disposizioni in materia di cosiddette polizze dormienti, di cui ai commi 345-quater e 345-octies dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, come modificato dall'articolo 3, comma 2-bis, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, convertito con modificazioni dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166, tenuto conto delle successive modifiche delle norme in materia di prescrizione delle polizze in questione e delle possibili conseguenti carenze di informazione agli interessati.
In data 22 dicembre 2015 è stata stipulata una convenzione con Consap spa per la realizzazione delle attività di supporto al Ministero dello sviluppo economico finalizzate a favorire la restituzione delle somme versate in relazione alla retroattività delle disposizioni in materia di cosiddette polizze dormienti.
Tale convenzione fa seguito a un precedente finanziamento per l'importo totale di euro 7.600.000,00 e alla relativa convenzione del 2012 sulla medesima materia, in base alla quale sono stati emanati e conclusi già due avvisi pubblici.
In data 18 febbraio 2016 è stato pubblicato sul sito internet del Ministero dello sviluppo economico e della Consap, un terzo avviso (termini di presentazione delle domande dal 23 febbraio all'8 aprile 2016), ai fini della presentazione delle domande di indennizzo per quelle polizze vita prescritte, cosiddette «polizze dormienti», per le quali l'evento (morte/vita dell'assicurato) o la scadenza della polizza che hanno determinato il diritto a riscuotere il capitale assicurato sia intervenuto successivamente alla data del 1o gennaio 2006 e la prescrizione di tale diritto sia intervenuta anteriormente al 1o aprile 2010.
Alla chiusura del terzo avviso, sulla base delle domande presentate e della presumibile disponibilità di risorse residue, è stato predisposto un quarto avviso, pubblicato in data 9 maggio 2016. Con quest'ultimo si consentiva la presentazione, dal 9 maggio al 1o luglio 2016, delle domande di indennizzo per quelle polizze vita prescritte, per le quali l'evento (morte/vita dell'assicurato) o la scadenza della polizza che hanno determinato il diritto a riscuotere il capitale assicurato sia intervenuto successivamente alla data del 1o gennaio 2006 e la prescrizione di tale diritto sia intervenuta anteriormente al 1o luglio 2010.
Il decreto del Ministro dello sviluppo economico 28 ottobre 2016 (registrato alla Corte dei conti in data 1o dicembre 2016), a seguito dell'acquisizione del parere positivo delle commissioni parlamentari competenti, ha individuato le iniziative di cui all'articolo 148, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, per l'importo complessivo di euro 18.879.798,74.
All'articolo 4, comma 1, del richiamato decreto è previsto che «per favorire una restituzione almeno parziale a favore dei beneficiari di polizze o prescritte, e nel limite delle relative somme versate all'entrata per effetto delle disposizioni in materia di cosiddette polizze dormienti, fosse «assegnata alla Direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica del Ministero dello sviluppo economico la somma di euro 8.879.798,74».
A fronte dell'importo totale di euro 18.879.798,74, già riassegnato al capitolo 1650 del Ministero dello sviluppo economico ed oggetto di ripartizione ad opera del decreto 28 ottobre 2006, sono risultate disponibili solo euro 17.879.798,74, per effetto delle variazioni in riduzione operate in attuazione dell'articolo 15, comma 2, lettera a), del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, per un milione di euro, che, secondo il criterio di priorità indicato nello stesso decreto ministeriale 28 ottobre 2016 sopra richiamato, sono state considerate in riduzione delle disponibilità destinate alla specifica assegnazione di cui all'articolo 4 dedicato alle polizze dormienti, che si è pertanto ridotta a euro 7.879.798,74.
La citata direzione generale, in attuazione dell'articolo 4 del decreto ministeriale 28 ottobre 2016, ha stipulato in data 25 novembre 2016 con Consap, quale società « in house» interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, una nuova convenzione (trasmessa per la registrazione alla Corte dei conti), per lo svolgimento di attività di gestione della restituzione parziale, per polizze prescritte anche successivamente al termine in precedenza individuato nel quarto avviso, ivi comprese quindi, quelle già interessate dalle precedenti iniziative e per le quali non risulta pervenuta o completata l'istanza di rimborso, nel limite complessivo, ivi compresi i costi di gestione, di euro 7.879.798,74, che corrispondono alle somme al momento disponibili sul pertinente capitolo di spesa.
In continuità con le due convenzioni precedenti (del 2012 per euro 7.600.000,00 e del 2015 per euro 3.500.000,00) si è inteso progressivamente e con più bandi estendere l'ammissibilità delle richieste di indennizzo anche per quelle polizze la cui prescrizione sia intervenuta fino alla data del 19 ottobre 2012 (coprendo, pertanto, il periodo cui l'interrogante fa riferimento), in cui anche per le polizze vita è stato ripristinato l'ordinario termine di prescrizione decennale (per effetto del decreto-legge n. 179 del 2012, convertito con modificazioni nella legge 17 dicembre 2012, n. 221), che rende minore il rischio di decorso infruttuoso del termine prescrizionale.
Infine, si informa che il Ministero dello sviluppo economico ha ritenuto opportuno procedere al rimborso, nei limiti delle disponibilità previste, prioritariamente ed in misura più significativa a favore dei beneficiari di polizze prescritte nel periodo immediatamente successivo a quello considerato nell'ambito della precedente convenzione del 2015, considerata la maggior probabilità che il decorso del termine in prossimità delle prime modifiche normative in materia, possa indirettamente collegare l'inerzia dei beneficiari alle possibili conseguenti carenze di informazione.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico: Antonio Gentile.