XVII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 835 di lunedì 17 luglio 2017
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI DI MAIO
La seduta comincia alle 13.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
DAVIDE CAPARINI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 14 luglio 2017.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Bratti, Bressa, Brunetta, Capelli, Casero, Castiglione, Causin, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Migliore, Orlando, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Tabacci, Simone Valente, Valeria Valente e Velo sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente settantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.
PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 14 luglio 2017, il deputato Giorgio Lainati, già iscritto al gruppo parlamentare Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD.
La presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in pari data, ha comunicato di aver accolto la richiesta.
Discussione delle mozioni Carfagna, Lupi, Abrignani, Castiello, Cirielli, Chiarelli ed altri n. 1-01557 e Brignone ed altri n. 1-01661 concernenti iniziative in materia di raccolta e donazione dei farmaci non utilizzati (ore 13,01).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Carfagna, Lupi, Abrignani, Castiello, Cirielli, Chiarelli ed altri n. 1-01557 e Brignone ed altri n. 1-01661 concernenti iniziative in materia di raccolta e donazione dei farmaci non utilizzati (Vedi l'allegato A).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
Avverto che il tempo a disposizione della componente politica del gruppo Misto-Civici e Innovatori, costituitasi a seguito del venire meno dell'omonimo gruppo, è pari a sei minuti.
Avverto, inoltre, che è stata presentata la mozione Silvia Giordano ed altri n. 1-01665, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Sarro, che illustrerà anche la mozione Carfagna, Lupi, Abrignani, Castiello, Cirielli, Chiarelli ed altri n. 1-01557, di cui è cofirmatario.
CARLO SARRO. Grazie, Presidente. Con la mozione per la quale si avvia oggi la discussione sulle linee generali, all'esame dell'Aula, segnaliamo un'esperienza che è maturata in un contesto territoriale particolare e difficile, quale quello campano, e di Napoli in particolar modo, nella città di Napoli e nella provincia di Napoli; un'iniziativa denominata “Un farmaco per tutti”, nata da un'intuizione dell'Arcidiocesi di Napoli, ed in particolar modo del cardinale Crescenzio Sepe, l'Arcivescovo Metropolita, che, d'intesa con l'associazione, con soggetti operanti sul territorio, ed in modo particolare con l'ordine dei farmacisti della provincia di Napoli, il cui presidente, il professor Vincenzo Santagada, è stato il primo interlocutore e il collaboratore più attivo per la definizione anche del perimetro di questa iniziativa, ha successivamente coinvolto Federfarma e, ancora, ha successivamente incluso, nel nucleo di partenza dell'organizzazione, anche l'azienda sanitaria del Santobono Pausilipon, una delle più antiche e storiche della città partenopea.
In cosa è consistita la portata innovativa di questa idea e di questa iniziativa? Nel fondare, attraverso un'articolata azione di coinvolgimento della figura dei professionisti, e dei farmacisti nello specifico, un orientamento preciso, non solo nell'attività di informazione e di coinvolgimento, ma anche una partecipazione attiva nella fase di raccolta, di valutazione e di esame del farmaco.
In buona sostanza, rispetto ad altre esperienze, altrettanto lodevoli, che pure sono maturate nel territorio nazionale, quella di Napoli - pensiamo, ad esempio, al banco farmaceutico - si distingue per il fatto di essere innanzitutto una iniziativa permanente - una iniziativa, cioè, che vale 365 giorni l'anno -, di essere fondata sul totale volontariato, di svolgere una effettiva attività di recupero dei farmaci che sono rimasti inutilizzati, o perché le cure sono state interrotte o perché, purtroppo, la persona curata è venuta meno, è deceduta, e quindi farmaci ancora validi, ancora utili, che dai cittadini, da gruppi, dalle stesse aziende, vengono conferiti presso le singole farmacie, che mantengono, sempre quotidianamente, questa funzione di sportello, per così dire, nel senso che raccolgono questo materiale, intanto farmaci, quindi confezioni di farmaci, quanto dispositivi medico-chirurgici, insomma tutto quello che occorre per la cura e la terapia, e successivamente questo materiale; una volta raccolto, viene trasferito, attraverso vettori debitamente autorizzati e specializzati nel trasporto dei farmaci, presso un centro di raccolta, che opera nei locali dell'Ospedale Annunziata, e qui farmacisti volontari, facenti parte della Unione dei farmacisti cattolici, svolgono, naturalmente in termini di volontariato e a titolo assolutamente gratuito, un'azione di verifica, di catalogazione, di controllo per quanto riguarda l'integrità, la conservazione, l'ottima conservazione del farmaco, la scadenza.
La caratteristica fondamentale è che tutta questa capillare, ormai possiamo definirla, rete organizzativa si muove attraverso un disciplinare che è stato perfezionato proprio con questo protocollo di intesa sottoscritto nel dicembre del 2015 tra l'Arcidiocesi di Napoli e l'Ordine dei farmacisti della provincia di Napoli, Federfarma e l'azienda sanitaria del Santobono Pausilipon. E voglio rimarcare la data, perché, in un certo senso, quel testo e quel modello organizzativo ha avuto una funzione anticipatrice rispetto alle stesse innovazioni che sono state introdotte con la legge n. 166, che è dell'agosto del 2016, perché non solo, come dicevo prima, si procede alla raccolta del farmaco, e quindi, sostanzialmente, al reimpiego e al riutilizzo. Voglio ricordare che nelle altre esperienze, per esempio del banco farmaceutico, il farmaco viene acquistato e poi donato; qui, invece, viene raccolto direttamente, quindi sottratto anche a quello che poi dovrebbe essere l'inevitabile conferimento al rifiuto, con tutte le garanzie e con tutte le cautele che sono previste per questa tipologia, categoria di rifiuto, e quindi sono sottratti, con un alleggerimento anche della funzione dal punto di vista proprio della tutela ambientale, e vengono trasferiti presso i centri di raccolta, che, operando all'interno delle singole farmacie, hanno, quindi, una diffusione capillare sul territorio.
Ad oggi sono oltre 150 le farmacie della città di Napoli e della provincia di Napoli che hanno aderito a questa iniziativa, e qui avviene il primo vaglio e la prima verifica da parte del farmacista titolare del prodotto, della sua conservazione, per essere, poi, smistato successivamente al centro raccolta. Qui c'è la catalogazione, l'ulteriore verifica e, poi, la distribuzione. La distribuzione come avviene? È stata ideata in maniera molto intelligente, perché l'attività di raccolta, controllo e vigilanza viene condotta dai farmacisti e successivamente l'erogazione e la somministrazione, quindi l'utilizzo, l'impiego del farmaco, è demandato a quelle organizzazioni no-profit, chiaramente, che operano nel settore e che tantissime hanno beneficiato di questa grande azione di raccolta e di questa straordinaria, poi, capacità anche di diffondere questo messaggio e di ricevere adesioni da tantissimi cittadini che hanno volontariamente provveduto a conferire questi farmaci.
Passiamo da Emergency all'Unitalsi, a tante altre associazioni di volontariato, ovviamente riconosciute, che operano sul territorio. Perfino l'elemosiniere di Sua Santità ha fatto richiesta specifica di una fornitura di farmaci, e quantitativi anche importanti sono stati poi destinati all'estero, in un ospedale gestito da una missione dei Padri Camilliani. Quindi, insomma, un uso sapiente, e già in questo primo anno e mezzo di esperienza si è quantificato in circa un milione di euro il risparmio per il Servizio sanitario nazionale. C'è stato il coinvolgimento, come ricordavo prima, di circa 150 farmacie di Napoli e provincia, e soprattutto c'è stata la distribuzione di oltre 70 mila confezioni di farmaci o dispositivi medico-chirurgici destinati a fasce di disagio e di difficoltà economica. Che sia questa una iniziativa meritoria, e ho anche avuto attenzione nel sottolineare l'unicità di questa esperienza rispetto alle altre, che pure sono maturate sul territorio nazionale, il successo è anche la spia purtroppo di una situazione di grande disagio e di grande difficoltà che attraversa il nostro Paese, per cui settori sempre più ampi della popolazione sono in estrema difficoltà nell'accedere alle cure e nel poter praticare con modo sistematico trattamenti terapeutici.
I dati del settimo rapporto Censis sono da questo punto di vista decisamente allarmanti: noi abbiamo 13 milioni di italiani che sono in difficoltà nel pagare le prestazioni sanitarie che non sono riusciti ad ottenere dal Servizio sanitario nazionale, 8 milioni di italiani che hanno dovuto utilizzare i loro risparmi o purtroppo indebitarsi per poter praticare delle cure, 2 milioni di italiani che sono entrati nell'area di povertà proprio per le spese sostenute, dovendo affrontare direttamente o per un congiunto o per un familiare una cura e un trattamento medico, e 12 milioni di italiani (questo è il dato a mio avviso più sconcertante) che hanno rinunciato a curarsi perché appunto non più nella condizione economica di poterlo fare.
Io credo che, di fronte a questi numeri, sia obbligo della politica, delle istituzioni interrogarsi, sia obbligo di tutti ricercare le soluzioni che certamente devono essere di sistema; dev'esserci una risposta dello Stato più adeguata, attraverso il potenziamento di quelle che sono le risorse economiche, attraverso la razionalizzazione evidentemente anche della spesa nell'ambito del mondo sanitario, ma sicuramente noi non possiamo sottovalutare l'apporto prezioso, indispensabile a questo punto, che iniziative, come quella che ho citato, sono in grado di assicurare: perché, attraverso questo tipo di servizio, noi abbiamo innanzitutto un risparmio economico, diamo un contributo importante ad affrontare anche un'emergenza ambientale che, in alcune realtà territoriali (e penso proprio alla Campania), è un'emergenza potremmo dire costante nel tempo; ma soprattutto permettiamo a tanti cittadini e in tante situazioni di poter accedere ad un trattamento sanitario, di potersi curare, e credo che questo rappresenti davvero l'obiettivo più alto, più nobile e più importante di iniziative come quella che noi abbiamo citato.
La mozione dunque parte proprio dal racconto di questa esperienza, da questo importante modello organizzativo, che ha dimostrato di funzionare e di funzionare bene, per sollecitare la definizione di quelli che sono degli adempimenti previsti dalla legge n. 166 del 2016 sul risparmio e sul reimpiego dei prodotti alimentari e dei farmaci, in particolar modo per quanto riguarda la normativa di attuazione, che è contemplata dall'articolo 15 della legge, modificativo dell'articolo 157 della precedente normativa, il decreto legislativo n. 219 del 2006; e affinché questo decreto, che deve essere emanato dal Ministero della sanità di concerto con gli altri Ministeri interessati e sentita la Conferenza Stato-regioni, intervenga il più rapidamente possibile, e definisca anche questi percorsi di apporto partecipativo da parte del volontariato, delle associazioni no profit, eccetera, che naturalmente, nello spirito e nel rispetto del principio di sussidiarietà, devono concorrere con lo Stato nell'affrontare e gestire una situazione così delicata ed importante, certamente non sostituendosi integralmente a quelli che sono i compiti e le funzioni dello Stato, ma ricevendo un riconoscimento per il ruolo, per le finalità e per gli obiettivi che sono stati raggiunti.
E io credo che, nella definizione delle linee guida che il Ministero è chiamato a pronunciare nel decreto cui ho fatto precedentemente riferimento, un'esperienza come quella napoletana possa essere considerata attentamente, valutata; e soprattutto anche gli elementi positivi che ne sono venuti, e l'esperienza sicuramente di valore e di peso che in questi due anni è maturata, può costituire senz'altro un paradigma di riferimento importante. Perché il nostro obiettivo deve essere quello, come legislatori, di produrre, noi, quando siamo chiamati direttamente a definire in sede legislativa le norme, ma di stimolare quando le norme sono di fonte secondaria, e quindi demandate alla definizione dei Ministeri competenti, delle disposizioni che siano chiare, precise; e che soprattutto, partendo dall'esperienza, partendo da una realtà già verificata, già praticata, possano dare davvero la cornice, definire davvero la cornice entro la quale analoghe iniziative, che immaginiamo sicuramente sorgeranno in tutto il territorio nazionale, potranno svolgersi e potranno compiersi. Il tutto naturalmente nell'obiettivo che lo Stato, direttamente e l'associazionismo, il mondo del volontariato, gli ordini professionali, la Chiesa, tutti i soggetti e gli operatori che sono presenti nel sociale, debbano davvero promuovere un grande sforzo comune, una grande stagione di solidarietà e di sostegno, perché l'attenzione che noi dobbiamo alle fasce deboli della popolazione e a quanti vivono questi tempi con grande difficoltà e con grande disagio, è che possano ricevere davvero sollievo e attenuazione. Perché negare la cura a un cittadino, negare la possibilità di ricevere un adeguato trattamento sanitario ad una famiglia, rappresenterebbe davvero una sconfitta per tutti noi.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Silvia Giordano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01665. Ne ha facoltà.
SILVIA GIORDANO. Presidente, ormai quasi un anno fa, precisamente il 19 agosto 2016, è stata approvata la legge conosciuta come spreco alimentare: legge che in realtà era molto più ampia nel contenuto, tanto che all'articolo 15 prevedeva e disciplinava la raccolta di medicinali non utilizzati o scaduti, la donazione di medicinali e il loro successivo impiego per finalità di solidarietà sociale, e si demandava al Ministero della salute il compito di definire le modalità. Quindi il Ministero avrebbe dovuto emanare un decreto, per stabilire in che modo si poteva rendere possibile la donazione di medicinali inutilizzati ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) e il loro impiego in confezioni integre, correttamente conservate e ancora nel periodo di validità, in modo tale da garantire la qualità, la sicurezza e l'efficacia originarie, con esclusione dei medicinali da conservare in frigorifero a temperature controllate, dei medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope, e dei medicinali dispensabili solo in strutture ospedaliere. Questo tanto atteso decreto avrebbe dovuto inoltre definire i requisiti dei locali e delle attrezzature idonee a garantire la corretta conservazione dei suddetti medicinali, nonché le procedure intese alla tracciabilità dei lotti dei medicinali ricevuti e distribuiti.
In pratica, Presidente, questo decreto sarebbe stato un decreto di buonsenso, un decreto giusto, opportuno, quasi un decreto nobile: così nobile che infatti il Ministro della salute, dopo un anno, ancora non l'ha emanato. Ha preferito emanare altri decreti: anzi, mi correggo, ha preferito emanare solo un unico altro decreto per portare avanti una sua battaglia personale contro molti genitori preoccupati. Ma purtroppo, che dobbiamo fare? Nonostante sempre più si chiedano il perché e in base a quali competenze e capacità, è lei il Ministro della salute, e sta a lei scegliere cosa attuare e cosa no. È un fatto di priorità, di sue personali priorità, ma sono sempre più sicura che questa volta i cittadini se lo ricorderanno, quando andranno a votare, e neanche la nomina di un impresentabile come De Luca potrà aiutarla. Cerchiamo di capire, tuttavia, perché sarebbe stata cosa buona e giusta concentrarsi su questo decreto.
Vede, Presidente i recenti dati Istat, relativi al 2016, confermano un'inesorabile crescita delle persone in condizioni di povertà. Sono, infatti, 1 milione e 619 mila le famiglie residenti in condizioni di povertà assoluta, famiglie nelle quali vivono 4 milioni e 742 mila individui. I numeri sono esattamente il doppio rispetto al 2007.
Anche i dati della spesa farmaceutica sono sintomatici. Come si evince dal terzo rapporto dell'Osservatorio donazioni farmaci del 2016, in Italia si spendono in media 682 euro annui a persona per curarsi, ma per le persone indigenti questa spesa scende a 123 euro. E, rispetto al totale della spesa media mensile, nelle famiglie non povere si destina il 4,4 per cento del budget domestico per curarsi; in quelle povere si scende al 2,6 per cento. All'interno di questa spesa, le persone povere destinano 72,60 euro all'anno pro capite per comprare farmaci. Dunque, tra gli indigenti, quasi sei euro di spesa su dieci finiscono in farmaci, contro i meno di quattro di media.
Le difficoltà non sono solo dei poveri. Oltre 12 milioni di italiani hanno dovuto limitare il numero di visite mediche o gli esami di accertamento per motivazioni di tipo economico. Al tempo stesso non accenna a diminuire il fenomeno dello spreco dei medicinali e, secondo quando emerge dal rapporto sui rifiuti urbani dell'ISPRA del 2016, sono migliaia le tonnellate di farmaci scaduti che finiscono nei rifiuti delle famiglie. L'incidenza del costo della fase di raccolta e trasporto sul costo totale della raccolta differenziata di ciascuna frazione ammonta all'81,2 per cento per i farmaci pericolosi e al 72 per cento per i farmaci non pericolosi. I ricavi risultano trascurabili, rispetto al costo complessivo di gestione della raccolta differenziata dei farmaci scaduti, in quanto per i medicinali scaduti la destinazione è essenzialmente un trattamento finalizzato allo smaltimento, generalmente in inceneritori per rifiuti speciali pericolosi.
Sulla base dei dati ISPRA succitati, uno studio pubblicato dall'Anaao, dal titolo “Costi riducibili e spese riducibili in sanità”, fa una stima dei costi dello spreco dei farmaci, evidenziando che, al termine del 2014, la spesa sostenuta per lo smaltimento dei farmaci è stata quantificata intorno a 2,3 milioni di euro, una sottostima questa del volume totale andato nei rifiuti, se si pensa che lo studio ha interessato solo il 24,6 per cento dei comuni italiani, mentre, facendo una stima complessiva, si arriva una cifra che supera i 9 milioni di euro l'anno.
Uno studio del British Medical Journal - scrive l'Anaao - affronta il problema del confezionamento di farmaci costosi, come quelli oncologici, distribuiti in fiale contenenti una quantità di principio attivo superiore a quella necessaria e, quindi, necessariamente sprecata e calcola che il 10 per cento del volume dei farmaci erogati finirà nel cestino (l'equivalente di 1,6 miliardi di euro).
Tra le cause dello spreco dei farmaci c'è senz'altro l'inappropriatezza prescrittiva. Ed, infatti, secondo il rapporto Osmed, nel 2015 il consumo di antibiotici è diminuito del 2,7 per cento, ma il loro impiego inappropriato supera il 40 per cento, secondo i dati del Ministero della Salute, nelle condizioni cliniche degli adulti presi in esame. Inappropriatezza prescrittiva, Presidente, che vorrei, attraverso lei, ricordare al Governo, nel caso se lo fosse dimenticato perché troppo distratto da chissà cos'altro, che il MoVimento 5 Stelle, insieme anche ad altre forze politiche, ha più volte denunciato. Tant'è che è uno degli impegni che tutto il Parlamento vi ha dato all'unanimità, proprio durante la discussione e successiva approvazione in Aula della mozione a prima firma Matteo Mantero sull'antibiotico resistenza. Ma anche lì, da parte del Ministero, il nulla cosmico. Nessun atto, nessuna attuazione.
In più, ogni anno, tonnellate di medicinali non sono più utilizzabili e spesso si tratta di confezioni mai aperte e scadute, con stime che si aggirano intorno al 40 per cento. E spesso si tratta di farmaci autoprescritti o autosospesi. Secondo l'Aifa i medicinali che più sono sprecati sono gli antibiotici, gli analgesici, gli sciroppi, i farmaci per l'ipertensione e per lo scompenso cardiaco, gli antiaggreganti e gli anticoagulanti. I danni economici di questo spreco sono enormi, poiché per la maggior parte si tratta di medicinali posti a carico del Servizio sanitario nazionale, risorse che sono state stimate in oltre 2 miliardi di euro e che ben potrebbero essere investite in salute per i cittadini. E, invece, preferiamo stare qui a ricordarci sempre che non ci sono soldi. Se solo incominciassimo, però, a capire come ottimizzare le risorse, invece che continuare negli sprechi, forse riusciremmo a fare qualche passettino in avanti.
Inoltre, come vi abbiamo già detto mesi fa, sempre in occasione della discussione della mozione a prima firma Matteo Mantero - che ripeto la Camera ha votato e voi avete già da mesi come impegno da attuare - l'uso inappropriato di farmaci, come gli antibiotici, genera anche il cosiddetto fenomeno dell'antibiotico resistenza. Si tratta dell'uso improprio degli antibiotici che ne determina l'inefficacia terapeutica che, secondo i dati diffusi dal famoso studio commissionato dal Governo inglese, pubblicato nel 2016, entro il 2050 potrà costituire la prima causa di morte al mondo, con un tributo annuo di oltre 10 milioni di vite, più del numero di decessi attuali per cancro.
È uno scenario che ha condotto i Paesi membri dell'ONU ad impegnarsi per mettere in atto politiche e iniziative per contrastare l'antibiotico resistenza e, al riguardo, appare virtuosa l'esperienza dei Paesi Bassi, che ha affrontato il problema con un differente sistema di confezionamento dei farmaci, consentendo di preparare dosi unitarie e pacchetti personalizzati.
Lo studio ARNA, finanziato dall'Unione Europea e condotto da un team di ricerca olandese, ha concluso infatti che una delle principali cause del fenomeno dell'automedicazione con antibiotici sono i cosiddetti leftovers, ovvero quelle dosi che superano il numero di quelle prescritte dal medico curante e che rimangono nella disponibilità dei pazienti.
Ora, non voglio insistere sul fatto che la Camera queste cose ve le aveva già dette e che il Governo, anzi il Ministro della Salute, non sta facendo assolutamente nulla, ma anche qui la dose unica del farmaco è stato un argomento fondamentale, su cui il MoVimento 5 Stelle si è molto speso. Tanto che, due anni fa, durante la legge di stabilità lo riproponemmo come emendamento, e indovinate un po'? Quest'emendamento venne miracolosamente approvato. E, allora, mi spiegate perché ne stiamo ancora parlando? Mi spiegate, per cortesia, il perché, soprattutto, non è stato ancora attuato? Ma, soprattutto, mi spiegate che diamine sta facendo il Ministro della Salute, se non applica neanche ciò che il Parlamento gli dà? Non dico di andare su sua iniziativa, perché evidentemente non ne ha le competenze, ma almeno i compiti a casa potrebbe farli.
L'abuso di farmaci non è correlato solo all'ambito ospedaliero domestico, ma riguarda anche l'uso, ad esempio, degli antibiotici in veterinaria, che dovrebbe essere limitato al trattamento delle patologie e non esteso alla prevenzione o alla profilassi del gruppo allevamento. E, parimenti, anche per i farmaci veterinari dovrebbe essere comunque garantito e sollecitato un utilizzo più appropriato, nonché forme di donazione per i medicinali non utilizzati.
Evitare lo spreco dei farmaci appare, dunque, necessario per garantire una salute più equa e più appropriata per tutti i cittadini. E, in tal senso, è importante in primis garantire una capillare informazione ed educazione sull'uso appropriato di medicinali, attraverso il contributo e la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti (medici prescrittori, industrie farmaceutiche, farmacie e consumatori), nonché attraverso campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica tutta.
Appare necessario che l'Italia introduca disposizioni normative efficaci sul confezionamento dei farmaci, sia ad uso umano e sia ad uso veterinario, così da evitare una vendita di medicinali, che non sia commisurata alle necessità terapeutiche.
I medicinali inutilizzati sono anche quei farmaci destinati a essere eliminati dal circuito commerciale per diversi motivi, come ad esempio per difetti di confezionamento o di produzione dovuti al processo produttivo distributivo, oppure intervenute variazioni dell'autorizzazione all'immissione in commercio, tali in ogni caso da non compromettere l'idoneità di utilizzo in termini di qualità, sicurezza ed efficacia per i consumatori finali.
Tali medicinali, donati a Onlus, possono essere dispensati a consumatori finali, in Italia oppure all'estero. È chiaro che, per il trasferimento di tali medicinali non utilizzati, è necessario un sistema di efficiente tracciabilità dei lotti dei medicinali ricevuti e distribuiti, nonché un rigoroso procedimento di qualificazione degli operatori e soggetti coinvolti, così da evitare qualsiasi traffico o commercio non conforme e rischioso per la salute dei beneficiari.
In tal senso, l'atteso decreto del Ministero della Salute, come previsto appunto dalla legge n. 166 del 2016, appare necessario e non ulteriormente procrastinabile.
Le disposizioni concernenti la donazione di medicinali non utilizzati sottendono, quindi, diverse questioni e problematiche, non solo specificatamente riferibili alla solidarietà sociale, ma anche alla tutela della salute e alla tutela dell'ambiente, nonché alla correlata economicità del sistema sanitario, la cui spesa si contraddistingue per un'esponenziale e inappropriata crescita della spesa farmaceutica, da un lato, e per una sperequazione tra le popolazioni diversamente abbienti, sperequazione che uno Stato civile ha comunque il dovere di superare, non già e non solo attraverso la cosiddetta filantropia, ma con misure dirette a garantire sia il diritto e sia l'accesso a tutte le cure necessarie e appropriate.
Queste sono le motivazioni principali che ci hanno spinto a presentare la mozione che, come ha visto, sottosegretario, prevede vari aspetti d'utilizzo dei farmaci e, soprattutto, dell'uso appropriato. È per questo motivo che abbiamo voluto presentarla, ma anche perché, per l'ennesima volta, noi proviamo a dare buoni propositi al Governo, anzi, lo sottolineo, al Ministro della Salute, che da anni, però, sembra essere in un sonno profondo, tranne quando ci sono miracolosamente degli argomenti che riguardano solo e specificatamente lei, alcune volte, sembra, e, quindi, noi vorremmo che si svegliasse da questo sono profondo e che incominciasse a concentrare la sua attenzione su tutti gli aspetti che riguardano la salute. Perché, vede, sottosegretario, i morti non ci sono solo a causa di mancanza di vaccini, ma, come abbiamo già detto, qui, rischiamo di avere una vera e propria epidemia causata dall'antibiotico-resistenza e questo ve lo stiamo dicendo da anni. Quindi, cerchiamo di non arrivare, poi, alla fine, quando non sappiamo più cosa fare.
Questi impegni non sono stati proposti solo dal MoVimento 5 Stelle o, comunque, sì, li abbiamo anche proposti noi, ma sono stati votati da tutto il Parlamento e il Ministro ha il compito e il dovere assoluto di applicarli, ma non con: “è in bozza., è in attuazione, lo stiamo preparando…”, perché è già troppo tardi, quindi, si muovesse, cercasse di concentrarsi anche su altro, visto che è suo compito e suo dovere. Se non è in grado di farlo, si può benissimo dimettere, non è mai troppo tardi.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Margherita Miotto. Ne ha facoltà.
ANNA MARGHERITA MIOTTO. Grazie, Presidente. Un anno fa, le Camere hanno approvato una legge importante che caratterizza la nostra attenzione al sociale in questa legislatura, pur nelle note criticità economiche e finanziarie che stiamo attraversando. È la legge conosciuta come legge contro gli sprechi alimentari; si tratta della n. 166 del 19 agosto 2016, con la quale il nostro Paese, primo in Europa, intende ridurre gli sprechi nelle varie fasi di produzione, trasformazione, distribuzione, somministrazione, in particolare, di prodotti alimentari, attraverso anche la donazione delle eccedenze alimentari, destinandole, in via prioritaria, all'utilizzo umano, all'interno dei programmi di lotta alla povertà.
L'attuazione della legge poggia, essenzialmente, sul rapporto collaborativo che si è da tempo instaurato con il volontariato, che anima migliaia di enti caritativi nel nostro Paese, e le imprese che operano nei settori coinvolti. Con la medesima legge, assecondandone lo spirito, è stata introdotta una norma, per la precisione, l'articolo 15, con la quale si modifica la disciplina sui sistemi di raccolta di medicinali inutilizzati e sull'eventuale successivo impiego dei medesimi, stabilita dall'articolo 157 del decreto n. 219 del 2006, anch'esso non attuato.
La novella demanda, in primo luogo, ad un decreto del Ministro della Salute, da emanare entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge - termine, ahimè, ampiamente scaduto - per la definizione: primo, delle modalità che rendano possibile la donazione di medicinali inutilizzati ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale, l'impiego dei medesimi da parte delle stesse, in confezioni integre, correttamente conservati, ancora nel periodo di validità, in modo tale da garantire la qualità, la sicurezza e l'efficacia originarie, con esclusione dei medicinali da conservare in frigorifero a temperature controllate, dei medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope, dei medicinali dispensabili solo in strutture ospedaliere; secondo, dei requisiti dei locali e delle attrezzature idonee a garantire la corretta conservazione dei predetti medicinali; terzo, delle procedure intese alla tracciabilità dei lotti dei medicinali ricevuti e distribuiti.
Rispetto alla norma vigente, emergono significative modifiche, perché si amplia il contenuto del decreto ministeriale alle modalità della donazione, ai requisiti dei locali e delle attrezzature, alle procedure concernenti la tracciabilità; si introducono il requisito delle confezioni integre, l'esclusione di alcune categorie di farmaci (medicinali da conservare in frigorifero a temperature controllate, medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope, medicinali dispensabili in strutture ospedaliere). Inoltre, si subordina la possibilità di distribuzione gratuita e diretta di medicinali non utilizzati, in favore di soggetti indigenti o bisognosi, alla presentazione della prescrizione medica, ove richiesta dall'ordinamento per quel medicinale, e alla condizione che si disponga di personale sanitario, ai sensi di quanto richiesto dalla normativa vigente, ed, infine, si precisa che è vietata qualsiasi cessione a titolo oneroso dei medicinali oggetto di donazione.
In questo ambito della donazione di farmaci inutilizzati opera, da alcuni anni, la fondazione Banco farmaceutico, che organizza ogni anno la Giornata della raccolta del farmaco, presso circa 4000 farmacie che aderiscono all'iniziativa.
I cittadini che si recano in farmacia e acquistano un farmaco da banco da donare ai poveri, consentono agli oltre 1600 enti caritativi, convenzionati con la Fondazione, di poter aiutare oltre 500.000 persone in difficoltà. Sono dati che non possono non preoccupare, perché rappresentano la spia di una situazione che vede migliaia di persone private del diritto alla tutela della salute. Secondo l'Osservatorio nazionale della donazione farmaci che è l'organo scientifico della Fondazione Banco farmaceutico che, annualmente, promuove la pubblicazione di dati finalizzati alla comprensione del fenomeno della povertà sanitaria, utilizzando, sia i dati provenienti dalla giornata di raccolta del farmaco annuale, sia dalle donazioni delle aziende farmaceutiche e dai sistemi di monitoraggio degli enti caritativi che fanno parte della rete servita dal Banco farmaceutico, anche nel 2016, è cresciuta la richiesta di medicinali da destinare a persone in difficoltà economica. In tre anni la richiesta di farmaci è aumentata del 16 per cento.
Anche alla luce di questa rilevazione, noi pensiamo che l'approvazione della legge n. 166 del 2016 possa costituire uno stimolo importante per diffondere le buone pratiche che già, oggi, consentono un'importante operazione di solidarietà nel nostro Paese, riducendo, nel contempo, sprechi inaccettabili.
Ecco perché, con la mozione che ci apprestiamo a depositare, intendiamo sollecitare il Governo ad adempiere all'obbligo contenuto all'articolo 15 e, in particolare, intendiamo impegnare il Governo affinché: primo, nella stesura del decreto e nel rispetto della legge n. 155 del 2003, che equipara gli enti che svolgono attività assistenziale, nei limiti del servizio prestato al consumatore finale, in termini di responsabilità civile rispetto alla detenzione e alla conservazione dei medicinali, i requisiti di tracciabilità del farmaco siano coerenti con la finalità perseguita dalla legge n. 166 del 2016, adeguati alle norme e alla tutela della salute pubblica, nonché proporzionati rispetto alle attività a fini di solidarietà sociale e ai costi che un ente caritativo può ragionevolmente sostenere per l'adempimento di tale attività; secondo, nella stesura del decreto, ai fini di una migliore tracciabilità del farmaco a cura dei donatori, sia previsto l'aggiornamento della banca dati centrale, mediante la definizione della specifica causale “donazione”; terzo, occorre salvaguardare, nella stesura del decreto, le disposizioni previste dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 2, commi 350, 351 e 352 poiché operano in ambiti differenti e non sovrapponibili (per capirci, si tratta di ospiti nelle RSA, persone inserite nei programmi di assistenza domiciliare); quarto, nella stesura del decreto, prevedere la specificità legata alle differenti tipologie di soggetti donatari esistenti, in particolare, le associazioni che svolgono solo attività di distribuzione di confezioni integre ed ancora nel periodo di validità, distinte dalle associazioni che ricevono in donazione i farmaci e li somministrano, disponendo di personale sanitario, svolgendo, quindi, attività di tipo assistenziale; quinto, nella stesura del decreto, in coerenza con le finalità espresse dall'articolo 1 della medesima legge, favorire il recupero e la donazione di prodotti farmaceutici a fini di solidarietà sociale in tutte le fasi della filiera, comprendendo, quindi, i medicinali cedibili dal produttore, così come i medicinali già regolarmente inseriti nel circuito commerciale della distribuzione e della somministrazione, purché siano in confezioni integre, correttamente conservati e ancora nel periodo di validità; sesto, nella stesura del decreto, definire, in via preliminare, quali siano i medicinali inutilizzati e, quindi, cedibili, comprendendo, fra questi, i medicinali soggetti a prescrizione, i medicinali senza obbligo di prescrizione, i medicinali da banco e i relativi campioni gratuiti oggetto di donazione o destinati ad essere eliminati dal circuito commerciale o a non esservi immessi a causa - a titolo esemplificativo, non esaustivo - di difetti di confezionamento o di produzione dovuti al processo produttivo e logistico, tali, in ogni caso, da non compromettere l'idoneità di utilizzo in termini di qualità, sicurezza ed efficacia per il consumatore finale; settimo, nella stesura del decreto ribadire, ai fini della fiscalità, che trattasi di cessioni a titolo gratuito che non richiedono la forma scritta per la loro validità e che alle stesse non trovano applicazione le disposizioni del Titolo V, libro secondo, del codice civile.
Ottavo: nella stesura del decreto ribadire, a tutela dei donatori degli enti caritativi donatari, che è vietata qualsiasi cessione a titolo oneroso dei medicinali oggetto di donazione. Nono: a coordinare la stesura del decreto con il testo del decreto legislativo “codice del terzo settore”, la norma dell'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge n. 106 del 2016, meglio nota come la riforma del terzo settore.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Binetti. Ne ha facoltà.
PAOLA BINETTI. Penso che sia sorprendente che, a distanza di un anno dall'approvazione della legge, il decreto non sia stato ancora emanato e, a questo punto, ci sia bisogno di una mozione, di una pluralità di mozioni che sollecitano il Ministro in questo senso. Io credo che la vera povertà nel nostro Paese sia la povertà legata a quelle che possiamo chiamare le molestie burocratiche. Ricordo, infatti, che, circa un anno fa, i dati Istat parlavano di 11 milioni di italiani che faticavano a curarsi, che faticavano anche a procurarsi quei farmaci che non sono quelli a prescrivibilità totale del Sistema sanitario nazionale, ma avrebbero dovuto acquistare per loro conto oppure avrebbero dovuto acquistare pagando il famoso ticket, che per molte famiglie rappresenta, comunque, un elemento di aggravio non indifferente nel bilancio familiare.
Davanti a questa indicativa importante a livello nazionale - il numero è elevatissimo: 11 milioni su 60 milioni, non ci vuole molto a pensare che è un italiano su sei che non riesce a curarsi pienamente - pensavo, poi, alla complessità della situazione sociale con cui noi ci confrontiamo in Italia attraverso gli sbarchi costanti e continui di persone che arrivano avendo bisogno di tutto e, quindi, suppongo anche avendo bisogno di farmaci. Ciò facendo riferimento a quelle famose ONG su cui molto è stato detto in questi giorni, ma a proposito delle quali dobbiamo anche pensare che, nel momento in cui si dispongono all'assistenza agli immigrati sbarcati, avranno anche loro bisogni di farmaci pronto uso, se immaginiamo le tanti notte passate in mare e, quindi, anche soltanto gli accidenti di tipo respiratorio cui possono andare incontro queste persone, oltre a tutti i disturbi alimentari, per non toccare il grande tema degli antibiotici, come è stato fatto dalla collega dei 5 Stelle poco fa.
Tutto questo ci fa riflettere su una legge che non è un costo per lo Stato, una legge che è una risposta sociale alla solidarietà nazionale e alla solidarietà internazionale, una legge che richiederebbe semplicemente quel condotto umanitario che non è fatto di persone, ma è fatto semplicemente dal far circolare velocemente le informazioni per poter avere un oggetto sul piano normativo che permetta di soddisfare quei famosi bisogni di salute che noi consideriamo non solo un diritto riconosciuto a livello costituzionale, ma, comunque, fondamento di quel diritto alla vita di cui abbiamo bisogno.
Concludo, in questi pochi istanti che spero il Presidente voglia lasciarmi, per dire: che problema c'è? Basterebbe che il Ministro prendesse le indicazioni al decreto formulate in questo momento dalla collega Miotto - a, b, c, d, e - che lasciano pensare che il decreto possa considerarsi già scritto. Quindi, abbiamo una denuncia che riguarda la cattiva distribuzione dei farmaci per una cattiva educazione anche dei medici prescrittori o, comunque, delle case farmaceutiche nel modo di confezionare scatole di farmaci direi quasi strutturalmente predisposte in qualche modo all'avanzo. Tra l'altro, abbiamo uno strumento come quello proposto dalla collega, che già ci dà il decreto quasi confezionato riga per riga: adesso bisogna veramente pensare che ci voglia cattiva volontà a non emanare un decreto che sarebbe una risposta alta e forte al bisogno di salute di tante persone.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della relazione sul fenomeno della contraffazione sul web, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo (Doc. XXII-bis, n. 9) (ore 13,44).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione sul fenomeno della contraffazione sul web, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo (Doc. XXII-bis, n. 9).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
Avverto, inoltre, che il tempo complessivo per l'esame del provvedimento a disposizione componente politica del gruppo Misto-Civici e Innovatori, costituitasi a seguito del venir meno dell'omonimo gruppo, è pari a due minuti.
Avverto, infine, che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.
(Discussione – Doc. XXII-bis, n. 9)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.
Avverto che, con lettera in data 12 luglio 2017, il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo, deputato Mario Catania, ha comunicato di avere designato per lo svolgimento della relazione in Assemblea il deputato Davide Baruffi, già relatore in Commissione, che ha facoltà di intervenire.
DAVIDE BARUFFI, Relatore. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, le risultanze e le proposte che presentiamo oggi in Aula sono il frutto di una lunga e approfondita indagine che la Commissione d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria ha condotto specificamente nell'ambito del web dal 15 di ottobre del 2015 al 23 marzo di quest'anno, approdando ad una relazione piuttosto corposa approvata all'unanimità dalla Commissione stessa e che propongo sia assunta come parte integrante della risoluzione conclusiva, che depositerò oggi per il voto finale dell'Aula al termine della discussione.
Un anno e mezzo di lavoro, dunque, intenso ed approfondito che ha potuto giovarsi del contributo di conoscenze forniteci da tutti gli auditi: esperti del settore, nonché consulenti della Commissione, forze di Polizia e, in particolare, la Guardia di finanza, la Polizia postale, la magistratura e le agenzie - penso, in particolare, all'Agcom e all'AGCI -, i Ministeri, le autorità internazionali, la Commissione europea e, soprattutto, le associazioni di rappresentanza dei diversi portatori di interesse coinvolti nel settore. Li ringrazio tutti, perché senza questo enorme patrimonio di conoscenze non sarebbe stato possibile comporre un quadro adeguato di un fenomeno così complesso e in costante, quanto rapida, espansione ed evoluzione.
La contraffazione via web è, infatti, sempre più rilevante per la crescita esponenziale delle transazioni commerciali in quanto tali attraverso la Rete, di cui ciascuno di noi può avere idea anche solo considerando i cambiamenti individuali e collettivi intervenuti nella nostra vita, in quella delle nostre famiglie, nelle nostre abitudini di acquisto davvero in pochissimo tempo.
La contraffazione e la pirateria di merci e prodotti ha seguito esattamente questa tendenza generale, spostandosi, quindi, dal mercato fisico tradizionale a quello virtuale della Rete e dai mercati locali e nazionali a quelli internazionali, che sono la dimensione propria del web per definizione.
Già questa prima ed evidente empirica constatazione implica due prime considerazioni possibili. La prima: ad un fenomeno globale, in questo caso - vorrei dire anche in questo caso -, non corrisponde alcuno strumento di governance e regolazione globale. Solo la normativa e le prassi giurisprudenziali degli Stati Uniti svolgono, in qualche modo, un ruolo di supplenza in questo senso rispetto agli attori del mercato.
La seconda considerazione è che, se la dimensione comunitaria è stata opportunamente scelta dagli Stati membri come quella più adeguata per regolare il settore, dobbiamo riconoscere da subito come la direttiva sull'e-commerce risulta incredibilmente datata - si pensi che risale al 2000 - per un ambito in cui l'innovazione, dicevo, è così impetuosa. La stessa definizione del Digital single market non ha prodotto, ad oggi, risposte complessivamente apprezzabili per la tutela dei produttori in particolare in questo ambito.
Avendo a disposizione poco tempo, Presidente, più che sulla parte dell'analisi e dell'elencazione pedante delle tante criticità rilevate, vorrei soffermarmi sulle considerazioni finali che abbiamo svolto nell'indagine e le proposte che la nostra Commissione avanza a conclusione, a beneficio certamente del Parlamento, del Governo, della Commissione europea - quindi, dei legislatori e del Governo - proprio per offrire spunti per una risposta ai problemi riscontrati.
La prima questione è questa: resta pressante e decisivo il bisogno di una corretta informazione e sensibilizzazione del consumatore, in generale, e in Rete, in particolare, non solo per i rischi più diretti cui è esposto rispetto a merci contraffatte: si pensi alla salute rispetto all'acquisto dei farmaci, se ne parlava anche prima, o ai prodotti tossici, piuttosto che alla truffa di acquistare prodotti scadenti, non funzionanti e, comunque, non corrispondenti alle intenzioni dell'acquirente.
Mi riferisco anche, invece, alla scarsa percezione e considerazione che ha l'acquisto di prodotti contraffatti e piratati in termini di legalità, agli effetti sociali ed economici rispetto alla vita dell'impresa e alla tutela dei diritti del lavoro e dell'ambiente, ai riflessi fiscali che questo comporta per i Paesi eccetera. Tutte le indagini confermano questa percezione edulcorata, soprattutto nelle generazioni più giovani. Resta obiettivo prioritario, quindi, accrescere questa consapevolezza di responsabilità sociale, nonché di autotutela personale del consumatore, senza le quali sarà davvero difficile compiere passi avanti apprezzabili nella lotta alla contraffazione in rete.
In secondo luogo, per entrare nel cuore delle questioni: una risposta imprescindibile deve venire anche dall'adeguamento dei profili di responsabilità dei provider, delle piattaforme. La normativa comunitaria, e non solo, ha giustamente puntato nel tempo ad una forte espansione della rete e del mercato elettronico e, tra gli strumenti a suo tempo individuati, che valgono tutt'oggi, c'è quello dell'irresponsabilità dell'hosting per i contenuti veicolati, non solo per la contraffazione, di cui ci occupiamo oggi, peraltro.
Questa attività nel tempo è tuttavia profondamente mutata: i servizi messi in campo oggi dalle diverse piattaforme erano un tempo impensabili. La diversificazione dei cosiddetti ASP e delle loro attività risulta ora distante anni luce da quella definita nella direttiva n. 31 del 2000, cui facevo riferimento.
La giurisprudenza, poi, attraverso sentenze, ha fatto intanto alcuni passi avanti, individuando nuovi e più aggiornati e attinenti profili di responsabilità. D'altro canto, gli accordi volontari tra piattaforme e aziende hanno definito nuove modalità di intervento collaborativo. Ma la normativa comunitaria e anche quella di recepimento nazionale sono da troppo tempo ferme, e quindi obsolete, se si esclude la positiva introduzione naturalmente del regolamento dell'Agcom del 2003 in materia di tutela del diritto d'autore nel web. Urge quindi un aggiornamento alla realtà.
Vado al punto: è indispensabile che, anche grazie alle tecnologie oggi disponibili - non lo erano 17 anni fa -, già sperimentate per altri profili di illeciti di più rilevante impatto sociale, senz'altro, si passi dal cosiddetto take down a pratiche più efficaci di cosiddetto stay down. Si chiede cioè, in buona sostanza, che le piattaforme non si limitino a rimuovere contenuti illeciti su segnalazione, ma che si facciano parte attiva, quindi più responsabile, perché tali contenuti non siano più ricaricati, come invece sistematicamente avviene.
Voglio ricordare anche che le nostre imprese lamentano la ricezione della richiamata direttiva in termini limitativi e, a loro giudizio, discutibili, attraverso il decreto legislativo n. 70 del 2003. Per l'Italia - ma così non avviene per altri Paesi - è necessario che sia la magistratura, o per fortuna oggi un'autorità amministrativa, a ordinare la rimozione del contenuto. Questo comprime ulteriormente il già bassissimo profilo di responsabilità delle piattaforme.
Sia detto chiaramente: c'è la preoccupazione da più parti che si possa direttamente o indirettamente limitare la libertà di espressione dei cittadini e delle persone. È un dibattito non nuovo, cui abbiamo assistito a più riprese, ad esempio, nel momento in cui fu introdotto il regolamento dell'Agcom a cui facevo riferimento.
Voglio rilevare due cose: dopo quattro anni dall'introduzione di quel regolamento, possiamo dire che quelle preoccupazioni, pur legittime, si sono rivelate infondate e, oggi - mi pare a parere di tutti -, quel regolamento è considerato per quello che è, cioè uno strumento di contrasto alla pirateria, che peraltro ha restituito - bisogna riconoscerlo - credibilità e affidabilità del nostro Paese agli occhi dei mercati.
La seconda considerazione è più generale: nei Paesi dove la direttiva è stata recepita in modo più lineare e fedele al dettato della Commissione, non abbiamo assistito ad alcuna compressione delle libertà dei cittadini, se si escludono quelli dediti alla frode, a meno che qualcuno non pensi e non dica che in Italia c'è più libertà di espressione di quanto non avvenga nel Regno Unito, in Francia o in Germania.
Sono però dell'idea che non basti una rassicurazione formale o comparativa, per questo credo che vada individuato un complesso di correttivi - magari, nell'attesa di una revisione più complessiva della direttiva comunitaria di riferimento, che resta per me la questione decisiva -, un complesso di interventi, che contemperino adeguatamente i diversi obiettivi, ad esempio rafforzando, in taluni casi, la possibilità di intervento tempestivo dell'Agcom o, laddove questa o la magistratura si sia già pronunciata in via definitiva, perché le piattaforme siano responsabilizzate maggiormente in termini di stay down, o infine affinché, nei casi di palese violazione, le piattaforme si attivino su segnalazione diretta, senza attendere le disposizioni dell'autorità amministrativa o di quella giudiziaria.
La relazione non indica così puntualmente questi possibili correttivi dal punto di vista normativo, ma già da oggi, con la discussione della legge comunitaria, il Parlamento potrebbe - io credo che dovrebbe - dare alcune risposte concrete in questa direzione, nel caso, specificando bene che l'ambito di applicazione è quello del contrasto alla contraffazione e alla pirateria, per fugare ogni ragionevole dubbio e anche per togliere ogni ragionevole alibi.
Ancora, come ho peraltro ricordato, abbiamo assistito ad un positivo ampliamento degli accordi su base volontaria tra le parti, sia in sede nazionale che in sede comunitaria. È proprio sulla strada tracciata da questi che andrebbe implementata una legislazione di sostegno che assuma quanto di buono è stato fatto dai soggetti virtuosi. Taluni di questi sono virtuosi proprio perché mettono a valore il proprio profilo reputazionale, che ha anche un impatto diretto economico, rispetto invece a chi lucra in modo fraudolento danneggiando le imprese sane e il lavoro.
Merita appena di essere ricordato che un Paese come il nostro, fatto di tante piccole e medie imprese che dell'ingegno e della creatività fanno il proprio marchio distintivo, risulta sistematicamente esposto ai rischi di contraffazione in sede internazionale. Sul web si acquista tutto e di tutto e abbiamo ben visto come non sempre le autorità di polizia e doganali prestino in altri Paesi analoga attenzione rispetto ai loro omologhi italiani: una ragione in più per rafforzare i controlli a monte, non solo a valle, e tra questi - ne individuiamo diversi - voglio citare il cosiddetto approccio del followthemoney. Anche qui in sintesi: bloccare i pagamenti online di merci contraffatte è una leva molto più potente di contrasto che non rincorrere le merci in giro per il globo; è un altro esempio di buona pratica nata sulla base di accordi volontari e che potrebbe anch'essa trovare una cornice normativa più stringente.
Analogamente, la responsabilizzazione dei concessionari di pubblicità: è attraverso quest'ultima che si remunera molta dell'offerta presente sul web, sia quella legale sia naturalmente quella illegale. Spesso gli inserzionisti singoli non sanno neppure dove e come sarà impiegata la loro inserzione. Anche in questo caso, accordi di reciproca garanzia e trasparenza costituiscono oggi pratiche positive da cui è possibile trarre spunto per regole più efficaci.
Altri profili di un certo interesse ai fini dell'indagine condotta, ancorché non tutti afferenti alla potestà regolamentare, nazionale o comunitaria, riguardano proprio la diffusione legale gratuita di prodotti audio-video attraverso il finanziamento pubblicitario che richiamavo. Si tratta di un modo assolutamente positivo di sradicare a monte la pirateria, con beneficio di tutte le parti interessate, prevenendo gran parte del possibile contenzioso a valle.
La questione si inserisce tuttavia nella più ampia e controversa diatriba sul cosiddetto value gap, ovvero la distribuzione della ricchezza nella filiera del web a partire dagli asimmetrici rapporti di forza tra produttori giganti della rete. Le aziende stanno opponendo alla politica questo problema non tanto e non solo perché siano ravvisabili soluzioni immediate, dirette e sempre legittime in materia, quanto perché il decisore politico ne tenga in debito conto nel quadro più complessivo della regolazione del mercato nella definizione delle tutele e del soggetto cui porre in carico gli obblighi e i relativi oneri, taluni dei quali, al contrario, risultano oggi piuttosto obsoleti, proprio ad opinione dei soggetti tutelati o tutelandi.
Voglio fare anche questo riferimento molto puntuale. Si pensi al cosiddetto bollino SIAE, l'etichetta adesiva di autenticazione e garanzia per l'identificazione dei prodotti d'ingegno su supporti fisici audio-video: è stato concepito in un tempo in cui la rete non esisteva e la pirateria si praticava sui prodotti fisici, non su supporti fisici.
Oggi, invece, appare ai diretti interessati, cioè a coloro che dovrebbe tutelare, più come un inutile e fastidioso balzello che non come una garanzia a loro protezione, anzitutto perché la pirateria, come ho detto, sulla rete ha superato di gran lunga quella fisica anche nel nostro Paese, e concludo, Presidente. In secondo luogo, perché aggrava di un costo solo la seconda, mettendola in ulteriore difficoltà nel mercato rispetto ai prodotti elettronici. Infine, perché in tutta Europa tale disposizione permane ormai quasi solo nel nostro Paese. Credo che anche su questo fronte Governo e Parlamento potrebbero dare una risposta di sintonizzazione con le mutate condizioni di mercato.
Concludo davvero, Presidente: la presente relazione, come ho a più riprese richiamato, chiama in causa diversi livelli di risposta possibile: quella comunitaria e internazionale è inevitabilmente la più rilevante, e un'apposita indagine in tal senso, non limitata all'ambito del web, è tuttora in corso presso la nostra Commissione. Anche l'ambito nazionale non è, tuttavia, marginale per i diversi profili che ho provato a richiamare. Piccole e grandi scelte che Governo e Parlamento potrebbero adottare a tutela e promozione…
PRESIDENTE. Concluda, collega.
DAVIDE BARUFFI, Relatore. …delle nostre imprese - ho finito, Presidente -, peraltro senza oneri finanziari per la collettività e le casse dello Stato. In Commissione, stando al merito dei problemi e approfondendo le questioni posteci dagli auditi, abbiamo potuto raggiungere un consenso unanime sull'impianto generale dell'indagine e le sue conclusioni più operative. Auspico che altrettanto potrà fare ora l'Assemblea di Montecitorio e, soprattutto, che se ne possano far discendere iniziative concrete da parte di Governo e Parlamento in sede legislativa e regolamentare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Donati. Ne ha facoltà.
MARCO DONATI. Grazie, Presidente. Credo che il collega Baruffi sia stato esaustivo nel suo intervento e abbia dato anche il senso di quello che oggi iniziamo a discutere in vista del voto sulla relazione della Commissione sul fenomeno della contraffazione. Dal settembre 2013, da quando è iniziato il lavoro della Commissione, sono state molte le relazioni portate all'attenzione del Parlamento; questa, per le caratteristiche e per la novità che rappresenta, anche per l'ampia diffusione e la rapidità con cui il fenomeno della contraffazione online si sta manifestando, è probabilmente quella più importante e quella che riguarderà un tema che avrà sicuramente nei prossimi anni effetti rilevantissimi.
La Commissione ha avviato un'ampia ricognizione su dati, atti e documentazione per avere proprio una conoscenza completa di questo fenomeno, e collegandoli, chiaramente, alle problematiche dei diversi settori produttivi. Vengo alla relazione. Il fenomeno della contraffazione che si diffonde attraverso i sistemi telematici di e-commerce e, in generale, il web è forse uno dei più delicati e complessi nella prospettiva della definizione delle strategie di contrasto proprio a questi fenomeni illeciti. La contraffazione via web, Presidente, come sa bene anche, immagino, il sottosegretario Giacomelli, è sempre più rilevante per la crescita proprio esponenziale delle transazioni commerciali via Internet, che determina uno spostamento su questo mezzo delle forme di commercializzazione di molti prodotti contraffatti.
Il fenomeno è davvero oggi molto rilevante, alcuni dati si evincono anche proprio dal lavoro della relazione che saremo chiamati ad approvare. Ad esempio, nel 2015 sono stati 41,5 milioni gli italiani che hanno dichiarato di accedere a Internet, ovviamente da qualsiasi luogo e strumento, l'86 per cento della popolazione compresa tra gli 11 e i 74 anni. Tra le categorie di siti frequentati dagli italiani, nel solo mese di dicembre 2015, l'82 per cento degli utenti ha dichiarato di aver navigato su piattaforme per la condivisione di video e di film, per circa un totale di 24 milioni di utenti.
Sempre con specifico riferimento al commercio elettronico, si rileva che, su un totale di 14 mila miliardi di euro di PIL prodotti nell'Unione europea, quasi il 5 per cento è stato prodotto dal commercio online e le previsioni al 2020 prevedono un aumento esponenziale del 50 per cento, per un valore stimato al 7,5 per cento del totale del PIL realizzato nell'Unione europea. È un dato, Presidente, rilevantissimo. L'Italia ha solo il 3 per cento del totale dell'e-commerce, quindi in Italia è un fenomeno che sicuramente è in forte crescita, ma in misura minore rispetto ad altri Paesi. Questo ci porta, però, anche a dire che, invece, è importante proprio in questo momento agire e, prima che il fenomeno diventi sempre più importante, trovare gli strumenti legislativi per arginarlo, anche se chiaramente dalla relazione si evince che il tema non è solamente un tema italiano, ma, come ha già detto il collega Baruffi, un tema soprattutto comunitario, e serve una risposta comunitaria e internazionale.
Dicevo, appunto, che l'Italia ha solo il 3 per cento del totale dell'e-commerce dell'Unione europea, per un valore stimato di beni e servizi, acquistati nel 2016, per circa 16 miliardi di euro.
Il commercio elettronico è in crescita anche da noi: sono stimati in 19 milioni i consumatori che comprano online, anche se la presenza di imprese è ancora molto limitata, sono 40 mila le imprese italiane che vendono prodotti online. Il totale dei consumatori che si rivolgono all'e-commerce è stato stimato in circa 1,7 miliardi di persone nel 2015 su base globale, quindi a livello mondiale, e la Cina vanta oltre 500 miliardi di euro di fatturato nel commercio online. Quindi, la contraffazione online cresce ogni anno del 15,6 per cento a livello globale, con un costo dell'economia stimato in 1.800 miliardi dollari, e per l'Italia il costo della contraffazione per l'economia è stimato dal Censis - in dati che abbiamo già fornito anche in altre discussioni, sempre sulle relazioni legate all'attività della Commissione contraffazione - in perdite, nei vari settori industriali, per 6,5 miliardi di euro e la perdita di più di 100 mila unità lavorative.
Quindi, la Commissione ha deciso di approfondire il tema, utilizzando le modalità con le quali si manifesta oggi il commercio illecito di beni contraffatti con lesione dei diritti di proprietà industriale e la pirateria digitale, particolarmente proprio nel campo dei media audiovisivi in violazione del diritto d'autore, che si realizzano in forme svariate, palesi o occulte. Grazie al lavoro della Commissione, sono state numerose le audizioni, lo ricordava prima il collega Baruffi. Pensate che sono state svolte audizioni con la Polizia postale, la Guardia di Finanza, la Federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali, la Federazione dell'industria musicale, la Business Software Alliance, l'Indicam, il Comando dei carabinieri per la tutela della salute, i rappresentanti della SIAE, la Federazione contro la pirateria musicale e multimediale, il Consorzio del commercio elettronico italiano, l'Associazione italiana Internet Provider, Interactive Advertising Bureau, la Confindustria digitale e Asstel, Ebay, Alibabà, Facebook, che sono sicuramente gli attori più importanti che operano in questo momento in rete, Google, Amazon, l'International AntiCounterfeiting Coalition, la Federazione contro la pirateria musicale e multimediale.
Il quadro che è emerso, Presidente, da questa ricognizione dei problemi e confronto con i soggetti più qualificati del settore, e che la relazione intende approfondire, è molto complesso. Le caratteristiche intrinseche di Internet, che costituisce uno strumento globale a forte impatto sovranazionale, e la sua costante espansione ed evoluzione, nonché la stessa dimensione immateriale del commercio elettronico, rendono estremamente difficile attivare efficaci forme di contrasto. La Commissione si è quindi focalizzata in alcuni di questi aspetti, e in particolare, li anticipava prima il collega Baruffi, rispetto agli interventi che possono essere suggeriti a quest'Aula, al legislatore e al Governo, per tentare di intervenire. Vengo ai principali. La normativa comunitaria: viene messo in evidenza come, in materia di contrasto alla contraffazione nel commercio elettronico, la normativa internazionale mostri sicuramente alcune lacune. In primo luogo, l'assenza di accordi internazionali, sostituiti sotto forma di supplenza delle prassi giurisprudenziali utilizzate negli Stati Uniti, a cui le grandi aziende che operano nel settore dell'economia digitale si conformano. La normativa comunitaria è considerata obsoleta e non in grado di rispondere alle esigenze di un mercato che si sviluppa a ritmi sempre più incalzanti.
In particolare, per la Commissione appare insufficiente la direttiva europea sull'e-commerce, che limiterebbe notevolmente le responsabilità dirette per le aziende digitali nel campo della prevenzione e del contrasto. D'altro canto, le legislazioni nazionali, non potendo derogare dal dettato comunitario, non possono agire e incidere concretamente proprio su questo aspetto, e la Commissione ritiene, quindi, che vada sostenuta ogni azione a livello europeo per la creazione di un organismo internazionale in grado di regolare gli aspetti delle attività sul web, a cominciare proprio dalla tutela dei diritti dei terzi rispetto agli illeciti. Un primo passo sarebbe proprio la revisione della normativa comunitaria.
Ovviamente, le modifiche a livello europeo sono oggetto del lavoro. La Commissione fa suo un suggerimento arrivato dagli stakeholder durante le audizioni, che è un suggerimento importante: il superamento della procedura di Notice and Take Down, quindi la notifica e la rimozione dei contenuti illeciti, e l'approdo verso il Notice and Stay Down, cioè evitare che i contenuti rimossi vengano caricati nuovamente. È molto importante per gli effetti che, è chiaro, può produrre. Si tratta, quindi, di superare la segnalazione, la mera segnalazione delle violazioni, e approdare a un sistema in cui il contenuto illecito, una volta rimosso, non possa essere più ricaricato, con chiare conseguenze e vantaggi in tema di contrasto all'illecito. Secondo la Commissione, un ruolo importante lo possono avere le associazioni rappresentative delle singole categorie merceologiche, le associazioni di categoria e i consumatori. E qui, Presidente, mi faccia fare un piccolo accenno: rimane sempre centrale - e ricordarlo in quest'Aula è importante - l'atteggiamento che i consumatori hanno nei confronti della contraffazione.
Questo ogni volta che intervengo su questo tema emerge, anche nelle relazioni di molti attori che intervengono nelle nostre Commissioni: è importante che il cittadino consumatore abbia piena consapevolezza che, nel momento in cui compra un prodotto contraffatto, questo può produrre un danno alla propria salute e produce danni all'economia; limita, quindi, la trasparenza delle attività imprenditoriali, e quindi è sicuramente un danno indiretto che l'acquisto di un prodotto contraffatto produce all'intera comunità.
Venendo proprio al tema di cui dicevamo prima, citando la Commissione rispetto ad esso, dice: la tutela della proprietà intellettuale appare più difficoltosa rispetto a quella del diritto d'autore; per le merci l'identificazione del falso è già di per sé difficile rispetto ai prodotti imitati con perizia, quando il controllo deve essere effettuato su prodotti fisici. Così afferma testualmente la Commissione.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
MARCO DONATI. Vengo alle conclusioni, Presidente. Lo diceva prima il collega Baruffi, il Partito Democratico ringrazia il collega Baruffi per il lavoro svolto, ma vuole rimarcare come non ci sia volontà di limitare la libertà dei cittadini. Internet è uno strumento importantissimo, il made in Italy, le nostre produzioni, la nostra capacità di export possono trovare attraverso gli strumenti online un mercato globale nel quale inserirsi; ma è vero anche che questo mondo, luogo virtuale è ancora molto fragile, e mette a repentaglio… Addirittura, è un moltiplicatore dell'attività della contraffazione, che è già molto forte quando parliamo di merci che vengono trasportate materialmente: ancora di più questi elementi vengono amplificati.
PRESIDENTE. La invito nuovamente a concludere.
MARCO DONATI. Vado a concludere.
PRESIDENTE. Grazie.
MARCO DONATI. Occorre, quindi, Presidente, in qualche modo sottolineare come quel settore del commercio elettronico, per le potenzialità che offre e per le prospettive di maggiore sviluppo dei prossimi anni, richieda quindi un intervento normativo urgente; e, sicuramente, i suggerimenti che la relazione ha portato a questa sede, e che potranno essere trasferiti al Governo e - perché no? - in sede legislativa comunitaria, possono rappresentare un rilevante passo avanti nel tentativo di arginare un fenomeno che può danneggiare seriamente le nostre produzioni; e appunto, come dicevo precedentemente, creare danno ai cittadini per la commercializzazione di prodotti che rischiano di danneggiare la salute, e chiaramente alimentare la criminalità organizzata, che sta al centro sempre dell'azione di tutto il fenomeno della contraffazione, come si evidenzia trasversalmente in tutte le relazioni che sono state oggetto dei lavori del nostro organismo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Filippo Gallinella. Ne ha facoltà, per sei minuti.
FILIPPO GALLINELLA. Presidente, il fenomeno della contraffazione attraverso il commercio elettronico è molto delicato e complesso, così come sono complesse le strategie a contrasto, perché si parla di un terreno che non esiste, di un terreno virtuale. Per questo la Commissione ha voluto approfondire questa questione.
Innanzitutto, però, bisogna ricordare la direttiva n. 2000/31/CE, che parla della neutralità della rete e delle responsabilità dei provider relative ai comportamenti illeciti che dentro la rete possono circolare; e questo - sicuramente è già stato detto - depotenzia l'azione poi dei singoli Governi, e merita una profonda riflessione, perché conciliare la libertà della rete con le esigenze di espansione del commercio elettronico, che è importante anche per i prodotti italiani, così come tutelare i diritti d'autore e di proprietà, ma anche la sicurezza dei consumatori rispetto anche ai servizi che offrono i provider, è complesso e complicato. Però, è necessario farlo, perché oggi più che mai il commercio sta transitando su qualcosa di immateriale, e quindi anche la politica si deve rendere conto delle difficoltà che regolare questo tipo di fenomeno comporta. Bisogna compiere azioni precise e puntuali, perché ovviamente la libertà della rete è imprescindibile per l'esistenza della rete stessa.
Oggi il commercio elettronico è su scala globale, quindi travalica i confini nazionali così come le leggi nazionali, ma anche le stesse leggi e le regole comunitarie: questo rende ancora più difficile intervenire in tale maniera. Anche perché - è già stato citato – con riferimento all'eventuale intervento giudiziario all'interno di un Paese su un illecito, magari scopriamo che quel tipo di illecito non è riconosciuto in un altro Paese.
Quindi, anche, come ci si regola sotto questo profilo? Queste sono tutte situazioni di difficoltà che sono emerse all'interno della relazione, e devono essere oggetto di approfondimento sia dell'Aula che del Governo.
L'Italia è conosciuta nel mondo per il made in Italy. Chiaramente molti marchi italiani della manifattura - calzature, penso all'abbigliamento, ma anche lo stesso mercato dell'agroalimentare - sono soggetti a questo tipo di contraffazione. La tutela del made in Italy è fondamentale: visto che c'è il Governo, lo sollecito anche a ragionare sull'introduzione in sede… Di parlare a Bruxelles, in Consiglio, anche del made in obbligatorio, che è una questione che oramai ci portiamo avanti da anni, ma non si riesce a risolvere.
Chiaramente, perché il commercio illegale in rete va così veloce ed è così facile? Perché è transnazionale; i canali di individuazione del traffico di denaro sono difficili; ci sono infiniti punti vendita, perché non c'è un negozio, non c'è la persona singola che vende. E, poi, chiaramente, c'è l'irresponsabilità del consumatore, perché il consumatore quando acquista a prezzi decisamente inferiori a quelli che sono il valore reale, in qualche modo è complice su questo: quindi, l'educazione al consumatore, anche per il contrasto al fenomeno della contraffazione, in tutti i suoi campi, che sia quella più “reale”, ma anche quella virtuale, è fondamentale. Su questo bisogna lavorare molto, ed è anche, tra l'altro, tema di un altro approfondimento che la Commissione contro la contraffazione e la pirateria sta svolgendo.
Durante le audizioni poi abbiamo anche appreso in maniera un po' più approfondita dell'esistenza del famoso darknet, ovvero di quel mondo oscuro dove non solo avviene il fenomeno della contraffazione, ma anche un'altra serie di illeciti: sul quale sicuramente bisogna riflettere, perché magari si incorre in reati ancora ancora più gravi. Sicuramente, c'è un'evoluzione, perché i maggiori negozi di commercio elettronico stanno rimettendo in discussione anche il loro operato e la loro questione nei confronti del consumatore, perché essere, alcuni negozi virtuali, negozi elettronici, associati all'idea che lì dentro si vende il falso, non sono contenti, e quindi hanno avuto anche loro un'evoluzione.
Sicuramente c'è, abbiamo appreso, non da tutti, una collaborazione nell'agire proattivamente nel fenomeno della diffusione di merci illecite e contraffatte, che non va solo dalla segnalazione, ma anche creare un database, e quindi un lavoro con i provider per bloccare determinate vendite o rivendite di merci che sono illecite. Questo, al di là dell'evasione fiscale, è anche una tutela nei confronti del consumatore, sul quale bisogna fare massima attenzione. Il coinvolgimento dei provider è, quindi, necessario su questo: ogni Governo, o che sia nazionale o che sia comunitario, deve sicuramente mettersi a tavolino con i provider per risolvere in collaborazione questo tipo di fenomeno.
Un'altra questione che ha portato a risolvere alcuni casi, soprattutto negli Stati Uniti, è il famoso follow the money, ovvero seguire la tracciabilità con gli operatori bancari, carte di credito, dove vanno questi soldi: perché chiaramente con più negozi, però alla fine sono uno, due o tre soggetti che poi incamerano i denari dell'illecito.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
FILIPPO GALLINELLA. Fondamentale è poi identificare il venditore in maniera univoca, quindi cambiare anche l'identificazione tramite IP: in modo tale che noi sappiamo i soggetti che sono in rete singolarmente, quindi possiamo bloccare anche coloro che vendono in maniera illecita, perché l'oscuramento del sito, è stato dimostrato, non è particolarmente funzionale.
PRESIDENTE. Grazie.
FILIPPO GALLINELLA. Un attimo, e si può creare subito un altro sportello.
La relazione ha in sé tutti questi elementi, che vengono lasciati al Governo e al Parlamento, in modo tale da poter quanto prima intervenire su un ambito così difficile e complicato, ma che necessita della massima attenzione (Applausi).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione.
(Annunzio di una risoluzione - Doc. XXII-bis, n. 9)
PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la risoluzione Baruffi, Gallinella ed altri n. 6-00337 (Vedi l'allegato A), che è in distribuzione.
Il rappresentante del Governo ha comunicato che si riserva di intervenire in altra seduta, anche per esprimere il parere sulla risoluzione presentata.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della proposta di legge: S. 361 - D'iniziativa dei senatori: Ranucci e Puglisi: Modifiche al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, in materia di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e delle federazioni sportive nazionali, e al decreto legislativo 27 febbraio 2017, n. 43, in materia di limiti al rinnovo delle cariche nel Comitato italiano paralimpico (CIP), nelle federazioni sportive paralimpiche, nelle discipline sportive paralimpiche e negli enti di promozione sportiva paralimpici (Approvata dal Senato) (A.C. 3960-A) (ore 14,20).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 3960-A: Modifiche al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, in materia di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e delle federazioni sportive nazionali, e al decreto legislativo 27 febbraio 2017, n. 43, in materia di limiti al rinnovo delle cariche nel Comitato italiano paralimpico (CIP), nelle federazioni sportive paralimpiche, nelle discipline sportive paralimpiche e negli enti di promozione sportiva paralimpici.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta del 14 luglio 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 14 luglio 2017).
(Discussione sulle linee generali – A.C. 3960-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Maria Coscia.
MARIA COSCIA, Relatrice. Grazie, Presidente. Signor Presidente, sottosegretaria Amici colleghe e colleghi, la Commissione cultura riferisce sulla proposta di legge n. 3960 già approvata dal Senato, che è relativa alle modifiche al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242 in materia di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e delle federazioni sportive nazionali, e al decreto legislativo 27 febbraio 2017, n 43, che disciplina la materia dei limiti al rinnovo delle cariche nel Comitato italiano paralimpico, nelle federazioni sportive paralimpiche, nelle discipline sportive paralimpiche e negli enti di promozione sportiva paralimpici.
L'esame in sede referente si è svolto dal 5 aprile al 13 luglio 2017. Descrivo brevemente il contenuto delle principali disposizioni della proposta in esame.
Il provvedimento inerisce, innanzitutto, al CONI che, com'è noto, è l'ente pubblico italiano che disciplina, regola e gestisce le attività sportive nazionali. Esso fa riferimento sul piano internazionale al Comitato olimpico internazionale, mentre sul piano interno riunisce le federazioni sportive di ciascuna disciplina.
La proposta di legge dispone in materia di limiti al numero dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), delle federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate, degli enti di promozione sportiva, nonché del Comitato italiano paralimpico, delle federazioni sportive paralimpiche, delle discipline sportive paralimpiche e degli enti di promozione sportiva paralimpica.
I suddetti limiti sono previsti per il CONI dall'articolo 1 che, introducendo una novella dell'articolo 3 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, fissa in 4 anni la durata dei suoi organi e stabilisce che il presidente e gli altri componenti della giunta nazionale non possono svolgere più di tre mandati. Tali previsioni si applicano anche ai presidenti e ai membri degli organi direttivi delle strutture territoriali del CONI.
Analogamente l'articolo 2 prevede un limite temporale di quattro anni per la durata in carica del presidente e dei membri degli organi direttivi delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate, che a loro volta non possono svolgere più di tre mandati.
In particolare, il limite di tre mandati, fissato dalla proposta di legge, è stato oggetto di un ampio e approfondito dibattito nel corso dell'esame nella sede referente. A tale scelta si è pervenuto, soprattutto, in considerazione dell'opportunità di prevedere una durata degli organi direttiva adeguata al contesto internazionale.
Com'è noto, infatti, moltissimi sono gli eventi internazionali a cui il nostro Paese partecipa, dalle Olimpiadi ai tanti campionati europei e mondiali riferiti alle varie discipline sportive. Consentire una durata fino a tre mandati degli organismi dirigenti del CONI e delle federazioni, che comunque dovranno conquistarsi con elezioni ogni quattro anni la conferma del loro mandato, costituisce un'opportunità notevole, per garantire maggiore continuità nella promozione di una presenza attiva del nostro Paese in ambito internazionale, sia al fine di realizzare il più ampio successo dei nostri atleti nelle varie discipline, che per concorrere ad ospitare nel nostro Paese prestigiose competizioni ed eventi sportivi internazionali.
Nel corso dell'esame referente, si è, come già accennavo prima, ritenuto di intervenire altresì sulla disciplina anche degli organi del Comitato italiano paralimpico, recata dal decreto legislativo 27 febbraio 2017, n. 43, modificandone l'articolo 4, al fine di prevedere anche in questo caso un limite di tre mandati per il presidente e i componenti della relativa giunta nazionale. Con l'articolo 3-bis la medesima disciplina è stata estesa anche al presidente e ai membri degli organi direttivi delle federazioni sportive, delle discipline sportive e degli enti di promozione sportiva paralimpici.
L'articolo 5 concerne le disposizioni transitorie e finali. In particolare, si prevede l'adeguamento dello statuto del CONI, delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate, nonché degli enti di promozione sportiva alle nuove previsioni.
I comma 4, modificato durante l'esame in Commissione, stabilisce che i presidenti e i membri degli organi direttivi nazionali e territoriali degli stessi organismi che sono in carica alla data di entrata in vigore della legge e che hanno già raggiunto il limite, di cui all'articolo 16 del decreto legislativo n. 242 del 1999, come modificato dall'articolo 2, secondo periodo, nel testo in esame, possono svolgere, se eletti, un ulteriore mandato. Si stabilisce, inoltre, che il presidente uscente, che si sia candidato, è rieletto solo ove raggiunga una maggioranza non inferiore al 55 per cento dei votanti.
Analogamente i commi 4-bis, 4-ter e 4-quater dispongono l'adeguamento dello statuto del CIP o meglio del Comitato italiano paralimpico, delle federazioni sportive paralimpiche, delle discipline sportive paralimpiche, degli enti di promozione sportiva paralimpici alle nuove previsioni.
Infine, dispone che i presidenti e i membri degli organi direttivi nazionali e territoriali delle federazioni sportive paralimpiche, delle discipline sportive paralimpiche e degli enti di promozione sportiva paralimpiche, che sono in carica alla data di entrata in vigore della legge e che hanno già svolto il limite di mandato, di cui all'articolo 14 comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo n. 43 del 2017, come modificato dall'articolo 3-bis del testo in esame, possono svolgere, se eletti, un ulteriore mandato, così come avviene per il CONI. Si stabilisce che il presidente uscente, che sia candidato, è rieletto solo se raggiunge una maggioranza non inferiore al 50 per cento dei votanti.
Voglio ringraziare tutti i membri della Commissione per il dibattito genuino e schietto che si è svolto durante la fase referente. Esso, ovviamente, non è stato privo di asprezze come si chiede ad un serrato confronto. Tuttavia, però, abbiamo raggiunto un punto di caduta e di mediazione, che è stata, credo, molto utile e accettabile per tutti, anche se sono rimaste ovviamente posizioni politiche diversificate tra maggioranza e opposizione.
Infine, voglio fare un particolare riferimento al principio introdotto nella sede referente, sul tema della promozione delle pari opportunità per le donne e gli uomini nell'accesso agli organi di direttivi, con un emendamento, da me presentato come relatrice, ma che nasce dall'esigenza di tener conto di vari emendamenti presentati sull'argomento da parte di colleghe e colleghi sia di maggioranza che di opposizione. Tema, peraltro, presente anche in altre proposte di legge sullo sport, che sono all'esame della Commissione. Da questo punto di vista la Commissione cultura ha tenuto anche conto del lavoro svolto dalla Commissione affari costituzionali. Penso che anche su questo punto la proposta di legge che viene sottoposta al voto dell'Assemblea si muova nell'alveo dei principi costituzionali e nel rispetto dell'autonomia del mondo sportivo e delle sue facoltà statutarie.
Confidando in una rapida approvazione del provvedimento, ringrazio lei, signor Presidente, lei, signora sottosegretaria, e tutte le colleghe e i colleghi per l'attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. La ringrazio. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo che, però, si riserva di intervenire in altra fase. È iscritto a parlare il deputato Simone Valente. Ne ha facoltà.
SIMONE VALENTE. Grazie, Presidente. La contrarietà a questo testo di legge da parte del MoVimento 5 Stelle non è sicuramente nuova, però qua è importante chiarire alcuni punti. Il primo è che sicuramente non si è contrari a limitare il numero di mandati per tutti gli organi elettivi delle federazioni sportive o del CONI. Infatti, noi abbiamo spesso avanzato anche la proposta di limitarlo al massimo di due mandati. Invece, in questo testo di legge, si porta a tre. E, però, c'è da dire che, in realtà, invece di limitare e quindi dare un messaggio forse anche importante a tutto il mondo sportivo che troppo spesso si è radicato e si è chiuso in alcuni centri di potere, si allarga addirittura la possibilità, per alcuni presidenti di federazione, che sono in carica da ormai diversi anni - parlo di 10-15-20 anni - di poter svolgere ancora un ulteriore mandato.
Lo si fa con i presidenti di federazione, lo si fa anche e soprattutto, lo dico, con il presidente del CONI, perché si concede la possibilità, all'articolo 1, di fare un ulteriore mandato, quindi, portando a tre il limite di mandati. E, forse, è questo il fulcro del testo di legge, perché non so quanto sia, in realtà, voluto da questo Parlamento e quanto sia voluto da qualcuno all'esterno; c'è da dire, però, che la riflessione che è stata fatta su questo testo di legge, a mio modo di vedere, non è stata approfondita e non c'è stata forse neanche la volontà di confrontarci e lo dico sulla base dell'iter che c'è stato in Commissione, in quanto, appena arrivato il testo di legge in Commissione, quindi, trasmesso dal Senato, si è avviato il dibattito, c'è stato un confronto, sicuramente, e ci sono state, però, anche delle proposte emendative. Ed, ecco, è lì che ci è stato comunicato dalla maggioranza che il testo doveva essere approvato il prima possibile, molto velocemente, non si potevano fare neanche delle modifiche formali; faccio l'esempio dell'articolo in cui si va a modificare il Comitato Italiano Paralimpico, che aveva bisogno di modifiche formali, perché avrebbe potuto creare anche delle interpretazioni sbagliate o comunque una confusione all'interno della norma, e ci è stato detto che non si poteva fare. Magicamente, forse, grazie anche al prolungarsi di questa legislatura, i tempi si sono trovati, tant'è che, fortunatamente, alcune modifiche sono state fatte con degli emendamenti della relatrice e si è risolto il problema.
Però, questo dimostra come, in realtà, la vera volontà di confrontarsi su un testo non c'era o, meglio, non c'era neanche la volontà di aprire un dibattito e andare a modificare il testo. Quando si è capito che questa legislatura sarebbe continuata e quando si è capito che, insomma, forse anche all'esterno qualcuno era d'accordo, queste modifiche, allora, si sono fatte. Questo, secondo me, ha svilito parecchio il lavoro della Commissione e le proposte che sono state avanzate dalle opposizioni e anche dalle altre forze politiche. Quindi, il fulcro di tutto questo, come ho già detto, è concedere la possibilità, a persone che sono da tantissimi anni già nel mondo sportivo e che hanno creato dei veri centri di potere, di continuare a portare avanti il proprio lavoro. Ci sono presidenti di federazioni sportive che sono in carica da tantissimi anni e hanno svolto un ottimo lavoro, questo è importante dirlo; ce ne sono altri che, in realtà, forse, dovrebbero cedere il posto a una classe dirigente che, sicuramente più giovane e innovativa, vorrebbe fare il bene di tutto il mondo sportivo. Parlo di classe dirigente perché, forse, anche nel mondo sportivo bisognerebbe, un attimo, fare una riflessione e cercare di capire in che modo si possa rinnovare tutto il sistema sportivo.
Questo è un testo di legge che non è sicuramente prioritario; è un punto importante, però, non è prioritario per migliorare l'ordinamento sportivo. Lo abbiamo detto più volte perché bisognerebbe, innanzitutto, fare una riflessione su tante, tante altre norme, parlo della legge n. 91 del 1981 sul professionismo, parlo di investimenti nello sport scolastico, quindi, della relazione tra lo sport scolastico, quello di base e, poi, anche, quello agonistico; bisognerebbe, in realtà, che il Governo facesse il suo lavoro, ovvero vigilasse sull'attività del Comitato Olimpico Nazionale, perché, troppo spesso, non si è fatta una vigilanza e si è deciso di lasciare al CONI tutto l'operato e questo ha creato alcuni problemi nella gestione, in primis, dei fondi, ma anche nella vigilanza a cascata sulle federazioni sportive. Ci sono stati casi che abbiamo denunciato con decine e decine di interrogazioni in questo Parlamento e mai nessuno ci ha dato una risposta nel merito, nessuno ha mai preso una posizione, anche dal di fuori, comunque, per dare un messaggio, un segnale alle federazioni sportive che così non si poteva andare avanti.
I nostri emendamenti, poi lo dirò anche durante la discussione, vanno nella direzione di mettere dei paletti anche nelle federazioni sportive; parlo del conflitto di interessi, delle pluricariche, parlo dei presidenti che hanno subito delle condanne; tutti questi paletti, in realtà, forse, non bisognerebbe neanche metterli per legge se si usasse il buonsenso, se, anche il CONI fosse un po' più rigido nell'applicare i regolamenti, nel non consentire ad alcune federazioni di commettere delle irregolarità.
Queste sono alcune osservazioni che ho fatto, ce ne sarebbero tantissime altre; quello che dico è che noi ci poniamo, come sempre, anche verso il Comitato olimpico con una predisposizione a lavorare insieme, a portare avanti dei progetti, a risolvere dei problemi. L'abbiamo fatto, lo stiamo facendo nelle città dove governiamo, lo continueremo a fare anche in Parlamento; questo, però, non vuol dire che non saremo sempre pronti a denunciare quello che non va, a criticare quando si sbaglia e non si prendono provvedimenti, quando ci sono dei casi eclatanti che andrebbero affrontati e ci si volta dall'altra parte. Siamo disponibili, appunto, a collaborare con il Comitato olimpico nazionale e con i comitati regionali, senza, però, mai, invadere il terreno, il territorio del campo sportivo, dell'ordinamento sportivo che dovrebbe essere totalmente indipendente dalla politica. Se qualcuno pensa che il nostro collaborare, lavorare insieme, anche insieme ad alcuni comitati regionali, voglia dire associarsi insieme e, insomma, invadere quel campo che a noi politici non compete, allora, si sbaglia di grosso, perché lo sport, come ho detto, deve essere indipendente dalla politica, non deve avere bandiere di partito e, quindi, chi fa alcune osservazioni in questo merito e ha paura che noi ci affianchiamo troppo spesso a o presidenti di federazioni sportive o a presidenti di Coni regionali, si sbaglia di grosso.
Questo è importante specificarlo, sempre, perché, spesso, la politica ha usato lo sport come bacino elettorale, come piccolo centro di potere ed è un atteggiamento che vogliamo totalmente ribaltare, che noi non accettiamo più e, anche in quest'Aula, porteremo avanti delle proposte di emendamento; potremmo portare la nostra visione di sport anche un po' diversa, però, tenendo sempre presente che questo è un piccolissimo tassello che, da solo, non va a modificare granché nell'ordinamento sportivo, ma che ci vorrebbe ben altra riforma per migliorare tutto il nostro movimento sportivo nazionale.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Bruno Molea. Ne ha facoltà.
BRUNO MOLEA. Grazie, Presidente. Questo provvedimento, senza dubbio entra - mi si consenta il termine - a gamba tesa in un mondo in cui il limite dei mandati era uno dei problemi, uno dei problemi che affliggevano, ormai da tempo, il mondo dello sport, sia quello federale, quello delle discipline associate che quello degli enti di promozione sportiva. Non vi è dubbio che nel tempo si sono consolidate delle vere e proprie monarchie, in alcune situazioni del mondo federale, in modo particolare. Tuttavia, voglio anche dire che questo provvedimento non poteva essere diverso da come è stato generato; concedere attraverso questo provvedimento, ancora, la possibilità di un ulteriore mandato a chi è già in carica, vuol dire, in sostanza, garantire la continuità di quella federazione, di quell'ente di promozione sportiva, piuttosto che di una disciplina associata, perché, visto da fuori, sembra molto facile, molto semplice sostituire un dirigente sportivo ai vertici; vi posso garantire, per l'esperienza personale maturata con più di trent'anni di militanza nel mondo dello sport, che è tutt'altro che facile e gli effetti che si producono con questo tipo di provvedimento sono effetti estremamente importanti che condizioneranno, in modo particolare, il mondo dello sport.
Voglio fare una premessa: io sono estremamente favorevole a questo provvedimento, però voglio difendere il fatto che si conceda ancora un ulteriore tempo a chi, in questo momento, sta svolgendo il ruolo di presidente o di dirigente nazionale all'interno del mondo sportivo nelle varie declaratorie a cui facevamo riferimento prima, che sono le federazioni, gli enti, le discipline associate, il CIP, tutto il mondo dello sport, a tutto tondo, come è previsto nel nostro Paese. Perché questi quattro anni di ulteriore mandato devono servire, invece, a costruire in maniera concreta le basi per il cambiamento, la possibilità che venga eletto un dirigente nuovo, ma che non venga posto su una poltrona dall'oggi al domani senza dargli la possibilità di avere, come minimo, quella trasposizione rispetto al vecchio verso il futuro.
Un dirigente a livello di vertice non si inventa dall'oggi al domani, per quanto una persona sia dotata e capace: ci vuole anche il necessario - mi si passi il termine - periodo di avvicendamento; ci vuole la necessità e il tempo affinché un dirigente possa avere perfetta conoscenza di come quella federazione, quell'ente di promozione sportiva si sta muovendo e si è mosso nel tempo. Senza, poi, pensare anche alla possibilità che un dirigente italiano ai vertici di una federazione possa entrare nel CIO. Con riferimento al CIO, uno diventa presidente: ebbene, i primi quattro anni di una presidenza sono funzionali a capire in che mondo si è capitati e come si fa a mandare avanti e a mettere in campo anche delle novità che sono funzionali al rilancio di una federazione. Il mandato successivo è sicuramente il mandato in cui si dà il meglio di se stessi, perché si cominciano a raccogliere i frutti del proprio investimento. Il terzo mandato, mi si consenta, è quello che legittima un presidente di federazione a presentarsi all'interno del CIO per cercare di essere eletto e, quindi, rappresentare l'Italia, in questo caso, l'Italia sportiva, anche ai massimi livelli dello sport mondiale.
Quindi, tre anni sono veramente un periodo minimo attraverso il quale svolgere in maniera compita un mandato: nomina, crescita e investimento futuro verso l'esterno del Paese. E così pure, quindi, nei confronti delle federazioni.
Tuttavia, una mia preoccupazione personale ce l'ho e la voglio esprimere: essa riguarda molto di più le periferie che i vertici dello sport italiano. Soltanto in un'associazione di promozione sportiva, mediamente, ci sono centoventi presidenti provinciali: pensare, dall'oggi al domani, di eliminare centoventi presidenti provinciali, dopo quattro anni di mandato, e rimetterne altrettanti dentro io credo che questo qualche problema al territorio lo comporterà. Perché? Perché, soprattutto nel mondo, per esempio, della promozione sportiva, chi fa il dirigente non lo fa di professione, ma è un volontario, è una persona che presta volontariamente la sua opera e, oggi più che mai, è difficile trovare nuova classe dirigente volontaria disposta a mettersi al servizio, disposta a lavorare nel territorio, così come hanno fatto quelli che l'hanno proceduto. Ciò per una serie di motivi: un po' perché, forse, sta cambiando il mondo del volontariato, un po' perché, forse, non c'è nulla da prendere, come si suol dire, non ci sono stipendi per i presidenti volontari nell'ambito della promozione sportiva e, quindi, questo ovviamente rende meno appetibile, meno incentivante, la corsa verso queste poltrone.
Ma lo stesso credo possa essere, come esempio, rapportato anche al mondo delle federazioni delle discipline sportive associate, le quali, per la conoscenza che ho io, hanno grosso modo le stesse problematiche che abbiamo nel mondo della promozione sportiva.
Quindi, evidenzio la bontà di questo provvedimento, soprattutto perché introduce la parità di genere: la parità fra uomo e donna a livello di vertice credo sia un elemento di grande importanza. Dunque, la pari opportunità e il fatto che imponga, in maniera chiara e netta, che tutti gli statuti vengano adeguati una volta che questo provvedimento sarà legge. La stessa percentuale che viene indicata per essere rieletti è un quorum molto alto, perché quando si parla di oltre il 50 per cento - il 55 per cento minimo di suffragi - si comincia a parlare di un presidente che è capace anche di coagulare attorno a sé un certo tipo di consenso.
Quindi, tutto sommato, questo è sicuramente un provvedimento che, così come è stato modificato al ritorno dal Senato dai lavori della VII Commissione, comunque pone un punto di partenza, una pietra miliare dalla quale, poi, continuare a svolgere un'azione, che credo non debba essere interrotta, per una riforma vera di tutto il movimento sportivo. Io credo che sia giunto il momento di prendere spunto da questa prima legge, che mi auguro venga approvata in tempi rapidi, per cominciare a pensare ad una riforma complessiva del sistema sportivo italiano, perché credo che i tempi siano maturi.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Milanato. Ne ha facoltà.
LORENA MILANATO. Grazie, Presidente. Oggi ci troviamo in quest'Aula ad esaminare un provvedimento di cui si è parlato per molto tempo, ma che, per la delicatezza del tema, ha, comunque, richiesto un lungo periodo di confronto per trovare le soluzioni atte a superare le criticità presenti in questo testo.
Vorrei iniziare con l'auspicio del collega di poco fa che questo sia il primo di uno dei tanti provvedimenti che dovrà occuparsi, da qui in avanti, di una tematica importante come tutte quelle che riguardano il mondo dello sport.
Il provvedimento è nato con l'intento di favorire un ricambio nei ruoli della dirigenza sportiva e si occupa, infatti, di individuare un limite alla possibilità di rinnovo dei mandati degli organi del CONI e delle federazioni sportive nazionali. Interviene in tal senso a modificare il decreto legislativo n. 43 del 2017, che disciplina il Comitato italiano paralimpico.
Con questo provvedimento, che arriva dal Senato - voglio ricordare che i colleghi senatori hanno dedicato tre anni nel tentativo di trovare una soluzione che risultasse la più condivisa possibile tra le varie forze politiche -, noi oggi parliamo di sport e ci occupiamo di alcuni aspetti che disciplinano la governance dello sport nel nostro Paese, cercando di individuare quale possa essere la formula che permetta alla struttura organizzativa, che dal livello nazionale arriva e si ramifica nel territorio, di funzionare al meglio nell'interesse dei cittadini e delle cittadine italiani.
L'Europa ha riconosciuto la valenza socioeducativa dello sport sin dagli anni Novanta, fino ad introdurla ufficialmente tra le priorità europee nel 2007, quando il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ha previsto il proprio sostegno alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e sulla sua funzione sociale ed educativa. Lo sport, quindi, inteso come impegno, come disciplina, come tendenza al superamento dei propri limiti, non come estremizzazione delle possibilità, ma piuttosto come consapevolezza delle proprie risorse, delle proprie potenzialità, del fatto che l'allenamento, la caparbietà e il senso della misura rappresentano un metodo di crescita personale e di maturazione, che va oltre la valorizzazione delle caratteristiche fisiche delle persone, ma può esaltarne anche attitudini umane.
Secondo alcuni dati recenti, in Italia ci sono 19 milioni di italiani che praticano sport a vari livelli, da quello agonistico a quello puramente amatoriale. Intorno alla pratica sportiva si è sviluppata e cresce un'economia che fattura ogni anno circa 14 miliardi e che genera allo Stato circa 5 milioni di entrate. Un grande universo, che richiede grande attenzione nella predisposizione di norme che ne regolino il funzionamento e che disciplinino gli organi di governance del settore.
È importante che non ci si dimentichi che, quando ci occupiamo degli organismi e degli enti che, a cascata, si interessano di sport in Italia, a partire dal livello nazionale fino a giungere ai quartieri periferici delle grandi città o ai piccoli centri che caratterizzano il nostro Paese, parliamo molto di volontariato, di impegno personale, di persone che credono nella funzione e nel ruolo dello sport, insomma di veri appassionanti. È bene ricordare che sono i dirigenti delle piccole società sportive che, con le proprie risorse, con la propria passione e con il proprio tempo, fanno vivere lo sport italiano ed è da questi dirigenti che si formeranno i presidenti di federazione. È anche per questo che si è reso necessario un intervento.
Noi siamo abituati a pensare allo sport dei grandi eventi, ma dietro quegli eventi ci sono i tecnici, gli allenatori, che sono anche educatori e che, insieme alle famiglie, si adoperano affinché l'attività sportiva abbia la possibilità di esprimersi.
Non dimentichiamo che, fino ai primi anni del 2000, il CONI era finanziato con una quota parte del Totocalcio e che, attraverso il CONI, parte di questo finanziamento arrivava anche alle federazioni sportive. Anche se oggi il CONI riceve un finanziamento dello Stato, lo sport ricambia permettendo un rientro nelle casse statali di risorse derivanti, per esempio, dalle imposte sui diritti televisivi pagati dalle società sportive e dalle scommesse sportive. È evidente a tutti che molto è stato fatto, ma che il legislatore è chiamato a fare ancora molto.
Per noi di Forza Italia, questo provvedimento rappresenta un buon punto di mediazione: non interveniamo con norme di rottura e ci poniamo ancora di più nell'alveo europeo, muovendoci nella stessa direzione in cui si stanno muovendo altri Paesi europei, che cominciano a prevedere anch'essi il limite di mandati.
In particolare, ricordiamo che siamo stati preceduti in tal senso dal CIO, Comitato internazionale olimpico, che prevede per il suo presidente un limite di mandato che non può superare i dodici anni, che equivalgono ai tre mandati previsti nel provvedimento che stiamo esaminando. Anche la FIFA ha valutato, dopo essere stata colpita da vari scandali, di inserire il limite dei tre mandati.
Il limite dei tre mandati, quindi, rappresenta a nostro avviso una giusta misura temporale, sia per rispondere all'esigenza di assicurare il ricambio dei vertici delle federazioni sportive, oltre che del CONI, sia per dare un congruo tempo al sistema di adattarsi alle novità di un nuovo dirigente, sia per garantire una continuità d'azione agli organi del CONI, così come delle federazioni sportive, così come del Comitato paralimpico a livello nazionale e a livello internazionale.
Per concludere, vorrei richiamare l'attenzione dell'Aula su uno degli aspetti su cui però c'è ancora molto da fare: se è stata introdotta la parità di rappresentanza, ci sono ancora molti interventi di natura legislativa che necessitano. Mi riferisco ovviamente alla presenza delle donne ai livelli dirigenziali delle società e degli organismi di governance dello sport. Concludo quindi con l'auspicio che questo provvedimento porti con sé anche un'adeguata rappresentanza femminile negli organi decisionali nelle istituzioni sportive, che oggi vede l'Italia al sestultimo posto in Europa, con una percentuale di presenza inferiore al 20 per cento.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Laura Coccia. Ne ha facoltà.
LAURA COCCIA. Presidente, il provvedimento di cui discutiamo oggi è solamente uno dei provvedimenti che questo Governo e questo Parlamento hanno dedicato al mondo dello sport e si inserisce in un contesto molto più ampio.
Nei mesi scorsi e nei prossimi mesi sono partiti, partiranno e si chiuderanno molti dei cantieri che hanno portato nel nostro Paese impianti sportivi nei quartieri di periferia delle nostre città, perché, come è stato detto prima di me, lo sport non è solamente lo sport di vertice, lo sport che in questi giorni ci mostra il meglio di sé. Penso ai campionati del mondo di nuoto o ai campionati del mondo di atletica paralimpica, che sono in corso rispettivamente a Budapest e a Londra in questi giorni. Questa che vediamo in questi giorni è solamente la punta, sono gli atleti di vertice, ma dietro a loro ci sono migliaia di persone che costantemente, quotidianamente, decidono di dedicare parte del loro tempo all'attività motoria e sportiva ed è per questo che l'attività anche nostra, come legislatori, e del Governo deve essere costantemente impegnata per rafforzare e creare pari opportunità per tutti i cittadini nell'accesso alla pratica sportiva e motoria.
Questo è solamente uno dei testi sui quali stiamo lavorando e finalmente arriva in Aula. Arriva in Aula dopo un lungo percorso, dopo un lungo lavoro dei colleghi senatori e un dopo un ampio dibattito - come è stato ricordato dalla relatrice -, che abbiamo fatto in Commissione e che ha visto apportare al testo ulteriori miglioramenti.
L'avevo detto anche in sede di discussione: io ero per un'approvazione rapida e immediata di questo testo, proprio perché sono consapevole di quanto una riorganizzazione di questo tipo possa essere attesa dal mondo dello sport; ma credo che i miglioramenti che la Commissione ha apportato siano assolutamente necessari per poter migliorare ancora. Per questo, da qui faccio partire un appello al Senato, affinché possa approvare definitivamente il testo nel tempo più breve possibile.
Questo è un testo - è stato già detto - che limita i mandati del CONI e dei presidenti delle federazioni a tre e, in questo modo, si rende omogeneo il numero di anni che si passa alla presidenza del Comitato olimpico, del Comitato paralimpico, delle federazioni olimpiche e di quelle paralimpiche, alla stessa stregua di quello che avviene nel Comitato olimpico internazionale, affinché appunto i nostri rappresentanti del mondo dello sport possano avere l'opportunità di costruire relazioni non solamente sul piano nazionale, ma anche internazionale, e portare magari a candidature solide delle nostre città o del nostro Paese per eventi internazionali sempre più importanti.
Capisco che questo possa essere del tutto irrilevante per le forze politiche o la forza politica che ha deciso che il nostro Paese potesse rinunciare alla candidatura olimpica e paralimpica di Roma del 2024, ma noi, come maggioranza, ci sentiamo di sottolineare che il nostro Paese non possa e non debba rinunciare alla possibilità di candidarsi per ospitare eventi come appunto gli eventi sportivi internazionali delle discipline olimpiche e paralimpiche, perché sono eventi che portano cultura al nostro Paese, cultura sportiva, cultura anche vera e propria all'interno del Paese, e penso all'accessibilità che le città che ospitano una paralimpiade devono mostrare.
Allora, da persona con disabilità, quando giro per le nostre città e mi trovo a dovere affrontare le tante barriere architettoniche, sensoriali e culturali che ancora invadono il nostro Paese, e mi chiedo quanto possa essere importante, così come lo è stato nel 2006 con le olimpiadi e la paralimpiadi invernali di Torino, mandare dei messaggi a tutti i nostri cittadini anche in questo senso.
Credo che questo testo sia importante proprio perché equipara in maniera definitiva, in tutto e per tutto, il Comitato olimpico al Comitato paralimpico, che, grazie proprio a un lavoro fatto anche dal Governo e da questo Parlamento, sono diventati due enti autonomi, ma per questo è importante che abbiano le stesse regole. Quindi, credo che il lavoro fatto da questa legge sia ulteriormente importante.
In chiusura, lasciatemi ricordare uno degli aspetti di questa legge di cui vado più orgogliosa, che è la parità di genere. Il mondo sportivo - lo sappiamo, è stato ribadito anche prima - è un mondo che è stato per anni, per decenni, spesso chiuso in se stesso ed è stato un mondo dove gli uomini, dal punto di vista delle dirigenze sportive, hanno molto spesso dominato, basti pensare ai 45 presidenti di federazione uomini su 45.
Ecco abbiamo voluto mandare un segnale in questo senso, un segnale di promozione continua e costante delle pari opportunità e della parità di genere.
Ci veniva ricordato prima che i problemi dello sport sono ben altri. Non è vero, non sono ben altri, i problemi dello sport sono anche questi e personalmente, essendo stata la prima parlamentare di questa legislatura a proporre la modifica della legge n. 91 del 1981, quella sul professionismo sportivo, sinceramente trovo abbastanza sorprendente che ci venga ricordato da altri. Conosciamo benissimo quelle che sono alcune delle priorità dello sport. Ma quella proposta di modifica della legge n. 91 nasce da una volontà precisa e da una conoscenza di quello che è anche il mondo sportivo delle atlete, perché può sembrare un piccolo segno, forse flebile, quello di aver messo la parità di genere, ma è un segnale estremamente importante. Vorrei ricordare in quest'Aula che per molte atlete la maternità, purtroppo, è ancora un lusso troppo grande da portare avanti e ci sono ancora troppe atlete che si vedono rescindere un contratto nel momento in cui aspettano un bambino. Questo comporta una cosa, comporta o che si sceglie di posticipare al termine della carriera la maternità, con tutto ciò che questo comporta, oppure si sceglie di abbandonare l'attività agonistica per almeno un anno. Da questa legge arriva un segnale, un segnale importante, un primo importante segno di attenzione.
Poi, come prima firmataria della proposta di modifica della legge n. 91 del 1981, proprio nel senso della parità di genere nello sport professionistico, credo che la strada tracciata da questo provvedimento, e dal lavoro che stiamo svolgendo ormai da mesi in Commissione proprio su questo testo di legge, e su quello sul professionismo sportivo, ci testimonia ancora una volta l'attenzione di questo Governo, di questa maggioranza, e del Partito Democratico, non solo sul tema dello sport olimpico e paralimpico, ma anche dello sport per tutte e per tutti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - A.C. 3960-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, Coscia, che si riserva di intervenire in un'altra fase.
Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo.
SESA AMICI, Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie, Presidente. Prendo solo pochi minuti avendo avuto l'onore, quando ancora non era presente nella compagine governativa il Ministro per lo sport (carica oggi ricoperta dal Ministro Luca Lotti), di aver seguito questo provvedimento al Senato. L'ho seguito perché era una delega rimasta alla Presidenza del Consiglio e debbo confessare che il lavoro svolto dalla Commissione, e quindi ne do atto alla relatrice, ma nell'insieme all'intera Commissione, ha apportato al testo dei miglioramenti che pure erano stati presenti in quell'occasione, in un dibattito anche assai complesso al Senato, ma su cui non eravamo riusciti a trovare l'elemento di equilibrio.
Questo testo nasce dentro due necessità che io vorrei, anche alla luce degli interventi che si sono svolti nella discussione generale, provare un attimo a sintetizzare. Nasce da un'esigenza di trasparenza, di bisogno di immettere la realtà del mondo sportivo, dell'associazionismo, delle federazioni, in un contesto molto simile ai fenomeni della società italiana e per provare a individuare proprio nella governance del mondo sportivo un elemento in più di uno sviluppo maggiore della pratica sportiva. Una buona governance nei livelli alti sviluppa e porta con sé una maggiore diffusione e responsabilità in chi esercita lo sport, sia a livello professionale, che di volontariato, l'idea che lo sport è importante se è anche governato in modo chiaro, preciso e che abbia delle regole e che, quindi, non sia semplicemente affidato a un'idea di volontarismo.
All'interno di questo a me paiono molto significativi - mi auguro che il Senato li colga nel suo valore essenziale e, quindi, velocemente approvi questa legge - due elementi. Uno, che nell'esercizio delle federazioni sportive, su una pratica che era quella dell'esercizio del voto per delega, viene messo un verbo che è molto significativo. Apparterrà agli statuti delle federazioni, ma nell'esercizio per deleghe, che era uno di quegli elementi degenerativi che avvenivano nel mondo dello sport, avverrà una riduzione: comunque non superiore alle cinque deleghe per persona. Questo è un elemento estremamente importante perché ne rende esplicito il significato.
Il secondo elemento è la norma transitoria che disciplina tutto l'intero provvedimento. Importante è anche il fatto dei tre mandati: qualora si voglia accedere a un ulteriore mandato, questo può avvenire dentro una percentuale non inferiore al 55 per cento. C'è un elemento di garanzia ovvero che la regola che stiamo affidando non avviene dentro una logica per cui sono 12 o 15 anni, sta dentro un impegno politico anche da parte del CONI e delle sue strutture di federazione, ad armonizzarsi all'interno di un principio che è un principio democratico, ma è soprattutto un principio di responsabilità nei confronti di quelle migliaia di giovani, di dirigenti che, con fatica, si sono in questi anni dedicati alle complesse discipline delle federazioni sportive, e che hanno in qualche modo dato onore a questo Paese.
Spetta alla politica fare ciò e la 7° Commissione del Senato, ne va dato atto, ha lavorato con questo impegno. Vale per tutti il richiamo che hanno fatto tutte le colleghe che sono intervenute, quello di aver assunto anche una questione di principio (a volte le questioni di principio non sono risolutive, ma aprono la strada a grandi cambiamenti), di aver introdotto la possibilità di promuovere l'equilibrio di genere in un mondo molto segnato anche da elementi discriminanti. Forse non è tutto, ma è l'avvio di una riflessione che porta sempre più a fare dello sport, dello sport italiano, una delle leve dello sviluppo del soggetto umano e complessivamente di una crescita maggiore della società. Ed è per questo che, anche a nome del Governo e dello stesso Ministro Lotti, io mi auguro non solo che il provvedimento in questa Aula abbia un ampio consenso, ma che la terza lettura al Senato avvenga in maniera rapida per l'approvazione definitiva che forse lo stesso mondo dello sport attende (Applausi).
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione delle mozioni Marcon, Duranti ed altri n. 1-01662 e Corda ed altri n. 1-01663 concernenti la situazione di crisi nello Yemen, con particolare riferimento all'emergenza umanitaria e all'esportazione di armi verso i Paesi coinvolti nel conflitto (ore 15,08).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Marcon, Duranti ed altri n. 1-01662 e Corda ed altri n. 1-01663, concernenti la situazione di crisi nello Yemen, con particolare riferimento all'emergenza umanitaria e all'esportazione di armi verso i Paesi coinvolti nel conflitto (Vedi l'allegato A).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 14 luglio 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 14 luglio 2017).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare il deputato Cova. Ne ha facoltà.
PAOLO COVA. Grazie, signor Presidente. Molti sono i segni inquietanti presenti nel mondo attuale: le ingiustizie, le violenze, le guerre etniche o di altro genere che insanguinano e generano sofferenze indicibili all'umanità, ma tutte queste cose attendono una nostra risposta e non possono vederci come semplici spettatori. Questa vicenda dello Yemen è una di queste situazioni.
La questione che ci troviamo a dover affrontare oggi con queste mozioni è una questione delicata che va a riguardare, secondo me, due aspetti molto importanti. Il primo è quello che riguarda la produzione e la vendita di armi in Italia e la vendita di armi a Paesi belligeranti nello Yemen. La seconda che riguarda la situazione umanitaria nello stesso Yemen.
Non voglio essere foglia di fico né per chi riduce tutto a un semplice rispetto delle norme, chi non ritiene che sia in atto un illecito nella fornitura di armi a Paesi in guerra come l'Arabia Saudita e non vede comunque che è in atto una guerra con bombe prodotte in Italia.
Ma non voglio neanche essere foglia di fico di chi pensa che basta smettere di produrre armi in Italia per risolvere questi conflitti e queste guerre. Non dobbiamo pensare di poterci lavare la coscienza né in un modo né nell'altro, aggrappandoci a semplici proposte oppure al rispetto della legge. Credo che in merito a questo un esempio sia rappresentato dall'opera fatta da un uomo, un politico, un uomo di pace come Giorgio La Pira. Proprio qualche giorno fa, ricordando i quarant'anni della sua morte, ho colto come negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta, La Pira abbia individuato nuovi percorsi in una stagione densa di nubi nere sul tema della pace; ha avuto la lungimiranza di avere una vista acuta e ha promosso la pace quale effettiva tutela dei diritti fondamentali delle persone, superando i confini di una nazione, per avere tutti quanti una vita comune nella pace.
Questo lo ha fatto mediando e parlando con tutti, un'opera instancabile, ma preziosa, che ha poi dato i suoi frutti. Da allora sono stati fatti notevoli passi avanti, alcuni inimmaginabili negli anni della guerra fredda, ma il continuo mettersi in gioco e lavorare per disarmare il mondo ha dato alla fine i suoi frutti. Chiedo al mio Governo di non essere timido sul commercio delle armi e sul rispetto della legge n. 185 del 1990. Serve un intervento deciso, che porti l'Italia a essere un Paese che non produce, che non triangola armi o è la via di transito di armi vendute a Paesi belligeranti, che, oltre tutto, non sono rispettosi dei diritti umani e compiono violenze sui civili, avendo comunque ben presente che non sarà questa posizione di rifiuto di vendere armi che risolverà il problema, in quanto la stessa Arabia Saudita andrà a comprare armi tramite altri Paesi.
L'accordo siglato nei mesi scorsi con gli Stati Uniti per la fornitura di armi ne è un esempio. Non possiamo fare finta di niente. È certo che deve essere un percorso che coinvolge anche la stessa Unione europea, come è stato anche indicato nella risoluzione 2016/2515, che invita il Vicepresidente della Commissione e l'Alto rappresentante dell'Unione ad avviare un'iniziativa finalizzata all'imposizione da parte della UE di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita, tenendo conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale Paese nello Yemen e del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all'Arabia Saudita violerebbe, pertanto, la posizione comune assunta nel Consiglio dell'8 dicembre del 2008. Proprio per questo motivo, siamo ormai ad un crocevia decisivo, quello che non concede tentennamenti più o meno abilmente tattici, né intellettualistiche diatribe che ci permettano di traccheggiare.
Serve un continuo cambio di passo e non fermarsi solo a salvaguardare la forma, ma continuare in un'azione di bando delle armi e della fabbricazione di armi. La nostra coscienza non può stare tranquilla solo se non produciamo armi o vietiamo di vendere armi a Paesi belligeranti, ma la nostra coscienza non sarà sicuramente pulita se concediamo ancora armi a Paesi belligeranti e se non facciamo niente per evitarlo. Allora, con forza chiediamo all'Unione europea di essere protagonista di questa battaglia con noi contro la produzione e vendita di armi; un'Unione europea nata sulle ceneri di due guerre mondiali e che è stata capace di dire “mai più guerre”. Non parliamo di Europa solo pensando ai parametri europei, al fiscal compact, all'austerità, ma diamo fiato al progetto di Europa, pensando anche al ruolo che può giocare nello scacchiere internazionale, per quanto riguarda una difesa comune europea, agli interventi di vendita, produzione ed embargo di armi e relazioni con i Paesi belligeranti.
L'assunzione di una diretta responsabilità da parte dell'Italia e dell'Unione europea è il presupposto essenziale per un agire coerente e il più efficace possibile secondo quanto previsto dalla legge n. 185 del 1990 e dalla risoluzione del Parlamento europeo 2016/2515. Ci sarà bisogno di tanto lavoro ostinato e continuo, non solo per questo, ma anche per intervenire con gli aiuti umanitari a sostegno di quelle popolazioni stremate. Si discute animatamente dell'emergenza immigrati in Italia e in Europa, e anche il conflitto in Yemen sta giocando un ruolo notevole per incrementare i flussi migratori. Si parla di lotta al terrorismo, ma la situazione disastrosa sotto l'aspetto umanitario in Yemen è parte di questo problema. I conflitti nel Corno d'Africa avevano portato le popolazioni a migrare verso lo Yemen e poi verso l'Arabia Saudita negli anni scorsi; ora la guerra spinge queste persone, in fuga dal Corno d'Africa, a cercare rifugio verso l'Europa, andando ad alimentare quell'emergenza profughi che sta preoccupando la stessa Europa.
Inoltre, le persone nei campi profughi in Yemen e la popolazione stremata da queste difficoltà umanitarie, i bombardamenti sui civili e sulle strutture sanitarie, stanno diventando terreno fertile per essere arruolata nel terrorismo dell'ISIS e di Al Qaeda. Invece, un Paese unito e senza conflitti interni diventa un vero argine al proselitismo delle forze terroristiche e consentirebbe di frenare l'espandersi indiscriminato dell'ISIS e di Al Qaeda, che stanno approfittando proprio di questa lotta fra gli houthi e i sunniti. Proprio per questi motivi, diventa urgente un intervento di assistenza, visto che il conflitto è, peraltro, all'origine di un gravissimo deterioramento delle condizioni umanitarie nello Yemen, come segnalato anche dalle Nazioni Unite, che indicano un alto rischio di carestia. Inoltre, nello scontro in atto nello Yemen, l'ONU cita l'uccisione di molti civili, di diversi civili, tutte le parti in conflitto sono state accusate di crimini di guerra, tra cui attacchi indiscriminati contro aree civili, ospedali, scuole, mercati e reclutamento di bambini soldato.
Troppi Paesi sono ora coinvolti in questo scontro, due su tutti, l'Arabia Saudita e lo stesso Iran, in modo diretto o indiretto. La timidezza dell'Europa e le diverse posizioni dei Paesi europei nei confronti dei Paesi belligeranti non devono e non possono frenare l'azione di mediazione del nostro Paese. Dal 1° gennaio 2017 l'Italia è membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell'ONU, organo che ha la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, nonché, nel 2018, l'Italia assumerà la presidenza dell'OSCE. Sono responsabilità che il nostro Governo deve mettere in atto per trovare la strada per giungere ad un accordo regionale, e deve coinvolgere altri Stati, non direttamente esposti, che possano ricondurre al tavolo di una trattativa le due fazioni combattenti. Chiedo, allora, che l'Italia convochi immediatamente un tavolo a Roma tra le parti belligeranti, con gli Stati donatori, perché metta al tavolo tutte quelle persone che possono dare una soluzione al conflitto. L'Italia deve essere promotore, ed inviti l'Alto rappresentante Mogherini a essere parte di questo percorso, proprio perché l'Europa deve esserne protagonista.
Allora bisogna lavorare attivamente con le Nazioni Unite per un'azione umanitaria con la partecipazione di tutti i Paesi, per far fronte a tutte queste situazioni di crisi e di difficoltà, perché non possiamo pensare ai guai e alle difficoltà che stanno vivendo quelle popolazioni. È necessario consentire l'ingresso e la distribuzione di generi alimentari e farmaci, di cui vi è un urgente bisogno. Abbiamo la possibilità di fare un passo in avanti nel progetto della costruzione di un mondo che riduca i propri conflitti e vada a intessere relazioni pacifiche, civili e di rispetto fra i popoli. Facciamolo, ma ho anche presente che la realtà con cui ci approcciamo ogni giorno conta più dell'ideale.
Facciamo tutti i passi possibili per andare avanti e proseguiamo sulla riconversione della produzione di armi, ma tenendo presente che solo iniziando il cammino si arriva alla meta. Oggi possiamo fare questo passo!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Giulio Marcon, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01662. Ne ha facoltà.
GIULIO MARCON. Presidente, signora sottosegretaria, colleghi e colleghe, noi abbiamo depositato e proposto una mozione sulla situazione della crisi nello Yemen, con riferimento in particolare all'emergenza umanitaria, ma anche rispetto al tema dell'esportazione di armi verso i Paesi coinvolti nel conflitto.
L'abbiamo presentata coinvolgendo anche parlamentari e deputati di diversi gruppi politici: è una mozione unitaria, che fa riferimento anche all'esperienza dei parlamentari per la pace (sono deputati di vari gruppi i parlamentari che l'hanno sottoscritta). Riprende, il testo di questa mozione, due risoluzioni approvate dal Parlamento europeo nel corso degli scorsi mesi: in particolare, la risoluzione del 25 febbraio 2016 e la risoluzione, che riprende questa prima mozione del Parlamento europeo, del 15 gennaio 2017.
Si tratta di mozioni impegnative, che chiedono all'Unione europea di intraprendere i passi necessari per porre fine a questo conflitto, almeno per arginarlo, per fermare la violazione dei diritti umani e soprattutto per venire incontro ad una situazione umanitaria drammatica, che coinvolge ormai milioni di persone. Ricordiamo che sono 10 mila gli yemeniti uccisi durante gli anni di guerra e, di questi, circa la metà sono vittime civili; ricordiamo anche che oltre 40 mila sono le persone ferite durante la guerra. Si calcola che siano addirittura 2 milioni le persone sfollate, costrette dai combattimenti, dalla guerra, da una guerra civile, a lasciare le loro case e a trovare rifugio nei campi delle Nazioni Unite o in altre sistemazioni di fortuna.
Noi chiediamo un intervento, anche attraverso queste mozioni in discussione, che presentiamo oggi, un intervento del nostro Governo: del Parlamento innanzitutto, ma una richiesta al Governo di intervenire per fare tutto il possibile per dare attuazione alle risoluzioni approvate appunto dal Parlamento europeo; quindi anche le forze di maggioranza, che oggi esprimono il Governo, hanno votato in sede del Parlamento europeo quelle mozioni.
Quelle mozioni presuppongono un impegno, anzi chiedono un impegno all'Europa, all'Unione europea, affinché si attivi in maniera più energica per porre fine a questo conflitto, per intervenire di fronte alla crisi umanitaria, che è sotto gli occhi di tutti e che prima ricordavo, e per porre fine a quel commercio, a quel trasferimento di armi che è una delle cause alla base della continuazione di un conflitto così sanguinoso.
È un impegno che viene chiesto a tutti i Paesi dell'Unione europea; è un impegno che noi dovremmo prendere come Paese per essere coerenti con quello che abbiamo chiesto all'Europa, quindi bloccando la vendita delle armi ai Paesi dell'area, ai Paesi che sono coinvolti in questa guerra. Ricordo che nell'ultimo anno, nella relazione sulla legge n. 185 del 1990, che regola appunto il commercio di armamenti, il Governo ci ha informato che abbiamo venduto armi per il valore di 250 milioni di euro all'Arabia Saudita. Ricordiamo inoltre che l'ANSA, Avvenire e altre fonti giornalistiche internazionali ci hanno rivelato che sono stati rinvenuti dei frammenti di ordigni e di bombe prodotte da industrie italiane in Yemen: bombe che sono state usate appunto contro i civili, che sono state usate nel corso di questa guerra.
Quindi, noi chiediamo innanzitutto di dare attuazione a quanto previsto dalla risoluzione del Parlamento europeo, nel senso che il Governo italiano dovrebbe impegnarsi con più forza per dare seguito a questo impegno, che molte forze politiche hanno assunto nel Parlamento europeo, forze politiche che sostengono questo Governo; e poi per chiedere che ci sia appunto un'iniziativa a tutto campo, per promuovere negoziati e un'attività diplomatica di pace per portare ad una soluzione non violenta di questo conflitto.
Impegniamo il Governo a chiedere a tutti i Paesi, forze straniere che sono impegnate, di non intervenire in Yemen: tra tutte, l'Arabia Saudita, che ha un ruolo di primo piano in questo conflitto; di intervenire rispetto alla situazione umanitaria, che - ricordavo - è molto drammatica: 10 mila morti, 40 mila feriti, 200 mila persone che sono state colpite anche dall'assedio di alcune città in Yemen, milioni di persone sfollate; di cercare di intervenire per garantire l'intervento umanitario: ricordo che solo nel gennaio scorso è stato colpito un ospedale di Medici Senza Frontiere; ricordo che gran parte degli ospedali sono inagibili, Save the children ci dice che a molti ospedali non è possibile avere accesso.
L'Unicef ci ricorda che gran parte dei ragazzini e dei bambini yemeniti non possono andare a scuola, non possono accedere all'istruzione: una situazione drammatica dal punto di vista sanitario, dal punto di vista dell'infanzia di questo Paese e dal punto di vista dell'agibilità di un Paese ormai attraversato da anni di guerre e che non riesce a trovare la via della pace.
L'Italia dovrebbe fare di più, dovrebbe dare l'esempio, dovrebbe impegnarsi in sede europea per fare in modo che su questa risoluzione - che tra l'altro, ricordo, prevede l'embargo totale della vendita delle armi all'Arabia Saudita e negli altri Paesi coinvolti nel conflitto - dovrebbe dare l'esempio, chiedendo all'Europa di fare questo, dovrebbe essere l'Italia stessa, in prima persona, ad impegnarsi per non vendere armi all'Arabia Saudita. Noi riteniamo che in questo modo tra l'altro venga violata la legge n. 185 del 1990 sul commercio delle armi, che vieta - ricordo - di vendere armi a Paesi in guerra, a Paesi che violano i diritti umani, che si macchiano di crimini legati alla violazione del diritto umanitario internazionale.
Chiediamo inoltre di lavorare per risolvere una situazione di grande instabilità nel Medio Oriente. Ricordiamo che il Qatar è stato oggetto, poche settimane fa, di un'azione internazionale, con Paesi che l'hanno promossa, tra cui l'Arabia Saudita, che l'hanno indicato come uno dei Paesi sostenitori del terrorismo internazionale. Ebbene, al Qatar noi vendiamo armi per un valore di 340 milioni di euro e quindi anche qui siamo incoerenti: da una parte, un Paese accusato di sostenere il terrorismo e, poi, un altro Paese, l'Italia, che, in violazione della legge n. 185, continua a vendere armi al Qatar. In violazione di questa legge, della legge n. 185, continua a vendere armi all'Arabia Saudita.
Ovviamente siamo consapevoli dei problemi che riguardano l'industria militare del nostro Paese e della necessaria riconversione, ma un intervento necessario sarebbe quello di bloccare l'export di armi verso questi Paesi, non alimentare con altra benzina sul fuoco un conflitto che dura da troppo tempo, mettere in campo tutte le iniziative umanitarie di carattere diplomatico, di concerto anche con gli altri Paesi europei, capaci di dare il segno di un'iniziativa di pace del nostro Paese. Non è certo vendendo le armi all'Arabia Saudita e al Qatar che diamo un segno di pace: magari diamo un segno di interesse al business dell'industria militare, ma dobbiamo ricordare che altre sono le priorità di una politica estera di un Paese che voglia promuovere stabilità, sicurezza e pace in un'area così nevralgica, come quella del Golfo Persico e del Medio Oriente in generale.
Ecco perché noi con questa mozione - e concludo - chiediamo, come ricordavo prima, un voto: chiediamo un voto che impegni il Governo italiano a sostenere, a promuovere con grande forza la risoluzione, le risoluzioni del Parlamento europeo, che chiedono - ricordo ancora una volta - l'embargo verso l'Arabia Saudita per quanto riguarda l'export delle armi.
Chiediamo anche un gesto unilaterale del nostro Paese, di essere coerente con l'impegno che si chiede in Europa e quindi di sospendere il traffico e il commercio delle armi verso l'Arabia Saudita.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
GIULIO MARCON. E chiediamo - e concludo - un'iniziativa politica di carattere più generale.
L'Arabia Saudita sappiamo che è un Paese molto importante nell'area, sappiamo che è un Paese importante anche dentro i conflitti e le dinamiche delle tensioni internazionali di quel Paese. Sappiamo il ruolo che gioca rispetto ai conflitti e alle situazioni di tensione con Paesi come l'Iran, la Siria ed altri ancora.
Pensiamo che da questo punto di vista il segnale dell'Italia, di un'iniziativa di pace e di cooperazione, di una politica estera non di guerra, sarebbe molto importante per dare un contributo alla pacificazione di quella regione, alla sua stabilità, e ad una sicurezza comune e condivisa, che non si può fondare - ripeto - sulla vendita delle armi, ma si deve fondare sulla prevenzione dei conflitti e su un'iniziativa diplomatica, capace di portare la pace in tutta la regione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Frusone, che illustrerà anche la mozione Corda ed altri n. 1-01663, di cui è cofirmatario.
LUCA FRUSONE. Grazie Presidente. Siamo qui di nuovo a parlare del conflitto in Yemen e dico, da una parte, sfortunatamente, perché appunto non è cessato, ma dall'altra fortunatamente, perché questa guerra ormai è nascosta agli occhi di tutti. Sempre di meno se ne parla nei media tradizionali e sempre di meno se ne parla in quest'Aula. Noi abbiamo provato con diversi atti - e ringraziamo anche le varie associazioni pacifiste che hanno spronato questo Parlamento con questa mozione -, ma effettivamente è veramente indegno il comportamento che l'Italia sta mantenendo davanti a questa situazione. Già dei numeri sono stati dati. Si è parlato di oltre 10 mila morti, di 40 mila feriti, tra cui naturalmente anche bambini e donne, e poi 2 milioni di sfollati.
Ecco, noi proprio l'altro giorno eravamo in quest'Aula a parlare anche di immigrazione, allora, mi chiedo come l'Italia possa parlare, come questo Governo possa parlare di immigrazione se al tempo stesso è complice nel creare 2 milioni di sfollati, che naturalmente ancora non sono arrivati in Italia, perché trovano rifugio nei Paesi vicini; ma poco a poco la situazione sarà incontrollabile anche per i Paesi vicini e naturalmente il flusso diventerà quello, che ormai è l'unico aperto, cioè quello della rotta mediterranea. Ed ecco che avremo di nuovo altri morti nel Mediterraneo, avremo di nuovo nuove lacrime di coccodrillo e dichiarazioni di intenti, che poi si infrangeranno contro quel muro, che ormai oggi è l'Europa.
Quindi, dello Yemen bisogna parlarne. Bisogna parlarne, però, in maniera seria, perché purtroppo, ogni qual volta abbiamo sollevato questo tema, abbiamo ricevuto in un certo senso giri di parole o in alcuni casi delle vere e proprie bugie. Infatti, fu un servizio di LeIene, principalmente, a sollevare questo polverone, perché vennero ritrovate delle bombe italiane sul suolo yemenita e si chiese anche al Ministro della difesa, al Ministro degli esteri, che è l'attuale Presidente del Consiglio, cosa volesse fare l'Italia di fronte a questa partecipazione alla distruzione di un Paese. Purtroppo, abbiamo assistito veramente a delle risposte incredibili, perché tutti si trinceravano dietro la legge n. 185 del 1990 ed un presunto embargo europeo. Embargo europeo che poi, attraverso un'azione parlamentare a livello di Parlamento europeo, è stato richiesto. Però, la nostra legge n. 185 del 1990, in realtà, prevede tranquillamente anche la possibilità che l'Italia si muova da sola e applichi un embargo a questi Paesi, che sono coinvolti nel conflitto dello Yemen. Purtroppo, ogni volta che l'abbiamo chiesto, appunto, abbiamo avuto questo schermo dell'embargo europeo, questo scudo dell'embargo europeo. Invece, noi oggi qui con questa mozione siamo a chiedere un embargo italiano, perché l'Italia ha una corresponsabilità enorme in tutto questo. Noi abbiamo fatto diversi question time, dove ogni volta, purtroppo, dovevamo aggiornare il numero delle vittime e ogni volta dovevamo parlare di questa fabbrica italiana, che produce delle bombe, che partono dalla Sardegna ed arrivano in Arabia Saudita.
Abbiamo anche parlato dell'assurdo commercio che l'Italia mette in campo quando si parla di armi. Solo nel 2016 l'Italia ha venduto qualcosa come quasi mezzo miliardo di euro di armi all'Arabia Saudita. Come ho detto, poi, queste armi ce le ritroviamo sul territorio yemenita e per assurdo - questa è veramente un'assurdità - alcune di queste bombe hanno contribuito a distruggere una fabbrica italiana in Yemen! Cioè noi esportiamo bombe che vanno a distruggere fabbriche italiane in Yemen. Questo è quello che sta accadendo oggi. Senza considerare poi - naturalmente è già stato detto - gli ospedali, le scuole e tutte le vittime civili di questo conflitto. Ma la cosa più assurda - e qui capiamo che non c'è proprio voglia di affrontare questo discorso e, anzi, si cerca sempre di perdere e prendere tempo - è quando abbiamo parlato, ad esempio, dei rapporti che si sono guastati tra Arabia Saudita e Qatar. L'Arabia Saudita, che da mezzo mondo è accusata di sostenere il terrorismo, ha accusato il Qatar di sostenere il terrorismo. Noi abbiamo fatto un question time, chiedendo se il Governo volesse prendere delle iniziative di fronte a questa accusa palese, chiara e riportata da tutti i giornali. Ebbene, anche qui si è nicchiato, anche qui si è perso tempo e, in un certo senso, visto che mezzo mondo accusa l'Arabia Saudita di sostenere il terrorismo, visto che l'altra metà accusa il Qatar, l'Italia vende armi a tutti e due, proprio per non sbagliare. Questa è l'ipocrisia di questo Governo, quando si parla di armi, quando si parla di antiterrorismo e quando si parla di immigrazione.
Un Governo normale dovrebbe mettere fine a tutto questo. Purtroppo, non accade, vediamo che si continua a perdere tempo, si continua a rimandare tutto all'Unione europea. Per questo noi in questa mozione scriviamo chiaro e tondo che l'Italia deve aprire questo dialogo, ma soprattutto deve agire con i poteri che ha, come Paese sovrano, e smetterla di dare le armi a chi sta combattendo una guerra in un altro territorio, non nel suo, per interessi strettamente economici.
Il problema, infatti, è tutto politico, perché noi abbiamo la legge n. 185 del 1990, che è una legge persino innovativa rispetto a molte altre leggi in Europa, però il problema è che da anni, ormai, la politica si arroga il diritto di decidere che cos'è un conflitto e che cosa non è un conflitto. Aspetta magari un embargo da qualche ente sovranazionale, come l'ONU o come l'Unione europea, e nel frattempo però continuiamo a fare affari con queste persone, che stanno bombardando un'intera nazione. Quindi, si è capito chiaramente che il problema è della politica, della politica che non parla di un conflitto vero e proprio. Essendo una guerra civile, quella in Yemen, con attori esterni, non la vede come un classico conflitto fra due Stati, ma la vede, appunto, come una guerra civile. Quindi, al momento, perché non vendere le armi all'Arabia Saudita, visto che fanno entrare mezzo miliardo di euro l'anno?
Ma quello che c'è dietro tutto questo in realtà è, dal mio punto di vista, ancora più drammatico. Noi, di fronte a quest'aspetto, a questa violazione della legge n. 185 del 1990, abbiamo naturalmente chiamato in causa chi di dovere, ossia la magistratura. Quando non si rispetta una legge, si chiama un giudice a stabilire se effettivamente ci sia stato un reato. Il MoVimento 5 Stelle ha depositato un esposto contro il Ministro della difesa e quello che era all'epoca il Ministro degli esteri Gentiloni, attualmente Presidente del Consiglio. Un'indagine è anche stata aperta e, da quello che sappiamo, pare che sia stata tutta concentrata, visto che sono state diverse le procure ad aprire un filone.
Ma quello che noi non vorremmo scoprire, visto che con gli immigrati ci abbiamo azzeccato, è che magari l'Italia si sta trasformando in una sorta di paradiso per le autorizzazioni delle armi, nel senso che alcuni Paesi, per via delle loro leggi e per la grande pressione etica che viene da fuori, non si spingono a dare armi a determinati Paesi. E allora magari, volendo, uno potrebbe tranquillamente creare una succursale italiana, quindi con dei piccoli aggiustamenti ad un'arma che però viene da un'altra parte, riesce ad avere il bollino made in Italy, ecco a quel punto che l'autorizzazione non spetterà più al Paese d'origine, ma all'Italia, che, come abbiamo visto, è molta larga di mano a dare le autorizzazioni, visto che non viene bloccato nulla, visto che chiunque ci chiede delle armi noi gliele vendiamo.
Ed ecco che allora si potrebbe creare questa sorta di meccanismo, per aggirare delle altre leggi, e quindi l'Italia si trasforma in un semplice contabile, che autorizza con un timbro le esportazioni di armi, che non si potrebbero fare in altri Paesi. Questo è qualcosa di veramente grave, perché l'Italia - lo ricordo - ripudia la guerra, perché l'Italia è sempre stata capofila di tante manifestazioni e di tante azioni, come il ripudio anche del nucleare, come le campagne per lo sminamento.
È sempre stata leader di questi movimenti ed, oggi, invece, purtroppo, si sta trasformando nella nazione leader in fatto di autorizzazioni facili a nazioni che sono all'ombra del terrorismo e che usano queste armi per bombardare dei civili. Noi, tutto questo, non lo vogliamo e per questo abbiamo ripresentato questa mozione, per questo continueremo con i question time, continueremo anche la nostra via giudiziaria per vedere che cosa sta, realmente, accadendo; perché l'Italia, oggi, non si può più permettere di essere il capofila, invece, di guerra, di distruzione e, quindi, di sfollati, di immigrazione, per, poi, magari trovarci qualcuno, qui, che siede nei banchi del Governo, a darci le sue ricette per il fenomeno dell'immigrazione.
La prima ricetta in assoluto per fermare l'immigrazione è smetterla di bombardare gli altri Paesi. Lo abbiamo visto con la Libia; anche chi, oggi, dai banchi dell'opposizione vuole dare le proprie ricette, parlo ad esempio di quel centrodestra che nel 2011 bombardò allegramente la Libia, aiutò a bombardare la Libia e, oggi, viene qui a sciorinarci le proprie risposte per l'immigrazione. Se proprio, come dice qualcuno, visto che ormai lo dicono tutti - è una cosa che dicono tutti - , volete aiutarli a casa loro, beh, prima di tutto non bombardateli a casa loro. Questa sarebbe la prima regola se si parla di immigrazione. Se proprio non ci riuscite, non vendete le armi a chi li bombarderà a casa loro, questa è la seconda regola e, dopo, allora, ci potremo sedere a un tavolino e affrontare il problema dell'immigrazione, perché se voi continuate a vendere armi a questi Paesi, bene, allora, continueranno ad arrivare persone che scappano da quei Paesi. È una cosa estremamente logica; l'unica cosa che si frappone fra la logica e, poi, un atto concreto sono quei miliardi di euro che l'industria bellica fattura, grazie alle vostre autorizzazioni molto, molto allegre. Quindi, il succo è tutto questo.
Io spero che l'Italia, di fronte a queste mozioni - non c'è solo la nostra, ce ne sono altre, prima di me ha parlato il collega Marcon, come dicevo questa è un'iniziativa partita da vari gruppi pacifisti che hanno fatto anche una conferenza, qui, in Parlamento -, spero che il Governo, questa volta, ci ascolti, perché altrimenti è inutile qualsiasi ricetta per l'immigrazione, qualsiasi ricetta contro il terrorismo. Dobbiamo, innanzitutto, pensare a dare la possibilità a queste persone di non fuggire dal loro Paese e lo dobbiamo fare con un embargo principalmente italiano, dopodiché vedremo anche l'Europa che cosa vuole fare, ma abbiamo visto che l'Europa non ci ascolta in materia di immigrazione; non possiamo utilizzare l'Europa come scudo per nascondere l'inerzia del Governo italiano. Questo è tutto quello che avevo da dire.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale, Vincenzo Amendola.
VINCENZO AMENDOLA, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Colgo l'opportunità per rispondere ad alcune sollecitazioni che sono contenute nel testo delle mozioni e, ovviamente, per continuare il dibattito, in attesa che tutti i gruppi parlamentari partecipino con testi a questo stesso dibattito, precisando e facendo alcune precisazioni - nel corso di questo dibattito, come di quello che verrà - così come fatto anche nel corso di incontri con associazioni pacifiste che hanno promosso alcune parti di questo testo.
Colgo, quindi, l'opportunità, di ragionare sul complesso della vicenda, sia per quanto riguarda il conflitto in Yemen, sia per quanto riguarda l'applicazione della legge dello Stato n. 185, cercando di evitare sovrapposizioni. Su altri temi sollevati, da ultimo, anche dal collega Frusone, non rispondo, come su alcune letture di accuse internazionali a Paesi finanziatori; questo sta al vaglio delle considerazioni fatte, così come tralascio, ovviamente, il legittimo diritto delle opposizioni anche di sollevare questioni extra parlamentari per quanto riguarda la vicenda.
Se mi permettete, procedo con alcune precisazioni nell'analisi del testo, aprendo questo dibattito, che noi siamo ben lieti, così come avvenuto già in passato, di continuare su questa vicenda.
Sulla situazione nello Yemen e sulle azioni umanitarie intraprese, intendo sottolineare in premessa, in apertura, che il Governo ha espresso ripetutamente, anche in questi ultimi mesi, nella sua veste di membro non permanente del Consiglio di sicurezza e di presidenza di turno del G7 nel 2017, la preoccupazione forte per il grave deterioramento della situazione in Yemen, con il riaccendersi del confronto militare dopo il fallimento dell'ultima tornata negoziale a Kuwait City che aveva aperto delle prospettive molto importanti per quanto riguarda la via politica, l'uscita politica dal conflitto. Noi dedichiamo costante attenzione a questo deterioramento della situazione umanitaria, alimentato dalle difficoltà negli approvvigionamenti di derrate alimentari e beni essenziali, dagli ostacoli all'accesso umanitario frapposti da tutte le parti nel conflitto e aggravato dal dislocamento dei servizi di base, dovuto agli scontri.
Siamo consapevoli del moltiplicarsi delle notizie di vittime tra la popolazione civile e di infrastrutture di base prese di mira dalle azioni militari di tutte le parti coinvolte nel conflitto; notizie che, peraltro, trovano riscontro nei rapporti delle organizzazioni internazionali umanitarie.
In questo scenario, sin dall'inizio della crisi, l'Italia si è attivata per recare sollievo alle sofferenze della popolazione; in occasione della conferenza dei donatori di Ginevra dello sorso 25 aprile, il Governo italiano ha annunciato un contributo pari a 10 milioni di euro di aiuti umanitari nel biennio 2017-2018. In ambito internazionale ci siamo adoperati per creare meccanismi di monitoraggio coordinato, volti a scongiurare il ripetersi di episodi in cui infrastrutture civili e umanitarie siano coinvolte nelle operazioni militari. Tendo, questo, a precisarlo in apertura, perché, ovviamente, il nostro obbligo, insieme a voi del Parlamento, è rendere conto di tutte le azioni per intervenire, dal punto di vista umanitario, sugli effetti di questo conflitto, ma sul piano politico, sulla situazione del conflitto in Yemen - che a volte viene rimosso dal nostro dibattito, sovrapponendo i temi del disarmo, giusti e legittimi, come tutte le posizioni in campo - a volte si omette un'analisi completa del conflitto apertosi.
L'Italia, con il ministro Gentiloni, prima, e con il Ministro Alfano, adesso, è impegnata nella promozione di una soluzione negoziata e inclusiva del conflitto civile yemenita, nella consapevolezza, qui ripetuta in Aula, varie volte, che la soluzione del conflitto non possa essere militare, ma possa essere solo di natura politica. Lo abbiamo da ultimo fatto sia in sede di G7 dei Ministri degli esteri a Lucca, sia nell'ambito del Consiglio affari esteri dell'Unione europea.
Credo occorra guardare alla situazione con molto equilibrio e invito a farlo per tentare, tutti insieme, di sostenere questa via negoziale, questa via politica alla risoluzione del conflitto. Non va dimenticato che, nel 2014, c'è stato un vero e proprio sovvertimento dell'ordine istituzionale, da parte degli Houthi, operato da milizie paramilitari. Il colpo di Stato vero e proprio ha interrotto un processo di transizione in atto, portando alla deposizione del Presidente Hadi e dichiarando decaduto il Parlamento yemenita. Di fronte a questa situazione e all'aggravarsi della minaccia terroristica portata da Al Qaeda in larga parte del territorio yemenita, che ha approfittato del vuoto di potere nel Paese, è stato avviato, nel 2015, su richiesta e a sostegno del Governo legittimo, un intervento militare, a cui partecipa una coalizione composta da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Qatar, Kuwait, Sudan, Egitto e Marocco.
Ricordo che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, approvando all'unanimità, il 15 febbraio 2015, la risoluzione 2201, ha deplorato le azioni unilaterali degli Houthi e ha chiesto ai ribelli di partecipare ai negoziati a guida ONU, di ritirarsi dalle istituzioni governative, di rilasciare i membri del Governo ancora sotto arresto e di porre termine ad ogni iniziativa unilaterale.
Va rilevato come proprio gli Houthi abbiano deciso, all'ultimo momento, di uscire dei negoziati di Kuwait City, rigettando la proposta che era il frutto di tre mesi di negoziati e che aveva fatto intraprendere una via per superare il conflitto militare. Per questo, le risoluzioni del Consiglio di sicurezza hanno poi confermato il regime sanzionatorio, risoluzione 2204, approvata il 25 febbraio 2015, e stabilito l'embargo di armi contro gli Houthi, risoluzione 2216, approvata il 14 aprile 2015.
Vorrei dire, per completare il quadro dell'azione nella direzione indicata dalle Nazioni Unite, che il nostro Governo, nelle dichiarazioni in Parlamento, nelle dichiarazioni pubbliche anche nelle missioni, ha recentemente continuato a lavorare su questa linea sostenendo e ribadendo, a nome del Paese, del Ministero degli affari esteri, insieme alle missioni mie, del Ministro e dell'inviato speciale nominato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per lo Yemen, in ogni missione in Arabia Saudita - l'ultima incontrando il Segretario generale del Consiglio di cooperazione degli Stati del Golfo, bin Rashid Al Zayani - che i Paesi del Golfo, adesso, anche nel quadro, purtroppo, di una crisi ultima sviluppata, possono svolgere, come si era visto a Kuwait City, un ruolo fondamentale nella crisi e che occorre condividere un approccio comune basato sull'inclusione, sul dialogo politico e sulla tutela delle minoranze, con il pieno coinvolgimento dei principali attori regionali.
I temi della sicurezza e delle varie crisi regionali, fra le quali quelle dello Yemen, sono stati al centro dei nostri colloqui con diversi esponenti del Governo saudita nella missione che citavo, nelle missioni che si susseguono quotidianamente non solo in sede bilaterale, ma anche in sede multilaterale, come alle Nazioni Unite. All'inviato del Segretario generale delle Nazioni Unite per lo Yemen, Cheikh Ahmed, e al Viceministro degli esteri yemenita abbiamo, inoltre, sottolineato che l'Italia, insieme agli altri partner, sostiene fortemente la mediazione delle Nazioni Unite e i negoziati per il cessate il fuoco; negoziati che auspichiamo possano riprendere il più presto possibile, vista anche la situazione umanitaria oramai estremamente critica.
In qualità di membro del Consiglio di sicurezza e in collaborazione con i suoi alleati, siamo pronti a discutere ed individuare, nel quadro delle Nazioni Unite -, perché da lì e principalmente su quella strada viene la gestione della crisi e del superamento del conflitto, vista una soluzione politica -, possiamo elaborare misure e strumenti che possano affrontare la questione della mancanza di fiducia tra le parti, che si è espressa e si è vista in Kuwait ultimamente, e garantire che gli accordi raggiunti da queste parti possano essere pienamente attuati.
Per riassumere e per ripetere quella che è la posizione su un aspetto principale delle mozioni da voi presentate, cioè sul conflitto in Yemen, i punti qualificanti della nostra posizione sono: la convinzione che, nonostante il vulnus alla legittimità istituzionale delle milizie Houthi e il conseguente intervento della coalizione araba, la soluzione al conflitto in corso debba essere politica e non militare; la ricerca di una ricomposizione pacifica della controversia attraverso un compromesso negoziato basato necessariamente sul criterio di inclusione più ampio possibile di tutte le componenti della popolazione; l'impegno attivo a favorire una soluzione politica anche attraverso il costante sostegno e la mediazione delle Nazioni Unite agli sforzi dell'inviato speciale per lo Yemen del Segretario Generale ONU, volti a promuovere una cessazione delle ostilità e un accordo di pace tra le parti contrapposte.
Per quanto riguarda un altro aspetto delle mozioni sulla vendita delle armi alla coalizione, con riferimento alle posizioni espresse, anche noi al Ministero degli affari esteri abbiamo aperto alla discussione e all'incontro, le posizioni pacifiste e contrarie per principio al commercio delle armi meritano, comunque, un rispetto. Tuttavia, a me preme qui presentare, così come abbiamo presentato ad associazioni che abbiamo incontrato, il tema del rispetto della normativa vigente, che è un tema assolutamente collegato ai conflitti, in un'ottica, però, che riguarda alcuni elementi sottoposti dagli onorevoli presentatori delle mozioni.
Le esportazioni di armamenti sono regolate dalla legge n. 185 del 1990 e seguenti modifiche e le autorizzazioni delle relative licenze coinvolgono, previamente, diversi fra Ministeri ed enti, sia nell'analisi del merito della singola operazione che in termini di pareri per i Paesi extra UE-NATO. In materia di politica di armamenti, l'Italia si muove in stretto raccordo con i partner dell'Unione europea, con i quali vi sono incontri periodici di coordinamento a Bruxelles; ci muoviamo, altresì, in un quadro di stretto coordinamento con i nostri principali alleati. Vorrei ricordare che nei confronti dei singoli membri della coalizione non esistono embarghi, sanzioni o altre forme di restrizione stabiliti a livello internazionale ed europeo. Nel caso specifico dei membri della coalizione, che, tra l'altro, fanno anche parte della coalizione anti-Daesh, le richieste di imprese italiane per ottenere la licenza di esportazione di armamenti sono valutate in modo particolarmente rigoroso ed articolato, caso per caso, sulla base delle norme italiane, europee ed internazionali, di cui il Parlamento è ovviamente edotto, vista la presentazione del rapporto. Naturalmente, ove in sede di Nazioni Unite o Unione europea fossero accertate eventuali violazioni, l'Italia si adeguerebbe immediatamente a prescrizioni o divieti.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Modifica nella composizione della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa.
PRESIDENTE. Comunico che, a seguito delle dimissioni presentate dalla deputata Anna Ascani quale componente effettivo della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ai sensi dell'articolo 56, comma 4, del Regolamento e sulla base delle indicazioni del presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico, la deputata Ascani è sostituita dalla deputata Sandra Zampa, attualmente membro supplente della medesima delegazione.
La deputata Ascani sostituisce a sua volta la deputata Zampa quale componente supplente.
Modifica nella composizione di una componente politica del gruppo parlamentare Misto.
PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data odierna, il deputato Maurizio Bianconi ha dichiarato di dimettersi dalla componente politica Direzione Italia, continuando ad aderire al gruppo Misto.
Interventi di fine seduta.
GEA SCHIRO'. Chiedo di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
GEA SCHIRO'. Grazie, Presidente. Per comunicare ed esprimere preoccupazione per l'attracco domani, a Catania, il presunto attracco, l'atteso attracco, della nave “C-Star”, una nave paramilitare affittata a Gibuti da “Generazione identitaria”, un gruppo di giovani francesi, italiani, tedeschi, appartenenti alla Repubblica Ceca, Austria, credo slovacchi, attraverso un crowdfunding abbastanza opaco: due tranche, una di 70 mila euro e una di 100 mila dollari. Questa “Generazione identitaria”, quest'associazione, già a maggio aveva bloccato l'uscita dal porto di Catania della nave “Aquarius” della ONG Sos Méditarranée, ostruendo l'ingresso del porto. Le indicazioni che dà della sua attività è di impedire l'arrivo delle navi dei migranti monitorando i transponder - l'accensione e lo spegnimento -, ma non avendo nessun mandato. Essendo molto giovani, non è chiaro che regole di ingaggio si siano autodati, tranne che una crociera nel Mediterraneo per monitorare i cosiddetti taxi del Mediterraneo.
Già diverse associazioni, come Sant'Egidio, la rete antirazzista e l'ARCI hanno sporto denuncia e hanno chiesto al presidente della regione e al Ministero dei trasporti di bloccare la presenza di questa nave.
Sarebbe importante che il Governo si attivasse per non continuare a permettere ciò ad associazioni non politiche: “Generazione identitaria” dice di fare metapolitica ed attivismo. La metapolitica e l'attivismo hanno un passo breve, per noi che abbiamo una certa età, verso derive pericolose all'interno della società, di tutte le società nazionali, e questo è un momento in cui è necessaria la maggiore coesione nazionale interna possibile.
Annunzio di una informativa urgente del Governo.
PRESIDENTE. Avverto che, nella seduta di giovedì 20 luglio, alle ore 12, avrà luogo un'informativa urgente del Governo con la presenza del Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare sull'emergenza incendi.
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Martedì 18 luglio 2017, alle 11:
1. Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni.
(ore 14)
2. Informativa urgente del Governo sulla situazione in Venezuela.
(ore 15,30)
3. Seguito della discussione della proposta di legge:
DAMBRUOSO ed altri: Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento di matrice jihadista. (C. 3558-A)
Relatori: POLLASTRINI, per la maggioranza; LA RUSSA, di minoranza.
4. Seguito della discussione delle mozioni Ruocco ed altri n. 1-01594, Melilla ed altri n. 1-01653, Marchi, Tancredi, Librandi, Tabacci, Locatelli, Gebhard ed altri n. 1-01654, Brunetta ed altri n. 1-01655, Simonetti ed altri n. 1-01658, Capezzone ed altri n. 1-01659 e Paglia ed altri n. 1-01668 in materia di trasparenza dei contratti derivati stipulati dal Ministero dell'economia e delle finanze.
5. Seguito della discussione della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 e sul Programma di lavoro della Commissione per il 2017. (Doc. LXXXVII-bis, n. 5-A)
Relatrice: BERLINGHIERI.
6. Seguito della discussione del disegno di legge:
Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2017. (C. 4505-A)
Relatrice: BERLINGHIERI.
7. Seguito della discussione della proposta di legge:
RICHETTI ed altri: Disposizioni in materia di abolizione dei vitalizi e nuova disciplina dei trattamenti pensionistici dei membri del Parlamento e dei consiglieri regionali. (C. 3225-A/R)
e delle abbinate proposte di legge: VACCARO; LENZI e AMICI; GRIMOLDI; CAPELLI ed altri; VITELLI ed altri; LOMBARDI ed altri; NUTI ed altri; PIAZZONI ed altri; MANNINO ed altri; SERENI ed altri; CAPARINI ed altri; GIACOBBE ed altri; FRANCESCO SANNA; TURCO ed altri; CRISTIAN IANNUZZI; MELILLA ed altri; CIVATI ed altri; BIANCONI; GIGLI ed altri; CAPARINI ed altri.
(C. 495-661-1093-1137-1958-2354-2409-2446-2545-2562-3140-3276-3323-3326-3789-3835-4100-4131-4235-4259)
Relatori: RICHETTI, per la maggioranza; TURCO, di minoranza.
8. Seguito della discussione della proposta di legge:
FIANO ed altri: Introduzione dell'articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista. (C. 3343-A)
Relatori: VERINI, per la maggioranza; FERRARESI, di minoranza.
9. Seguito della discussione della Relazione all'Assemblea sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali e sull'attuazione degli statuti speciali, approvata dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali. (Doc. XVI-bis, n. 11)
10. Seguito della discussone delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-01582, Allasia ed altri n. 1-01549, Donati ed altri n. 1-01542, Della Valle ed altri n. 1-01565, Laffranco ed altri n. 1-01610, Palese ed altri n. 1-01640 e Ricciatti ed altri 1-01641 concernenti iniziative relative all'applicazione della cosiddetta direttiva Bolkestein.
11. Seguito della discussione della relazione sul fenomeno della contraffazione sul web, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo. (Doc. XXII-bis, n. 9)
12. Seguito della discussione delle mozioni Carfagna, Lupi, Abrignani, Castiello, Cirielli ed altri n. 1-01557, Brignone ed altri n. 1-01661, Silvia Giordano ed altri n. 1-01665, Gadda ed altri n. 1-01666, Vargiu ed altri n. 1-01667 e Fossati ed altri n. 1-01669 concernenti iniziative in materia di raccolta e donazione dei farmaci non utilizzati.
13. Seguito della discussione della proposta di legge:
S. 361 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: RANUCCI e PUGLISI: Modifiche al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, in materia di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e delle federazioni sportive nazionali, e al decreto legislativo 27 febbraio 2017, n. 43, in materia di limiti al rinnovo delle cariche nel Comitato italiano paralimpico (CIP), nelle federazioni sportive paralimpiche, nelle discipline sportive paralimpiche e negli enti di promozione sportiva paralimpica (Approvata dal Senato). (C. 3960-A)
Relatrice: COSCIA.
14. Seguito della discussione delle mozioni Marcon, Duranti ed altri n. 1-01662 e Corda ed altri n. 1-01663 concernenti la situazione di crisi nello Yemen, con particolare riferimento all'emergenza umanitaria e all'esportazione di armi verso i Paesi coinvolti nel conflitto.
La seduta termina alle 16.