XVII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 851 di venerdì 15 settembre 2017
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI
La seduta comincia alle 10.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
ROBERTO CAPELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amici, Chaouki, Dambruoso, Giancarlo Giorgetti, Lotti, Marazziti, Marcon, Pes, Pisicchio, Rampelli, Sanga, Sani, Simone Valente e Valeria Valente sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
I deputati in missione sono complessivamente ottantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 10,05).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
(Intendimenti riguardo alla rilevazione di contaminazione radioattiva ascrivibile all'“evento Chernobyl”, nonché iniziative volte a prevedere l'obbligo di accertamenti radiometrici presso impianti produttivi e discariche – n. 2-01881)
PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno Zolezzi ed altri n. 2-01881 (Vedi l'allegato A).
Chiedo all'onorevole Zolezzi se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
ALBERTO ZOLEZZI. Grazie, Presidente. Con questa interpellanza, cerco di porre uno stimolo al Governo in modo che una normativa, che di per sé stessa, formalmente, può sembrare efficace, possa però migliorare e adattarsi a quella che sembra essere la realtà della situazione ambientale per quanto riguarda i rifiuti con eventuale radioattività.
La legge che regolamenta lo smaltimento dei rifiuti radioattivi è il decreto legislativo n. 230 del 1995; i rifiuti radioattivi provenienti da lavorazioni industriali devono subire una sorveglianza radiometrica per quanto riguarda i prodotti semilavorati metallici in caso di attività di importazione, raccolta e deposito quando si esercitino attività di fusione di rottami o nei casi di attività di importazione di questi prodotti a scopo industriale o commerciale; deve essere rilevato il livello anomalo di radioattività e di eventuali sorgenti dismesse e deve essere garantita la protezione dei lavoratori e della popolazione.
Per quanto riguarda, invece, le discariche di rifiuti, il decreto ministeriale del 27 settembre 2010 sui criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica non prevede, appunto, che ci siano controlli particolari per quanto riguarda l'eventuale radioattività. Poi, è vero che a titolo volontaristico, in alcune discariche, questo controllo avviene, però, appunto, è questo uno dei punti normativi che si cerca di stimolare a modificare, sia in ingresso che, poi, come vedremo, in uscita. La normativa nazionale deriva dalla direttiva n. 2013/59/Euratom del Consiglio; nel 5 dicembre 2013, furono stabilite le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall'esposizione a radiazioni ionizzanti. Si faceva riferimento allo stoccaggio e allo smaltimento di materiale radioattivo, non c'era, però, un esplicito riferimento alla prevenzione di possibili illeciti o abusi o alla gestione di eventuali illeciti risalenti.
In Italia esistono e sono note diverse realtà caratterizzate da inquinamento storico, dove sono stati conferiti, storicamente, materiali e rifiuti, anche in ambito transfrontaliero, con tracciatura non completa e non precisa; cito la discarica di rifiuti industriali definita “collina dei veleni” e il sito di interesse nazionale per inquinamento di Mantova e lo stesso stabilimento Ilva di Taranto, che ha un annesso, un deposito di scorie radioattive nel comune di Statte. Secondo la ricostruzione dell'ingegnere Rabitti nel libro Diossina. La verità nascosta a Mantova finirono persino le diossine di Seveso, che, forse, furono anche bruciate dentro lo storico inceneritore dei rifiuti speciali presente, fino a pochi anni fa, nel polo chimico.
Attualmente, la “collina dei veleni” ricade sotto la gestione della società Syndial, nata nel 2003 da Enichem, una società di ENI dedicata al risanamento ambientale. Nell'ambito delle attività industriali intrinseche di ENI è possibile individuare la presenza di radionuclidi naturali per accrescimento di concentrazione e materiale definito Tenorm, legato alla produzione di fertilizzanti, fosforite naturale, e all'estrazione di idrocarburi, per la presenza, anche qui, di radionuclidi naturali. Rifiuti da tale attività non dovrebbero essere presenti nella collina per cui, a norma di legge, non vengono eseguiti dosaggi radiometrici.
Nel perimetro di 1.205 metri sottoposto addirittura a palancolatura, recentemente, per la necessità di procedere all'asportazione totale dei rifiuti in parte pericolosi, quindi, non sono stati eseguiti, però, i controlli radiometrici. Lo stesso si può dire per il deposito ex Cemerad, nel comune di Statte, relativo, in parte, anche a materiale proveniente dall'Ilva di Taranto.
Anche la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite nel ciclo dei rifiuti si è recata numerose volte presso questa sede; finalmente sta iniziando la rimozione dei 18.000 fusti ivi presenti; è emersa l'ipotesi che alcuni dei rifiuti provenienti dall'Ilva dipendano, appunto, da questo “evento Chernobyl”; queste sono le parole dall'attuale commissario alle bonifiche Vera Corbelli. I filtri da “evento Chernobyl” erano quelli dei camini in funzione durante il disastro di Chernobyl e il successivo fall out, che avrebbero determinato passaggi di alti volume di aria contaminata nelle ciminiere.
In realtà, la zona di Taranto risulta fra le meno contaminate a livello nazionale da quell'evento, per cui c'è da osservare che ci sono altri siti industriali a livello nazionale, appunto, acciaierie e centrali di vario genere, che, eventualmente, potrebbero avere subito la stessa contaminazione, se è vero quello che è stato riferito dal commissario e anche da altre autorità, compreso il sindaco di Statte.
Presso l'Ilva, peraltro, la sorveglianza epidemiologica documentò un eccesso di patologie oncologiche potenzialmente correlabili a un'esposizione a radiazioni ionizzanti, come il carcinoma tiroideo riscontrato da un punto di vista epidemiologico con degli eccessi statisticamente significativi. Questo è scritto nella relazione al Parlamento del 25 luglio 2016, scritta e firmata dai commissari Carruba, Gnudi e Laghi per quanto riguarda lo studio su 15.000 lavoratori dell'officina di carpenteria, fra il 2005 e il 2014. Questi ventinove casi di carcinoma della tiroide costituiscono appunto una malattia sentinella da esposizione a radiazioni. Il tempo di latenza, tra i 10 e i 30 anni, riporta a esposizioni possibili relative a metà anni Ottanta-anni Novanta. Dopo il 2014 al momento, non risultano, in quella relazione, altri casi.
Presso l'Ilva avviene il controllo radiometrico in ingresso di materiali ferrosi o prima del conferimento di rifiuti metallici in discariche interne, questo a norma di legge; non vengono, però, controllati, da un punto di vista radiometrico, i rifiuti in uscita dal perimetro aziendale, inviati, per esempio, in provincia di Mantova o di Brescia; sono stati inviati per un certo periodo in provincia di Siracusa, ma, successivamente, ci fu un'opposizione popolare molto forte e, poi, ci fu appunto l'inchiesta “Piramidi” che bloccò questi conferimenti. L'archivio cartaceo di Statte è stato sequestrato nel 2016, quello che ne era rimasto; apparentemente, prima del sequestro, ci furono alcune sottrazione di materiale documentale.
Questi sono i dati; appunto, anche per la “collina dei veleni” è avvenuta la palancolatura e inizierà a breve l'asportazione del materiale. Io personalmente avevo già rivolto un appello a Syndial perché ci fosse questo controllo radiometrico del materiale, ma mi è stato risposto che questo non avverrà, appunto, a norma di legge. Infatti, io non contesto la legittimità delle procedure, ma, visto che in quella discarica, come in altre, a livello nazionale, può essere stato conferito materiale improprio, anche radioattivo, credo che sia il caso di pensare di imporre questa procedura.
Parliamo di una procedura che costerebbe poche migliaia di euro, su appalti plurimilionari e questo consentirebbe di chiudere eventualmente una filiera, un cerchio, un circolo, in qualche modo, vizioso che, sicuramente, negli anni Ottanta e all'inizio degli anni Novanta, in Italia, c'è stato.
Ci sono state varie inchieste, tutto sommato non si è mai arrivati a delle conclusioni; il fenomeno cosiddetto delle “navi dei veleni”, però, adesso, più che andare a ricercare le affermazioni, chi ha detto che cosa, chi erano le fonti e quant'altro, sarebbe il caso di evitare che, se per caso, qualcosa di strano è finito in quelle sedi, possa, poi, dare altre problematiche, altre patologie alle persone, ai lavoratori in primis e anche ai cittadini, anche perché, poi, questo materiale viene smaltito in Italia o all'estero, viene magari bruciato e poi ci si potrebbe trovare che all'estero qualcuno decide di fare il controllo radiometrico e questo chiaramente bloccherebbe tutte le operazioni, se poi si riscontrasse qualche anomalia. Se si fa il controllo in uscita, si vede direttamente nelle sedi se ci sono problemi. Ripeto, parliamo di una spesa minima e parliamo di tante, tante informazioni, notizie, articoli, inchieste, che, con un controllo banale, si riuscirebbe in qualche modo a mettere a tacere o, comunque, avere una sicurezza attuale. Sento, appunto, il sottosegretario Velo cosa ha da dirmi in merito.
PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.
SILVIA VELO, Sottosegretaria di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare. Scusate, è l'interpellanza n. 2-01881, vero? Perché sono due di Zolezzi. Con riferimento alla questione posta, innanzitutto, occorre precisare che, per quanto riguarda la sorveglianza radiometrica, il decreto legislativo n. 230 del 1995, articolo 157, come da ultimo modificato dal decreto legislativo n. 100 del 2011. impone l'obbligo della sorveglianza radiometrica, specificatamente a carico dei soggetti che esercitano, a scopo industriale o commerciale, attività d'importazione, raccolta, deposito o operazioni di fusione di rottami metallici e di altri materiali metallici di risulta, nonché quelli che esercitano le attività di importazione di prodotti semilavorati metallici. Tali disposizioni sono rivolte a garantire la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione da eventi che possono comportare esposizioni alle radiazioni ionizzanti e sono state redatte in modo tale da garantire la loro diretta applicabilità.
Va, inoltre, sottolineato che il decreto legislativo n. 230 del 1995 stabilisce specifiche disposizioni sulla gestione e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi derivanti dagli impianti nucleari e dall'impiego di sorgenti artificiali di radiazioni ionizzanti. Lo stesso decreto, come è noto, ha subito, peraltro, incisive modifiche per effetto dell'attuazione, nell'ordinamento italiano, della direttiva 96/29/Euratom. In aderenza agli orientamenti internazionali di radioprotezione, recepiti appunto dalla suddetta direttiva, le modifiche normative hanno consolidato una distinzione di fondamentale importanza in ordine all'individuazione della disciplina legislativa applicabile ai diversi fenomeni di presenza di radiazioni ionizzanti, in particolare quelle derivanti dai nuclidi radioattivi. Per stabilire la soggezione o meno di una particolare attività lavorativa con materie naturali alle norme di radioprotezione occorre, infatti, avere riguardo alla valutazione del caso specifico, in particolare in termini di dose. Va, inoltre, ricordato che la Commissione europea ha fornito indicazioni tecniche agli Stati membri per quanto concerne il rilascio incondizionato di materie radioattive naturali dalle attività lavorative in argomento.
Va, altresì, considerato che la legge di delegazione europea 2014 stabilisce che la direttiva Euratom deve essere attuata entro i termini di recepimento previsti nella direttiva stessa, ossia il 6 febbraio 2018 e, pertanto, non sono ancora definite le modifiche che verranno apportate alla legislazione nazionale di radioprotezione in materia.
Va tenuto conto, altresì, che, nel processo di recepimento della direttiva 2013/59/Euratom, l'elenco delle attività lavorative disciplinate dal decreto legislativo n. 230 del 1995, possono subire una revisione e non si può, quindi, escludere che ulteriori attività possano rientrare tra quelle soggette alla normativa nazionale di radioprotezione.
Per quanto attiene al deposito di rifiuti ex Cemerad, va precisato che lo stesso non è annesso allo stabilimento ILVA di Taranto, né può essere a questo direttamente riferibile, essendo, viceversa, ubicato nel comune di Statte. Per gli interventi di rimozione dei contenitori di rifiuti radioattivi e l'eventuale bonifica del sito, con decreto-legge n. 1 del 5 gennaio 2015, sono stati destinati fino a 10 milioni di euro. Il commissario straordinario nominato per l'attuazione dell'intervento di messa in sicurezza e gestione dei rifiuti pericolosi e radioattivi siti nel deposito sta attuando gli interventi di competenza secondo il piano operativo di intervento.
Nel suddetto deposito sono attualmente presenti circa 16.700 fusti di rifiuti radioattivi, in parte decaduti, mentre le sorgenti radioattive ed i filtri degli impianti di condizionamento contaminati dal cesio 137 derivante dall'incidente di Chernobyl sono stati recentemente rimossi e conferiti a un deposito autorizzato. A tal proposito, anche la Prefettura di Taranto ha evidenziato che i fusti radioattivi contenenti filtri da evento Chernobyl non conterrebbero quelli dei camini in funzione durante il disastro Chernobyl e il successivo fall-out, che avrebbe determinato il passaggio di alti volumi di aria contaminata nelle ciminiere, bensì i filtri di impianti di condizionamento, contaminati da quell'evento e ritirati da strutture pubbliche e private. In vista dello svolgimento di tale attività, la Prefettura si è, peraltro, dotata di uno specifico piano provinciale di emergenza.
Il commissario straordinario dell'ILVA ha, inoltre, precisato che non vi è un controllo all'uscita dello stabilimento sui rifiuti conferiti all'esterno, perché i controlli si effettuano in via preventiva agli ingressi in stabilimento di materiali metallici, per evitare la contaminazione all'esterno. La legge impone, infatti, controlli radiometrici all'ingresso delle discariche che ricevono i rifiuti. Il commissario straordinario ha evidenziato, altresì, che la struttura commissariale ha fatto eseguire approfondimenti dalla Clinica di medicina del lavoro dell'Università di Milano circa i casi di carcinoma alla tiroide per le aree di officina carpentiera e ha fatto presente che sulla questione la procura di Taranto ha proceduto all'archiviazione del caso.
Occorre, infine, ribadire che è in corso il recepimento, entro il 6 febbraio 2018, della direttiva 2013/59/Euratom del Consiglio del 5 dicembre 2013, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall'esposizione di radiazioni ionizzanti e che abroga le precedenti direttive in materia. La direttiva comprende 109 articoli, 19 allegati e sostituisce 5 direttive.
Ad ogni modo, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, rappresentando uno strumento di ulteriore tutela della protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione in generale, tenendo conto, comunque, che va attentamente calibrato anche in relazione alla natura delle installazioni, con norme adeguate ed efficaci.
PRESIDENTE. L'onorevole Zolezzi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
ALBERTO ZOLEZZI. Ringrazio il sottosegretario Velo. La parte che mi soddisfa è quella in cui si conferma che, tramite la direttiva, potrebbero rientrare ulteriori attività per quanto riguarda il controllo radiometrico. Mi spiace, invece, che lo stimolo al momento non sia stato raccolto, mentre, invece, ripeto ci sono ancora attività di ogni tipo, anche parlamentari, su questo tema. La Commissione - chiamiamola - ecomafia, ancora in questi giorni, ancora lunedì, avrà audizioni su questo tema dei rifiuti radioattivi eventualmente intombati sotto il mare, intombati in sedi da definire. Per cui, semplicemente, quando si hanno realtà un po' particolari, a parte l'aspetto legato alla giurisprudenza, per cui c'è stata questa chiusura dell'indagine sui decessi per carcinomi alla tiroide, però è chiaro che qualche cosa che non andava c'era.
Ricordiamo altre inchieste proprio sul porto di Genova, quando la barra radiometrica in porto, per lunghi periodi, è stata in attivata per motivi dolosi, così potrebbe essere successo anche in uno stabilimento come l'ILVA, se poi si sono verificate patologie diciamo patognomoniche per esposizione a radiazioni. Per cui rimane quello che vuole essere uno stimolo costruttivo a dire: attenzione, perché, ripeto, con poche migliaia di euro si potrebbe cercare di evitare che eventuali presenze di materiale radioattivo, magari mescolato per tutta una serie di motivi, possano contaminare o possano danneggiare ulteriori lavoratori o possano danneggiare ulteriori ambienti e anche persone esposte nelle aree limitrofe a questi materiali.
Ripeto, basterebbe una barra anche in uscita, benissimo, non sto accusando nessuno di illeciti, tanto meno gli attuali gestori, non accuso Sindia, non accuso l'ILVA di Taranto, che, comunque, su questo aspetto stanno seguendo la normativa, però, il Governo e il Parlamento su questo punto possono, a mio parere, fare di più, perché è inutile poi cercare lo scoop, cercare di interrogare il pentito, cercare di interrogare e capire quali sono le fonti. Alcune hanno nomi anche un po' da romanzo, come questa fonte “Pinocchio”, che non si sa chi sia e che ha parlato di questi veleni radioattivi portati in Liguria. Ricordiamo che vi sono alcuni dati abbastanza consolidati: fu previsto il progetto di inserire i rifiuti radioattivi dentro a dei siluri in modo che non fossero depositati sul fondo, ma che i siluri perforassero il fondo del mare in modo da depositarli a 40-50 metri di profondità, ovviando alla normativa che imponeva di non depositarli sul fondo.
Poi, l'azione di studio normativo posta in essere presso la Commissione europea, e poi anche a livello internazionale, generale, bloccò questo tipo di studi, però ci sono stati imprenditori che hanno operato sul nostro suolo, che si sono occupati di questa attività, che, nella fase in cui se ne occupavano, avevano anche sicuramente del materiale da gestire. Questo materiale con precisione non si sa dove sia finito. Parliamo, poi, di un periodo - quello della fine degli anni Ottanta - in cui ci fu la caduta del muro di Berlino: in quegli anni, i materiali radioattivi, anche gli stessi provenienti dalla centrale di Chernobyl, furono in qualche modo movimentati e con precisione non si sa dove siano finiti.
Adesso il mio stimolo era quello di ragionare sul fatto che se, probabilmente, alcune fonti non vorranno mai essere nominate - se alcune realtà, alcune investigazioni hanno avuto notevoli difficoltà è anche perché erano partite in un periodo in cui la normativa ambientale non era ancora così serrata in termini di tracciatura -, adesso basterebbe mettere qualche sbarra del costo di poche migliaia di euro per verificare che non si portino in giro rifiuti di un certo tipo.
Con riferimento all'Ilva di Taranto, adesso abbiamo un'impresa. Non voglio criticare l'impresa Ambienthesis, però la cosa strana è che adesso ha vinto l'appalto per rimuovere una parte dei rifiuti della “collina dei veleni” a Mantova e la stessa impresa (il titolare storico è la famiglia Grossi) era partita, dal punto di vista imprenditoriale, proprio dentro l'Ilva di Taranto.
Un insieme di indizi non è detto che facciano una prova, però vi è una serie di collegamenti, vi sono sicuramente aspetti che, con poche operazioni poco costose, potrebbero davvero dare la prova provata che alcuni materiali non saranno pericolosi, anche perché il discorso sui rifiuti radioattivi è molto vivo e non è facile da gestire: vediamo la difficoltà che hanno questo Governo e tutti gli enti scientifici e di controllo ad individuare un deposito nazionale per le scorie.
Per cui questo tema va seguito bene, anche cercando delle soluzioni a poco prezzo che possano davvero ridurre i rischi di esposizione, visto che, poi, se c'è un'esposizione, i rischi sono davvero grandi. Pertanto, ringrazio, tutto sommato, il Governo e il Parlamento per questa interlocuzione che c'è stata; continuerò a cercare di stimolare e di mettere in opera queste azioni a mio parere semplici e vedremo se dalle ulteriori audizioni sul tema emergeranno altri dati.
(Iniziative di competenza volte a verificare la sicurezza idrogeologica a Genova anche in relazione a costruzioni realizzate ed in corso di realizzazione in aree esondabili – n. 2-01902)
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Zolezzi ed altri n. 2-01902 (Vedi l'allegato A).
Chiedo all'onorevole Battelli se intenda illustrare l'interpellanza, di cui è cofirmatario, o se si riservi di intervenire in sede di replica.
SERGIO BATTELLI. Grazie, Presidente. Le alluvioni a Genova e in Liguria hanno provocato, dal 1970 ad oggi, ottantadue morti e danni ingentissimi. Il 4 ottobre 2010, a Varazze, il paese dove vivo, è stato colpito da un'alluvione che ha provocato enormi danni per fortuna senza nessuna vittima; stessa cosa a Genova Sestri, quella sera stessa. Il 25 ottobre 2011, tredici morti furono causati dall'alluvione nelle Cinque Terre e in Val di Vara. Il 4 novembre 2011 esondavano il Bisagno, il rio Fereggiano ed il rio Mermi a Genova, causando la morte di sei persone. Il 9,10 e 11 ottobre 2014 a Genova, a Chiavari e in molti altri comuni della Liguria, un'altra onda di fango spazzò via tutto, causando la morte di una persona e danni stimati a circa 250 milioni di euro. Questi sono solo alcuni dei numeri che hanno tristemente toccato Genova e, in generale, tutta la Liguria.
Detto questo, a Genova, invece di investire in prevenzione e cura del territorio, si è concesso ancora di costruire, di costruire ovunque.
Negli ultimi cinque anni, sono state realizzate alcune strutture e sono ancora in corso di realizzazione altre che definisco discutibili, per non dire folli, anzi dico proprio folli dal punto di vista della sicurezza idraulica, che da sempre è il tallone d'Achille di tutta la Val Bisagno, e non solo la Val Bisagno.
Sulla foce del rio Mermi è stato recentemente realizzato l'enorme Bricoman, uno scatolone enorme di cemento grigio e arancione all'interno della piana alluvionale dello stesso rio, costringendo il corso d'acqua, che già è esondato, in una sorta di strettoia tortuosa e angusta: un vero e proprio imbuto. A Genova Molassana, alla confluenza tra il Bisagno e il torrente Geirato, già esondato, anche questo, nel 2011 e nel 2014, è stato costruito un parcheggio interrato su più livelli, senza alcuna considerazione della realtà idrica dell'area, che è allagabile. Ma non è finita qui.
Sempre lungo il tratto terminale del torrente Geirato, nelle ex aree della Boero, è in costruzione un centro residenziale ed è appena stato inaugurato un nuovissimo centro commerciale, che vede la realizzazione di alcuni piani al di sotto della quota di scorrimento del torrente medesimo. Anche qui, i clienti che parcheggeranno la macchina nei garage dovranno sapere che quest'area è allagabile. Ricordo che la Val Bisagno non è una valle di centinaia di chilometri: è una zona fortemente edificata lunga qualche chilometro e proprio in questa valle è stato costruito di tutto.
Le opere di manutenzione del territorio comunale di Genova appaiono carenti: c'è un pilone scalzato dell'autostrada nel corso del Bisagno in piena città; in Lungobisagno Dalmazia gli argini appaiono a rischio; il ponte Feritore in Val Bisagno appare avere i piloni praticamente sul vuoto e si notano briglie torrentizie sospese sul vuoto, proprio nella zona di Staglieno, che, anche lì, è già stata allagata ed è esondato il fiume.
I lavori di messa in sicurezza del Fereggiano prevedono la realizzazione di uno scolmatore. Il primo progetto presentato dall'assessore ai lavori pubblici, Crivello, che poi fu candidato con il Partito Democratico alla carica di sindaco, era stato bocciato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici nel 2014. In particolare, la portata di dimensionamento dell'opera era stata - e cito testualmente - “definita in maniera convenzionale, senza sviluppare un apposito studio idrogeologico riferito ai bacini idrografici di interesse”. Inoltre, non teneva adeguatamente conto dei processi di cambiamento climatico in atto da diversi anni sul territorio ligure, tanto che - e cito ancora testualmente - “le stime del tempo di ritorno della portata di progetto definiscono in modo non sufficientemente preciso il rischio residuo di inondazione e, per incapacità dell'opera di scolmo, la portata in arrivo da monte”.
Da notizie di stampa di inizio 2017, sono stati intrapresi lavori per la realizzazione dello scolmatore secondo un nuovo progetto, con una serie di attività di scavo mediante piccole cariche di esplosivo nel tunnel sotto le aree del padiglione specialità pronto soccorso e monoblocco dell'ospedale San Martino. I lavori hanno di sicuro provocato notevoli allarmi per le vibrazioni e per il rumore di queste esplosioni, appunto. Questi sono stati finanziati dal comune di Genova con il contributo del Piano nazionale per le città, pari a 25 milioni di euro. Il recente decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri per il programma “Italia sicura” ha poi permesso uno stanziamento di 5 milioni, tale da raggiungere l'importo di 45 milioni di euro necessari alla realizzazione dell'opera. Il termine dei lavori è previsto ad agosto 2018. I lavori di realizzazione della galleria sono attualmente completati al 25 per cento, mentre le opere di sostegno dello sbocco al mare sono al 45 per cento.
Genova è la mia città, la città dove ho passato anni della mia vita, dove ho visto centinaia di cittadini, imprenditori e artigiani, perdere tutto, riprendersi e tirarsi su e, dopo qualche anno, tornare di nuovo con il fango fino al soffitto. L'ho visto personalmente questo. Molti, tanti, si sono rialzati, un'altra volta, con il Governo Renzi che, a pochi giorni dall'ennesima alluvione, ha avuto il coraggio di chiedere il pagamento delle tasse come se nulla fosse successo. Ma Genova è ancora viva e si è ripresa. I genovesi sono un popolo forte. La Liguria e Genova sono territori che hanno vissuto da sempre tra cemento e fango, uno peggio dell'altro: colate di cemento, poi, l'autunno, la pioggia, il fango, i morti e gli ennesimi danni, gli enormi danni.
A Genova sono stati tombati corsi d'acqua considerati poco più di ruscelli, che hanno devastato e ucciso - parlo del rio Fereggiano -, parcheggi interrati ai lati del Bisagno: tutto solo ed unicamente per rispondere alla fame di cemento alla base delle politiche del centrosinistra controllato dalle coop rosse, che hanno colato cemento e distrutto la piccola e media impresa, gli artigiani e le piccole realtà in ogni zona di Genova. Lo so benissimo cosa vuol dire per un ligure, per un genovese, aver paura: oggi in Liguria abbiamo paura delle nuvole che arrivano da Ponente, abbiamo paura della pioggia. Questo non può essere accettato nel 2017: avere paura della pioggia. Non può essere accettato. La Liguria è l'emblema delle politiche sbagliate, basate solo sul cemento e la zero prevenzione da parte di Governi interessati solo al profitto. Da ligure questo non posso e non voglio più accettarlo.
PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.
SILVIA VELO, Sottosegretaria di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare. Presidente, innanzitutto si fa presente che la criticità idraulica della regione Liguria, in particolare del torrente Bisagno, è nota da tempo e testimoniata purtroppo dalle gravi alluvioni verificatesi nei decenni scorsi e confermata dai vari studi e approfondimenti che si sono susseguiti. Proprio in considerazione di tale evidente e grave situazione di criticità, già nel 1998 è stato sottoscritto da regione Liguria, provincia di Genova e comune di Genova un protocollo di intesa mirato alla mitigazione dell'emergenza idraulica del bacino del torrente Bisagno.
Nel 2001 è stato approvato il Piano di bacino stralcio per la difesa idrologica (Pai) del torrente Bisagno, che, sulla base di specifici studi e approfondimenti tecnici, da un lato, ha definito il quadro di pericolosità idraulica del bacino del Bisagno, individuando ampie zone rosse, e dall'altro ha individuato gli interventi necessari per la messa in sicurezza del tratto terminale, confermando tra l'altro le opere già individuate nel protocollo di intesa.
In particolare, a seguito dell'analisi delle possibili alternative di intervento per garantire il deflusso in sicurezza e considerato il contesto fortemente urbanizzato in cui si deve operare, sono state individuate, come ipotesi operative e di sistemazione idraulica, il massimo aumento della capacità di smaltimento del tratto terminale, con l'ampliamento delle sezioni al di sotto della copertura esistente e il completo rifacimento della stessa e la realizzazione di un canale scolmatore in galleria in grado di smaltire circa 400 metri cubi al secondo dal Bisagno.
Circa l'utilità dello scolmatore, il comune di Genova ha evidenziato che l'opera ha ottenuto tutti i pareri e i nulla osta richiesti dalla normativa vigente in materia e ha precisato che è l'unica tipologia di opera che consente di sgravare dalle portate dei monti i tratti tombinati di valle dei rivi Fereggiano, Noce e Rovere.
Si specifica che le predette opere sono complementari e reciprocamente necessarie per il raggiungimento dell'obiettivo di messa in sicurezza per eventi di piena con tempo di ritorno duecentennale e nel loro insieme consentiranno di ricondurre il rischio al livello assunto come target dalla normativa nazionale e regionale.
Inoltre, si fa presente che nel 2013 e nel 2014 è stato elaborato, su finanziamento regionale, uno studio idraulico di dettaglio con modellistica bidimensionale e rilievi topografici, i cui esisti sono stati recepiti nella variante di Piano di bacino adottata nel 2016.
Per quanto riguarda invece il rio Mermi e il rio Ca' de' Rissi, nelle vicinanze dei quali sono stati realizzati rispettivamente l'edificio Bricoman e un centro commerciale, la regione ha fatto notare che entrambe le opere sono state oggetto di interventi di sistemazione idraulica adeguatamente progettati e realizzati a spese dei soggetti privati interessati, al fine di scongiurare esondazioni fino a un tempo di ritorno duecentennale, con adeguato franco idraulico.
Per quanto concerne l'area dell'ex colorificio Boero, il comune di Genova ha fatto presente che è stata prevista la realizzazione di una tombinatura del rio Ca' de' Rissi che, unitamente all'intervento di sistemazione idraulica del rio dell'Olmo, in corso di progettazione, consentirà la riduzione della pericolosità della zona.
Si rappresenta inoltre che, a seguito dell'individuazione degli interventi di messa in sicurezza del torrente Bisagno sono stati ricercati possibili finanziamenti. I lavori per adeguare il tratto terminale coperto del torrente sono stati avviati a seguito dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3344 del 19 marzo 2004, recante disposizioni urgenti di protezione civile, che ha disposto che il presidente della regione Liguria provveda alla realizzazione di un primo lotto funzionale all'intervento in parola, individuando le risorse finanziarie necessarie pari a complessivi 70 milioni di euro.
Nel 2010, con la sottoscrizione dell'accordo di programma finalizzato alla programmazione e al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico tra il Ministero dell'ambiente e la regione Liguria, sono state stanziate risorse pari a 35,73 milioni di euro, al fine di realizzare un secondo stralcio dell'intervento di adeguamento della copertura; mentre, con il DPCM del 15 settembre 2015, è stato approvato il piano stralcio per le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio, il quale ha finanziato interventi afferenti il bacino del Bisagno per un totale di euro 275 milioni.
Nel mese di novembre dello scorso anno è stato inoltre sottoscritto l'accordo di programma tra il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente, il presidente della regione Liguria, il sindaco della città metropolitana, con il quale è stato formalmente assegnato al presidente della regione, in qualità di commissario straordinario di Governo, lo stanziamento di ulteriori 275 milioni.
La regione Liguria ha segnalato infine che lo studio di Silvestro non presenta elementi innovativi rispetto allo stato di conoscenze del piano di bacino e conferma di fatto quanto già noto sulle criticità del bacino allo stato attuale, in quanto prescinde dagli interventi in fase di realizzazione e di rifacimento della copertura terminale dello scolmatore del Bisagno e del rio Fereggiano. La regione ha evidenziato in particolare che dai dati disponibili derivanti dagli studi più aggiornati, come verificabili dal piano di bacino aggiornato, già il primo lotto del rifacimento della copertura completato comporta un sensibile aumento della capacità di smaltimento e una conseguente diminuzione dei livelli di pericolosità idraulica.
Ovviamente, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a vigilare e a tenere alta l'attenzione su tale problematica.
PRESIDENTE. L'onorevole Zolezzi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
ALBERTO ZOLEZZI. Presidente, ringrazio il sottosegretario Velo. È bene che si parli oggi di questi argomenti, nel senso che sulla regione Liguria - in questi giorni almeno - non abbiamo emergenze attive in atto, anche se purtroppo in altre parti d'Italia abbiamo già avuto molte, troppe vittime. In questi momenti si dovrebbe riuscire a pianificare ed eventualmente anche a rivedere quello che è stato fatto.
La regione Liguria ha risposto sullo studio di Silvestro, che è comunque pubblicato su una rivista, NaturalHazards, nel 2016, e che stima appunto la possibilità di avere fino a 700 vittime nella città di Genova se si verificasse un evento climatico estremo, simile alle precipitazioni cadute nel 2011 nelle Cinque Terre, riportando questo fenomeno su Genova e sul Bisagno. Credo che questo dato non aggiungerà forse nulla di che, però i numeri parlano abbastanza chiaro.
In merito a quello che è stato detto dal sottosegretario, di questi 400 metri cubi eventualmente che possono essere gestiti dallo scolmatore, ricordiamo che in altri studi si parla della possibilità di avere ulteriori 1.000 metri cubi di acqua da gestire, quindi, purtroppo, ce ne sono 600 che rimarrebbero fuori. Quindi, pensare di avere fatto costruzioni in aree esondabili, a mio parere è il primo punto assolutamente opinabile di quello che è stato fatto nella regione Liguria.
Andando avanti su questo tema, lo scolmatore è stato appunto definito per quanto riguarda una serie di corsi d'acqua, ma con un'azione sul corso d'acqua principale, sul Bisagno, decisamente residuale. Per cui, l'idea dello scolmatore è un'idea storica, in cui si era definito che la partenza doveva essere molto più a monte, e a quel punto si poteva cercare in qualche modo di gestire questo sovrappiù di volumetrie idriche anche per quanto riguarda il Bisagno; a quel punto, lo scolmatore poteva costituire l'ottima soluzione per rapporto fra costi e benefici.
Poi ci sono altre idee, come la decostruzione, per allargare la foce eccessivamente impermeabilizzata del Bisagno, o cercare di creare un vero e proprio corso d'acqua parallelo, ma anche questi con costi un pochino maggiori.
Tra queste quattro idee, adesso quella che viene messa in pratica è uno scolmatore solamente a livello del Fereggiano. Questa idea dei 400 metri cubi, a mio parere, è decisamente opinabile, anche perché è piuttosto stretto. In merito il rischio, che era stato evidenziato nel primo progetto, poi bocciato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici - ne ero andato a ritirare una copia personalmente -, addirittura si parlava di un canale a pressione in cui l'acqua doveva passare a 80-90 chilometri all'ora. Quindi, se per caso fosse entrata un'automobile, avremmo visto in pratica espulsioni di automobili contro le navi ancorate nel porto di Genova. Insomma, era un'idea assolutamente folle. Adesso, poi, si è tornati indietro, si è cambiato un pochino il progetto, però la sezione rimane comunque piuttosto ridotta e non si capisce se davvero questi calcoli siano stati poi discussi in maniera pubblica, perché, probabilmente, se fosse stato fatto, sarebbe stato nuovamente bloccato. È strano, appunto, che, con la difficoltà che avrebbe chiunque a trovare fondi per il dissesto, su circa un miliardo di fondi operativi arrivati contro il dissesto idrogeologico, in Liguria un pochino di soldi sono arrivati, perché con questo piano di ricostruzione dello scolmatore si sale sopra i 200 milioni, con il resto delle opere previste in Liguria si arriva a 300. Siamo più o meno a un terzo di tutta la cifra operativa spesa contro il dissesto in tutta Italia.
Quindi, non ci si lamenta delle cifre, ma bisogna lamentarsi, però, di quella che è la tecnica prevista, dove probabilmente si spenderanno sicuramente tanti soldi; addirittura ci sono stati dei rischi, questo scolmatore è stato costruito negli scorsi mesi addirittura con l'esplosivo, rischiando di far crollare l'ospedale di San Martino che è posto sopra alla sezione di questo canale sotterraneo, per poi avere una struttura che apparentemente raccoglie l'acqua solo da una parte del bacino idrico genovese e non va a cogliere la parte principale, quella che ha creato più spesso problemi, che è quella del fiume Bisagno, che è stato troppo tombato sotto strutture di cemento. E conveniva, probabilmente, fare un ragionamento di respiro un po' più ampio.
Si decide che ci siano fondi, ben venga. Probabilmente, tutto questo è legato a queste modifiche, questo “sblocca Italia”, dove ci vogliono opere immediatamente cantierabili. Il dissesto è stato creato negli anni da piani di scellerato consumo di suolo, abbiamo più di 7 mila comuni in Italia a rischio di frane e di alluvioni. E, quindi, quello che deve essere fatto in Italia è un tornare indietro, opere per la tutela del suolo devono tornare a funzionare in parallelo. Se si consuma troppo suolo, è chiaro che aumenta il rischio idrogeologico. Con lo “sblocca Italia” si è cercato di avere le opere immediatamente cantierabili, si è dato a questi presidenti di regione il ruolo di commissario. Quindi, persone che, parliamoci chiaro, statisticamente non hanno la preparazione tecnica per contrastare queste gravi criticità devono poi prendere decisioni in questo senso e non hanno la minima capacità di intervento tecnico su quello che poi viene proposto, come in questo caso, dove i tecnici… purtroppo io li invito tutti a parlare, a far sentire la propria voce, perché, quando vengono proposte opere così inutili, sicuramente arrivano tanti soldini, si movimenta denaro, ma poi l'effetto sulla riduzione del rischio, a mio parere, è decisamente residuale. Abbiamo questa necessità di ritornare alla legge n. 183 del 1989, con le Autorità di bacino, che è stata stravolta dallo “sblocca Italia” di Renzi.
È necessaria una pianificazione ambientale, ecologica e naturalistica. Abbiamo questi accordi di programma, in particolare questo del 2010 per la mitigazione del rischio. Era stato abbastanza efficace, aveva fornito impulso alla realizzazione di numerosi interventi ritenuti urgenti, e, per cui, questo va assolutamente ripreso, perché è stato totalmente stralciato. Questa struttura di missione, collegata al Consiglio dei ministri, appare davvero uno strumento pubblicitario più che uno strumento efficace. Le priorità degli interventi spesso vengono definite dalla grandezza dell'intervento; non è detto che servano grandi interventi. Possono e devono servire strumenti di respiro magari meno costosi, ma che siano più efficaci. C'è la proposta di legge Terzoni n. 3342, deve diminuire il rischio legato al dissesto e ai fenomeni sismici, devono essere disposte agevolazioni fiscali strutturali per la realizzazione dell'intervento e la riduzione dei rischi e l'esclusione delle spese dal Patto di stabilità interno.
Devono essere formati e aggiornati tecnici abilitati e devono poter esprimere le loro perplessità nelle sedi opportune, perché, altrimenti, poi non possiamo trovarci qui e in altre sedi a lamentarci e a piangere. Un miliardo di euro investito in interventi contro il dissesto genera almeno 7 mila posti di lavoro strutturali, a differenza dei 500, per esempio, derivati dalle trivellazioni. Leggiamo oggi sulla stampa che sono stati riattivati nuovi progetti di trivellazioni in tutta Italia, che, a loro volta, aumentano il rischio sismico e di dissesto. Recentemente, questi lavori per lo scolmatore sono stati affidati, ci sono state queste inaugurazioni in pompa magna con il sindaco Bucci e il responsabile dell'azienda assegnataria dell'appalto, un certo Pietro Lunardi, ex Ministro dei trasporti del Governo Berlusconi, per la ditta Rocksoil. Quest'opera, finanziata dal piano “Italia Sicura” per 165 milioni, dovrebbe essere pronta entro l'anno, ma apparentemente non sembra un passo assolutamente importante per la messa in sicurezza di quella città. Continueremo a stimolare un'opera di scienza contro il dissesto che questo Governo attualmente non ha per nulla messo in atto.
(Intendimenti in ordine alla crisi idrica del Ticino anche a tutela dell'omonimo Parco– n. 2-01907)
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Scuvera ed altri n. 2-01907 (Vedi l'allegato A).
Chiedo all'onorevole Scuvera se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
CHIARA SCUVERA. Sì, grazie, Presidente. Purtroppo, anche quest'anno torniamo su questo problema, ormai strutturale, ormai ricorrente, della crisi idrica estiva che riguardava il fiume Ticino. Noi abbiamo depositato questi interpellanza il 1° agosto, e quindi in un momento completamente diverso, in cui la situazione del fiume naturalmente era completamente diversa, e, a seguito delle recenti violente precipitazioni, naturalmente adesso il fiume è ad un livello medio-alto. La siccità estiva, però, con poi la fragilità che provoca nel fiume, naturalmente comporta un impatto negativo anche di queste precipitazioni così violente che hanno riguardato il Paese in modo anche così tragico.
Noi sappiamo che l'importante riduzione di portata del fiume è determinata dalla bassa affluenza dell'acqua che dalla Svizzera arriva nel lago Maggiore, che quest'anno, come denunciato dal Parco del Ticino, ha subito uno svuotamento molto accelerato di 10 centimetri al giorno contro i 4-5 degli anni precedenti, che, secondo le misurazioni effettuate a Sesto Calende, corrispondono a 20 milioni di metri cubi. Questo ha avuto delle ripercussioni molto negative sul fiume Ticino, che ha subito una secca che ha avuto, tra l'altro, una risalta, un eco su tutti i media nazionali, perché è molto dannosa per l'ecosistema, molto dannosa per il Parco del Ticino, e che ha comportato degli ingenti danni anche all'agricoltura. Sappiamo che la provincia di Pavia, soprattutto con la produzione del riso, dà un contributo molto significativo all'export, dà un contributo molto significativo al nostro made in Italy.
Non considerando, poi, il fatto che anche la provincia di Pavia ha delle potenzialità turistiche che vengono sacrificate, delle potenzialità poi legate al Parco, a causa di questa crisi idrica ormai strutturale. Deriva dal fatto che poi questo livello di regolazione massima del lago viene portato dall'1,50 del periodo invernale all'1,25 del periodo estivo, perché ricordiamoci che il Governo ha attivato la sperimentazione che ha portato da un metro ad 1,25, e noi ringraziamo per questo intervento con cui la sottosegretaria Velo, già nella scorsa occasione, aveva risposto alla precedente interpellanza.
Ma, probabilmente, è un intervento insufficiente, è un intervento che va accompagnato ad altre misure. Probabilmente, questo livello va aumentato ancora, perché poi non si capisce perché la pericolosità non ci sia nel periodo invernale rispetto all'1,50, in cui le precipitazioni si fanno più frequenti, rispetto, poi, al periodo estivo.
Noi capiamo le esigenze turistiche di un determinato territorio, ma ricordiamo appunto i danni, davvero ingenti, che può subire quell'ecosistema e che può subire quel sistema economico. Sappiamo che la provincia di Pavia e il sistema economico locale sono fortemente minacciati da alcuni fenomeni quali quelli, per esempio, dei roghi in Lomellina, ne abbiamo visto un ultimo a Mortara, che ci sono stati negli ultimi mesi e su cui noi abbiamo attivato anche la Commissione ecomafie. Ringraziamo il Governo per essere intervenuto su un problema molto importante, quello della bonifica dell'area ex Fibronit, su cui c'è stato uno stanziamento di oltre 10 milioni che ha consentito finalmente di avviare la bonifica. Una bonifica attesa da moltissime famiglie, dalla cittadinanza di Broni davvero da tanti anni. Ora chiediamo che si ponga davvero rimedio, si adotti una misura strutturale anche rispetto a questo problema che riguarda l'intero nel territorio provinciale e l'agricoltura.
PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, ha facoltà di rispondere.
SILVIA VELO, Sottosegretaria di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare. Grazie, Presidente. Innanzitutto si fa presente che secondo quanto riferito dalla regione Lombardia la stagione irrigua estiva 2017 è stata la quarta consecutiva in cui il Consorzio del Ticino ha potuto utilizzare la deroga sperimentale che consente, nel periodo primavera-estate, un incremento del livello di massimo di invaso del lago a più 1,25 metri rispetto allo zero idrometrico. Infatti, con nota del 23 aprile 2012, il Consorzio del Ticino ha chiesto al Ministero dell'ambiente e alle regioni Piemonte e Lombardia di essere autorizzato in via sperimentale a innalzare la soglia di regolazione estiva del lago fino a più 1,50 metri nel periodo dell'anno che va dal 1° marzo al 15 settembre, portandola quindi a livello invernale, ciò al fine di incrementare il volume idrico immagazzinato nel lago, di disporre di una scorta idrica da utilizzare per fronteggiare eventuali carenze idriche estive e, più in generale, al fine di sostenere le portate ecologiche nel Ticino sub-lacuale. Come è ovvio, la sperimentazione di una nuova regola per i livelli estivi di un grande lago regolato non può in alcun modo avvenire senza che prima se ne siano valutate le eventuali possibili conseguenze in termini di pubblica incolumità, di sicurezza idraulica e di tutela del patrimonio ambientale, economico e sociale. Per questo motivo, il Ministero dell'ambiente ha ritenuto fondamentale convocare sull'argomento, con carattere di urgenza, una Conferenza di servizi, nel corso della quale è stata sviluppata un'articolata istruttoria in ordine alla proposta di innalzamento dei livelli estivi formulata dal Consorzio del Ticino. In tale sede, è stato evidenziato che sussistono le condizioni di fattibilità per la sperimentazione della proposta di innalzamento del livello di regolazione estiva, ma che tale innalzamento va al momento limitato a quota più 1,25 metri. Tale quota costituisce, infatti, un limite oltre il quale gli strumenti di prevenzione delle piene del lago a disposizione del Consorzio del Ticino non permetterebbero di eseguire le manovre di svaso necessarie per fronteggiare un eventuale imminente evento di piena con un preavviso adeguato a garantire il mantenimento degli attuali livelli di sicurezza.
Sulla base degli esiti tecnici della Conferenza dei servizi, il comitato istituzionale dell'Autorità di bacino del fiume Po ha approvato l'avvio della sperimentazione quinquennale di un nuovo livello di regolazione estiva del lago Maggiore prevedendo, in ossequio al principio di precauzione, un'articolazione della stessa in tre fasi. La sperimentazione viene costantemente monitorata tramite un tavolo tecnico che vede la partecipazione dei soggetti e degli enti interessati sia rivieraschi del lago, sia rivieraschi del fiume. Lo scopo del tavolo è valutare i pro e contro della sperimentazione, sia per gli aspetti ambientali del lago e del fiume, sia per gli aspetti turistico-economici dovuti ai maggiori i livelli lacuali. Inoltre, ovviamente, i maggiori livelli - come abbiamo detto - non devono arrecare alcun pregiudizio in termini protezione civile.
È attualmente in corso di conclusione la prima fase triennale della sperimentazione e, al termine della stagione irrigua, il tavolo tecnico valuterà, alla luce del monitoraggio effettuato, se ritenere di confermare l'intervento da più 1 metro a più 1,25 metri e dare quindi avvio al procedimento amministrativo per ridefinire, in modo definitivo, la quota di massimo invaso estivo e valutare poi un ulteriore step di innalzamento a più 1,30 metri. La possibilità di ulteriori incrementi dovrà essere suffragata dalle valutazioni tecniche che interessano tutti gli aspetti valutati nel tavolo tecnico e dovrà essere condivisa dalla Confederazione Elvetica.
Per quanto riguarda la situazione contingente della stagione irrigua estiva, si osserva che quest'anno il Lago Maggiore, anche grazie al livello sperimentale di più 1,25 metri e alle precipitazioni intervenute sul bacino idrografico a monte, ha potuto erogare in Ticino, da giugno fino ad oggi, portate del tutto adeguate a soddisfare le derivazioni irrigue esistenti e a garantire la presenza del deflusso minimo vitale stabilito dalle normative vigenti. Il fatto che nel pieno della stagione irrigua, ovvero luglio e agosto, il lago, erogando in Ticino le portate necessarie all'agricoltura, perda gradualmente quota è del tutto normale in quanto ciò corrisponde proprio alla funzione di polmone di accumulo delle acque da erogare a valle in favore degli utilizzi irrigui e ambientali. Peraltro, sempre secondo quanto riferito dalla regione Lombardia, quest'anno i comprensori serviti con le acque del Ticino non hanno manifestato situazioni di crisi per mancanza di acqua per l'irrigazione in quanto le portate in Ticino sono sempre state adeguate alle necessità. Gli afflussi dal Ticino alla confluenza nel Po hanno consentito inoltre di sostenere, unitamente agli apporti provenienti da Adda e Oglio, le portate del Po al di sopra della portata critica per risalita del cuneo salino nel delta.
A ciò si aggiunge che la stagione agricola 2017 è risultata anticipata rispetto alla media per effetto delle alte temperature verificatesi nei mesi di giugno e luglio, pertanto anche le necessità di irrigazione attualmente è in fase di esaurimento. Ad ogni modo, la regione Lombardia partecipa al tavolo tecnico in coordinamento con l'Autorità di bacino distrettuale e valuterà nei prossimi mesi l'esito del primo step di sperimentazione e se questo risulterà sostenibile, unitamente alla regione Piemonte e all'Autorità di bacino, procederà all'approvazione del nuovo livello d'invaso e all'avvio del secondo step di sperimentazione. Ovviamente, il Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere le proprie attività anche al fine di valutare il coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
PRESIDENTE. L'onorevole Scuvera ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.
CHIARA SCUVERA. Io ringrazio la sottosegretaria Velo per essersi subito attivata su questa questione, per la pronta attivazione della Conferenza di servizi, per il monitoraggio della sperimentazione. Vorrei però che la regione Lombardia, quindi soprattutto l'assessore all'agricoltura, venisse a farsi un giro in provincia di Pavia durante l'estate per verificare qual è effettivamente lo stato del fiume e quali sono state le sofferenze che gli agricoltori hanno subito in tale periodo rispetto alle proprie necessità produttive. Noi però non vogliamo mettere in contrapposizione la tutela dell'ecosistema, la tutela paesaggistica, con l'esigenza dell'agricoltura, quindi vorremmo che il fiume continuasse ad avere quel livello minimo sufficiente, un livello appunto atto a preservare quell'ecosistema e, al contempo, venissero soddisfatte le esigenze dell'agricoltura. Su questo il territorio è assolutamente coeso e il Parco del Ticino e il mondo agricolo stanno dalla stessa parte. La sperimentazione, che naturalmente noi seguiremo con attenzione (vedremo quali saranno i risultati di questa sperimentazione), finora non ci sembra che abbia dato dei risultati adeguati.
Quindi, chiediamo al Governo di continuare ad approfondire questo tema e, quindi, di valutare quell'innalzamento, intanto, all'1,30 di cui ci parlava la sottosegretaria Velo, premesso che, naturalmente, la sicurezza del territorio, le esigenze di protezione civile stanno a cuore a tutti noi, ma non solo nel periodo estivo, anche nel periodo invernale.
(Iniziative anche normative volte alla valorizzazione del parco archeologico di Velia in provincia di Salerno – n. 2-01918)
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Valiante ed altri n. 2-01918 (Vedi l'allegato A).
Chiedo all'onorevole Valiante se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
SIMONE VALIANTE. Grazie, Presidente. Onorevole sottosegretario, i sottoscrittori chiedono di interpellare il Ministero sulla seguente questione: nelle date del 18 e del 19 giugno scorsi è divampato un incendio nel parco archeologico di Elea-Velia, colpendo un luogo di natura e di cultura che appartiene alla comunità locale, sì, ma anche all'intera umanità, essendo, come è noto, patrimonio mondiale dell'UNESCO. Elea-Velia è stato un grande polo culturale dell'antichità; la scuola eleatica fu determinante nella storia della filosofia e nella nascita del pensiero moderno e, non a caso, tra i suoi principali esponenti si ricordano Parmenide, Zenone e Melisso di Samo. Ad Elea soggiornarono anche i filosofi Senofane e Leucippo. Fino almeno al 62 dopo Cristo operò una fiorente scuola medica; tra l'altro, probabilmente, si devono a questa fase le radici anche della nascita, poi, della celebre Scuola Medica Salernitana. Di Velia furono i due grammatici Stazio e Palamede; tra l'altro, in età romana, il nome venne mutato in Velia; ci sono le tracce importanti che ci hanno lasciato anche nei loro scritti, nei loro ricordi, Cicerone, Orazio ed altri grandi personaggi che la storia ricorda.
L'incendio che ha colpito il sito archeologico ha richiesto, tra l'altro, in quella fase, l'intervento di un elicottero della Forestale e, soprattutto, non si è trattato, purtroppo, di un caso isolato. Stante tra l'altro la vastità dell'incidente è doveroso non solo che si accertino le responsabilità degli autori del rogo, certamente, ma che si cerchi anche di comprendere, fino in fondo, il compito di chi deve preservare un'area di così straordinario valore. Nella zona - non è l'unica, questo Paese ha vissuto questa estate, ovviamente, vicende drammatiche, da questo punto di vista -, tra l'altro, si sono sviluppati incendi periodici; l'ultimo a settembre 2016, con il fuoco che ha divorato completamente la punta del promontorio, raggiungendo sia l'insediamento medievale che quello antico, colpendo non solo la macchia mediterranea, ma anche gli ulivi secolari che caratterizzano quei luoghi. Elea-Velia è un sito che vede, di anno in anno, di rogo in rogo, compromesso il suo equilibrio e la sua unicità di eccezionale valore. Velia, d'altronde, come è specificato anche dall'UNESCO, richiederebbe una conservazione dell'ambiente considerato nella sua interezza e ciò non avviene in maniera compiuta, trascurando, spesso, cura e progettazione del paesaggio, nonché l'aspetto naturalistico ed archeologico che resta, ancora, scarsamente valorizzato e senza un'adeguata e compiuta promozione dello stesso.
Successivamente all'incendio, così come nei giorni antecedenti, tra l'altro, il sito ha riaperto con gli antiquarium della Cappella Palatina e della chiesa di Santa Maria, chiusi tra l'altro per la mancanza di personale. Il sito di Velia, poi, è relegato alle spalle del ponte della ferrovia che raggiunge il luogo di Ascea ma, di fatto, è totalmente scollegato, tra l'altro, dal contesto del sito archeologico, con una segnaletica anche piuttosto approssimativa.
In questi anni, devo dire che lo sforzo solitario, soprattutto negli ultimi anni, del comune di Ascea Velia (che, tra l'altro, è una piccola comunità, poco sopra i 5.000 abitanti, che essendo pure un luogo di villeggiatura estiva, affronta già un carico di popolazione per un periodo dell'anno complesso rispetto alle caratteristiche di una piccola comunità) e, accanto ad esso, lo sforzo, tra l'altro, della Comunità montana competente per territorio, la Lambro e Mingardo - Bussento (il presidente Speranza ha messo a disposizione anche negli ultimi anni un aiuto nella programmazione delle attività di manutenzione attraverso i propri operai) così come lo sforzo solitario, devo dire, dei pochi operatori della sovrintendenza che operano nel sito, evidentemente, non sono sufficienti per garantire un rilancio dell'area. Tra l'altro, il parco archeologico di Velia non interagisce con i siti archeologici limitrofi della Civitella, di Roccagloriosa, di Sacco a Sapri, quella è una zona ricca, da questo punto di vista. Inoltre, in quello stesso territorio, a pochi chilometri di distanza abbiamo altri due siti di straordinario valore, come è noto anche essi patrimonio dell'UNESCO, che sono quello di Paestum, che è quasi alle porte, dove devo dire la verità che la cura manageriale di questi anni ha prodotto i suoi risultati, e il sito della Certosa di Padula. Tra l'altro, l'area archeologica di Elea-Velia aspetta da 12 anni che venga applicata una legge regionale, la n. 5 del 2005, che gli è stata appositamente dedicata, devo dire con grande lungimiranza dai legislatori regionali dell'epoca, ma, poi, con una scarsa attenzione nella fase attuativa in questi dodici anni.
Per tale ragione, signor sottosegretario, le chiediamo di voler assumere le iniziative normative necessarie all'adozione di politiche culturali comuni, così come attuate a Pompei, intese non solo come organizzazione di eventi, ma come strumento di formazione del contesto sociale, capace di produrre percorsi virtuosi di crescita individuale e collettiva, anche da un punto di vista economico. Non sfugge il grande lavoro fatto, ovviamente, su Pompei, come su altre aree archeologiche, ma la Campania è ricca di un patrimonio straordinario che se messo, veramente, in rete e messo nelle condizione di poter interagire con una programmazione più ampia e con una strategia comune di Governo e regione, avrebbe a mio avviso straordinarie possibilità ancora non sfruttate. E per tale ragione, le chiediamo se intenda, anche per i profili di competenza, avviare ogni iniziativa finalizzata a realizzare un museo eleatico. Abbiamo una serie di reperti che vengono conservati in luoghi non idonei e un museo eleatico, ovviamente, sarebbe ormai indispensabile, per poter esporre tanti reperti archeologici che, appunto, sono ora depositati in precarie condizioni, creando così una vera occasione per il rilancio e la valorizzazione di un sito archeologico unico al mondo.
PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo, Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua, ha facoltà di rispondere.
ILARIA CARLA ANNA BORLETTI DELL'ACQUA, Sottosegretaria di Stato per i Beni e le attività culturali e il turismo. Grazie, Presidente. L'onorevole Valiante, sottolineando il grave incendio che ha interessato il parco archeologico di Velia, chiede al Ministero dei beni culturali quali iniziative intenda assumere per valorizzare la zona del parco stesso. In effetti, in data 19 giugno 2017, il parco archeologico è stato interessato da un incendio di notevoli proporzioni, probabilmente di natura dolosa, sviluppatosi in un'area di proprietà demaniale esterna al perimetro del parco già il 18 giugno. L'incendio, riaccesosi la mattina del 19, e propagatosi con rapidità a causo del forte vento e della nota situazione di prolungata siccità, ha interessato vaste zone dell'area, in particolare il versante occidentale della via Porta Rosa e il versante meridionale della collina dell'Acropoli, senza causare danni alle evidenze archeologiche e agli edifici presenti nel parco, ma distruggendo gran parte della vegetazione. I vigili del fuoco del comando di Vallo della Lucania hanno provveduto a spegnere definitivamente l'incendio e, a incendio spento, operatori della Comunità montana hanno effettuato la bonifica dei luoghi.
La soprintendenza ha disposto immediatamente la chiusura dell'area archeologica, nelle more dei sopralluoghi tecnici volti ad accertare gli eventuali danni e le misure di sicurezza da adottare, dandone comunicazione sui social network e sulla stampa. Nel corso dei sopralluoghi effettuati nei giorni successivi all'evento, i vigili del fuoco e il responsabile del servizio di sicurezza e prevenzione della soprintendenza hanno accertato che la perdita di vegetazione causata dall'incendio ha determinato l'instabilità dei versanti collinari che gravitano sulla via di Porta Rosa e sul sentiero che conduce all'Acropoli, con conseguente pericolo di caduta massi sui percorsi normalmente utilizzati dai visitatori.
La stessa soprintendenza, il successivo 29 giugno, disponeva la riapertura parziale del sito archeologico, limitando i percorsi di visita alla sola città bassa.
La chiusura parziale del sito, con l'inibizione ai visitatori delle aree di maggior richiamo e interesse, ha determinato una notevole riduzione del numero degli utenti rispetto alla stagione 2016, in parte arginata solo dall'apertura serale dell'Acropoli in alcune date del mese di agosto e della prima decade di settembre, realizzate grazie al progetto “Campania by night” e al piano di valorizzazione Mibact 2017 con il sostegno del comune e dell'associazione “Velia Teatro”.
A prescindere dall'incendio occorso nel giugno scorso, l'area archeologica di Velia è stata spesso oggetto di incendi; l'episodio più esteso è avvenuto nel 2008 con fiamme sviluppatesi dai binari ferroviari e propagatesi nel parco attraverso la scarpata. L'incendio 2016 ha, invece, interessato esclusivamente aree esterne, ancorché contigue al parco.
La prevenzione di eventuali incendi nel parco archeologico deve partire, innanzitutto, da una corretta manutenzione del verde, che interessi non solo l'area destinata al parco, ma anche le aree di proprietà demaniale, ubicate al di fuori del perimetro del parco stesso. Infatti, l'estensione e le caratteristiche idrogeologiche dell'area, che è interessata dalla presenza di falda acquifera di superficie, determinano una celere ricrescita di vegetazione che si presenta particolarmente invasiva e rigogliosa e, in alcuni casi, ricopre intere zone del parco.
Considerata tale situazione complessiva, è stato disposto un finanziamento per circa 9 milioni di euro a valere sul PON “cultura e sviluppo 2014-2020” per il progetto “Velia, città delle acque”, articolato in una serie organica di interventi finalizzati alla salvaguardia, ma anche alla valorizzazione dell'area archeologica, ovvero a restituire al visitatore la completa fruizione del parco anche in orari serali, eliminando le problematiche legate alla conservazione del sito, migliorandone la sostenibilità e la godibilità anche in termini di accessibilità da parte dei visitatori diversamente abili e, nel contempo, potenziandone l'offerta culturale. Nel primo stralcio del progetto, per il quale sono in corso di espletamento le gare da parte di Invitalia, è previsto un intervento di pianificazione del verde all'interno del parco e il ripristino della sentieristica e delle aree di sosta.
Per quanto riguarda la riqualificazione del viadotto ferroviario, nel gennaio 2016 la ex soprintendenza archeologica della Campania ha richiesto alla Rete ferroviaria italiana (RFI) interventi manutentivi sulle campate del viadotto ferroviario e ha proposto l'elaborazione di un progetto condiviso anche con l'ex soprintendenza competente per la zona, per la riqualificazione generale dell'area, trasformando il viadotto da detrattore ambientale a elemento integrato al sito antico. RFI ha provveduto con celerità agli interventi manutentivi e ha espresso, in una nota a firma del proprio amministratore delegato, la propria disponibilità all'elaborazione di una progettualità condivisa sull'area.
Al momento tale progetto è in corso di prima stesura da parte delle Ferrovie. Con tale intervento, finalizzato a rendere immediatamente visibile l'area d'ingresso al parco, si coniuga il rifacimento della segnaletica esterna prevista nel progetto per la comunicazione e la fruizione sviluppato nell'ambito del PON, a latere di quello sui lavori.
Per quanto riguarda i rapporti con gli enti locali sul territorio - come è noto, le evidenze archeologiche presenti nei siti di Moio della Civitella, Roccagloriosa e Sapri sono di proprietà comunale - questa amministrazione ha sempre mostrato ampia disponibilità e piena collaborazione nell'attività di valorizzazione, come per esempio in occasione del progetto “I lucani dell'entroterra”, nato da un partenariato fra la soprintendenza e i comuni di Ascea, Roccagloriosa e Caselle in Pittari, nel corso del quale, nel febbraio 2015, il parco archeologico di Velia ha ospitato una mostra multimediale sui centri lucani di Roccagloriosa e di Caselle.
Quanto alla legge regionale di tutela, la n. 5 del 2005, si rammenta che essa è mirata a costituire “una zona di riqualificazione paesistico-ambientale intorno all'antica città di Velia, zona nel cui ambito è fatto divieto, fino all'approvazione del piano particolareggiato di riqualificazione, di apportare ogni modifica all'assetto del territorio”. Il piano doveva essere redatto d'intesa fra il comune di Ascea, Casalvelino e le soprintendenze per i beni archeologici, architettonici e per il paesaggio, il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico, entro dodici mesi dalla pubblicazione della legge. Decorso inutilmente tale termine, la regione Campania avrebbe dovuto provvedere alla nomina di un commissario ad acta, cosa che poi non è avvenuta.
Per la redazione del piano è stato, in effetti, incaricato un gruppo di progettazione, che si è interfacciato con le soprintendenze, ma che non ha ancora concluso il proprio lavoro.
Rammento, in questa sede, che l'area archeologica di Velia, unitamente al Parco archeologico di Paestum e alla Certosa di Padula, sono parte di un più esteso sito denominato “Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano con le aree archeologiche di Paestum e Velia e la Certosa di Padula”, iscritto nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO dal 1998.
Anche in questa prospettiva ribadisco il forte impegno del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la tutela e la valorizzazione del sito, anche nella prospettiva di crescita del complesso contesto socio-culturale del territorio interessato.
PRESIDENTE. L'Onorevole Valiante ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
SIMONE VALIANTE. Grazie. Sì, mi ritengo soddisfatto in alcuni punti in particolare, perché mi conforta il fatto che il sottosegretario abbia un attento monitoraggio, soprattutto degli interventi in corso. Quindi, data la condizione importante del progetto “Velia, città delle acque”, che è stata già una conquista, visto l'abbandono totale degli ultimi anni, ed è stato un investimento voluto da questo Governo, il fatto che si vada avanti e si prosegua anche su quel progetto e su quell'investimento è estremamente importante, così come mi conforta il lavoro che state facendo con RFI, non solo per la manutenzione del viadotto, ma anche, se possibile, poi questo lo svilupperemo nei prossimi mesi, per rendere fruibile il sito archeologico con la rete ferroviaria.
Io approfitterei per porre l'attenzione, ancora una volta, sottosegretario, sull'esigenza di far sì che l'area archeologica di Elea-Velia entri di diritto nel patrimonio, nel sistema Paese, diciamo così, dal punto di vista della programmazione degli investimenti che il Ministero ha intenzione di fare per i prossimi anni: mi riferisco, ovviamente, anche agli allestimenti e alle nuove tecnologie applicate alla fruizione del patrimonio archeologico; mi riferisco all'attività di promozione nel rapporto con le scuole; mi riferisco, ancora una volta e lo sottolineo - era contenuto anche nella nostra interpellanza - alla necessità di poter realizzare veramente un museo eleatico che raccolga e valorizzi appieno tutti i reperti importanti che ci sono in quell'area, per farla rientrare poi in un patrimonio museale più ampio del nostro Paese, in un percorso di valorizzazione che questo Ministero mette in campo anche con tanti eventi.
Concludo, sottolineando la necessità, ancora una volta, di affrontare anche in queste aree il tema della managerialità nella gestione di questi siti. Noi abbiamo esperienze positive, importanti, Paestum è una di quelle. Lei ha ricordato la ricchezza di quell'area complessivamente, che è quella del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano, che è ricca di questo patrimonio; ha ricordato gli altri due siti patrimonio UNESCO, le stesse aree archeologiche, che è vero che sono di proprietà dei comuni, ma da questo punto di vista io credo che bisogna guardare poco alle proprietà e guardare un po' più al sistema Paese e alla capacità che abbiamo di valorizzare questo patrimonio, che è un patrimonio di tutti e che, ovviamente, le istituzioni locali, soprattutto i piccoli comuni che lei ha citato, non sono assolutamente in grado di poter affrontare da soli.
Per quanto riguarda la legge regionale, io credo che si possa fare anche qualcosa in più. Affrontare la questione con la regione significa anche poter fare un tavolo, anche da subito, per capire perché questa legge, dopo dodici anni, non riesce ancora a trovare attuazione. Lei ha ricordato i ritardi, che sono anche delle istituzioni locali e che, quindi, vanno sollecitati; ognuno per la propria parte farà questo tipo di lavoro, però è evidente e chiaro che un tavolo di confronto con la regione su questo percorso va fatto, perché quella è una legge importante che può veramente aiutare un percorso di crescita e di valorizzazione non solo dell'area archeologica, ma di tutto quel territorio.
(Intendimenti sulla proroga della sospensione degli adempimenti tributari per i cittadini di Lampedusa e sull'utilizzo dei fondi destinati ad un piano di interventi per l'isola – n. 2-01926)
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Giammanco e Brunetta n. 2-01926 (Vedi l'allegato A).
Chiedo all'onorevole Giammanco se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
GABRIELLA GIAMMANCO. Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, nel 2001…
PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Giammanco. Per favore, onorevole Valiante. Prego.
GABRIELLA GIAMMANCO. Nel 2011, con due successivi decreti dell'allora Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è stato dichiarato per Lampedusa lo stato di emergenza in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini provenienti dai Paesi del Nord Africa. Una successiva ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri ha sospeso il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, compresa la quota a carico dei lavoratori dipendenti. La sospensione del versamento di questi contributi ha escluso solamente il settore pubblico. Detta sospensione è stata prorogata di anno in anno, con altri decreti, fino alla data del 15 dicembre 2017.
Questo il quadro normativo fino al 7 agosto 2017, quando l'Agenzia delle entrate ha comunicato sul proprio sito che, entro il 31 gennaio del 2018, i cittadini di Lampedusa che hanno usufruito della sospensione dei contributi previdenziali e assistenziali dal 2011 al 2017 dovranno presentare le ultime sette dichiarazioni dei redditi e, quindi, pagare le tasse che per sette anni il Governo aveva congelato. Se questa decisione fosse confermata, i suoi effetti impatterebbero, nel vero senso del termine, sulle vite degli abitanti di Lampedusa. Una simile iniziativa ci confermerebbe che questo Governo è miope di fronte ai reali bisogni della gente. Tutto ciò non considerando i caotici mesi successivi al 2011, anno in cui l'unico punto di approdo per decine di migliaia di migranti sfuggiti alle conseguenze delle primavere arabe furono proprio le coste di Lampedusa, prese d'assalto dai continui sbarchi; sbarchi che, tra l'altro, continuano ad essere incessanti.
L'emergenza piombata addosso agli abitanti dell'isola ha cancellato per tanto tempo - è bene ricordarlo, per più di tre anni - la florida stagione turistica locale, prima fonte di reddito dei lampedusani. Per questo motivo, l'allora Premier Berlusconi ha giustamente concesso per un anno la sospensione degli adempimenti tributari ai cittadini dell'isola; il tutto con possibilità di proroga, poi, confermata puntualmente, come si auspicava, in attesa di una soluzione definitiva a favore dei lampedusani. Lo scorso agosto, però, si è appreso da un provvedimento dell'Agenzia delle entrate arrivato a sorpresa che, appunto, i lampedusani dovranno, invece, fare fronte a questi adempimenti con scadenza fissata addirittura a cinque mesi.
Se ciò fosse confermato il Governo tornerebbe a battere cassa sulla pelle degli abitanti di Lampedusa, rischiando di affossare un'economia già pesantemente compromessa. Alla luce della crisi del settore turistico negli anni successivi al 2011, è impensabile richiedere il pagamento delle precedenti imposte ed è inconcepibile che cittadini di Lampedusa paghino le tasse degli ultimi anni come se avessero beneficiato di semplici misure di favore, quando, invece, si è trattato di interventi necessari a far fronte ad un'emergenza senza precedenti, e perciò è stato il giusto, per così dire, riconoscimento che lo Stato centrale ha mostrato nei confronti della solidarietà e della tolleranza di cui sono stati capaci i lampedusani, pur vivendo in una situazione sicuramente di grave disagio.
L'Agenzia delle entrate ha precisato che il termine per la presentazione delle dichiarazioni dei redditi è stato fissato con provvedimento del direttore al 31 gennaio 2018. Inoltre, il Viceministro dell'economia Morando, poche settimane fa, sugli organi di stampa si è detto disponibile soltanto alla rateizzazione del pregresso, escludendo qualsiasi altra forma di incentivo.
Signor sottosegretario, da italiana, ancor prima che da siciliana, ritengo che il Governo non può dimenticarsi di Lampedusa. Credo sia sacrosanto che l'Esecutivo dimostri di essere vicino ai suoi abitanti, sensibile ai loro sforzi, alla loro disponibilità, alla loro ammirevole capacità di gestire e di confrontarsi con un'emergenza umanitaria senza precedenti. I lampedusani dovrebbero sentire che la solidarietà che quotidianamente dimostrano alle centinaia di immigrati sbarcati nella loro isola è ricambiata, è ricambiata da quelle istituzioni che, appunto, dovrebbero semplicemente mostrare loro la stessa solidarietà.
Detto questo, sulla questione rimane poco chiara anche la destinazione dei fondi per effettuare lavori di risanamento del territorio di Lampedusa stanziati dal Governo Berlusconi a seguito dell'emergenza esplosa nel 2011: si tratta di uno stanziamento di 26 milioni di euro per lavori mai realizzati dagli Esecutivi successivi.
Così come non si comprende dove siano finiti i fondi stanziati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica, il CIPE - circa 20 milioni di euro destinati anch'essi al piano di interventi per l'isola di Lampedusa - fondi, ahimè, mai utilizzati allo scopo per cui erano stati stanziati.
Ciò premesso, signor sottosegretario, le chiedo, quindi, se il Governo non ritenga opportuno prevedere un'ulteriore proroga della scadenza, ad oggi fissata al 15 dicembre 2017, del termine del periodo di sospensione degli adempimenti tributari a cui ha chiamato i cittadini di Lampedusa, che, lo ripeto, hanno usufruito del congelamento di tali importi a causa dell'emergenza sbarchi che hanno dovuto e che continuano a fronteggiare. Inoltre, le chiedo di fare chiarezza sull'impiego dei fondi stanziati dal Governo Berlusconi e dal CIPE nel 2011 per il piano di interventi per l'isola, dei quali risultano impegnati ad oggi solamente 500 mila euro, per uno studio del Ministero dell'economia e delle finanze e, per giunta, per nessun progetto di fatto esecutivo.
PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato, onorevole Ilaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua Buitoni, ha facoltà di rispondere.
ILARIA CARLA ANNA BORLETTI DELL'ACQUA, Sottosegretaria di Stato per i Beni e le attività culturali e il turismo. Grazie, Presidente. Con il documento di sindacato in esame gli onorevoli interpellanti evidenziano che con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 febbraio 2011 e del 7 aprile 2011 è stato dichiarato lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nordafrica.
In relazione al territorio di Lampedusa, la successiva ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3947 del 16 giugno 2011 disponeva la sospensione dei termini di versamento dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, ivi compresa la quota a carico dei lavoratori dipendenti. Il termine del periodo di sospensione, inizialmente fissato al 16 dicembre 2011, è stato successivamente prorogato di anno in anno con altrettanti decreti fino alla data del 15 dicembre 2017. Con provvedimento del 7 agosto 2017, il direttore dell'Agenzia delle entrate ha disposto, ai sensi dell'articolo 21-bis del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni dalla legge del 13 aprile 2017, n. 46, la ripresa degli adempimenti tributari diversi dai versamenti entro la data del 31 gennaio 2018.
Tanto premesso, gli onorevoli interpellanti chiedono se il Governo non intenda adottare le opportune iniziative per prevedere un'ulteriore proroga della scadenza, ad oggi fissata al 15 dicembre 2017, del termine del periodo di sospensione degli adempimenti tributari dovuti dai cittadini di Lampedusa. Gli onorevoli interpellanti chiedono altresì di fare chiarezza sull'impegno dei fondi stanziati dal Governo Berlusconi nel 2011 e dal CIPE nel piano di interventi per l'isola di Lampedusa, dei quali restano impegnati solo 500 mila euro per uno studio del Ministero dell'economia e delle finanze.
Al riguardo, sentiti gli uffici dell'amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue. Come rilevato dagli onorevoli interpellanti, soggetti, persone fisiche, anche in qualità di sostituti d'imposta e quelli diversi dalle persone fisiche, compresi i sostituti d'imposta individuati dall'articolo 3, commi 3 e 4, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3947 del 16 giugno 2011, aventi la data del 12 febbraio 2011 e domicilio fiscale o sede operativa nel comune di Lampedusa o di Linosa, hanno usufruito della sospensione dei termini dei versamenti e degli adempimenti tributari fino al 15 dicembre 2017. L'ultima proroga del periodo di sospensione è stata prevista dall'articolo 21-bis del decreto-legge del 17 febbraio 2017, n. 13, convertito dalla legge 13 aprile 2017, n. 46. Detta disposizione ha previsto altresì che gli adempimenti tributari diversi dai versamenti sono effettuati con le modalità e nei termini stabiliti con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate.
Conseguentemente, il provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate 7 agosto 2017 ha disposto la ripresa, entro la data del 31 gennaio 2018, degli adempimenti tributari diversi dai versamenti non eseguiti per effetto delle disposizioni emendate in seguito all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa nell'isola di Lampedusa. Tanto premesso, in merito alle criticità prospettate dagli onorevoli interpellanti, deve rilevarsi che questo Governo continua a prestare la massima attenzione alla situazione emergenziale in cui versano i cittadini delle isole di Lampedusa e Linosa, e pertanto sono in corso i necessari approfondimenti istruttori presso gli uffici competenti dell'amministrazione finanziaria, al fine di trovare soluzioni più adeguate, tenuto conto anche degli effetti sui saldi di finanza pubblica.
PRESIDENTE. L'onorevole Giammanco ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.
GABRIELLA GIAMMANCO. Presidente, ringrazio il sottosegretario per la risposta, però è chiaro che io non mi possa sentire assolutamente soddisfatta, non solo perché il sottosegretario ha detto che si stanno studiando soluzioni più adeguate al problema anche se, di fatto, non sappiamo ancora di che soluzioni si tratti, soprattutto non lo sappiamo a distanza di pochi mesi da ciò che dovrebbe essere, cioè dal pagamento di quelle che sono appunto le somme dovute dai lampedusani - quindi parlare di soluzioni più adeguate a distanza di due, tre mesi lo trovo un po' surreale, dovrebbero essere già state trovate queste soluzioni -, ma in più non mi ritengo soddisfatta perché nulla si è detto nella risposta del sottosegretario riguardo alle cifre di cui avevo chiesto contezza, cioè riguardo alle cifre che erano state stanziate nel 2011 dal Governo Berlusconi e dal CIPE (26 milioni più 20 milioni), di cui appunto sono stati impegnati solo 500.000 euro e di fatto per progetti non esecutivi, quindi solamente sulla carta. Per cui, consentitemi, Presidente e sottosegretario, di fare un altro breve excursus sulle motivazioni della decisione che portò l'allora Capo del Governo, Silvio Berlusconi, ad attuare le misure poc'anzi ricordate, perché davvero credo che in quest'Aula si debba sensibilizzare il Governo nei confronti degli abitanti di Lampedusa, perché davvero credo che il Governo sia miope di fronte alle esigenze di questi cittadini; penso che ciò sia necessario e dovuto anche agli stessi lampedusani.
In seguito alla fase delle Primavere arabe, sulle coste della Sicilia e del Sud Italia in generale gli sbarchi iniziarono ad essere incessanti, e questo comportò un impatto enorme su Lampedusa. A marzo del 2011, gli immigrati sull'isola erano oltre 5.500, e ciò a fronte di poco più di 6.000 abitanti complessivi. A Lampedusa ci sono poco più di 6.000 abitanti! “Lampedusa è in ginocchio! Lampedusa è distrutta!”, dichiarò l'allora governatore della Sicilia, che proprio a causa di quella situazione chiese al Presidente Berlusconi un Consiglio dei ministri straordinario. A fine marzo 2011, a Lampedusa, secondo i dati rilevati dalla regione siciliana, erano presenti 6.200 migranti, praticamente tanti quanti il numero dei residenti abituali dell'isola. Le proteste si moltiplicarono, i lampedusani occupavano la sede del consiglio comunale, la tenuta sociale appariva seriamente a rischio: questo è il quadro di ciò che accadeva sull'isola, quadro inserito in una realtà più ampia che ci parla di un'emergenza immigrazione senza precedenti, emergenza che ormai, ahimè, è diventata la quotidianità. Se consideriamo anche solo i dati Frontex degli ultimi quattro anni, dai 40.000 sbarchi sulle nostre coste del 2013 siamo passati ai 170.000 del 2014, 154.000 nel 2015 e oltre 180.000 nel 2016. Di fronte a numeri che parlano chiaro e che non hanno bisogno di alcun commento, per anni i Governi di centrosinistra che si sono susseguiti non sono riusciti a dare una risposta efficace. Contemporaneamente, di fronte a questo scenario l'Unione europea, ostaggio dei diversi interessi dei Paesi che la compongono, il più delle volte ha mostrato scarsa solidarietà, se non indifferenza.
Ma tralasciamo di nuovo, per un attimo, il quadro generale e torniamo a Lampedusa. All'inizio del 2015 è di nuovo emergenza, signor sottosegretario: sull'isola continuano a sbarcare senza sosta centinaia di immigrati che partono dalla Libia, al punto che il centro di prima accoglienza ospita oltre ottocento immigrati, il doppio della capienza prevista dalla struttura. È importante sottolineare che, per comprendere appieno la portata del problema, la superficie complessiva di Lampedusa è di 20 chilometri quadrati. Per fare un confronto, l'isola di Malta ha una superficie di 315 chilometri quadrati. Quindi: Lampedusa 22 chilometri quadrati, Malta 315! E l'isola di Malta ormai da anni ha chiuso i suoi porti e si rifiuta di accogliere immigrati perché sostiene di non essere in grado di assorbire nemmeno piccoli numeri. È di questa estate, per esempio, la chiusura del porto di Malta a soli tre - dico tre! - immigrati, il che ha dell'incredibile. Per ritornare a Lampedusa, è facile quindi immaginare i danni enormi causati da una simile situazione all'economia di questa piccola e bellissima isola, fiore all'occhiello della Sicilia e di noi siciliani.
Lampedusa è passata in poco tempo dall'essere una delle spiagge più belle del mondo ad approdo di sbarchi continui nel Mediterraneo. La nuova immagine di Lampedusa, di cui si è iniziato a parlare unicamente come meta non di turisti bensì di flussi migratori, ha comportato un freno per non dire un taglio al turismo. Secondo i dati della provincia di Agrigento sui flussi turistici verso Lampedusa, nel 2011 si è registrato un calo di oltre il 60 per cento. Lo ripeto: di oltre il 60 per cento! A causa del boom di sbarchi del 2011 e di un'emergenza mai rientrata anche negli anni immediatamente a seguire, il turismo e tutto il suo indotto ha subito un enorme crollo: per quattro anni, quindi per quattro stagioni turistiche, dal 2011 al 2015, la perla delle Pelagie ha vissuto uno dei suoi momenti economici più drammatici. Gli appelli degli albergatori, dei ristoratori, di tutti gli esercenti del settore turismo si sono susseguiti di continuo. In quegli anni tanti sono stati i commercianti e gli imprenditori affogati nei debiti che hanno abbandonato l'isola in cerca di un destino migliore. Solo nel 2016, grazie alla tenacia dei lampedusani e alla loro capacità di fare rete, alla loro forza e alla volontà di non darsi per vinti, il turismo ha cominciato a dare segni di ripresa. L'estate 2016 ha regalato finalmente soddisfazioni a chi, nonostante tutto, non ha voluto smettere di credere e di investire; e lo scorso anno in tanti hanno scelto come luogo di vacanze l'isola più grande delle Pelagie. Lampedusa si ritrova finalmente di nuovo al centro dei desideri di molti turisti, e anche nell'estate appena trascorsa il turismo pare essersi risollevato. I lampedusani, dopo anni di sacrifici e di speranze che parevano infrante, hanno tirato un sospiro di sollievo. Ma questa boccata d'aria, affinché non sia solo un fuoco di paglia, ha bisogno di essere alimentata e non soffocata da quelle istituzioni che hanno il dovere di incoraggiare e non di scoraggiare questi segnali di ripresa. Anni di gravi perdite economiche non possono essere risolti con due stagioni turistiche più positive. Signor sottosegretario, converrà con me che anni e anni di investimenti mancati, aziende fallite e attività al collasso necessitano di tempo - di tempo! - prima di poter essere in qualche modo archiviati. Ritengo quindi che sarebbe profondamente ingiusto se il Governo chiedesse ai cittadini di Lampedusa di pagare le tasse che per sette anni, grazie all'iniziativa del Governo Berlusconi, Roma aveva congelato. Come potremmo chiedere ancora ai cittadini dell'isola nuovi e continui sacrifici, quando non siamo in grado di incoraggiare un'economia che da anni è al collasso, suo malgrado, solo perché geograficamente non si trova al posto giusto? Perché un cittadino di Lampedusa dovrebbe dimostrarsi accogliente e tollerante, quando, come una tegola, arriverebbero sulla sua testa migliaia di euro di tasse pregresse e future da dovere pagare e che probabilmente affosserebbero di nuovo la sua piccola impresa?
Ecco signor sottosegretario, credo che non possiamo permetterci di fare macelleria sociale sulla pelle dei lampedusani, che tanto hanno dato al Paese in questi anni in termini di collaborazione. Per cui, dobbiamo essere collaborativi con i lampedusani anche noi, come istituzioni.
E credo anche che le somme stanziate dal Governo Berlusconi e dal CIPE nel 2011, di cui si sono perse le tracce e di cui lei non mi ha voluto dire niente, perché di fatto lei non ha risposto a quanto le ho chiesto, queste somme vadano nuovamente individuate, vadano nuovamente intercettate al più presto e utilizzate lo scopo per cui erano state stanziate, cioè a sostegno della crescita di Lampedusa. Lo ricordo, 26 milioni più 20 milioni; di questi 46 milioni, solo 500 mila euro sono stati impegnati per progetti non esecutivi. Dov'è finito il resto? Personalmente, assieme ai miei conterranei lampedusani, attendo fiduciosa che questo accada al più presto, e, se ciò non avverrà, non esiterò a continuare a lavorare in tutti i modi e con tutti i mezzi per raggiungere questo obiettivo. Superfluo dire inoltre che, se rimarrete immobili di fronte alle esigenze dell'isola di Lampedusa, nonostante gli sforzi che le si continuano a richiedere, per il vostro Governo, signor sottosegretario, sarà l'ennesima occasione sprecata.
(Chiarimenti e intendimenti in merito a conti e depositi cosiddetti “dormienti” e al Fondo per l'indennizzo dei risparmiatori vittime di frodi finanziarie – n. 2-01927)
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Pesco ed altri n. 2-01927 (Vedi l'allegato A).
Chiedo all'onorevole Pesco se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
DANIELE PESCO. Grazie, Presidente. Mi permetta una metafora un po' triste, ma secondo me è doveroso farla. Alcune nazioni stanno facendo test missilistici con delle bombe atomiche, e in Italia una bomba atomica, secondo me, è scoppiata nell'agosto 2017, una bomba atomica finanziaria, nella quale l'Ivass, l'autorità di vigilanza sulle assicurazioni, ci ha fatto presente che esistono circa 145 miliardi di polizze assicurative e rapporti bancari potenzialmente dormienti; 145 miliardi di euro. Spieghiamo bene di che cosa si tratta. Si tratta, in questo caso, di polizze assicurative o di prodotti misti assicurativi-bancari con i quali i cittadini hanno versato dei soldi alle assicurazioni. Questi cittadini non hanno praticamente fatto sapere più nulla e questi soldi dovrebbero andare allo Stato, potenzialmente.
Perché dico potenzialmente? Perché, probabilmente, magari qualche beneficiario le assicurazioni riescono, o meglio, dovrebbero riuscire a rintracciarlo. Ma facciamo un passo indietro, vediamo che cosa prevede la legge. Ebbene, una legge è stata fatta nel 2005 - questa legge era la finanziaria del 2005 - e in essa è stato stabilito che i fondi dei rapporti dormienti devono arrivare allo Stato attraverso una precisa voce di entrata del bilancio dello Stato, e questi soldi devono servire per risarcire le vittime delle truffe e delle frodi finanziarie. Si tratta, possiamo capire bene, di tantissimi soldi, se l'Ivass ci ha detto che si tratta di almeno 145 miliardi di euro di polizze dormienti, tantissimi soldi. Sembrerebbe, invece, che lo Stato di questi soldi non abbia usato ancora neanche un euro per risarcire le vittime di frodi finanziarie. E di frodi finanziarie, in Italia, ne abbiamo avute tante, veramente tante.
Le ultime le ricordiamo bene, quelle riferite alle banche, alle quattro banche, oppure anche le banche venete. Se non sono frodi finanziarie quelle, quali sono le frodi finanziarie? Ebbene, in quel caso c'è stato anche l'aiuto del Governo, che sappiamo bene che ha fatto un decreto con il quale 130 mila famiglie hanno perso i loro soldi, e quindi, secondo noi, si è trattato di frodi finanziarie, in questo caso aiutate dal Governo. Ma andiamo avanti, di polizze ce ne sono di diversi tipi: ci sono le polizze causa morte, le polizze vita, le polizze temporanee causa morte e poi ci sono, bene o male, quei cosiddetti piani di investimento, anche in questo caso temporanei o duraturi. Ma, allora, andiamo a scandagliare di che cosa si tratta nello specifico. Le polizze temporanee causa morte sono quelle polizze che hanno una durata temporanea. In pratica, l'assicurato fa una scommessa con l'assicurazione di durata limitata nel tempo, 5 o 10 anni: se io muoio in questo limite temporale, devi indennizzare i miei familiari o comunque i beneficiari.
Ebbene, sono queste il grosso che rappresentano, appunto, le polizze dormienti, perché, escluse le polizze scadute, escluse le polizze delle quali non si sa più nulla ed escluse le polizze che comunque sono già andate in prescrizione, ebbene, in questo caso rimangono 145 miliardi di euro. Andiamo avanti: poi ci sono le polizze vita, che sono quelle, logicamente, che arrivano fino alla vita naturale, diciamo, dell'assicurato, e in quel caso l'assicurazione deve indennizzare qualcuno.
Per queste polizze, anche in questo caso, la percentuale di dormienza è veramente limitata, ma anche in questo caso si tratta di tantissimi soldi, di circa, praticamente, 40 o 45 miliardi. La cosa particolare, bisogna fare un pochino di statistica, è praticamente che sono tante le polizze, 117 mila polizze, intestate a persone in cui l'assicurato ha più di novant'anni. Se si confronta questa percentuale con la percentuale di popolazione che ha più di novant'anni, si scopre che praticamente circa un terzo di queste polizze sono intestate a persone che sono decedute e probabilmente nessuno ha preso il rimborso, e quindi anche questi soldi dovrebbero andare allo Stato, quanto meno trascorsi dieci anni dall'ultima notizia ricevuta dall'assicurato. E, quindi, viene da farci una domanda, dobbiamo farci una domanda: quali sono gli obblighi delle assicurazioni per capire se vi è ancora qualche beneficiario in vita da risarcire, da indennizzare?
Ebbene, l'obbligo previsto dalla legge è solo quello di inviare una raccomandata dopo, praticamente, centottanta giorni dall'avvenuta scadenza della polizza o dal decesso, eccetera eccetera, centottanta giorni, si invia la raccomandata, poi tutto deve finire alla Consap.
Perché dico Consap? E anche in questo caso vi è un po' di ambiguità, perché Consap è l'ente dello Stato che ha ricevuto l'onere di gestire questi soldi. In realtà, non è proprio così, perché i soldi arrivano allo Stato, il Governo amministra questi soldi e poi decide il Governo quanto dare alla Consap per risarcire ancora gli effettivi beneficiari. E, quindi, Consap non decide proprio tutto, chi decide è il Governo. Allora, torniamo indietro: 145 miliardi per le polizze temporanee, almeno dieci miliardi per le polizze vita, non entriamo nei particolari delle polizze dei fondi di accantonamento, perché quelle, bene o male, vengono quasi tutte riscosse.
Si tratta praticamente di 190 miliardi potenziali di soldi che dovrebbero arrivare in qualche modo allo Stato. Arriverà la metà, ne arriveranno 90 miliardi, ne arriveranno un quarto, ne arriveranno 45 miliardi. E, invece, sembra - questo, purtroppo, non sono riuscito a inserirlo nell'interpellanza, perché il dato mi è arrivato dopo - che su quella voce di entrate dello Stato, cioè voce X, capitolo, mi sembra, 3382, ci siano solo 100 milioni di euro; e quindi, secondo me, qualcosa non torna. O le assicurazioni non hanno versato o il Governo ha preso quei soldi e li ha utilizzati per fare qualcos'altro.
E, quindi, noi vogliamo chiarezza. In più, andiamo avanti, perché, come dicevo prima, gli obblighi per le assicurazioni sono veramente limitati. E che cosa fa lo Stato per vedere se effettivamente le assicurazioni hanno versato quello che avrebbero dovuto versare? Secondo me l'Ivass finora ha fatto poco, ha fatto così poco che, dice proprio nel suo report, 21 compagnie di assicurazioni, imprese di assicurazione, su 52, solo dopo questa indagine - perché non è un controllo, è un'indagine - si sono mobilitate e hanno iniziato a ricercare un pochino gli effettivi beneficiari. Leggendo bene l'indagine si vede proprio che tutti hanno utilizzato metodi diversi per riuscire a capire quali sono i veri beneficiari; solo tre hanno utilizzato strumenti e metodi strutturati per riuscire a capire quali sono gli effettivi beneficiari.
Ora, innanzitutto dobbiamo interrogarci sul fenomeno delle polizze assicurative, delle polizze vita, perché sono veramente tanti soldi. Dovremmo anche andare a capire come mai gli italiani hanno così tanti soldi da investire in queste polizze, e, secondo me, qua dovremmo aprire un bel capitolo, secondo me serve un'indagine conoscitiva della Commissione finanze, ma poi dobbiamo capire bene il comportamento delle assicurazioni: versano o non versano tutto? Ma soprattutto, poi, dopo, il Governo, che riceve questi soldi, li usa effettivamente per risarcire gli effettivi beneficiari e il resto lo usa per le vittime dei reati finanziari, delle truffe finanziarie, delle frodi finanziarie, o no? Noi abbiamo veramente qualche dubbio. Io mi fermo qua, spero che la risposta sia sufficientemente esauriente. Chiedo l'impegno del sottosegretario che leggerà la risposta, l'impegno personale, a completare la risposta nel caso in cui ci appaia incompleta, e penso che, comunque, questa vicenda non si fermi qua. Perché non si fermerà qua? Perché si tratta, veramente, di tantissimi soldi, che possono veramente servire allo Stato per mettere a posto molte cose, tra cui, in primis, anche la lotta alla povertà (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per i Beni e le attività culturali e il turismo, Borletti Dell'Acqua Buitoni, ha facoltà di rispondere.
ILARIA CARLA ANNA BORLETTI DELL'ACQUA, Sottosegretaria di Stato per i Beni e le attività culturali e il turismo. Grazie, Presidente. L'interpellanza in esame concerne i cosiddetti rapporti finanziari dormienti di cui al DPR n. 116 del 2007, recante Regolamento di attuazione dell'articolo 1, comma 345 della legge n. 266 del 2005.
Al riguardo, si rammenta che con la predetta normativa è stato istituito un Fondo per l'indennizzo dei risparmiatori rimasti vittime di frodi finanziarie che abbiano subìto un danno ingiusto non altrimenti risarcito.
Tale Fondo è alimentato dagli importi dei rapporti definiti come “dormienti” all'interno del sistema bancario assicurativo e finanziario.
Per quanto riguarda i dati relativi all'ammontare delle risorse destinate al predetto Fondo, gli importi complessivi allo stesso affluiti annualmente dal 2010 ad oggi sono rispettivamente di: 597.917.739 euro nel 2010; 168.258.601,51 euro nel 2011; 328.725.524,66 euro nel 2012; 179.529.239 euro nel 2013; 5.828.133 euro nel 2014; 204.530.878 euro nel 2015; 142.299.905 euro nel 2016.
Per comprendere il sotteso meccanismo di funzionamento del Fondo, occorre evidenziare come la definizione dei presupposti, delle procedure e dei criteri per il riconoscimento degli indennizzi ai risparmiatori, vittime di frodi finanziarie, sia subordinata al previo accertamento delle risorse del Fondo stesso dei conti dormienti, il cui ammontare è via via soggetto alla decurtazione degli importi da rimborsare agli aventi diritto dei conti dormienti, che ne abbiano fatto richiesta entro i termini della prescrizione legale di durata decennale.
Negli anni dal 2010 a oggi è stato rimborsato agli aventi diritto un importo complessivo di euro 223.731.187,62.
Le relative procedure di rimborso sono iniziate nell'anno 2009 e sono tuttora in corso. Atteso che i termini della predetta prescrizione decennale del diritto di restituzione sono quindi tuttora pendenti e non è possibile al momento prevederne l'esito, non è calcolabile ad oggi l'entità delle risorse destinate a soddisfare le richieste di indennizzo dei risparmiatori che abbiano subìto un danno ingiusto.
Per quanto attiene, poi, alla previsione di opportune sanzioni volte ad ottenere l'osservanza degli obblighi legali di versamento allo Stato posti a carico degli intermediari, si fa presente che l'articolo 1, comma 345-sexies, prevede uno specifico regime sanzionatorio, peraltro già attivato, per le ipotesi, rispettivamente, di omessa comunicazione o di omesso versamento al MEF degli importi dovuti e che questo Ministero verifica il corretto adempimento degli obblighi legislativi e regolamentari di cui ai commi 345, 345-ter, 345-quater e 345-quinquies anche avvalendosi dell'ausilio della Guardia di finanza.
Per quanto riguarda altresì i controlli della Banca d'Italia, quest'ultima ha osservato che, nello svolgimento dell'attività di vigilanza sugli intermediari bancari e finanziari, rientra anche la verifica del rispetto da parte di quest'ultimi della normativa ad essi applicabile (ivi inclusa quella dettata in materia di conti dormienti).
Infine, relativamente alla concessione alle imprese di assicurazione dell'accesso alle banche dati anagrafiche, il Mise fa presente che sono allo studio talune proposte in tal senso, potendo eventualmente utilizzare anche le banche dati dell'Anagrafe tributaria, così come previsto nella recente legge concorrenza per finalità antifrode.
L'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, in particolare, riferisce di aver sviluppato un'approfondita analisi del fenomeno, recentemente pubblicata sul relativo sito, avente l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema delle polizze dormienti. Tale indagine si è mossa a campione e le cifre che sono risultate vanno lette come riferite a polizze “potenzialmente” dormienti, polizze cioè di cui le imprese non possono sapere se gli assicurati siano ancora in vita o no.
PRESIDENTE. L'onorevole Pesco ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
DANIELE PESCO. Sono palesemente insoddisfatto. Praticamente, se ho capito bene le cifre, si tratta di qualche centinaio di milioni all'anno che vengono versati dalle imprese di assicurazioni sui conti, nel bilancio dello Stato, e sono stati utilizzati solo 223 milioni per risarcire i beneficiari di questi conti dormienti. Mi sembra un po' pochino, mi sembra che i conti non tornino.
Se non tornano i conti, vuol dire che c'è un avanzo e questo avanzo sarebbe dovuto servire per risarcire le vittime di frodi finanziarie. Mi sembra, mi scusi se non ho capito bene, che nessuno ancora è stato risarcito come vittima di frode finanziaria, se ho capito bene, e quindi c'è qualcosa che non va.
La legge è del 2005, i conti dormienti sono tanti; chiamiamoli potenzialmente dormienti, consideriamone la metà effettivamente dormiente, consideriamone un quarto, consideriamone un decimo, ma si tratta sempre di diverse unità di miliardi di euro.
Per risarcire chi ha fatto richiesta, bene o male, abbiamo visto che ne sono stati utilizzati 220 milioni, se ho capito bene le cifre, e quindi il resto? Il Governo lo sta utilizzando per fare altro? È questo che ci interessa capire.
Ora leggerò in modo approfondito la risposta, faremo altre indagini e altre interrogazioni, ma vogliamo avere la certezza che i soldi vengano utilizzati così come dice la legge, ossia per risarcire in primis gli effettivi beneficiari delle polizie assicurative che comunque ne hanno il diritto; quello che resta va utilizzato per risarcire le vittime di frodi finanziarie.
Io vorrei ricordare un gruppo di vittime, ad esempio quelli della GD Consulting una società finanziaria che ne ha fatte di ogni, le persone ci hanno rimesso un sacco di soldi. Hanno interrogato il Ministro e gli hanno chiesto: “ma volete utilizzare o no questi fondi per risarcire noi che siamo stati effettivamente frodati perché le autorità di vigilanza non sono riuscite a intervenire in tempo per fermare questa frode finanziaria?”. Gli hanno detto “no, prima bisogna risarcire gli aventi diritto”. Va bene, ma se questa legge c'è dal 2005, le assicurazioni versano dal 2006-2007 e si è accertato che questi conti appunto sono praticamente prescritti, le somme quindi sono libere, dobbiamo risarcire queste vittime e dobbiamo farlo al più presto.
Per non parlare poi di tutte le altre vittime, le ricordo: Carife, CariChieti, Banca Marche, Banca Etruria, le banche venete. Non sono frodi finanziarie anche queste? Bisogna aspettare il giudizio, aspettare i processi quando tutti i banchieri, bene o male, vengono accusati solo di ostacolo alla vigilanza? Dobbiamo aspettare questo o vogliamo ancora trovarci le persone sotto al Palazzo che si lamentano per il furto che hanno subito dallo Stato? Se esiste la possibilità di risarcire queste vittime, utilizziamola, facciamolo al più presto. Si tratta veramente di tantissimi soldi. Noi non ci fermiamo qui e continueremo a indagare su come il Governo ha utilizzato questi soldi.
(Chiarimenti e iniziative di competenza in ordine all'assunzione e alla gestione di personale delle società partecipate in relazione a vicende occorse nella regione Umbria – n. 2-01811)
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Galgano e Monchiero n. 2-01811 (Vedi l'allegato A).
Chiedo all'onorevole Galgano se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
ADRIANA GALGANO. Grazie, Presidente. Buongiorno sottosegretario Rughetti, la nostra interrogazione riguarda la società Foligno Impresa Lavoro Sviluppo Spa, ora società a responsabilità limitata in liquidazione, a totale partecipazione pubblica, che è stata costituita a fine anni Novanta quale incubatore di impresa.
Negli anni 2001 e 2002 il comune di Foligno le ha affidato i servizi di manutenzione, dopo aver riacquistato tutte le quote in possesso dei privati. In conseguenza della perdita superiore ad un terzo del capitale sociale, che si è ridotto al di sotto del minimo stabilito dall'articolo 2327 del codice civile, nel marzo 2014 è stata trasformata da società per azioni in società a responsabilità limitata. Il bilancio 2015 evidenzia una perdita, per l'anno 2015, di 500.777 euro; i debiti ammontano a 4.892.055 euro.
A seguito di perdite registrate nel 2012, nel 2013, nel 2014 e nel 2015, il 28 giugno 2016 la società è stata messa in liquidazione. La normativa vigente, infatti, dispone la messa in liquidazione delle società partecipate con perdite nell'ultimo triennio.
Attualmente lavorano in FILS 36 dipendenti: 24 operai e 12 amministrativi di cui alcuni provenienti da altra società partecipata e con problemi di salute. Nel piano industriale 2014 è stato evidenziato lo squilibrio tra personale operaio e impiegatizio che la società non può più sopportare.
L'articolo 1, commi 563-568, della legge n. 147 del 2013, ha previsto la mobilità del personale fra le società partecipate delle pubbliche amministrazioni, anche senza il consenso del lavoratore. In particolare, il comma 564 ha disposto che le pubbliche amministrazioni controllanti le società partecipate devono adottare atti di indirizzo volti a favorire, prima di avviare nuove procedure di reclutamento di risorse umane da parte delle medesime società, l'acquisizione del personale con le suddette procedure; ma, a quanto ci consta, nel caso della Fils, ciò non è avvenuto. Con delibera del 21 maggio 2014, il consiglio di amministrazione di Afam, di cui il comune di Foligno risulta essere socio all'83,68 per cento, ha approvato di procedere alla formazione di una graduatoria da cui attingere per eventuali assunzioni in caso di necessità. Vus Spa, altra società partecipata al 49 per cento dal comune di Foligno, ha indetto una procedura aperta per l'appalto del servizio di raccolta e trasporto di frazioni di rifiuti solidi urbani nei comuni serviti dalla Valle Umbra Servizi Spa. L'appalto è stato suddiviso in due lotti; il primo, relativo ai comuni del dipartimento di Foligno, il secondo, per i comuni del dipartimento di Spoleto; l'importo complessivo dell'appalto è di 198.000 euro oltre IVA, per la durata di tre mesi. La gara del lotto 2 relativa al dipartimento di Spoleto è stata aggiudicata alla Sicaf di Spoleto, mentre la gara relativa al lotto di Foligno è risultata deserta. Pertanto la Vus, per l'affidamento del servizio del lotto 1, ha effettuato una procedura negoziata che è stata aggiudicata alla Sicaf di Spoleto; il contratto è stato stipulato il 2 gennaio 2014. A quanto ci consta, in concomitanza del suddetto appalto, la Sicaf avrebbe assunto nuovo personale. Sarebbe opportuno chiarire per quale motivo in una situazione di esubero sia stato assunto nuovo personale, prima ancora di collocare quello in eccedenza.
Date queste premesse, chiediamo, quindi, di sapere di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto; quali iniziative si intendano adottare, per quanto di competenza, per tutelare il personale eccedente della società partecipata in liquidazione ed agevolare i processi di mobilità in ambito regionale, così come previsto dall'articolo 25 del decreto legislativo n. 175 del 2016; se non sia opportuno assumere iniziative normative per prevedere sanzioni per le società partecipate che assumono ulteriore personale, qualora quello in servizio sia già in eccedenza.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Angelo Rughetti, ha facoltà di rispondere.
ANGELO RUGHETTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie, Presidente. Gli onorevoli interpellanti chiedono chiarimenti sulle vicende che hanno riguardato la Foligno Impresa Lavoro Sviluppo Srl e di lavoratori privati da essa dipendenti. È necessario premettere che l'interrogazione è stata rivolta al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione presumibilmente in ragione dell'avvenuto esercizio della legge di delega n. 124 del 2015, in materia di redazione del testo unico sulle società a partecipazione pubblica. Tuttavia, occorre subito precisare che le vicende riportate dagli onorevoli interroganti si riferiscono ad un periodo antecedente all'emanazione del predetto testo unico e quindi non sono interessate, purtroppo, dalla disciplina successiva che, ovviamente, disciplina soltanto il futuro e non ha effetto retroattivo.
In questo senso, a seguito di apposita richiesta che il Ministero ha fatto al comune di Foligno, il comune ci ha trasmesso i dati relativi alla gestione della Fils Srl relativi al periodo, così come richiesto, in cui è stata interamente partecipata dal comune di Foligno e, quindi, dal 2012 al 2015, ed ha sottolineato che la messa in liquidazione è stata disposta con atto del consiglio comunale n. 30 del 27 giugno 2016, antecedente, appunto, all'entrata in vigore del testo unico che è avvenuta il 19 agosto 2016, e non a seguito di perdite conseguite nel predetto periodo, bensì ai sensi dell'articolo 2.484 e seguenti del codice civile.
Il comune di Foligno, inoltre, ribadisce che, a suo giudizio, il riferimento alla società Afam Spa non risulta corretto, visto il riferimento temporale risalente al 2014 e, parimenti, risulterebbe il riferimento alla società partecipata Vus Spa e ai connessi affidamenti di servizi a società private i cui meccanismi assunzionali sono del tutto estranei alla normativa richiamata.
Si segnala che, al tempo della messa in liquidazione, era pienamente vigente la disciplina di cui all'articolo 568-bis della legge di stabilità per il 2014, in base al quale le pubbliche amministrazioni locali e le società da esse controllate direttamente o indirettamente potevano procedere allo scioglimento della società, consorzio o azienda speciale controllata direttamente o indirettamente e, se tale scioglimento fosse stato deliberato nei successivi 24 mesi, i dipendenti sarebbero stati ammessi di diritto alle procedure di mobilità previste dalla medesima legge.
Peraltro, si ricorda che, sebbene temporalmente estraneo alle vicende di cui all'interpellanza, il testo unico sulle partecipate, di cui al decreto legislativo n. 175, prevede forme di tutela dei lavoratori delle società interessate da processi di riorganizzazione, tra cui: l'articolo 24, comma 9, la cosiddetta clausola sociale, in base al quale, in occasione della prima gara successiva alla cessazione dell'affidamento in favore della società a controllo pubblico interessata da tali processi, il rapporto di lavoro del personale già impiegato nell'appalto o nella concessione continua con il subentrante nell'appalto o nella concessione; l'articolo 25, comma 1 e seguenti, che prevede una procedura di riassorbimento degli esuberi, attraverso una mobilità in ambito regionale; e sempre l'articolo 25 che prevede il divieto di assunzioni a tempo indeterminato, fino al 31 giugno 2018 per le società a controllo pubblico, salvo che attingano dagli elenchi dei lavoratori; quindi, anche se sono lavoratori privati, il testo unico prevede una sorta di procedura speciale per tutelare i lavoratori di queste aziende.
Queste nuove norme, accompagnate da sanzioni nei confronti degli enti proprietari, confidiamo che consentiranno di evitare sprechi o assunzioni inutili e, allo stesso modo, daranno la possibilità di avere una tutela ai lavoratori delle società pubbliche che saranno dismesse o liquidate. Il prossimo 30 settembre scadrà il termine per gli enti proprietari di predisporre i piani di razionalizzazione e, quindi, da quella data partirà il processo di revisione delle partecipazioni, dal quale il Governo attende risultati importanti di riduzione e semplificazione.
PRESIDENTE. L'onorevole Galgano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.
ADRIANA GALGANO. La ringrazio; mi dichiaro non solo parzialmente soddisfatta, ma anche perplessa, perché chiaramente si rivolge un'interpellanza e ci si aspetta che arrivi il Ministero competente per la risposta, quindi, evidentemente è successo qualcosa per cui questo non è potuto accadere. La prima considerazione che voglio fare è di natura generale; è incredibile che una società, che era nata per fare incubatore di impresa, si trasformi in una società partecipata che svolge servizi pubblici, che perda così tanti soldi e che crei un danno così evidente alla collettività, quindi, da creazione di valore aggiunto, la società si trasforma a distruzione di valore aggiunto. Questa è la prima considerazione.
La seconda considerazione è che, in tutta la risposta, purtroppo non è ancora chiaro quali saranno le misure che interesseranno i lavoratori della Fils, i quali sono stati sicuramente danneggiati dal fatto che non sia stata applicata la normativa com'era in essere nel 2013 e dalla risposta di oggi non ci sono nemmeno certezze per quanto riguarda l'applicazione futura. Perciò, naturalmente, continueremo ad interrogare, anche in una più ampia azione a favore della razionalizzazione delle partecipate, che i Civici e Innovatori stanno conducendo dal 2013; partecipate che creano debiti, accrescono la distruzione di valore aggiunto che viene fatta e non creano ricchezza per la collettività, come invece dovrebbero essere.
Sulla normativa che lei molto appropriatamente ha citato, noi Civici e Innovatori abbiamo una domanda ed è una domanda che poi faremmo nelle sedi competenti. Allora, la società è in liquidazione e poniamo tutte le altre società partecipate che verranno messe in liquidazione per i motivi della Fils o altri previsti dalla normativa. Bene, i lavoratori devono essere assunti dalle società magari private che prenderanno in gestione il servizio che prima erogavano le società di cui erano dipendenti, ma il TFR chi lo paga? Cioè, nel caso della Fils, il TFR dei lavoratori da chi sarà pagato? Perché, chiaramente, la società non ha i soldi e non si sa nemmeno se sia stato accantonato e, dall'altra parte, la società privata che eventualmente dovesse prendere l'appalto della Fils, dovrà farsi carico del TFR dei lavoratori? E sulla base di quali ricavi? Cioè, quindi, qui noi ci troviamo in una situazione in cui o pagano le aziende private, che in una situazione del genere dubito fortemente che potranno farsi carico di questo, oppure, come al solito, pagherà il contribuente.
Quindi, su questo aspetto noi vigileremo con molta attenzione e pensiamo che ci debba essere una riflessione. Infine, non abbiamo avuto risposta all'ultima domanda che avevamo fatto, che a noi sembrava molto pertinente: qui ci sono delle regole e sulle partecipate è dal 2013 che produciamo normativa, però abbiamo visto che in molti casi - e io posso testimoniarlo per la mia regione - questa normativa non è stata efficace e, in generale, le normative, se non sono previste sanzioni, difficilmente poi vengono rispettate. Allora, non abbiamo avuto risposta alla domanda: se le società che non assumeranno nuovo personale, in presenza di personale da ricollocare, abbiano e, quindi, gli amministratori siano soggetti a sanzioni, perché attualmente la normativa parla solo di sanzioni nei confronti di coloro che hanno male amministrato, non di coloro che non seguiranno le regole che sono previste dalla nuova normativa. E anche su questo continueremo la nostra azione politica a tutela dei lavoratori, a tutela dei cittadini che si trovano sempre a dover ripianare perdite di coloro che hanno amministrato male.
(Iniziative di competenza in merito alla classificazione delle zone disagiate e marginali ai fini di un'adeguata dislocazione di servizi e presidi sanitari – n. 2-01905)
PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Bianconi e Pisicchio n. 2-01905 (Vedi l'allegato A).
Chiedo all'onorevole Bianconi se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.
MAURIZIO BIANCONI. Grazie, Presidente. Da una questione locale territoriale viene fuori un ragionamento di carattere generale, che io voglio svolgere con serenità e anche con un minimo sindacale di critica; minimo sindacale, però, sottosegretario. Noi siamo in un Paese che ha 300 mila chilometri quadrati di superficie. Di questa superficie, tre quarti, il 75 per cento, è o collinare o montuosa, per l'esattezza il 42 per cento è collinare e il 33 per cento è montuosa. Quindi, le zone marginali, periferiche e disagiate sono fotografate dall'orografia del territorio. Se a questo aggiunge che tutta questa pletora di Italia, Alpi, Appennini, pedemontane, eccetera, ha sempre difficoltà di collegamenti viari, ferroviari, eccetera, lei capisce, anzi si capisce bene quanto sia importante da un punto di vista territoriale questo problema, quanto sia estesa l'area.
E poi c'è anche un problema di antropizzazione: tutti noi sappiamo che i grandi centri e le grandi città già disegnate con l'area metropolitana - sulla quale col sottosegretario, in I Commissione, avemmo già modo di scontrarci a sufficienza - servono a concentrare i servizi là dove ci sono più abitanti. In più, l'Italia ha dato quelle che io definisco le megalopoli policentriche, la Toscana ne è un esempio, sono toscano, vado a casa per fare un esempio: noi abbiamo l'8 per cento del territorio intorno a Firenze che ha il 75 per cento della popolazione, poi abbiamo una megalopoli policentrica che va lungo l'Autostrada del sole, lungo la Firenze mare, dove sono tutti i capoluoghi di provincia, meno Siena e Grosseto, quindi c'è un collegamento. L'altro 90 per cento di territorio ha il 10, l'8 per cento di popolazione, ma è il 90 per cento del territorio. Quindi, come capisce, il problema è antropico, è orografico e va a scontrarsi, sicuramente, con un altro problema.
Noi valutiamo la questione degli ospedali e della sanità in zone marginali come un fatto quasi burocratico: non è così, se continuiamo ad analizzarlo così, non arriveremo mai in cima al problema. Il problema è di carattere costituzionale, bisogna rendersene conto una volta per tutte. I cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge. Allora io che sto a Milano, o io che sto a Poggibonsi, o io che sto a Forlì, o io che sto ad Arezzo, ho gli esatti precisi diritti a una sanità buona, come tutti quelli che devono stare nei paesi più lontani. Se invece che ad Arezzo sto a Bibbiena, se invece che a Forlì sto a Santa Sofia, se invece che a Rimini sto a Sestino, cioè se sto anche nei posti più dispersi di questa nazione, io ho diritto agli stessi identici servizi di base - e poi si discuterà anche di questo - di cui hanno diritto tutti gli altri. Ma non è una questione burocratica e di bilancio, è una questione costituzionale. Questo è il punto vero. Lo Stato non può abdicare al rispetto della Costituzione su questi principi base: pari dignità sociali, eguaglianza e libertà di residenza, cioè io posso liberamente muovermi, posso liberamente vivere dove voglio, ma ho diritto a quelle cose basiche del diritto alla salute che mi garantisce lo stesso una Costituzione. E quindi sono di fronte ad alcuni articoli della Costituzione continuamente violati, continuamente ignorati.
Si pensi che, quando noi andiamo a parlare di sanità, ci scontriamo non con le leggi, no, ma con un linguaggio burocratico per il quale il Vicepresidente della Camera, Maurizio Bianconi che fa l'avvocato, il sottosegretario, se non sono proprio del mestiere, non capiscono nulla, perché un paziente “triagiato” bisogna essere del mestiere per capire cosa vuol dire, “triage” bisogna essere del mestiere per capire cosa vuol dire, “focused hospital” bisogna essere lì, se no non si capisce, quindi si è creato un meccanismo interno, anche di linguaggio, per cui chi non è proprio di lì, non capisce nulla. E questo a cosa serve? Serve a riparare, con tutta questa semantica nuova, gli interessi burocratici che si nascondono dietro alla sanità, dimenticando i servizi che debbono essere resi e dimenticando i principi costituzionali che vengono violati. E, sistematicamente, di fronte al linguaggio burocratico ci troviamo allorquando si rimodulando i servizi, si razionalizzando i servizi, che vuol dire sempre e comunque una riduzione di assistenza sanitaria, che colpisce zone disagiate, montane, marginali. Questo è successo nel caso che mi ha impegnato in questa questione.
Guardi che quando io parlo di diritto alla salute non voglio essere frainteso.
La Costituzione non dice che lo Stato deve garantire in ogni dove e sempre al cittadino le migliori cure possibili, perché - lo sapete tutti, ma lo voglio ricordare per chi dovesse ascoltare - è nell'ambito del diritto alla salute che si parla di gratuità del servizio - quindi, questo già esclude le alte specialità -, ma mette una soglia minima di servizi adeguati. Su questo, in realtà, si è provveduto, perché si è prevista una sorta di abbecedario, che io non sto a rileggere qui, nel quale si dice che nelle zone disagiate e marginali ci devono essere dei servizi base, che sono tassativamente elencati. Ma cosa si fa? Si guarda quanto conviene economicamente, si tira fuori quel linguaggio che dicevo prima e, invece di pensare alla zona marginale e alla zona disagiata, si riorganizza: il settore sanitario è in perenne riorganizzazione. Io fatto per tredici anni il consigliere regionale: in ogni piano sanitario c'era una riorganizzazione e un'altra filata di parole nuove; come quando, quando ero più giovane, inventavo l'urbanistica e c'erano questi urbanisti che, caro mio, ne inventavano di tutti i colori: il piano qui, il piano là, il piano sotto, il piano sopra! Così oggi per fare un piano regolatore ci vogliono cinque anni e per fare un regolamento ce ne vogliono quindici. Così è in sanità e, allora, organizzano.
In questo ospedale di cui le dicevo - mi dispiace che non conoscete i posti -, si organizza il Casentino con la Val Tiberina, che è vero che sono confinanti, ma ci sono tre o quattro passi, cioè sono di qua dal monte e di là dal monte: uno va sull'Arno e l'altro va sul Tevere, per cui ci vuole più per andare da qui a qui, che non da qui ad Arezzo, che già ci vuole un'ora perché sono le strade peggiori del mondo e c'è un trenino a scartamento ridotto che va su e giù. Ma poi ci sono le zone anche più lontane.
Siamo in mezzo ai monti, in una valle cieca, e si dice che si deve andare nell'ospedale di là. Perché? Perché nella cartina sembra giusto, ma non lo è. E, allora, che si fa? Si impoverisce una zona, e qui ci sta la furbizia, sottosegretario, sulla quale il Governo dovrebbe stare attento: i privati che organizzano tutto questo sono pronti a servizi sostitutivi. Quindi, il pubblico viene lasciato come viene lasciato, il privato subentra e fa pagare quello che doveva essere gratis, perché certi servizi vanno comunque dati; e c'è chi le preordina queste cose. Allora, con la zonizzazione, con il linguaggio così e cosà, si smantella quello che c'era.
In questo ospedale sono nati i miei due nipoti: la mia famiglia è di Arezzo, io non ci abito più, la mia figliola è andata in questo ospedale, perché il reparto di maternità di quell'ospedale era molto migliore di quello dell'ospedale centrale: l'hanno smantellato. L'altro giorno, al pronto soccorso è andata una donna incinta ed è deceduta. Quindi, anche le eccellenze vengono fatte fuori in nome della burocrazia e della spesa. Lo fanno tutti, ma lo fa anche la mia regione: il direttore generale della Toscana prende il premio se risparmia. Non è che prende il premio dalla regione se dà il miglior servizio al minor costo. No! Se risparmia. Quindi, succedono queste cose, si viene meno a principi costituzionali fondamentali e si sacrificano le comunità.
C'è un'altra cosa: guardate, che anche in economia è un danno. Primo, perché c'è da pagare a lungo gioco il privato; in seconda istanza, i paesi si spopolano, la gente se ne va: i turisti stanno attenti a che servizi ci sono e non ci vanno. Quindi, anche per far tornare il conto dall'azienda sanitaria “X”, si fa finta di fare una riorganizzazione, una zonizzazione, si smantella la sanità, si fa approfittare il privato per entrare, si mandano via i turisti e si depauperano le comunità. Non solo. Io vi rappresento qui la questione critica: è la prima volta dal 1919 - guerra e febbre spagnola - che la vita media di questo Paese diminuisce di sei mesi, lo avrete visto tutti.
Questo dipende da molte cose: 11 milioni di poveri assoluti, 5 milioni con il problema alimentare e, soprattutto, cessazione completa della medicina preventiva perché non ci sono i soldi. Guardi che in quelle zone ci sono gli anziani: questo modo di gestire la sanità costa la vita a molti, non è uno scherzo. Non può lo Stato lasciare alle regioni che hanno problemi di bilancio e politici la decisione su queste cose gravi: deve intervenire e controllare.
In questo caso, io chiedo se il Governo è a conoscenza di tutta questa questione, come intende intervenire; se intende, anche sull'ospedale che ho nominato, avere delle idee in proposito per cui si possa rassicurare questa gente o, comunque, dare un senso a quello che è stato detto sin qui.
PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato, Angelo Rughetti, ha facoltà di rispondere.
ANGELO RUGHETTI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Grazie, Presidente. L'onorevole Bianconi, che ringrazio, pone una questione penso fondamentale, che riguarda il livello e la qualità dei servizi essenziali che, con il diritto alla salute, l'insieme delle istituzioni pubbliche erogano su tutte le aree del Paese. Principio di eguaglianza sostanziale, di pari dignità: è un tema centrale nell'Assemblea costituente. Come egli sa, ci furono molte discussioni dedicate a questo tema e, alla fine, si arrivò ad una formulazione, che è quella dell'articolo 3, frutto proprio di una visione e di culture diverse, ma che, forse, è una delle formulazioni più felici della nostra Costituzione.
Questo articolo, come giustamente diceva l'onorevole interpellante, è una sorta di monito, perché non solo dice che c'è una parità sostanziale, ma attribuisce un compito, perché dice che la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli. Non dice i comuni, le province, le regioni e lo Stato: è la Repubblica, cioè è il senso dell'unitarietà che deve prevalere sulle competenze legislative. Con uno slogan facile si potrebbe dire che l'articolo 3 della Costituzione vince sull'articolo 117 della Costituzione.
Sappiamo, però, che l'insieme dell'ordinamento costituzionale, quindi delle regole costituzionali vigenti e delle leggi che lo hanno attuato, oggi ci regala un difficile equilibrio da raggiungere tra il rispetto della competenza legislativa regionale e i poteri che lo Stato ha di intervenire a correzione o a condizionamento di questa competenza legislativa. Senza fare nessuna forma di polemica, ma soltanto per ricordarlo, perché il rispetto che ho nei confronti dell'onorevole Bianconi non mi consentirebbe di farlo, nel progetto di riforma costituzionale approvato da questo Parlamento vi era una formula, la cosiddetta clausola di supremazia, che aveva proprio il compito di cercare di intervenire nelle materie dove c'era una competenza legislativa regionale, mitigando, appunto, questa forma di autonomia così forte anche nelle materie nelle quali il condizionamento dei diritti essenziali è forte e importante. Sappiamo, poi, come è andato, quindi nulla da aggiungere su questo.
In merito alla problematica delineata nell'interpellanza, desidero innanzitutto segnalare che il Ministero della salute ha costantemente condiviso la strategia per il rilancio delle aree interne per fare in modo che le aree interne siano tutelate e abbiano un riequilibrio dell'offerta delle funzioni assistenziali, ospedaliere e territoriali. In particolare, per la regione Toscana, il territorio Casentino-Val Tiberina è stata una delle aree interne che sono state individuate dalla Strategia nazionale delle aree interne.
Il Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio ha individuato questo progetto proprio per favorire la ripresa dello sviluppo economico e sociale del Paese non soltanto all'interno dei grandi centri urbani. Il citato Dipartimento ha peraltro comunicato che, proprio con riferimento al territorio menzionato nell'interpellanza in esame, è stato approvato dalla giunta regionale della Toscana, nel 2016, il documento di strategia dell'area Casentino-Val Tiberina, con interventi per un importo complessivo pari a 10.400.000 euro. Inoltre, è stato già dato avvio alla fase di attuazione della strategia, che prevede interventi in tema di mobilità, sviluppo economico, servizi sociali, scolastici e formativi.
Nello specifico settore socio-sanitario, gli interventi previsti dalla strategia riguardano in particolare il potenziamento dei servizi di emergenza-urgenza, la rete infermieristica di comunità, il pediatra di iniziativa, infine l'offerta di servizi, diretti a sostenere le condizioni di fragilità e difficoltà degli anziani e delle persone con disabilità, che tenga conto delle specifiche esigenze del vivere in montagna. Con particolare riguardo alle criticità indicate nell'interpellanza relativamente alla funzionalità dell'ospedale di Bibbiena-Arezzo, si segnala che il tavolo di monitoraggio dell'attuazione del DM n. 70 del 2015, che è lo strumento attraverso il quale il Ministero dalla Salute può vigilare in merito all'adozione da parte delle regioni delle misure finalizzate a garantire l'uniformità degli standard delle strutture sanitarie sul territorio, ha rinviato ad una successiva valutazione – quindi, il tavolo si è riunito - la documentazione trasmessa dalla regione Toscana in attuazione di quanto disposto dall'articolo 1 di questo decreto, in quanto la stessa documentazione fornita dalla regione Toscana risultava fortemente carente di alcuni elementi necessari al completamento dell'istruttoria. Devo comunicare, purtroppo, che ad oggi la regione Toscana non ha ancora inviato la documentazione richiesta in tale sede corredata dell'atto unitario di formale adozione della rete ospedaliera, della rete dell'emergenza-urgenza e delle reti tempo-dipendenti conformemente alle indicazioni contenute nel DM n. 70 del 2015.
Per quanto riguarda la problematica più generale connessa alla disomogeneità nella qualità e all'accessibilità delle prestazioni assistenziali nel territorio nazionale, si rammenta, come dicevo in premessa, che la competenza in materia di organizzazione sanitaria è affidata all'autonomia regionale: le regioni hanno la facoltà di definire le caratteristiche operative delle singole strutture ospedaliere, quali ad esempio la tipologia di reparti, la dotazione di posti letto, il ruolo nelle reti. Le amministrazioni centrali affiancanti - sottolineo questo parola - possono verificare l'adesione agli standard a cui faceva riferimento anche l'interpellante, e non le singole scelte organizzative che mettono in essere le regioni. Pertanto, nell'ottica di perseguire il comune obiettivo di rendere maggiormente efficiente il sistema, la cooperazione tra i diversi soggetti istituzionali costituisce lo strumento necessario, l'unico, ai fini dell'attuazione del sostenibile cambiamento organizzativo delineato con il DM n. 70 del 2015. Relativamente alle cure urgenti nelle aree interne, si precisa che tale DM prevede la possibilità di attivare specifici presìdi ospedalieri in zone particolarmente disagiate, che, in ragioni di misurabili parametri di distanza dei cosiddetti centri hub di riferimento, si collocano in aree con criticità orografiche o viarie tali da richiedere specifici interventi programmatori regionali. Lo stesso DM n. 70 pone come condizione fondamentale la riconversione di servizi, strutture ed ospedali per il potenziamento dell'area territoriale, poiché la sola riorganizzazione della rete ospedaliera risulterebbe insufficiente a garantire risposte coerenti ai bisogni di salute. Infatti, le strutture territoriali rivestono un ruolo centrale nel contenimento dei ricoveri ospedalieri inappropriati e ai fini della continuità di cura in fase post-acuta. Ad ulteriore conferma della particolare attenzione che il Ministero della salute ripone circa il tema generale meritoriamente segnalato dagli interpellanti, desidero comunicare una recente iniziativa finalizzata alla valorizzazione del cosiddetto “ospedale di comunità”, un'innovativa struttura sanitaria distrettuale in grado di seguire in regime residenziale e semiresidenziale una quota di popolazione che in passato afferiva alla tradizionale degenza ospedaliera. Proprio a tal riguardo, infatti, segnalo che è stato costituito ed è operativo presso il Ministero della salute uno specifico gruppo di lavoro con il compito di elaborare proposte per la definizione dei requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi dell'ospedale di comunità, la definizione di percorsi assistenziali, tariffe e standard dei posti letto. Tutto ciò premesso, desidero rassicurare gli onorevoli interpellanti che il tema da loro posto è un tema importante, sul quale il Governo continuerà a porre la massima attenzione, nel rispetto delle competenze legislative delle regioni, nel rispetto delle competenze amministrative per le quali gli atti di amministrazione sono di esclusiva competenza delle stesse, mentre spetta allo Stato il compito di verificare che la qualità dei servizi offerti ai cittadini resti sempre di massimo livello, pur consapevoli dei limiti degli strumenti che lo Stato ha a disposizione.
PRESIDENTE. l'onorevole Bianconi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
MAURIZIO BIANCONI. Presidente, ringrazio il sottosegretario per la completezza e la sincerità di questa risposta, che ci ha dato alcuni elementi molto importanti. Il primo elemento è l'inadempienza della regione Toscana, di cui saprà far tesoro chi si occupa di queste faccende in regione. Il secondo elemento, che è importante proprio per quello che cercavo di spiegare nell'esposizione di questa interpellanza, è che il Casentino è una cosa, la Valtiberina è un'altra cosa. Se individuano una strategia comune fra Valtiberina e Casentino, individuano una strategia comune fra territori lontani, perché sono vicini, ma sono allo stesso tempo lontani! Sono lontanissimi perché ci sono degli Appennini di mezzo! C'è il Pratomagno, proprio i monti ci sono! Proprio i monti! Allora, questa valle, cieca di qua, con i monti di qua, verso i suoi autonomi riferimenti naturali non può andare. A Bibbiena, nel Casentino, chiedono di essere zona disagiata perché l'ospedale abbia non tanto, ma quello che c'è scritto in quel provvedimento che lei ha letto, quei parametri: un reparto di 20 posti letto di medicina generale con un proprio organico di medici infermieri, questo dà l'ospedale di zona disagiata. Poi, una chirurgia elettiva ridotta che effettua interventi in chirurgia con ricovero giornaliero o eventualmente con ricovero di più giorni, con appoggio nei posti letto di medicina per un massimo del 70 per cento, per lasciare spazi a casi imprevisti con copertura h24 di équipe chirurgica per casi risolvibili in loco. Se ci fosse stata tutta sta roba, quella signora non moriva l'altro giorno. Inoltre, un pronto soccorso medico con organico medico interamente dedicato all'emergenza-urgenza debitamente inquadrato, integrato e aggiornato; la possibilità di eseguire indagini radiologiche con trasmissioni di immagini collegate all'ospedale di eccellenza o di media capacità più vicina. Io ho tradotto in italiano tutti i linguaggi loro, perché qui c'è scritto hub, spoke, week surgery, day surgery; io ho cercato di dargli un senso che il cittadino possa capire. Poi, predisposizione di un protocollo che disciplini trasporti secondari dall'ospedale di zona disagiata a quello di eccellenza o di media capacità. È prevista la presenza di un'emoteca; il personale deve essere assicurato, a rotazione, dall'ospedale di eccellenza o di media capacità più vicino. Questo chiedono, cioè chiedono un ospedale per zona disagiata, non una strategia di zona che, facendo finta di accorpare ciò che non è accorpabile risparmia queste spese, apre il territorio all'ingresso del privato e non assicura la gente! In ospedali di comunità, la gente che sta sempre all'ospedale, prima va al cronicario e poi all'ospedale di comunità. Sottosegretario, io sono convinto che il Ministero e il Governo - perché qui non c'è differenza - abbiano a cuore questo problema. Sappiate che nelle regioni dove avete comunque la potestà di controllo e di adesioni, in casi poi come questo, in cui non vi mandano neanche i documenti, un occhio in più lo potreste dare. La sanità costituisce l'asse portante del governo regionale. Enrico Rossi, mio amico, anche se avversario politico, ha fatto l'assessore alla sanità ed è diventato presidente. L'altro mio amico, Martini, ha fatto l'assessore alla sanità ed è diventato presidente. C'è una tradizione per la quale si spende per l'organizzazione della burocrazia sanitaria ma non si spende per la sanità, perché la burocrazia sanitaria porta voti, porta controllo politico; non ruberie, parlo proprio di organizzazione politica. È logico che ogni regione ha la visione falsata per questo. E il Casentino è un seggio non sicuro, ma strasicuro per la sinistra. Non sicuro, strasicuro! Cioè, anche se non ci vanno, è uguale. Se ci mandano una scimmia con la cravatta, vince anche una scimmia con la cravatta, quindi basta che la metto lì e vince.
Allora, fanno come gli pare. Allora, un occhio in più anche per quella facoltà di arbitro che ha il Governo sulle cose amministrative. Lo sa che io sono un ferreo oppositore, ma sa che ho anche un grande rispetto delle istituzioni. Io dell'istituzione Governo, in questo momento, su questa faccenda, mi voglio fidare, e voglio che la gente se ne fidi, per vedere se di qui a poco, con un intervento anche deciso, si risolve questo problema.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.
Modifica nella denominazione di una componente politica del gruppo parlamentare Misto.
PRESIDENTE. Comunico che la vicepresidente del gruppo parlamentare Misto, Pia Elda Locatelli, in rappresentanza della componente politica “Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI)”, con lettera pervenuta in data 14 settembre 2017, ha reso noto che la nuova denominazione della componente è: “Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti”.
Modifica nella composizione dell'ufficio di presidenza di un gruppo parlamentare e affidamento dei poteri attribuiti dal Regolamento nell'ambito del medesimo gruppo.
PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data odierna, il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle, Andrea Colletti, ha reso noto che, a far data dal 18 settembre 2017, i deputati Davide Crippa e Carlo Sibilia assumeranno l'incarico di vicepresidenti, in sostituzione dei deputati Maria Edera Spadoni e Francesco D'Uva.
Ai deputati Davide Crippa e Carlo Sibilia è inoltre affidato l'esercizio dei poteri attribuiti in caso di assenza o impedimento del presidente, secondo quanto previsto dall'articolo 15, comma 2, del Regolamento della Camera.
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Lunedì 18 settembre 2017, alle 18:
1. Discussione sulle linee generali del testo unificato delle proposte di legge:
CATANOSO GENOESE; CATANOSO GENOESE; OLIVERIO ed altri; CAON ed altri; VENITTELLI ed altri; RAMPELLI ed altri: Interventi per il settore ittico. Deleghe al Governo per il riordino e la semplificazione normativa nel medesimo settore e in materia di politiche sociali nel settore della pesca professionale. (C. 338-339-521-1124-4419-4421-A)
Relatore: LUCIANO AGOSTINI.
2. Discussione sulle linee generali della proposta di legge:
ASCANI ed altri: Disciplina e promozione delle imprese culturali e creative. (C. 2950-A)
Relatrice: MANZI.
3. Discussione sulle linee generali dei progetti di legge:
Ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale di Nagoya – Kuala Lumpur, in materia di responsabilità e risarcimenti, al Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, fatto a Nagoya il 15 ottobre 2010. (C. 3916-A)
Relatore: NICOLETTI.
Ratifica ed esecuzione dei seguenti protocolli: a) Protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013; b) Protocollo n. 16 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013. (C. 2801)
e dell'abbinata proposta di legge: SCHULLIAN. (C. 3132)
Relatori: VAZIO, per la II Commissione; NICOLETTI, per la III Commissione.
La seduta termina alle 12,45.