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Documento

Doc. XXIII, N. 28

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI E SU ILLECITI AMBIENTALI AD ESSE CORRELATI

(Istituita con legge 7 gennaio 2014, n. 1)

(composta dai deputati: Bratti, Presidente, Bianchi Dorina, Bianchi Stella, Braga, Carrescia, Castiello, Cominelli, D'Agostino, De Mita, Palma, Polverini, Taglialatela, Vignaroli, Vicepresidente, Zaratti, Segretario, Zolezzi; e dai senatori: Arrigoni, Augello, Vicepresidente, Cervellini, Compagnone, Iurlaro, Martelli, Morgoni, Nugnes, Orellana, Orrù, Pagnoncelli, Pepe, Puppato, Scalia, Segretario, Sollo).

RELAZIONE SUI SITI CONTAMINATI GESTITI DALLA SOCIETÀ CAFFARO A TORVISCOSA, BRESCIA, COLLEFERRO E GALLIERA

(Relatori: on. Bratti, sen. Compagnone, on. Cominelli)

Approvata dalla Commissione nella seduta del 17 ottobre 2017

Comunicata alle Presidenze il 17 ottobre 2017 ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 7 gennaio 2014, n. 1

INDICE

Sommario

Premessa generale Pag. 6
1. Inquadramento giuridico delle società SNIA/Caffaro » 6
 1.1 Il quadro societario del gruppo SNIA/Caffaro » 7
 1.2 Il contenzioso civile » 8
  1.2.1 L'azione di responsabilità nei confronti di amministratori, sindaci e soci di riferimento di SNIA » 8
  1.2.2 Le azioni proposte nei confronti della SORIN dal commissario straordinario di SNIA e dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano » 21
  1.2.3 La causa promossa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato in Milano contro Livanova PLC (già SORIN) » 27
  1.2.4 Il contenzioso davanti al tribunale di Udine » 30
  1.2.5 La domanda di ammissione allo stato passivo in SNIA » 32
  1.2.6 Il contenzioso amministrativo » 34
 1.3 I procedimenti penali » 35
 1.4 Il problema della quantificazione del danno ambientale dei tre SIN » 37
 1.5 La disciplina dei crediti delle amministrazioni pubbliche nella procedura di amministrazione straordinaria » 39
 1.6 Alcune considerazioni » 43
2. Il sito di interesse nazionale «Laguna di Grado e Marano» » 46
 2.1 Inquadramento del SIN » 46
  2.1.1 I rapporti tra il «Commissario delegato» e il «Commissario straordinario» della Caffaro Chimica in liquidazione Srl e della Caffaro Srl, in amministrazione straordinaria » 49
 2.1.2 Le ragioni della riperimetrazione del SIN » 54
 2.2 Principali criticità ambientali » 56
 2.3 La situazione attuale e gli interventi di bonifica » 56
  2.3.1 La messa in sicurezza e la bonifica delle aree ricomprese nel SIN, come riperimetrato nel 2012 » 59
  2.3.2 La barriera idraulica » 64
 2.4 Risorse pubbliche stanziate per il SIN » 65
 2.5 Stato di avanzamento dei procedimenti di bonifica » 67
  2.5.1 Area SPIN Spa – gruppo Bracco » 67
  2.5.2 Area Lavanderia Adriatica Srl » 68
 2.6 Lo Stabilimento Caffaro di Torviscosa » 68
  2.6.1 Inquadramento dell'area » 68
  2.6.2 Soggetti coinvolti nell'iter di bonifica/messa in sicurezza » 68
  2.6.3 Attività produttive pregresse e attuali » 69
  2.6.4 Stato di menzionamento dell'iter di bonifica » 71
  2.6.5 Interventi soggetti a valutazione di impatto ambientale » 75
 2.7 I costi di bonifica del sito » 76
 2.8 I procedimenti penali » 78
  2.8.1 La vicende penale connessa alla perimetrazione del SIN » 78
  2.8.2 La vicenda penale concernente il Consorzio Aussa Corno » 85
 2.9 Conclusioni » 87
3. SIN di «Brescia – Caffaro» » 89
 3.1 La situazione ambientale della provincia di Brescia » 89
 3.2 Inquadramento del SIN di Brescia Caffaro e stato della contaminazione » 90
 3.3 Risorse pubbliche stanziate per il SIN » 95
 3.4 Lo stato MISE (messa in sicurezza d'emergenza) dell'area dello stabilimento Caffaro » 99
  3.4.1 La barriera idraulica » 100
 3.5 Le ultime analisi dell'ARPA » 105
 3.6 Ulteriori problematiche » 107
 3.7 Il ruolo e la posizione del commissario straordinario della Caffaro Chimica Srl in amministrazione straordinaria » 110
 3.8 Il danno ambientale » 111
 3.9 Il ruolo del commissario straordinario delegato del SIN «Brescia-Caffaro» » 115
 3.10 Conclusioni » 119
4. Il SIN «Bacino del fiume Sacco» » 122
 4.1 Le caratteristiche della Valle del Sacco » 122
 4.2 Inquadramento generale » 123
  4.2.1 Lo stato di emergenza del bacino del fiume Sacco » 123
  4.2.2 Il SIN «Bacino del Fiume Sacco» » 125
 4.3 L'ex ufficio commissariale Valle del Sacco » 129
 4.4 La tipologia degli interventi dell'ufficio commissariale » 130
 4.5 Il territorio attribuito alle competenze esclusive dell'ufficio commissariale » 131
  4.5.1 Il comprensorio industriale di Colleferro » 132
  4.5.2 Le aree agricole ripariali » 133
  4.5.3 L'elenco delle aree inquinate » 133
 4.6 Gli interventi effettuati dall'Ufficio del commissario delegato » 134
 4.7 Fondi utilizzati dall'ufficio commissariale » 140
 4.8 Stato attuale delle attività » 146
 4.9 Gli interventi programmati » 147
  4.9.1 Il depuratore di Anagni » 147
  4.9.2 La sperimentazione di fitodepurazione » 148
  4.9.3 Le indagini epidemiologiche » 150
  4.9.4 Il monitoraggio delle acque e dei pozzi di emungimento » 151
  4.9.5 Interventi di caratterizzazione delle aree agricole e industriali » 152
  4.9.6 La discarica Le Lame » 153
5. Le aree Caffaro » 157
 5.1 Le aree degli stabilimenti Caffaro a Colleferro » 157
 5.2 Attività svolta dall'ufficio commissariale nell'area industriale di Colleferro – Caffaro » 160
  5.2.1 La caratterizzazione » 160
  5.2.2 Aree industriali con intervento diretto dell'ufficio commissariale » 161
  5.2.3 Interventi di messa in sicurezza bonifica nelle aree occupate dagli stabilimenti della Caffaro » 162
 5.3 Area stabilimento Chetoni-Fenilglicina » 163
 5.4 Area stabilimento Benzoino e derivati » 164
 5.5 Le aree esterne » 165
 5.6 Il danno ambientale » 166
6. Il sito Caffaro nel comune di Galliera » 170
 6.1 La caratterizzazione del sito » 170
 6.2 Gli interventi di messa in sicurezza permanente e di bonifica del sito da parte del comune di Galliera, in via sostitutiva » 177
 6.3 Gli ultimi sviluppi della fase procedurale delle operazioni di bonifica » 181
7. Considerazioni finali » 181
Pag. 6

Premessa generale

  Oggetto della relazione della Commissione sono i siti di interesse nazionale (di seguito SIN) di Torviscosa, Brescia e Colleferro, nonché il sito industriale del comune di Galliera in provincia di Bologna.
  Ciò che accomuna i siti anzidetti è costituito dal fatto che gli stabilimenti industriali, situati nelle aree descritte, che producevano tutti composti clorurati e hanno contaminato suoli, sottosuoli e acque di falda, facevano capo al gruppo SNIA-Caffaro, attualmente in amministrazione straordinaria, con una differenza.
  Invero, i SIN di Torviscosa e di Brescia hanno quale unica fonte dell'inquinamento le aree occupate dagli stabilimenti della Caffaro; viceversa, il SIN «Bacino del fiume Sacco», presenta plurime fonti di inquinamento, sebbene la più rilevante sia quella che proviene dall'area industriale di Colleferro, dove tra gli altri insediamenti, vi sono gli stabilimenti della Caffaro.
  La presente relazione si svolge in cinque capitoli, ciascuno dei quali contiene numerosi paragrafi.
  Il primo capitolo tratta una parte generale, che riguarda le problematiche dell'appartenenza degli stabilimenti e delle aree inquinate a un unico gruppo industriale, dichiarato insolvente e posto in amministrazione straordinaria, con l'esposizione dei procedimenti giudiziari civili, penali e amministrativi in corso e dei numerosi problemi di carattere tecnico-giuridico affrontati nelle sentenze dei giudici civili e amministrativi, con riferimento non solo alla posizione dei soggetti che sono stati chiamati a rispondere del danno ambientale, ma anche con riferimento ai criteri di valutazione di tale danno.
  Il secondo e il terzo capitolo trattano, rispettivamente, i SIN di Torviscosa e di Brescia; il quarto e il quinto capitolo trattano, rispettivamente, il SIN Bacino del fiume Sacco e le aree degli stabilimenti, comprese nell'anzidetto SIN; il sesto capitolo tratta le problematiche delle aree inquinate del comune di Galliera. Il settimo capitolo contiene le conclusioni generali.
  Comunque, ogni capitolo riporta alcune conclusioni sui punti di maggiore interesse trattati, che vengono infine riassunte nelle conclusioni generali che chiudono la relazione.

1. Inquadramento giuridico delle società SNIA/Caffaro

  La vicenda dei siti di interesse nazionale Caffaro impone l'esame di una serie di problemi di carattere tecnico-giuridico, posto che tutte le società che hanno gestito i siti di interesse nazionale di Brescia, Torviscosa e Colleferro, oltre il sito di Galliera (BO), sono state dichiarate insolventi e poste in amministrazione straordinaria.
  In tale contesto, è maturato un notevole contenzioso (civile, amministrativo e penale), tuttora in corso, che investe sia le responsabilità Pag. 7dei soggetti chiamati, a vario titolo, a rispondere del danno ambientale, sia l'ammontare di tale danno e i criteri di determinazione dello stesso.
  Lo stato del contenzioso va esaminato preliminarmente, rispetto alle problematiche ambientali dei singoli siti.

1.1 Il quadro societario del Gruppo SNIA/Caffaro

  SNIA Spa, società quotata al mercato telematico azionario (MTA), gestito da Borsa italiana Spa, ha operato dal secolo scorso nel settore della chimica sia direttamente, sia indirettamente. Le attività di produzione e commercializzazione di prodotti chimici vennero svolte inizialmente attraverso la controllata Caffaro Spa, anch'essa quotata alla borsa italiana, di poi fusa per incorporazione in SNIA nel mese di marzo del 2000.
  Quindi, SNIA Spa, a partire dal 3 aprile 2000, ha operato nel mercato chimico attraverso la società Caffaro Srl come socio unico (100 per cento SNIA).
  La società Caffaro Srl nel mese di dicembre 2006 ha conferito nella neocostituita società Caffaro Chimica Srl (99,5 per cento Caffaro e 0,5 per cento SNIA) il ramo d'azienda costituito da tutte le attività di produzione e di commercializzazione dei prodotti chimici che continuavano a venire svolte nei soli siti produttivi di Brescia e Torviscosa (UD)
  La società scissa Caffaro Srl rimaneva così proprietaria di tutto il patrimonio immobiliare (aree industriali, terreni, immobili) e quindi riguardata dagli interventi di messa in sicurezza e di bonifica del proprio patrimonio immobiliare, in particolare costituito dai siti di interesse nazionale di Brescia, Torviscosa (UD) e Colleferro (FR), nonché dal sito di Galliera (BO).
  Le società Caffaro Chimica Srl e Caffaro Srl, già poste entrambe in liquidazione, sono state dichiarate insolventi dal tribunale di Udine, ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo n. 270 del 1999, con sentenze, rispettivamente, n. 40/09 del 15-19 maggio 2009 e n. 72/09 del 9-22 luglio 2009 di poi ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria (doc. 1156/3).
  Tale procedura è stata estesa con decreto del 23 giugno 2010 del Ministro dello sviluppo economico anche alla capogruppo SNIA Spa, dichiarata insolvente con sentenza del tribunale di Milano n. 252/10 del 25 marzo 2010-15 aprile 2010.
  Borsa italiana, a seguito della dichiarazione di insolvenza di SNIA Spa, ha disposto nel dicembre 2010 la revoca dalla quotazione nel mercato telematico azionario (MTA) delle azioni ordinarie SNIA e delle obbligazioni del prestito obbligazionario convertibile SNIA 2005-2010.
  Da ultimo, la società Immobiliare SNIA Srl in liquidazione con socio unico (100 per cento SNIA) è stata dichiarata insolvente, con sentenza del tribunale di Milano n. 487/2016 del 9-13 giugno 2016 e ammessa anch'essa alla procedura di amministrazione straordinaria (doc. 1370/1).Pag. 8
  Dei predetti rapporti partecipativi della capogruppo SNIA Spa e della sua natura di holding quotata alla borsa italiana operante nei diversi settori di attività tramite le proprie controllate, è stata data evidenza dal commissario straordinario delle procedure di amministrazione straordinaria, avvocato Marco Cappelletto, nelle sue relazioni (doc. 1156/2/3/4/5).
  Si precisa inoltre che la società SNIA Spa era controllata dalla società Bios Spa che, direttamente e tramite la società Biosdue Spa, è pervenuta a detenere nel giugno del 2002 una quota di maggioranza assoluta pari al 50,3 per cento del capitale sociale di SNIA Spa
  La società Bios Spa (socio diretto) era a sua volta controllata da: 1) Hopa Spa, oggi Mittel Spa; 2) Ge-Capital Spa, già Interbanca Spa; 3) Monte dei Paschi di Siena Spa; 4) Compagnia Assicuratrice Unipol Spa (soci indiretti), soci tra loro legati da un patto di sindacato di voto.
  E più precisamente, il controllo congiunto era esercitato tramite un patto parasociale sottoscritto nel luglio 1999 avente ad oggetto, tra l'altro, il compito di «disciplinare l'esercizio del diritto di voto delle parti nella società Bios, anche con riferimento alla partecipazione di Bios in SNIA Spa».
  Come evidenziato nell'atto di diffida del Ministro dell'ambiente del 24 luglio 2015, prot. 0014568 (doc. 712/1), la società controllante Bios, eterodiretta da MPS, Unipol, Mittel e GE-Capital, aveva operato per il tramite degli amministratori di SNIA, individuati e nominati dalla predetta società Bios, nella qualità di socio controllante di SNIA.
  In forza di tale assetto e controllo societario, il consiglio di amministrazione della società SNIA Spa, nominato con delibera assembleare dei soci in data 28 giugno 2002, approvava in data 13 maggio 2003 il progetto di scissione parziale in favore della società SORIN Spa (oggi Livanova PLC), alla quale venivano assegnate tutte le partecipazioni sociali e le attività nel comparto biomedicale; scissione che diveniva efficace in data 2 gennaio 2004, a seguito dell'avvenuta iscrizione della neocostituita beneficiaria società SORIN Spa nel registro delle imprese, come previsto dal primo comma dell'articolo 2506 codice civile.

1.2 Il contenzioso civile

1.2.1 L'azione di responsabilità nei confronti di amministratori, sindaci e soci di riferimento di SNIA

  Così delineato il quadro societario, va detto che il commissario straordinario della SNIA Spa in liquidazione, in amministrazione straordinaria, sulla scorta di un report del 22 novembre 2011, redatto dalla società di consulenza Deloitte Financial Advisory Services Spa, e di una ulteriore consulenza di parte (relazione Vienna), ha proposto azione di responsabilità – con l'assistenza degli avvocati Giorgio De Nova, Elisabetta Trezzi, Maffeis Daniele Giovanni e Francesco Delfini, tutti del foro di Milano – con conseguente domanda di condanna nei confronti degli amministratori, sindaci e soci di riferimento, per un totale di n. 65 parti convenute e 24 terzi chiamati e con l'intervento Pag. 9adesivo-dipendente (ad adiuvandum) del Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare e del Ministero dell'economia e delle finanze, rappresentati dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano.
  Il commissario straordinario della SNIA Spa in liquidazione contesta ai convenuti otto distinte condotte ritenute cagionative di danno per il patrimonio sociale, accompagnate da altrettante richieste di risarcimento danni.
  La prima e la più rilevante, sotto il profilo del danno cagionato, delle condotte censurate consiste in una omissione, protrattasi a far data dal 3 aprile 2000, che avrebbe esposto SNIA Spa alla responsabilità per tutti i debiti della controllata al 100 per cento società Caffaro Srl, conseguenti ai danni all'ambiente causati da quest'ultima nei tre SIN di Torviscosa, Brescia e Colleferro.
  Sulla base di una stima dei danni effettuata da ISPRA, i danni all'ambiente vengono stimati nella complessiva somma di euro 3.423.257.403,60 (quasi tre miliardi e mezzo di euro, che costituivano oggetto della pretesa del Ministero dell'ambiente).
  A tale danno l'attore aggiunge altro potenziale danno, valutabile in ulteriori euro 1.922.070, oggetto della pretesa del commissario delegato per l'emergenza socio-economico ambientale, determinatasi nelle lagune di Marano Lagunare e Grado.
  Inoltre, il commissario straordinario chiede al tribunale che amministratori e sindaci di SNIA vengano chiamati a rispondere di tutti gli altri debiti di Caffaro in amministrazione straordinaria che trovano titoli in atti o fatti inerenti il periodo compreso fra il 3 aprile 2000 e il 2 febbraio 2009, ma ma omette di effettuare sul punto alcuna ulteriore specificazione, che consenta di identificare tali danni ulteriori, come sottolinea il tribunale di Milano, che ha rigettato quest'ultima domanda di risarcimento danni.
  Tutto ciò precisato, va detto che il periodo temporale anzidetto (3 aprile 2000 e il 2 febbraio 2009) viene determinato dal commissario straordinario sulla base della considerazione che SNIA, pur essendo divenuta socio unico di Caffaro, a partire dal 3 aprile 2000, aveva effettuato la relativa comunicazione al registro delle imprese, prevista dall'articolo 2470, comma 4, del codice civile, soltanto in data 2 febbraio 2009.
  Di conseguenza, la mancata comunicazione, da parte di SNIA, al registro delle imprese della sua qualità di socio unico in Caffaro Srl comportava, ai sensi degli articoli 2462, comma 2, e 2470, comma 4, del codice civile, l'illimitata responsabilità della stessa SNIA e, per essa, anche la responsabilità solidale di amministratori, sindaci e soci di riferimento, per le obbligazioni sorte in Caffaro Srl, per tutto il periodo in cui non era stata effettuata la prescritta pubblicità.
  Altra rilevante condotta censurabile da parte di amministratori e sindaci della SNIA è rappresentata dalla cosiddetta «scissione distrattiva» della SORIN Spa.
  Invero, secondo il commissario straordinario, la seconda condotta fonte della responsabilità degli organi sociali di SNIA – anche quale conseguenza del controllo congiunto dei «soci indiretti» (MITTEL Spa, GE CAPITAL Spa, MPS Spa e UNIPOL Spa) e della direzione unitaria e del coordinamento del «socio diretto» BIOS, nonché degli Pag. 10amministratori di BIOS, allora in carica – è costituita dall'ideazione e dalla realizzazione (rese note ai soci e al mercato solo a far data dalla riunione del consiglio di amministrazione, avvenuta il 13 maggio 2003) della «scissione distrattiva» del comparto biomedicale, in danno dei soci e dei creditori sociali di SNIA, nella consapevolezza che l'attività sociale sarebbe proseguita in assenza di continuità aziendale, in danno dei soci e dei creditori sociali di SNIA.
  Nella specie, la parte attrice ipotizza che l'operazione in questione sarebbe stata il punto di arrivo di un progetto doloso – orchestrato da BIOS (ovvero dai soci di riferimento di BIOS), fin dal momento della assunzione di una partecipazione rilevante nella SNIA Holding (nei primi mesi dell'anno 1999) – volto ad appropriarsi delle principali fonti di redditività del gruppo (in tesi individuate nel «comparto» biomedicale), trasferendole ad un soggetto di nuova costituzione (quale sarà poi la newco SORIN, beneficiaria della scissione 2.1.2004) e con asserito grave pregiudizio degli altri soci e della generalità dei creditori di SNIA quale conseguente, da un lato, alla immediata diminuzione del patrimonio della società scissa, dall'altro alla già prevedibile ed anzi prevista incapacità della scissa SNIA a proseguire l'ordinaria attività di impresa, una volta privata della fonte di reddito rappresentata dal «comparto biomedicale».
  Da questa operazione societaria censurata deriva la richiesta di risarcimento danni, nella misura di euro 572.000.000, corrispondente alla quota di patrimonio netto trasferita, nell'anno 2003, dalla SNIA Holding alla società SORIN, beneficiaria della scissione, ovvero nella minor somma di euro 388.000.000 (importo che rappresenta il valore complessivo degli investimenti partecipativi biomedicali trasferiti a SORIN Spa, dedotta la dotazione iniziale di liquidità a favore della scissa SNIA) ovvero infine nella diversa somma, da quantificarsi in corso di causa anche in via equitativa, ai sensi dell'articolo 1226 codice civile, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
  Tale somma viene dal commissario straordinario pretesa a titolo di danno, definito «istantaneo», provocato alla SNIA, per effetto della scissione del «settore biomedicale», scissione ritenuta distrattiva, in quanto asseritamente posta in essere in pregiudizio del «settore chimico».
  Nella specie, come sopra rilevato, l'amministrazione straordinaria ipotizza che l'operazione in questione sarebbe stata il punto di arrivo di un progetto doloso, orchestrato dalla società controllante BIOS Spa (ovvero dai soci di riferimento di BIOS e, cioè, MITTEL Spa, GE CAPITAL Spa, MPS Spa e UNIPOL Spa, che erano soci di BIOS e, dunque, indirettamente di SNIA), fin dal momento della assunzione di una partecipazione rilevante nella holding SNIA, avvenuta nei primi mesi dell'anno 1999.
  Secondo il commissario straordinario, la BIOS e i soci di riferimento di SNIA perseguivano l'obiettivo di appropriarsi delle principali fonti di redditività del gruppo, individuate nel «comparto» biomedicale, trasferendole ad un soggetto di nuova costituzione (quale sarà poi la newco SORIN beneficiaria della scissione, formalmente avvenuta in data 2 gennaio 2004, ma deliberata dal CdA di SNIA in data 13 maggio 2003).Pag. 11
  Tale operazione, qualificata come «scissione distrattiva», avrebbe provocato grave pregiudizio agli altri soci e alla generalità dei creditori di SNIA conseguente, da un lato, alla immediata diminuzione del patrimonio della società scissa SNIA e, dall'altro lato, alla già prevedibile ed anzi prevista incapacità della stessa SNIA a proseguire l'ordinaria attività di impresa nel settore chimico, una volta privata della fonte di reddito rappresentata dal «comparto» biomedicale.
  Pertanto, nell'atto di citazione, il commissario straordinario di SNIA in amministrazione straordinaria chiede ai convenuti il risarcimento di un ulteriore danno, definito «incrementale», consistente nelle perdite sopportate dalla società scissa (SNIA), poiché quest'ultima, dopo l'avvenuta scissione, aveva proseguito l'ordinaria attività di impresa, pur essendo venute meno le necessarie condizioni di «continuità aziendale», quale conseguenza prevista e voluta della scissione eseguita, che le avevano impedito di usufruire delle risorse del «comparto biomedicale», trasferito alla SORIN Spa.
  Il danno da imprudente prosecuzione dell'attività sociale, a far data dal 1o gennaio 2004, viene stimato dall'attore in euro 192.858.000, pari alla differenza tra il patrimonio netto rettificato residuato in capo alla società scissa, SNIA, alla data del 1o gennaio 2004 (post-scissione, pari ad euro 164.000.000) e quello residuato alla data di dichiarazione dello stato di insolvenza del 25 marzo 2010 (negativo per euro 29.000.000).
  Nell'atto di citazione sono contenute altre sei domande di minore importo e di pregnanza marginale rispetto alle prime due sopra riportate, sulle quali per ragioni di economicità espositiva, non ci si sofferma in questa sede.
  Alla notifica dell'atto di citazione nei confronti dei convenuti sono seguite chiamate incrociate di terzo.
  In vista della prima udienza di trattazione, l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, in rappresentanza del Ministero dell'ambiente e del Ministero dell'economia e delle finanze ha depositato domanda di intervento adesivo-dipendente, allo scopo di sostenere le ragioni dell'attore, cioè, del commissario straordinario (intervento ad adiuvandum).
  Le parti convenute si sono difese, contestando le domande proposte nei loro confronti e depositando, a loro volta, consulenze (Provasoli-Villa e Cuttica).
  Il tribunale di Milano – sezione specializzata in materia di impresa – con sentenza n. 1795/2016 del 10 febbraio 2016 (doc. 1714/4), ha dichiarato inammissibile l'intervento dispiegato in causa dal Ministero dell'ambiente e dal Ministero dell'economia e delle finanze, estromettendoli dal giudizio.
  Quindi, il tribunale, dopo aver dichiarato inammissibile anche la domanda di risarcimento del danno ambientale proposta dal Commissario straordinario, ha rigettato nel merito tutte le altre domande proposte dallo stesso commissario straordinario, come esplicate nell'atto di citazione.
  Infine, il tribunale, per il principio della soccombenza, ha condannato il commissario straordinario di SNIA in amministrazione straordinaria e Ministeri anzidetti, rappresentati dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, alla rifusione delle spese processuali, Pag. 12in favore delle parti convenute, liquidate nella complessiva somma di circa dieci milioni di euro, suddivisa per ciascuno dei convenuti e dei terzi chiamati.
  Il tribunale, nella propria decisione, si occupa in primo luogo della posizione dei due Ministeri intervenuti nel giudizio promosso dal commissario straordinario di SNIA in amministrazione straordinaria, posto che i convenuti avevano eccepito l'inammissibilità del loro intervento in causa, sostenendo che mancava il loro «interesse», giuridicamente protetto, a partecipare al processo (questione pregiudiziale).
  A tale proposito, il tribunale osserva che l'Avvocatura dello Stato, nel dispiegare il suo intervento nella causa promossa dalla SNIA in amministrazione straordinaria, rivendica (in maniera invero estremamente succinta) il proprio interesse all'accoglimento della domanda dell'attore (SNIA in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario), sul presupposto che il conseguente arricchimento dell'attivo della procedura avrebbe potuto consentire una più ampia soddisfazione delle ragioni creditorie del Ministero dell'ambiente e del Ministero dell'economia e delle finanze, per i quali aveva presentato domanda di insinuazione al passivo della procedura SNIA del credito per danno ambientale, relativo ai SIN di Brescia, Colleferro e Torviscosa, quantificato allo stato nell'importo di euro 3.439.037.876,46.
  Tuttavia, nel caso di specie, è accaduto che il giudice delegato della procedura di amministrazione straordinaria SNIA, su proposta dello stesso commissario straordinario, ha rigettato tale domanda e, benché avverso questa decisione l'Avvocatura dello Stato abbia promosso opposizione davanti al tribunale, il relativo giudizio di opposizione allo stato passivo è tuttora pendente, senza che sia intervenuta alcuna decisione.
  Per completezza di esposizione, va detto che il tribunale di Udine, come si vedrà di seguito, ha rigettato l'opposizione proposta dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste contro il decreto di esecutività dello stato passivo della società Caffaro Srl, in amministrazione straordinaria (partecipata in via totalitaria da SNIA), con cui il giudice delegato della procedura non aveva riconosciuto il credito per danno ambientale, come preteso dalla stessa Avvocatura distrettuale dello Stato.
  Di conseguenza, allo stato, il credito per danni ambientali nei tre SIN anzidetti, preteso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, ma contestato dallo stesso commissario straordinario di SNIA, non ha trovato alcun riconoscimento in sede giudiziaria, neanche quando la relativa domanda è stata proposta davanti il tribunale di Udine nei confronti della partecipata Caffaro Srl da altro ufficio dell'Avvocatura dello Stato, cioè, quello di Trieste, territorialmente competente.
  Tutto ciò chiarito, sul piano degli sviluppi processuali delle pretese dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, territorialmente competenti, il tribunale di Milano, con la sentenza sopra citata, dopo aver richiamato la sentenza delle sezioni unite n. 29420/08 e altre decisioni di orientamento conforme (Cass. 364/14), ha estromesso dal giudizio i due ministeri, rappresentati dall'Avvocatura dello Stato di Milano, sul Pag. 13presupposto che essi sono portatori di un mero interesse di fatto e non di un interesse giuridicamente rilevante e qualificato ad un esito della controversia favorevole alla parte adiuvata (nella specie, la SNIA in amministrazione straordinaria), alla stregua dell'articolo 105, comma 2, codice procedura civile, secondo cui «ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone... per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse».
  Invero, come osserva il tribunale, in forza della sopra citata giurisprudenza, i creditori ammessi al passivo di procedure concorsuali – e la procedura di amministrazione straordinaria è una procedura concorsuale, regolata per quanto riguarda la formazione dello stato passivo dalla legge fallimentare – devono essere comunque considerati portatori di un interesse di mero fatto, rispetto alle azioni di massa proposte dal curatore o, come nel caso di specie, dal commissario straordinario.
  A tale principio giurisprudenziale, va aggiunta la considerazione in fatto che il credito per i danni ambientali dei tre SIN anzidetti, preteso dai due ministeri, intervenuti in questo giudizio (promosso dal commissario straordinario di SNIA in amministrazione straordinaria), è stato disconosciuto dallo stesso commissario straordinario e, per tale ragione, non è stato ammesso al passivo dal giudice delegato della procedura di amministrazione straordinaria di SNIA.
  Così definita, con l'estromissione dal giudizio, la posizione del Ministero dell'ambiente e del Ministero dell'economia e delle finanze, la sentenza del tribunale passa all'esame delle domande proposte con l'atto di citazione dal commissario straordinario della SNIA nei confronti dei convenuti del giudizio di responsabilità.
  La contestazione è stata proposta nei confronti di tutti i membri degli organi sociali di SNIA in carica, a partire dal 3 febbraio 2000 al 12 gennaio 2009, nonché contro i soci diretti e indiretti di SNIA e contro gli amministratori di BIOS, anch'essi citati in giudizio.
  Il danno ambientale, riferito solo ai SIN di Brescia, Colleferro e Torviscosa, viene quantificato nella complessiva somma di 3.423.257.403,60 euro e viene domandato alle parti convenute in giudizio, per l'ipotesi che in futuro possa essere accolta la pretesa, avanzata dagli intervenienti Ministero dell'ambiente e Ministero dell'economia e delle finanze, di ammissione al passivo della procedura di amministrazione straordinaria della società SNIA in liquidazione.
  A tale domanda il commissario straordinario, in sintonia con l'intervento esplicato dall'Avvocatura dello Stato (che, come si è detto, è stata estromessa dal giudizio), aggiunge la richiesta di risarcimento di un altro potenziale danno, valutabile in ulteriori euro 1.922.070 oggetto della pretesa del commissario delegato per l'emergenza socio-economico ambientale determinatasi nelle Lagune di Marano lagunare e Grado, del quale si parlerà diffusamente nel capitolo relativo al SIN di Torviscosa.
  Tuttavia, su quest'ultima domanda deve dirsi sin d'ora che, a seguito della deperimetrazione di tale SIN, avvenuta con decreto ministeriale n. 222/M del 12 dicembre 2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 3 gennaio 2013, l'area lagunare è stata esclusa dal SIN e la figura del commissario delegato è stata soppressa e, di conseguenza, sono venute meno le sue pretese creditorie.Pag. 14
  Quanto alla domanda di condanna di quasi tre miliardi e mezzo di euro, occorre precisare che la stessa è consequenziale alla richiesta di insinuazione al passivo, avanzata dagli intervenienti (Ministero dell'ambiente e Ministero dell'economia e delle finanze) nelle procedure di amministrazione straordinaria di Caffaro Srl in liquidazione, di Caffaro Chimica in liquidazione, pendenti davanti il tribunale di Udine, e di SNIA in liquidazione, pendente davanti il tribunale di Milano, per il complessivo importo sopra indicato e che la domanda di condanna dei convenuti con l'azione di responsabilità viene dal commissario straordinario di SNIA espressamente subordinata al fatto che il relativo credito venga, successivamente, «riconosciuto nelle competenti sedi».
  Tuttavia, allo stato, l'insinuazione allo stato passivo del credito, contestato dallo stesso commissario straordinario – come si è sopra ricordato – è stata rigettata nelle due società Caffaro (Caffaro Srl e Caffaro Chimica Srl) dal giudice delegato di Udine, con il decreto del 20 settembre 2011, che ha dichiarato l'esecutività dello stato passivo e tale decisione è stata confermata dal tribunale di Udine, mentre per quanto riguarda SNIA, dopo il rigetto del giudice delegato di Milano, pende giudizio di opposizione.
  Tutto ciò chiarito e precisato, ritornando alla sentenza n. 1795/2016, pubblicata in data 10 febbraio 2016 (doc. 1714/4), va detto che il tribunale di Milano non è entrato nel merito della domanda di risarcimento dei danni ambientali proposta dal commissario straordinario, ma – come già accaduto per l'intervento esplicato dall'Avvocatura dello Stato di Milano – ne ha dichiarato l'inammissibilità, sul presupposto che l'attore non era portatore di un interesse concreto e attuale alla pronuncia richiesta, ai sensi dell'articolo 100 del codice di procedura civile, secondo cui «per proporre una domanda o per contraddire alla stessa occorre avervi un interesse», richiamando a tale proposito la copiosa e puntuale giurisprudenza delle sezione civili della Suprema Corte (Cass. 24434/2007; Cass. 7786/2007; Cass. 11967/2010; Cass. 26020/2011 e altre).
  Sul punto, osserva il tribunale che, nel caso di specie, il diritto di cui viene richiesta la tutela (ovvero il diritto al risarcimento di asseriti danni ambientali) non è affatto dedotto come «esistente» ma, al contrario, lo stesso attore (SNIA in amministrazione straordinaria) rivendica espressamente, addirittura, l'inesistenza dei presupposti che potrebbero determinare quel danno al patrimonio sociale, in conseguenza di una eventuale soccombenza nel distinto giudizio di opposizione allo stato passivo.
  In realtà – prosegue il tribunale nel motivare la propria decisione – l'ammissione al passivo della procedura di amministrazione straordinaria di SNIA costituisce condicio qua non per legittimare una domanda risarcitoria nei confronti dei numerosi convenuti, ma ciò solo in via teorica, in quanto il danno ambientale deve essere poi provato in concreto, in uno con la responsabilità degli amministratori che lo hanno provocato e del nesso causale della loro condotta rispetto agli eventi dannosi.
  Dunque, secondo il tribunale di Milano, fintanto che il credito per danno ambientale non viene ammesso al passivo della procedura di amministrazione straordinaria della SNIA, non può essere preso in Pag. 15considerazione per una pronuncia di condanna degli amministratori, dei sindaci e dei soci diretti e indiretti della stessa SNIA al risarcimento di tale danno, trattandosi di credito che è del tutto incerto, sia sotto il profilo dell’an debeatur, sia sotto il profilo del quantum.
  Inoltre, la sentenza del tribunale – con ampia motivazione, che rinvia alla costante giurisprudenza civilistica sul punto (Cass. 978/1991; Cass. 297/1994; SS.UU. 264/1996; Cass. 1642/199; Cass. 21013/2010) – esclude la configurabilità dell'ipotesi di «sentenza condizionale», nella quale l'efficacia della condanna è subordinata al verificarsi di un determinato evento futuro e incerto o di un termine prestabilito ovvero di una controprestazione specifica, sempreché il verificarsi della circostanza tenuta presente non richieda ulteriori accertamenti di merito da compiersi in un nuovo giudizio di cognizione, come per l'appunto accade nel caso di specie.
  In sostanza, il tribunale afferma che nella sentenza condizionale, la «condizione» non deve dipendere da altro accertamento di merito, da operarsi in altro separato ed eventuale giudizio con richieste e difese tutte da definire, come nel caso di specie (nel quale il credito vantato è contestato giudizialmente davanti al giudice dell'opposizione allo stato passivo della procedura di amministrazione straordinaria), bensì deve trattarsi di un obbligo attuale, e non di un obbligo ancora da accertare, sebbene l'adempimento di tale obbligo sia condizionato al verificarsi di un determinato evento, il cui avveramento non deve richiedere alcuna altra indagine, se non che l'evento si sia verificato.
  Come si è detto, il tribunale di Milano ha rigettato, con valutazione di merito, tutte le altre domande proposte dal commissario straordinario, in quanto infondate.
  In questa sede, ci si occuperà solo dei motivi di rigetto della domada di risarcimento danni, in relazione alla cosiddetta «scissione distrattiva» della SORIN Spa, in quanto è la più rilevante sotto il profilo economico.
  Per quanto attiene il danno subito dalla SNIA, per effetto della lamentata scissione distrattiva del settore biomedicale in favore della SORIN Spa, il tribunale di Milano, sulla base delle analisi svolte dalle consulenze di parte, esclude innanzitutto che, nell'arco di tempo 2000-2003, vi sia stato un travaso di risorse, per l'importo di euro 388 milioni, dal «settore chimico» al «settore biomedicale», come sostiene il commissario straordinario nell'atto di citazione in giudizio.
  Invero, emerge dalla consulenza «Vienna» di parte attrice come, nell'arco di tempo considerato, la holding SNIA ha sostenuto sia le attività del settore chimico, sia quelle del settore biomedicale.
  In particolare, «ritorna» nella consulenza «Vienna» la cifra di circa 388 milioni di euro, riferita in questo caso non già ai «trasferimenti» dal settore chimico al settore biomedicale (come contestato dall'attore), bensì all'insieme dei «trasferimenti» effettuati dalla SNIA Holding a supporto di tutti indistintamente i settori di attività delle proprie controllate (sia pure con netta prevalenza dei trasferimenti in favore del «settore» biomedicale, per l'importo di 280 milioni).
  Tuttavia, osserva il tribunale che, a fronte delle precedenti movimentazioni finanziarie, residuava un credito di SNIA, per l'importo Pag. 16di 109,8 milioni di euro, nei confronti della società DIDECO del «settore biomedicale». Ebbene, tale credito, benché «inerente» le attività oggetto di scissione, era pacificamente rimasto in capo alla scissa SNIA, per espressa previsione del progetto di scissione, consentendo quindi l'integrale recupero delle precedenti uscite finanziarie, effettuate in favore della beneficiaria SORIN Spa.
  Nell'escludere ogni «distrazione», il tribunale osserva che, nel caso di specie, si discute di rapporti tra distinte società di capitali che, pur «collegate» tra loro, secondo l'ordinamento vigente, rimangono pur sempre dotate ciascuna di piena autonomia patrimoniale e giuridica.
  Si tratta in particolare della cessione, da parte di SNIA Holding, di partecipazioni a lei stessa facenti capo e/o di riscossione di utili legittimamente distribuiti (operazioni in ordine alle quali nessuna contestazione era stata sollevata dall'attore) e del successivo utilizzo dei mezzi finanziari così acquisiti, indiscutibilmente di propria esclusiva o pertinenza, per altri investimenti in ulteriori attività reputate maggiormente remunerative.
  In via esemplificativa, la sentenza del tribunale cita la vicenda dell'avvenuta totale cessione della diretta partecipazione di SNIA in Caffaro Energia Spa (forse la più rilevante operazione di dismissione discussa in causa), a seguito della quale SNIA Holding Spa aveva cessato di operare nel «settore» dell'energia, conseguendo una notevole plusvalenza, che aveva successivamente reinvestito nei vari settori della propria attività d'impresa. Partendo da tale dato storico, il tribunale fa una riflessione sul fatto che non era dato di intendere come da una operazione di tal fatta (schema tipico di tutte le operazioni lamentate dall'attore) possa mai ipotizzarsi l'insorgere di un vincolo di destinazione dei mezzi finanziari conseguiti «in favore» dell'uno o dell'altro dei diversi «settori» di attività (chimico, agrochimico, tessile, immobiliare, biomedicale), in cui operavano le diverse (autonome) società partecipate da SNIA Holding.
  Infine, il tribunale osserva:
   1) che la SNIA scissa aveva conservato un patrimonio netto di 164 milioni di euro;
   2) che l'unica posizione passiva precedente la contestata scissione (2 gennaio 2004) era costituita dal credito di EQUITALIA, che ammontava ad appena euro 300.000, con la conseguenza che l'operazione di scissione non aveva comportato alcuna lesione del ceto creditorio;
   3) che, considerata l'attuale solidità finanziaria e patrimoniale della SORIN, l'intera quota di patrimonio netto conferita alla stessa dalla SNIA, all'atto della scissione, pari a 572 milioni di euro era tuttora disponibile, secondo i meccanismi di tutela previsti in via generale dall'articolo 2506-quater, ultimo comma, del codice civile, che prevede la responsabilità solidale della società beneficiaria (la SORIN) nei debiti non soddisfatti della società scissa (la SNIA), ma solo nei limiti del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto.

  Sulla base di queste considerazioni, i primi giudici ritengono di dover senz'altro escludere la possibilità di ravvisare nella divisione Pag. 17patrimoniale, fisiologicamente conseguente alla operazione di scissione in esame, una diminuzione del patrimonio della generalità dei soci ovvero della garanzia dei creditori e, dunque, un «danno istantaneo», immediatamente corrispondente alla quota di patrimonio conferita alla società beneficiaria.
  Esaurito l'esame del cosiddetto «danno istantaneo», il tribunale passa all'esame di un ulteriore danno lamentato dal commissario straordinario, definito «incrementale», asseritamente anch'esso causato dall'avvenuta scissione del ramo biomedicale, in favore della costituita società SORIN.
  Invero, secondo l'attore, al danno istantaneo da scissione «si aggiunge – sempre come conseguenza immediata diretta e prevedibile, della scissione e quindi della stessa seconda condotta – il danno derivante dalla circostanza che coloro che hanno ideato e realizzato la scissione dovevano prevedere, e certamente, prevedettero, come evento causalmente dipendente in via immediata e diretta dalla loro condotta, un ulteriore danno, rappresentato dal danno per la prosecuzione dell'attività sociale, nonostante la perdita della continuità aziendale».
  Dunque, nella prospettazione dell'attore, sussiste uno specifico ulteriore evento di danno, rappresentato da una asserita perdita di continuità aziendale della SNIA (si intende la SNIA scissa), per effetto dell'avvenuta separazione del «comparto biomedicale», che avrebbe determinato l'impossibilità, da parte della SNIA, di far conto sui flussi finanziari generati da tale «settore di attività» per affrontare impellenti esigenze di ristrutturazione del «settore chimico», che versava in grave difficoltà.
  Su questo secondo danno lamentato, il tribunale fa proprie le conclusioni della consulenza «Provasoli-Villa» di parte convenuta, che aveva concluso che la scissione SNIA-SORIN costituiva scelta strategica e non distrattiva, posto che il settore del business delle tecnologie medicali presentava caratteristiche strutturalmente diverse da quello chimico con riferimento: 1, alla crescita (in sviluppo il primo, «maturo» il secondo); 2, ai mercati di riferimento (internazionale il primo, prevalentemente «domestico» il secondo); 3, alle caratteristiche operative (knowledge intensive il primo, capital intensive il secondo); 4, alla visibilità dei marchi (meglio valorizzati negli specifici settori di competenza); 5, alla dipendenza dai cicli economici (con fattori di maggior variabilità per la chimica).
  La scissione aveva, inoltre, specifico «valore» per SNIA, in quanto la creazione di una società autonoma focalizzata nella chimica avrebbe reso possibile alleanze con partner industriali del settore, non interessati a intese con una società, il cui modello di business era diversificato e includeva anche il biomedicale. Aggiungasi infine che SNIA, in considerazione della rilevanza dei suoi marchi, avrebbe potuto divenire un polo industriale di aggregazione di altre realtà, una volta separata l'attività biomedicale.
  Ciò precisato sulla natura strategica dell'operazione di scissione, il tribunale sottolinea tre circostanze fondamentali in fatto: la prima, già sopra citata, riguarda il credito di SNIA, per l'importo di 109,8 milioni di euro, nei confronti della società DIDECO del «settore biomedicale», rimasto in capo alla scissa SNIA, per espressa previsione Pag. 18del progetto di scissione, nonostante fosse di astratta inerenza della biomedicale società SORIN.
  La seconda circostanza riguarda l'attribuzione alla scissa SNIA della maggior parte degli utili maturati dal settore biomedicale nel corso dell'esercizio 2003, a parziale compensazione delle maggiori perdite registrate dalle società operanti in altri settori, in conseguenza della scelta di mantenere invariata, rispetto all'entità prevista dal progetto di scissione, la quota di patrimonio netto attribuita a SORIN.
  La terza circostanza, la più importante, investe il complessivo miglioramento, conseguente proprio alla scissione, della posizione finanziaria netta della SNIA scissa, rispetto a quella della SNIA ante scissione, in ragione della diseguale attribuzione delle posizioni di credito/debito, di rispettiva pertinenza, tra la SNIA scissa (passività per euro 92.487.768 e disponibilità per euro 187.757.022) e la beneficiaria SORIN (passività per euro 190.903.156 e disponibilità per euro 65.182.752), come risulta dalla consulenza «Cuttica, pag. 60».
  Infine, il tribunale di Milano, richiamata la sentenza della Suprema Corte n. 10201/13, non dubita che «è ipoteticamente possibile che la insolvenza societaria sia stata determinata da una sottrazione eccessiva di risorse finanziarie, che possono aver posto in crisi la società scorporante....».
  Nel convenire pienamente con una tale indicazione di principio, il Collegio (citando per intero il passo motivazionale sopra richiamato) ritiene in particolare di dover sottolineare l'attenzione posta dalla Suprema Corte all'esigenza di una verifica rigorosa di un effettivo «nesso di causalità» tra la condotta contestata e gli esiti pregiudizievoli che ne sarebbero conseguiti («...ma di tale circostanza deve fornirsi una prova certa, idonea a superare la presunzione contraria basata sul lungo tempo trascorso dall'operazione (cinque anni) e sull'avvenuto pagamento dei debiti allora (nel 2005) esistenti in capo alla società»).
  Nel caso di specie, i giudici rilevano: 1) che la dichiarazione di insolvenza della SNIA era avvenuta a sei anni di distanza dall'operazione di scissione; 2) che i debiti ante scissione erano stati sostanzialmente tutti soddisfatti (come evidenziato in precedenza); 3) che la fattispecie in esame presentava un elemento di significativa peculiarità, rappresentato dal fatto che la quasi totalità delle perdite maturate dalla SNIA scissa – quale asserita conseguenza della condotta in esame (euro 173 milioni circa su un totale di euro 192.858.000), per cui viene avanzata richiesta risarcitoria – era stata realizzata nel solo esercizio 2004 (vedi, in particolare, pag. 58 della consulenza «Deloitte Services», nella quale si fa riferimento a perdite per euro 173,6 milioni nel periodo gennaio-novembre 2004).
  A parere del Collegio, proprio l'accorciamento dell'arco temporale di riferimento fa emergere la palese inidoneità della prospettazione in fatto proposta dall'attore a dar conto dell'addebito di responsabilità ipotizzato, quale limitata alla generica contestazione dell'asserito venir meno di imprecisate risorse finanziarie, che avrebbero in tesi impedito altrettanto imprecisati interventi di ristrutturazione del «settore chimico», asseritamente idonei ad evitare le rilevanti perdite maturate già nel corso dell'anno della scissione (2004).Pag. 19
  In sostanza, le perdite della SNIA, già consumate nel corso del 2004, non potevano essere la conseguenza dell'avvenuta scissione del comparto biomedicale, ma avevano ragioni strutturali diverse.
  Per questa parte – secondo il tribunale di Milano – si tratta di una prospettazione (quella dell'attore), il quale affida la lamentata correlazione tra la condotta denunciata (decisione ed esecuzione dell'operazione di scissione) e le perdite indicate ad un medium di carattere propriamente omissivo.
  Secondo la tesi avanzata con l'atto di citazione, la scissione avrebbe dolosamente determinato l'impossibilità di fare ricorso alle risorse finanziarie generate dal «settore biomedicale» e il mancato utilizzo di dette risorse avrebbe impedito una adeguata ristrutturazione delle attività del «settore chimico», in particolare, della Caffaro, rimaste alla scissa SNIA, così cagionando le ingenti perdite degli esercizi successivi alla scissione.
  Invero, osserva il collegio richiamando gli ordinari principi in tema di «causalità omissiva», l'assunto del commissario straordinario della SNIA in amministrazione straordinaria, che aveva promosso l'azione di responsabilità, avrebbe richiesto un'adeguata specificazione sotto i distinti profili della:
   1) individuazione di un obbligo giuridico del socio di controllo di provvedere a finanziarie il cosiddetto settore chimico, allo scopo di consentirne il risanamento;
   2) allegazione degli interventi di riorganizzazione, in tesi, idonei a rilanciare la produttività del settore chimico e, come tali, da reputarsi necessari e sufficienti ad evitare le perdite di cui alla domanda di risarcimento del danno avanzata nei confronti dei convenuti, con la chiara indicazione dei mezzi finanziari legittimamente utilizzabili allo scopo;
   3) individuazione del nesso di causalità ipotizzato tra la mancata esecuzione degli interventi di ristrutturazione del settore chimico e le perdite maturate dalla scissa SNIA, in relazione all'andamento delle distinte società controllate operanti nel settore tessile e immobiliare, rimaste in capo alla SNIA scissa.

  Tale prova, secondo il tribunale di Milano, è mancata del tutto e neanche è stata dedotta dall'attore.
  A tali considerazioni la sentenza del tribunale di Milano aggiunge il dato rilevante che il cosiddetto settore biomedicale non costituiva una fonte di risorse finanziarie per la SNIA, come dimostrato per tabulas, dal fatto che, nel corso dell'esercizio 2004, non solo la SNIA, ma anche la beneficiaria SORIN aveva chiuso l'esercizio in perdita (per circa 31 milioni di euro).
  Del pari, erano stati chiusi in perdita dalla SORIN anche gli esercizi subito successivi all'anno 2004, per oltre 120 milioni di euro fino all'anno 2007, mentre – all'evidenza – i positivi risultati di esercizi ancora successivi non avevano rilevanza alcuna ai fini di questo giudizio.
  Infine, in via generale ed astratta, la sentenza del tribunale esclude l'esistenza della possibilità di individuare, sia pure all'interno Pag. 20di un «gruppo di società», un obbligo giuridico del socio di controllo ovvero della società holding di provvedere a «finanziare» le società controllate (o anche ad utilizzare a tale scopo utili legittimamente distribuibili) e ciò quale diretta conseguenza del regime di responsabilità limitata che governa le società di capitali.
  In tal senso, è certamente da escludere che SNIA pre-scissione avesse alcun obbligo di provvedere a rifinanziare il settore chimico (potendo legittimamente scegliere di tenere separati i distinti settori di investimento), ragione per cui, sotto tale profilo – secondo il tribunale – deve reputarsi semplicemente «neutra» la decisione di procedere alla scissione.
  Tanto più per la considerazione che, anche a seguito dell'operazione anzidetta, i soci della scissa SNIA (gli stessi della SNIA pre-scissione) avrebbero ben potuto provvedere a dotare le singole società bisognose di ricapitalizzazione dei mezzi in tesi necessari, esattamente come avrebbero potuto fare anche prima della scissione.
  Diversa questione è evidentemente quella del venir meno, in conseguenza della operazione di scissione, della possibilità concreta di utilizzare le risorse finanziarie generate dal «settore biomedicale» per la riorganizzazione delle attività del «settore chimico» (questione su cui in realtà si appuntano le censure proposte da parte attrice).
  Sotto tale profilo, il tribunale sottolinea che (al di là della già deprecata ed evidentemente interessata, genericità del riferimento a «settori di attività»), in questo caso, si discute di attività riferibili non già a rami d'azienda di pertinenza di una medesima società, bensì a distinte società di capitali, dotate ciascuna di perfetta autonomia patrimoniale e giuridica, per cui risulta certamente da escludere (sia prima che dopo la scissione) la liceità di un puro e semplice trasferimento di risorse da società del ramo biomedicale a società del ramo chimico, se non in vista (naturalmente) del perseguimento di un interesse proprio della società finanziatrice.
  Ebbene, il tribunale sottolinea che, nella specie, nessun interesse di tal fatta era stato prospettato dall'attore, sebbene gravato del relativo onere di allegazione.
  Anzi, la sottolineatura del carattere asseritamente drammatico delle condizioni delle società chimiche, rimaste in capo alla SNIA – secondo i primi giudici – deve necessariamente far ritenere che, a prescindere dalla esecuzione o meno dell'operazione di scissione, sarebbe stata per gli amministratori di SNIA condotta di colpevole e grave imprudenza quella di sottrarre alle società biomedicali le risorse di cassa generate dalle altre attività sociali, allo scopo di destinarle a tentativi di risanamento delle società del settore chimico in grave crisi.
  Viceversa, la SORIN, negli esercizi 2004 e seguenti, aveva correttamene e autonomamente provveduto a risanare le consistenti perdite maturate nel settore biomedicale, che le era stato conferito a seguito della scissione dalla SNIA.
  In conclusione, sul punto, il tribunale di Milano ha rigettato entrambe le domande di danno (istantaneo e incrementale), proposte dal commissario straordinario.
  Avverso la sentenza del tribunale di Milano hanno proposto appello davanti la Corte d'appello di Milano, con atti distinti, sia la SNIA in amministrazione straordinaria (doc. 1714/5) – assistito da un Pag. 21pool di avvocati diversi da quelli del giudizio di primo grado e, cioè, dal professor avvocato Romano Vaccarella del foro di Roma, dal professor avvocato Stefano Ambrosini del foro di Milano e dall'avvocato Alfredo Bianchini del foro di Venezia – sia l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano (doc. 1714/6), chiedendo la riforma della sentenza impugnata e ribadendo le loro tesi difensive.
  La Corte d'appello, con ordinanza del 4-21 ottobre 2016 (doc. 1714/11), ha sospeso la provvisoria esecutività della sentenza di primo grado, che avrebbe comportato l'esborso immediato da parte delle amministrazioni soccombenti, in favore dei convenuti in giudizio, della rilevante somma di circa dieci milioni di euro, a titolo di spese processuali, come liquidate nella sentenza impugnata, che – all'evidenza – in tale liquidazione aveva tenuto conto degli elevati importi richiesti dal commissario straordinario e dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano alle parti convenute in giudizio.
  Naturalmente, va precisato, alle spese processuali anzidette in favore delle parti convenute nel giudizio di primo grado devono essere aggiunti i compensi professionali sia degli avvocati nominati dal commissario straordinario, che lo hanno assistito nel giudizio di primo grado, sia dei nuovi professionisti nominati per il giudizio di appello.
  È evidente che, anche per costoro, i compensi – salvo diversa convenzione tra le parti – saranno parametrati rispetto ai valori dedotti nella causa (lì dove solo il più elevato è quello tre miliardi e mezzo di euro, per il danno ambientale) e saranno a carico della procedura di amministrazione straordinaria di SNIA.
  Si rimane, pertanto, in attesa della decisione di merito dei giudici dell'appello, pur se va detto che il giudizio prognostico sull'esito dell'appello proposto lascia pochi dubbi, tenuto conto dell'esaustiva motivazione della sentenza di primo grado.

1.2.2 Le azioni proposte nei confronti della SORIN dal commissario straordinario di SNIA e dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano

  Il commissario straordinario della SNIA – assistito dagli avvocati Giorgio De Nova, Elisabetta Trezzi e Francesco Delfini del foro di Milano, Cristiano Antonini e Alfredo Bianchini del foro di Venezia – ha inoltre proposto nei confronti della SORIN Spa – oggi Livanova PLC – azione di accertamento di credito (com’è noto ben distinta da un'azione di condanna), volta a far «accertare e dichiarare che la SORIN Spa è condebitrice solidale illimitata (di SNIA per l'importo di euro 3.439.037.876,46) o, in subordine, limitata entro l'importo di 572.082.455 euro, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in persona del suo Ministro legale rappresentante pro tempore, e del commissario delegato per l'emergenza socio-economico ambientale determinatasi nelle Lagune di Marano Lagunare e Grado, in persona del suo Commissario in carica pro tempore, per tutti i debiti, che fossero accertati, comunque inerenti o dipendenti da fatti e circostanze precedenti al 2 gennaio 2004 sia a titolo di oneri di bonifica, sia a titolo di danno ambientale sia a qualsiasi altro titolo».Pag. 22
  L'accertamento del credito richiesto dal commissario straordinario corrisponde alla quota di patrimonio netto conferita dalla SNIA Holding alla SORIN, a seguito della denunciata «scissione distrattiva», di cui si è detto.
  Invero, il commissario straordinario ha rivendicato il proprio interesse a tale pronuncia di accertamento, in ragione dell'invocata esigenza di rimuovere una situazione di incertezza relativa ai rapporti giuridici intercorrenti tra la SNIA Spa e la convenuta SORIN Spa, in relazione alle pretese esercitate dal Ministero dell'ambiente nei confronti della procedura di amministrazione straordinaria.
  Sul punto, il commissario straordinario ha tenuto a precisare che la causa veniva da lui instaurata sul presupposto del verificarsi di una doppia condizione e precisamente: 1) che il credito per danno ambientale, vantato dal Ministero dell'ambiente e dal Ministero delle finanze, venga ammesso allo stato passivo, a seguito del giudizio di opposizione promosso dall'Avvocatura dello Stato; 2) che la SORIN venga considerata condebitrice solidale della SNIA, in quanto frutto dell'anzidetta scissione distrattiva.
  Con il medesimo atto, la parte ha altresì chiamato in causa il Ministero dell'ambiente e il commissario delegato per l'emergenza socio-economico ambientale nelle lagune di Marano Lagunare e Grado, perché l'anzidetto vincolo giuridico fosse formalmente accertato anche nei confronti dei menzionati soggetti pubblici.
  Le menzionate amministrazioni, rappresentate dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, si sono ritualmente costituite in giudizio, proponendo, a loro volta, domanda riconvenzionale volta ad «accertare e dichiarare che SORIN è corresponsabile in solido con SNIA e per l'effetto condannarla a pagare alle amministrazioni... l'ammontare di euro 3.439.037.876,46 oltre interessi e rivalutazione».
  Dunque, in questa sede, occorre porre in rilievo che l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano – agendo in nome e per conto del Ministero dell'ambiente e del Ministero delle finanze, del commissario delegato per l'emergenza socio economico ambientale delle Lagune di Marano lagunare e di Grado e di altri soggetti pubblici – non si è limitata ad esplicare un intervento ad adiuvandum, rispetto all'azione del commissario straordinario, come viceversa aveva fatto nella precedente causa, concernente l'azione di responsabilità, promossa dal commissario straordinario contro amministratori, sindaci e soci di riferimento della SNIA.
  In realtà, l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, partendo dal presupposto della piena identità tra SNIA e SORIN, ha proposto, in via riconvenzionale, un'autonoma azione volta alla condanna di SORIN, al pagamento della rilevante somma di circa tre miliardi e mezzo di euro, a titolo di risarcimento del danno ambientale dei tre SIN (Torviscosa, Brescia e Colleferro), sulla base della più volte richiamata stima effettuata da ISPRA, di cui alle relazioni depositate.
  All'evidenza, si tratta di un'azione che prescinde del tutto da quella di mero accertamento proposta dal commissario straordinario e che allarga a dismisura il thema decidendum.
  La convenuta SORIN, ritualmente costituita in giudizio, in via preliminare, ha eccepito: 1) il difetto di interesse ad agire dell'attrice; 2) l'estinzione per intervenuta prescrizione di tutte le pretese creditorie Pag. 23menzionate; 3) l'inammissibilità dell'intervento del commissario delegato per l'emergenza socio-economico ambientale nelle lagune di Marano Lagunare e Grado.
  Nel merito, la società ha chiesto il rigetto di tutte le avverse domande o, in subordine, l'accertamento di una responsabilità limitata, ex articolo 2506-quater del codice civile, nella misura del patrimonio netto alla stessa conferito in sede di scissione.
  L'attrice SNIA in amministrazione straordinaria, a sua volta, ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità/improcedibilità e comunque il rigetto nel merito delle domande formulate nei propri confronti dall'Avvocatura dello Stato.
  Il tribunale di Milano – sezione specializzata in materia di impresa – con sentenza n. 4101/2016, pubblicata in data 1o aprile 2016, ha rigettato tutte le domande proposte dalla SNIA in amministrazione straordinaria e dalle pubbliche amministrazioni, come rappresentate dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, con la condanna delle stesse parti alla rifusione, in favore della SORIN, delle spese processuali liquidate nella rilevante somma di euro 300.000 per compensi, oltre il 15 per cento di spese generali, IVA e contributo unificato (doc. 1714/3).
  Innanzitutto, il tribunale ritiene la carenza dell'interesse ad agire della SNIA in amministrazione straordinaria, ai sensi dell'articolo 100 del codice civile, sulla base dell'assorbente considerazione che il credito – di cui viene chiesto l'accertamento nei confronti della SORIN – è privo di ogni concretezza e attualità, in quanto dipende da un fatto del tutto eventuale, rappresentato dall'ammissione al passivo della procedura di amministrazione straordinaria della SNIA del credito per i danni ambientali, asseritamente subiti dai tre SIN (Brescia, Colleferro e Torviscosa) e pretesi dal Ministero dell'ambiente (cfr. Cass. 24434/2007; Cass. 7786/2007; Cass.ss.uu. 246/1996).
  La peculiarità del caso sta nel fatto che si tratta di credito che viene contestato dallo stesso commissario straordinario, che ha promosso questa azione nei confronti della stessa SORIN, oltre all'azione di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci di SNIA, che – come si è visto nel precedente paragrafo – lo hanno visto soccombente sulla domanda di risarcimento del danno ambientale per le medesime ragioni di diritto.
  In conclusione, sul punto, il ragionamento sotteso alla decisione del tribunale è sempre lo stesso e, cioè, che l'interesse del commissario straordinario ad agire nei confronti della SORIN è destinato a divenire «concreto e attuale», solo se e dopo l'ammissione al passivo della procedura del credito del Ministero dell'ambiente, credito che, tuttavia, come sopra sottolineato, lo stesso commissario straordinario, ancora oggi, contesta.
  Quanto all'azione promossa dall'Avvocatura dello Stato, in nome e per conto delle pubbliche amministrazioni, intervenute nel giudizio, la sentenza del tribunale osserva, in via generale, che la SORIN, quale società beneficiaria della scissione dalla SNIA, può legittimamente essere chiamata a rispondere, ai sensi dell'articolo 2506-quater, ultimo comma, del codice civile, dei debiti maturati in capo alla scissa SNIA fino alla data del 2 gennaio 2004, ovvero di tutte le obbligazioni ad essa riferibili, anche in relazione a fatti precedenti la data di efficacia Pag. 24della scissione, ma solo nei limiti del patrimonio netto ad essa conferito in sede di scissione.
  Di conseguenza, nei limiti sopra indicati, la SORIN risponde dei «debiti» imputabili a SNIA, in relazione a fatti storici verificatisi fino alla data 2 gennaio 2004 di efficacia della scissione, ma non risponde anche delle obbligazioni gravanti sulla Caffaro Srl, quale vicenda indiscutibilmente successiva a quella della efficacia della menzionata operazione straordinaria.
  Invero – precisa il tribunale – per i debiti della Caffaro Srl, risponde solo la SNIA di tutte le obbligazioni maturate in capo alla stessa Caffaro Srl dal momento della acquisizione della partecipazione totalitaria (4/2000), nella qualità di socio unico della stessa società, e ciò in conseguenza della sopravvenuta dichiarazione dello stato di insolvenza della medesima società nel 2010, secondo il disposto dell'articolo 2462, comma 2, del codice civile.
  Fatte tali precisazioni in diritto, il tribunale di Milano censura alla radice l'impostazione dell'Avvocatura dello Stato di Milano, che ritiene del tutto errata e distorta sul piano giuridico, in quanto – sotto il profilo soggettivo – non solo, equipara fino a sovrapporle la posizione di SORIN e quella di SNIA, sul presupposto della nullità della intervenuta cosiddetta scissione «distrattiva» (di SORIN da SNIA), ma rivendica in modo del tutto apodittico l'irrilevanza di ogni distinzione, all'interno di un gruppo societario, tra le condotte di gestione aziendale riferibili all'una o l'altra delle società operanti, in quanto tutte comunque riconducibili direttamente a responsabilità propria della capogruppo.
  Inoltre – secondo il tribunale di Milano – l'Avvocatura dello Stato deduce, sotto il profilo oggettivo, in modo altrettanto apodittico, l'irrilevanza del fattore tempo nella genesi della situazione ambientale denunciata in ragione del carattere «permanente» del danno ambientale e della invocata applicabilità indiscriminata della disciplina di cui al decreto legislativo n. 22 del 1997, cosiddetto «decreto Ronchi» (nella parte relativa alla imposizione di un obbligo permanente di bonifica) anche a fenomeni di inquinamento preesistenti l'entrata in vigore della legge.
  Osserva, correttamente, il tribunale che, negli ampi termini proposti dall'Avvocatura dello Stato, deve reputarsi manifestamente estraneo all'ordinamento giuridico vigente l'assunto che nega in radice il principio costitutivo della piena autonomia patrimoniale e giuridica delle società facenti parte di un «gruppo», tanto più nella specifica materia ambientale, lì dove nella ricerca del responsabile dell'inquinamento vige – anche a livello comunitario – il più rigoroso rispetto del principio di causalità e della precisa individuazione del responsabile del danno ambientale.
  Del pari, i primi giudici contestano, in modo altrettanto netto e radicale, la tesi della nullità dell'operazione di scissione della SORIN, sostenuta dall'Avvocatura dello Stato, in quanto del tutto priva di fondamento giuridico, posto che, ai sensi dell'espresso disposto dell'articolo 2504-quater del codice civile, deve essere esclusa la possibilità di una pronuncia di invalidità della scissione in data successiva alla esecuzione delle iscrizioni di legge (nella specie, completate in data 2 gennaio 2004).Pag. 25
  Dunque, il tribunale ribadisce che la lamentata scissione costituisce fatto irreversibile ed è in linea con la sesta-direttiva CE., a tutela dell'interesse alla certezza delle situazioni giuridiche che, evidentemente, in relazione ad una fattispecie quale quella in esame, è stato ritenuto prevalente su ogni altro, in considerazione delle delicatissime problematiche cui una diversa disciplina avrebbe potuto dare luogo.
  Ancora, i primi giudici rilevano che l'Avvocatura dello Stato, alla gravità degli addebiti e alla delicatezza delle domande formulate, non solo, non ha corrisposto un'articolata illustrazione delle circostanze di fatto, a supporto di una tale costruzione, né tanto meno ha proposto elementi di prova al riguardo, ma soprattutto non ha effettuato nei suoi scritti difensivi un reale approfondimento in diritto delle questioni trattate.
  Invero, l'Avvocatura dello Stato, nella memoria autorizzata dal giudice, ai sensi dell'articolo 183, del codice di procedura civile, si limita ad affermare che «la rilevanza penale dell'operazione di scissione, così come concretamente attuata, è la migliore riprova della illiceità del suo scopo (causa), volto a vanificare di fatto la responsabilità di SNIA, e per essa dei suoi soci di controllo, per i gravosi oneri conseguenti al disastro ambientale, assicurando nel contempo a SORIN, e per essa sempre agli stessi predetti soci di controllo, il frutto dei profitti conseguibili nel settore biomedicale...».
  Dunque, l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano invoca, a fondamento delle proprie pretese civilistiche, la pendenza davanti il tribunale penale di Milano di un processo penale a carico di amministratori e sindaci della SNIA, per la ritenuta scissione «distrattiva» della SORIN (processo ancora pendente in primo grado nella fase dibattimentale e di cui si parlerà di seguito).
  Correttamente, il tribunale di Milano ritiene che la mera pendenza di tale procedimento penale non costituisce prova dell'assunto difensivo dell'Avvocatura dello Stato, occorrendo una sentenza passata in giudicato sui fatti contestati.
  Infine, il tribunale civile di Milano, nella sopra richiamata sentenza n. 4101/2016, osserva che l'obbligo di bonifica, di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997, risulta posto a carico soltanto del soggetto che ha causato la situazione di inquinamento (nella specie, la società Chimica del Friuli Spa, fusasi nel 1991 per incorporazione nella Caffaro Spa, a sua volta incorporata nella SNIA, in data 3 aprile 2000) e che non è possibile un'applicazione retroattiva della norma contenuta nell'articolo 17 del decreto Ronchi.
  Di conseguenza, il tribunale ritiene che, comunque, nei confronti dei successori di società responsabili degli inquinamenti che si siano estinte prima del 1997, come appunto nel caso di specie, non è possibile configurare un obbligo di bonifica, mentre è possibile far valere solo l'ordinaria responsabilità civilistica di tipo aquiliano, ai sensi dell'articolo 2043, codice civile nei confronti della società incorporante (nella specie, la SNIA), naturalmente, a questo punto, secondo il regime giuridico proprio di tali istituti e con le conseguenti esigenze di deduzione e di prova a carico di chi intenda agire in giudizio per far valere tali responsabilità.Pag. 26
  Con i seguenti paletti:
   occorre innanzitutto (naturalmente, sul presupposto di adeguata contestazione) verificare se la condotta inquinante posta in essere dalla società incorporata prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 22 del 1997 potesse o no essere configurata quale azione illecita, sulla base della legislazione in allora vigente;
   solo in tal caso, potrebbero reputarsi sussistenti i presupposti per avviare un'azione di risarcimento o, eventualmente, in forma specifica nei confronti del successore a titolo universale, il quale infatti avrebbe ereditato una situazione passiva già esistente al momento della successione, sempre che il relativo diritto non risulti già estinto per prescrizione.

  Tutto ciò osservato e ritenuto, la sentenza del tribunale, dopo aver citato sul danno ambientale ampia giurisprudenza della Cassazione e del Consiglio di Stato e avere correttamente operato la distinzione tra le fattispecie di «illecito permanente» in senso proprio e «illecito istantaneo con effetti permanenti» – caratteristica quest'ultima dei reati ambientali, prima dell'entrata in vigore della legge n. 68 del 2015, come ribadisce la sentenza della Suprema Corte n. 9711/13 – contesta all'Avvocatura dello Stato «l'inadeguatezza» ai fini di causa di una «generica invocazione» di «permanenza» del danno ambientale e l'esigenza invece di mirata puntualizzazione delle condotte che si intende contestare e degli eventi di danno alle stesse (a ciascuna di esse) in tesi specificamente riconducibili quali elementi di doverosa precisazione dei fatti costitutivi della domanda proposta in giudizio, secondo le cadenze e le conseguenti preclusioni espressamente disciplinate dal codice di rito.
  In particolare, i primi giudici contestano «l'assoluta inidoneità della prospettazione dell'Avvocatura dello Stato a sorreggere adeguatamente la domanda risarcitoria, avanzata in mancanza di qualunque indicazione (si deve ribadire) circa tempi e modalità attraverso cui si sarebbe formata la situazione di inquinamento denunciata nella presente sede, laddove la disciplina previgente (propriamente formata su principi di responsabilità aquilana) innanzitutto prevedeva una responsabilità a titolo di «colpa» (e addirittura limitata, secondo la disciplina dell'articolo 86 del decreto legislativo n. 22 del 1997, al «fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge...»), così da richiedere specifica contestazione in giudizio dei relativi profili...».
  Infine, la sentenza del tribunale di Milano, nel respingere la domanda, contesta all'Avvocatura dello Stato di non avere fornito prova alcuna sull'ammontare del danno, con riferimento sia agli accertamenti svolti sulle condizioni «attuali» di inquinamento dei siti e sulle valutazioni esperite per gli interventi di bonifica reputati necessari, sia in ordine alle spese fin qui sostenute o stanziate dalle pubbliche amministrazioni per le attività di bonifica.
  Anche avverso questa sentenza del tribunale (n.4101/16) l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano ha proposto appello (doc. 1714/7) e il relativo giudizio è tuttora pendente.

Pag. 27

1.2.3 La causa promossa dall'Avvocatura distrettuale dello Stato in Milano contro Livanova PLC (già SORIN)

  Con nota pervenuta in data 29 luglio 2015 (doc. 683/1), l'Avvocatura distrettuale dello Stato in Milano ha – tra l'altro – comunicato che, nelle more della pendenza del contenzioso nei confronti di SORIN, quest'ultima aveva attuato una operazione di fusione transfrontaliera, articolata in due stadi, connessi fra di loro: il primo («fusione SORIN») prevedeva la fusione di SORIN Spa nella Sand HoldCo Plc, public limited company inglese, costituita in data 20 febbraio 2015, con un capitale sociale di 50.001 sterline e controllata al 100 per cento da SORIN; il secondo («fusione Cyberonics»), da realizzare immediatamente dopo la «fusione SORIN», prevedeva la fusione di Cypher Merger Sub Inc., società di nuova costituzione, disciplinata dalle leggi dello Stato del Delaware (U.S.) e interamente posseduta, direttamente o indirettamente, da Sand HoldCo Plc, con e in Cyberonics Inc., con l'effetto che Cyberonics (società risultante dalla fusione) sarebbe stata interamente e indirettamente posseduta da Sand HoldCo Plc.
  L'Amministrazione erariale (Ministero dell'ambiente, Ministero dell'economia e delle finanze, Presidenza del Consiglio dei ministri), difesa dall'Avvocatura dello Stato di Milano, si opponeva alla fusione, ai sensi dell'articolo 2503 del codice civile.
  A sua volta, la SORIN, costituitasi in giudizio, dopo aver tra l'altro osservato che l'operazione complessiva oggetto di contestazione – di cui la «controparte (Avvocatura dello Stato) avrebbe fornito una ricostruzione errata e fuorviante» – costituiva una delle più grandi aggregazioni nel settore life science mai realizzate (1), chiedeva il rigetto della domanda e, in via cautelare, chiedeva che l'esecuzione dell'operazione di fusione fosse autorizzata, nonostante l'opposizione dell'Avvocatura dello Stato di Milano, ex articolo 2445, quarto comma, del codice civile o ex articolo 700 del codice di procedura civile.
  Il giudice istruttore della Sezione specializzata in materia di impresa del tribunale di Milano, con ordinanza del 19-20 agosto 2015, in via cautelare e anticipatoria, autorizzava la SORIN Spa a dare esecuzione all'operazione di fusione per incorporazione di SORIN Spa in Sand HoldCo PLC, ora Livanova PLC, deliberata da SORIN Spa in data 26 maggio 2015 (doc. 1714/8).
  Dal canto suo, l'Avvocatura dello Stato non proponeva alcun reclamo al collegio avverso tale ordinanza, come viceversa sarebbe stato legittimo aspettarsi, alla luce delle tesi difensive proposte.Pag. 28
  Pertanto, alla stregua di tale decisione, l'operazione di fusione SORIN-HoldCo è stata puntualmente completata con le rituali iscrizioni presso il registro delle imprese, ex articolo 2504 comma 2, del codice civile, con il conseguente maturare degli effetti preclusivi di cui all'articolo 2504-quater del codice civile, sicché l'invalidità dell'atto di fusione non può essere più pronunciata.
  Successivamente, la stessa sezione del tribunale di Milano ha pronunziato la sentenza n. 1174/2016, pubblicata in data 26 ottobre 2016 che, confermando la suddetta ordinanza cautelare, ha rigettato l'opposizione alla fusione (doc. 1842/6).
  Con la stessa sentenza, il tribunale ha rigettato anche la domanda di risarcimento danni delle pubbliche amministrazioni, proposta in via subordinata nei confronti della Livanova PCL.
  Invero, l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano nelle proprie conclusioni aveva chiesto che, «laddove il tribunale ritenesse essere avvenuto il completamento dell'intero progetto di fusione e che, per effetto del medesimo, non sia più consentita una tutela «reale», con una pronuncia in via principale della invalidità e inefficacia della «operazione», condannare – rectius, la condanna di – Livanova a rispondere a titolo risarcitorio, in forma specifica e per equivalente, di tutte le passività e gli obblighi legati alla responsabilità ambientale riconducibile a SORIN», in considerazione del fatto che, a mente del citato articolo 2504-quater, secondo comma, del codice civile, «resta salvo il diritto al risarcimento del danno eventualmente spettante ai soci e ai terzi danneggiati dalla fusione».
  A tal proposito, l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano asseriva che l'invalidità della fusione anzidetta lo poneva nella condizione di «terzo danneggiato», a causa della difficoltà di recuperare il credito per danni ambientali vantato nei confronti della società fusa SORIN Spa.
  A seguito del rigetto di tutte le domande proposte, il tribunale di Milano ha condannato le pubbliche amministrazioni, in via solidale tra di loro, al pagamento in favore della Livanova, non solo delle spese processuali ordinarie, nella misura di euro 200.000, ma anche al pagamento in favore della stessa società convenuta Livanova PCL della ulteriore somma di euro 200.000, a titolo di lite temeraria, ai sensi dell'articolo 96 codice procedura civile.
  A fondamento della decisione di rigetto della domanda di risarcimento del danno ambientale dei tre SIN anzidetti, proposta in via subordinata dall'Avvocatura dello Stato di Milano, nella misura di euro 3.439.037.876,46, i primi giudici stigmatizzano il comportamento della stessa Avvocatura dello Stato, nei termini che seguono: «Ancora una volta la formulazione della domanda di parte attrice appare poco attenta ai profili di diritto sia sostanziale che processuale sottesi alla pretesa azionata in giudizio (in questo caso in via subordinata) in relazione (a) alla prova della legittimazione alla proposizione della domanda di risarcimento qui in esame; (b) all'oggetto della pretesa risarcitoria avanzata».
  Quindi, la sentenza della sezione specializzata in materia di impresa del tribunale di Milano, in primo luogo, pone in evidenza la mancanza di prova, da parte dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, della sussistenza delle ragioni del credito preteso dalle pubbliche Pag. 29amministrazioni nei confronti della SORIN, considerato che tutte le domande proposte dalla stessa Avvocatura dello Stato erano state respinte in sede giurisdizionale, sia pure con pronunce allo stato non passate in giudicato.
  In particolare:
   1) erano state respinte le domande di insinuazione al passivo di SNIA e CAFFARO;
   2) era stata rigettata l'opposizione allo stato passivo CAFFARO (mentre risultava tuttora pendente l'opposizione SNIA);
   3) era stata rigettata la domanda di risarcimento danni (RG 5463/12 Trib Milano) promossa da SNIA in AS, con intervento ad adiuvandum degli odierni attori, avverso i cessati amministratori e sindaci in tema di paventati «danni ambientali» ed asserita «illiceità» della scissione SNIA-SORIN (doc. 1714/4);
   4) era stata rigettata soprattutto, con la sopra citata sentenza n. 4101/2016, pubblicata in data 1o aprile 2016 (doc. 1714/3), la domanda di condanna (RG 5148/12), direttamente proposta dagli odierni attori nei confronti di SORIN, in relazione proprio alle ragioni di credito indicate a fondamento della domanda qui proposta.

  Inoltre, i giudici pongono in evidenza, sotto il profilo del comportamento processuale delle parti, il fatto che, nel presente giudizio, la parte convenuta (SORIN Spa) aveva prontamente provveduto al deposito della richiamata sentenza 1o aprile 2016 in allegato alla propria memoria, depositata ai sensi dell'articolo 183, del codice di procedura civile. Viceversa, la parte attrice, rappresentata dell'Avvocatura dello Stato, si era limitata a riferire (in sede di memoria conclusionale) di avere proposto appello avverso tale pronuncia, ma non aveva allegato il relativo atto, né aveva illustrato, in alcun modo, i motivi di impugnazione presentati e, soprattutto, non aveva dedotto alcuna concreta ragione per una eventuale sospensione di processo di opposizione alla fusione societaria, ai sensi dell'articolo 337, comma 2, codice procedura civile.
  Sottolinea il tribunale, ancora una volta in quest'ultima decisione, che la proposizione di una domanda di condanna al risarcimento di danni pacificamente presuppone la compiuta prospettazione di un «danno», già concretamente maturato nella sfera patrimoniale dell'attore e che deve trattarsi di un danno attuale e semplicemente non potenziale, tale da imporre una reintegrazione del patrimonio leso «in modo da ricostruire la consistenza che avrebbe avuto se il fatto lesivo non si fosse verificato» (Cass. 26020/11; Cass. 11967/10).
  Inoltre, l'Avvocatura dello Stato non aveva fornito prova alcuna del danno subito, senza assolvere in alcun modo al relativo onere di prova per quanto attiene ai fatti costitutivi della pretesa azionata.
  Viceversa – come si è sopra accennato – l'Avvocatura dello Stato di Milano si era limitata a prospettare il timore di poter eventualmente incontrare in futuro ostacoli normativi alla concreta soddisfazione delle proprie ragioni nei confronti della società scaturente dalla fusione, nell'ipotesi in cui, in sede di riforma della pronuncia 1o aprile Pag. 302016, già menzionata, fosse infine riconosciuta la fondatezza delle pretese creditorie vantate nei confronti di SORIN.
  In tal senso, il tribunale in questa sede prende atto, già alla stregua della prospettazione della parte, della mancanza di un «interesse concreto e attuale» alla pronuncia richiesta e, in ogni caso, della effettiva non configurabilità ad oggi e nei termini prospettati, di un «danno» risarcibile.
  Infine, il tribunale accenna al fatto che, nei confronti della società convenuta (Livanova PLC), rispetto alla domanda di condanna proposta dall'Avvocatura dello Stato, sarebbe stato più corretto proporre una domanda di accertamento dei rapporti giuridici (e quindi di eventuali ragioni debitorie), già gravanti in capo alla incorporata SORIN, allo scopo di garantire all'Erario il pieno subentro della nuova compagine nella titolarità delle passività ambientali contestate e contestabili e, quindi, di garantire un indiscutibile passaggio di responsabilità in capo al nuovo sodalizio.
  Naturalmente, alla condizione che l'Avvocatura dello Stato avesse dedotto un interesse «concreto e attuale» a tale domanda, ai sensi dell'artico 100 del codice di procedura civile, interesse da accertare positivamente, alla luce del rigoroso orientamento della Suprema Corte, consolidato al riguardo.
  La suddetta sentenza pronunziata dalla sezione specializzata in materia di impresa del tribunale di Milano non è stata impugnata dall'Avvocatura dello Stato e, di conseguenza, è divenuta definitiva.
  Nella sostanza, è accaduto che la difesa dell'Avvocatura dello Stato di Milano, che rappresentava il Ministero dell'ambiente, il Ministero dell'economia e delle finanze e la Presidenza del Consiglio dei ministri è stata ritenuta dal tribunale di Milano talmente carente sotto ogni profilo, da comportare la condanna delle pubbliche amministrazioni anzidette per lite temeraria già in primo grado (cancellato)
  Si tratta di un fatto addirittura insolito nelle pronunzie giudiziarie del nostro Paese.
  Il fatto poi che la sentenza del tribunale di Milano non sia stata impugnata e sia così divenuta definitiva ne rivela i limiti difensivi, già più volte posti in evidenza dalle pronunzie del tribunale di Milano.

1.2.4 Il contenzioso davanti al tribunale di Udine

  Come si è detto, Caffaro Chimica Srl in liquidazione, proprietaria dei complessi aziendali di Brescia, di Torviscosa, Colleferro e Galliera, e Caffaro Srl in liquidazione, proprietaria dei terreni e dei fabbricati industriali, sono state dichiarate insolventi dal tribunale di Udine, ai sensi del citato decreto legislativo, con sentenze, rispettivamente, n. 40/09 del 15-19 maggio 2009 e n. 72/09 del 9-22 luglio 2009 e poste in amministrazione straordinaria (doc. 1156/3).
  Con atto in data 17 giugno 2011 (doc. 1876/9), l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, premesso:
   1. che la società Caffaro Srl era stata proprietaria del sito produttivo di Torviscosa (in prossimità della laguna di Grado e Marano) e dei relativi impianti fino al 2006;Pag. 31
   2. che la società Caffaro Srl era stata proprietaria di due siti e dei relativi impianti nel comprensorio industriale di Colleferro (all'interno della Valle del Sacco): in particolare, nell'area Chetoni dal 1912 al 2005 e nell'area Benzoino dal 1912 al Gennaio 2005;
   3. che la società Caffaro Srl era stata proprietaria del sito produttivo di Brescia e dei relativi impianti fino al momento della dichiarazione dello stato di insolvenza;
   4. che la stessa, nei tre siti anzidetti, oltre ad essere proprietaria dei mezzi di produzione, ne aveva gestito l'utilizzo ai fini produttivi;
   5. che, nel corso dell'attività imprenditoriale, la Caffaro Srl aveva causato i danni ambientali, come determinati dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e di seguito riportati;
   6. che, in particolare, il danno ambientale prodotto dallo stabilimento di Torviscosa era stato dall'ISPRA valutato, nel mese di novembre 2009, nell'importo complessivo di euro 1.228.546.730 (doc. 1876/5); quello prodotto dallo stabilimento di Brescia era stato valutato dall'ISPRA nell'importo complessivo di euro 1.553.807.700, come da allegato alla nota trasmessa al Ministero dell'ambiente in data 5 febbraio 2009 (doc. 1876/11); quello prodotto alla Valle del Sacco dallo stabilimento di Colleferro era stato valutato dall'ISPRA, nel mese di gennaio 2010, nell'importo complessivo di euro 660.902.973,60 (doc. 1876/12);
   7. che il Ministero dell'ambiente era il titolare esclusivo del danno ambientale, ai sensi degli articoli 300 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   chiedeva l'ammissione al passivo del procedimento di amministrazione straordinaria della Caffaro Srl, in via chirografaria, del credito del Ministero dell'ambiente, quantificato nell'importo complessivo di euro 3.423.257.403,60, a titolo di risarcimento del danno ambientale causato dalla società Caffaro Srl.

  Il commissario straordinario si opponeva all'ammissione del credito (doc. 1876/16) e il giudice delegato della procedura di amministrazione straordinaria, con decreto in data 20 settembre 2011, nel dichiarare l'esecutività dello stato passivo, respingeva integralmente la domanda di ammissione al passivo proposta dal Ministero dell'ambiente, per l'assoluta mancanza di prova del danno per i tre siti anzidetti (1876/15).
  Avverso il predetto decreto di esecutività dello stato passivo della società Caffaro Srl, in amministrazione straordinaria, il Ministero dell'ambiente proponeva opposizione, ex articoli 98 e seguenti della legge fallimentare.
  Il processo, rubricato sub R.G. 5404/2011, subiva una serie ripetuta di rinvii, sulla base di concordi richieste delle parti e in vista di una soluzione transattiva della controversia, risultata poi concretamente impraticabile.
  Con decreto n. 68/2016 (R.G. n. 5404/2011) depositato in data 11 gennaio 2016, comunicato via PEC in pari data, il tribunale di Udine Pag. 32in composizione collegiale ha rigettato l'opposizione, condannando il Ministero dell'ambiente al pagamento delle spese di lite (doc. 1842/8).
  Nel provvedimento anzidetto, il tribunale di Udine censura l'Avvocatura dello Stato sia sotto il profilo del rito, sia soprattutto nel merito della domanda di ammissione proposta, affermando testualmente sul punto che «...si deve pertanto constatare il mancato assolvimento dell'onere della prova gravante su parte ricorrente, la quale chiede di essere ammessa al passivo in chirografo per l'ingentissimo importo di 3.423.257.403,60 euro relativo a danni ambientali asseritamente provocati da Caffaro S.r.l. in tre distinti siti inquinati di interesse nazionale (Torviscosa, Colleferro e Brescia), senza produrre peraltro alcun documento a sostegno dell'esistenza dei diversi danni, della loro riconducibilità causale all'attività industriale di Caffaro Srl e della proposta quantificazione; per quanto riguarda quest'ultima, in particolare, parte ricorrente si è limitata ad asserire, che è stata effettuata dall'ISPRA in aderenza ai criteri specifici risultanti dal nuovo testo dell'articolo 311, commi 2 e 3, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dall'articolo 5-bis, comma 1, lett. b), del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito con modificazioni nella citata legge no 166 del 2009».
  Peraltro – osserva il tribunale di Udine – delle modalità con cui l'ISPRA ha calcolato il danno nulla è dato di sapere, posto che i relativi documenti e conteggi non sono stati prodotti in giudizio.
  Né – prosegue il tribunale di Udine nella propria decisione – a tale carenza di prova è possibile supplire con una consulenza tecnica d'ufficio che, per giurisprudenza costante, non può essere disposta per sollevare la parte dal mancato assolvimento dell'onere di fornire comunque tutti gli elementi di fatto utili e disponibili per la dimostrazione della propria pretesa (cfr. Cass. 23 giugno 2015 n. 12921).
  Su quest'ultimo punto si tornerà di seguito, in altro apposito paragrafo che tratta proprio la tematica della valutazione del danno.
  Avverso la decisione del tribunale di Udine, con atto in data 10 febbraio 2016, l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste ha proposto ricorso per Cassazione, chiedendo l'annullamento del decreto del tribunale, oltre che per motivi procedurali, anche perché, a suo avviso, il tribunale aveva del tutto omesso di esaminare, sia pure al fine di confutarle, le valutazioni ISPRA, nonostante la loro valenza decisiva ai fini della prova dell’an e del quantum debeatur (doc. 1842/10).
  Il giudizio in Cassazione è tuttora pendente, ma è evidente che la Suprema Corte, quale giudice di legittimità, non potrà entrare nel merito della domanda di ammissione al passivo proposta dall'Avvocatura dello Stato di Trieste e, nel caso di accoglimento del ricorso, dovrà rimettere la causa davanti il tribunale per la decisione di merito.

1.2.5 La domanda di ammissione allo stato passivo in SNIA

  L'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, con note del 27 maggio 2015 e del 27 luglio 2015 (doc. 652/1 e doc. 683/1), in riscontro alla richiesta di documentazione all'esito della audizione dell'avvocato Francesco Vignoli della suddetta Avvocatura dello Stato, svoltasi a Pag. 33Brescia il 17 giugno 2015, confermava che la individuazione e la determinazione del pregiudizio ambientale, oggetto dei contenziosi SNIA già segnalati, era frutto di una attività di indagine espletata da ISPRA sui SIN di Brescia, Colleferro, Torviscosa e che il Ministero dell'ambiente, con il patrocinio dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, aveva proposto domanda di ammissione al passivo di SNIA Spa in liquidazione – dichiarata in stato di insolvenza dal tribunale di Milano e in amministrazione straordinaria – del credito complessivo, riferito cioè ai tre SIN, dell'importo complessivo di euro 3.439.037.876,46, sulla base della quantificazione operata dall'ISPRA nelle relazioni sopra citate, per il recupero degli oneri di bonifica e il risarcimento del danno ambientale (doc. 1876/5, doc. 1876/11, doc. 1876/12).
  A seguito del rigetto della domanda di ammissione allo stato passivo del credito dell'importo sopra indicato, da parte del giudice delegato della procedura SNIA in amministrazione straordinaria, l'Avvocatura dello Stato proponeva opposizione avanti il tribunale di Milano e il relativo giudizio è tuttora pendente.
  L'Avvocatura dello Stato di Milano, con le note anzidette, rappresentava di aver chiesto di essere insinuata in prededuzione, invocando una decisione della Cassazione (Cass. n. 5705/13), emessa in relazione ad omologa procedura concorsuale relativa al SIN Stoppani di Cogoleto, nella quale i giudici di legittimità avevano riconosciuto il rango prededuttivo del credito oggetto di istanza di ammissione, enunciando il principio secondo cui il necessario collegamento occasionale o funzionale con la procedura concorsuale, ex articolo 111 della legge fallimentare, andava inteso non soltanto con riferimento al nesso tra l'insorgere del credito e gli scopi della procedura, ma anche con riguardo alla circostanza che il pagamento del credito, ancorché avente natura concorsuale, rientrava negli interessi della massa e, dunque, rispondeva agli scopi della procedura stessa, in quanto utile alla gestione fallimentare.
  Quanto al merito, l'Avvocatura dello Stato riferiva che la domanda di ammissione al passivo e il successivo giudizio di opposizione si fondano sulle relazioni di ISPRA relative al pregiudizio ambientale subito dai siti Caffaro di Brescia, Colleferro e Torviscosa (Laguna di Grado e Marano), nel contesto delle quali l'ISPRA aveva indicato gli specifici interventi necessari per risanare i prefati siti, individuando le voci di ripristino e la misura economica per il ristoro.
  Si tratta – secondo l'opinione dell'Avvocatura dello Stato – di relazioni che costituiscono un compendio tratto dalla mole di documenti stratificata negli anni, prodotte in giudizio a seguito di una selezione del materiale a disposizione dell'Avvocatura distrettuale dello Stato in Milano.
  L'udienza relativa al giudizio di opposizione allo stato passivo, già tenuta in data 8 novembre 2016 (R.G. 70240/14 – sez. II civile del tribunale di Milano, era stata fissata dopo che il tribunale, nella precedente udienza, aveva invitato le parti (Avvocatura dello Stato per il Ministero dell'ambiente e commissario straordinario) a verificare la possibilità di definire la vertenza in via conciliativa, tant’è che il giudice aveva rinviato di sei mesi l'udienza fissata, motivando la Pag. 34propria decisione con l'esigenza di consentire alle parti un percorso di dialogo, in funzione della definizione consensuale del contenzioso.
  Tuttavia, non risulta in atti che tali trattative abbiano sortito sinora effetto alcuno, tant’è che la causa è stata dapprima rinviata per trattazione all'udienza del 6 giugno 2017 (doc. 1842/14) e, successivamente, è stata rinviata sempre per trattazione all'udienza del 19 dicembre 2017.
  Nella sostanza, il giudizio di opposizione allo stato passivo di SNIA si trova in una situazione di stallo, in attesa che le parti raggiungano un improbabile accordo sulla valutazione del danno ambientale.
  Nel frattempo, nel mese di febbraio 2016, il tribunale di Milano ha sospeso il riparto parziale proposto dal commissario straordinario (doc. 1657/2).

1.2.6 Il contenzioso amministrativo

  Inserendosi nel solco delle azioni civili promosse nei confronti della SORIN Spa sopra rappresentate, il Ministro dell'ambiente, con atto prot. n. 0014568 del 24 luglio 2015 (doc. 712/1), invitava e diffidava, ai sensi dell'articolo 305, del decreto legislativo n. 152 del 2006, le società BIOS Spa, GE Capital Spa, Monte dei Paschi di Siena, Unipol gruppo finanziario Spa, Mittel Spa che, tramite la società Bios controllavano SNIA ad «adottare con effetto immediato tutte le iniziative opportune per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo qualsiasi fattore di danno nei siti di Torviscosa, Brescia e Colleferro, osservando il programma di bonifica dell'amministrazione straordinaria a disposizione presso questo Ministero», in qualità di corresponsabili del loro inquinamento.
  Anche la SORIN Spa (ora Livanova PLC) veniva inclusa tra i soggetti destinatari della diffida.
  La diffida del Ministro origina anche dalla comunicazione, con la quale il commissario straordinario SNIA aveva reso noto di non potere mantenere in sicurezza i siti produttivi di Torviscosa, Colleferro e Brescia, per assenza di risorse proprie.
  Tuttavia, il TAR Lazio, con le sentenze n. 3441-3443-3445-3448-3449/2016 del 3 febbraio 2016 (doc. 1192/2 e doc. 1192/3), ha annullato l'ordinanza ministeriale, sostenendo che il provvedimento, seppure muova da una concezione sostanziale di impresa, in quanto comprendeva anche i gruppi societari, ai quali attribuiva il ruolo di «operatore economico», tuttavia, era affetto da vizi procedimentali, non avendo le società coinvolte preso parte al procedimento, né emergendo una adeguata attività istruttoria di supporto, da parte del Ministero dell'ambiente.
  In particolare, il TAR Lazio, dopo aver rilevato che nell'esame concreto della vicenda balza evidente che le attività inquinanti per due siti (Brescia e Torviscosa) erano cessate prima dell'ingresso degli istanti (BIOS Spa, GE Capital Spa, Monte dei Paschi di Siena, Unipol gruppo finanziario Spa, Mittel Spa) nel gruppo societario di SNIA, mentre solo per i siti di Colleferro le attività inquinanti erano cessate nel 2005 e nel 2006 (dunque, mentre era in corso la partecipazione Pag. 35del gruppo di società di cui sopra, nel 2002-2005), censura il provvedimento ministeriale, in quanto non contiene alcuna puntualizzazione in ordine al particolare, concreto e differenziato ruolo effettivamente svolto dalle suddette società a livello decisionale e con specifico riferimento al ramo industriale interessato, ritenuto responsabile della condotta inquinante.
  Sta di fatto – prosegue la sentenza del TAR – che, a fronte della carenza di approfondita attività istruttoria e di motivazione del decreto impugnato in ordine alla sussistenza del controllo ai fini della qualificabilità di ciascuno dei ricorrenti, quale «operatore economico», allo scopo di individuarne le specifiche responsabilità, nei documenti versati in atti vi erano i provvedimenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato n. 7614 del 1999 e 10410 del 2002, con cui l'Autorità stessa si era pronunziata sull'operazione di acquisizione del capitale sociale di SNIA da parte di BIOS e sul patto parasociale dei soci di BIOS, affermando sul punto che «BIOS non è soggetta al controllo, né individuale né congiunto, di alcuno dei suoi azionisti».
  La carenza nell'individuazione della qualifica di «operatore in concreto» – prosegue la sentenza del TAR – trova ancora maggiore dimostrazione nel fatto che manca nel provvedimento ministeriale impugnato quella analisi puntuale del nesso causale tra il danno e l'attività di ciascuno dei ricorrenti, richiesto dalla direttiva 204/35/CE del Parlamento europeo, direttiva cui il decreto legislativo n. 152 del 2006 ne costituisce l'attuazione, nel caso caso di danni causati da inquinamenti di carattere diffuso (articolo 4, par. 5).
  Peraltro, il decreto legislativo di recepimento della direttiva (articolo 303, lett. g) dispone espressamente – e conseguentemente – che esso non si applica al danno in relazione al quale siano trascorsi più di trent'anni dall'emissione, dall'evento o dall'incidente che l'hanno causato.
  Ne consegue – conclude sul punto la sentenza del TAR Lazio – che la parte VI del codice dell'ambiente, almeno sulla base della carente istruttoria espletata, non poteva essere sic et simpliciter invocata dal Ministero a sostegno della pretesa nei confronti dei nuovi soggetti (le ricorrenti) individuati ora (per allora) come «operatore». Non poteva dunque farsi riferimento, senza la necessaria personalizzata istruttoria alle misure di cui all'articolo 305 del codice ambientale.
  Il Ministero dell'ambiente ha impugnato senza sospensiva tale pronuncia e allo stato pende il giudizio di appello avanti il Consiglio di Stato.
  Appare, comunque, evidente che la carenza di prova, rilevata dal TAR Lazio, ben difficilmente potrà portare il Consiglio di Stato a una riforma della sentenza impugnata.

1.3 I procedimenti penali

  Nella nota dell'Avvocatura distrettuale dello Stato in Milano, pervenuta in data 27 maggio 2015 (doc. 440/1), si riferisce ancora che la procura della Repubblica presso il tribunale di Milano aveva chiesto Pag. 36e ottenuto il rinvio a giudizio degli amministratori che deliberarono la scissione di SNIA, con la creazione della SORIN che, secondo la tesi accusatoria, era frutto di una scissione distrattiva, volta a rendere SNIA una sorta di «scatola vuota», in quanto la nuova società (SORIN Spa) sarebbe stata costituita allo scopo di evitare il pagamento degli oneri ambientali (sez. II penale – r.g.n.r. 38643/12 – r.g.g.i.p. 2103714 – prima udienza 26 novembre 2015).
  Gli imputati in tale procedimento penale sono: Umberto Rosa, Carlo Callieri, Leonardo Bossini, Giorgio Cirla, Emilio Gnutti, Maurizio Dallocchio, Mauro Gambaro, i quali sono chiamati a rispondere dei seguenti reati:
   a) ex articoli 110 del codice penale, 223, commi primo e secondo, n. 2, R.D. n. 267 del 1942 (legge fallimentare), 3, e 95 del decreto legislativo n. 270 del 1999 per avere, in concorso tra loro (nonché con Tiberio Lonati, poi, deceduto), quali amministratori di SNIA Spa, dichiarata insolvente con sentenza del tribunale di Milano del 15 aprile 2010, distratto beni della società, operando la scissione parziale di SNIA, deliberata dal consiglio di amministrazione in data 13 maggio 2003, con conseguente attribuzione e trasferimento a favore della beneficiaria SORIN Spa di tutte le partecipazioni sociali nel comparto biomedicale, così evitando di sanare il disastro ambientale e di ottemperare agli oneri di bonifica;
   b) ex articoli 110 del codice penale, 223, secondo comma, numeri 1 e 2, della legge fallimentare, 2629 e 2622 del codice civile, 3 e 95 del decreto legislativo n. 270 del 1999, perché, quali amministratori di SNIA, concorrevano a cagionare il dissesto della società, compiendo la scissione in pregiudizio dei creditori e – con false comunicazioni sociali in danno della società e dei creditori – omettevano dolosamente di rappresentare nella situazione patrimoniale di riferimento per la scissione (bilancio 2002) le passività connesse agli oneri di bonifica gravanti sulle partecipate, passività di cui gli amministratori erano consapevoli e dovevano prudenzialmente tenere conto (cfr. l'allegato decreto che dispone il giudizio in doc. 813/2).

  Secondo la pubblica accusa, dalle ingannevoli operazioni compiute si evince l'intento di non adempiere i gravosi debiti di SNIA, dipendenti da costi ed oneri per il ripristino ambientale, ben noti alla società.
  Attualmente, è tuttora in corso il dibattimento davanti una sezione penale del tribunale di Milano.
  Il Ministero dell'ambiente e il comune di Brescia, nella fase predibattimentale, avevano chiesto di costituirsi parte civile, individuando specifiche voci risarcitorie, ma, con ordinanza del 22 marzo 2016, il tribunale li ha esclusi, ritenendo che non vi è spazio per profili di pregiudizio ambientale in un processo penale per bancarotta e che, in ogni caso, le domande proposte dalle suddette parti pubbliche si sovrapponevano a quelle che erano state già avanzate dal commissario SNIA, il quale non si era costituito nel processo penale, avendo esercitato, come sopra indicato, in sede civile l'azione di responsabilità nei confronti degli ex amministratori (compresi gli imputati) sindaci e soci di riferimento di SNIA (doc. 1714/9).

Pag. 37

1.4 Il problema della quantificazione del danno ambientale dei tre SIN

  Come si è detto, in ciascuna delle tre procedure di amministrazione straordinaria il Ministero dell'ambiente, con il patrocinio dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, competente per territorio, ha proposto domanda di ammissione al passivo del credito complessivo, riferito cioè ai tre SIN (Brescia, Colleferro e Torviscosa) dell'importo di euro 3.439.037.876,46, sulla base della prima quantificazione operata dall'ISPRA, nel 2009 e nel 2010, per il recupero degli oneri di bonifica e il risarcimento del danno ambientale (doc. 1876/5, doc. 1876/11, doc. 1876/12).
  Successivamente, nel mese di settembre 2016, l'ISPRA, in funzione dello stato di avanzamento delle procedure di bonifica, ha operato un aggiornamento delle valutazioni preliminari del valore economico degli interventi necessari alla riparazione del danno ambientale nei siti Brescia-Caffaro, Laguna di Grado e Marano, Bacino del fiume Sacco (doc. 1576/2).
  In particolare, riportando i valori complessivi dei costi già finanziati dagli organi pubblici e dei costi ritenuti necessari al completamento degli interventi di ripristino, l'ISPRA ha concluso come segue:
   • Caffaro Brescia:
    – Fondi stanziati per il SIN: 13.069.086 euro (rectius: euro 14.769.806).
    – Valutazioni dei costi per il completamento degli interventi: euro 43.911.290 – 95.598.690.
   • Caffaro Torviscosa
    – Fondi stanziati per il SIN: euro 46.342.562.
    – Valutazioni dei costi per il completamento degli interventi: euro 759.162.965.
   • Caffaro Colleferro
    – Fondi stanziali per il SIN: euro 14.500.000.
    – Valutazioni dei costi per il completamento degli interventi: euro 381.822.500.

  In conclusione, secondo l'ultima valutazione dell'ISPRA, considerati i fondi stanziati, per l'importo complessivo di 73.911.648, il costo degli interventi di ripristino ambientale necessari per i tre SIN ammonta complessivamente a euro 1.236.584.155, a fronte della precedente valutazione di euro 3.439.037.876,46.
  L'ISPRA, a fondamento di questa seconda valutazione del danno, pone alcune perizie genericamente indicate, come fonte, nella parte introduttiva della sua relazione, ma senza alcuna ulteriore specificazione e analisi degli elaborati peritali citati in premessa (doc. 1576/2).
  Tuttavia, ad oggi, la nuova determinazione del danno ambientale operata dall'ISPRA non risulta dedotta nell'unico giudizio di opposizione, Pag. 38pendente ancora nella fase del merito, quello davanti il tribunale di Milano, posto che i decreti del tribunale di Udine, che hanno rigettato l'opposizione all'esclusione dallo stato passivo della Caffaro Chimica Srl in amministrazione straordinaria e della Caffaro Srl in amministrazione straordinaria del credito preteso dal Ministero dell'ambiente per danno ambientale, non pendono davanti ai giudici di merito (nella specie, la Corte d'appello di Trieste), bensì pendono in Cassazione, che è giudice di legittimità e, come tale, non può entrare nel merito della domanda di ammissione al passivo del credito anzidetto.
  Ciò precisato sul piano processuale, va preso atto del fatto che finora tutti i giudici di merito (tribunale di Milano e di Udine, nelle loro articolazioni), che si sono occupati del credito per danno ambientale, preteso dall'Avvocatura dello Stato, in nome e per conto del Ministero dell'ambiente e del Ministero delle finanze, non lo hanno riconosciuto.
  Le valutazioni ISPRA, poste a fondamento della pretesa creditoria, sono state ritenute dai giudici di merito di Udine e di Milano del tutto inidonee a tale scopo, fino al punto da non rappresentare neanche quell'inizio di prova, che consente al giudice di merito di disporre una consulenza tecnica d'ufficio, allo scopo di accertare quale sia il danno effettivo subito dal Ministero dell'ambiente nei tre SIN interessati.
  A scanso di equivoci, osserva questa Commissione di inchiesta che non si può non essere d'accordo con tali decisioni giudiziarie, ove si consideri che l'ISPRA, nell'aggiornamento del mese di settembre 2016, ha rivisto le proprie valutazioni del 2009, ma ha adottato criteri e modalità che appaiono altrettanto prive di certezza, come le prime valutazioni, in quanto non corrispondono a costi effettivi, sostenuti o da sostenere, dal momento che non rappresentano dati desunti da accertamenti svolti sulle condizioni «attuali» di inquinamento dei siti, né da progetti quantomeno presentati, pur se non ancora regolarmente approvati.
  Invero, si è in presenza di valutazioni desunte da perizie di parte, di cui ISPRA si limita a indicarne la fonte.
  Sul punto, va ricordato che il Ministero dell'ambiente, cui competono gli interventi di bonifica dei siti di interesse nazionale, si avvale di soggetti pubblici operanti sul territorio per l'accertamento del danno ambientale, ai sensi degli articoli 299 e 312 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Sulla valutazione del danno ambientale si tornerà di seguito, esaminando le valutazioni ISPRA per ciascuno dei tra SIN anzidetti.
  Tuttavia, a titolo di esempio, la Commissione di inchiesta richiama la grande divergenza esistente tra i costi previsti dall'ISPRA per il risanamento ambientale e la riqualificazione industriale delle aree «Caffaro» di Torviscosa – ancora denominato sito di interesse nazionale di «Laguna di Grado e Marano», pur dopo la riperimetrazione del SIN, che ha escluso dal SIN proprio l'area lagunare – e quelli presentati dalla società Environ Italy Srl, incaricata dal commissario straordinario.
  Invero, l'ISPRA, nell'ultima valutazione del danno ambientale del mese di settembre 2016 (doc. 1576/2), ha stimato il costo complessivo per il completamento degli interventi nell'area anzidetta nella somma Pag. 39di euro 759.162.965, ivi compreso il costo di euro 593.490.623, per gli interventi di dragaggio e smaltimento dei sedimenti lagunari, che viceversa non vanno rimossi, sulla base degli approfondimenti eseguiti in sede di riperimetrazione, che ne hanno escluso la pericolosità.
  Viceversa, la società Environ Italy che, su incarico del commissario straordinario, ha redatto il «Progetto operativo di MISO e bonifica delle aree di competenza della società Caffaro in amministrazione straordinaria nel sito di Torviscosa (UD)», ha calcolato i relativi costi di bonifica nella misura di euro 31,85 milioni (cfr. allegato al doc. 1156/5).
  Sulla base del progetto della Environ Italy, le amministrazioni interessate (Presidenza della regione Friuli Venezia Giulia, Ministero dell'ambiente, Ministero dello sviluppo economico, comune di Torviscosa e commissario straordinario della Caffaro in amministrazione straordinaria), hanno sottoscritto, in data del 2 dicembre 2016, un protocollo d'intesa (doc. 1658/5), che prevede uno stanziamento di 40 milioni di euro (di cui 35 milioni di parte ministeriale e 5 milioni della regione Friuli Venezia Giulia).
  A tale rappresentazione del danno non può non conseguire una considerazione sull'esatto importo del credito di cui l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, per il SIN di Torviscosa, dovrà chiedere l'ammissione allo stato passivo di SNIA, nel giudizio di opposizione in corso e, cioè, se il credito debba essere quello di euro 759.162.965, di cui alla valutazione ISPRA, ovvero quello di euro 31,85 milioni, di cui al progetto operativo di bonifica predisposto dalla Environ Italy Srl.

1.5 La disciplina dei crediti delle amministrazioni pubbliche nella procedura di amministrazione straordinaria

  Nella nota del 5 aprile 2017 (doc. 1901/2), il commissario straordinario delle procedura di amministrazione straordinaria del gruppo SNIA- Caffaro, avvocato Marco Cappelletto, ribadisce il principio secondo cui il rappresentante dei creditori di qualsiasi procedura concorsuale (ordinaria, straordinaria, conservativa o liquidatoria), in quanto soggetto non responsabile dell'inquinamento, non può essere reso destinatario dell'obbligo di ripristino ambientale.
  Di conseguenza, il comune, la regione e lo Stato, i quali sono chiamati ad agire in sostituzione – in ordine alle spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica, il ripristino ambientale e per la realizzazione delle eventuali misure di sicurezza – vanteranno un credito, a garanzia del quale l'articolo 17, comma 11, del decreto legislativo 22 del 1997 attribuisce un privilegio speciale immobiliare e un privilegio generale mobiliare.
  Ciò premesso, occorre porre mente al fatto che, ai sensi dell'articolo 53 del decreto legislativo n. 270 del 1999, l'accertamento dei crediti da ammettere allo stato passivo delle procedure di amministrazione straordinaria prosegue, sulla base delle disposizioni della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, secondo il procedimento previsto dagli articoli 93 e seguenti della legge fallimentare, sostituito al «curatore» la figura del «commissario straordinario».Pag. 40
  Di conseguenza, le pubbliche amministrazioni che chiedono il riconoscimento del loro credito devono presentare domanda di ammissione al passivo della procedura di amministrazione straordinaria.
  In tal caso, il giudice delegato valuta tali domande – come tutte le altre domande – e, su parere del commissario straordinario, decide, in primo luogo, sulla loro ammissione allo stato passivo della procedura, quindi, decide se il credito debba essere considerato chirografario o privilegiato, nel concorso con gli altri creditori ammessi al passivo o se, viceversa, debba essere ammesso in prededuzione rispetto a tutti i creditori ammessi al passivo, nel senso che deve essere pagato prima di tutti gli altri crediti.
  Quest'ultima ipotesi si verifica quando si tratta di debiti assunti dallo stesso commissario straordinario, come, per fare un esempio, quelli concernenti le spese per la messa in sicurezza dei siti o le spese legali delle cause promosse dal commmissario straordinario.
  Tutto ciò osservato, il commissario straordinario, nella nota del 5 aprile 2017 (doc. 1901/2) riferisce che la domanda di ammissione al passivo della procedura di amministrazione straordinaria dei crediti delle pubbliche amministrazioni in ordine alle spese sostenute per la messa in sicurezza, la bonifica, il ripristino ambientale avrà la seguente sorte: (a) vanno al rango prededuttivo i costi effettivamente sostenuti dal commissario straordinario per l'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica, trattandosi di credito assistito dai requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, dopo l'esecuzione di tali interventi; (b) vanno al privilegio (articolo 2748, secondo comma, del codice civile) le somme effettivamente e legittimamente impegnate nei bilanci degli enti per tutti tali interventi; (c) vanno al chirografo i crediti di diversa natura.
  La posizione del commissario straordinario appare corretta poiché in linea con i criteri suggeriti dalla sentenza della Cassazione n. 14935/16 del 14 giugno 2016 pronunciata in una controversia tra il Ministero dell'ambiente e la Lucchini Spa in amministrazione straordinaria.
  Di conseguenza, i criteri di ammissione al passivo della procedura SNIA sono i seguenti:
   1) vanno ammesse in prededuzione (che significa pagamento prima dei creditori ammessi al passivo) le somme che il Ministero ha effettivamente speso;
   2) vanno ammesse in privilegio le somme che il Ministero ha accantonato con vincolo di destinazione e di spesa;
   3) vanno, infine, ammesse al chirografo tutte le altre somme.

  Sulle prime due voci (prededuzione e privilegio) non vi sono problemi di quantum, in quanto si tratta di somme già determinate nel loro importo.
  Viceversa, è problematico l'importo delle somme da ammettere al passivo, sotto la voce «chirografo».
  Si tratta della voce che comprende tutte le spese non ancora stanziate per sostenere il ripristino ambientale e su queste il commissario Pag. 41straordinario ha raccomandato maggiore puntualità, dal momento che, a fondamento delle stesse, vi sono solo valutazioni di ISPRA, molto differenti tra di loro, come si è sopra accennato.
  Tuttavia, in questa sede, va detto che i creditori chirografari quasi sicuramente non saranno pagati (in quanto vengono dopo i prededucibili e i privilegiati) e la procedura non ha fondi necessari a pagare i creditori privilegiati, forse neanche pro quota.
  In conclusione, allo stato, l'aspettativa di soddisfo di creditori ammessi al passivo appare molto problematica, poiché consegue da riparto concorsuale, la cui effettiva realizzazione resta essenzialmente condizionata dall'assai problematico esito delle operazioni liquidatorie.
  Com’è noto, l'amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa industriale insolvente e persegue finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante la prosecuzione, la riattivazione o la riconversione delle attività imprenditoriali (articolo 1, del decreto legislativo n. 270 del 1999).
  Dopo l'avvenuta cessione dei complessi aziendali o la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, si passa alla fase della liquidazione, com’è avvenuto nel caso di specie.
  A tale proposito, il commissario straordinario sottolinea: 1) che la procedura aveva proceduto alla cessione dei siti produttivi di Brescia e Torviscosa ed era quindi traslata dalla fase dell'amministrazione a quella liquidatoria (articolo 73, comma 3, del decreto legislativo n. 270 del 1999); 2) che difficilmente la procedura avrebbe potuto disporre di attivo, astrattamente realizzabile con la liquidazione dei beni immobili appresi, in quanto il mercato, già sollecitato con avvisi pubblicati su quotidiani nazionale e locali, non aveva manifestato interesse alcuno ad avviare operazioni di acquisto di cespiti pressoché pregiudicati da assai onerose problematiche ambientali.
  Pertanto, il commissario straordinario, già con la nota del 25 marzo 2015 (doc. 1156/2), ha rappresentato agli enti competenti che era necessario dare previa soluzione alle rispettive problematiche ambientali, per poter procedere: 1) alla vendita dei residui beni immobili di Brescia e di Torviscosa, compresi nei rispettivi SIN e rimasti invenduti; 2) alla vendita di tutti gli stabilimenti e delle aree industriali di Colleferro, compresi nel SIN «Bacino del fiume Sacco»; 3) all'alienazione degli immobili e degli stabilimenti ex Siapa, posti nel comune di Galliera e non compressi in nessun SIN.
  In difetto di tali iniziative assunte da soggetti pubblici e/o privati, il commissario straordinario, ai fini della chiusura delle operazioni di liquidazione, si riservava di considerare la possibilità di ricorrere allo strumento della derelictio bonorum, regolata dall'articolo 104-ter, comma 7, della legge fallimentare, secondo cui «il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può non acquisire all'attivo o rinunciare a liquidare uno o più beni, se l'attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente. In questo caso, il curatore ne dà comunicazione ai creditori i quali, in deroga a quanto previsto nell'articolo 51, possono iniziare azioni esecutive o cautelari sui beni rimessi nella disponibilità del debitore».
  Dunque, con l'abbandono da parte del commissario straordinario dei cespiti, appresi in nome e per conto della procedura fallimentare, Pag. 42riprende vigore l'azione esecutiva e cautelare individuale in danno del debitore fallito, in quanto i beni ritornano nella disponibilità dello stesso.
  Ma non è questo il caso di specie, trattandosi di siti industriali privi di ogni valore economico, perché contaminati.
  In realtà, l'abbandono dei siti da parte del commissario straordinario ha un solo significato e, cioè, che tutti gli oneri per la bonifica sono destinati a ricadere sul Ministero dell'ambiente per i tre SIN di Brescia, Colleferro e Torviscosa, ai sensi dell'articolo 252 decreto legislativo n. 152 del 2006, e sulla regione Emilia Romagna per l'area industriale di Galliera (BO), ai sensi dell'articolo 250 dello stesso decreto legislativo.

5. La posizione delle società SORIN e Livanova

  Infine, occorre fare un accenno alla posizione della SORIN Spa, il cui presidente del consiglio di amministrazione dell'epoca, Rosario Bifulco, rispondendo alla richiesta di informazioni rivoltagli in data 26 maggio 2015 (doc. 439/1) dal Presidente della Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, comunicava, con la nota del 26 maggio 2015 (doc. 439/1), quanto segue:
   1) che la società – quotata nella borsa italiana – opera nel campo biomedico e che, in Italia, l'azienda possiede e gestisce importanti siti industriali di ricerca e produzione, in particolare quelli di Saluggia, in provincia di Vercelli, e di Mirandola, in provincia di Modena, con la precisazione che SORIN non era invece titolare, né lo era mai stata, di alcun sito produttivo a Brescia;
   2) che l'impianto Caffaro di Brescia, società controllata da SNIA Spa in liquidazione, in amministrazione straordinaria era stato utilizzato fino alla sua chiusura, nel 2009, per la produzione di composti organici derivati dal cloro, ma che SORIN non operava, né aveva mai operato nel campo della chimica;
   3) che erano prive di merito e giuridicamente infondate le azioni legali proposte nei suoi confronti, assumendo di non essere coinvolta sostanzialmente in alcuna questione di carattere ambientale se non, molto indirettamente, nella vicenda del sito Caffaro a Brescia.

  Tutto ciò premesso e osservato, il presidente del consiglio di amministrazione della SORIN Spa, concludeva la propria nota aprendo uno spiraglio, in quanto affermava che la società, «quale azienda impegnata e attiva nel Paese, come molte altre aziende guarda alla situazione ambientale di siti con alto tasso di industrializzazione – come Brescia – con costernazione e, pur nella difesa dei propri diritti, potrebbe considerare iniziative di soluzioni concrete e praticabili che pervenissero da parte del Ministero dell'ambiente, volte a rimediare a questa situazione nell'interesse della comunità locale».
  Ora non v’è dubbio che la posizione della incorporante Livanova PLC sia identica a quella della incorporata SORIN spa, in quanto la nuova società è subentrata in tutti i rapporti giuridici di quest'ultima Pag. 43e, dunque, anche nelle eventuali ragioni debitorie, come si legge nella sopra illustrata sentenza del tribunale di Milano n. 4101/2016, pubblicata in data 1o aprile 2016 (doc. 1714/3).

1.6 Alcune considerazioni

  In conclusione, il problema che oggi si pone è, per un verso, quello di individuare con maggiore certezza il danno ambientale da risarcire e, per altro verso di individuare, altresì, i limiti di responsabilità della SORIN, oggi Livanova PLC, alla stregua delle pronunzie della giustizia ordinaria e amministrativa, riportate nei precedenti paragrafi, che ben difficilmente potranno essere riformate dal giudice dell'appello, per la completezza e la puntualità delle motivazioni in esse contenute, come sopra ampiamente illustrate.
  A tale proposito, non può non essere oggetto dell'attenzione di questa Commissione di inchiesta il comportamento processuale e l'attività difensiva svolta dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, che – come si legge nelle sentenze del tribunale di Milano – persegue e coltiva con grande impegno tesi difensive che, a giudizio dello stesso tribunale, appaiono del tutto infondate, sia sotto il profilo giuridico, in quanto si pongono in contrasto con i principi generali di diritto in materia societaria e di responsabilità, sia sotto il profilo fattuale e del merito, con riguardo alla debolezza delle prove offerte dalla stessa Avvocatura distrettuale dello Stato per sostenere la domanda di risarcimento del danno ambientale.
  In particolare, deve essere sottolineata, per la sua particolare gravità e quasi unicità, la sopra richiamata sentenza del tribunale di Milano – sezione specializzata in materia di impresa – n. 11747/2016, pubblicata in data 27 ottobre 2016, ormai divenuta definitiva, che vede non solo il rigetto delle domande proposte dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano contro la Livanova PLC, con la conseguente condanna del Ministero dell'ambiente, del Ministero dell'economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei ministri al pagamento delle spese processuali ordinarie, in base all'ordinario principio di soccombenza nella causa anzidetta, secondo cui la parte che perde la causa paga le spese del giudizio.
  Ebbene – come si è sopra osservato – con la stessa sentenza, le pubbliche amministrazioni sono state condannate al pagamento di ulteriori spese in favore della Livanova PLC, a titolo di risarcimento danni per «responsabilità aggravata», ai sensi dell'articolo 96 codice procedura civile, per avere le stesse – rappresentate dalla suddetta Avvocatura distrettuale dello Stato – agito in giudizio con mala fede o colpa grave (cosiddetta lite temeraria).
  Ed è significativo delle difficoltà di gestione del contenzioso il fatto che l'ufficio dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano abbia ritenuto di non impugnare la suddetta sentenza, così determinandone il passaggio in giudicato.
  A questo punto, si può ragionevolmente ritenere che il tribunale di Milano, con la condanna delle pubbliche amministrazioni, rappresentate dall'Avvocatura dello Stato di Milano per «lite temeraria», abbia voluto, per un verso, richiamare l'attenzione dell'ufficio di Pag. 44appartenenza degli avvocati che hanno sottoscritto gli atti di causa a svolgere una più puntuale funzione di controllo sulle iniziative promosse e sugli atti difensivi depositati da detti avvocati dello Stato e, per altro verso, abbia voluto richiamare anche l'attenzione dei due Ministeri interessati e della stessa Presidenza del Consiglio dei ministri per le opportune iniziative, ad ogni livello, non solo a difesa della loro immagine, ma anche per evitare ulteriori danni, tenuto conto del fatto che, comunque, l'intera vicenda processuale è ben lungi dall'essere definita, considerato che il contenzioso è tuttora in corso.
  Peraltro, la condanna alle spese processuali per importi rilevanti trova precedenti specifici nel rigetto di tutte le azioni promosse dall'Avvocatura dello Stato e, in particolare, nell'analoga azione di risarcimento del danno ambientale, per l'importo di euro 3.439.037.876,46, proposta dall'Avvocatura dello Stato di Milano nei confronti della SORIN, di cui alla sentenza n. 4101/2016, pubblicata in data 1o aprile 2016.
  In ogni caso, a fronte di decisioni – tutte sfavorevoli al Ministero dell'ambiente e al Ministero dell'economia e delle finanze – pronunziate dai giudici dei tribunali di Udine e di Milano, contrarie al riconoscimento del credito complessivo, riferito cioè ai tre SIN (Brescia, Colleferro e Torviscosa), dell'importo di euro 3.439.037.876,46, come preteso dall'Avvocatura dello Stato, non v’è dubbio che i due ministeri interessati siano liberi di assumere determinazioni diverse, in ordine alle rispettive pretese, a prescindere dalle opinioni e dai pareri dell'Avvocatura dello Stato.
  Comunque, appare evidente che il Ministero dell'ambiente non potrà far valere, in sede giudiziaria, le proprie pretese solo sulla base dell'aggiornamento della valutazione eseguita da ISPRA del mese di settembre 2016.
  Invero, tale aggiornamento, nonostante la riduzione dei costi relativi alle bonifiche dei siti nella misura complessiva di euro 1.236.584.155, presenta gli stessi limiti strutturali delle precedenti valutazioni ISPRA, in quanto l'aggiornamento non è stato eseguito sulla base di progetti specifici e dati obbiettivi, bensì su mere «presunzioni», come tali del tutto prive del requisito della certezza dei crediti pretesi dalle PP.AA.
  Infine, va rilevato che neanche il comportamento del commissario straordinario, avvocato Marco Cappelletto, va esente da censura, dal momento che – come si è visto – con l'azione di responsabilità proposta nei confronti degli amministratori e dei sindaci di SNIA, nonché dei soci di riferimento della stessa SNIA, egli ha chiesto al tribunale di Milano la condanna di costoro al risarcimento del danno ambientale, nella misura di euro 3.439.037.876,46. Viceversa, nei confronti della SORIN spa, oggi Livanova PCL, il commissario straordinario ha proposto un'azione di accertamento dello stesso credito, e non di condanna, a differenza dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, che ne ha chiesto la condanna.
  E, tuttavia, il commmissario straordinario, come l'Avvocatura dello Stato hanno posto a fondamento di entrambe le cause proposte le valutazioni operate da ISPRA nel 2009.
  Si tratta di valutazioni che – come sopra sottolineato – lo stesso commissario straordinario contesta, in quanto egli si è opposto alla Pag. 45richiesta di ammissione al passivo del credito, proposta dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, per conto del Ministero dell'ambiente, nella procedura di amministrazione di SNIA e delle due società Caffaro, in amministrazione straordinaria, ritenendo che le anzidette valutazioni di ISPRA siano inidonee a costituire prova del danno ambientale subito dai tre SIN.
  A questo punto – a parere della Commissione di inchiesta – appare davvero singolare il fatto che il commissario straordinario, in rappresentanza della massa dei creditori ammessi al passivo della SNIA spa in amministrazione straordinaria, adeguatamente assistito da professionisti di chiara fama del foro di Roma, di Milano e di Venezia, oltre che essere anche lui avvocato del foro di Venezia – per un verso – ritiene le valutazioni di ISPRA del tutto insufficienti a consentire l'ammissione al passivo del relativo credito nelle procedure di amministrazione straordinaria di SNIA spa, di Caffaro Srl e di Caffaro Chimica Srl e – per altro verso – in modo del tutto contraddittorio, insiste nella domanda di condanna al risarcimento per i danni ambientali dei tre SIN nei confronti di amministratori, sindaci e soci di riferimento di SNIA, nonché nella domanda di accertamento del credito nei confronti della SORIN Spa, solo e soltanto, sulla base delle stesse valutazioni di ISPRA, già da lui medesimo ritenute inidonee a costituire prova del credito.
  Peraltro, in questa sede, va precisato che, correttamente, il commissario straordinario si è opposto all'ammissione al passivo delle procedure di amministrazione straordinaria del credito per il danno ambientale dei tre SIN, in quanto lo stesso è supportato solo da tali valutazioni, che – come hanno concordemente osservato i giudici dei tribunali di Udine e di Milano – sono del tutto inidonee ad assurgere al valore di «prova» del danno ambientale nei vari giudizi civili promossi dallo stesso commissario straordinario e dall'Avvocatura dello Stato.
  In tale contesto che – per la sua assurdità e incomprensibilità – si può tranquillamente definire «kafkiano», si è venuto a creare un doppio danno.
  Il primo danno è costituito dalle enormi spese processuali, a carico del Ministero dell'ambiente e della procedura di amministrazione straordinaria di SNIA, per decine di milioni di euro, in favore dei convenuti, conseguenti al rigetto delle domande proposte, somme alle quali devono essere aggiunti i compensi professionali maturati dai numerosi avvocati, come sopra indicati, che hanno assistito e assistono il commissario straordinario nei vari giudizi da lui promossi.
  Il secondo danno si connette alla grave difficoltà del Ministero dell'Ambiente di addivenire a una transazione del contenzioso in essere, partendo da una richiesta risarcitoria dell'importo di circa tre miliardi e mezzo, che allontana i possibili soggetti interessati, tra cui la stessa SORIN, e che comunque cadrebbe sotto l'attenzione della Corte dei conti, ove tale transazione non venisse ritenuta congrua.
  In realtà – osserva la Commissione di inchiesta – spettava all'avvocatura, vista nel suo insieme, indirizzare in modo opportuno e adeguato i propri assistiti – per un verso – chiedendo loro integrazioni probatorie del danno ambientale, volte ad evitare la débacle giudiziaria cui sono andati incontro l'Avvocatura distrettuale Pag. 46dello Stato di Milano e le difese del commissario straordinario, tutti accomunati da un unico destino, e – per altro verso – suggerendo al Ministero dell'ambiente opzioni diverse, considerato che le controversie promosse, molte delle quali oggi pendenti in grado di appello, presentano difficoltà oggettive, non solo, sul piano probatorio, ma anche sotto il profilo tecnico-giuridico, come emerge chiaramente dalla illustrazione contenuta nei precedenti paragrafi di questo capitolo.
  Tutto quanto sopra rappresentato e documentalmente provato porta alla conclusione che non è possibile attribuire a ISPRA la responsabilità delle numerose e brucianti sconfitte giudiziarie, bensì al modo in cui le valutazioni di ISPRA sono state utilizzate nei vari giudizi promossi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano e dal commissario straordinario, che non hanno supportato le stime anzidette da altri elementi di prova del danno ambientale, ritenendo esaustive le valutazioni di ISPRA, nonostante le contrarie pronunzie dei giudici di merito e di legittimità.

2. Il sito di interesse nazionale «Laguna di Grado e Marano»

2.1 Inquadramento del SIN

  Il sito Laguna di Grado e Marano è stato individuato come sito di interesse nazionale dal «Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale», di cui al decreto ministeriale 18 settembre 2001, n. 468, che definiva l'area ad elevata pericolosità sanitaria e ambientale, a causa della presenza di una alta concentrazione di mercurio nei sedimenti riconducibili, in particolare, alle attività industriali dello stabilimento Caffaro, che produceva nello stabilimento di Torviscosa cloro e cloro-soda.
  Al fine di consentire l'esecuzione delle attività di dragaggio finalizzate a garantire la sicurezza della navigazione, a seguito della richiesta del presidente della regione Friuli Venezia Giulia del 26 marzo 2002, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 3 maggio 2002, è stato dichiarato lo stato di emergenza ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, ed è stato nominato un commissario di governo.
  Con decreto ministeriale del 24 febbraio 2003 è stato perimetrato il SIN di Laguna di Grado e Marano, comprendente un'area di circa 10.695 ettari, di cui 3.755 ettari a terra e ben 6.940 ettari a mare, pari al 60 per cento della laguna.
  La perimetrazione iniziale del SIN comprendeva il territorio prospiciente la laguna di Grado e Marano e si estendeva all'interno dei seguenti comuni: Carlino (zona prevalentemente agricola compresa tra il fiume Zellina e l'area industriale di San Giorgio di Nogaro), Torviscosa (area Caffaro e zona agricola posta a sud dello stabilimento e dell'abitato, compresa tra i fiumi Aussa e Corno), Cervignano del Friuli (zona agricola compresa tra il canale Banduzzi e il fiume Aussa e zona industriale in sinistra Aussa), Terzo d'Aquileia (aree agricole di piccole dimensioni in destra Aussa), Marano Lagunare (zona Pag. 47agricola denominata Bonifica Marzotto) e San Giorgio di Nogaro (area industriale a sud dell'abitato).
  Con ordinanza del Dipartimento protezione civile n. 3217 del 3 giugno 2002 (a firma del Ministro dell'interno delegato al coordinamento della protezione civile), il dottor Paolo Ciani – assessore all'ambiente, alla protezione civile e al personale della regione Friuli Venezia Giulia – veniva nominato «commissario delegato per la realizzazione degli interventi necessari per il superamento della situazione di emergenza determinatasi nella laguna di Marano Lagunare e Grado», con poteri straordinari.
  In data 17 novembre 2006, il primo commissario delegato veniva sostituito dal dottor Gianfranco Moretton, vice presidente della giunta della regione Friuli Venezia Giulia, nonché assessore all'ambiente, lavori pubblici e protezione civile.
  Infine, con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3738 del 5 febbraio 2009, in sostituzione del dottor Moretton, veniva nominato il dottor Gianni Menchini (un tecnico, a differenza dei primi due politici), il quale rimaneva in carica fino alla data della revoca dello stato di emergenza, avvenuta in data 6 aprile 2012.
  Il considerevole numero e la complessità dei ritenuti interventi, affidati al commissario delegato all'emergenza, venivano affrontati con significative risorse umane e finanziarie.
  A tale proposito, veniva costituita una struttura commissariale, composta da non più di dieci persone, assunte in deroga alla normativa vigente, ovvero appartenenti alla pubblica amministrazione o a società con prevalente capitale pubblico, poste in posizione di comando o distacco (in deroga alla normativa vigente in materia di mobilità).
  Veniva, altresì, costituita una commissione tecnico-consultiva, allo scopo di garantire il necessario supporto giuridico e amministrativo nelle attività da porre in essere, ai sensi della ordinanza istitutiva, composta da cinque membri, scelti tra dipendenti pubblici ed esperti anche estranei alla pubblica amministrazione, di cui tre designati dal commissario delegato e due, rispettivamente, dal Dipartimento della protezione civile e dal Ministro dell'ambiente.
  A questa commissione si affiancava anche un comitato tecnico-scientifico sia per la valutazione dei progetti, sia per garantire il necessario supporto tecnico alle attività che si riteneva dovessero essere eseguite per il superamento dell'emergenza.
  Il suddetto comitato era composto da otto membri, appartenenti alle amministrazioni statali e a enti pubblici territoriali e non territoriali, nonché a società con prevalente capitale pubblico ed esperti anche estranei alla pubblica amministrazione, coordinata da un presidente designato dal Ministro dell'ambiente e composta da un membro designato dal commissario delegato, uno dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della protezione civile, uno dal Magistrato alle acque, uno dalla regione Friuli Venezia Giulia, uno dall'ARPA, uno in rappresentanza dei comuni e, infine, uno in rappresentanza delle province che abbiano porzioni di territorio comprese nell'area del SIN.
  Quanto agli aspetti finanziari, oltre allo stanziamento iniziale stabilito dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del Pag. 482002 (euro 3.000.000), l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 2006 citata assegnava ulteriori risorse per un ammontare di euro 14.500.000 con la previsione che altre risorse sarebbero derivate da trasferimenti regionali o sub-regionali nonché da fondi comunitari e nazionali.
  In estrema sintesi, quindi, la struttura commissariale – assieme a rilevanti risorse economiche – riceveva poteri di intervento molto ampi, che spaziavano dalla bonifica dei suoli inquinati, alla riqualificazione ambientale del comprensorio lagunare, per giungere infine al superamento dell'emergenza socio-ambientale ed economica con il ritorno a condizioni di normalità e sostenibilità efficaci e durature nel tempo.
  Va precisato che l'opera del commissario delegato si intrecciava con le funzioni in materia ambientale ordinariamente attribuite a organi dello Stato, enti territoriali, organismi tecnici, oltre che ai doveri di bonifica e messa in sicurezza, comunque, a carico dei responsabili dell'inquinamento (quindi, enti pubblici e persone fisiche e giuridiche private proprietari dei terreni e dei corsi d'acqua inquinati).
  Inoltre, l'ambito di competenza territoriale della struttura emergenziale non coincideva, ma risultava più ampia di quella perimetrata ai fini dell'individuazione del SIN della laguna di Grado e Marano.
  Tuttavia, come si legge nella relazione del prefetto di Udine, in data 22 giugno 2016 (doc. 1658/3), dopo dieci anni dall'insediamento del commissario delegato, il bilancio delle attività compiute risultava piuttosto magro.
  Invero, leggendo il piano operativo degli interventi, predisposto nel febbraio 2007 dal commissario delegato, si evinceva chiaramente che il piano di caratterizzazione delle aree inquinate non era stato ultimato, in quanto: 1) mancava la validazione delle caratterizzazioni già effettuate in alcuni ambiti prioritari di massimo inquinamento (tra cui l'area di Torviscosa e dei canali inquinati da Caffaro); 2) non erano stati predisposti i piani di dragaggio già caratterizzati e validati; 3) non era stato definito un piano di riqualificazione morfologica ed ambientale della laguna; 4) non erano state realizzate barene conterminate al fine di studiare come riutilizzare i sedimenti.
  In particolare, tutto quello che, sino a quel momento (anno 2007), era stato fatto si può riassumere in carotaggi, al fine di caratterizzare i sedimenti lagunari, sui fiumi Aussa e Corno e sui canali lagunari.
  I campioni prelevati erano stati sottoposti alle analisi eseguite da laboratori di fiducia della società Nautilus di Vibo Valentia, aggiudicataria nel 2003 della gara di appalto per l'esecuzione di carotaggi e per la caratterizzazione dei sedimenti, sulla base del piano di caratterizzazione predisposto da ICRAM (Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare, in seguito confluito nell'ISPRA, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, istituito con la legge n. 133 del 2008).
  Sempre nella relazione degli interventi, elaborata nel 2007 dal commissario delegato pro-tempore, venivano poste in evidenza le problematiche relative ai dragaggi dei fondali e al successivo conferimento dei fanghi, che determinavano una previsione generale di spesa complessiva di oltre 90.000.000 euro.Pag. 49
  Il precipuo focus puntato dalla struttura commissariale sul risanamento degli ambienti lagunari, unito alle difficoltà finanziarie e giudiziarie della Caffaro, culminate nella condanna penale dei suoi amministratori e nella dichiarazione dello stato di insolvenza delle società del gruppo SNIA, finivano con il determinare una situazione generale di stallo nel programma di bonifiche del sito di Torviscosa.

2.1.1 I rapporti tra il «Commissario delegato» e il «Commissario straordinario» della Caffaro Chimica in liquidazione Srl e della Caffaro Srl, in amministrazione straordinaria

  Nelle more della gestione dell'ultimo commissario delegato nominato, il dottor Gianni Menchini, il tribunale di Udine, con sentenza n. 40/2009 del 15-19 maggio 2009, dichiarava lo stato di insolvenza della Caffaro Chimica Srl in liquidazione, proprietaria dei complessi aziendali di Torviscosa (oltre che di Brescia) e, in data 8 luglio 2009, il Ministro dello sviluppo economico, ai sensi degli articoli 38 e 104 del decreto legislativo n. 270 del 1999 (cosiddetta «Prodi-bis»), nominava l'avvocato Marco Cappelletto commissario straordinario nella procedura di amministrazione straordinaria.
  Per completezza sul punto, va osservato che, in precedenza, nell'anno 2006, i terreni e i fabbricati di Torviscosa e di Brescia, adibiti a sede dei complessi industriali, con una operazione di dubbia legittimità, erano stati «separati» dall'azienda produttiva e attribuiti alla Caffaro Srl in liquidazione.
  Pertanto, il tribunale di Udine, con la successiva sentenza n. 72/2009 del 9-22 luglio 2009, su richiesta del commissario straordinario, estendeva la dichiarazione di insolvenza alla Caffaro Srl in liquidazione, in considerazione delle seguenti circostanze: 1) dall'organigramma del gruppo, allegato alla relazione del commissario giudiziario della Caffaro Chimica Srl, e dalle acquisite Visure Camerali, risultava che la Caffaro Chimica Srl e la Caffaro Srl appartenevano al medesimo gruppo di società, sottoposte ad una comune direzione ad opera della capogruppo SNIA Spa; 2) in particolare, la Caffaro Chimica Srl risultava essere società partecipata allo 0,05 per cento dalla SNIA Spa e al 99,95 per cento dalla Caffaro Srl, quest'ultima a sua volta interamente controllata da SNIA Spa, socia unica; 3) sussisteva il rischio concreto di dismissione da parte della società degli assets immobiliari, di sua proprietà, con conseguente dispersione del patrimonio sociale (cfr. sentenza allegata alla relazione Cappelletto in doc. 1156/3).
  Successivamente, con sentenza n. 252/10 del 25 marzo 2010-15 aprile 2010, il tribunale di Milano, su richiesta della Caffaro Chimica Srl in liquidazione, in amministrazione straordinaria, estendeva la dichiarazione di stato di insolvenza anche alla SNIA Spa, con sede legale a Milano (doc. 1156/3).
  Infine, con sentenza n. 487/2016 del 9 –13 giugno 2016, lo stesso tribunale dichiarava lo stato di insolvenza della società Immobiliare SNIA in liquidazione (doc. 1370/1).
  Per tutte le procedure anzidette il Ministero dello sviluppo economico nominava l'avvocato Marco Cappelletto commissario straordinario.Pag. 50
  Com’è noto, a differenza delle ordinarie procedure concorsuali, in cui la precipua finalità è quella di tutelare i creditori, la legge «Prodi bis» prevede che il commissario straordinario presenti il piano volto a riottenere l'equilibrio economico dei complessi aziendali, seguendo una doppia alternativa e, cioè, la ristrutturazione dell'azienda in crisi ovvero la cessione al mercato degli stabilimenti, salvaguardando il più possibile i livelli occupazionali delle aziende in crisi.
  Nella specie, il commissario straordinario optava per la cessione dei complessi aziendali – di cui si dirà nel paragrafo 2.6.2 – considerato che, al momento del suo insediamento gli stabilimenti del sito chimico industriale di Torviscosa avevano in organico circa 250 persone, mentre erano effettivamente impiegate circa 100 persone.
  Tuttavia, come si è sopra osservato, la peculiarità del sito industriale Caffaro era il problema dell'inquinamento ambientale, conseguente all'esercizio dell'attività industriale nei decenni precedenti, talché il contemperamento tra le finalità di salvaguardia dell'occupazione, tramite la cessione dell'area industriale onde consentirne la ristrutturazione, e quelle di risanamento ambientale, richiedeva una valutazione complessiva da effettuare in collaborazione con il commissario delegato Menchini e il Ministero dell'ambiente.
  Oltretutto, le iniziative assunte dalla procedura di amministrazione straordinaria, cui spetta in ultima istanza la messa in sicurezza e bonifica dell'area occupata dal sito industriale, spesso non erano allineate con il progetto di bonifica deliberato dal commissario delegato.
  Tale progetto di bonifica, redatto dalla Sogesid Spa, società in house del Ministero dell'ambiente, prevedeva la realizzazione di opere di marginamento fisico integrale dell'area, con un costo stimato di euro 230.000.000, interamente a carico della procedura di amministrazione straordinaria ma, nonostante tali costi molto elevati e la sua problematica fattibilità, veniva giudicato approvabile con prescrizioni dalla conferenza dei servizi decisoria del 23 marzo 2010 e autorizzato in via provvisoria dal Ministero dell'ambiente, in data 9 novembre 2010.
  Invero, il progetto prevedeva la realizzazione di opere di marginamento fisico integrale dell'area: una soluzione tecnicamente inattuabile ed economicamente insostenibile sia nella fase di realizzazione dell'opera, sia nella successiva gestione, poiché presupponeva il pompaggio e il trattamento delle acque a tempo indefinito.
  Come risulta dall'informazione di garanzia della procura della Repubblica presso il tribunale di Roma (doc. 630/2), emessa nell'ambito del procedimento penale n. 35828/2012 r.g. mod. 21, di cui si parlerà nel paragrafo n. 8 di questa relazione, si trattava di un modello progettuale che Sogesid Spa – la quale, nella veste di società privata, seppure a capitale esclusivamente pubblico (rectius: Ministero dell'ambiente), assumeva personale, che poi collocava negli uffici del Ministero stesso – proponeva sistematicamente sul territorio nazionale dietro corresponsione del prezzo pattuito per studi e progetti, senza che nemmeno uno di questi fosse mai stato realizzato.
  La previsione di tale tipologia di intervento, i cui costi insostenibili erano evidenti fin dall'origine, impedivano all'amministrazione straordinaria Pag. 51Caffaro di conformarsi a simili prescrizioni, costringendola a resistervi.
  In effetti, il Commissario della procedura di amministrazione straordinaria riteneva il progetto anzidetto sovradimensionato e in contrasto con le esigenze di sopravvivenza economica dell'azienda e contrapponeva al progetto redatto dalla Sogesid il progetto di bonifica dell'area, redatto dalla Environ Italy Srl, società da lui incaricata, che aveva predisposto un progetto operativo di bonifica dell'area dello stabilimento Caffaro, con l'indicazione degli interventi da eseguire.
  I costi di ciascun intervento venivano dettagliatamente esposti e comportavano in totale una previsione di spesa complessiva, pari a euro 31,85 milioni di euro, secondo lo schema che segue, ben lontana dunque dalla previsione di spesa del progetto Sogesid (cfr. doc. 1156/5, pag. 12).

  Dal prospetto sopra riportato emerge un costo per gli interventi da eseguire nell'area dello stabilimento Caffaro di Torviscosa, concernenti il suolo e la falda, per l'importo complessivo di euro 29.770.000, che è di molto inferiore al costo stimato dalla Sogesid di euro 149.000.000, quale riportato nella relazione ISPRA del 2009 (cfr. doc. 1576/2, pagina 15).
  Vengono, inoltre, indicate ulteriori somme per l'importo complessivo di euro 2.080.000, così suddivise: euro 1,10 milioni, per la gestione dei sedimenti dei canali, con interventi sui sedimenti nei canali Banduzzi, Banduzzi Nord, Darsena e canale navigabile (MNR, capping) nonché euro 0,98 milioni per la sistemazione delle casse di colmata, con l'allontanamento dell'acqua libera, la copertura superficiale e il monitoraggio dell'acqua di falda.
  La contrapposizione tra i due progetti anzidetti dava adito a ricorsi giudiziari, promossi dal Commissario della procedura di amministrazione straordinaria dinanzi al TAR Friuli Venezia Giulia (sentenza n. 90/2008) e al TAR Lazio (sentenza n. 4859/2013).
  Entrambe le decisioni anzidette sono state favorevoli alla procedura commissariale.Pag. 52
  In particolare, la sentenza del TAR Lazio, passata in giudicato, affermava che il progetto del commissario delegato era stato superato dal progetto di messa in sicurezza, bonifica e recupero ambientale dell'amministrazione straordinaria (come sancito anche dalle conferenze di servizi decisorie del 18 febbraio 2013 e del 4 giugno 2014), rilevando in particolare che «le prescrizioni contenute nei progetti del commissario delegato (il commissario delegato per l'emergenza socio – economico ambientale determinatasi nella laguna di Marano Lagunare e Grado, n.d.r.) e negli atti e provvedimenti oggetto di impugnazione non si sono dimostrate aderenti alla reale situazione dei luoghi e, dunque, inidonee a gestire l'emergenza riscontrata nella laguna di Grado e Marano ed a garantire la risoluzione delle problematiche sottostanti» (doc. 1156/2).
  Nel mese di gennaio 2011, il commissario straordinario presentava il progetto operativo di messa in sicurezza operativa e bonifica dello stabilimento e delle aree limitrofe, predisposto dalla Environ, agli enti competenti, congiuntamente all'analisi di rischio sito-specifica, come previsto dall'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni.
  Il progetto veniva successivamente integrato nel dicembre 2012 e nel mese di aprile 2014.
  Quindi, in data 4 giugno 2014, la conferenza di servizio istruttoria riunitasi presso il Ministero dell'ambiente esprimeva parere favorevole alle proposte di intervento classificandolo approvabile, una volta acquisite le autorizzazioni ambientali necessarie (giudizio di compatibilità ambientale e autorizzazione paesaggistica) di competenza delle autorità locali.
  Il progetto comprendeva:
   1. la bonifica dell'area arginale della macroarea 7;
   2. la chiusura della discarica La Valletta;
   3. interventi di bonifica di varia natura nel sito, che comportavano la realizzazione di una discarica interna dedicata allo smaltimento dei rifiuti generati dalle attività stesse.

  In tale contesto, con ordinanza del Presidente del Consiglio n. 3920 del 28 gennaio 2011, veniva espressamente disposto che il commissario delegato per l'emergenza dovesse operare nell'ambito dei suoi compiti e finalità istituzionali in stretto raccordo con il commissario straordinario.
  Un raccordo si imponeva per il fatto che oneri imposti con progetti altamente costosi dal commissario delegato erano del tutto incompatibili con le funzioni specifiche del commissario straordinario della procedura di amministrazione straordinaria, il cui compito specifico, ai sensi dell'articolo 1, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (cd. Prodi-bis) – come si è sopra ricordato – attiene alla conservazione del complesso aziendale, mediante la continuazione dell'attività produttiva e alla successiva cessione dell'azienda, poi effettivamente realizzata.
  Inoltre, fatto assolutamente non secondario era che il commissario straordinario disponeva solo della somma di appena 11 milioni di euro per mandare avanti il tutto.Pag. 53
  Una somma chiaramente del tutto insufficiente per realizzare gli interventi patrocinati dal commissario delegato per l'emergenza della laguna di Grado e Marano.
  Comunque, nel 2012, il progetto Sogesid di 230 milioni di euro veniva annullato e l'amministrazione straordinaria Caffaro proponeva in alternativa un progetto redatto da Environ Italy (cfr. relazione della dottoressa Del Tedesco 9 maggio 2016 in doc. 1206/2).
  In tale contesto, la stessa gestione commissariale di emergenza e, financo, i presupposti legittimanti la sua stessa istituzione, venivano sottoposti a critiche e contestazioni, soprattutto, a seguito di una indagine avviata nel 2012 dalla procura della Repubblica in Udine, successivamente, trasferita per competenza alla procura della Repubblica in Roma, di cui si parlerà diffusamente nel paragrafo 8 di questa relazione.
  Gli inquirenti del capoluogo friulano, con il supporto investigativo del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Udine, hanno contestato a 14 persone, tra politici, tecnici e imprenditori, l'ipotesi di peculato e truffa ai danni dello Stato, per aver dissipato risorse pubbliche, finalizzate alla bonifica dei siti asseritamente inquinati da mercurio, per finalità diverse e contrarie al risanamento ambientale.
  In particolare, veniva messa in discussione la modalità con cui era stata «creata» una emergenza ambientale di tale estensione, senza il necessario supporto tecnico degli organismi pubblici deputati ad accertare l'effettiva sussistenza ed origine (antropica o naturale) delle sostanze pericolose e tossiche nell'ampia area del SIN della laguna di Grado e Marano.
  A tale riguardo, veniva constatato che la prima perimetrazione dell'area inquinata era avvenuta solo nel febbraio 2003, quindi, successivamente sia all'istituzione del SIN, sia alla costituzione della struttura commissariale d'emergenza ed era priva di caratterizzazione ambientale, la quale veniva effettuata con le risorse destinate alla bonifica da ditte private, principali beneficiarie di detti stanziamenti.
  In sostanza, dopo dieci anni di gestione dell'emergenza, i cospicui fondi affidati al commissario delegato (euro 93.543.582,33, di cui più della metà spesi) erano stati impiegati per carotaggi, dragaggi, per far costruire una cassa di colmata, per consulenze e progetti e per remunerare i membri della struttura, ma praticamente nulla era stato fatto per l'effettivo risanamento ambientale, la cui necessità – alla stregua degli accertamenti tecnici successivamente validati – rimaneva fondamentalmente confinata all'area del sito industriale Caffaro e alla ristretta area di confluenza dei fiumi Aussa e Corno.
  Anche a causa dell'eco mediatica delle indagini giudiziarie trasferite, per competenza territoriale, alla procura della Repubblica in Roma, in data 6 aprile 2012, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 60024, veniva revocato lo stato di emergenza nel territorio della regione Friuli Venezia Giulia, in ordine alla situazione socio-economico ambientale determinatasi nella laguna di Grado e Marano.
  Quindi, la giunta regionale del Friuli Venezia Giulia, con deliberazione in data 11 ottobre 2012, n. 1737, approvava la relazione concernente la riperimetrazione (rectius, deperimetrazione) del sito di bonifica di interesse nazionale laguna di Grado e Marano, sulla base Pag. 54dei presupposti tecnici dettati dall'ARPA, a seguito del completamento del piano di caratterizzazione del SIN, e chiedeva al Ministero dell'ambiente di procedere alla deperimetrazione del sito medesimo, ai sensi dell'articolo 36-bis, comma 3, della legge n. 134 del 2012.
  Infine, con decreto ministeriale n. 222/M del 12 dicembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 3 gennaio 2013, veniva definita la riperimetrazione del SIN Laguna di Grado e Marano.
  Il SIN, come riperimetrato, esclude dai suoi ambiti le aree agricole, l'intera laguna di Marano e Grado, nonché i fiumi Aussa, Corno e Zellina e comprende le sole aree a terra di proprietà della Caffaro in amministrazione straordinaria, pari a circa 210 ettari, interamente comprese nel territorio del comune di Torviscosa (UD).
  A seguito della deperimetrazione, sono rimaste all'interno dei confini del SIN le seguenti aree:
   1. la zona dello stabilimento e delle pertinenze della Caffaro di Torviscosa, inclusi i siti interni allo stabilimento, di proprietà delle Aziende SPIN – gruppo Bracco e Lavanderia Adriatica;
   2. l'area situata alla confluenza tra l'Aussa e il Corno, occupata per intero dalla discarica Valletta, di proprietà della Caffaro;
   3. i canali Banduzzi e Banduzzi nord.

  Viceversa, il nuovo perimetro non comprende la macroarea 7 interna allo stabilimento Caffaro, restituita agli usi legittimi dalla conferenza di servizi decisoria del 13 settembre 2011.

2.1.2 Le ragioni della riperimetrazione/deperimetrazione del SIN

  Il direttore dell'ARPA Friuli Venezia Giulia, Luca Marchesi, nel corso dell'audizione del 27 giugno 2016, ha riferito che la riperimetrazione del SIN era stata proposta dalla regione Friuli Venezia Giulia, anche sulla base di un'analisi dell'agenzia sugli esiti del piano di caratterizzazione del sito e, in particolare, della caratterizzazione della laguna di Grado e Marano Lagunare, partendo da una considerazione principale e, cioè, che la presenza di mercurio nella laguna di Grado e Marano era da ricondursi, per la gran parte delle aree, all'attività di una miniera storica collocata in Slovenia, nella località di Idria, che fin dall'età romana estraeva mercurio da quel sito.
  La lavorazione, fin dall'età storica, prevedeva il deposito di scorie di mercurio sulle rive del fiume Isonzo, che scorre per due terzi del suo corso in territorio sloveno e per un terzo in quello italiano. Nel tempo, le piene dell'Isonzo avevano portato questo mercurio nel territorio dell'Isontino e, quindi, nell'Alto Adriatico fino a raggiungere la laguna.
  Pertanto, la diffusione del mercurio nei suoli del Basso Isontino e nella laguna di Grado e Marano era di origine antropica, ma storica, in quanto risaliva a un paio di millenni fa.
  Il mercurio di cui si parla si chiama «cinabro», una forma non biodisponibile, che non passa nella catena alimentare.Pag. 55
  Diverso è invece il grave inquinamento di mercurio dovuto alla produzione chimica che era svolta in quell'insediamento dalla SNIA Viscosa e, successivamente, dalla Caffaro Industrie.
  Queste acque di processo venivano sversate nel canale Banduzzi nord, che recapita nel Banduzzi e poi nell'Aussa e, alla fine, in laguna. Si è verificata, quindi, una presenza di mercurio, che, invece, in questo caso è un mercurio pericoloso, che può risospendersi in acqua in forma di metilmercurio e, quindi, a tutti gli effetti costituisce un elemento di rischio, che tuttavia – com’è stato possibile appurare in concreto – è rimasto sostanzialmente confinato nei sedimenti del canale Banduzzi nord e Banduzzi, canali tuttora sotto sequestro giudiziario.
  Nello specifico, gli approfondimenti svolti da ARPA hanno consentito di appurare che la «problematica del mercurio» rimane confinata nei suoli dello stabilimento Caffaro e nei sedimenti dei corsi d'acqua prospicienti lo stabilimento industriale.
  Sulla base di tali accertamenti è stato possibile sottrarre al SIN l'estesa area lagunare.
  Per completezza, si riporta di seguito un estratto del documento «Laguna di Marano e Grado, Caratterizzazione ambientale» del settembre 2012, che è stato assunto dalla regione Friuli Venezia Giulia e dal Ministero dell'ambiente, quale presupposto scientifico per la deperimetrazione dell'area lagunare.
  «L'areale marino-costiero del Friuli-Venezia Giulia è interessata da un elevato grado di anomalia per la presenza di Hg a livello dei sedimenti e della colonna d'acqua sia nel Golfo di Trieste che nell'adiacente Laguna di Marano e Grado (RAFVG, 1992; Brambati, 1997). L'origine della contaminazione è duplice essendo causata dagli apporti di materiale terrigeno e di sabbie provenienti dal fiume Isonzo e dal sistema fluviale Aussa-Corno. Per quel che riguarda la laguna di Marano e Grado i sedimenti risultano contaminati soprattutto nella zona più orientale di Grado con valori di Hg attorno ai 10 mg/Kg, circa, un ordine di grandezza più elevati rispetto a quello di Marano (1 mg/Kg). La distribuzione e la speciazione del Hg nei sedimenti lagunari è stata oggetto di uno studio accurato condotto da Piani et al. (2005). I risultati della ricerca mostrano che il cinabro (HgS), caratterizzato da una solubilità molto bassa (Kps = 10-36,8, Ravichandran et al., 1998) e, quindi, refrattario a fenomeni di rimobilizzazione dalla fase solida, scarsamente solubile, domina il settore centrale della laguna; alla foce del fiume Aussa, al contrario, il 98 per cento del Hg totale è costituito da forme non cinabrifere ed è associato a materiale ricco in sostanza organica. È quindi ipotizzabile che il Hg sia più facilmente rimobilizzabile in prossimità di queste zone (foce fiumi Zellina ed Aussa), ma non altrettanto facilmente nel resto dell'ecosistema..... Riuscire a mantenere il sedimento all'interno della laguna, evitando il trasporto dei sedimenti in altri siti o in casse di colmata, risulta essere, allo stesso modo, sia vantaggioso dal punto di vista economico, sia evita il depauperamento del sedimento, superando il concetto che negli ultimi anni ha trattato il sedimento come un rifiuto e non come risorsa.... i sedimenti lagunari risultanti dalle attività di dragaggio dovrebbero essere impiegati nell'ambito di Pag. 56progetti di recupero degli stessi per l'effettuazione di ripristino di barene, piane di marea erose, o altro senza arrecare peggioramento.»
  Il sito come riperimetrato oggi include le cosiddette macroaree 15 e 16, che sono rispettivamente quella di Torviscosa, dove insisteva lo stabilimento chimico della Caffaro, e una discarica di servizio della Caffaro, che si chiama Valletta, collocata alla confluenza del fiume Ausa e del fiume Corno.
  Attualmente il procedimento di bonifica, gestito dal Ministero dell'ambiente in quanto interessa un sito d'interesse nazionale, riguarda queste due aree. È un procedimento di bonifica su cui è stata conclusa la caratterizzazione.

2.2 Principali criticità ambientali

  I principali fenomeni di inquinamento nel SIN sono causati dalla presenza di discariche non controllate di rifiuti industriali (peci tolueniche e benzoiche, fanghi mercuriali, ceneri di caldaia, ceneri di pirite, etc.), all'interno e all'esterno dello stabilimento già Caffaro in amministrazione straordinaria.
  Le indagini di caratterizzazione eseguite hanno mostrato il seguente stato di contaminazione delle matrici ambientali:
   suolo/sottosuolo: superamenti dei limiti previsti dalla vigente normativa per diversi parametri, tra cui metalli, idrocarburi, BTEX, IPA, diossine e furani, PCB, ammine aromatiche;
   acque di falda: superamenti dei limiti previsti dalla vigente normativa per diversi parametri, tra cui metalli, idrocarburi, BTEX, IPA, alifatici clorurati cancerogeni e non cancerogeni, alifatici alogenati cancerogeni, ammine aromatiche;
   sedimenti: diffusi superamenti dei limiti previsti dalla vigente normativa per i metalli pesanti (principalmente mercurio) e idrocarburi pesanti, con concentrazioni decrescenti a partire dallo stabilimento Caffaro (asta fluviale del Canale Banduzzi) verso le aree distali (confluenza Ausa-Corno). I fenomeni di inquinamento sono correlati agli scarichi delle attività industriali.

2.3. La situazione attuale e gli interventi di bonifica

  Revocata la dichiarazione di stato di emergenza nel territorio della regione Friuli Venezia Giulia in ordine alla situazione socio-economico ambientale determinatasi nella laguna di Grado e Marano, nel corso del 2012, veniva completato il piano di caratterizzazione, assieme alla definizione dello stato di avanzamento degli interventi di bonifica, i cui risultati avevano dato origine alla proposta, da parte della regione Friuli Venezia Giulia, di nuova perimetrazione del SIN, come sopra ricordato.
  Il piano di caratterizzazione generale del SIN per la parte in terraferma, redatto dalla regione Friuli Venezia Giulia, con l'ausilio tecnico di ARPA, divideva tutto il sito (nella originaria perimetrazione) Pag. 57in tre ambiti territoriali, suddivisi a loro volta in complessive 19 macroaree.
  Nelle relazioni del prefetto di Udine del 22 giugno 2016 (doc. 1658/3) e del Ministero dell'ambiente del mese di dicembre 2016 (doc. 1657/2) si legge che le maggiori criticità si collocano nelle macroaree 15 e 16, entrambe appartenenti a Caffaro, a causa di pesanti e diffuse contaminazioni di svariate tipologie di terreni, della presenza di rifiuti anche pericolosi a contatto con il suolo, della compromissione delle acque di falda (in particolare per la presenza di elevate concentrazioni di composti aromatici, metalli e alitatici clorurati), della gravissima contaminazione dei sedimenti del canale Banduzzi da mercurio, diossine, metalli, IPA (idrocarburi policiclici aromatici).
  Scendendo in dettaglio, la macroarea 15 – situata alla confluenza tra i fiumi Aussa e Corno – è occupata per intero dalla discarica «Valletta», di proprietà della Caffaro. Dopo la sua caratterizzazione, è stata oggetto di bonifica nell'ambito del progetto operativo presentato dal Commissario della procedura di amministrazione straordinaria.
  Le aree comprese nella macroarea 16, dove si colloca lo stabilimento industriale, anch'esse di competenza della Caffaro, sono state sottoposte a progetto di bonifica approvato dal Ministero dell'ambiente. Dalla bonifica è stata esclusa, e liberata agli usi, la zona posta a nord-est dello stabilimento, a condizione che venga bonificata la ristretta area a ridosso del canale Banduzzi.
  In particolare, la relazione dell'ARPA Friuli Venezia Giulia del 23 gennaio 2017 (doc. 1702/1), nell'ambito dell'area complessiva occupata dallo stabilimento industriale della Caffaro, pone in evidenza quelle che presentano situazioni di maggiore criticità:
   area posta nella parte sud-occidentale del sito dove sono presenti alcune zone interessate dal deposito di prodotti o scarti di lavorazione che hanno determinato la contaminazione dei suoli su cui sono depositati e delle acque sotterranee. Si tratta delle peci tolueniche derivanti dalla produzione del caprolattame;
   area dove sono state depositate le ceneri derivanti dall'arrostimento della pirite che hanno causato la contaminazione del suolo in particolare da arsenico e metalli pesanti;
   area dove sono state stoccate le peci benzoiche che hanno determinato contaminazione da toluene, cobalto, idrocarburi e IPA;
   area corrispondente al pipe rack con contaminazione da mercurio e altri metalli, idrocarburi, PCB e diossine;
   area delle zone destinate a discariche interne caratterizzate dalla contaminazione da mercurio, metalli pesanti, idrocarburi, diossine, PCB, ecc. A loro volta, le indagini di caratterizzazione hanno mostrato uno stato di contaminazione delle matrici ambientali nei seguenti termini:
    il suolo/sottosuolo presentano: superamenti dei limiti previsti dalla normativa per diversi parametri, tra cui metalli, idrocarburi, BTEX, IPA, diossine e furani, PCB, ammine aromatiche;Pag. 58
    l'acqua di falda presenta: superamenti dei limiti per diversi parametri tra cui metalli, idrocarburi, BTEX, IPA, alifatici clorurati cancerogeni e non cancerogeni, alifatici alogenati cancerogeni, ammine aromatiche;
    nei sedimenti dei canali Banduzzi nord e Banduzzi vi è la presenza di metalli e idrocarburi pesanti.

  Per tutte le altre aree in bonifica, incluse nell'originario SIN, di dimensioni minori e dove la diffusione delle contaminazioni è più circoscritta, la regione Friuli Venezia Giulia ha proposto una gestione diretta, escludendole dalla competenza ministeriale. Stessa proposta di esclusione dal SIN è stata avanzata con riferimento allo specchio di laguna e ai fiumi Aussa, Corno e Zellina.
  Soluzioni divergenti da quelle sino a quel momento avanzate, sono proposte infine per i canali Banduzzi e Banduzzi nord.
  Nella mappa seguente, si rappresenta graficamente la proposta di suddivisione delle competenze avanzata dalla regione Friuli Venezia Giulia.

  Come si è detto, a seguito dell'approvazione, con decreto del Ministero dell'ambiente del 12 dicembre 2012, della proposta di nuova perimetrazione, il risanamento ambientale del SIN laguna di Grado e Marano, nella sua nuova limitata estensione (aree Caffaro), è stato affidato alla competenza statale, mentre alla competenza della regione Friuli Venezia Giulia sono attribuite le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica della porzione di territorio già compreso nella perimetrazione del SIN, che, a seguito di quel decreto, non è più incluso nei suoi nuovi confini.
  Le novità richiamate hanno indotto il sindaco di Torviscosa a richiedere, nel 2014, la modifica della denominazione del SIN in quella, più aderente alla realtà attuale, di SIN «Caffaro di Torviscosa» e la regione Friuli Venezia Giulia, nel mese di dicembre 2016, ha Pag. 59trasmesso la delibera con la quale si chiede la ridefinizione del perimetro del SIN e la ridenominazione dello stesso in «Caffaro di Torviscosa».
  Nell'effettuare il passaggio di consegne, il Ministero dell'ambiente inviava con nota del 28 gennaio 2013 il documento «Stato dell'iter istruttorio delle aree comprese nella perimetrazione del sito Laguna di Grado e Marano, non più incluse nella nuova perimetrazione di cui al decreto ministeriale n.222/M del 12 dicembre 2012».
  In conclusione, il fatto di aver deperimetrato ha sortito due effetti: il primo, è stato quello di sottrarre una vasta area destinata ad uso agricolo a una logica di contaminazione e il secondo effetto è stato quello di sottrarre al ministero la competenza di gestire questi procedimenti.
  Questo non cambia molto in termini di procedimento, ma cambia molto in termini di peso, di sostegno, di energie e di risorse che servono.
  Su Grado e Marano, il direttore dell'ARPA Friuli Venezia Giulia, nel corso della sua audizione, ha concluso, affermando che la riperimetrazione ha reso il problema molto più affrontabile, sotto il profilo delle dimensioni dell'impegno finanziario necessario, come si vedrà di seguito.

2.3.1 La messa in sicurezza e la bonifica delle aree ricomprese nel SIN, come riperimetrato nel 2012

  Il Ministero predetto, in esito a due conferenze di servizi svoltesi, rispettivamente, in data 18 febbraio 2013 e 4 giugno 2014, esaminava il progetto di messa in sicurezza operativa e, proposto dal commissario della procedura di amministrazione straordinaria, approvandolo con formulazione di una serie di richieste di integrazione e prescrizioni.
  In sintesi, come risulta dalla relazione del prefetto di Udine del 22 giugno 2016 (doc. 1658/3), il progetto prevede i seguenti interventi:
   1. l'adeguamento e potenziamento della barriera idraulica per la messa in sicurezza operativa delle acque sotterranee dello stabilimento e delle discariche interne, già in parte attiva con funzione di messa in sicurezza di emergenza delle acque sotterranee;
   2. la chiusura delle discariche interne denominate A, B, C, D, E ed F, mediante messa in sicurezza operativa: esecuzione del capping (rapida copertura impermeabilizzata dell'area inquinata) e adeguamento barriera idraulica (di cui al punto precedente), con l'ipotesi di adottare la fitodepurazione. Capping e barrieramento idraulico non necessitano di procedura di valutazione d'impatto ambientale, mentre la proposta di parere paesaggistico della regione è favorevole;
   3. interventi su terreni contaminati, mirati su varie situazioni riscontrate nel sito:
    a. coperture con pavimentazione per interrompere percorsi diretti;Pag. 60
    b. bonifica della sorgente residua «vasche peci tolueniche»;
    c. coperture ventilate per trattamento sorgenti con vapori;
   4. la bonifica dell'area arginale della macroarea 7, mediante la rimozione di rifiuti e terreni contaminati;
   5. la sistemazione superficiale delle casse di colmata, mediante riprofilatura e regimazione delle acque meteoriche;
   6. la messa in sicurezza dei sedimenti del canale Banduzzi nord, della darsena e del canale navigabile Banduzzi con capping dei sedimenti maggiormente contaminati (area in cui avveniva lo scarico dei reflui contenenti mercurio);
   7. la realizzazione di una discarica di servizio finalizzata ad accogliere rifiuti non pericolosi e pericolosi provenienti unicamente dalle attività di bonifica del sito. Per tale discarica il Commissario della procedura di amministrazione straordinaria presentava alla regione la documentazione preliminare all'attivazione delle procedure di VIA.

  Nella conferenza di servizi istruttoria, svoltasi il 25 novembre 2015 presso il Ministero dell'ambiente, veniva presentato il seguente stato di attuazione degli interventi previsti in tema di bonifiche (in percentuale rispetto all'estensione del SIN):
   a) per quanto riguarda la perimetrazione della matrice suoli:
    aree per le quali sono stati presentati i risultati della caratterizzazione: 100 per cento;
    aree con progetto di bonifica approvato con decreto: 97 per cento circa;
    aree con procedimento concluso: 3 per cento.
   b) per quanto concerne la perimetrazione della matrice acqua di falda:
    aree per le quali sono stati presentati i risultati della caratterizzazione: 100 per cento;
    aree con progetto di bonifica approvato con decreto: 97 per cento circa;
    aree con procedimento concluso: 3 per cento.

  In data 15 marzo 2016, presso il Ministero dell'ambiente, veniva tenuta una riunione tecnica per l'esame dello «Stato di attuazione degli interventi posti in essere e da eseguire in tema di misure di prevenzione, messa in sicurezza di emergenza, caratterizzazione, bonifica e monitoraggio ambientale all'interno delle aree dello Stabilimento Caffaro di Torviscosa», da realizzarsi a cura del commissario della procedura di amministrazione straordinaria.
  Nel corso di tale riunione, veniva dato atto della comunicazione inviata, in data 4 marzo 2016, dal commissario della procedura di amministrazione straordinaria, in ordine all'incapienza della stessa Pag. 61procedura in ordine a richieste di ulteriori spese da sostenere per il mantenimento della messa in sicurezza dell'area, e si rappresentava la possibilità di ulteriori riduzioni delle attività eseguite e da eseguire da parte della medesima e si chiedeva comunque di «non assumere indirizzi e/o decisioni che rivestono il carattere della irreversibilità e/o della definitività a carico della procedura».
  Venivano, comunque, individuati i seguenti interventi da realizzare nell'area dello stabilimento di Torviscosa, secondo un criterio di priorità determinato dalle criticità emerse:

  A. deposito peci benzoiche.
  Si tratta di un intervento inserito nell'ambito di un accordo di programma «per la realizzazione degli interventi di rimozione e smaltimento dei rifiuti pericolosi costituiti da peci benzoiche presenti nell'area di discarica area ovest dello stabilimento Caffaro», sottoscritto il 16-17 luglio 2014 tra il Ministero dell'ambiente e la regione Friuli Venezia Giulia.
  Detto intervento veniva affidato dalla regione, in sostituzione e in danno del responsabile, in delegazione amministrativa al Consorzio di bonifica bassa friulana (ora Consorzio di bonifica pianura friulana) per l'esecuzione delle operazioni di rimozione delle peci benzoiche;

  B. analisi di rischio area discarica «La Valletta».
  La conferenza di servizi decisoria del 18 febbraio 2013 deliberava di chiedere alla provincia di Udine di procedere alla formale chiusura dell'area di discarica, con l'individuazione delle necessarie misure ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 2003, al fine di superare la procedura di infrazione, avviata dalla Commissione europea per violazione della direttiva 1999/31/CE (procedura d'infrazione 2011/2215) e di chiedere al commissario della procedura di amministrazione straordinaria di adottare le necessarie misure di prevenzione, fino al compimento dei necessari interventi di chiusura della discarica e conseguente ripristino ambientale.
  Con nota del 14 agosto 2015, l'ARPA Friuli Venezia Giulia comunicava di concordare con la proposta di intervento per l'area della discarica «Valletta», in quanto ritenuta meno impattante, rispetto alla realizzazione del capping, per l'ecosistema instauratosi nel sito, vista anche l'assenza di contaminazione nelle acque sotterranee. Tuttavia, al fine di verificare eventuali cessioni di contaminanti da parte dei rifiuti abbancati, chiedeva che nel piano di monitoraggio fosse previsto il campionamento, oltre che delle acque sotterranee, anche delle acque superficiali dello specchio d'acqua presente nel sito.
  In data 13 giugno 2014, l'unione dei comuni centro economico della bassa friulana (istituita tra i comuni di Torviscosa e San Giorgio di Nogaro e sciolta il 31 dicembre 2014) rilasciava l'autorizzazione paesaggistica per gli interventi di chiusura della discarica.
  Ad oggi, si è concluso il procedimento amministrativo di VIA e valutazione d'incidenza; il progetto di chiusura della discarica è assoggettato a tale procedimento amministrativo in ragione anche della mancanza di una pronuncia definitiva in merito all'analisi di rischio presentata dalla procedura di amministrazione straordinaria;

Pag. 62

  C. misure di prevenzione sulle aree delle discariche denominate A, B, C, D, E ed F.
  L'area delle discariche interne si estende su circa 25,5 ettari ed è costituita da 7 discariche (Al, A, B, C, D. E, F), dove sono stati depositati i residui derivanti dalle varie lavorazioni svolte nello stabilimento Caffaro.
  La conferenza di servizi decisoria del 18 febbraio 2013 approvava il progetto di messa in sicurezza operativa di dette discariche, che prevede la realizzazione di un sistema di impermeabilizzazione superficiale (capping), da attuarsi nel pieno rispetto della normativa di settore, abbinato al barrieramento idraulico e al monitoraggio e deliberava inoltre l'espresso divieto di conferire rifiuti di qualsivoglia origine e provenienza sulle predette aree di discarica.
  Come si è accennato, la Commissione europea ha notificato il «parere motivato» emesso nei confronti della Repubblica Italiana (ex articolo 258 TFUE) in merito alla procedura di infrazione 2011/2215, relativa all'adeguamento delle discariche di rifiuti ai dettami della direttiva 1999/31/CE, per la non conformità in tutti i casi in cui non sono stati ultimati i lavori prescritti nel piano di adeguamento ai fini dell'esercizio ovvero non sono stati adottati provvedimenti di chiusura.
  Il procedimento riguarda i siti La Valletta e le discariche ex 2a categoria tipo 2B all'interno dell'area delle discariche interne.
  In data 10 novembre 2014, il Ministero dell'ambiente chiedeva al Commissario della procedura di amministrazione straordinaria (e otteneva con nota del 19 dicembre 2014) di trasmettere lo stralcio del progetto di bonifica relativo agli interventi ritenuti approvabili dalla conferenza di servizi decisoria del 18 febbraio 2013, contenente il computo metrico e il cronoprogramma, ai fini della stesura del decreto finale di approvazione;

  D. misure di prevenzione/messa in sicurezza delle acque di falda.
  Attualmente, nelle aree interne ed esterne allo stabilimento, risultano in funzione due barriere di emungimento, quali misure di prevenzione/messa in sicurezza delle acque di falda, ubicate a valle dell'area «ex chimica organica e deposizione peci». Le barriere sono costituite da cinque pozzi di emungimento, per una portata complessiva di circa 13 l/s, mentre a valle dell'area «discariche interne», le barriere sono costituite da quattro pozzi di emungimento, per una portata complessiva di circa 5 l/s, e da un pozzo di emungimento nell'area «ex caprolattame», con una portata di circa 7 l/s:

  E. analisi di rischio sanitario ambientale sito-specifica e bonifica dei suoli e delle acque di falda mediante realizzazione di coperture, coperture ventilate, interventi di Air/Bio Sparging e Air Sparging/SVE;

  F. Bonifica delle acque di falda, tramite barrieramento idraulico e fitodepurazione;

  G. Messa in sicurezza permanente delle discariche denominate A, B, C, D, E ed F;

Pag. 63

  H. Aree interessate dalla presenza di rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato all'interno dello stabilimento e realizzazione della discarica di servizio;

  I. Area delle casse di colmata contenenti fanghi di dragaggio;

  J. Bonifica dei sedimenti del canale Banduzzi nord, della darsena e del canale navigabile Banduzzi;

  Tutti questi restanti interventi di bonifica/messa in sicurezza di carattere permanente, i cui iter e modalità di realizzazione sono stati definiti negli elaborati presentati dal commissario della procedura di amministrazione straordinaria, saranno oggetto di una prossima valutazione in conferenza di servizi al Ministero dell'ambiente.
  Tuttavia, poiché, come si è detto, il commissario della procedura di amministrazione straordinaria, in data 4 marzo 2016, ha comunicato l'impossibilità di proseguire le attività di sicurezza in emergenza, veniva tenuta, in data 12 aprile 2016, presso il comune di Torviscosa una riunione tecnica, allo scopo di individuare le possibili soluzioni tecniche idonee alla riduzione dei contaminanti e le modalità di reperimento dei fondi necessari.
  Tenuto conto di tale comunicazione, nella relazione del 23 gennaio 2017 (doc. 1702/1) si legge che ARPA Friuli Venezia Giulia ha condotto specifici approfondimenti e si è attivata nei confronti del Ministero dell'ambiente, rappresentando la prioritaria esigenza di intervenire per assicurare il ripristino della piena e completa funzionalità della barriera idraulica, quale azione di messa in sicurezza/misura di prevenzione, al fine di evitare da un lato il rischio di propagazione della contaminazione della falda al di fuori del sito e dall'altro di abbassare il livello piezometrico e di evitare fenomeni di lisciviazione dovuti al contatto diretto delle acque sotterranee con le porzioni di suolo contaminate.
  Pertanto, allo scopo di garantire i duplici effetti sopraesposti, ARPA Friuli Venezia Giulia ha proposto al Ministero dell'ambiente: 1) l'esecuzione di interventi di manutenzione straordinaria del sistema di emungimento; 2) lo spostamento a nord della linea dei quattro pozzi di emungimento, posti a presidio dell'area delle discariche interne già previsto nel progetto operativo di bonifica, ma non realizzato; 3) un intervento manutentivo straordinario sull'impianto di trattamento (TAF) per consentire il rispetto dei limiti di accettabilità allo scarico a prescindere dal regime di portata dei diversi pozzi in emungimento.
  Attualmente, è in fase di definizione un accordo di programma specifico, al fine di garantire il ripristino della piena funzionalità e manutenzione straordinaria della barriera idraulica, secondo le indicazioni formulate da ARPA Friuli Venezia Giulia e fatte proprie dal tavolo tecnico costituito dal Ministero dell'ambiente.
  Allo scopo di realizzare tale finalità, in data del 2 dicembre 2016, la Presidente della regione Friuli Venezia Giulia, il Ministro dell'ambiente, il Capo di gabinetto del Ministero dello sviluppo economico, il sindaco del comune di Torviscosa e il commissario straordinario della Caffaro in amministrazione straordinaria hanno sottoscritto un protocollo d'intesa che prevede uno stanziamento di 40 milioni di euro Pag. 64(di cui 35 milioni da parte ministeriale e 5 milioni dalla regione Friuli Venezia Giulia) per il risanamento ambientale dello stabilimento Caffaro (doc. 1658/5).

2.3.2 La barriera idraulica

  Attualmente nelle aree interne ed esterne allo stabilimento risultano in funzione due barriere di emungimento, ubicate a valle dell'area «ex chimica organica e deposizione peci» (costituita da cinque pozzi di emungimento per una portata complessiva di circa 13 l/s) e a valle dell'area «discariche interne» (costituita da quattro pozzi di emungimento per una portata complessiva di circa 5 l/s), e un pozzo di emungimento nell'area «ex caprolattame» (con portata di circa 7 l/s).
  La conferenza di servizi istruttoria del 4 giugno 2014 ha chiesto, quale ulteriore intervento di prevenzione/messa in sicurezza, il contenimento della propagazione delle acque contaminate soggiacenti le aree «cloro-soda» e «cloroparaffine-zamaro», non intercettate da nessuna delle barriere idrauliche in funzione.
  La vicenda della barriera idraulica è molto interessante perché ha un duplice effetto. Non ha solamente l'effetto di trattenere l'inquinamento per evitare che se ne vada nella falda, ma ha anche quello di tenere bassa la falda, impedendo che salga e vada a muovere i contaminanti che sono trattenuti nel suolo.
  Il responsabile della struttura pressione sull'ambiente dell'ARPA Friuli Venezia Giulia, Franco Sturzi, nel corso dell'audizione del 27 giugno 2016, ha riferito che entrambe le barriere idrauliche confluiscono in un impianto di depurazione, che poi va a scaricare nel sistema di fognatura.
  Ora accade che, ormai da molti anni, l'amministrazione straordinaria della Caffaro non paga il relativo canone alla società pubblica che gestisce l'impianto di depurazione.
  Da tale inadempimento deriva il danno patrimoniale nei confronti della società che gestisce la pubblica fognatura.
  Ciò precisato, va detto che entrambe le barriere sono indispensabili, considerato che in un'area si è in presenza di un inquinamento di tipo organico molto pericoloso (idrocarburi aromatici, policiclici e cose di questo genere), mentre nell'altra area si è in presenza di un inquinamento organico meno pericoloso, però molto pesante, a causa della presenza delle discariche di servizio da decenni.
  In conclusione, vi sono acque contaminate con diverse caratteristiche, che confluiscono al depuratore, sicché è indispensabile mantenere in piena efficienza le due barriere idrauliche.
  Per sopperire alla dichiarata incapienza finanziaria dell'amministrazione straordinaria, è in corso di definizione un apposito accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e la regione Friuli Venezia Giulia.
  A sua volta, anche la dottoressa Viviana Del Tedesco, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Udine, nel corso dell'audizione del 27 giugno 2016, ha sottolineato la problematica degli scarichi della Caffaro.Pag. 65
  Si tratta di acque che, una volta emunte, vengono mandate in depurazione al CAFC, acronimo di Consorzio per l'acquedotto del Friuli centrale – ente pubblico per la depurazione delle acque – con costi elevatissimi, che tuttavia come si è visto non vengono pagati dall'amministrazione straordinaria, per mancanza di fondi.
  Addirittura, secondo un'opinione della stessa società CAFC Spa, che esegue anche le analisi, le acque anzidette potrebbero essere tranquillamente immesse nella rete fognaria senza costo alcuno, dal momento che non sono inquinate.
  Viceversa, inviate al depuratore, tali acque, essendo buone, mettono in crisi il processo di depurazione microbatterico.
  Sussiste un problema di autorizzazione allo scarico delle acque anzidette, che spetta alla Regione.
  In effetti, come sottolinea il presidente della Commissione d'inchiesta, Alessandro Bratti, il problema posto già in evidenza dal direttore dell'ARPA, Luca Marchesi, sta nel fatto che non è la falda ad essere inquinata, bensì i terreni sovrastanti. Di conseguenza, è necessario tenere bassa la falda al fine di evitare che questa entri in contatto con la matrice suolo inquinata.
  Comunque, con il protocollo di intesa del 2 dicembre 2016, anche le problematiche finanziarie sopra rappresentate dovrebbero trovare adeguata soluzione.
  Infine, in data 7 novembre 2016, è stato audito Gianni Menchini, nella qualità di ex commissario delegato al sito di interesse nazionale «Laguna di Grado e Marano», il quale ha sostenuto tesi del tutto contrarie alla deperimetrazione del SIN, a motivo della delle elevate concentrazioni di mercurio (Hg e composti) presenti nei sedimenti lagunari, contestando altresì l'ARPA sulla presenza del cinabro «nella forma stabile e poco disponibile», piuttosto che in quella «meno stabile e più disponibile».
  Infine, il Menchini ha richiamato uno studio epidemiologico di un professore dell'Università di Udine sui rischi per la salute umana, a causa delle elevate concentrazioni medie di mercurio «totale» rilevate nei capelli dei bambini, che avevano consumato pesce pescato in laguna, nonché uno studio di dottorato dell'Università di Trieste degli anni novanta, nel quale si parla della necessità di «avvio del risanamento dei fondali contaminati da mercurio, mediante decorticamento dei fondali».

2.4 Risorse pubbliche stanziate per il SIN

  Il totale delle risorse stanziate sinora per il sito di bonifica di interesse nazionale di Laguna di Grado e Marano ammonta a complessivi euro 46.342.562,95, di cui euro 35.106.974,02 stanziati dal Ministero dell'ambiente (cfr. relazione del Ministero dell'ambiente aggiornata a dicembre 2016 in doc. 1657/2).
  Le risorse stanziate, a valere sui fondi della legge n. 426 del 1998, successivamente, ripartiti con il decreto ministeriale n. 468 del 2001, ammontano a complessivi euro 10.306.974,02, che sono stati interamente trasferiti alla regione Friuli Venezia Giulia/Commissario delegato. La predetta disponibilità finanziaria risulta interamente impegnata Pag. 66e spesa dal commissario delegato (fonte monitoraggio finanziario trasmesso dal commissario delegato medesimo).
  Sono state destinate al SIN ulteriori risorse come di seguito specificato:
   O.P.C.M. n. 3382/2004: euro 4.600.000 (Risorse Ministero dell'ambiente), impegnati e contestualmente trasferiti a favore del commissario delegato con D.D. n. 0945 del 1.12.2004;
   O.P.C.M. n. 3388/2004: euro 4.400.000 (Risorse Ministero dell'ambiente), impegnati a favore del commissario delegato con D.D. n. 1001 del 24.12.2004 e trasferiti con D.D. n. 1026 del 3.01.2005;
   O.P.C.M. n. 3556/2006: euro 5.000.000 (Risorse Ministero dell'ambiente), impegnati a favore del commissario delegato con D.D. n. 3230 del 22.12.2006 e trasferiti con D.D. n. 3388 del 1.03.2007;
   O.P.C.M. n. 3636/2007: euro 10.800.000 (Risorse Ministero dell'ambiente), impegnati a favore del commissario delegato con D.D. n. 4309 del 31.12.2007 e trasferiti con D.D. n. 4384 del 26.02.2008.
   O.P.C.M. n. 3556/2006: euro 9.500.000 (Risorse regionali);
   Delibera CIPE n. 3/06: euro 880.000 (Risorse regionali);
   Legge Regionale n. 3/99: euro 855.588,93 (Risorse regionali).

  In conclusione sul punto, fronte del finanziamento complessivo pari a euro 46.342.562,95, risultano impegnati euro 39.307.157.81 e spesi euro 39.307.157,81.
  Di seguito vengono riepilogati gli accordi di programma sottoscritti per il SIN prima dell'entrata in vigore del decreto del Ministro n. 222/M del 12 dicembre 2012 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 3 gennaio 2013), che ha ridefinito il nuovo sito di bonifica di interesse Nazionale della Laguna di Grado e Marano:
   in data 15 giugno 2003 venne sottoscritto tra il Ministero dell'ambiente, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero delle politiche agricole e forestali e la regione Friuli Venezia Giulia, l'accordo di programma quadro per la tutela delle acque e la gestione integrata delle risorse idriche.

  Quota parte della copertura finanziaria dell'accordo di cui sopra è assicurata dalle risorse assentite con il già citato decreto ministeriale n. 468 del 2001, pari a euro 10.122.555:
   in data 12 maggio 2006 venne sottoscritto tra il Ministero dell'ambiente e la regione Friuli Venezia Giulia, l'accordo di programma integrativo per la tutela delle acque e la gestione integrata delle risorse idriche (articoli 3 e 4);
   in data 25 settembre 2007 venne sottoscritto tra il Ministero dell'ambiente, il Ministero dello sviluppo economico e la regione Friuli Venezia Giulia l'accordo di programma quadro finalizzato al recupero e alla infrastrutturazione di zone industriali di interesse regionali. Il valore complessivo del suddetto accordo ammonta a euro Pag. 675.531.433,93, di cui euro 1.735.588,93 destinati al SIN Laguna di Grado e Marano.

  Successivamente alla riperimetrazione del SIN, nel mese di luglio 2014, è stato sottoscritto tra il Ministero dell'ambiente e la regione Friuli Venezia Giulia l'accordo di programma «Per la realizzazione degli interventi di rimozione e smaltimento dei rifiuti pericolosi costituiti da peci benzoiche presenti nell'area di discarica area ovest dello stabilimento Caffaro localizzato nel sito di interesse nazionale di laguna di Grado e Marano», il cui valore complessivo ammonta a euro 7.035.405,14, quale quota parte delle risorse residue alla chiusura della gestione commissariale, a valere sui finanziamenti stanziati per la bonifica del sito di interesse nazionale di Laguna di Grado e Marano dal Ministero dell'ambiente (cfr. doc. 934/2).
  Infine, a conclusione dell'iter per la realizzazione delle opere di risanamento ambientale dello stabilimento Caffaro, in data 2 dicembre 2016, come si è visto, è stato firmato dalle parti interessate un protocollo di intesa, che prevede uno stanziamento di 40 milioni di euro – di cui 35 milioni da parte ministeriale e 5 milioni dalla regione Friuli Venezia Giulia – per il risanamento ambientale (cfr. doc. 1658/5).

2.5 Stato di avanzamento dei procedimenti di bonifica

  Le aree ricadenti all'interno della perimetrazione del SIN sono state interamente caratterizzate, con validazione di ARPA Friuli Venezia Giulia.
  Nei paragrafi seguenti viene esposta la sintesi dell'iter istruttorio delle singole aree ubicate all'interno del SIN.

2.5.1 Area SPIN Spa – Gruppo Bracco

  L'area, di superficie pari a circa 51.000 metri quadrati, è ubicata all'interno dello stabilimento Caffaro.
  Nell'area è presente un impianto per la produzione di liquidi di contrasto diagnostici che utilizza come materia prima il cloruro di iodio prodotto da Caffaro Chimica Srl.
  La conferenza di servizi decisoria del 18 febbraio 2013 ha restituito alla destinazione d'uso i lotti denominati A1, A2, B, C, D, E ed F e l'area identificata dalla particella 274, foglio 19 del catasto terreni del comune di Torviscosa.
  La conferenza di servizi decisoria del 4 giugno 2014 ha deliberato la conclusione del procedimento per l'ulteriore area relativa alla particella 373 (ex 91), foglio 19 del catasto terreni del comune di Torviscosa. La successiva conferenza di servizi decisoria del 25 novembre 2015 ha deliberato la correzione della particella catastale per la quale nel 2014 era stato concluso il procedimento (da 373 a 377).

Pag. 68

2.5.2 Area Lavanderia Adriatica Srl

  L'area, di superficie pari a circa 12.000 metri quadrati, è ubicata all'interno dello stabilimento Caffaro. Nell'area viene svolta l'attività di lavanderia industriale.
  La conferenza di servizi decisoria del 4 giugno 2014 ha preso atto dei risultati della caratterizzazione, che hanno mostrato per i suoli la conformità ai limiti di colonna B della tabella 1, allegato 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e nelle acque di falda superamenti delle CSC per i solventi clorurati (cloruro di vinile, tetracloroetilene e tricloroetilene) e ha chiesto all'azienda l'elaborazione della stima del rischio sanitario associato al percorso volatilizzazione da falda.
  La conferenza di servizi decisoria del 25 novembre 2015 ha approvato l'analisi di rischio trasmessa dall'azienda a maggio 2015 e ha deliberato la chiusura del procedimento amministrativo per la matrice suoli, chiedendo l'adozione di misure di prevenzione per i superamenti delle CSC per i composti volatili rilevati nelle acque di falda.

2.6 Lo stabilimento Caffaro di Torviscosa

2.6.1 Inquadramento dell'area

  Le aree di proprietà Caffaro situate nel comune di Torviscosa (UD), occupano complessivamente una superficie di 210 ettari, di cui circa 140 ettari riguardano lo stabilimento e circa 70 ettari costituiscono le aree esterne (discarica «Valletta», casse di colmata dei fanghi mercuriali, area a sud delle attuali discariche interne a destinazione d'uso industriale e area agricola a nord delle casse di colmata a destinazione d'uso verde residenziale).
  All'interno dell'area storica del sito industriale operano oggi anche società non appartenenti al gruppo Caffaro: una lavanderia (Lavanderia adriatica) e l'impianto SPIN Bracco per la produzione di liquidi di contrasto diagnostici, che utilizza, come materia prima, il cloruro di iodio prodotto da Caffaro Chimica Srl.

2.6.2 Soggetti coinvolti nell'iter di bonifica/messa in sicurezza

  Come si è rilevato nella parte generale di cui al paragrafo 1.1, il gruppo SNIA comprende tre distinte società: SNIA Spa, Caffaro Srl e Caffaro Chimica Srl. Nel 2006 vi è stato lo scorporo dalla SNIA Spa della Caffaro Srl, alla quale sono stati conferiti sia il ramo d'azienda della produzione chimica, sia tutta la proprietà immobiliare (terreni, immobili etc.).
  Successivamente, è stato effettuato un ulteriore scorporo, per effetto del quale è stata costituita la Caffaro Chimica Srl, che ha acquisito impianti, macchinari e attrezzature, nonché il personale dello stabilimento, lasciando alla Caffaro Srl il patrimonio immobiliare e le attività di bonifica dei siti.Pag. 69
  L'insolvenza di Caffaro Chimica Srl è stata dichiarata dal tribunale di Udine nel 2009 e subito dopo, lo stesso tribunale ha dichiarato l'insolvenza della Caffaro Srl, mentre l'insolvenza della SNIA è stata dichiarata dal tribunale di Milano, città in cui la SNIA ha la propria sede legale.
  In qualità di commissario straordinario del gruppo SNIA – Caffaro in liquidazione è stato nominato l'avv. Marco Cappelletto, secondo la procedura concorsuale regolata dal decreto legislativo n. 270 del 1999.
  Sul punto, occorre ricordare che la «Prodi-bis» prevede che, se nel tempo di legge (12 mesi 3) il programma di cessione non viene realizzato, la procedura automaticamente si trasforma in fallimento.
  In effetti, l'avvocato Marco Cappelletto – adempiendo puntualmente all'incarico affidatogli – nella sua qualità di Commissario delle procedure di amministrazione straordinaria Caffaro Chimica srl in liquidazione e Caffaro srl in liquidazione, con distinti contratti, stipulati entrambi in data 24 febbraio 2011 (repertorio n. 1413 e repertorio n. 1414), ha ceduto il ramo d'azienda di produzione e commercializzazione di prodotti chimici di Torviscosa (doc. 2186/3), nonché la proprietà superficiaria di manufatti, impianti e costruzioni industriali per la durata di venti anni (doc. 2186/4), rispettivamente, al prezzo di euro 640.000,00 (seicentoquarantamila) e di euro 360.000,00 (trecentosessantamila) alla società «NEW CO 5 S.R.L.» – ora Caffaro Industrie spa – con sede in Bologna, rappresentata da Bertolini Francesco, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione.
  Inoltre, al contratto di compravendita del complesso aziendale di Torviscosa e alla qualità di superficiario dell'acquirente del complesso aziendale delle aree destinate alle attività industriali, è seguita la locazione dell'area ex cloro-soda (doc. 2186/6).
  All'epoca dell'acquisto del ramo d'azienda, la società acquirente faceva parte del gruppo Caffaro Finanziaria (ex SCEF Finanziaria srl), in cui erano presenti lo stesso Francesco Bertolini, Antonio Fedeli e Donato Todisco.
  Successivamente, il gruppo anzidetto è stato sciolto e oggi la Caffaro Industrie spa, controllata solo da Francesco Bertolini, sta proseguendo nell'attività di messa in sicurezza del sito industriale.

2.6.3 Attività produttive pregresse e attuali

  Il complesso degli stabilimenti di Torviscosa è nato ad opera della SNIA Viscosa («Società navigazione industriale applicazione viscosa») per la produzione di paste chimiche e semichimiche da legno (cellulosa e semichimica), da utilizzare come materia prima nella produzione di fibre viscosa (rayon e fiocco).
  Tra il 1949 e il 1950 sono stati realizzati l'impianto cloro-soda e l'impianto per la combustione della pirite (sostituita poi dallo zolfo). Successivamente, tra il 1962 e il 1964, sono entrati in esercizio gli impianti per la produzione del caprolattame da toluolo (materia prima per la produzione del nylon), della pasta semichimica, nonché la nuova centrale termoelettrica. Alcune aree a sud del canale Pag. 70navigabile sono state destinate allo stoccaggio delle ceneri provenienti dalla nuova centrale.
  La configurazione impiantistica è rimasta inalterata fino al 1978, quando sono state avviate le unità produttive della chimica fine. È di questo periodo la richiesta di autorizzazione per l'accumulo di scarti di produzione del caprolattame (peci tolueniche) in alcune vaschette poste lungo il confine sud dello stabilimento.
  Nell'anno 1992 sono cessate le produzioni di paste chimiche e semi-chimiche da legno ed è stato avviato l'impianto per la produzione di cloroparaffine. Con la chiusura di tale impianto, avvenuta nel 1999, sono cessate le produzioni «storiche» legate alle fibre e ai prodotti intermedi per fibre.
  L'impianto cloro-soda non è più in esercizio dal mese di settembre 2008 a causa del sequestro preventivo della sala celle ad amalgama, per il quale è in corso di predisposizione un piano di smantellamento.
  Nella relazione del Ministero dell'ambiente aggiornata al mese di dicembre 2016 (di cui al doc. 1657/2), si legge che, entro il 2016, è prevista l'entrata in esercizio di un muovo impianto cloro-soda, che impiega la tecnologia delle celle a membrana ove la separazione tra l'anodo e il catodo della cella elettrolitica viene assicurata da una membrana a scambio ionico. Tale tecnologia è riconosciuta dalla Commissione europea IPPC come la migliore disponibile sul mercato (Best Available Techniques, BAT come definita dal Reference Document on Best Available Techniques in the Chlor-Alkali ManufacturingIndustry, Dicembre 2001), in quanto molto più efficiente sotto il punto di vista energetico e a ridotto potenziale di impatto ambientale.
  Il nuovo impianto cloro-soda a celle a membrana è destinato a sopperire alle esigenze di approvvigionamento di cloro della società Caffaro Industrie Spa, coinsediata nel distretto industriale, i cui impianti produttivi impiegano il cloro quale principale materia prima.
  Allo stato, la società acquirente, Caffaro Industrie Spa, sta proseguendo l'attività di produzione del cloro-soda, con l'ammodernamento degli impianti e il mantenimento della forza lavoro nella misura del 73 per cento, con la possibilità di una ulteriore implementazione di personale a seguito di futuri investimenti.
  Da ultimo, a riprova della bontà dell'operazione commerciale realizzata dal Commissario straordinario, va rimarcato il fatto che, di recente, in data 14 luglio 2017, si è tenuta la cerimonia inaugurale del nuovo impianto di cloro soda «a membrane», di cui si è detto, costruito dalla società Halo Industries spa, in esecuzione di un obbligo contratto con la procedura e che dà lavoro a circa 50 persone.
  Con quest'ultima operazione, il sito di Torviscosa è stato riconsegnato a un futuro industriale e occupazionale.
  La produzione attuale nel distretto industriale di Torviscosa comprende:
   area chimica fine: produzione di chetoni, diversi tipi di esteri e i carbonati organici o policarbonati;
   area clorurati organici: produzione di cloroparaffine normali, utilizzate per la produzione di materie plastiche; cloroparaffine stabilizzate impiegate nel settore del «metal working»; cloroparaffine solfanate, utilizzate nel mercato della concia.Pag. 71
   area custom synthesis: lavorazione di prodotti chimici conto terzi.

  A seguito di accordi con il gruppo Bracco e la società SAPIO sono stati avviati rispettivamente un impianto di produzione cloruro di iodio e un impianto per l'imbombolamento dell'idrogeno.

2.6.4 Stato di avanzamento dell'iter di bonifica

  Si sintetizza di seguito l'iter istruttorio per le aree dello stabilimento.
  Dal 2003 l'Azienda Caffaro Srl ha trasmesso una serie di elaborati progettuali di messa in sicurezza e bonifica delle aree di competenza, nessuno dei quali è stato ritenuto approvabile dalle conferenza di servizi.
  Nel 2009, il commissario delegato per l'emergenza socio-economico-ambientale determinatasi nella laguna di Marano lagunare e Grado (di seguito commissario delegato) ha trasmesso il «Progetto di messa in sicurezza e bonifica dell'area dello Stabilimento Caffaro e aree limitrofe». Il progetto è stato ritenuto approvabile con prescrizioni dalla conferenza dei servizi decisoria del 23 marzo 2010; l'avvio dei lavori è stato autorizzato, in via provvisoria, con decreto ministeriale d'urgenza n. 853 del 9 novembre 2010.
  Il commissario straordinario del gruppo SNIA-Caffaro in amministrazione straordinaria (di seguito procedura) ha trasmesso nel 2010 il «Progetto di messa in sicurezza e bonifica» e, nel 2011, un elaborato sostitutivo, il «Progetto operativo di messa in sicurezza e bonifica dello stabilimento», con successivi documenti integrativi del 2012 in riscontro alle deliberazioni della conferenza di servizi decisoria del 26 luglio 2011.
  La conferenza dei servizi decisoria del 18 febbraio 2013 ha preso atto del superamento del «Progetto di messa in sicurezza e bonifica dell'area dello stabilimento Caffaro e aree limitrofe» presentato dal commissario delegato e ha deliberato di ritenere approvabili i seguenti interventi inclusi negli elaborati progettuali trasmessi dalla procedura:
   messa in sicurezza operativa delle discariche interne;
   adeguamento del sistema idraulico;
   rimozione e smaltimento dei rifiuti depositati nell'argine in macroarea 7.

  La medesima conferenza dei servizi decisoria ha deliberato di chiedere alla provincia di Udine di procedere alla formale chiusura della discarica autorizzata denominata «Valletta».
  Con sentenza n. 4859/13, il TAR Lazio si è espresso sul ricorso proposto avverso il decreto d'urgenza prot. 853/TRI/DI del 9 novembre 2010, dichiarandolo «improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse», anche alla luce di quanto deliberato dalla conferenza dei servizi decisoria del 18 febbraio 2013 in merito al progetto presentato dal commissario delegato.Pag. 72
  Nel mese di aprile 2014, la procedura di amministrazione straordinaria ha trasmesso l'elaborato «Adeguamento del progetto operativo di bonifica» contenente:
   l'integrazione/aggiornamento dell'analisi di rischio;
   la proposta di bonifica dei canali lagunari (Banduzzi, Banduzzi nord (denominato Banduzzino) e darsena interna);
   la progettazione delle opere di messa in sicurezza operativa delle casse di colmata;
   l'approfondimento e l'avvio di campo sperimentale per la verifica delle metodologie di bonifica in situ da adottare per alcune aree di stabilimento (area cloro-soda; peci; etc.);
   la proposta operativa per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti (residui di zolfo e ceneri di pirite) presenti nell'area dello stabilimento all'interno di una discarica di servizio interna al sito.

  La conferenza di servizi istruttoria del 6 aprile 2014 ha esaminato l’«Adeguamento del progetto operativo di bonifica» e ha chiesto alla procedura di:
   fornire integrazioni rispetto all'analisi di rischio presentata;
   fornire integrazioni rispetto agli interventi di bonifica/messa in sicurezza previsti;
   sottoporre a verifica di assoggettabilità a VIA gli interventi previsti dal progetto.

  La conferenza di servizi decisoria del 6 aprile 2014, vista la necessità di ulteriori approfondimenti istruttori, ha rinviato la trattazione del punto relativo all’«Adeguamento del progetto operativo di bonifica».
  Con nota del 25 marzo 2015 (prot. Ministero dell'ambiente n. 5571/STA del 29 aprile 2015), la procedura di amministrazione straordinaria ha trasmesso la seguente documentazione:
   Tomo 1: verbali delle conferenze di servizi, sentenze del tribunale di Udine, decreti di nomina del commissario straordinario, relazione tecnica «Progetto operativo di MISO e bonifica delle aree di competenza della società Caffaro in amministrazione straordinaria» del 20.06.2014;
   Tomo 2: studio di impatto ambientale e relazione paesaggistica del progetto operativo di bonifica; studio preliminare ambientale e relazione paesaggistica dell'area arginale della macroarea 7;
   Tomo 3: «Stato di fatto sulle bonifica del SIN di Torviscosa» del novembre 2014; elaborati progettuali del 2012, 2013 e 2014 già acquisiti dalle amministrazioni (su supporto informatico).

  In data 25 novembre 2015, si è svolta una conferenza di servizi istruttoria con all'ordine del giorno lo «Stato di attuazione degli interventi posti in essere e da eseguire in tema di misure di Pag. 73prevenzione, messa in sicurezza di emergenza, caratterizzazione, bonifica e monitoraggio ambientale all'interno delle aree dello Stabilimento di Torviscosa». La Conferenza ha preso atto che il commissario straordinario del gruppo SNIA-Caffaro ha chiesto il differimento della stessa ad altra data, insistendo, in via subordinata, di «non assumere indirizzi e/o decisioni che rivestono il carattere della irreversibilità e/o della definitività a carico della procedura fallimentare del gruppo SNIA-Caffaro». In conseguenza di tali richieste, la trattazione del punto all'ordine del giorno è stata rinviata ad una successiva conferenza di servizi, con richiesta al Commissario di trasmettere, in tempo utile per l'esame nella predetta conferenza di servizi la seguente documentazione:
   1)  una nota puntuale in merito allo stato di avanzamento delle attività nelle aree di competenza del gruppo SNIA in amministrazione straordinaria e delle spese sostenute, al fine di facilitare la trattazione in conferenza di servizi;
   2)  una proposta tecnica per lo scarico delle acque provenienti dallo stabilimento alla luce di quanto segnalato dal CAFC circa la revoca dell'autorizzazione allo scarico in fognatura rilasciata alla Caffaro.

  Con note prot. n. 1266 del 27 gennaio 2016 e prot. n. 2441 del 11 febbraio 2016, la Direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque del Ministero dell'ambiente ha sollecitato la procedura di amministrazione straordinaria a fornire un riscontro alle richieste della conferenza di servizi istruttoria del 25 novembre 2015.
  Con nota del 4 marzo 2016 (prot. Ministero dell'ambiente n. 4161/STA del 4 marzo 2016) la procedura di amministrazione straordinaria, con riferimento alla nota prot. n. 1266 del 27 gennaio 2016, ha comunicato di avere incaricato l'advisor ambientale (Ramboll Environ Italy) di fornire un riscontro in merito alle richieste del Ministero dell'ambiente e ha specificato che «la società Caffaro Srl in amministrazione straordinaria in liquidazione non dispone di attivo di massa per far fronte ad alcun costo e onere, né per quanto riguarda la prosecuzione delle attività di messa in sicurezza di emergenza, né per quanto riguarda le problematiche conseguenti dalla disposta revoca dell'autorizzazione da parte del CAFC».
  Con nota del 4 marzo 2016 (prot. Ministero dell'ambiente n. 4182/STA del 7 marzo 2016) Ramboll Environ Italy, per conto della procedura di amministrazione straordinaria, ha trasmesso un documento in riscontro alla nota prot. n. 1266/STA del 27 gennaio 2016, contenente, fra l'altro, una proposta tecnica per lo scarico delle acque provenienti dallo stabilimento alla luce di quanto segnalato dal CAFC.
  In data 15 marzo 2016, si è tenuta presso il Ministero dell'ambiente un riunione tecnica, avente ad oggetto lo stato di attuazione degli interventi posti in essere e da eseguire in tema di misure di prevenzione, messa in sicurezza di emergenza, caratterizzazione, bonifica e monitoraggio ambientale all'interno delle aree dello stabilimento Caffaro di Torviscosa. A tale riunione hanno preso parte regione Friuli Venezia Giulia, ARPA dipartimento provinciale di Udine Pag. 74e comune di Torviscosa. I presenti alla riunione hanno individuato i seguenti interventi da realizzare:
   1. Interventi di cui all'accordo di programma:
    deposito peci benzoiche.
   2. Interventi urgenti da attuare come misure di prevenzione:
    analisi di rischio area discarica «la Valletta»;
    misure di prevenzione sulle aree delle discariche denominate «A», «B», «C», «D», «E» e «F»;
    misure di prevenzione/messa in sicurezza delle acque di falda.
   3. Interventi di bonifica/messa in sicurezza permanente:
    analisi di rischio sanitario ambientale sito-specifica e bonifica dei suoli e delle acque di falda mediante realizzazione di coperture, coperture ventilate, interventi di Air/Bio Sparging e Air Sparging/SVE;
    bonifica delle acque di falda tramite barrieramento idraulico e fitodepurazione;
    messa in sicurezza permanente delle discariche denominate «A», «B», «C», «D», «E» e «F»;
    aree interessate dalla presenza di rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato all'interno dello stabilimento e realizzazione della discarica di servizio;
    area delle casse di colmata contenente fanghi di dragaggio;
    bonifica dei sedimenti del canale Banduzzi nord, della darsena e del canale navigabile.

  In data 12 aprile 2016, presso il comune di Torviscosa si è tenuta una riunione tecnica alla presenza dei rappresentanti della procedura di amministrazione straordinaria e degli enti locali, nel corso della quale sono stati esaminati i seguenti argomenti relativi allo stabilimento Caffaro: A) barriera idraulica – trattamento di depurazione; B) discarica Valletta – stato della situazione; C) bonifica area arginale della macroarea 7.
  In merito al trattamento di depurazione delle acque emunte dalla barriera idraulica, il CAFC Spa (Consorzio per l'acquedotto del Friuli centrale), stante l'insolvenza della procedura, ha disposto la revoca delle autorizzazioni allo scarico in pubblica fognatura, disposizione confermata da una pronuncia del TAR.
  In attesa della pronuncia del Consiglio di Stato, cui la procedura di amministrazione straordinaria si è rivolta per revocare la predetta sentenza, la società CAFC non ha provveduto alla chiusura degli scarichi, dichiarando tuttavia che, qualora il Consiglio di Stato ribadisse la revoca delle autorizzazioni allo scarico, avrebbe provveduto alla immediata chiusura fisica degli scarichi.
  Nel corso dell'anzidetta riunione del 12 aprile 2016, i partecipanti hanno convenuto di chiedere ai consulenti del commissario straordinario Pag. 75di produrre documentazione relativa alle possibili soluzioni tecniche alternative da esaminare in sede di conferenza dei servizi.
  In data 5 luglio 2016, presso il comune di Torviscosa, si è tenuta una ulteriore riunione tecnica convocata dal sindaco, con la partecipazione degli enti locali e dei consulenti della Caffaro in amministrazione straordinaria per approfondimenti sulle seguenti tematiche: gestione delle acque della barriera idraulica dello stabilimento Caffaro di Torviscosa; procedure di VIA per la discarica «Valletta»; nuova discarica di servizio presso lo stabilimento Caffaro di Torviscosa.
  Infine, in data 8 settembre 2016, si è svolta presso il Ministero dell'ambiente (doc. 1473/3) un'altra riunione tecnica, nella quale i rappresentanti delle amministrazioni hanno concordato sulla necessità di:
   avviare con urgenza gli interventi di messa in sicurezza/prevenzione delle acque di falda dello stabilimento Caffaro di Torviscosa, come individuati da ARPA Friuli Venezia Giulia, per i quali è stata presentata una quantificazione dei costi;
   individuare, quanto prima, le risorse da destinare ai suddetti interventi, anche impegnando quota parte di risorse già stanziate per altri interventi disciplinati da accordi di programma, al fine di velocizzare l'attuazione degli interventi.

  Per quanto riguarda l'area arginale della macroarea 7, alla luce dei chiarimenti fomiti dal gruppo SNIA in amministrazione straordinaria nel mese di giugno 2016, è stato emanato il decreto prot. n. 381/STA del 14 luglio 2016 di approvazione del «Progetto di bonifica porzione arginale della macroarea 7»,
  La conferenza di servizi decisoria del 13 luglio 2016 ha approvato, con prescrizioni, l'analisi di rischio del sito Caffaro di Torviscosa limitatamente all'area «la Valletta» anche ai fini della conclusione del procedimento di VIA in capo alla regione Friuli Venezia Giulia.
  In data 8 settembre 2016, si è tenuta presso il Ministero dell'ambiente una riunione tecnica, alla quale hanno partecipato le amministrazioni pubbliche locali e i consulenti tecnici della procedura, per l'esame dello stato di avanzamento della messa in sicurezza/bonifica nell'area dello stabilimento Caffaro di Torviscosa.
  I rappresentanti delle amministrazioni, in conclusione, hanno concordato sulla necessità di:
   1) avviare con urgenza gli interventi di messa in sicurezza/prevenzione delle acque di falda dello stabilimento Caffaro di Torviscosa (individuati nella riunione tecnica del 5 luglio 2016);
   2) individuare quanto prima le risorse da destinare ai suddetti interventi, anche impegnando quota parte di risorse già stanziate per altri interventi disciplinati da accordi di programma. al fine di velocizzare l'attuazione degli interventi.

2.6.5 Interventi soggetti a valutazione di impatto ambientale

  Il Servizio valutazioni ambientali della regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha comunicato che sono sottoposti a procedimento di Pag. 76VIA (valutazione di impatto ambientale), ai sensi dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e della legge regionale n. 43 del 1990, i seguenti interventi:
   progetto di chiusura della discarica autorizzata denominata «Valletta», in ragione anche della mancanza di un pronunciamento definitivo in merito all'analisi di rischio presentata dalla procedura;
   realizzazione della discarica di servizio, prevista dall'elaborato «Adeguamento del progetto operativo di bonifica».

  Sono stati esclusi da procedimento VIA i seguenti interventi:
   messa in sicurezza operativa delle discariche interne;
   adeguamento del sistema idraulico;
   rimozione e smaltimento dei rifiuti depositati nell'Area Arginale della macroarea 7.

  Ad oggi, si è concluso il procedimento di VIA relativo al progetto di chiusura della discarica autorizzata, denominata «Valletta», mentre rimane aperto quello riguardante il progetto di realizzazione della nuova discarica di servizio.

2.7 I costi di bonifica del sito

  Nella relazione del 2009 di valutazione del danno ambientale causato dall'esercizio dello stabilimento Caffaro di Torviscosa l'ISPRA stimava un costo complessivo per gli interventi di ripristino pari a 1.228.546.730 euro, così suddivisi:
   1. suolo e falda nell'area dello stabilimento 149.134.200 euro;
   2. acque 133.822.342 euro;
   3. sedimenti dei canali 147.341.777 euro;
   4. sedimenti laguna 593.490.623 euro;
   riparazione compensativa (ex articolo 18 della legge n. 349 del 1986): 204.757.788 euro.

  Nella successiva valutazione del mese di settembre 2016 (doc. 1576/2), l'ISPRA dava atto che i fondi stanziati per il SIN erano pari a 46.342.562 euro, di cui 35.106.974,02 euro stanziati dal Ministero dell'ambiente. In merito all'effettiva destinazione di tali fondi, 7.035.405,14 euro erano stati stanziati per interventi di rimozione e smaltimento dei rifiuti pericolosi costituiti da peci benzoiche presenti sul sito.
  Quindi l'ISPRA, nel documento indicato, dopo aver escluso ogni riferimento alla riparazione compensativa, ha valutato i costi per il completamento degli interventi nell'importo di euro 759.162.965, così suddivisi:
   1. suolo e falda nell'area dello stabilimento, 29.770.000 euro;
   2. sedimenti dei canali, 2.080.000 euro;Pag. 77
   3. acque, 133.822.342 euro;
   4. sedimenti laguna, 593.490.623 euro.

  In realtà, l'analisi delle voci anzidette porta a concludere che solo le prime due voci di spesa sono fondate, poiché corrispondono a quelle contenute nel progetto operativo di bonifica dell'area dello stabilimento Caffaro, predisposto dalla Environ Italy Srl, società incaricata dal commissario straordinario e riportato nel paragrafo 1.1 (euro 29.770.000 euro 2.080.000 = euro 31.850.000).
  Viceversa, sono prive di ogni fondamento le voci di spesa n 3 e n. 4.
  In particolare, è del tutto ingiustificata la spesa di euro 593.490.623, concernente la rimozione dei sedimenti lagunari inquinati da mercurio, posto che già in sede di riperimetrazione del SIN è stato deciso dal Ministero dell'ambiente, in accordo con ARPA e regione Friuli Venezia Giulia, di non rimuovere tali sedimenti lagunari, giacenti sul fondo dell'asta del fiume Aussa e nello specchio d'acqua antistante la foce del fiume, in quanto la loro rimozione avrebbe sicuramente creato dei problemi di inquinamento, che allo stato non sussistevano.
  Del pari, per la stessa ragione, è stato deciso di non rimuovere i sedimenti dei canali Banduzzi, Banduzzi Nord, Darsena e canale navigabile che – non a caso – sono stati compresi nel suddetto progetto operativo di bonifica della società Environ Italy, con opere di capping, già previste nella voce n. 2.
  Infine, è del tutto ingiustificata la voce n. 3, concernente la valutazione del danno alle acque, stimato nella somma di euro 133.822.342.
  Invero, tale danno viene rapportato in modo del tutto approssimato alle quantità di acque meteoriche che, nel corso degli anni, hanno attinto i terreni inquinati del sito e, filtrando tali terreni, sono finite nella falda sottostante, provocandone l'inquinamento.
  Si tratta, all'evidenza, di un calcolo impossibile, in quanto il volume delle acque contaminate viene dall'ISPRA calcolato, in modo apodittico, in mc. 66.911.171.
  Si tratta di un dato che non si presta ad alcuna verifica e che, pertanto, è del tutto inidoneo per procedere a qualsivoglia valutazione di danno.
  In realtà – come ribadisce il commissario straordinario della Caffaro anche nella nota del 5 aprile 2017 (doc. 1901/2) – nell'accordo di programma del 2 dicembre 2016 (doc. 1658/5), sottoscritto in Roma dal Ministro dell'ambiente, dal Ministro dello sviluppo economico, dalla presidente della regione autonoma Friuli Venezia Giulia, dal sindaco di Torviscosa e dal commissario straordinario per il risanamento ambientale e la riqualificazione industriale delle aree «Caffaro» di Torviscosa (Ud) ricadenti nel sito di interesse nazionale di Laguna di Grado e Marano è stato previsto l'intervento dello Stato, per l'importo di euro 35.000.000 (a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione, per il ciclo di programmazione 2014/2020 del Ministero dell'ambiente) e della regione Friuli Venezia Giulia, per l'importo di euro 5.000.000.Pag. 78
  I fondi anzidetti sono a servizio di tutte le attività di bonifica, in esecuzione del «Piano operativo di bonifica», predisposto dalla Environ Italy Srl e presentato dal commissario della procedura di amministrazione straordinaria, che – come si è detto – aveva calcolato i relativi costi nella somma di euro 31.850.000 (doc. 1156/5 Allegato 1).
  In conclusione, per il risanamento ambientale, tutte le parti interessate hanno ritenuto sufficiente la somma complessiva di 40 milioni di euro, pari a circa un ventesimo di quella calcolata dall'ISPRA nell'ultimo documento del mese di settembre 2016, (doc. 1576/2), sicché la valutazione dei costi di bonifica del sito di Torviscosa da parte di ISPRA appare priva di ogni giustificazione.

2.8 I procedimenti penali

2.8.1 La vicende penale connessa alla perimetrazione del SIN

  La riperimetrazione del SIN Laguna di Grado e Marano non è stata indolore.
  La dottoressa Viviana Del Tedesco, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Udine, nel corso dell'audizione del 27 giugno 2016, ha riferito in ordine a una indagine promossa dal suo ufficio in relazione alla perimetrazione del SIN, ritenuta ipertrofica rispetto ai reali punti di inquinamento.
  In particolare, il SIN di Grado e Marano comprendeva le seguenti aree:
   1)  4.000 ettari a terra di zona agricola, in cui non era mai stato rilevato nemmeno l'inquinamento, tant’è che vi si sono insediate aziende agricole, anche biologiche;
   2)  tutta la zona del consorzio Aussa-Corno, dove vi è l'insediamento industriale che comprende decine di aziende, alcune delle quali coprono degli insediamenti piuttosto vasti di aziende dismesse che hanno creato reale inquinamento;
   3)  1.600 ettari di laguna, in cui si ipotizzava un inquinamento da mercurio.

  In realtà, nella specie – ha proseguito la dottoressa Del Tedesco – l'ISPRA e l'Istituto superiore della sanità prendevano in considerazione il mercurio totale, che non aveva nulla a che vedere con il metilmercurio, che è quello effettivamente inquinante e che era stato segnalato come inquinante addirittura dal decreto di perimetrazione del SIN. In tal modo si confondeva il termine «inquinamento» con il termine «contaminazione».
  Alla presenza dei sostituti procuratori di Roma e di Udine, nonché di tutti gli esperti che avevano avuto a che fare con il sito di interesse nazionale e con la Caffaro, era stata effettuata una indagine congiunta a Udine, con l'assunzione di sommarie informazioni testimoniali (SIT).Pag. 79
  Peraltro, erano presenti esperti di livello nazionale, tra cui il professor Centola del Politecnico di Milano e il professor Brambati, che è quello che aveva svolto la prima indagine, addirittura, nel 1996.
  Gli esperti hanno spiegato la differenza tra il mercurio metilato, che era quello sversato dalla Caffaro, ma che comunque non aveva mai toccato l'ambito lagunare, se non altro perché l'acqua non va in controcorrente, e il solfuro di mercurio, il cosiddetto «cinabro», che è un mercurio naturale che esiste da centinaia di anni ed era presente nell'area lagunare
  Nella relazione del 9 maggio 2016 sulle vicende della Caffaro (doc. 1206/2), la dottoressa Del Tedesco si sofferma sul contrasto di posizioni tra commissario delegato per l'emergenza ambientale della laguna di Grado e Marano e il commissario straordinario della Caffaro, di cui si è detto.
  Ciò precisato, va detto che, in data 27 gennaio 2016, la procura della Repubblica in Roma, nell'ambito del procedimento penale n. 35828/2012 R.G. mod. 21, ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari nei confronti di venti indagati, soprattutto, gravitanti nell'orbita del Ministero dell'ambiente, per il reato di associazione a delinquere, finalizzata al falso e alla truffa ai danni dello Stato, nonché per i reati di abuso d'ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e tentata corruzione, come di seguito descritti (doc. 1154/2).
  In particolare, nell'avviso di conclusione delle indagini, sopra richiamato, la procura della Repubblica, al capo A) dell'imputazione contesta il reato di associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di una serie indeterminata di delitti di falso e truffa ai danni dello Stato (meglio descritti nei successivi capi) a diciassette imputati. Tra costoro spiccano i nomi di: 1) i tre commissari delegati per l'emergenza socio economico ambientale della laguna di Grado e Marano, succedutisi nel tempo (Ciani, Moretton e Menchini); 2) Mascazzini Gianfranco, nelle qualità di direttore generale del Ministero dell'ambiente, nonché membro del comitato tecnico scientifico del «Commissario delegato per l'emergenza socio economico ambientale della laguna di Grado e Marano» e consulente della Sogesid Spa; 3) Gabellini Massimo, nella qualità di direttore del II direzione dell'ICRAM di Roma ora ISPRA; 4) Danese Dario, in qualità di soggetto attuatore del commissario delegato per l'emergenza socio economico ambientale della laguna di Grado e Marano per il periodo 2002 – 2006, poi direttore ambiente della regione Friuli Venezia Giulia; 5) Assenza Vincenzo, nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione nonché di direttore generale della società Sogesid Spa, società controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze (dimissionario dal 26 giugno 2014); 6) Melli Fausto, nella qualità di direttore tecnico dal 1999 al 2007, di direttore generale dal 2007 della società Sogesid (dimissionario dal 26 giugno 2014); 7) Plazzotta Maria, nella qualità di dirigente ARPA Udine e componente del comitato tecnico scientifico del «Commissario delegato per la laguna di Grado e Marano» 8) Mazzacurati Giovanni, nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione del «Consorzio Venezia Nuova», nonché di presidente del consiglio di amministrazione della società Tethis Srl di Venezia, per il periodo dal 2009 al 2013.Pag. 80
  In particolare – secondo l'accusa – i correi concepivano e alimentavano (l'ICRAM, dal punto di vista scientifico) uno stato di emergenza ambientale nel sito di interesse nazionale (SIN) di Grado e Marano, allo scopo di ottenere denaro pubblico dal Ministero del tesoro, apparentemente finalizzato a bonificare la laguna di Grado e Marano (indicata come «presuntivamente» inquinata sulla base di ipotesi scientifiche infondate, ma ciononostante coltivate per anni con l'avvallo dell'ICRAM), ma sostanzialmente utilizzate per alimentare e mantenere l'apparato organizzativo della direzione generale del Ministero dell'ambiente, dell'ICRAM (in particolare la II direzione diretta da Gabellini Massimo e Silvestro Greco, ove venivano inseriti soggetti di comodo – generalmente sponsorizzati dal Mascazzini – per soddisfare esigenze estranee alle reali necessità dell'Ente) e della struttura del commissario delegato dell'emergenza socio economico ambientale della Laguna di Grado e Marano, creata per fronteggiare la falsa emergenza, ma in realtà utilizzata per dispensare stipendi e godere delle prerogative dei poteri in deroga riconosciuti al commissario delegato, nonché per agevolare l'appalto dei lavori di carotaggio e analisi alla società Nautilus di Vibo Valentia, nonché l'appalto per la progettazione dei lavori di bonifica dell'area ex- Caffaro alle società Sogesid (società in house del Ministero dell'ambiente, estranea alla struttura commissariale e non sottoposta al cd. «controllo analogo») e alle sue affidatarie Thetis e Studio Altieri, riconducibili agli imputati Mazzacurati Giovanni e Zanovello Guido (quest'ultimo amministratore delegato e partner – direttore tecnico area ingegneria idraulica ed ambiente dello Studio Altieri Spa).
  Com’è noto, nella giurisprudenza comunitaria (vicenda «Teckal» 18 novembre 1999 in causa C-107/98) due sono i criteri cumulativi elaborati, atti a giustificare la sottrazione di un servizio all'ambito di operatività delle regole dell'evidenza pubblica: la circostanza che l'affidamento abbia luogo in favore di soggetti che, sebbene giuridicamente distinti dall'amministrazione aggiudicatrice, costituiscano elementi del sistema, che a tale amministrazione fanno capo, essendo soggetti a «controllo analogo» e il fatto che il destinatario dell'appalto svolga la parte più importante della propria attività in favore dell'amministrazione o delle amministrazioni che la controllano.
  Ai capi B), C) e D) agli imputati vengono contestati i reati di truffa aggravata, di cui agli articoli 110-640, secondo comma, del codice penale consumati nel periodo compreso tra il 2002 e il mese di aprile 2012.
  Secondo l'accusa, costoro, nelle rispettive qualità e in concorso tra di loro, hanno ingigantito un limitata emergenza ambientale – in realtà limitata alla sola area dello stabilimento industriale ex Caffaro e al connesso canale Banduzzi – estendendola artatamente a tutta l'area della laguna di Grado e Marano e, quindi, l'hanno coltivata, incentrando l'attività sulla laguna, anziché sull'area industriale da bonificare.
  Nel perseguire le loro finalità truffaldine, gli imputati hanno omesso le attività di completa caratterizzazione e, comunque, la validazione dei campionamenti e – a cascata – hanno eseguito analisi, falsificando i campioni prelevati, in quanto facevano risultare concentrazioni di mercurio superiori financo ai valori di mercurio totale, così inducendo in errore la Presidenza del Consiglio dei ministri Pag. 81(soggetto che emanava il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che dichiarava ovvero prorogava lo stato di emergenza e l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri che nominava ovvero confermava struttura commissariale), allo scopo di conseguire un ingiusto profitto, consistente negli emolumenti corrisposti al commissario delegato, al soggetto attuatore, ai componenti del comitato tecnico scientifico, ai soggetti ai quali veniva affidata la caratterizzazione dell'area (Nautilus), ovvero la progettazione delle opere di bonifica dell'area ex Caffaro e la progettazione della realizzazione delle casse di colmata in area lagunare (Sogesid, Thetis e Studio Altieri).
  Nel contempo, viceversa, non veniva effettuato nessun intervento, atto a fronteggiare lo stato di emergenza socio-ambientale della laguna di Grado e Marano, prorogato di anno in anno, fino al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2009, se non far redigere a Sogesid un faraonico e irrealizzabile progetto dell'importo di 230.000.000 di euro, approvato e imposto al commissario straordinario Caffaro (pubblico ufficiale nominato dal MISE), nonostante egli avesse vittoriosamente impugnato tutte le relative conferenze dei servizi.
  Solo, in via esemplificativa della enormità delle somme inutilmente spese, è sufficiente considerare che, per l'anno 2009, al commissario delegato è stata corrisposta la rilevantissima somma di euro 28.950.241,34.
  Inoltre, il commissario delegato Gianni Menchini ha corrisposto alla Sogesid, nel periodo compreso tra il 2009 e il 2011 una somma pari a euro 1.853.070,62 (di cui 135.252 successivamente girate a Studio Altieri ed euro 117.702 girate alla Thetis Spa, per la redazione della progettazione preliminare dell'intervento, denominato «Messa in sicurezza e bonifica dell'area dello stabilimento Caffaro») e, per il tramite del Magistrato delle acque di Venezia, ha affidato alle società Thetis e Altieri la progettazione e la realizzazione delle casse di colmata, previste in Lignano Sabbiadoro «area Pantanel», Grado (Loc. Punte Gabbiani – Isola delle Cove) e S. Giorgio di Nogaro, liquidando alle predette società un compenso pari a euro 1.297.427,78.
  A Gianfranco Mascazzini, nel capo E) viene contestato un tentativo di corruzione (articoli 56, 321 codice penale) in danno dell'avvocato Marco Cappelletto, commissario straordinario Caffaro e, quindi, pubblico ufficiale, poiché, nel mese di dicembre 2009, si presentava presso lo studio dello stesso e, facendogli intendere di essere persona molto influente presso la direzione del Ministero dell'ambiente, deputato a valutare il progetto di bonifica, gli proponeva di mettere a disposizione tutto l'attivo delle procedure delle società in amministrazione straordinaria, allo scopo di finanziare il progetto di bonifica, ventilando, in cambio, il conferimento di un incarico di consulenza. L'evento non si compiva per il netto rifiuto della persona offesa.
  Al capo F) il pubblico ministero contesta a Gianfranco Mascazzini, Gianni Menchini e ai ricercatori dell'ISPRA, Antonella Ausili e Elena Romano, il reato di abuso d'ufficio continuato (articoli 81 capoverso e 323 codice penale), poiché costoro, nelle qualifiche dianzi descritta, anche in tempi diversi, al fine di consentire un ingiusto profitto per Pag. 82Sogesid, consistente nel corrispettivo della progettazione, e per lo stesso sistema di gestione dei siti di interesse nazionale, consistito nella parziale riassegnazione operata dal Ministero del tesoro delle somme percepite dai proprietari delle aree da bonificare, dapprima, approvavano (il commissario delegato quale responsabile della struttura commissariale e il Mascazzini in qualità di soggetto che presiedeva la conferenza di servizi) le conferenze di servizi dei mesi di giugno 2008, di febbraio 2009 e marzo 2010 che, noncuranti delle censure del giudice amministrativo in ordine alla legittimità della procedura del cosiddetto «barrieramento fisico» (sentenza TAR Friuli n. 90 del 12 dicembre 2007, depositata del 28 gennaio 2008, passata in giudicato), perseveravano nell'imporre all'amministrazione giudiziale Caffaro l'esecuzione di interventi di messa in sicurezza e bonifica dello stesso tipo di quelli già giudicati inadeguati.
  Il Menchini, inoltre, emetteva una serie di provvedimenti giudicati illegittimi, come di seguito elencati:
   con provvedimento del 19 ottobre 2009, ingiungeva al commissario straordinario Caffaro, avvocato Cappelletto, di eseguire tali interventi e di rimborsare le spese sostenute pari ad euro 61.200;
   con provvedimento del 29 marzo 2010, ordinava il pagamento della somma suddetta e dell'ulteriore importo di euro 1.750.320, sostenuta per il progetto di bonifica realizzato da Sogesid (provvedimento in relazione al quale il TAR Lazio con ordinanza in data 10 luglio 2010 n. 2905 disponeva la sospensiva);
   in data 16 aprile 2012 (ossia successivamente alla revoca del suo mandato intervenuta con provvedimento della Presidenza del Consiglio in data 6 aprile 2012 e, quindi, in violazione dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992), nuovamente, ingiungeva il pagamento della predetta somma maggiorata di ulteriori euro 393.515,22, per un totale di euro 2.205.035,22.

  Nel frattempo, l'ISPRA, in data 26 ottobre 2012, trasmetteva al Ministero dell'ambiente una relazione, a firma delle dottoresse Ausili e Romano, in cui falsamente (articolo 479 del codice penale) si riaffermava, ancora una volta, la possibile presenza di mercurio neurotossico proveniente dallo stabilimento Caffaro (Torviscosa) in laguna.
  Al capo G) il pubblico ministero contesta a Fausto Melli, Vincenzo Assenza, nelle qualità anzidette, e a Franco Pasquino, nella qualità di commissario della Sogesid Spa, il reato di abuso d'ufficio continuato (articoli 110, comma 81, capoverso e 323 del codice penale), consumato sino a tutto il 2013, poiché costoro, in concorso tra loro e nelle qualifiche dinanzi descritte, anche in tempi diversi, al fine di consentire un ingiusto profitto per Sogesid consistente nel corrispettivo per le attività di consulenza e per il distacco di proprio personale:
   consentivano a che Sogesid stipulasse numerose convenzioni, in virtù delle quali personale dipendente di Sogesid veniva stabilmente distaccato presso il Ministero dell'ambiente per ivi svolgere funzioni amministrative, in violazione al divieto di assunzioni stabilito dall'art. 1 comma 557 e seguenti, della legge n. 296 del 2006;Pag. 83
   consentivano a che Sogesid stipulasse convenzioni con amministrazioni diverse dal Ministero dell'ambiente (quale ad esempio il commissario delegato dell'Emergenza socio economico ambientale della laguna di Grado e Marano), in relazione alle quali difettava il requisito del cosiddetto «controllo analogo», che consente di considerare l'ente privato come società in house della struttura pubblica;
   consentivano a che Sogesid, priva di professionalità tecniche, grazie alle quali espletare le funzioni oggetto di convenzione con i soggetti pubblici anzidetti, procedeva a subappaltare le proprie funzioni (come avvenuto ad esempio nel caso della laguna di Grado e Marano in favore di Thetis e Studio Altieri), in assenza di procedure di evidenza pubblica, con violazione delle disposizioni del decreto legislativo n. 163 del 2001. In particolare, nel periodo oggetto di indagine, Sogesid ha affidato a vari soggetti esterni alla predetta società, molteplici incarichi aventi principalmente come oggetto attività di consulenza ed assistenza specialistica, con da prospetto di seguito riportato nel capo di imputazione.

  Infine, al capo H) il pubblico ministero contesta a Gianfranco Mascazzini e a Massimo Gabellini il reato di concussione continuata (articoli 110, 81 capoverso, 317, del codice penale) poiché in concorso tra loro, anche in tempi diversi, abusando della qualifica di pubblici ufficiali, costringevano il Mainenti, nella sua qualifica di direttore generale dell'ICRAM, ad assumere all'interno della struttura personale indicato dal Mascazzini, con la minaccia, in caso contrario, di non procedere all'assegnazione di fondi, già previsti, in favore dell'ente, che dai contributi del Ministero traeva principale sostentamento.
  Successivamente, in data 4 maggio 2017, il dottor Alberto Galanti ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio degli imputati, per i reati loro rispettivamente contesati nell'avviso di conclusione delle indagini (doc. 2041/2).
  A proposito dell'anzidetto procedimento penale, il dottor Alberto Galanti, nell'audizione del 30 maggio 2017, ha rappresentato che l'iniziale ipotesi, coltivata dalla procura di Udine e da quella di Roma, era che vi fosse stata un'iperperimetrazione del SIN, da 1 a 50, come dimensioni rispetto alle effettive esigenze di bonifica dell'area ex Caffaro e della foce dell'Aussa-Corno. E ancora – ha proseguito il dottor Galanti – che fosse stata simulata l'esistenza di un inquinamento derivante da attività antropica recente, di metilato di mercurio, mentre tutta l'area lagunare era interessata da una contaminazione che si può quasi definire naturale, in quanto derivante dagli scavi delle vecchie miniere di Idria, che non avevano mai dato luogo a particolari problemi, nel corso di centinaia di anni.
  Secondo la prospettazione accusatoria, tutto questo serviva a foraggiare enormi e mastodontici istituti commissariali che, di anno in anno, ricevevano sempre maggiori finanziamenti pubblici, giocando sull'equivoco tra contaminazione e inquinamento.
  A questo primo filone di indagini pervenuto da Udine se ne era affiancato un secondo filone, sicché, quando era scoppiato il caso MOSE di Venezia, lo stesso dottor Galanti si era recato a Venezia per ascoltare l'ingegner Piergiorgio Baita, nella sua qualità di presidente Pag. 84del consiglio di amministrazione dell'Impresa di costruzioni Ing. E. Mantovani Spa e fido collaboratore di Mazzacurati Giovanni, presidente del Consorzio Venezia Nuova.
  Il Baita, il quale conosceva molto bene non solo la situazione di Venezia, ma anche la direzione generale del Ministero dell'ambiente, all'epoca retta da Mascazzini, aveva riferto al dottor Galanti che, rispetto al «sistema MOSE», il SIN di Grado e Marano avrebbe dovuto essere il prototipo da esportare in tutti i SIN, ma che il meccanismo illecito si era arenato sull'impossibilità di affidare i lavori a trattativa privata.
  La sostanza era che a Venezia vi era il Consorzio Venezia Nuova che, per la costruzione degli sbarramenti manovrabili per la regolamentazione delle maree (MOSE), operava mediante affidamento diretto alle ditte consorziate, senza alcuna gara e senza criteri di assegnazione predeterminati tra le imprese subappaltatrici facenti parte del consorzio.
  Il Consorzio Venezia Nuova aveva la concessione e quindi, nella qualità concessionario, affidava i lavori secondo scelte soggettive, mentre a Grado e Marano era necessario rimanere nell'ambito di gare a evidenza pubblica, ragion per cui non era possibile andare oltre la progettazione, affidata alla Sogesid o ad altre società di comodo.
  Un altro pezzo di indagine riguardava esclusivamente Venezia e le cosiddette transazioni ambientali.
  In questo caso, l'ipotesi di reato era che, attraverso la gestione delle conferenze di servizi, non venivano mai approvati i progetti di bonifica o di messa in sicurezza presentati dalle società, che venivano indotte, con pressioni molto forti, ad accettare le transazioni ambientali e, quindi, a versare gli importi delle anzidette transazioni al Ministero dell'economia e delle finanze, che li girava al Ministero dell'ambiente, il quale, a sua volta, rigirava tali somme al Consorzio Venezia Nuova, attraverso il provveditorato interregionale per le opere pubbliche.
  Quest'ultima parte di condotte veniva stralciata, insieme a tutti i protagonisti delle stesse, e trasmessa per competenza a Venezia.
  Per la parte relativa al SIN di Grado e Marano, la procura della Repubblica presso il tribunale di Roma aveva esercitato l'azione con la richiesta di rinvio a giudizio e il relativo fascicolo è stato trasmesso al gup per la fissazione dell'udienza in camera di consiglio, pur se molti dei reati contestati, soprattutto, quelli consumati nei primi anni del commissariamento erano ormai caduti in prescrizione.
  In particolare – ha sottolineato il dottor Galanti – sono rimasti i reati che riguardano la Sogesid, reati nei quali la procura della Repubblica in Roma ha contestato agli imputati coinvolti a vario titolo due specifiche condotte di rilevanza penale:
   1) il fatto che la Sogesid fosse sprovvista di personale idoneo alla progettazione, motivo per cui, nei casi in cui ha proceduto all'affidamento diretto a professionisti di incarichi di progettazione, ha violato la normativa sugli appalti, poiché non operando come società in house del Ministero dell'ambiente, ma lavorando per altri enti, difettava il requisito del cosiddetto «controllo analogo», che consente di considerare l'ente privato come società in house della struttura pubblica;Pag. 85
   2) il fatto che la costituzione di questa società in house di fatto rappresentava un escamotage per violare il blocco delle assunzioni, da parte del Ministero. Invero – secondo l'accusa – è accaduto che il Ministero dell'ambiente, in quanto pubblica amministrazione, non potendo assumere personale, aveva concluso con la Sogesid, soggetto di diritto privato, un accordo illecito, in virtù del quale la società assumeva personale, poi, distaccato presso lo stesso Ministero dell'ambiente.

2.8.2 La vicenda penale concernente il Consorzio Aussa Corno

  Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Udine, dottor Antonio De Nicolo, nel corso dell'audizione del 27 giugno 2016, ha riferito in ordine a un'altra inchiesta penale che ha investito il consorzio per lo sviluppo industriale della zona Aussa Corno, denominato Consorzio ZIAC, ente pubblico economico che, come emerge anche dalla relazione del 3 maggio 2016 (doc. 1373/2), lungi dal perseguire le finalità pubbliche di sviluppo industriale e bonifica ambientale, nell'anno 2011, tentava di effettuare una operazione meramente speculativa priva di progettualità, che di fatto indebitava l'ente pubblico al punto da provocarne la liquidazione con una esposizione di 75 milioni di euro.
  La procura della Repubblica in Udine aveva notificato gli avvisi di conclusione dell'indagine preliminare per il reato di malversazione a carico del direttore generale e dei componenti del consiglio di amministrazione.
  Nella relazione si sottolinea che non vi è stata solo la dissipazione di denaro pubblico, realizzata per porre in essere attività «devianti» rispetto alle finalità pubbliche del consorzio, ma anche il fatto che i terreni erano stati acquistati senza calcolare gli oneri di bonifica e, comunque, a prescindere dall'esistenza del vincolo del SIN.
  Inoltre, i rappresentanti del consorzio avevano pagato a prezzo di mercato – complessivamente circa 50 milioni di euro, per il cui pagamento venivano chiesti ed ottenuti mutui bancari – terreni vincolati, per di più, senza svolgere alcuna attività volta a ottenere che tali terreni venissero restituiti agli usi legittimi, ma con la prospettiva, palesata in sede di interrogatorio, di trovare investitori stranieri e, specificatamente, la ditta cinese HNA e una società austriaca.
  Tutto ciò, senza porsi alcun problema in ordine all'aspetto ambientale, in quanto convinti del fatto che, se fossero stati offerti molti denari, nessuno avrebbe avuto il coraggio di mantenere il vincolo del SIN.
  Il significato di una simile affermazione può essere oggetto di varie interpretazioni. Sta di fatto che questa vicenda dimostra, ancora una volta, che la farraginosità della disciplina ambientale (peraltro, amplificata nei siti di interesse nazionale), se per certi versi mortifica la buona volontà dei singoli disponibili a contemperare i propri interessi con quelli di tutela dell'ambiente e della salute, in molti casi, finisce con il favorire un atteggiamento di indifferenza da parte di chi abilmente nella confusione normativa trova un alibi per perseguire finalità puramente speculative, con connotazioni di rilievo penale.Pag. 86
  D'altra parte va considerato che, dal 2003 (data di perimetrazione del SIN) al 2011 (epoca di commissione del reato di malversazione), il vincolo del SIN persisteva senza che nemmeno una porzione delle migliaia di ettari in esso compreso fosse restituita agli usi legittimi.
  Da tale constatazione è plausibile pensare che spesso la normativa in vigore, lungi dal favorire il recupero ambientale, finisce per giustificare l'inerzia, nonostante l'importanza delle problematiche da risolvere e tale palude normativa porta a favorire specifici interessi speculativi.
  Naturalmente, nel caso di specie, sia la ditta cinese, sia quella austriaca non hanno acquistato alcunché, né il consiglio di amministrazione successivo a quello in cui sono state concepite queste iniziative intendeva portarle a compimento, plausibilmente, valutando che simili operazioni avrebbero arrecato un danno alle imprese consorziate e non avrebbero incentivato lo sviluppo economico.
  Tuttavia, qualora le vendite a società straniere fossero avvenute, è doveroso chiedersi se avrebbero avuto l'interesse e una reale volontà di riqualificare le aree e di investire sul ripristino ambientale. E, a questo punto, è lecito anche chiedersi con quali strumenti avrebbero ottenuto la restituzione agli usi legittimi dei terreni anzidetti, quand'anche avessero ritenuto di chiederlo.
  Successivamente, il consorzio è stato posto in liquidazione con 75 milioni di debito e l'inquinamento persiste tuttora. In compenso sono stati dissipati 11 milioni erogati dalla regione per realizzare opere relative al piano porti, che sono rimaste inattuate.
  Comunque, va rilevato che il fatto che sui terreni e sugli insediamenti dismessi non siano stati eseguiti gli interventi ambientali rende difficile la loro collocazione sul mercato, sicché tali aree, di una estensione pari a 450.000 metri quadrati, paiono destinate a rimanere degradate.
  Infine, la procura della Repubblica ha richiesto il fallimento del consorzio, sul presupposto che lo stesso non perseguiva interessi pubblici, ma effettuava mera attività commerciale per interessi privatistici.
  Tale richiesta trova la sua ragione nel fatto che l'eventuale fallimento del consorzio avrebbe consentito di gestire la situazione sotto il controllo di un giudice delegato, dando al contempo la possibilità alla procura della Repubblica di contestare i reati fallimentari appropriati.
  Tuttavia, il tribunale di Udine ha respinto l'istanza di fallimento, ribadendo che la forma giuridica pubblica rappresentava una preclusione insuperabile per la dichiarazione di fallimento del consorzio.
  Avverso la decisione del tribunale la procura della Repubblica ha proposto reclamo alla Corte d'appello.
  Nel frattempo, la procura di Udine, in data 18 gennaio 2017, ha depositato richiesta di rinvio a giudizio (doc. 1776/2) nei confronti dei vertici del consorzio ZIAC, per i reati di cui agli articoli 110, 40, secondo comma, e 316-bis del codice penale (malversazione a danno dello Stato) poiché, costoro, nelle rispettive qualità e in concorso tra loro (o quantomeno omettendo ciascuno di esercitare i poteri e i doveri connessi alle rispettive qualifiche soggettive), avendo ottenuto tra il 2002 e il 2009 contributi erogati dalla regione Friuli Venezia Giulia Pag. 87ai sensi della legge regionale n. 57 del 1991, finalizzati alla copertura dei mutui (di complessivi euro 21.265.702,54), accesi dal consorzio per la realizzazione di opere di completamento e potenziamento di infrastrutture e attrezzature nell'ambito di Porto Nogaro, omettevano di destinare le somme così ottenute alla predetta finalità.
  In particolare, gli imputati utilizzavano parte delle somme percepite – per un importo pari quantomeno a euro 10.910.481,93 (indicato dal commissario straordinario del consorzio quale residuo non impiegato per le opere di cui ai «Piani porti» approvati dal 2002 al 2009) per far fronte ad altri impegni economici assunti dall'ente (tra cui quelli concernenti l'acquisto delle aree denominate «ex Oleificio», «ex Montecatini» ed «ex Cogolo», ex DECOF, ex Radicifil).
  Nella specie, tra il 9 aprile 2010 (data in cui il conto corrente di tesoreria del consorzio, su cui erano stati accreditati i contributi regionali, presentava un saldo attivo di euro 12.496.339,16) e il 20 luglio 2011 (data in cui tale conto presentava un saldo negativo di euro 59.649,88), impiegavano il menzionato importo residuo non utilizzato pari a euro 10.910.481,93 per finalità diverse dalla realizzazione degli interventi programmati nei «Piani porti» e omettevano di riaccreditare le somme così impiegate sul conto corrente di tesoreria, il cui saldo negativo si incrementava costantemente sino a raggiungere, alla data del 31 dicembre 2013, il saldo negativo finale di euro 2.066.976,52.
  Attualmente, è in corso l'udienza preliminare davanti il Gup del tribunale di Udine.

2.9 Conclusioni

  La vicenda del SIN «Laguna di Grado e Marano» può dirsi conclusa positivamente per tre ordini di fattori.
  Il primo fattore positivo è costituito dall'avvenuta riperimetrazione del SIN, che ha escluso il bacino lagunare, comprendendovi solo le aree del comune di Torviscosa, interessate dall'inquinamento delle società Caffaro.
  Il secondo fattore positivo è costituito dall'avvenuta prosecuzione dell'attività produttiva degli impianti ex Caffaro, che il Commissario straordinario Marco Cappelletto ha ceduto a una società del gruppo Caffaro Finanziaria (ex SCEF Finanziaria srl).
  La società acquirente non solo ha conservato gran parte della precedente forza lavoro, proseguendo l'attività di produzione del cloro-soda, ma ha proceduto all'ammodernamento degli impianti, sicché, in data 14 luglio 2017, si è tenuta la cerimonia inaugurale del nuovo impianto di cloro soda «a membrane», che dà lavoro a circa ulteriori 50 dipendenti.
  Con quest'ultima operazione, il sito di Torviscosa è stato riconsegnato a un futuro industriale e occupazionale.
  Infine, è stato adeguatamente affrontato il problema del risanamento ambientale, poiché, dopo la sottoscrizione del protocollo d'intesa del 2 dicembre 2016 e la messa a disposizione da parte del Ministero dell'ambiente e della regione Friuli Venezia Giulia per le Pag. 88opere di bonifica del SIN di Caffaro – Torviscosa della complessiva somma di euro 40.000.000, a servizio di tutte le attività di bonifica in esecuzione del piano operativo di bonifica presentato dalla procedura di amministrazione straordinaria, si può ragionevolmente affermare che, allo stato, vi sono fondi sufficienti per il risanamento ambientale e la riqualificazione industriale dell'area anzidetta.
  Attualmente, è in corso di attivazione il tavolo di coordinamento previsto dal protocollo d'intesa per la definizione e la scrittura dell'accordo di programma, che consentirà di passare alla fase esecutiva degli interventi di bonifica dell'area indicati in dettaglio nel protocollo d'intesa.
  Con riferimento a questa fase, gli uffici dell'ARPA segnalano il ruolo particolarmente attivo che stanno svolgendo i vertici della regione Friuli Venezia Giulia.
  I risultati positivi raggiunti nel risanamento del SIN, ancora oggi, impropriamente denominato Laguna di Grado e Marano, considerato che proprio il territorio lagunare, con la deperimetrazione del 2012, patrocinata dall'ARPA Friuli Venezia Giulia, in persona del direttore dell'ARPA Friuli Venezia Giulia, Luca Marchesi, è stata esclusa dal SIN, che oggi investe solo il territorio del comune di Torviscosa costituiscono un risultato altamente positivo per il risanamento del territorio.
  Significativo è stato l'impegno del commissario straordinario, avvocato Marco Cappelletto, al quale va dato atto di aver resistito agli indebiti tentativi speculatori di Menchini Gianni, nella qualità di commissario delegato per la realizzazione degli interventi necessari per il superamento della situazione di emergenza determinatasi nella laguna di Marano Lagunare e Grado, nonché di Mascazzini Gianfranco, nelle plurime vesti di direttore generale del Ministero dell'ambiente, nonché di membro del comitato tecnico scientifico del «Commissario delegato per l'emergenza socio economico ambientale della laguna di Grado e Marano» e di consulente della Sogesid Spa.
  Ancora, al commissario della procedura di amministrazione straordinaria va dato atto di aver realizzato il principale obbiettivo della procedura e, cioè, quello della cessione del complesso industriale di Torviscosa, di cui si è detto.
  Inoltre, come sopra rilevato, il commissario straordinario ha avuto anche il merito di predisporre il piano operativo di bonifica, che ha costituito la base del protocollo d'intesa, senza alcun onere aggiuntivo per la procedura che, dopo la cessione degli impianti produttivi, da straordinaria è divenuta liquidatoria dei beni, fatti salvi gli interventi formali eventualmente richiesti dalle amministrazioni per l'esecuzione dei lavori.
  Infine, nella vicenda del SIN di «Laguna di Grado e Marano» merita di essere sottolineato che i positivi risultati raggiunti hanno avuto e vedono tuttora la costante presenza sul territorio dell'ARPA e della regione Friuli Venezia Giulia, nonché dei magistrati della procura presso il tribunale di Udine e, in particolare, del procuratore, dott. Antonio De Nicolo, e del sostituto procuratore, dott.ssa Viviana Del Tedesco.Pag. 89
  In conclusione, la vicenda del SIN anzidetto costituisce la riprova che solo la piena e leale collaborazione di tutte le istituzioni interessate rappresenta la strada giusta per conseguire risultati positivi nella bonifica del territorio.

3. SIN di «Brescia – Caffaro»

3.1 La situazione ambientale della provincia di Brescia

  Risulta dalla relazione in data 18 marzo 2015 della provincia di Brescia (doc. 547/2) che, complessivamente, su tutto il territorio provinciale risultano attivi n. 340 procedimenti relativi alla bonifica di siti contaminati, comprendendo sia quelli partiti vigente ex decreto ministeriale 471 del 1999 e sia successivamente quelli in vigenza del titolo V del decreto legislativo n.152 del 2006.
  I procedimenti in corso riguardano varie casistiche, tra cui sversamenti accidentali, bonifiche di aree industriali dismesse, bonifiche di punti vendita carburanti e bonifiche di inquinamenti puntuali e diffusi accertati nelle acque di falda.
  Per quanto riguarda le bonifiche, la situazione è critica, posto che – oltre al sito Caffaro e alla contaminazione pesante di 100 ettari di suolo – la provincia di Brescia ha indicato in 340 i siti attivi, in indagine preliminare o in caratterizzazione o in corso di bonifica (cfr. doc. 457/2).
  Del resto, nella provincia di Brescia numerose sono le cave in esercizio, che sono state abusivamente utilizzate per il deposito di rifiuti solidi urbani e rifiuti pericolosi.
  Inoltre, vi sono attività criminose legate ad attività industriali galvaniche, che hanno contaminato pesantemente l'acqua nell'ordine di grandezza di 400 mila microgrammi/litro di cromo esavalente (ricordiamo che il limite è 5 microgrammi) e con dei pennacchi di contaminazione lunghi chilometri.
  In particolare, vi è una contaminazione diffusa da solventi e da cromo esavalente, sia di carattere storico, sia di attività ancora in essere, lungo tutta la Valtrompia, che scende e impatta tutto il comune di Brescia.
  Ancora, vi sono anche altri focolai di contaminazione da solventi e da cromo nel territorio di Rezzato e, soprattutto, nei territori occidentali della provincia di Brescia, cioè tra questa zona e il fiume Oglio, le cui responsabilità sono da accertare, mentre nell'area di San Polo del comune di Brescia vi è una concentrazione e una contaminazione diffusa dovuta alla ricaduta al suolo delle emissioni di Pops (persistent organic pollutants – inquinanti organici persistenti), legate alle attività di seconda fusione dei metalli, svolta principalmente presso lo stabilimento dell'Alfa Acciai.
  San Polo è la frazione più popolosa del comune di Brescia, con quasi 20 mila abitanti, il cui territorio confina a nord con il capoluogo e a sud, appena oltre la tangenziale, con la frazione di Buffalora.

Pag. 90

3.2 Inquadramento del SIN di Brescia Caffaro e stato della contaminazione

  Nel contesto generale dei siti contaminati una particolare attenzione merita la situazione del sito di interesse nazionale (SIN) di Brescia-Caffaro, dove solo nell'area dello storico stabilimento Caffaro le molteplici indagini ambientali eseguite hanno evidenziato la presenza di decine di milioni di metri cubi di terreno inquinato dalle attività produttive che, a partire dai primi del 1900, sono state esercitate nell'area.
  Tutto è partito da una indagine giornalistica dell'estate 2001, che ha rivelato che nell'area prossima al limite sud del sito aziendale – storicamente occupato dall'unica industria chimica italiana produttrice del PCB (policlorobifenile) fino all'anno 1984 – i terreni agricoli e le acque sotterranee risultavano gravemente inquinate dal principale composto chimico prodotto dall'azienda.
  Si tratta dello stabilimento Caffaro, situato nell'area nord – occidentale del sito di interesse nazionale Brescia Caffaro, occupa complessivamente una superficie di circa 11,6 ettari di cui circa 4 ettari di aree dedicate a piazzale o alla viabilità interna e circa 7 ettari occupate da edifici e strutture impiantistiche.
  L'area anzidetta insiste all'interno del sito di interesse nazionale «Brescia-Caffaro» che, nella perimetrazione ministeriale del 2016, ha un'estensione superficiale di 262 ettari e interessa la falda sottostante per un'area pari a 2.109 ettari.
  Le attività produttive nello stabilimento Caffaro di Brescia hanno inizio nel 1906. Inizialmente nello stabilimento veniva prodotta soda caustica in un impianto di elettrolisi con celle a catodo di mercurio e con produzione contemporanea di cloro, gas e idrogeno. Successivamente nello stabilimento la produzione è stata estesa a una serie di sostanze chimiche destinate ad applicazioni nel settore industriale e agricolo.
  Negli anni ’30, la società Caffaro iniziò, per la prima volta in Italia, la produzione di una serie di cloroderivati organici, inclusi i PCB (policlorobifenili) e il clorocaucciù. Nel 1984 cessa la produzione di PCB.
  I PCB, composti altamente stabili e pochissimo biodegradabili, possiedono una straordinaria capacità di bioaccumulazione nella catena alimentare, per cui anche una minima presenza nel terreno (microgrammi/kg) determina un loro passaggio nei vegetali e quindi negli animali fino all'uomo. I PCB sia per la struttura chimica che per le caratteristiche tossicologiche sono precursori e parenti stretti delle diossine (PCDD/F).
  Tra le aree coperte complessive dello stabilimento, circa la metà è dismessa.
  L'ARPA e l'Istituto superiore di sanità – attraverso l'ASL di Brescia – hanno eseguito analisi sui campioni prelevati dalle matrici ambientali suoli e sulle acque di falda, che hanno confermato l'inquinamento, rilevando altresì pericolose concentrazioni, oltre al PCB, di metalli pesanti, tra cui mercurio, diossine, solventi clorurati (in particolare, trielina, cloroformio e tetracloruro di carbonio).Pag. 91
  Nel 2008, il Ministro dell'ambiente ha firmato i decreti che autorizzano l'esecuzione dei progetti di bonifica di alcune aree pubbliche, i cui interventi erano ritenuti oramai non ulteriormente differibili alla luce del rinvenimento – nel 2007 – di contaminazione da PCB in partite di latte conferito alla centrale del latte di Brescia da 17 stalle, inserite o immediatamente prossime all'area risultata contaminata.
  Nell'anno 2009, l'area è passata sotto la gestione dell'avv. Marco Cappelletto, nella qualità di commissario straordinario del gruppo SNIA in amministrazione straordinaria e tutte le società del gruppo sono state poste in amministrazione straordinaria (Caffaro Chimica Srl in liquidazione e Caffaro Srl in liquidazione), nonché la stessa SNIA Spa in liquidazione, a sua volta, posta in amministrazione straordinaria in data 10 aprile 2010.
  La situazione del territorio della provincia di Brescia si appalesa in tutta la sua complessità, non solo per la presenza del SIN di Brescia Caffaro, come di seguito approfondita, ma anche perché nella provincia insiste il 50 per cento della siderurgia da rottame nazionale, l'80 per cento nazionale delle fonderie da seconda fusione dei rottami d'ottone e il 30 per cento della fusione dell'alluminio, dando origine ad una concentrazione di attività inquinanti che può definirsi storica.
  Di seguito si riporta una sintesi del quadro amministrativo e dello stato avanzamento degli interventi per il SIN di Brescia Caffaro, come da informazioni acquisite dal Ministero dell'ambiente, e integrate con le informazioni acquisite durante le audizioni degli enti e degli organi di controllo e delle altre parti interessate, avvenute a Brescia nei giorni 16 e 17 giugno 2015 davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta.
  Con l'articolo 14 della legge n. 179 del 2002, è stato aggiunto all'elenco dei SIN, di cui alla legge n. 426 del 1998, il sito di «Brescia – Caffaro (aree industriali e relative discariche da bonificare)» e la perimetrazione del SIN è avvenuta con decreto ministeriale 24 febbraio 2003, n. 83.
  Tale inclusione trova la sua motivazione nelle evidenze di contaminazione diffusa da metalli pesanti e policlorobifenili (PCB) riscontrata nel territorio del comune di Brescia, in particolare, in prossimità dello stabilimento Caffaro e, soprattutto, nel rinvenimento di elevate concentrazioni di PCB negli alimenti prodotti nella zona e nel sangue delle persone residenti.
  Come si è detto, l'azienda chimica Caffaro operava nel comune di Brescia, dall'inizio del 1900, nella produzione di vari composti derivati dal cloro ottenuto da un processo elettrolitico (detto clorosoda), che venivano poi avviati alla sintesi di diversi prodotti fra cui, a partire dal 1930 e fino al 1984, i policlorobifenili (PCB). Questi composti, per le loro caratteristiche di stabilità chimica, si sono accumulati nell'ambiente interessando, ad oggi, non solo il comune di Brescia, ma anche altri comuni limitrofi della provincia bresciana. Nel territorio è stata altresì riscontrata la presenza di elevate concentrazioni di diossine e furani, composti che possono generarsi come prodotti secondari indesiderati del ciclo produttivo dei PCB.Pag. 92
  La contaminazione è riconducibile, principalmente, all'uso delle acque superficiali delle rogge, un sistema di canali naturali e artificiali che innervano l'intero sito (per uno sviluppo lineare di circa 50 km).
  Tali acque, fortemente, impattate soprattutto a valle del canale di scarico dello stabilimento Caffaro (il più rilevante in termini di portata, con circa 1.500 mc/h), hanno infatti veicolato la contaminazione non solo all'interno del SIN, ma anche in aree ad esso esterne, a causa dell'utilizzo, in ambito agricolo (su terreni utilizzati per la produzione dei vegetali destinati all'uso zootecnico) sia delle acque stesse, a scopo irriguo, sia dei sedimenti dragati dalle rogge che, in passato, venivano sparsi sui campi, nei quali sono state riscontrate elevate concentrazioni di PCB.
  Inoltre, la contaminazione delle zone esterne allo stabilimento non è solo dovuta alla veicolazione degli inquinanti attraverso le rogge, ma in parte è dovuta anche allo scorrimento della falda sotterranea inquinata, che si origina da sotto lo stabilimento, dal momento che la barriera idraulica della MISE non è in grado di bloccarla completamente, in quanto non è sufficientemente efficace.
  Alla luce di tali evidenze analitiche e in relazione al potenziale pericolo per la salute pubblica, il comune di Brescia ha emesso in data 23 febbraio 2002 una prima ordinanza sindacale, che ha imposto diverse limitazioni all'uso in corrispondenza di un'area di circa 100 ha, compresa tra la linea ferroviaria Brescia Milano a sud e il fiume Mella ad ovest.
  Tali limitazioni sono state reiterate nel tempo, con successive ordinanze, interessando via, via porzioni del territorio comunale sempre maggiori, e sono tuttora in vigore.
  Le ordinanze emanate dal comune di Brescia hanno imposto, fra l'altro, i divieti di:
   utilizzo del terreno (aratura, dissodamento ed ogni altra attività che comporti il contatto diretto con il terreno o l'inalazione di polveri da esso provenienti);
   asportazione e scavo di terreno dalla zona;
   utilizzo a scopo ricreativo che comporti il contatto diretto con il terreno;
   utilizzo dell'acqua fluente nelle rogge;- cura dell'alveo dei fossati;
   pesca nelle rogge;
   allevamento in spazi aperti di animali da cortile destinati all'alimentazione umana;
   pascolo di animali;
   coltivazione di ortaggi destinati all'alimentazione umana.

  Tali divieti hanno provocato un rilevante impatto sulla situazione di tutta l'area bresciana.
  Il decreto del Ministro dell'ambiente del 24 febbraio 2003 ha definito una triplice perimetrazione del SIN di Brescia-Caffaro, che si Pag. 93sviluppa prevalentemente a sud dello stabilimento Caffaro, seguendo il sistema delle rogge e comprende:
   per la matrice ambientale suoli (circa 270 ettari) - l'area oggetto della suddetta prima ordinanza sindacale include aree agricole (circa 100 ettari), aree residenziali (40 ettari), diverse aree pubbliche (tra cui il parco Passo Gavia, l'aiuola di via Nullo, la pista ciclabile di via Milano, il campo sportivo Calvesi), le discariche di via Caprera, numerose aree produttive e dismesse (oltre allo stabilimento Caffaro, le aree ex comparto Milano, Bruschi & Muller, ex CamPetroli ed ex Pietra). Inoltre, all'esterno del comune di Brescia, l'ordinanza sindacale include le discariche «Pianera» e «Pianerino» (comune di Castegnato) e l'ex cava Vallosa (comune di Passirano);
   per la matrice ambientale acque sotterranee - l'ordinanza sindacale comprende un'area più vasta (circa 2.100 ettari) rispetto alla perimetrazione suoli, delimitata sulla base delle evidenze analitiche disponibili di contaminazione della falda;
   il sistema delle rogge a sud dell'area oggetto della predetta ordinanza.

  Inoltre, il comune di Brescia, considerati i livelli di contaminazione da PCB riscontrati nei suoli superficiali della zona a sud (quartiere Chiesanuova) dell'area oggetto della prima ordinanza, ha avanzato la richiesta di estensione della perimetrazione del sito anche a tale area.
  È stata, altresì, rilevata presenza di contaminazione da PCB e diossine/furani su campioni di acque superficiali e di sedimenti prelevati da alcune rogge, che risultano esterne e a valle rispetto all'attuale perimetrazione del SIN e, a tale proposito, ARPA Lombardia e i comuni interessati (Capriano del Colle, Castelmella, Flero e Poncarale) hanno chiesto al Ministero dell'ambiente di ridefinire la perimetrazione del SIN, con l'inclusione delle predette rogge.
  È ancora da segnalare una significativa contaminazione delle acque di falda da cromo totale e cromo VI.
  Invero, ARPA Lombardia, con due successivi studi del 2009 e del 2012, ha individuato una vasta area interessata da tale contaminazione (parzialmente compresa nella perimetrazione del SIN per la matrice falda). Nel dettaglio, l'ARPA ha individuato sei pennacchi di contaminazione, dei quali cinque ricadenti all'interno del SIN (in corrispondenza delle aree Oto Melara, Pietra Curva, Baratti, Forzanini e dell'area a monte idrogeologico del sito Monte Maniva).
  ARPA Lombardia, nel documento che riporta gli esiti dei risultati del monitoraggio delle acque sotterranee del SIN eseguito nel gennaio 2015, ha posto in evidenza come il pennacchio dei PCB, originato dall'area Caffaro, è in realtà più esteso rispetto a quanto determinato nella precedente campagna (giugno 2014). Tale analisi è da imputare, sia a una più fitta e adeguata rete di monitoraggio che ha permesso di intercettare il contaminante a sud del sito Caffaro, sia ad un'evoluzione del pennacchio stesso.
  Infine, va sottolineato che l'ARPA Lombardia esegue il monitoraggio periodico delle acque di falda, mentre l'ASL di Brescia si Pag. 94occupa di monitorare la qualità delle acque prelevate dai pozzi della rete acquedottistica pubblica, per garantire la salvaguardia della salute pubblica.
  Le aree di competenza pubblica sono caratterizzate dalle criticità ambientali evidenziate nella seguente tabella:

Area di competenza pubblica Criticità
Aree agricole (circa 100 ettari) Inquinamento da metalli pesanti,
PCB, diossine/furani
Aree residenziali Inquinamento da metalli pesanti (in particolare arsenico, mercurio, nichel, rame, zinco), pcb, diossine/furani
Aree pubbliche (parco Passo Gavia, aiuola di via Nullo, pista ciclabile di via Milano, campo sportivo Calvesi) Inquinamento da metalli pesanti (in particolare arsenico, mercurio), pcb, diossine/furani
Discarica pianera (comune di Castegnato) discarica pubblica caratterizzata da smaltimento di rsu
Discarica «ex cava Vallosa» (comune di Passirano) discarica caratterizzata da smaltimento di rifiuti urbani e industriali, con contaminazione da pcb delle acque di falda
Discariche di Via Caprera (Comune di Brescia) Oggetto di illecito conferimento di rifiuti speciali, tra i quali numerosi di origine industriale e pericolosi
Rogge Inquinamento prevalente da metalli pesanti, Pcb, diossine/furani
Spedali civili Contaminazione da idrocarburi delle acque di falda

  Sin dal 1983, le strutture di prevenzione sanitaria si sono occupate del problema di contaminazione da PCB (policlorobifenili) e diossine del territorio limitrofo allo stabilimento Caffaro, eseguendo approfondite indagini di tipo epidemiologico e tossicologico, data la presenza all'interno del sito di colture agricole e di aree residenziali e, quindi, del rischio concreto di passaggio dei contaminanti alla catena alimentare.
  In seguito all'analisi dei risultati delle campagne epidemiologiche, l'assunzione di alimenti contaminati ha dimostrato essere la modalità principale di accumulo di PCB nei soggetti indagati.
  Sono stati dimostrati altresì i seguenti fenomeni relativi al PCB:
   a) l'evaporazione e la condensazione nel fieno, il quale resta a contatto diretto con il terreno, limitatamente ad alcuni congeneri di PCB (più volatili);
   b) il deposito, a seconda della tipologia di vegetale, e la ripartizione all'interno dei tessuti;
   c) l'accumulo negli organismi animali, che hanno assunto vegetali contaminati;
   d) l'assunzione da parte dell'uomo, il trasferimento nel flusso ematico e la ripartizione in tessuti e organi.

  L'attività svolta per valutare lo stato di salute dei lavoratori in questi anni ha, infine, posto in luce livelli di PCBemia costantemente elevati nei soggetti, dovuta alla esposizione a composti organo clorurati consistente avvenuta in passato, sebbene oggi in diminuzione.

Pag. 95

3.3 Risorse pubbliche stanziate per il SIN

  Le risorse finanziarie stanziate e trasferite dal Ministero dell'ambiente a favore del sito di interesse nazionale di Brescia Caffaro, fino al mese di giugno 2016, ammontano a complessivi euro 14.769.806.00 così ripartiti:
   1. euro 6.752.727, a valere sui fondi ministeriali del decreto ministeriale n. 308/2006. Il predetto importo è stato trasferito alla regione Lombardia con DD prot. n. 1323 del 14 aprile 2011 e disciplinato nell'accordo di programma del 29 settembre 2009.

  Al predetto accordo di programma è stata data attuazione mediante la sottoscrizione degli atti convenzionali di seguito elencati:
   a) Convenzione Ministero dell'ambiente – regione Lombardia – comune di Brescia – Sogesid Spa (soggetto attuatore) del 24 aprile 2013, il cui valore ammonta a complessivi euro 3.900.000;
   b) Convenzione Ministero dell'ambiente – regione Lombardia – Istituto superiore di sanità (soggetto attuatore) dell'8 maggio 2013, il cui valore ammonta a complessivi euro 100.000;
   c) Convenzione Ministero dell'ambiente – regione Lombardia – ASL di Brescia (soggetto attuatore) del 24 aprile 12013, il cui valore ammonta a complessivi euro 100.000;
   d) Convenzione Ministero dell'ambiente – regione Lombardia – ARPA Lombardia (Soggetto attuatore) del 22 maggio 2013, il cui valore ammonta a complessivi euro 152.727;
  nonché mediante l'attribuzione di:
   e) euro 450.000 al comune di Passirano (Soggetto attuatore degli interventi ricadenti nel proprio territorio comunale);
   f) euro 600.000 al comune di Castegnato (Soggetto attuatore degli interventi ricadenti nel proprio territorio comunale).

  2. euro 1.106.064 risorse ordinarie Ministero dell'ambiente, trasferite alla regione Lombardia con DD prot. n. 4628 dell'8 novembre 2013 e destinate alla prosecuzione degli interventi dì bonifica del SIN di Brescia Caffaro.
  Gli interventi da finanziare con le citate risorse (individuati dalla regione Lombardia quali prioritari) sono i seguenti:
   a) comune di Castegnato: euro 350.450, per il completamento del primo stralcio di interventi sulla discarica Pianera;
   b) comune di Passirano: euro 186.356,71, per il completamento del piano di caratterizzazione dell'area della discarica Vallosa;
   c) SOGESID Spa: euro 500.000.00, a integrazione delle risorse assegnate per la messa in sicurezza di emergenza delle rogge. Al riguardo, si segnala che, in data 1o aprile 2015, è stato sottoscritto, tra il Ministero dell'ambiente, la regione Lombardia, il comune di Brescia e la Sogesid Spa, l'atto integrativo alla Convenzione stipulata Pag. 96in data 24 aprile 2013 (approvato con decreto direttoriale prot. n. 4135/STA del 15 aprile 2015):
   d) ASL Brescia: euro 69.257, 29 per un progetto di valutazione del passaggio di contaminanti nelle produzioni agricole delle aree interessate dall'inquinamento della Caffaro. Sul punto, si segnala che l'utilizzo del citato importo è subordinato alla stipula di una convenzione attuativa da sottoscrivere tra la regione Lombardia e ASL di Brescia.
   3. euro 2.000.000: risorse ordinarie Ministero dell'ambiente, impegnate a favore della regione Lombardia con DD prot. n. 523 del 5 settembre 2014 (risorse tutte trasferite);
   4. euro 1.711.015: risorse stanziate con decreto n. 378 del 21 settembre 2015 a favore del commissario straordinario delegato per la prosecuzione degli interventi di bonifica nel SIN di Brescia Caffaro (risorse tutte trasferite);
   5. euro 1.500.000, risorse impegnate e trasferite con decreto n. 173 dell'8 aprile 2016 a favore del commissario straordinario delegato (destinate alla bonifica Campo Calvesi e dei parchi pubblici di proprietà del comune di Brescia), rinvenienti dalla riprogrammazione del II atto integrativo all'accordo di programma quadro ambiente e energia del 23 dicembre 2008 (risorse tutte trasferite);
   6. euro 1.700.000, risorse stanziate con decreto n. 194 del 21 aprile 2016 a favore del commissario straordinario delegato per la progettazione dell'intervento di messa in sicurezza e bonifica della falda – Stabilimento Canaro nel SIN di Brescia – Caffaro (risorse tutte trasferite).

  Rispetto al totale di euro 14.769.806, interamente trasferiti, risultano impegnati dal soggetto beneficiario euro 6.123.561,71 e spesi euro 1.017.298,52 (fonte: regione Lombardia – Monitoraggio PNB al 31 dicembre 2015, in corso di istruttoria presso il Ministero dell'ambiente).
  La maggior parte delle risorse finanziarie sopra indicate sono state destinate all'esecuzione di interventi di messa in sicurezza/bonifica di alcune aree pubbliche e private, ubicate nel comune di Brescia, impattate dalla contaminazione delle matrici ambientali (suoli, acque di falda, sedimenti, acque superficiali) riconducibile alle attività produttive Caffaro, tra le quali:
   le rogge, per una lunghezza pari a circa 3.700 metri (soggetto attuatore: Sogesid); si segnala che, per quanto concerne le rogge, è stata eseguita in passato la caratterizzazione dei tratti di competenza della società Caffaro;
   il parco Passo Gavia e la pista ciclabile di via Milano (soggetto attuatore: Sogesid);
   le aree private residenziali (soggetto attuatore: Sogesid);
   le aree agricole (soggetto attuatore: E.R.S.A.F. – Ente regionale per i servizi all'agricoltura e alle foreste);
  nonché ad ulteriori interventi quali:
   le valutazioni epidemiologiche e le attività di biomonitoraggio e monitoraggio delle matrici alimentari (soggetto attuatore: ASL di Brescia e ISS);Pag. 97
   il monitoraggio dell'aria e delle acque di falda (soggetto attuatore: ARPA Brescia).

  Gli interventi complessivamente previsti dall'accordo di programma sopracitato sono di seguito riportati:

Attività
1) Studio di fattibilità per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda e Progettazione preliminare e definitiva degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda.
2) Avvio degli interventi di messa in sicurezza e progettazione della bonifica:
   a) delle rogge ricomprese nel perimetro del SIN di Brescia-Caffaro;
   b) dei terreni delle aree di proprietà pubblica nel comune di Brescia;
   c) dei terreni delle aree agricole nel comune di Brescia;
   d) dei terreni delle aree private residenziali nel comune di Brescia.
3) Progettazione degli interventi di messa in sicurezza permanente della discarica Vallosa; realizzazione e prosecuzione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda.
4) Progettazione degli interventi di messa in sicurezza permanente della discarica Pianera; realizzazione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda.
5) Caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica dell'area di Pianerino*.
*Intervento successivamente sospeso per titolarità privata dell'area.
6) Monitoraggio dell'aria nel comune di Brescia e della qualità delle acque di falda nell'intero sito di interesse nazionale.
7) Valutazioni epidemiologiche e attività di biomonitoraggio e monitoraggio delle matrici alimentari.

  Con D.I. del 17 giugno 2015 n. 178, registrato alla Conte dei conti il 31 agosto 2015, il dottor Roberto Moreni è stato nominato «Commissario straordinario delegato ai sensi dell'articolo 4-ter, comma 2, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, e dell'articolo 20 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2 ed allo stesso sono attributi i poteri necessari per coordinare, accelerare e promuovere la progettazione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica nel sito contaminato di interesse nazionale «Brescia – Caffaro», come precisati al comma 2».
  In data 13 ottobre 2015, il comitato tecnico di indirizzo e controllo previsto dall'accordo di programma, convocato dal commissario Moreni, ha operato una ricognizione generale degli interventi finanziati e ha disposto una ricollocazione dei finanziamenti.
  Il commissario Moreni, con nota del 15 ottobre 2015, ha comunicato alla Sogesid Spa la sospensione degli interventi di cui alle lettere D (parte del parco Passo Gavia e tratto della pista ciclabile), F (giardini delle abitazioni private) e G (discariche di via Caprera) dell'accordo di programma del 29 settembre 2009.
  Come si è sopra rilevato, con decreto n. 194 del 21 aprile 2016, il Ministero dell'ambiente ha stanziato risorse pari a euro 1.700.000 in favore del commissario straordinario per la progettazione dell'intervento di messa in sicurezza e bonifica della falda – Stabilimento Caffaro nel SIN di Brescia – Caffaro (risorse tutte trasferite).Pag. 98
  È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il bando di gara per gli interventi di messa in sicurezza bonifica del sito Caffaro di Brescia, che prevede l'affidamento del servizio di progettazione di fattibilità tecnica ed economica per i seguenti interventi:
   Lotto 1) messa in sicurezza di emergenza e bonifica/messa in sicurezza permanente delle acque sotterranee presso lo stabilimento della Caffaro a Brescia;
   Lotto 2) bonifica/messa in sicurezza permanente del suolo e del sottosuolo dello stabilimento della Caffaro a Brescia.

  Nella nota del Ministero dell'ambiente, di cui al prot. n. 5278, in data 19 dicembre 2016 (doc. 1657/2 ), si rappresenta che si è in attesa dell'individuazione del vincitore del bando di gara.
  A sua volta, il comune di Brescia, con risorse proprie, ha avviato la caratterizzazione del campo sportivo «Calvesi», nonché le attività di bonifica dei suoli delle seguenti aree pubbliche, con contaminazione riconducibile alle attività produttive Caffaro:
   Aiuola di Via Nullo;
   Scuola materna Passo Gavia e Scuola Elementare Divisione Acqui in Via Passo Gavia.

  Per quanto riguarda lo stabilimento Caffaro si segnala che la caratterizzazione dei suoli e delle acque di falda è stata eseguita tra il 2004 ed il 2006.
  In relazione alle restanti aree private si segnalano i seguenti interventi.
  In molte aree private è stato presentato, approvato e attuato il piano di caratterizzazione da parte del soggetto titolare.
  In alcune aree sono stati adottati interventi di messa in sicurezza della falda mediante emungimento e trattamento/smaltimento (Basileus Spa, stabilimento Oto Melara); per alcune aree è stata richiesta l'attivazione/implementazione di interventi di messa in sicurezza (Basileus Spa, area ex «Forzanini»).
  Per le seguenti aree (pubbliche e private) è stato emanato il decreto di approvazione del progetto di bonifica (suoli e/o acque di falda):
   area «Comparto Milano» (Consorzio Comparto Milano);
   area «ex Pietra» (società Aventis Immobiliare Srl);
   area Case del Sole (società Finsibi Spa);
   sito ex-CAM Petroli (Progetto trasmesso dalla società P.M.B. Costruzioni);
   area della Dotti Leandro Srl;
   stabilimento Baratti (in corrispondenza del quale è stato individuato un pennacchio di contaminazione delle acque di falda da Cromo IV);
   aiuola di Via Nullo;Pag. 99
   scuola materna Passo Gavia e scuola elementare divisione Acqui;
   area T.G.F. Srl;
   stabilimento Oto Melara.

  Risulta già completata e certificata la bonifica dei suoli delle aree:
   area «ex Pietra» (società Aventis Immobiliare Srl);
   area «Comparto Milano» (Consorzio Comparto Milano);
   area Case del Sole (società Finsibi Spa).

  In conclusione, dei fondi trasferiti alla regione Lombardia e ai comuni interessati (sul punto è sufficiente ricordare che, tra l'altro, già in data 24 aprile 2013, è stata stipulata una convenzione tra Ministero dell'ambiente, regione Lombardia, comune di Brescia, Sogesid spa quale soggetto attuatore, convenzione, il cui valore ammonta a complessivi euro 3.900.000), su cui vi è l'attenzione anche del commissario straordinario, nominato in data 17 giugno 2015, delegato alla messa in sicurezza e alla bonifica del sito, chiamato a controllare anche gli interventi e le spese del ripristino e di bonifica, di tali fondi dunque, fino alla data del 31 dicembre 2015, risultavano impegnati dal soggetto beneficiario euro 6.123.561,71 e spesi euro 1.017.298,52, rispetto al totale di euro 14.769.806, interamente trasferiti dal Ministero dell'ambiente.

3.4 Lo stato MISE (messa in sicurezza d'emergenza) dell'area dello stabilimento Caffaro

  Con contratto in data 7 marzo 2011, rep. 1453 racc. 1063 del notaio Laura Rigonat, la società New Co Brescia Spa, in persona dell'amministratore unico Donato Todisco (da novembre 2014 Caffaro Brescia Srl), appartenente al gruppo Caffaro Finanziaria (ex SCEF Finanziaria Srl) – in cui, come si è detto a proposito della vendita del complesso aziendale del SIN di Torviscosa, erano presenti, oltre a Donato Todisco, Francesco Bertolini e Antonio Fedeli – ha acquisito in proprietà dal Commissario della Caffaro Chimica Srl in liquidazione, in amministrazione straordinaria, al prezzo di 200 mila euro, gli impianti produttivi del complesso aziendale di Brescia ed è inoltre subentrata, come locataria, per la durata di anni sei, al canone annuo di euro 30.000,00 nella detenzione di alcuni immobili e aree e, come comodataria, nella detenzione di impianti elettrici, che manutiene in via sia ordinaria, sia straordinaria (cfr. doc. 2186/2 e 2186/5).
  L'operazione è stata accompagnata dall'assunzione, a carico dell'acquirente, dell'obbligo di pompaggio della falda.
  Successivamente, il gruppo SCEF è venuto meno e oggi la Caffaro Brescia Srl è passata sotto il controllo dalla Fin Todisco di Donato Todisco.
  Pertanto, la cessionaria è divenuta proprietaria dello stabilimento e si avvale anche di alcuni immobili concessi in locazione commerciale Pag. 100da parte della società Caffaro Srl in amministrazione straordinaria («Caffaro») per esercitare la attività aziendale.
  Nella specie, la Caffaro Brescia Srl produce una vasta gamma di sostanze chimiche: cloro, soda, prodotti per la depurazione delle acque, per l'industria delle vernici e, inoltre, antiparassitari, fertilizzanti e terre decoloranti.
  La Caffaro Brescia, in persona dell'allora amministratore delegato, Donato Todisco, con nota del 17 maggio 2013, ha ritenuto di precisare di «essere proprietaria degli impianti produttivi ma non del suolo, di proprietà della procedura di amministrazione straordinaria della Caffaro Chimica Srl».
  Si tratta di un dato pacifico, che certamente non fa venire meno le obbligazioni assunte dalla società acquirente nel contratto di compravendita (rep. n. 1.453 del 7 marzo 2011), che prevedono l'attuazione del piano industriale concordato, per la durata di un biennio, a decorrere dalla stipula del contratto, e la prosecuzione degli interventi di «messa in sicurezza d'emergenza» (MISE), come specificato all'articolo 9 del contratto, che disciplina la «Gestione degli oneri ambientali e garanzia per azioni di terzi» e che prevede l'impegno della società Caffaro Brescia a proseguire senza soluzione di continuità e a mantenere in efficienza le opere e gli interventi di messa in sicurezza d'emergenza, a propria cura e spese, nonché a mantenere operativo l'emungimento alle portate attuali, assicurando il mantenimento del barrieramento idraulico.
  Peraltro, sul punto, è intervenuta anche la dottoressa Silvia Bonardi, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brescia, titolare di un procedimento penale a carico della Caffaro Brescia Srl, concernente l'efficienza e l'adeguatezza della MISE (messa in sicurezza d'emergenza) dell'area occupata dallo stabilimento industriale, attualmente gestito dalla società.
  Ebbene, la dottoressa Bonardi, nel corso dell'audizione del 16 giugno 2015, ha ribadito la piena validità ed efficacia dell'impegno assunto dalla società, all'atto dell'acquisto degli impianti, di attuare la messa in sicurezza d'emergenza, al fine di evitare che il PCB vada a toccare e inquinare la falda sottostante.

3.4.1 La barriera idraulica

  Allo stato, la MISE (messa in sicurezza d'emergenza) consiste in un sistema di emungitura di sette pozzi, con trattamento delle acque che vengono emunte dai pozzi e finiscono nella cosiddetta roggia Fiumicella, un canale artificiale realizzato a fini irrigui e per l'alimentazione delle industrie presenti a sud della Caffaro.
  Per quanto riguarda la barriera idraulica, va detto che, pur essendo stati eseguiti degli interventi per potenziarla nel corso del tempo, l'attuale barriera non è stata studiata e realizzata con la finalità del barrieramento idraulico, cioè, con la finalità di limitare la propagazione degli inquinamenti verso valle.
  Viceversa, è accaduto che sono stati utilizzati pozzi già esistenti con diverse profondità, con diverse portate e con la captazione di livelli di falda differenti.Pag. 101
  Di conseguenza, preso atto del fatto che l'attuale barriera idraulica è inidonea a fermare la propagazione degli inquinanti verso valle, ne deriva l'impellente esigenza di studiare una nuova e diversa barriera idraulica idonea, che possa da una parte ridurre i costi di emungimento e trattamento e, dall'altra, avere una geometria e caratteristiche tecniche adatte allo scopo.
  Tutto ciò precisato, va detto che, allo stato, la Caffaro Brescia Srl provvede alla gestione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda attivi presso il sito, con un costo annuo di gestione stimato in euro 1.000.000 e che, nel mese giugno 2013, la società ha integrato i sistemi di trattamento delle acque di falda emunte, che vengono successivamente scaricate in corpo idrico superficiale (rogge).
  Attualmente, l'acqua di falda inquinata sottostante lo stabilimento viene pompata con sette pozzi, che hanno una portata complessiva di circa 1.500 mc/h, ad opera della Caffaro Brescia Srl che, come si è detto, ha acquisito il ramo d'azienda. Il pompaggio, nelle intenzioni, persegue la finalità di creare una barriera, volta a evitare che le acque di falda inquinate fluiscano dallo stabilimento verso valle, così inquinando anche le falde fuori dallo stabilimento, situate a valle dello stesso.
  Tuttavia, allo stato, l'acqua della barriera, una volta pompata ed estratta dai pozzi, viene successivamente utilizzata come acqua di raffreddamento e di processo nelle produzioni della nuova attività svolta nello stesso stabilimento industriale e che viene riversata in roggia senza trattamento alcuno.
  A questo punto, va detto che, nell'ambito del procedimento penale sopra menzionato, è stata disposta una consulenza tecnica, da parte dell'ufficio del pubblico ministero, che ha accertato delle gravi criticità nella MISE, come viene adesso attuata, e ha verificato l'esistenza di continui superamenti del PCB delle acque di emungitura dei pozzi che finiscono nella roggia Fiumicella.
  In particolare – come si è sopra accennato – risulta acclarato che l'acqua pompata dai sette pozzi, dopo l'utilizzo anzidetto (principalmente, come acqua di raffreddamento), da parte della Caffaro Brescia Srl, viene scaricata ancora inquinata nella roggia Fiumicella, ad eccezione dell'acqua emunta dal pozzo n. 7, che viene trattata con carboni attivi e disinquinata dal PCB e dai solventi clorurati, ma questo solo per la portata di 400 mc/h, rispetto a quella totale di 1.500 mc/h.
  In particolare, per il pozzo n. 7, il trattamento è completo e riguarda anche gli altri inquinanti (mediante assorbimento su carboni attivi, per la rimozione dei PCB e organo-clorurati; resine a scambio ionico, per la rimozione del mercurio; stripping e successivo trattamento aria con filtro a carboni per l'abbattimento solventi clorurati).
  In conclusione, l'acqua proveniente dagli altri sei pozzi, per circa 1.100 mc/h, non viene trattata né ai fini dell'eliminazione del PCB, né ai fini dell'eliminazione dei solventi clorurati, ma viene scaricata nella roggia Fiumicella, insieme ai 400 mc/h trattati, per la portata totale sopra indicata di 1.500 mc/h, quale scarico industriale da parte della società Caffaro Brescia Srl.Pag. 102
  Viene effettuato anche un trattamento sul pozzo n. 2, ma limitatamente solo all'eliminazione del mercurio (mediante resine a scambio ionico), mentre sugli altri inquinanti non viene effettuato nessun trattamento.
  Infine, come ha riferito, la direttrice del bi-dipartimento di Brescia e Mantova, Luisa Pastore, nel corso dell'audizione dell'8 maggio 2017, non vi sono appositi trattamenti per l'abbattimento del cromo 6 e dei solventi clorurati, anche se questi contaminanti vengono riscontrati nell'ambito del SIN, e tra l'altro sul cromo 6 anche dagli ultimi monitoraggi sembra esservi ancora un contributo da tenere in considerazione nell'ambito dello stabilimento.
  In conclusione sul punto, per le acque emunte dai restanti pozzi, al momento, non viene attuato alcun trattamento a monte del riutilizzo.
  Con le modalità sopra descritte, l'acqua scaricata senza un completo trattamento e, dunque, ancora inquinata viene immessa nel reticolo di rogge a valle del sito Caffaro, con la conseguenza che la stessa continua a contaminare sia le acque superficiali, sia i sedimenti delle rogge di un territorio di valle per circa 22 Km, estendendosi addirittura anche oltre l'area della perimetrazione attuale del SIN.
  Questa veicolazione dell'inquinamento è quella principale e potrà cessare soltanto se e quando tutto lo scarico della società Caffaro Brescia Srl – costituito dalle acque inquinate estratte con la barriera idraulica per l'intera portata di 1.500 mc/h (pari a milioni di tonnellate di acqua inquinata all'anno) – sarà trattato con carboni attivi, fino a raggiungere il valore di concentrazione di PCB previsto per le acque di falda dal titolo V della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006, il cui limite è 0,01 μg/l, così attuando il disinquinamento dell'area.
  L'altra fonte di contaminazione delle aree a valle dello stabilimento è la falda sotterranea.
  Ciò avviene perché, in realtà, la barriera idraulica sopra descritta non è efficace e non ferma completamente il flusso di acqua sotterranea, consentendo all'inquinamento di spostarsi verso valle.
  Sicuramente, l'inquinamento è destinato a proseguire, poiché la causa dell'inquinamento della falda trova le sue origini presso lo stabilimento ed è costituita dal terreno contaminato dello stabilimento stesso, che viene dilavato dalle piogge con conseguente costante inquinamento della falda.
  Appare, quindi, evidente che, se non si interviene a disinquinare il terreno dello stabilimento, l'inquinamento dell'intero SIN è destinato a non cessare mai. Comunque, allo stato, è necessario potenziare il sistema di barriera della falda per bloccarla con efficacia e, contemporaneamente, intervenire per depurare in modo completo gli scarichi dello stabilimento recapitanti nella roggia Fiumicella.
  In tale contesto, la provincia di Brescia – ente che ha rilasciato alla Caffaro Brescia Srl l'autorizzazione allo scarico nell'ambito dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) – con atto n. 152355 del 29 dicembre 2015, notificato il 7 gennaio 2016 (doc. 1171/2) ha emesso, sulla base della conferenza dei Servizi del 9 dicembre 2015, un provvedimento di modifica dell'AIA, con il quale ha fissato i limiti per il PCB che la Caffaro Brescia deve rispettare allo scarico, Pag. 103determinandone il valore alla concentrazione nella misura di 0,02 μg/l, come media annuale (12 misurazioni mensili) e ha chiesto di implementare la MISE, con l'incremento del pompaggio delle acque. Per il parametro mercurio, la provincia di Brescia ha chiesto il mantenimento dell'efficienza di abbattimento per il sistema a resine esistente al pozzo n. 2 e parzialmente al pozzo n. 7, al di sopra dell'85 per cento, indicando quale valore obiettivo allo scarico S2 (lo scarico della Caffaro Brescia Srl nella roggia Fiumicella) quello stabilito dalla tabella 1/B dell'allegato 1 alla parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, pari a 0,5 μg/l.
  Inoltre, per quanto riguarda i parametri tetracloruro di carbonio e tetracloruro di etilene, la provincia di Brescia ha chiesto alla Caffaro Brescia Srl di trasmettere una proposta tecnica per la loro gestione.
  Infine, la provincia ha chiesto alla Caffaro Brescia Srl di predisporre un «progetto» per il trattamento delle acque della barriera idraulica emunte dai 6 pozzi, che attualmente non sono ancora disinquinati (si ricorda che solo il pozzo n. 7, dei sette pozzi che compongono la barriera idraulica, è attualmente trattato per abbattere il PCB, il mercurio e i solventi clorurati, mentre il pozzo n. 2 abbatte solo il mercurio).
  A sua volta, il Ministero dell'ambiente, con nota prot. 0001265/STA del 27 gennaio 2016, ha chiesto alla società Caffaro Brescia Srl, gestore delle attività produttive dello stabilimento, con la massima urgenza e comunque entro e non oltre 30 giorni, un riscontro alle richieste di implementare l'efficacia idrochimica e l'efficienza idraulica della barriera esistente e di trasmettere l'aggiornamento della modellazione idraulica (doc. 1171/3).
  Con la stessa nota, inoltre, il Ministero ha chiesto alla società anche di prevedere il trattamento delle acque emunte dal pozzo n. 2, con l'abbattimento del Cromo VI (cromo esavalente), e di integrare la configurazione della barriera idraulica prevedendo l'emungimento (e il successivo trattamento) delle acque di falda dal piezometro n. 10, limitrofo alla sorgente di contaminazione da Cromo VI.
  Infine, il Ministero ha chiesto ad ARPA Brescia di valutare, sulla base dei risultati dei monitoraggi delle acque di falda, la necessità che le acque emunte dai pozzi n. 3, 4, 5 e 6 siano inviate a sistemi di trattamento, prima del loro riutilizzo negli impianti produttivi, nel rispetto di quanto stabilito dall'articolo 243 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Entrambi i provvedimenti – emessi anche sulla base delle comunicazioni del Ministero dell'ambiente prot. n. 13121 del 31 agosto 2015 e n. 17592 del 5 novembre 2015 – hanno l'obiettivo di ridurre l'inquinamento presente nelle acque di falda impiegate dalla Caffaro Brescia nei suoi processi e poi veicolate nelle acque superficiali costituite dal reticolo delle rogge.
  La novità introdotta con questi ultimi atti è che l'attenzione è stata spostata dalla Caffaro in amministrazione straordinaria alla Caffaro Brescia Srl, che attualmente gestisce lo stabilimento.
  Avverso questi due ultimi provvedimenti la Caffaro Brescia Srl ha presentato ricorso al TAR Lombardia – Sez. Brescia (doc. 1962/2 e doc. 1962/3).Pag. 104
  In particolare, in data 8 febbraio 2016, la società ha proposto ricorso contro le prescrizioni della provincia di Brescia impartite con l'atto del 29 dicembre 2015 (RG n. 264/16) e, in data 24 marzo 2016, contro le prescrizioni del Ministero dell'ambiente impartite con la nota del 27 gennaio 2016 (RG n. 420/16). Entrambi i ricorsi non risultano ancora decisi.
  Le motivazioni dei ricorsi si basano sul fatto che la Caffaro Brescia Srl, non essendo il soggetto che ha causato l'inquinamento, non avrebbe l'obbligo di intervenire per effettuare la bonifica.
  A riprova di ciò, la Caffaro Brescia Srl nei ricorsi proposti illustra cronologicamente tutti gli atti emessi dal Ministero dell'ambiente relativi alle richieste di bonifica del sito, che sono indirizzati a Caffaro Srl in amministrazione straordinaria, e non all'attuale gestore dello stabilimento, facendo presente, inoltre, che Caffaro Brescia Srl non è mai stata invitata alle conferenze di servizio indette dal Ministero sull'argomento.
  Tuttavia, ritiene questa Commissione di inchiesta che la Caffaro Brescia Srl, attuale gestore degli impianti produttivi del sito, abbia l'obbligo di effettuare gli interventi richiesti dalla provincia di Brescia e dal Ministero dell'ambiente con i due documenti sopra richiamati, a fronte dei precisi impegni contrattuali assunti con i contratti di acquisto e di affitto, stipulati in data 7 marzo 2011, in forza dei quali si è impegnata a gestire in efficienza la barriera idraulica e il trattamento delle acque da essa emunte, poi reimpiegate nella misura del 98 per cento circa per il raffreddamento e per il restante 2 per cento circa nei processi produttivi. Tali acque, dopo il loro utilizzo, vengono scaricate nella roggia Fiumicella.
  Appare da ciò evidente che le acque inquinate dalla falda, dopo l'impiego, diventano uno scarico industriale dello stabilimento gestito da Caffaro Brescia Srl.
  Non a caso – di regola – la gestione delle acque impiegate nei processi industriali e la gestione degli scarichi rientrano nell'AIA per l'attività industriale, rilasciata alla società che gestisce gli impianti produttivi.
  Di conseguenza, non v’è dubbio che la gestione attuale delle acque deve essere a carico alla società Caffaro Brescia Srl, che gestisce lo stabilimento ed è titolare dell'AIA, che comprende, appunto, le prescrizioni sugli scarichi industriali che originano dalle acque impiegate nei processi produttivi, acque che – nel caso di specie – provengono dalla barriera idraulica.
  Spetta, quindi, alla società Caffaro Brescia Srl, attuale gestore dello stabilimento, attuare gli interventi di disinquinamento delle acque di falda utilizzate e gli interventi necessari per la gestione efficace della barriera idraulica, in forza sia degli impegni presi con il contratto di acquisto degli impianti produttivi dello stabilimento e sia della responsabilità che deriva dalle norme ambientali che obbligano la società a gestire l'attività produttiva senza produrre danni all'ambiente.
  Altro discorso riguarda la bonifica definitiva del terreno inquinato e delle acque di falda dello stabilimento che spetta al soggetto responsabile che ha provocato l'inquinamento, e cioè alla società Caffaro Srl e Caffaro Chimica Srl e, conseguentemente, ora che essa Pag. 105versa in amministrazione straordinaria, alla società SNIA Spa, anch'essa in amministrazione straordinaria, e quindi al gruppo di banche che hanno il controllo della SNIA.
  Su quest'ultimo punto, va detto che la conferenza di servizi decisoria del 26 giugno 2013 ha chiesto alla procedura in amministrazione straordinaria (gruppo SNIA in amministrazione straordinaria) di trasmettere la revisione dell'analisi di rischio, la revisione del progetto preliminare di messa in sicurezza operativa delle acque di falda e il progetto operativo di bonifica dei suoli, ma la procedura ha comunicato l'impossibilità di procedere alla bonifica del sito, per mancanza di risorse finanziarie.

3.5 Le ultime analisi dell'ARPA

  Per quanto riguarda la barriera idraulica, la direttrice del bi-dipartimento di Brescia e Mantova, Luisa Pastore, nel corso dell'audizione in data 8 maggio 2017, ha riferito che vengono prelevate le acque dai sette pozzi e che, come sopra riferito, solo per due di questi, il pozzo n. 2 e il pozzo n. 7, vi sono dei trattamenti specifici, uno per il solo mercurio (pozzo n. 2) e un altro per il PCB, i solventi clorurati e il mercurio (pozzo n. 7).
  Ciò in considerazione del fatto che questi ultimi due pozzi sono collocati proprio su aree in cui i suddetti contaminanti erano particolarmente significativi, mentre nelle aree in cui sono collocati gli altri pozzi non vi sarebbero livelli di contaminazione importanti.
  In particolare, nell'area del pozzo n. 7 era collocato il reattore di produzione del PCB, sicché l'inquinamento del terreno raggiunge i 40 metri di profondità (cfr. resoconto del 9 maggio 2017, audizione assessore all'ambiente di Brescia, Gianluigi Fondra).
  Rimane fermo il fatto che la società Caffaro Brescia Srl è obbligata al trattamento anche delle acque prelevate dagli altri pozzi, pur se la società afferma di utilizzare l'acqua per la produzione solo nella misura del 70 per cento, mentre la differenza verrebbe emunta solo per tenere bassa la falda.
  Nell'anno 2011, a seguito di un innalzamento della falda, era stato chiesto alla Caffaro di implementare il pompaggio del pozzo n. 7 e, a seguito di tale implementazione, era stato verificato che l'efficacia dei sistemi di trattamento non era più adeguata per i quantitativi di acqua che erano quasi raddoppiati, sicché era stato implementato il sistema di trattamento con il raggiungimento dei livelli di abbattimento precedenti al raddoppio dell'emungimento.
  Attualmente, la questione, ancora in fase di discussione, riguarda i limiti allo scarico della Caffaro, soprattutto, per PCB e mercurio, posto che i limiti allo scarico del PCB non sono normati, dal momento che ne era vietato l'uso nei processi produttivi, con la conseguenza che quindi di fatto nello scarico i PCB non dovrebbero essere presenti. Viceversa, per quanto riguarda il mercurio, il limite allo scarico è presente nella tabella 3 dell'allegato 5, parte terza, decreto legislativo n. 152 del 2006, ma la provincia di Brescia ha chiesto alla Caffaro Brescia Srl una riduzione del suo valore, indicando quello stabilito Pag. 106dalla tabella 1/B dell'allegato 1, parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, pari a 0,5 μg/l.
  Tuttavia, la situazione della Caffaro è particolare, in quanto nel caso di specie le acque anzidette rivestono una doppia funzione, posto che, per un verso, sono prelevate e trattate come acque di falda contaminate il cui flusso deve essere fermato verso valle e che, per altro verso, entrano anche in un processo produttivo e, quindi, i limiti vengono definiti come scarico industriale.
  In una prima fase, tali acque, scaricate all'unico punto di scarico nella roggia artificiale Fiumicella, erano state individuate come acque di falda e, quindi, i limiti definiti erano legati ai limiti delle acque di falda.
  Viceversa, successivamente, sono state equiparate a scarico industriale e, quindi, i limiti fissati nell'ambito dell'AIA sono quelli delle tabelle di riferimento per gli scarichi industriali.
  È evidente che sussiste la necessità di stabilire un limite per tali sostanze. In particolare, non solo per il PCB, che non è normato nella tabella 3 del decreto legislativo n. 152 del 2006, ma anche per il mercurio che, pur avendo un limite nella tabella anzidetta, merita qualche riflessione sull'opportunità di abbassarne il valore.
  La provincia in questa fase ha chiesto all'Istituto superiore di sanità una valutazione su quale sia il limite più idoneo da stabilire allo scarico, come risulta dal verbale della conferenza di servizio AIA provincia di Brescia del 28 febbraio 2017, contenuto per estratto nel doc. 1963/1.
  Queste acque poi vengono scaricate nel cavo artificiale Fiumicella, senza alcun trattamento finale, ma solo con una regolazione del PH ed eventualmente con operazioni di disoleatura.
  In realtà, il problema non è tanto il fatto che viene rispettato il limite allo scarico, quanto il fatto che il quantitativo di sostanze immesse complessivamente in un anno in questa roggia è molto elevato poiché, venendo emunta una quantità di acqua rilevante – pur rispettosa del limite allo scarico – è molto elevato il quantitativo totale della sostanza che viene immessa.
  Per tale ragione, l'ARPA ha richiesto all'Istituto superiore di sanità di individuare un limite diverso dal mero rispetto del limite di tabella 3 per il mercurio.
  La preoccupazione dell'ARPA, che ha sollecitato una conferenza di servizi, è quella di valutare il fatto che, non essendovi alcun trattamento delle acque, vengono immessi annualmente nella roggia (stime del 2015) 200 chili anno di solventi clorurati, 280 chili anno di cromo esavalente, un quantitativo rilevante, sebbene nel rispetto dei limiti, ma che ha un vizio di origine, poiché parte da un quantitativo emunto di 13 milioni di metri cubi anno.
  Inoltre, dalle verifiche di ARPA è emerso che non sempre tutti i pozzi sono attivi, in quanto spesso vi sono delle variazioni nei prelievi, alcuni pozzi sono addirittura spenti e, quindi, l'acqua non viene prelevata del tutto.
  E, tuttavia – ha concluso la dottoressa Pastore – non può essere affermato che Caffaro Brescia Srl non stia facendo nulla, nel senso che comunque sta garantendo la gestione dell'attuale barriera idraulica Pag. 107e, pertanto, non può affermarsi che la società sia completamente inattiva.
  Quello che la società non ha fatto è non solo la progettazione e la rivisitazione della barriera (alla quale, peraltro, la Caffaro Brescia Srl è completamente disinteressata, dal momento che, come ha riferito l'amministratore delegato Quadrelli, la produzione industriale sarà trasferita a Bussi entro il 2019 e lo stabilimento di Brescia verrà chiuso e smantellato), quanto soprattutto il fatto che la società non ha eseguito i monitoraggi sui piezometri, avendoli fatti regolarmente nel 2015, ma non nel 2016, anno nel quale ha eseguito una sola campagna, e nessun monitoraggio nell'anno in corso.
  Di conseguenza, l'ARPA nella relazione in atti (doc. 1939/2) ha ipotizzato anche un impedimento al controllo con questa azione di assenza del contributo sul monitoraggio che l'azienda dovrebbe dare.
  Infine, la dottoressa Pastore ha concluso, affermando che, in ogni caso, il problema è quello di ridisegnare la barriera, proprio, allo scopo di scongiurare e garantire, per un verso, che non vi siano trasferimenti di inquinanti verso valle e, per altro verso, che tutte le acque della barriera idraulica vengano trattate.
  Peraltro, se venisse realizzata una barriera idraulica con la giusta configurazione, si andrebbe anche a mirare meglio il trattamento delle acque stesse.
  La situazione, comunque, rimane immutata nella sua gravità di passività ambientale e del conseguente danno che sta provocando all'ambiente.
  I risultati degli ultimi monitaroggi delle acque di falda effettuati dall'ARPA di Brescia nelle ultime campagne di settembre, ottobre e dicembre 2016, all'interno e in prossimità del sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro, come riportati nella relazione di ARPA del mese di maggio 2017, pongono in evidenza che la falda è ancora inquinata e confermano, altresì, che l'attuale barriera idraulica è inefficace e non riesce a bloccare la veicolazione degli inquinanti, che si trasferiscono verso valle, a partire dallo stabilimento industriale (doc. 2125/2).

3.6 Ulteriori problematiche

  Nella criticità della situazione, come sopra rappresentata, la Caffaro Brescia Srl, nel mese di gennaio 2015, ha comunicato al Ministero dell'ambiente la propria intenzione di cessare la produzione presso lo stabilimento, motivata dagli alti costi sostenuti per l'approvvigionamento energetico, con la delocalizzazione della produzione.
  Invero, secondo l'allora amministratore delegato della società, Donato Todisco, l'impianto è fortemente energivoro, considerato che il costo dell'energia arriva a coprire una percentuale di quasi la metà dei costi totali di produzione, rendendo la produzione a Brescia non più competitiva e sostenibile.
  Di conseguenza, nel mese di marzo 2016, Caffaro Brescia Srl ha dato disdetta dei contratti di comodato d'uso (che prevede la Pag. 108manutenzione ordinaria e straordinaria di alcuni macchinari) e di locazione di alcuni immobili del sito.
  Ritiene il Ministero dell'ambiente, nella nota di cui al prot. n. 5278 in data 19 dicembre 2016 (doc. 1657/2) che, alla luce del grave stato della contaminazione del suolo insaturo e delle acque di falda sottostanti l'area dello stabilimento e ai fini della tutela dell'ambiente e della salute pubblica, risulta necessario che, ove fosse confermato lo scenario prospettato da Donato Todisco, un altro soggetto subentri nella gestione, tecnica ed economica, della barriera idraulica attiva come presidio di messa in sicurezza di emergenza.
  Invero, gli impatti negativi che l'abbandono del sito industriale da parte di Caffaro Brescia Srl comporta sotto il profilo ambientale sono stati sottolineati sia dalle diverse amministrazioni coinvolte nel procedimento sia nel corso di conferenze di servizi e riunioni tecniche (riunione in data 24 giugno 2015, presso la sede della delegazione della regione Lombardia in Roma, e conferenza di servizi istruttoria del 23 febbraio 2016), sia dalle note trasmesse dai diversi soggetti coinvolti nel procedimento (si ricordano le note di regione Lombardia e del commissario straordinario).
  In merito alla possibile delocalizzazione della Caffaro Brescia Srl dal sito di Brescia e al connesso problema occupazionale in data 18 marzo 2016, si è svolta una riunione, convocata dal Ministero dello sviluppo economico d'intesa con il Ministero dell'ambiente, nel corso della quale la società ha comunicato la disponibilità a non trasferire le attività produttive nel sito di Torviscosa in Friuli, a condizione che il Ministero dello sviluppo economico le riconoscesse 2,4 milioni di crediti di imposta del conto energia che vantava dal 2014 e fossero previsti sgravi fiscali per continuare a trattare le acque di falda inquinate emunte dalla barriera.
  A conclusione della riunione, il rappresentante del Ministero dello sviluppo economico ha posto in evidenza la necessità di una verifica con gli uffici competenti rispetto ai costi dell'energia e al rimborso richiesto, nel rispetto dei limiti dettati dalla normativa.
  Quindi, in data 3 maggio 2016, si tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico un secondo incontro tecnico per la verifica delle problematiche relative al costo dell'energia per il sito produttivo dello stabilimento Caffaro di Brescia.
  La nota del Ministero dell'ambiente conclude sul punto che, allo stato, non risultano ulteriori aggiornamenti in merito all'intenzione della società Caffaro Brescia Srl di trasferire le attività produttive.
  In realtà, da notizie apprese in via informale, è accaduto che la Caffaro Brescia Srl avrebbe intenzione di trasferire la propria attività produttiva da Brescia a Bussi, in Abruzzo, a seguito di un accordo raggiunto con la Solvay, pur se il nuovo amministratore delegato della società, Alessandro Quadrelli, con nota in data 27 marzo 2017 (doc. 1893/2), su richiesta del Presidente della Commissione di inchiesta, ha comunicato testualmente «che nessun trasferimento di nessuna attività è stato posto in essere e che pertanto non vi è alcuna incidenza sul puntuale rispetto degli impegni di Caffaro Brescia S.r.l.», con la precisazione che Caffaro Brescia Srl stava costantemente rispettando tutti i propri impegni contrattuali in materia di mantenimento in efficienza delle opere e di interventi di messa in sicurezza d'emergenza Pag. 109del sito industriale, come peraltro confermato dal fatto che il commissario straordinario di Caffaro Chimica Srl in amministrazione straordinaria non aveva sollevato alcuna contestazione in marito.
  E, tuttavia, nel corso dell'audizione del 9 maggio 2017, lo stesso Quadrelli ha riferito che vi era un accordo in corso di perfezionamento, che prevedeva la costruzione a Bussi di un nuovo impianto per la produzione del clorito, dal momento che l'impianto di Brescia era talmente vetusto che non valeva la pena nemmeno di trasferirlo, aggiungendo che la scelta di trasferirsi a Bussi era dettata anche da questioni finanziarie, dal momento che a Bussi i costi dell'energia elettrica erano pari a un quinto rispetto a quelli di Brescia.
  Il Quadrelli ha precisato che, all'esito del trasferimento della produzione a Bussi, la società avrebbe provveduto allo smaltimento degli impianti di Brescia e a liberare il sito, proseguendo comunque l'attività di emungimento delle acque di falda, allo scopo di sottrarsi a possibili accuse di disastro ambientale.
  Quanto ai tempi dell'operazione, l'amministratore delegato della società Caffaro Brescia ha riferito che il nuovo stabilimento e i nuovi impianti di Bussi sarebbero stati ultimati nel periodo compreso tra il 31 dicembre 2018 e il mese di giugno 2019.
  Quanto al mantenimento in efficienza della barriera idraulica, il Quadrelli ha riferito che il costo era di circa euro 1.000.000 l'anno, tra energia elettrica e persone a disposizione 24 ore su 24, e che comunque l'attività di emungimento delle acque di falda proseguiva secondo i parametri contrattuali del 2011.
  In realtà la tesi del Quadrelli, secondo cui l'azienda era obbligata a tenere attiva la barriera com'era prima, alla stregua dell'onere assunto nei confronti del commissario straordinario della Caffaro Chimica Srl in liquidazione in amministrazione straordinaria, non è condivisibile.
  Come correttamente osserva sul punto il commissario delegato al SIN Brescia Caffaro, dottor Moreni, «questo sarebbe vero se l'azienda non usasse l'acqua. ma usa quest'acqua e, quindi, ha un obbligo nei confronti dello Stato e deve rispettare le norme, perché quest'acque viene usata» (cfr. resoconto audizione del 9 maggio 2017).
  Comunque, l'amministratore delegato della Caffaro Brescia Srl, pur ribadendo i motivi del ricorso al TAR Lombardia – Sez. Brescia avverso i provvedimenti del Ministero dell'ambiente e della provincia di Brescia, sopra richiamati, dichiarava di essersi adeguato alle prescrizioni della provincia di Brescia del 2015 in ordine all'incremento dell'emungimento delle acque, pur se, a suo dire, solo parte dell'acqua emunta veniva utilizzata per il raffreddamento degli impianti industriali.
  Nonostante tali affermazioni, permangono i dati riferiti dall'ARPA sul fatto che 200 chilogrammi di mercurio e 280 chilogrammi di PCB finiscono tuttora in falda.
  Questi dati rendono evidente l'inefficacia degli attuali limiti allo scarico e la necessità di nuovi limiti, che dovrebbero essere fissati in una prossima conferenza di servizi per il rinnovo dell'AIA, dove verrebbero posti nuovi limiti allo scarico per quanto riguarda il PCB.

Pag. 110

3.7 Il ruolo e la posizione del commissario straordinario della Caffaro Chimica Srl in amministrazione straordinaria

  Con nota in data 5 aprile 2017 (doc. 1901/2), il commissario straordinario della Caffaro Chimica Srl in amministrazione straordinaria, avvocato Marco Cappelletto, sottolinea che le obbligazioni contratte dal cessionario per il biennio di legge sono state assolte, in ottemperanza a quanto stabilito nell'articolo 63, secondo comma, del decreto legislativo 270 del 1999 (cd. Prodi-bis).
  Di conseguenza, decorso tale biennio, è venuto meno qualsiasi diritto del commissario straordinario di vigilare sul rispetto da parte del cessionario delle obbligazioni contratte con il piano industriale da questi presentato e approvato dal Ministero dello sviluppo economico.
  Pertanto, l'unico criterio per verificare se l'obbligazione contrattuale in parte qua emungimento della falda, il cui intero onere grava in capo al cessionario, sia proseguito o meno, assicurando il rispetto delle esigenze ambientali, è quello di riferirsi ai risultati delle indagini e degli accertamenti che le autorità e le amministrazioni competenti ritengono di liberamente disporre.
  Nella nota anzidetta il commissario straordinario, premesso che il suo ufficio aveva già realizzato il programma di cessione dei complessi aziendali delle società del gruppo SNIA- Caffaro, riferisce che, a mente dell'articolo 73, terzo comma, del decreto legislativo n. 270 del 1999, le operazioni della procedura hanno ormai solo finalità liquidatorie, quali disciplinate dagli articoli 194-215 della legge fallimentare.
  Tuttavia, il commissario straordinario avverte che la procedura liquidatoria difficilmente avrebbe potuto disporre di attivo, astrattamente realizzabile solo con la liquidazione dei beni immobili appresi, in quanto il mercato, già sollecitato con avvisi pubblicati su quotidiani nazionali e locali, non aveva manifestato interesse alcuno ad avviare operazioni di acquisto di cespiti, in quanto pregiudicati da assai onerose problematiche ambientali.
  Del resto, già con la comunicazione in data 25 marzo 2015 (doc. 1156/2), lo stesso commissario aveva fatto presente che, in difetto iniziative assunte da soggetti pubblici e/o privati, la procedura, ai fini della chiusura delle operazioni di liquidazione, avrebbe potuto considerare di ricorrere anche allo strumento della derelictio honorum regolata, dall'articolo 104-ter, settimo comma, della legge fallimentare.
  La norma anzidetta consente al curatore fallimentare e, nel caso di specie, al commissario straordinario, che riveste lo stesso ruolo del curatore nella fase della liquidazione dei beni, l'abbandono dei beni e la conseguente possibilità di ciascun creditore di iniziare o di riprendere le azioni esecutive individuali che si erano interrotte con la dichiarazione di fallimento, in quanto tutti i beni dell'impresa fallita erano stati appresi dal curatore.
  In realtà, nel caso di specie, ciò significa che, tenuto del fatto che si è in presenza di beni privi di valore economico, in quanto inseriti in siti inquinati, non vi sarà alcun soggetto privato interessato ad apprenderli, con la conseguenza che tutti gli oneri di messa in sicurezza e/o di bonifica sono destinati a ricadere sulla pubblica amministrazione.Pag. 111
  Conclusivamente, nella nota del 5 aprile 2017 (doc. 1901/2), l'avvocato Cappelletto riferisce che, nell'ipotesi in cui la società Caffaro Brescia riduca o cessi le attività, e quindi riduca o cessi l'emungimento della falda, le conseguenze sul piano ambientale sono evidenti e di ciò egli aveva da tempo informato tutte le autorità e amministrazioni competenti locali e nazionali, le quali dovranno intervenire nei termini che riterranno, a prescindere dalla circostanza che il proprietario sia o meno il responsabile dell'inquinamento.

3.8 Il danno ambientale

  Il SIN «Brescia – Caffaro» è un'area di 262 ettari e interessa la falda sottostante per un'area di 2.109 ettari.
  All'interno del SIN, lo stabilimento Caffaro, da cui si origina l'inquinamento, ha un'estensione di circa 11 ettari.
  Nel SIN è stata rilevata la contaminazione da PCB, metalli pesanti (mercurio ed arsenico), solventi clorurati, diossine e furani, che hanno interessato diverse matrici e diversi siti:
   i terreni dello stabilimento produttivo e la falda acquifera ad esso sottostante;
   la falda acquifera a valle dello stabilimento per più di 20 Km di distanza;
   i sedimenti e le sponde delle rogge del reticolo delle acque superficiali, a partire dalla roggia Fiumicella, dove recapitano gli scarichi dello stabilimento Caffaro;
   le aree agricole ubicate in prossimità dello stabilimento produttivo;
   diverse aree residenziali contaminate del comune di Brescia.

  Ai fini della valutazione del danno ambientale, ISPRA, per conto del Ministero dell'ambiente, ha stimato i costi delle bonifiche necessarie per tutte le matrici considerate.
  Una prima stima del danno ambientale causato dallo stabilimento Caffaro di Brescia era stata valutata dall'ISPRA, nel 2011, nell'importo complessivo di euro 1.553.807.700 (doc. 0683/2), sulla base della stessa stima preliminare già redatta da ISPRA nel 2009 e allegata alla nota trasmessa al Ministero dell'ambiente in data 5 febbraio 2009 (doc. 1876/11).
  Successivamente, nel mese di settembre 2016, l'ISPRA ha effettuato un aggiornamento della valutazione del danno ambientale (doc. 1576/2) che, dopo aver ripreso i precedenti valori, li ha ridimensionati, sulla base di una perizia effettuata dall'ingegner G. Gavagnin, nel mese di marzo 2014. Va precisato, per evitare equivoci, che in questo secondo documento di settembre 2016, la stessa ISPRA, riferendosi alla precedente valutazione del danno del 2009, lo identifica come fatto nel 2011.
  Di seguito si espongono le considerazioni emerse dall'analisi (doc. 1953/2) delle diverse matrici ambientali e i diversi siti, con l'avvertenza Pag. 112che quando si parla della stima della prima valutazione del danno, il riferimento all'anno 2009 o all'anno 2011 riguarda sempre la stessa valutazione del danno, cioè la prima, e quindi i due riferimenti sono coincidenti, mentre il riferimento alla seconda valutazione ridimensionata è solo l'anno 2016:

  A) Area dello stabilimento

  Per la bonifica dei terreni contaminati all'interno dello stabilimento, con la prima stima ISPRA del 2009, era stata ipotizzata l'asportazione integrale dei terreni contaminati e il loro smaltimento in discarica, con un costo totale di euro 209.886.220, per un volume ipotizzato di 928.700 mc di terreno.
  Questa tipologia di bonifica è evidentemente quella più costosa, ma è anche quella con cui si ottiene il disinquinamento totale e, quindi, è quella che dà la migliore garanzia di giungere alla completa bonifica del sito.
  Nel 2016, proprio, in considerazione dell'elevato costo di bonifica, l'ISPRA, sulla base della perizia dell'ingegner Gavagnin, ha effettuato una valutazione più mirata, rispetto alla prima stima, in quanto ha proposto una bonifica con asportazione parziale dei terreni contaminati e una messa in sicurezza sulla parte restante dei terreni, riducendo così notevolmente i costi per la bonifica integrale prospettati con la valutazione del 2011.
  Con questa seconda valutazione, viene stimato nel massimo un costo di intervento dell'importo di euro 50.307.900.
  La Commissione di inchiesta ritiene che questa nuova ipotesi non garantisca la bonifica dello stabilimento e che, anche dopo questi interventi di messa in sicurezza, la contaminazione presente nei suoli inquinati rimasti in loco, continuerà a diffondersi attraverso la falda sotterranea.
  Infatti, i terreni inquinati non asportati vengono protetti solo dal dilavamento delle piogge mediante la impermeabilizzazione della superficie dello stabilimento, ma non vengono protetti dal dilavamento operato dalla falda sotterranea, la cui oscillazione può lambire e diluire i terreni contaminati del sottosuolo, estraendone gli inquinanti e veicolandoli verso valle.
  La sola messa in sicurezza, con asportazione parziale dei terreni, non garantisce la bonifica dello stabilimento e, a suo parere, è da scartare.
  In ogni caso, va osservato che tra la bonifica per asportazione e smaltimento completo dei terreni, al costo di circa 210 milioni di euro – che sicuramente è garantista al massimo – e la messa in sicurezza con asportazione parziale dei terreni, al costo di circa 50 milioni di euro – che non garantisce l'efficacia di bonifica – si possono individuare altri sistemi di intervento, che non prevedono l'asportazione dei terreni, ma il loro disinquinamento sul posto, quali la biodegradazione delle sostanze organiche inquinanti o il loro desassorbimento termico o il lavaggio del terreno, tutti processi meno costosi dell'asportazione e smaltimento completo dei terreni, ma che garantiscono la stessa efficacia di bonifica.Pag. 113
  Pertanto, a parere anche di questa Commissione di inchiesta, se non si vuole procedere alla bonifica secondo l'ipotesi del 2011, sia necessario e opportuno studiare altri sistemi di bonifica più efficaci di quello proposto dall'ISPRA con l'attuale ipotesi del 2016, spendendo diversamente la somma sopra indicata da ISPRA di 50.000.000 di euro.

B) Le falda sottostante lo stabilimento

  Per quanto concerne la falda, nella relazione preliminare del 2011 era stato ipotizzato un intervento di bonifica attraverso la tecnologia pump & treat, con la realizzazione di sei pozzi di emungimento e la costruzione di un impianto di trattamento delle acque, i cui costi di realizzazione e di esercizio per dieci anni ammontavano a 710.650.000 di euro.
  La perizia del 2014, ripresa nella valutazione ISPRA del 2016, prevede invece solo il potenziamento della barriera idraulica, comprensivo degli oneri di gestione per cinque anni, per un costo totale variabile da euro 1.950.000 a 12.775.000.00 di euro, a seconda che la gestione venga fatta da Caffaro o dall'amministrazione pubblica. Questa seconda valutazione non prevede più il trattamento per il disinquinamento della falda, così determinando una notevole riduzione dei costi, che passano da 710.650.000 di euro a un massimo di euro 12.775.000.00.
  Ad avviso della Commissione, questa seconda ipotesi del mese di settembre 2016 è del tutto inidonea a risolvere il problema dell'inquinamento della falda, in quanto, con il mero potenziamento della barriera idraulica non viene effettuata alcuna bonifica e, per di più, viene aumentato l'inquinamento verso l'esterno, con la conseguenza di far lievitare i costi di bonifica delle rogge e delle aree agricole.
  Attualmente, l'acqua pompata dalla falda attraverso la barriera idraulica viene scaricata nella roggia Fiumicella ed entra in circolazione in tutto il reticolo delle rogge, con la conseguenza che se non viene trattata e disinquinata prima dello scarico, che è quello che accade adesso, continuerà ad inquinare tutte le rogge.
  Quindi, per completare la bonifica della falda, è necessario, non solo, aumentare l'efficacia della barriera, ma anche trattare l'acqua emunta, altrimenti si sposta l'inquinamento dallo stabilimento a un'area molto più estesa.
  In conclusione, l'ultima soluzione rappresentata dall'ISPRA non appare percorribile ai fini della tutela ambientale, mentre è tuttora valida ed efficace quella rappresentata dall'ISPRA nel 2009.

C) Le rogge

  Le rogge comprese all'interno del SIN si estendono per circa 50 km, a partire dall'area dello stabilimento. In questi canali è stata riscontrata la contaminazione dei sedimenti del fondo dei canali dovuta agli scarichi industriali, in particolare, quelli provenienti dalla Caffaro.Pag. 114
  La valutazione preliminare effettuata dall'ISPRA nel 2009 prevedeva l'asportazione, disidratazione, trasporto e smaltimento dei sedimenti per tutta l'estensione delle rogge comprese nel SIN.
  Il costo previsto per questa tipologia di intervento era stato assunto pari a euro 25.110.000.
  Nell'ipotesi del 2016 l'ISPRA prevede, in alternativa all'esportazione dei sedimenti, interventi di impermeabilizzazione delle rogge tramite posa di telo in HDPE.
  Questa tipologia di intervento comporta un costo di euro 26.315.790, cioè un costo superiore di circa euro 1.300.000, rispetto all'intervento ipotizzato nel 2009.
  La Commissione ritiene correttamente che sia più efficace la bonifica ipotizzata nel 2009, che oltretutto costa di meno, in quanto l'intervento di impermeabilizzazione dell'alveo delle rogge può facilitare le esondazioni dei corsi d'acqua durante periodi di piogge intense.

D) Le aree pubbliche

  Per le aree pubbliche inquinate, l'ISPRA ipotizzata nel 2009 la bonifica integrale mediante scavo, asporto e smaltimento dei terreni contaminati, al costo totale di euro 10.526.800.
  La relazione del 2016 fa la ricognizione degli interventi di bonifica già effettuati e dei finanziamenti già erogati, giungendo alla conclusione che occorrono ancora euro 3.200.000 per completare la bonifica delle aree pubbliche, indicando quest'ultima cifra come costo per la valutazione del danno ambientale.
  Il consulente ritiene questa valutazione non corretta, perché la valutazione del danno ambientale deve comprendere anche i soldi pubblici già spesi o finanziati finora, pur se complessivamente la somma appare congrua.

E) Le aree agricole

  Le aree agricole interessate dalla contaminazione si estendono su una superficie di 100 ettari.
  La relazione ISPRA del 2009 prevedeva gli interventi di scavo, trasporto, smaltimento e ripristino quote a piano campagna con terre idonee di tipo agronomico, per un volume di terre contaminate pari a 1.000.000 mc, avendo assunto una profondità di contaminazione di 1 metro.
  Tale intervento aveva un costo complessivo pari a euro 241.000.000.
  La nuova valutazione del 2016 prevede solo interventi di sperimentazione per opere di biorimediazione, per un costo complessivo pari a euro 3.000.000.
  In tal modo si eviterebbe la bonifica per asportazione dei terreni, così riducendo notevolmente il costo ipotizzato nel 2009, sicché questa seconda ipotesi appare percorribile, naturalmente, alla condizione che la sperimentazione dia i risultati previsti.

Pag. 115

F) Le discariche

  Il costo complessivo di euro 2.646.356, previsto per gli interventi su tutte le discariche del SIN non viene più conteggiato nella valutazione del danno dell'attuale stima del 2016.

G) Il danno relativo alla riparazione compensativa ex articolo 18 legge n. 349/86

  Neanche la stima per tale danno, indicata nella relazione del 2009 in euro 255.634.620, viene più presa in considerazione nella valutazione del 2016.

H) Conclusioni

  La valutazione del 2016 riduce la stima del danno ambientale dal valore di euro 1.452.807.700 al valore variabile da un minimo di euro 43.911.290 ad un massimo di euro 95.598.690.
  Si ritiene, per le considerazioni espresse nei punti precedenti, che l'attuale stima del danno non sia corrispondente alla realtà, e che il suo valore massimo di euro 95.598.690 sia molto sottostimato.
  Si ritiene anche che il valore del danno stimato nel 2009 sia, al contrario, sovrastimato, ma che, comunque, il valore reale del danno sia più vicino alla valutazione del 2009 che non all'attuale valutazione del 2016.
  Per una stima reale del danno vanno approfonditi in particolare i progetti di bonifica dello stabilimento e della falda, che si ritiene siano quelli meno credibili nell'attuale stima.
  Conclusivamente, sulla base delle considerazioni svolte e, tenuto conto del fatto che i fondi ad oggi stanziati dal Ministero dell'ambiente per il SIN di «Brescia-Caffaro» sono pari a euro 13.069.086 (rectius: euro 14.769.806), per realizzare i necessari interventi di messa in sicurezza permanente/bonifica del sito, occorrono ulteriori fondi pari a euro 794.006.356 (50.000.000 710.650.000 25.1000.000 3.200.000 3.000.000 2.646.356).

3.9 Il ruolo del commissario straordinario delegato del SIN «Brescia-Caffaro»

  Nel corso dell'audizione del 9 maggio 2017 il commissario straordinario delegato del SIN Brescia-Caffaro, Roberto Moreni, premesso che l'attuale barriera idraulica non risolve alcun problema, in quanto impedisce solo che l'acqua vada a contatto con il terreno sporco, ma non lo pulisce, ha riferito di aver indetto una gara d'appalto per l'affidamento del servizio di progettazione di fattibilità tecnica ed economica, suddivisa in due lotti.
  Invero, l'attuale barriera idraulica è del tutto impropria, poiché non è stata progettata a tale scopo (e di qui anche il grande Pag. 116emungimento), ma sono stati sfruttati i pozzi esistenti costruiti nel tempo per esigenze produttive.
  Di qui la necessità della gara d'appalto, avente ad oggetto la progettazione di una barriera idraulica specifica, la messa in sicurezza permanente della falda e l'intervento sul suolo.
  Nella descrizione del servizio oggetto dell'appalto contenuto nel bando di gara, predisposto dal commissario delegato, si riporta quanto segue (doc. 1982/2).
  Il primo lotto è relativo alla progettazione di fattibilità tecnica ed economica di un intervento di bonifica o di messa in sicurezza permanente delle acque sotterranee (è stato adottato il termine «permanente» anziché «operativa», in quanto la parte di area dismessa dello stabilimento è preponderante rispetto a quella ancora attiva), nonché la progettazione di fattibilità tecnica ed economica di una messa in sicurezza di emergenza (MISE) delle acque sotterranee. L'attività di progettazione di questo lotto dovrà consentire all'amministrazione di assumere le più consapevoli decisioni una volta che venisse meno l'attuale attività produttiva, anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili.
  Il secondo lotto riguarda la progettazione di fattibilità tecnica ed economica di opere di risanamento delle matrici ambientali suolo e sottosuolo presso lo stabilimento della Caffaro Brescia. Pertanto, è richiesta la progettazione di fattibilità tecnica ed economica di bonifica o di messa in sicurezza permanente (è stato adottato il termine «permanente» anziché «operativa», in quanto la parte di area dismessa dello stabilimento è preponderante rispetto a quella ancora attiva) della matrice suolo e sottosuolo dello stabilimento della Caffaro.
  La procedura di gara si è conclusa con l'aggiudicazione provvisoria dell'appalto, da parte del responsabile del procedimento, dottor Roberto Moreni, alla società AECOM URS ITALIA Spa, in data 20 aprile 2017, che ha vinto la gara con una offerta di euro 60.000 (doc. 1982/4).
  Nel corso della sua audizione del 9 maggio 2017, il commissario Moreni ha ricordato che il TAR Lombardia – sezione staccata di Brescia, con ordinanza del 10 aprile 2017, aveva rigettato l'istanza di sospensiva del bando di gara, proposta da un concorrente escluso e aveva fissato per la trattazione nel merito l'udienza del 7 giugno 2017 (doc. 1982/3) e che all'esito del giudizio di merito avrebbe stipulato il contratto di appalto con l'aggiudicatario.
  Inoltre, il dottor Moreni ha riferito: 1) che al SIN Caffaro era stata, negli anni, assegnata la somma di euro 20.000.000, ma non in una sola volta, bensì con tanti piccoli stanziamenti; 2) che, nel mese di novembre 2016 era pervenuta la notizia di un patto tra Stato e regione Lombardia, che attribuiva al SIN l'ulteriore somma di euro 30.000.000; 3) che con tali fondi e con altri fondi eventualmente sopravvenuti contava di eseguire i lavori di cui ai progetti, commissionati con suddetto bando di gara, entro la fine del 2019, in coincidenza con l'annunciata dismissione degli impianti produttivi da parte della Caffaro Brescia Srl; 4) che priorità assolute erano quella di eliminare il contatto acqua-terreno nell'area dello stabilimento Pag. 117Caffaro e quella di ricostruire una barriera idraulica, che fosse idonea a frenare gli inquinanti della falda.
  Naturalmente il commissario Moreni ha rivolto la propria attenzione progettuale solo sull'area dello stabilimento che è di 11 ettari, rispetto all'area dell'intero SIN, che è di 250 ettari, mentre il terreno complessivamente inquinato, dentro e fuori del SIN, non è inferiore a complessivi 500 ettari.
  Ciò, allo scopo di affermare che, grazie ai fondi disponibili, era stata già progettata la bonifica del parco del Passo di Gavia, un'area di 13.000 metri quadrati, sul quale l'intervento di bonifica già programmato consisterà nello scorticamento superficiale di 50 centimetri di terreno, mentre più complessa era la bonifica dell'area dello stabilimento Caffaro, poiché erano presenti forme di inquinamento eterogenee.
  Viceversa – secondo il dottor Moreni – non era neanche programmabile una bonifica che comprenda l'intera area inquinata del SIN, per le sue dimensioni.
  Di conseguenza, non a caso, nel bando di gara erano state richieste soluzioni sperimentate, che naturalmente possono riferirsi solo ad aree limitate, di poche migliaia di metri quadri, non certamente ad aree di centinaia di migliaia di metri quadri, comprensive dell'intero SIN.
  In conclusione sul punto, per la bonifica dell'intero territorio inquinato e, in particolare, per i suoli agricoli privati, in mancanza di fondi adeguati, occorreva procedere diversamente e, cioè, soprattutto, con un atteggiamento diverso, fondato sulla convivenza con questo inquinante.
  A tale proposito, il dottor Moreni, nel corso della sua audizione, ha riferito di aver provato a coltivare nei campi più inquinati lotti di 10 metri per 10 metri in triplicato, con le varie essenze, allo scopo verificare in concreto che cosa accadeva, con risultati molto confortanti, sebbene non per tutte le produzioni agricole sperimentate ed era così emerso, per fare un esempio, che non era possibile la coltivazione del fieno.
  In sostanza, il commissario delegato si sta prodigando per individuare tipologie di coltivazioni, che evitino la trasmissione di questi inquinamenti attraverso la catena alimentare, considerato che il chicco (il mais, il grano, l'orzo, il triticale) non è toccato dall'inquinamento.
  Il PCB è una «brutta bestia» – ha proseguito il dottor Moreni – perché non si diluisce e rimane lì dove si trova, in quantità inalterata e, tuttavia, se è pur vero che tale sua caratteristica ne rappresenta la persistenza, è anche vero che ne costituisce il limite alla sua pericolosità.
  Il PCB, infatti, non viene assorbito da queste piante, dal momento che è stato osservato che si aggrappa allo stelo di tali piante, quali il mais, ma non su tutto lo stelo, bensì solo nei primi 40 centimetri. Di conseguenza, i primi 40 centimetri dello stelo non sono edibili né dall'uomo (ad esempio, l'insalata) né dagli animali, ma dai 40 centimetri in su dello stelo è possibile «sdoganare» il mais.
  Ancora, il dottor Moreni ha riferito che questa stagione e la prossima del 2018 dovranno consentire a ATS (Agenzia di tutela della Pag. 118salute) di raccogliere un numero di campioni, tale da poter affermare con tranquillità quali prodotti siano edibili, con una valutazione caso per caso, del tipo, «questo sì, questo no», «questo sì a queste condizioni».
  Tutto ciò, in considerazione del fatto che il tema, a questa scala di dimensioni, non può essere se non quello della «convivenza in sicurezza».
  Per quanto concerne «le tecnologie» da utilizzare per la bonifica dei suoli, il commissario ritiene che tali tecnologie siano adottabili solo su «piccola scala», mediante l'asportazione della terra, in quanto si tratta di un'attività che ha costi sostenibili.
  Viceversa, tale operazione non è possibile e assolutamente non conveniente sul piano economico, se venisse condotta su vastissima scala (dal milione di metri quadri in su) ovvero se venissero costruiti impianti di desorbimento.
  In quest'ultimo caso, sicuramente si sarebbero raggiunti costi unitari molto inferiori rispetto alla bonifica con asportazione del terreno, ma si tratta pur sempre di costi pari a 7-8 volte superiori al valore del bene, con conseguente assoluta anti economicità di detta operazione.
  Altra cosa sono gli impianti pubblici, il parco – questi soldi vanno essenzialmente lì – e soprattutto lo stabilimento, che è la sorgente del problema, che ancora non erano stati aggrediti, per mancanza di fondi.
  Questo discorso porta alla conclusione – condivisa dalla Commissione di inchiesta – che, allo stato, in attesa che la tecnologia arrivi a produrre forme di trattamento biologico dei terreni a costi compatibili, è necessario convivere con l'inquinamento, naturalmente in condizioni di sicurezza.
  In tal senso, la Commissione di inchiesta concorda pienamente con il commissario delegato sul fatto che è necessario provvedere con urgenza, in primo luogo, a eliminare la fonte dell'inquinamento, costituita dall'area dello stabilimento Caffaro, mediante l'asportazione dei terreni inquinati, che provocano il discioglimento in falda anche attraverso l'acqua piovana delle sostanze nocive ivi presenti (PCB, mercurio, cromo esavalente, ecc..).
  Nel frattempo, è necessario mantenere una barriera idraulica, idonea a trattenere tutti gli inquinanti, con il successivo trattamento delle acque prelevate dai pozzi di emungimento.
  A sua volta, il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, nel corso dell'audizione del 9 maggio 2017, premesso che il commissario del SIN, dottor Moreni, stava utilizzando il comune di Brescia come soggetto attuatore delle sue politiche, al fine di rendere più rapidi e anche più concreti gli interventi, ha riferito che, mentre nel 2013 le risorse a disposizione del SIN erano di poco superiori ai 6 milioni di euro, neanche tutti appaltati né spesi, attualmente le somme disponibili per gli interventi avevano superato i 20 milioni di euro e che, d'intesa con il commissario, erano state individuate le priorità.
  Pertanto, proprio, a partire dall'anno 2013, fuori e dentro il SIN, il comune di Brescia aveva proceduto a bonificare alcuni parchi e giardini pubblici, uno, collocato in uno dei quartieri del SIN dove la bonifica era stata completata (scuola «Divisione Acqui»), e una Pag. 119seconda bonifica effettuata riguardava due scuole, la Calvino e la Deledda, poste fuori dal SIN.
  Ancora – ha proseguito il sindaco di Brescia – all'interno del SIN, era stata completata la bonifica dell'area di via Milano-via Nullo ed era stato approvato il progetto esecutivo per la bonifica di altri due parchi all'interno del SIN e, cioè, il parco di via Passo Gavia, quartiere Primo Maggio, e l'ex infrastruttura di atletica leggera Calvesi.
  Anche il sindaco di Brescia ha sottolineato che l'aspetto attualmente più grave della situazione della sua città attiene alla messa in sicurezza della falda, all'interno del sito industriale della Caffaro, un sito molto esteso, dove permangono rischi di inquinamento in caso di mancato emungimento dell'acqua.
  Sul punto, il sindaco di Brescia ha tenuto a precisare che non è possibile proseguire a tempo indeterminato nell'emungimento della falda, che ha un costo annuo di circa un milione di euro, che finirebbe con il cadere sulle spese correnti del comune, una volta che la Caffaro Brescia abbandonasse il sito, mentre le somme sinora conferite dal Ministero dell'ambiente sono tutte appostate in conto capitale, in quanto legate a investimenti che devono essere realizzati (bonifiche ambientali e messa in sicurezza della falda).
  Infine, il sindaco di Brescia, dopo aver sottolineato il rapporto di collaborazione con il Ministero dell'ambiente e con l'Istituto superiore di sanità, ha manifestato un programma di interventi, oltre che sui parchi e i giardini pubblici, sui quali il comune di Brescia intendeva proseguire nell'attività di bonifica, utilizzando anche proprie risorse, ma ha comunque demandato al commissario delegato gli interventi sulle rogge.
  Quanto alle aree private contaminate, quelle a vocazione agricola, il sindaco ha richiamato un'ordinanza comunale che aveva interrotto la catena alimentare e, in prospettiva, d'intesa con il commissario, manifestava l'intenzione del comune di Brescia di sviluppare l'attività di ricerca volta a conoscere e a verificare quali coltivazioni fossero compatibili con quelle aree.

3.10 Conclusioni

  All'esito della disamina della situazione di grave di inquinamento in cui versa il territorio bresciano, tre sono le situazioni sulle quali la Commissione di inchiesta intende focalizzare la propria attenzione.
  Allo stato attuale la situazione è la seguente:
   • i terreni dello stabilimento Caffaro sono ancora inquinati;
   • la barriera idraulica non è completamente a tenuta e fa passare l'inquinamento dallo stabilimento verso le zone di valle;
   • l'acqua della falda acquifera emunta dallo stabilimento non è adeguatamente decontaminata e lo scarico di tali acque sta, a sua volta, contaminando sia le acque, sia i sedimenti delle rogge acquifere circostanti.

Pag. 120

  La conseguenza è che l'inquinamento si propaga da anni e si sta espandendo sempre di più verso i siti esterni dello stabilimento, interessando ad oggi anche aree esterne alla perimetrazione del SIN Brescia – Caffaro.
  Il soggetto obbligato alla bonifica del sito è la Caffaro Chimica Srl in liquidazione, in amministrazione straordinaria e le società a cui essa fa riferimento (Caffaro Srl e SNIA), mentre il soggetto obbligato alla gestione corretta ed efficace della MISE e al disinquinamento delle acque di falda contaminate è la società Caffaro Brescia Srl, attuale gestore dell'attività produttiva dello stabilimento.
  Nonostante le reiterate richieste, da parte del Ministero dell'ambiente alla Caffaro Chimica Srl in amministrazione straordinaria, affinché proceda alla bonifica del sito, e alla Caffaro Brescia Srl affinché proceda alla decontaminazione e alla messa in sicurezza delle acque di falda, finora non è stato realizzato nessun intervento risolutivo per la ragione ribadita più volte dal commissario straordinario – e da ultimo nella nota del 5 aprile 2017 – che la procedura non dispone di attivo e che, di conseguenza, è impossibilitata a intervenire sulle tematiche ambientali.
  Allo stato, si versa in una situazione di stallo, in quanto, per un verso, l'attuale gestore dello stabilimento, la Caffaro Brescia Srl, non provvede a trattare tutta l'acqua emunta per gli elevati costi che tale operazione comporta, tant’è che tant’è che, anche nell'ottica di una diversa strategia industriale, ha programmato il trasferimento a Bussi, in Abruzzo, della propria attività industriale, e, per altro verso, l'attuale barriera idraulica è comunque inadeguata, in quanto non ferma completamente il flusso di acqua sotterranea, consentendo all'inquinamento di spostarsi verso valle.
  Rimangono, pertanto, in causa ad affrontare i problemi dell'inquinamento del sito il commissario straordinario delegato del SIN, per il Ministero dell'ambiente, Roberto Moreni, e il comune di Brescia.
  Quanto al danno ambientale, come si è visto, la valutazione dell'ISPRA del mese di settembre 2016 ne riduce la stima, portandola dal valore di euro 1.452.807.700 (ovvero di euro 1.553.807.700, quale risulta dalla stima allegata alla nota trasmessa al Ministero dell'ambiente in data 5 febbraio 2009 (doc. 1876/11) a un valore, che si attesta tra un minimo di euro 43.911.290 e un massimo di euro 95.598.690.
  Per le considerazioni espresse nel precedente paragrafo n. 8, la Commissione ritiene:
   1) che l'attuale valutazione di stima del danno da parte dell'ISPRA non corrisponde alla realtà, posto che il valore massimo indicato di euro 95.598.690 appare del tutto sottostimato;
   2) che, pur essendo sovrastimata la valutazione effettuata dall'ISPRA nel 2009, il valore effettivo del danno è prossimo a quest'ultima valutazione, piuttosto che a quella del 2016;
   3) che, per una stima reale del danno vanno approfonditi in particolare i progetti di bonifica dello stabilimento e della falda, che si ritiene siano quelli meno credibili nell'attuale stima.

  In particolare, rimangono molto elevati i costi per il risanamento dei suoli e della falda compresi nell'area dello stabilimento, già Pag. 121quantificati, rispettivamente, in euro 209.886.200 e in euro 710.650.000 (totale euro 920.536.000).
  Questi ultimi valori appaiono più credibili rispetto all'attuale stima, che riporta un costo nel massimo di euro 50.307.900 per la bonifica dello stabilimento e un costo nel massimo di euro 12.775.000, per la bonifica della falda sottostante lo stabilimento.
  Tuttavia, non può essere sottaciuto che ci si trova di fronte a mere valutazioni, e non di fronte a un progetto approvato, com’è accaduto per il SIN di Torviscosa.
  Si tratta di un dato non di poco conto, ai fini dell'ammissione al passivo del credito per il ripristino ambientale vantato dal Ministero dell'ambiente nei confronti delle società Caffaro e SNIA, considerato che i giudici di merito di Udine e di Milano non hanno attribuito alcuna valenza probatoria alle valutazioni dell'ISPRA.
  Pertanto, per conoscere i costi effettivi della bonifica o di messa in sicurezza permanente delle acque sotterranee e del risanamento ambientali del suolo e del sottosuolo dell'area dello stabilimento Caffaro, sarà necessario attendere i progetti che saranno elaborati dalla AECOM URS ITALIA Spa, aggiudicataria della relativa gara di appalto, effettuata dal commissario straordinario delegato del SIN Brescia-Caffaro, Roberto Moreni.
  A tale proposito, merita di essere segnalato il «Patto tra Stato e regione Lombardia», che ha attribuito al SIN Brescia Caffaro la somma di euro 30 milioni, a valere sui fondi di coesione, somma che deve essere aggiunta alle risorse finanziarie, pari a euro 20.918.263, già in possesso del commissario Moreni.
  Invero, proprio il «Patto tra Stato e regione Lombardia», con l'attribuzione dei fondi anzidetti, ha consentito al dottor Moreni di indire la gara d'appalto e non v’è dubbio che, se i fondi oggi a disposizione del commissario delegato non saranno sufficienti, vi saranno ulteriori interventi integrativi dello Stato e della regione Lombardia, come ha auspicato il commissario delegato, nel corso della sua audizione.
  In tale contesto operativo, si sta rivelando significativo e altamente positivo l'impegno congiunto del commissario delegato del SIN, Roberto Moreni, e del comune di Brescia, quale soggetto attuatore delle politiche commissariali.
  Invero, a partire dal 2013, sono iniziate le opere di bonifica dei parchi pubblici, descritte dal sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, nel corso della sua audizione.
  Infine, la Commissione di inchiesta ritiene corretto l'approccio del commissario delegato al problema, avendo egli focalizzato la propria attenzione sull'area dalla quale si origina l'inquinamento, che si estende poi a macchia d'olio sull'intero territorio bresciano.
  Altrettanto corretto appare l'approccio al problema dell'inquinamento delle aree agricole del territorio bresciano, lì dove il dottor Moreni, resosi conto che non è possibile, a causa dei costi molto elevati, eseguire la bonifica dell'intera area SIN, pari a 250 ettari, suggerisce di adottare soluzioni caso per caso, volte a coniugare sicurezza e convivenza, tenuto conto delle caratteristiche specifiche del maggiore inquinante, il PCB e considerato che vi sono coltivazioni immuni da questo particolare inquinante.Pag. 122
  A tale proposito, diventa rilevante il ruolo dell'Agenzia di tutela della salute (ATS), chiamata a valutare le varie tipologie di produzioni agricole consentite sui terreni inquinati di proprietà dei privati, mediante la raccolta e l'analisi di un numero sufficiente di campioni dei vari prodotti agricoli, in maniera da garantirne la loro sicurezza sul piano alimentare.

4. Il SIN «Bacino del fiume Sacco»

4.1 Le caratteristiche della Valle del Sacco

  La Valle del Sacco (o Valle Latina) è una regione del Lazio storico, situata in massima parte nella provincia di Frosinone e, per un breve tratto, in quella di Roma.
  È compresa tra i Monti Ernici ed i Monti Lepini ed è attraversata dal fiume Sacco. Al suo interno sorgono numerose città, tra cui la più importante è Frosinone.
  Il fiume Sacco nasce dal versante orientale dei Monti Prenestini nel Lazio, dall'unione del fosso della Valle e del fosso Palomba a Colle Cero, e scorre verso sud-est per una lunghezza complessiva di 87 km, attraversando la Valle Latina nella Ciociaria tra i Monti Ernici a nord-est e i Monti Lepini a sud-ovest; a Ceprano confluisce da destra nel fiume Liri.
  In particolare, il fiume Sacco nasce dall'unione di vari fossi presso i comuni di Bellegra, San Vito Romano e Capranica Prenestina in provincia di Roma. Scorre nelle pianure al confine tra la provincia di Roma e la provincia di Frosinone.
  A Colleferro il fiume diventa inquinato a causa degli scarichi di varie fabbriche presenti nella zona.
  Il fiume prosegue verso sud, lambendo le pendici dei Monti Lepini e bagnando vari comuni.
  Nel territorio di Sgurgola il fiume presenta una cascata molto suggestiva da un punto di vista della natura e della fauna.
  Successivamente, scorre parallelo alla Via Morolense, bagnando i comuni di Supino, Morolo e Patrica. Proprio in tale città, in località Tomacella vi è la seconda cascata del fiume situata subito dopo il ponte. Dopo aver superato il comune di Patrica, il Sacco bagna Ceccano, città seriamente colpita dall'inquinamento. Durante il suo percorso in Ceccano, il Sacco forma altre due cascate sempre di taglio obliquo, per poi riprendere il suo percorso verso sud. Uscito da Ceccano bagna Pofi e Castro dei Volsci, dove in località Ponte della Mola vi è la penultima cascata del fiume.
  Nell'ultimo tratto, in località la Mola, nel territorio di Falvaterra, si trova l'ultima cascata del fiume Sacco. Qui, con andamento meandriforme, tra i comuni di Falvaterra e di Ceprano, confluisce nel Liri, tra la frazione di Isoletta di Arce e la Civita di San Giovanni Incarico.
  Come si è detto, il Sacco da Colleferro è un fiume estremamente inquinato a causa dei rifiuti chimici industriali e, proprio per tale ragione, l'allevamento e le colture alimentari nei campi adiacenti sono state vietate e in parte riconvertite nella produzione di cippato da Pag. 123pioppo short rotation (pioppicoltura a turno di taglio breve per bioenergia e fitorimedio).
  È solito dividere l'intera valle in due macroaree, la macroarea nord definita «Alta valle del Sacco», che abbraccia i comuni Olevano Romano, Bellegra, San Vito Romano, Genazzano, Cave e la macroarea sud i cui comuni più importanti, per popolazione, sono: Anagni, Alatri, Ceccano, Ceprano, Paliano, Colleferro, Artena, Ferentino, Morolo, Supino, Patrica.
  Nella «Valle Sud» del fiume Sacco sorge un importante distretto industriale, con la conseguenza che, a causa dell'intensa attività industriale, soprattutto chimica, e la creazione di discariche a cielo aperto, si è creato un sovraccarico di inquinanti che negli anni hanno contaminato terreni e falde acquifere della Valle del Sacco.
  In particolare, il beta-esaclorocicloesano (β- HCH) è stato abbondantemente utilizzato fino agli anni settanta per la produzione di insetticidi, quindi, è stato limitato e infine proibito nel 2001.
  Avendo tutti gli atomi di cloro in posizione equatoriale, il β-esaclorocicloesano risulta molto stabile e difficilmente degradabile. Pertanto, è capace di accumularsi per un lungo periodo sia in ambienti, sia nei tessuti di uomini o animali che ne subiscono l'esposizione. Il β-esaclorocicloesano è l'isomero più persistente, con un tempo di dimezzamento di 184 e 100 giorni, rispettivamente su terreno coltivato e incolto.
  Con le acque piovane, che colavano nei terreni delle discariche a cielo aperto e si convogliavano nei fossi, detti Fosso Savo e Fosso Cupo, si è creato un inquinamento costante nel fiume Sacco, il quale, esondando periodicamente, nei decenni successivi ha portato gli inquinanti sui terreni limitrofi a destinazione agricola, generando problemi in tutta la catena alimentare.
  Su quest'ultimo punto si tornerà di seguito, trattando il tema della bonifica dei suddetti terreni agricoli e della valutazione del danno ambientale da parte di ISPRA.

4.2 Inquadramento generale

4.2.1 Lo stato di emergenza del bacino del fiume Sacco

  L'apice si è avuto nel 2005, quando furono rinvenute 25 mucche morte lungo il fiume nei pressi di Anagni, avvelenate dall'arsenico presente nel fiume, mentre l'esondazione del fiume del mese di maggio dello stesso anno rivelò la presenza nel mais, nel fieno, coltivati sulle sponde dello stesso fiume, nonché nel latte dei bovini, di una elevata quantità di concentrazione di sostanze tossiche per l'uomo, vietate in Italia dal 2001, che costrinse all'abbattimento di bestiame, alla distruzione dei prodotti agricoli e alla chiusura di alcune aziende.
  In particolare, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 maggio 2005, è stato dichiarato lo stato di emergenza socio-economico-ambientale nel bacino del fiume Sacco, a seguito del rilevamento in un campione di latte proveniente da un'azienda bovina situata nel comune di Gavignano (RM) di concentrazioni di beta-Pag. 124esaclorocicloesano (β- HCH), superiori al livello limite di 0,003 mg/kg, consentito dalla normativa comunitaria.
  Secondo quanto stabilito dal suddetto decreto, lo stato di emergenza socio-economico-ambientale nel bacino del fiume Sacco ha interessato il territorio dei comuni di Colleferro, Segni e Gavignano nella provincia di Roma, nonché il territorio dei comuni di Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino nella provincia di Frosinone. Successivamente, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 ottobre 2010, le competenze dell'Ufficio commissariale sono state estese alle aree agricole/ripariali dei comuni di Frosinone, Patrica, Ceccano, Castro dei Volsci, Pofi, Ceprano e Falvaterra (totale 9 7 comuni).
  Dopo il primo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 maggio 2005, sono intervenuti i successivi decreti del 6 aprile 2006, del 24 aprile 2007, del 30 maggio 2008, del 31 ottobre 2008, del 2 ottobre 2009, del 29 ottobre 2010 e dell'11 novembre 2011, che hanno prorogato lo stato d'emergenza fino al 31 ottobre 2012, che è il punto di partenza della situazione dei nostri giorni.
  Con le ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri 10 giugno 2005, n. 3441 e 14 luglio 2005, n. 3447, è stato nominato commissario delegato per l'emergenza il presidente della regione Lazio, autorizzato ad avvalersi di un «soggetto attuatore». Le stesse ordinanze hanno definito i compiti e l'organizzazione dell'ufficio commissariale, individuando le risorse economiche utili per i primi interventi.
  Precisamente, l'articolo 1 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3441/05 e successive modifiche e integrazioni ha affidato all'ufficio commissariale il compito di provvedere:
   alla messa in sicurezza, perimetrazione e caratterizzazione dell'area interessata dal grave inquinamento ambientale, nonché alla programmazione ed esecuzione degli interventi di bonifica;
   alla predisposizione e approvazione del progetto di bonifica delle acque superficiali, delle acque sotterranee, dei sedimenti, dei suoli e dei sottosuoli inquinati;
   all'adozione di direttive, anche con carattere informativo, alle autorità locali per l'utilizzo delle risorse idriche a fini potabili, irrigui e zootecnici;
   alla promozione di attività di sorveglianza epidemiologica e ambientale finalizzate a garantire la tutela della salute pubblica e la sicurezza delle produzioni agricole;
   all'eventuale inserimento, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, della Valle del fiume Sacco nel Piano nazionale delle bonifiche di interesse nazionale (cfr. articolo 11-quaterdecies, comma 15, legge 2 dicembre 2005, n. 248).

  Inoltre, risultava affidata allo stesso ufficio commissariale la gestione delle suddette attività nel comprensorio industriale di Colleferro nonché delle aree agricole e ripariali a partire dal comune di Colleferro (Roma) fino al comune di Falvaterra (Frosinone), così come Pag. 125previsto dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3441/2005 e successiva estensione, avvenuta con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 ottobre 2010).
  I poteri del commissario delegato sono cessati a fine 2012, a seguito del venir meno di tutte le strutture commissariali, per effetto della riforma della regolamentazione della Protezione Civile.

4.2.2 Il SIN «Bacino del Fiume Sacco»

  Quasi contestualmente al primo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è intervenuta la legge 2 dicembre 2005, n. 248, recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203», che ha inserito il territorio del bacino del fiume Sacco tra i siti di bonifica di interesse nazionale di cui alla legge n. 426 del 1998.
  Esistevano, quindi, due perimetrazioni: quella che scaturiva da una convenzione Ministero dell'ambiente/ARPA «Bacino del Fiume Sacco», attuata con decreto ministeriale n. 4352 del 31 gennaio 2008, che comprendeva il territorio di 62 comuni nella provincia di Frosinone e classificata quale SIN con l'anzidetta legge n. 248 del 2005 e quella che scaturiva dall'attività dell'ufficio commissariale per l'emergenza nel territorio del bacino del fiume Sacco tra le province di Roma e Frosinone, secondo le già citate ordinanze.
  Il SIN «Bacino del Fiume Sacco» comprendeva tutto il bacino imbrifero del fiume Sacco, ma non anche le aree soggette alle competenze del commissario straordinario.
  Accanto a questo SIN, ve ne era un altro, il SIN di Frosinone, già individuato con decreto ministeriale 468/2001 e perimetrato con i decreti del Ministro dell'ambiente del 2 dicembre 2002 e del 23 ottobre 2003 e, come tale, affidato alla competenza del Ministero dell'ambiente. Tale ulteriore SIN comprendeva una vasta area di 90 comuni con 123 ex discariche comunali – tra cui la discarica di via Le Lame, ubicata nel comune di Frosinone – che contenevano non solo rifiuti urbani, ma anche rifiuti speciali, con gravi criticità ambientali, su cui si tornerà di seguito in questa relazione.
  Successivamente, con decreto n. 7 in data 11 gennaio 2013, il Ministero dell'ambiente, nell'approvare un elenco dei siti che non soddisfacevano i requisiti di cui all'articolo 252, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, declassava i siti di interesse nazionale «Bacino del Fiume Sacco» e «Frosinone», restituendo la titolarità del procedimento alla regione Lazio.
  Tale decisione determinava una fase di stallo, accentuata anche dai ricorsi al TAR Lazio da parte della regione Lazio (per il declassamento del SIN «Bacino del Fiume Sacco») e del comune di Ceccano (per il declassamento del SIN «Frosinone»).
  In particolare, il provvedimento del Ministero dell'ambiente veniva impugnato davanti al TAR Lazio che, con sentenza n. 7586/2014 del 17 luglio 2014, annullava il suddetto decreto ministeriale nella parte in cui escludeva il «Bacino del Fiume Sacco» dai siti di interesse nazionale. Avverso la sentenza del TAR veniva proposto gravame al Consiglio di Stato.Pag. 126
  Comunque, a partire dalla data della sentenza del TAR Lazio, la titolarità del procedimento veniva riassegnata al Ministero dell'ambiente e, contestualmente, veniva avviata l'istruttoria per individuare il «nuovo» perimetro del sito di interesse nazionale, in coerenza con quanto previsto dall'articolo 36-bis, comma 3, della legge n. 134 del 2012.
  Invero, il Ministero dell'ambiente, nel corso della riunione tecnica tenutasi in data 8 settembre 2014 presso la direzione generale TRI (tutela risorse idriche) in Roma, con nota prot. 0027106/TRI del 16 ottobre 2014, comunicava la necessità di procedere a una nuova «riperimetrazione» del SIN «Bacino del fiume Sacco», «nel rispetto dei criteri oggettivi stabiliti dalla normativa vigente, tenendo conto delle informazioni acquisite attraverso le indagini effettuate da ARPA Lazio e delle attività effettuate dall'ufficio commissariale», comprendendo quindi anche le porzioni del territorio precedentemente assegnate alla responsabilità e competenza esclusiva del commissario governativo.
  Pertanto, lo stesso dicastero richiedeva alla regione Lazio di riformulare una proposta per detta riperimetrazione, in coerenza con quanto previsto dall'articolo 36-bis, comma 3, della legge n. 134 del 2012.
  Nell'ambito dell'iter istruttorio definito dal Ministero dell'ambiente, si svolgevano diversi incontri, riunioni tecniche e conferenze dei servizi. In particolare, nella conferenza di servizi istruttoria del 15 dicembre 2015, veniva ritenuta condivisibile, da parte di tutti i soggetti pubblici coinvolti nel procedimento, la «Bozza di perimetrazione del sito di interesse nazionale Bacino del Fiume Sacco-Rev. 5», trasmessa dalla regione Lazio con nota prot. n. 641246/GR/03/52 del 23 novembre 2015.
  Di conseguenza, veniva disposto di procedere alla consultazione dei soggetti privati proprietari delle aree considerate interne al perimetro, ai sensi dell'articolo 252, terzo comma, del decreto legislativo n. 152 del 2006, e veniva fatto obbligo ai comuni interessati di comunicare l'inserimento nel perimetro del sito di interesse nazionale «Bacino del Fiume Sacco» ai soggetti proprietari delle aree, che avevano la facoltà di trasmettere le loro osservazioni, supportate da idonea documentazione tecnica, nel termine di 30 giorni dall'avvenuta comunicazione.
  Dopo la conferenza di servizi del 15 dicembre 2015, la direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque sollecitava informazioni in merito allo stato delle attività di consultazione, ponendo in evidenza la necessità di giungere nei minimi tempi tecnici necessari alla conclusione della fase di consultazione prevista dall'articolo 252, terzo comma, del decreto legislativo n. 152 del 2006 (note prot. n. 421/STA del 14 gennaio 2016 e n. 5616/STA del 24 marzo 2016).
  Quindi, in data 27 giugno 2016, si teneva presso la sede regionale di Frosinone una riunione, finalizzata a definire le modalità di consultazione dei soggetti privati proprietari delle aree, come individuate all'interno della bozza di perimetro discussa in sede di conferenza di servizi del 15 dicembre 2015.
  Da detto incontro emergeva la concorde volontà del Ministero dell'ambiente, della regione Lazio e dei comuni presenti di fissare un'unica data per l'avvio contemporaneo del procedimento di pubblicazione Pag. 127della documentazione agli atti della conferenza dei servizi e si conveniva di fissare tale data nel giorno 11 luglio 2016, disponendo la diffusione a mezzo stampa dell'avviso pubblico.
  In effetti, in data 11 luglio 2016, veniva avviata la fase di consultazione dei soggetti privati con le suddette modalità e, in data 10 agosto, si concludeva la fase di consultazione dei soggetti privati.
  In data 20 ottobre 2016, nel corso dell'incontro convocato con nota prot. n. 18394/STA del 7 ottobre 2016 presso il Ministero dell'ambiente, venivano illustrate alle amministrazioni, alle associazioni e ai consorzi interessati le controdeduzioni formulate dal Ministero dell'ambiente, con il supporto di ARPA Lazio, in merito alle osservazioni formulate dai soggetti privati e trasmesse dai comuni interessati al medesimo dicastero.
  Allo scopo di porre in evidenza l'impegno profuso, nella relazione del Ministero dell'ambiente aggiornata al mese di dicembre 2016 (doc. 1657/2) si sottolinea che erano pervenute più di 1.000 osservazioni, alle quali gli uffici avevano dato puntuale riscontro.
  In data 7 novembre 2016, la conferenza di servizi decisoria deliberava di ritenere approvabile il perimetro del SIN Bacino del fiume Sacco, come modificato a seguito delle osservazioni formulate dai soggetti privati e recepite da ARPA Lazio, con note prot. n. 77746 del 18 ottobre 2016 (prot. MÀITM n. 19095/STA dei 18 ottobre 2016) e n. 81502 del 2.11.2016 (prot. Ministero dell'ambiente 20149/STA del 2 novembre 2016).
  Il perimetro definitivo del SIN (figura 1) – come predisposto dalla Regione Lazio e dall'ARPA Lazio – è stato approvato con decreto ministeriale n. 321 del 22 novembre 2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.293 del 16 dicembre 2016 ed è disponibile al seguente link: http://www.bonifiche.minambiente.it/contenuti/Sacco/2016/Decreti/Decreto_Ministro_321_del_22.11.2016_Perimetrazione_SIN_Sacco.pdf
  In conclusione, ad oggi il sito di interesse nazionale «Bacino del Fiume Sacco» vede la presenza di 19 comuni – di cui 4 in provincia di Roma e gli altri nella provincia di Frosinone – perimetrati all'interno di un'unica area, che parte da Colleferro e arriva a Ceprano.
  Si tratta di un perimetro – predisposto secondo dettami tecnici e precauzionali in totale condivisione e nel massimo della trasparenza e partecipazione, così da avere una visione d'insieme delle criticità – che contiene tutte le aree industriali prospicienti il bacino, compresa quella di Colleferro, dove risulta la presenza di insediamenti industriali dal 1912, compreso un cementificio e un termovalorizzatore e che interessa il fiume Sacco fino alla convergenza con il fiume Garigliano-Liri.
  I comuni compresi nel SIN sono i seguenti: Anagni, Arce, Artena, Castro dei Volsci, Ceccano, Ceprano, Colleferro, Falvaterra, Ferentino, Frosinone, Gavignano, Morolo, Paliano, Pastena, Patrica, Pofi, Segni, Sgurgola, Supino (Figura 1).
  Va subito precisato che sono comprese nel SIN «Bacino del Fiume Sacco» non le intere aree comunali, bensì solo parte delle stesse e, precisamente, le aree industriali di Colleferro, di Anagni, di Ferentino, di Frosinone, di Ceccano e di Ceprano, nonché, per i restanti comuni attraversati dal fiume Sacco, le aree ripariali a destra e sinistra del Pag. 128fiume, per circa un chilometro, ivi incluse le zone agricole, nonché le aree adibite ad uso commerciale, industriale, residenziale.
  Come hanno sottolineato, nel corso della loro audizione del 6 giugno 2017, l'architetto Demetrio Carini e Eugenio Maria Monaco, rispettivamente, nella qualità di direttore della direzione regionale valutazioni ambientali e bonifiche e di funzionario regionale area bonifiche della regione Lazio, il nuovo perimetro del SIN – molto più snello rispetto al precedente, che comprendeva ben 62 comuni – è stato determinato, a seguito delle analisi e delle verifiche fatte sulle matrici ambientali, insieme all'Autorità di bacino, al Ministero dell'ambiente, all'ARPA e alla regione Lazio, che hanno lavorato insieme dal 2014 al 2016.
  Infine, la determinazione del nuovo perimetro ha visto la partecipazione, oltre che degli agricoltori e degli industriali, anche delle associazioni e delle collettività, sul presupposto, condiviso dall'amministrazione regionale, che nessuno meglio di chi vive realmente un territorio sappia delineare quali sono le sue criticità.

Pag. 129

4.3 L'ex ufficio commissariale Valle del Sacco

  Come si è detto, a seguito del rilevamento di concentrazioni di beta-esaclorocicloesano (β – HCH) superiori al livello consentito dalla normativa comunitaria, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 maggio 2005, veniva dichiarato lo stato di emergenza socio-economico-ambientale nel bacino del fiume Sacco.
  Lo stato di emergenza veniva successivamente prorogato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 aprile 2006, del 24 aprile 2007, del 30 maggio 2008, del 31 ottobre 2008, del 2 ottobre 2009, del 29 ottobre 2010 e, infine decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 11 novembre 2011 fino al 31 ottobre 2012.
  Con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 10 giugno 2005, n. 3441, venivano disposti i primi interventi urgenti diretti a fronteggiare la situazione di emergenza nel territorio interessato e veniva nominato il presidente della regione Lazio, quale commissario delegato per il superamento dell'emergenza, con facoltà di avvalersi di un soggetto attuatore, al quale veniva attribuita la competenza esclusiva per le attività di messa in sicurezza, caratterizzazione, bonifica e ripristino ambientale nel territorio dei comuni interessati dall'emergenza.
  In seguito all'entrata in vigore del decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012, n. 100, lo stato di emergenza socio-economico- ambientale nella valle del fiume Sacco non è stato oggetto di ulteriore rinnovo.
  Con ordinanza del capo del dipartimento di protezione civile del 14 marzo 2013, n. 61, la regione Lazio veniva individuata quale amministrazione competente al coordinamento delle attività necessarie al superamento della situazione di criticità nella valle del fiume Sacco, senza soluzione di continuità, mentre responsabile degli interventi veniva nominato il direttore del dipartimento istituzionale e territorio della regione Lazio.
  Successivamente, con legge regionale 28 giugno 2013 articolo 14, veniva prevista la soppressione, a decorrere dal 1o ottobre 2013, delle strutture e degli uffici di staff appartenenti al dipartimento istituzionale e territorio della regione Lazio.
  Di conseguenza, al fine di consentire il completamento delle attività programmate, di cui all'O.C.D.P.C. n. 0061/2013, il Capo del dipartimento di protezione civile, con ordinanza n. 153, del 26 febbraio 2014, prevedeva il subentro del direttore della direzione regionale infrastrutture, ambiente e politiche abitative nelle iniziative già affidate al direttore del dipartimento istituzionale e territorio.
  Mauro Lasagna, direttore della direzione regionale risorse idriche, difesa del suolo e rifiuti della regione Lazio, nel corso dell'audizione del 6 giugno 2017, ha riferito che la contabilità speciale è stata azzerata, come richiesto dalla protezione civile nazionale, alla data del 30 ottobre 2016.
  Tutto è passato, quindi, sul bilancio regionale. Grosso modo da quella data fino all'effettiva chiusura – che avverrà amministrativamente quando la protezione civile la stabilirà – sono stati trasferiti nelle casse regionali i residui dell'attività che il commissario straordinario ha svolto, a partire dal 2005.Pag. 130
  Allo stato, dopo le molteplici variazioni organizzative intervenute all'interno della regione Lazio, è stata convocata presso la regione Lazio, in data 8 giugno 2017, una conferenza dei servizi con tutti i soggetti interessati alla vicenda della Valle del Sacco, allo scopo di sancire formalmente il passaggio alla gestione regionale della bonifica del sito inquinato.

4.4 La tipologia degli interventi dell'ufficio commissariale

  L'articolo 16 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3552/06 assegnava al commissario delegato, in via esclusiva, le attività relative alla messa in sicurezza d'emergenza, caratterizzazione, bonifica e ripristino ambientale, nonché la predisposizione e l'approvazione dei relativi progetti delle aree afferenti ai nove comuni interessati dall'emergenza con riferimento alle seguenti attività:

  A. la perimetrazione del sito oggetto dell'emergenza, in funzione delle varie situazioni di rischio riscontrabili:
   • aree con presenza di fonti attive di contaminazione (siti industriali, aree di discarica anche non autorizzata, aree di compensazione industriale);
   • aree a rischio di contaminazione passiva (aree residenziali; aree agricole ripariali; area vasta; rete idrica superficiale).

  B. la gestione del sito d'interesse nazionale.

  C. l'individuazione delle misure di messa in sicurezza d'emergenza da adottare a cura dei soggetti pubblici e privati e sorveglianza sull'esecuzione delle misure richieste.

  D. la caratterizzazione del sito:
   • redazione di protocolli operativi al fine di stabilire la sensibilità investigativa (profondità e densità dei punti d'investigazione diretta) e, in funzione della storia industriale del sito, definizione della short list: elenco minimo di analiti che devono essere ricercati nelle differenti matrici ambientali (acque sotterranee; suolo e sottosuolo);
   • redazione di progetti di caratterizzazione ed esecuzione delle prestazioni per le aree di competenza della pubblica amministrazione (aree a rischio di contaminazione passiva).

  E. la gestione e la sorveglianza delle attività di caratterizzazione svolte dai soggetti terzi.

  F. il monitoraggio dei corsi d'acqua e della falda profonda mediante una campagna di censimento dei pozzi esistenti e successiva rilevazione delle caratteristiche idro-chimiche dei pozzi ad uso umano.

Pag. 131

  G. la bonifica e ripristino ambientale; monitoraggio degli allevamenti che avevano effettuato il reimpianto attraverso l'analisi dei foraggi e del latte prodotto.

  H. la realizzazione di una indagine epidemiologica.

4.5 Il territorio attribuito alle competenze esclusive dell'ufficio commissariale

  Il sito nazionale Valle del fiume Sacco, nella «porzione» di competenza dell'ex ufficio commissariale comprendeva un polo industriale di Colleferro aree residenziali e di compensazione limitrofe al comprensorio industriale, nonché aree esterne a vocazione agricola, fino al confine di Supino (circa 30 chilometri di distanza dalle fonti probabili dell'inquinamento individuate nella produzione chimica effettuata a Colleferro).
  Come si è detto nel paragrafo 2, il territorio attribuito alle competenze esclusive dell'ufficio commissariale riguardava i nove comuni, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 maggio 2005 (Colleferro, Segni e Gavignano – nella provincia di Roma – Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino – nella provincia di Frosinone). Successivamente, con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 ottobre 2010, le competenze dell'ufficio commissariale venivano estese alle aree agricole/ripariali dei comuni di Frosinone, Patrica, Ceccano, Castro dei Volsci, Pofi, Ceprano e Falvaterra.
  L'ufficio commissariale Valle del Sacco aveva competenza esclusiva nel comprensorio industriale di Colleferro e nelle fasce di esondazioni 100 metri a sinistra e destra idraulica.
  Ad oggi, per i primi nove comuni, vige un'interdizione totale all'utilizzo di questi terreni. Non soltanto c’è divieto di vendita del prodotto, ma addirittura di allevamento e di coltivazione.
  Viceversa, per i sette comuni, che sono stati successivamente affidati alla competenza dell'ufficio commissariale venne fatta un'interdizione relativa, in quanto, come ha riferito Eugenio Maria Monaco, nel corso della sua audizione, vi era l'obbligo di svolgere le analisi sui prodotti agricoli, prima della loro immissione sul mercato.
  In questa sede occorre sottolineare che gli unici interventi effettuati nella Valle del fiume Sacco, nel periodo compreso tra il 2005 e il 2013 sono quelli effettuati dal commissario delegato per l'emergenza. Dopo la soppressione dell'ufficio commissariale e il declassamento dei SIN Bacino del Fiume Sacco e Frosinone 2013, in pratica non vi sono stati interventi, se non quello relativo all'adeguamento dell'impianto di depurazione di Anagni.
  Quindi, allo scopo di verificare lo stato dell'arte, è necessario partire dalle attività svolte all'ufficio del commissario straordinario delegato.

Pag. 132

4.5.1 Il comprensorio industriale di Colleferro

  Il centro industriale di Colleferro nasce in data 26 ottobre 1912 ad opera dell'ingegner Leopoldo Parodi Delfino il quale, in partnership con il senatore Giovanni Bombrini, aveva fondato la società B.P.D. per la fabbricazione, l'acquisto, la trasformazione, la vendita di materie esplosive e chimiche, su incarico del governo italiano. Le caratteristiche geografiche, logistiche e infrastrutturali (scalo ferroviario, presenza del fiume Sacco, vicinanza a Roma) dell'area territoriale di Colleferro, risultarono, invero, favorevoli alla realizzazione dell'industria bellica.
  Alla fine della prima guerra mondiale, l'industria degli esplosivi subì una contrazione: furono avviati nuovi impianti per la produzione di fertilizzanti e prodotti chimici per l'industria; realizzati stabilimenti per la produzione di cementi e leganti idraulici.
  L'area di Colleferro si affermò come principale polo industriale a sud di Roma.
  Negli anni successivi al secondo conflitto mondiale, furono avviate nuove produzioni, distinte in quattro divisioni (esplosivi, meccanica, tessile, chimica).
  Vi fu, dunque, una sorta di riconversione industriale di quell'area, ma si trattava di riconversione industriale relativa, in quanto si basava comunque solo ed esclusivamente su un indotto della chimica.
  Quindi, negli anni ottanta, la società chimica Caffaro si è insediata su terreni, che già storicamente erano stati utilizzati come siti industriali, quasi da archeologia industriale.
  In particolare, i siti in cui Caffaro Srl ha svolto la propria attività sono l'area «Chetoni/Fenilglicina», di proprietà della stessa società Caffaro, ma la produzione chimica è cessata nel 2002, nonché l'area «Benzoino Derivati», di proprietà Se.Co.Sv.Im., nella quale la produzione è cessata nel 2005.
  I chetoni sono composti organici idrocarburici, utilizzati soprattutto come solventi, mentre il benzoino viene utilizzato come additivo in vernici in polvere e anche in medicina.
  Si tratta, dunque, di due distinte aree non contigue fra loro, una di sua proprietà e una in affitto.
  Invero, dal 1o dicembre 1996, la Se.Co.Sv.Im. (Servizi comprensoriali e servizi immobiliari), società del gruppo Fiat, in forza di conferimento del complesso aziendale della B.P.D. Difesa e Spazio Spa (già B.P.D. Difesa e Spazio Srl), è divenuta proprietaria del comprensorio di Colleferro, in particolare, degli immobili utilizzati da Fiat Avio, da Bag, da Allied Signal, da Simmel Difesa e, come si è detto, anche da parte di Caffaro.
  Ancora oggi, la Se.Co.Sv.Im. continua a gestire alcuni dei servizi generali forniti alle suddette società.
  Le situazioni di rischio (contaminazione delle varie matrici ambientali: suolo/sottosuolo; acque superficiali/acque sotterranee) sono principalmente connesse alle aree degli impianti produttivi e/o alla distruzione di impianti, a causa degli eventi bellici che hanno interessato il complesso industriale.Pag. 133
  Ulteriori fonti attive di contaminazione sono costituite dalla presenza di discariche incontrollate di rifiuti industriali, che erano distribuite in modo del tutto casuale all'interno del comprensorio.
  Sono state individuate almeno tre aree principali (ARPA 1, ARPA 2 ed ex Cave di Pozzolana), che, in tempi recenti, sono state oggetto di inchieste della magistratura (inizio anni ’90).
  Già le indagini predisposte all'atto del primo sequestro (1991) hanno posto in evidenza la presenza di contaminazione nelle acque di falda e nei terreni, principalmente per metalli pesanti, pesticidi clorurati persistenti (DDE e DDT), tracce di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), e presenza di isomeri dell'esaclorocicloesano. Inoltre, nei suoli, è stata riscontrata anche la presenza di diossine, che costituiscono la testimonianza dell'avvenuto incenerimento o della combustione di sostanze organoclorurate. Metodo quest'ultimo che, per un lungo periodo, ha rappresentato il sistema di eliminazione dei rifiuti industriali (incenerimento all'aperto).
  L'esaclorocicloesano, già individuato fin dagli anni novanta tra le sostanze contaminanti presenti nel comprensorio industriale di Colleferro, oggi rappresenta il marker che ha evidenziato lo stato d'emergenza ambientale nella valle del fiume Sacco (cfr. doc. 2046/3, pag. 17).

4.5.2 Le aree agricole ripariali

  L'area studiata nel corso della «caratterizzazione di prima fase» ha riguardato le zone sottoposte a perimetrazione cautelativa con interdizione all'uso umano: fascia di 500-600 metri a cavallo del fiume Sacco, per un tratto di circa 30 km.
  Le analisi chimiche, eseguite sui campioni di terreno, hanno posto in evidenza superamenti dei limiti delle concentrazioni soglia consentita (CSC), imposti dal decreto legislativo n. 152 del 2006, per siti ad uso verde e residenziale, con riferimento ai composti inorganici e fitofarmaci.
  La contaminazione da composti inorganici (principalmente, arsenico e vanadio) riguarda soltanto pochi punti superficiali, con concentrazioni lievemente superiori ai limiti di legge. Inoltre, questi elementi sono presenti in associazione mineralogiche caratterizzanti gli affioramenti delle vulcaniti laziali presenti nell'area di Colleferro. Pertanto, tali superamenti, sono, molto probabilmente, riconducibili a valori di fondo naturale.
  Viceversa, per i fitofarmaci, la contaminazione prevalente è dovuta agli isomeri dell'esaclorocicloesano (alfa, beta e gamma) e presenta diffusi superamenti dei limiti di legge nei terreni agricoli superficiali, in quelli prelevati al livello della frangia capillare e nei sedimenti di alveo.

4.5.3 L'elenco delle aree inquinate

  Comprensorio industriale:
   area d'impianto industriale ALSTOM;
   area d'impianto industriale ITALCEMENTI;Pag. 134
   area d'impianto industriale CAFFARO;
   area di piazzale merci (Se.Co.Sv.Im.);
   area di piazzale principale (Se.Co.Sv.Im.);
   area ex esplosivistica (Se.Co.Sv.Im.);
   area vasta su cui non sono state effettuate attività industriali (Se.Co.Sv.Im.);
   area dell'impianto di depurazione CSC (Se.Co.Sv.Im.);
   area centrale elettrica (Se.Co.Sv.Im.);
   area d'impianto industriale AVIO (Se.Co.Sv.Im.);
   area d'impianto industriale Simmel difesa;
   area d'impianto industriale BAG (Se.Co.Sv.Im.);
   area d'impianto industriale KSS (Se.Co.Sv.Im.);
   area di discarica ARPA 1 (Se.Co.Sv.Im.);
   area di discarica ARPA 2 (Se.Co.Sv.Im.);
   area di discarica ex cava di Pozzolana (Se.Co.Sv.Im.);
   area di discarica Colle Sughero (Italcementi);
   area esterna alle discariche ARPA 1 e ARPA 2 (Se.Co.Sv.Im.);
   area di impianto EP Sistemi;
   area di impianto Mobilservice.

  Aree residenziali:
   area di impianto RFI;
   Colleferro scalo;
   Parcheggio multipiano;
   Area di completamento industriale Valle sette/due.

  Aree agricole:
   Aree agricole esterne alle discariche;
   Aree agricole e riparali.

4.6 Gli interventi effettuati dall'Ufficio del commissario delegato

  Il sito è costituito dall'area del comprensorio industriale di Colleferro (ex SNIA-BPD) di circa 1.000 ettari, dalle aree residenziali contermini (Colleferro scalo), dai piani artigianali e dalle aree agricole ripariali ubicate nell'agro dei nove comuni per una lunghezza di circa 30 chilometri.Pag. 135
  L'intervento della pubblica amministrazione ha interessato le aree agricole, i piani artigianali e le aree residenziali di Colleferro per una superficie complessiva di circa 3.000 ettari.

Numero progressivo e denominazione dell'area oggetto di intervento pubblico
(1)
Superficie dell'area Fase del procedimento
(2)
Superficie dell'area bonificata
(3)
Percentuale di realizzazione della bonifica Superficie dell'area riutilizzata Percentuale di riutilizzo dell'area già bonificata di cui alla colonna D
1. Residenziale
 Colleferro scalo
4,5 4 200 mq 100% 100% 100%
2. Piani artigianali 15 3 - - - -
3. Parcheggio multipiano 0.4 3 400 mq - 100% -
4. Auditorium 0.2 3 200 mq - 100% -
5. ASL 0.2 3 200 mq - 100% -
6. fosso Cupo 800 ml 4 - 100% 100%- -
7. Aree agricole 3.000 3 - - - -
8. ARPA 1
 (in sostituzione)
2.10 4 - 100% - -
9. Benzoino
 (in sostituzione)
1.6 4 Chiuso 100% - -

  1) Colleferro Scalo (Scuola «Barchiesi» di Colleferro)

  Nel mese di agosto 2006, è stata realizzata, a cura dell'ufficio commissariale, la bonifica del giardino della scuola elementare «Barchiesi» in area residenziale Colleferro scalo (sito gestito direttamente dall'ufficio), mediante asportazione e smaltimento presso idoneo impianto autorizzato del terreno contaminato da fitofarmaci, nonché ripristino ambientale.

  2) Piani Artigianali (area sette/due)

  La caratterizzazione, attuata direttamente dall'ufficio commissariale e approvata dal tavolo tecnico e successivamente dalla conferenza dei servizi, non ha evidenziato situazioni che richiedano l'attuazione di interventi di bonifica. È stato effettuato il monitoraggio degli acquiferi sottesi il sito dall'ufficio commissariale.
  3) Parcheggio multipiano (Colleferro scalo)

  La caratterizzazione, attuata direttamente dal comune di Colleferro (proprietario del sito) al fine di realizzare il parcheggio multipiano, ha consentito di porre in evidenza il superamento per alcuni metalli e fitofarmaci. Le terre sono state gestite nel rispetto della normativa in essere e classificati come rifiuti speciali non pericolosi e l'opera è stato dotata di un impianto di trattamento acque dedicato. Inoltre, sempre nell'area di Colleferro scalo, il comune ha realizzato le opere necessarie all'allaccio della rete fognaria (urbana) all'impianto del CSC.

Pag. 136

  4) Auditorium (Colleferro scalo)

  La caratterizzazione, attuata direttamente dal comune di Colleferro (proprietario del sito) al fine di realizzare la riconversione del sito, non ha posto in evidenza alcun superamento. Le terre di scavo sono state gestite nel rispetto della normativa in essere.

  5) ASL

  La caratterizzazione, attuata direttamente dal comune di Colleferro (proprietario del sito) allo scopo di realizzare la riconversione del sito, non ha posto in evidenza alcun superamento. Le terre di scavo sono state gestite nel rispetto della normativa in essere.

  6) Fosso Cupo e rete delle acque bianche nel sito industriale di Colleferro

  Dal mese di agosto 2007, utilizzando l'impianto consortile di depurazione dei reflui industriali di Colleferro (ente gestore il Consorzio Servizi di Colleferro: CSC) opportunamente integrato con moduli «filtro a carboni attivi», è stata avviata la gestione della rete di acque bianche (acque di dilavamento meteorico dei piazzali) degli impianti riconducibili alle società comprese nel Consorzio Servizi di Colleferro (CSC).
  L'ufficio commissariale ha esteso l'indagine anche al tratto a giorno del fosso Cupo, fino alla confluenza con il fiume Sacco. La pulizia del Cupo, i cui progetti, definitivo ed esecutivo (redatti dall'ufficio commissariale), sono stati discussi nel corso della conferenza di servizio del 14 ottobre 2009 e, successivamente, sono stati approvati con disposizione commissariale, è stata assunta dall'ufficio commissariale, con riserva di rivalersi in danno nei confronti dei soggetti responsabili dell'inquinamento (se identificabili). È stata esperita una gara di evidenza pubblica per l'assegnazione dei lavori, che sono iniziati nel mese di aprile 2010.
  Con disposizione n. 13 del 5 febbraio 2010, prot. n. 0170/10, registrato all'Agenzia delle entrate di Palestrina al n. 1490 Serie III, l'importo del contratto è stato di euro 436.252,71, di cui euro 84.969,13, a titolo di oneri per la sicurezza.
  I lavori hanno avuto inizio il 29 aprile 2010 e sono stati ultimati il 30 settembre 2010 e l'importo finale dei lavori è stato di euro 381.565,38.

  7) Aree agricole

  La caratterizzazione, attuata direttamente dall'ufficio commissariale in due campagne successive (luglio-settembre 2007; maggio-settembre 2008), ha posto in evidenza alcuni superamenti per metalli e fitofarmaci nelle matrici ambientali del suolo agrario e del sedimento fluviale. Sono state confermate le disposizioni che inibiscono l'uso delle aree ripariali per i consumi umani e sono state avviate colture di biomasse nelle aree più critiche. È stata sottoscritta una convenzione con il CNR-IBAF per la messa a punto di sistemi di Pag. 137bonifica integrati (fitodepurazione enzimi microorganismi) ed è stata avviata una sperimentazione in campo, tuttora in essere.

  8) Sito di discarica ARPA 1 nell'area industriale di Colleferro

  L'ufficio commissariale, agendo in sostituzione, ha realizzato il progetto definitivo di bonifica del sito e ha stipulato il contratto per l'esecuzione delle opere con il R.T.I. Teseco-Ecodeco, risultato aggiudicatario all'esito di una procedura di gara europea. Il 23 gennaio 2009 è stata avviata la consegna dei lavori di bonifica del sito ARPA 1 e la relativa fase si è conclusa in data 15 aprile 2009.
  Una volta completati gli adempimenti tecnico-amministrativi necessari all'esecuzione delle opere, l'appaltatore ha provveduto, sulla base di crono programmi mensili, a dare esecuzione ai lavori per la bonifica del sito ARPA 1 (suolo/sottosuolo insaturo).
  In particolare sono state completate le seguenti attività:
   • caratterizzazione integrativa;
   • cantierizzazione;
   • caratterizzazione dei terreni soggiacenti le baie di stoccaggio;
   • realizzazione di una strada di servizio per il collegamento in sicurezza dei due cantieri;
   • impianto accessori (di pesatura; lavaggio mezzi);
   • baie di stoccaggio;
   • recinzione sito di stoccaggio provvisorio dei terreni provenienti dal fronte di scavo;
   • pulizia del sito di stoccaggio;
   • campo prova per la verifica della qualità dei materiali;
   • realizzazione dei piezometri per il monitoraggio degli acquiferi nonché la verifica della soggiacenza della falda;
   • caratterizzazione geotecnica del sito di stoccaggio definitivo;
   • realizzazione di un sito di stoccaggio definitivo.

  L'intervento è stato finanziato con l'accordo di programma quadro APQ8, Commissario per l'emergenza del territorio nel bacino del fiume Sacco, tra le province di Roma e Frosinone, SIN, comune di Colleferro, bonifica del sito ARPA 1 – Se.Co.Sv.Im. Srl, per l'importo contrattuale di euro 3.336.686,43, di cui euro 285.786,54 per oneri della sicurezza.
  Successivamente, è stata effettuata una perizia di variante, con atto di sottomissione del 21 luglio 2009, registrato all'Agenzia delle entrate di Pisa al n. serie 3/1203 del 19 ottobre 2009, firmato dalla direzione lavori in contradditorio con l'impresa appaltatrice e approvato dal RUP, con il quale è stato elevato l'importo contrattuale a euro 3.874.730,99, allo scopo di aumentare la capacità ricettiva del sito di stoccaggio definitivo e fare fronte a sopraggiunte necessità della gestione commissariale. Quindi, con atto di sottomissione n. 2 del 30 Pag. 138novembre 2012, registrato presso l'Agenzia delle entrate di Pisa, l'importo contrattuale è stato aumentato ad euro 4.216.262,54.
  A questo punto, è stata redatta una seconda perizia per apportare modifiche al progetto definitivo e per applicare migliori tecniche di protezione ambientale [... ]. I lavori sono stati ultimati in data 17 dicembre 2012.
  Sono stati emessi in totale sette SAL liquidati per un importo totale di euro 4.637.868,80 e, alla data del 31 dicembre 2013, è stato concluso il collaudo tecnico – amministrativo finale.

  9) Sito di stabilimento per la produzione del benzoino e derivati nell'area industriale di Colleferro

  L'ufficio commissariale, che in questo sito agisce in sostituzione e in danno, in collaborazione con gli enti scientifici di riferimento (ISPRA, ISS), sulla base delle indagini svolte, ha elaborato l'analisi di rischio sanitaria del sito, al fine di definire gli obiettivi di bonifica dell'area dello stabilimento Caffaro – Benzoino.
  Il progetto definitivo di bonifica, comprensivo anche del sito prospiciente l'area di stabilimento, redatto dal DITS dell'Università «La Sapienza» di Roma, in nome e per conto dell'ufficio commissariale, è stato positivamente valutato nel corso della conferenza dei servizi del 4 agosto 2009 e approvato con successiva disposizione commissariale.
  È stato individuato il soggetto al quale appaltare le opere e gli interventi di bonifica e, quale attività propedeutica e integrata alla bonifica del sito Benzoino e derivati, l'ufficio commissariale ha realizzato il decomissioning delle strutture fuori terra presenti nel sito e ha effettuato la bonifica del suolo e sottosuolo, i cui lavori sono stati consegnati nel mese di luglio 2010.
  In particolare, con disposizione n. 150 del 28 maggio 2009 dell'ufficio commissariale, è stato approvato il progetto esecutivo, avente come oggetto la «Demolizione manufatti ubicati sull'area di stabilimento per la produzione di benzoino e derivati propedeutico alla bonifica – Colleferro», con il relativo quadro tecnico economico, per l'importo complessivo di euro 733.795,02.
  È stato altresì disposto l'espletamento della procedura negoziata, con il criterio del massimo ribasso, per l'affidamento a corpo dei lavori di demolizione dei manufatti che insistono sull'area interessata dalle attività di bonifica nel sito del Benzoino e derivati nel comprensorio industriale di Colleferro e, previa caratterizzazione in cumulo, per lo smaltimento e/o recupero delle relative macerie.
  Infine, in data 14 ottobre 2009, è stato stipulato il contratto con disposizione n. 259, prot. n. 2179/09, registrato a Roma al n. di rep. 3/21237 del 15 ottobre 2009, relativo ai lavori suddetti, per un importo netto di euro 248.336,38, oltre a euro 46.000 per oneri relativi ai piani di sicurezza e di coordinamento.
  I lavori sono stati ultimati in data 4 febbraio 2010 e l'importo finale dell'appalto è stato di euro 437.433,04, comprensivo di oneri per la sicurezza. Detto importo finale è dovuto, alla richiesta del coordinatore degli interventi ambientali dell'ufficio alla ricerca di tutti gli analiti comprese diossine, smaltendo totalmente le macerie in Pag. 139apposito impianto idoneo allo smaltimento come indicato nei certificati chimici prodotti dall'impresa.
  Successivamente, sono stati affidati i lavori di scavo dell'area dello stabilimento ai fini della bonifica della zona insatura delle terre del sito Benzoino e derivati e aree limitrofe.
  Quindi, tali rifiuti sono stati conferiti nel sito ARPA 1, previa elaborazione della progettazione definitiva, e relativo conferimento dell'incarico, successivo al conferimento dei rifiuti provenienti dalla bonifica del sito ARPA 1 derivanti dai lavori rientranti nel quadro degli interventi inseriti nel POR FESR Lazio 2007-2013, importo del contratto 1.387.083,98 di euro oltre IVA.
  In data 17 aprile 2012, con nota prot. n. 05862012 è stata approvata una perizia di variante che ha elevato l'importo complessivo dei lavori appaltati per euro 1.607.982,72 pari al 15,01 per cento.
  Al 31 dicembre 2013 sono stati liquidati cinque S.A.L. I pagamenti al 31 dicembre 2013 ammontano a 1.565.435,43 di euro IVA esclusa.

  10) Attività di prelievo di campioni di acqua superficiale e sotterranea e le relative analisi di laboratorio, la gestione di messa in sicurezza di emergenza da effettuarsi nel territorio del comune di Colleferro, all'interno del perimetro del sito industriale ex SNIA BPD, per l'importo complessivo di 50.400 euro.

  11) Convenzione stipulata tra l'ufficio commissariale ed il dipartimento di chimica dell'Università «La Sapienza» per uno studio, da svolgersi presso lo stesso centro di spesa e/o presso i locali messi a disposizione dell'ufficio commissariale, sia a Roma sia a Colleferro e presso i siti oggetto di interventi di bonifica ricadenti nel comprensorio industriale di Colleferro sulla «Trattabilità con diverse tecnologie di isomeri dell'esaclorocicloesano in matrici solide provenienti dagli orizzonti di scavo della bonifica di aree contaminate all'interno del sito di interesse nazionale della Valle del Sacco».

  Il programma della ricerca è stato articolato in una serie di attività. L'importo totale affidato, esteso tra l'altro con disposizione n. 142 del 4 luglio 2011, prot. 1217/11 68.868 euro.

  12) A seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di rinnovo dell'ufficio commissariale, fino al 31 ottobre 2012, è stata predisposta una nuova perimetrazione delle aree interdette all'uso agricolo, zootecnico nei comuni di Frosinone, Patrica, Ceccano, Castro dei Volsci, Pofi, Ceprano e Falvaterra, nonché il controllo ed eventuale sostituzione delle paline nei comuni di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 34441/2005. L'incarico è stato affidato, tramite ricerca di mercato, alla società 3 S S.r.l. di Anagni per un importo complessivo di 26.000 euro oltre IVA.

  Alla data del 31 dicembre 2013 il servizio risultava pienamente completato.

Pag. 140

  13) In proseguimento delle attività di monitoraggio del sedimento fluviale nel territorio del comune di Colleferro e, all'interno del perimetro del sito industriale ex SNIA BPD e nelle aree agricole immediatamente circostanti è stato disposto, in data 13 ottobre 2010, l'espletamento di una procedura negoziata senza pubblicazione del bando per l'affidamento del sopra elencato servizio di monitoraggio.

  Con provvedimento n. 9 del 21 gennaio 2011, prot. n. 0078/11, è stato aggiudicato il servizio per un importo complessivo offerto di euro 22.825,84. Alla data del 31 dicembre 2012 l'importo liquidato alla società è stato di euro 21.125,84.

  14) Nel mese di agosto 2012 è stata pubblicata la gara per l'appalto dei lavori di messa in sicurezza permanente del sito ARPA 2 in Colleferro.

  Il costo complessivo dell'opera, deliberato da apposita conferenza dei servizi, risulta essere pari ad euro 8.765.402,82.
  Con riferimento alla messa in sicurezza di tale sito va segnalato che, dopo aver acquisito il parere dell'Avvocatura generale dello Stato, l'allora ufficio commissariale ha perfezionato un accordo con il soggetto obbligato Se.Co.Sv.Im. Srl, in virtù del quale quest'ultimo si è impegnato a concorrere alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza permanente del sito «ARPA 2», con un contributo corrispondente all'80 per cento della somma necessaria per l'affidamento e l'esecuzione dei lavori, pari alla somma sopra indicata di euro 8.765.402,82 (il restante 20 per cento è stato reso disponibile dall'ufficio commissariale con i fondi del Ministero dell'ambiente), nonché a sostenere gli oneri per la gestione post-operativa e la manutenzione dell'area di confinamento definitivo dei rifiuti e di gestione e manutenzione delle opere occorrenti per la bonifica dell'acquifero soggiacente il sito Benzoino e derivati.
  Al termine dei lavori di messa in sicurezza di «ARPA 2» saranno avviati i lavori di bonifica del sito Caffaro Chetoni – Fenilglicina, il cui progetto è stato già approvato in sede di Conferenza dei servizi.
  La regione Lazio è il soggetto attuatore per conto del Ministero dell'ambiente.

4.7 Fondi utilizzati dall'ufficio commissariale

TAB. 4: RIPARTIZIONE DEI FINANZIAMENTI RICEVUTI DAL MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE AI SENSI DEL D.M. N. 308/06
REGIONE/CD
A) B) C) D) E)
Denominazione degli interventi assentiti ed eventuale Atto di programmazione di riferimento. Ad es. AdP, APQ, Protocollo d'Intesa Costo assentito degli interventi Estremi del provvedimento di impegno contabile della Regione/CD ed importo Estremi dell'impegno giuridico ed importo (c.d. impegno contrattualizzato) Spese//Trasferimenti all'eventuale Soggetto Attuatore/Beneficiario
Caratterizz. agricole II fase: distr. agro-energ. aree agric.est.al comprens.ind.monitoraggio f. Sacco. € 462.433,98 Disposizione n. 12 del 16 gennaio 2008 prot. 0144 Impegno € 462.433,98 Disposizione n. 12 del 16 gennaio 2008 prot. 0144 Impegno € 462.433,98 € 462.433,98
Noleggio, Pag. 141annuale, filtri depuraz. acque bianche IN CORSO € 57.690,00
Rideterminato al 2013 per rinnovi annuali dal 2011 al 2013 € 95.490.00
Disposizione n. 197 del 16 luglio 2007 prot. 1393 Impegno per 4 anni € 57.690,00 Disposizione n. 31 del 11 febb 2011 prot. n. 0296/11 proroga fino al 16/07/2011 € 6.300,00 – Proroga con Disposizione n. 143 del 4 luglio 2011, prot. n. 1224/11 fino al 16/01/2012 € 6.300,00 - Disposizione n. 9 del 26/01/2012, prot. n.01062012 proroga fino al 16/7/2012 € 6.300,00 - Disposizione n. 146 del 2/8/2012, prot. n. 13302012 proroga fino al 16/1/2013 € 6.300,00 - Disposizione n. 73 del 22/4/2013, prot. n. 04972013 proroga fino al 16/07/2013 € 6.300,00 - Disposizione n. 131 del 6/9/2013, prot. n. 09492013 proroga fino al 16/01/2014 € 6.300,00 Totale € 95.490,00 Disposizione n. 197 del 16 luglio 2007 prot. 1393 Impegno per 4 anni € 57.690,00 Disposizione n. 31 del 11 febb 2011 prot. n. 0296/11 proroga fino al 16/07/2011 € 6.300,00 – Proroga con Disposizione n. 143 del 4 luglio 2011, prot. n. 1224/11 fino al 16/01/2012 € 6.300,00 - Disposizione n. 9 del 26/01/2012, prot. n.01062012 proroga fino al 16/7/2012 € 6.300,00 - Disposizione n. 146 del 2/8/2012, prot. n. 13302012 proroga fino al 16/1/2013 € 6.300,00 - Disposizione n. 73 del 22/4/2013, prot. n. 04972013 proroga fino al 16/07/2013 € 6.300,00 - Disposizione n. 131 del 6/9/2013, prot. n. 09492013 proroga fino al 16/01/2014 € 6.300,00 Totale € 95.490,00 € 95.490,00
Convenzione CNR IBAF per messa a punto di tecniche di bonifica fito-bio € 64.512,00
Rideterminata
€ 54.710,00
Disposizione n. 112 del 7 aprile 2008 prot. 0702
Impegno € 54.710,00
Disposizione n. 112 del 7 aprile 2008 prot. 0702
Impegno € 54.710,00
€ 54.710,00
Indagine integrativa in ARPA 1 € 107.062,74 Disposizione n. 124 del 23 aprile 2008 prot. 0799 Importo affidamento
€ 107.062,74
Disposizione n. 124 del 23 aprile 2008 prot. 0799 Importo affidamento
€ 107.062,74
€ 107.062,74
Caratterizzazione integrativa benzoino e monitoraggio falda benzoino € 77.678,10 Disposizione n. 136 del 7 maggio 2009 prot. 967 e Disposizione n. 120 del 4 maggio 2009 prot. 915 Importo affidato € 77.678,10 Disposizione n. 136 del 7 maggio 2009 prot. 967 e Disposizione n. 120 del 4 maggio 2009 prot. 915 Importo affidato € 77.678,10 € 77.678,10
Intercalibrazione per validazione dati € 50.000,00 Convenzione del 5 ottobre 2007 prot. 1825 Importo Convenzione € 50.000,00 Convenzione del 5 ottobre 2007 prot. 1825 Importo Convenzione € 50.000,00 € 50.000,00
Bonifica scuola Barchiesi € 42.244,44 Disposizione n. 163 del 24 luglio 2006 prot. 1483 Importo affidamento € 42.244,44 Disposizione n. 163 del 24 luglio 2006 prot. 1483 Importo affidamento € 42.244,44 € 42.244,44
Immagine satellitare Colleferro € 1.440,00 Lettera d'ordine del 16 febbraio 2006 prot. 225 Ordine per € 1.440,00 Lettera d'ordine del 16 febbraio 2006 prot. 225 Ordine per € 1.440,00 € 1.440,00
Caratterizzazione Colleferro Scalo € 75.079,60 Disposizione n. 56 del 23 dicembre 2005 prot. 757 Importo affidamento € 75.079,60 Disposizione n. 56 del 23 dicembre 2005 prot. 757 Importo affidamento € 75.079,60 € 75.079,60
Caratterizzazione VALLE SETTE DUE € 108.084,00 Disposizione n. 121 del 29 maggio 2006 prot. 914 Importo affidamento € 108.084,00 Disposizione n. 121 del 29 maggio 2006 prot. 914 Importo affidamento € 108.084,00 € 108.084,00
Perimetrazione terreni € 30.308,40 Disposizione del 21 settembre 2005 prot. 197 e Disposizione n. 267 del 18 ottobre 2007 prot. 1899 Imp. Affidamento € 30.308,40 Disposizione del 21 settembre 2005 prot. 197 e Disposizione n. 267 del 18 ottobre 2007 prot. 1899 Imp. Affidamento € 30.308,40 € 30.308,40
Caratterizz. Agricole I fase (comprese spese di pubblicazione) € 159.279,66 Disposizione n. 174 del 3 agosto 2006 prot. 1611 Importo affidamento € 159.279,66 Disposizione n. 174 del 3 agosto 2006 prot. 1611 Importo affidamento € 159.279,66 € 159.279,66
Acquisto GPS € 1.125,00 Disposizione n. 50 del 7/4/06, prot. n. 0535/06 Importo affidamento con ordine € 1.125,00 Disposizione n. 50 del 7/4/06, prot. n. 0535/06 Importo affidamento con ordine € 1.125,00 € 1.125,00
Ricognizione geofisica condutture € 3.600,00 Disposizione n. 17 del 31/01/06 prot. n. 0132/06 Importo affidamento € 3.600,00 Disposizione n. 17 del 31/01/06 prot. n. 0132/06 Importo affidamento € 3.600,00 € 3.600,00
Censimento Pozzi € 20.000,00 Convenzione ASL e Polizia Municipale locale Importo Convenzione € 20.000,00 Convenzione ASL e Polizia Municipale locale Importo Convenzione € 20.000,00 € 20.000,00
Pag. 142
Caratterizzazione Foraggi € 40.761,60 Disposizione n. 168 del 31/7/06 prot. 1483/06 Imp. Affidamento € 40.761,60 Disposizione n. 168 del 31/7/06 prot. 1483/06 Imp. Affidamento € 40.761,60 € 40.761,60
MISE aree agricole € 268.360,35 Disposizione n. 241 del 10/09/07, prot. n. 1657/07 Importo affidamento € 268.360,35 Disposizione n. 241 del 10/09/07, prot. n. 1657/07 Importo affidamento € 268.360,35 € 268.360,35
Prelievo campioni d'acque e sedimenti fluviali € 22.825,84 Proced.neg.senza pubbl. bando aggiudicazione del 22/11/10 € 22.825,84 Proced.neg.senza pubbl. bando aggiudicazione del 22/11/10 € 22.825,84 € 22.825,84
Servizio Monitoraggio falde e MISE € 52.844,00 Provvedimento n. 107 del 9 giugno 2010, prot. n. 1041/10 € 52.844,00 Provvedimento n. 107 del 9 giugno 2010, prot. n. 1041/10 € 52.844,00 € 20.702,00
Prelievo campioni di terreno e relative analisi di lab. (****) € 12.145,08 Provvedimento n. 175 del 01/09/2010, prot. n. 1548/10 – integrato con nota 1640 del 16/09/2010 € 12.145,08 Provvedimento n. 175 del 01/09/2010, prot. n. 1548/10 – integrato con nota 1640 del 16/09/2010 € 12.145,08 € 12.872,80
Campionamento ed analisi di n. 10 campioni aree agricole € 2.393,00 Disposizione n. 178 del 13/09/10 prot. 1619/10 Imp. Affidamento € 2.393,00 Disposizione n. 178 del 13/09/10 prot. 1619/10 Imp. Affidamento € 2.393,00 € 2.393,00
Elabor.cartografie e rilievi plano altimetrici e consist.immob.area Chetoni-Caffaro € 6.200,00 Provv. n. 92 del 24/5/10 prot. n.0940/10 e Provv. N. 179 del 24/9/10 prot. n. 1679/10 totale € 6.200,00 Provv.n. 92 del 24/5/10 prot. n.0940/10 e Provv. N. 179 del 24/9/10 prot. n. 1679/10 totale € 6.200,00 € 3.800,00
Servizio di prelievo campioni di acqua e di sedimento fluviale e delle relative analisi di laboratorio [...] € 39.144,00
Rideterminata € 22.825,84
Provvedimento n. 09 del 21 gennaio 2011, prot. n. 0078/11 Importo affidamento € 22.825,84 Provvedimento n. 09 del 21 gennaio 2011, prot. n. 0078/11 Importo affidamento € 22.825,84 € 21.125,84
“Trattabilità con diverse tecnologie di isomeri dell'HCH in matrici solide [...] € 46.336,73
Rideterminata € 68.868,00
Provvedimento n. 29 del 1o febbraio 2011, prot. n. 0175/11 Convenzione con Univ. LA SAPIENZA – Dip.to Chimica per un Importo di affidamento € 46.068,00 Estensione con Provv. n. 142 del 4/07/11, prot. 1217/11 € 22.800,00 per un tot. € 68.868,00 Provvedimento n. 29 del 1o febbraio 2011, prot. n. 0175/11 Convenzione con Univ. LA SAPIENZA – Dip.to Chimica per un Importo di affidamento € 46.068,00 Estensione con Provv. n. 142 del 4/07/11, prot. 1217/11 € 22.800,00 per un tot. € 68.868,00 € 68.868,00
Lavori relativi al servizio di prelievo di campioni di acqua superficiale e sotterranea e le relative analisi di laboratorio, la gestione di MISE [...] € 99.486
Rideterminata € 50.400
Provvedimento n. 30 del 1o febbraio 2011, prot. n. 0176/11 Importo Impegnato € 50.400,00 Provvedimento n. 92 del 31 maggio 2011, prot. n. 0989/11, di affidamento alla società Ph Srl € 50.400,00 € 50.400,00
Perimetrazione nuovi comuni, revisione e/o sostituzione paletti comuni € 31.460,00
Rideterminata € 26.000,00
Provvedimento n. 47 del 7 marzo 2011, prot. n. 0442/11 affidamento del servizio di forn. di 800 paletti per perimetrazione Importo € 26.000,00 Provvedimento n. 47 del 7 marzo 2011, prot. n. 0442/11 affidamento del servizio di forn.di 800 paletti per perimetrazione Importo € 26.000,00 € 26.000,00
Servizio di prelievo di campioni di acqua sup. e sotter. analisi di lab. gestione di MISE € 12.136,18
Rideterminata € 14.136,18
Provvedimento n. 100 del 17 giugno 2013 Importo impegnato € 14.136,18 Provvedimento n. 100 del 17 giugno 2013 Importo impegnato € 14.136,18 € 13.745,58
Noleggio 12 mesi sistema di filtri MFU per pozzo potabile n. 6 Colleferro € 27.500,00
Rideterminata € 29.600,00
Disposizione n. 24 del 13/2/2012, prot. n. 01792012 -€ 29.600,00 Disposizione n. 24 del 13/2/2012, prot. n. 01792012 -€ 29.600,00 € 29.600,00
Acquisto carbone attivo per filtri MFU Analisi trasporto € 4.650,00
Rideterminata € 4.650,00
Disposizione n. 23 del 13/2/2012, prot. n. 01782012 -€ 4.650,00 Disposizione n. 24 del 13/2/2012, prot. n. 01782012 -€ 4.650,00 € 4.650,00
TOTALE € 1.910.545,81  1.910.545,81  1.910.545,81  1.874.640,93
Pag. 143
REGIONE/CD
Fonte di finanziamento e relativo stanziamento totale A) B) C) D) E)
Denominazione degli interventi assentiti ed eventuale Atto di programmazione di riferimento. Ad es. AdP, APQ, Protocollo d'Intesa Costo assentito degli interventi Estremi del provvedimento di impegno contabile della Regione/CD ed importo Estremi dell'impegno giuridico ed importo (c.d. impegno contrattualizzato) Spese//Trasferimenti all'eventuale Soggetto Attuatore/Beneficiario- Eseguiti
A. POR – FESR 2007-2013 - POR FESR Lazio 2007-2013 Bonifica area SE.COSVIM Stab. Caffaro produzione Benzoino – SIN ammesso a finanziamento per l'importo di spesa di € 5.502.882,91 Attività II.2 1. Benzoino e derivati (di cui ai punti a.1- a.2-a.3-a.4) POR FESR Lazio 2007-2013 Bonifica area SE.COSVIM Stab. Caffaro produzione Benzoino – SIN ammesso a finanziamento per l'importo di spesa di € 5.502.882,91 Attività II.2
a.1 Decommissioning € 733.795,02 Dispos. n. 150 del 28/5/09 prot. 1149 € 733.795,02 Dispos. n. 150 del 28/5/09 prot. 1149 € 733.795,02 € 612.496,63
a.2 Pulizia Fosso Cupo € 850.000,00 Dispos. n. 274 del 22/10/09, prot. 2254/09 € 850.000,00 Dispos. n. 274 del 22/10/09, prot. 2254/09 € 850.000,00 € 625.975,61
a.3 Bonifica Suolo saturo ed insaturo. € 2.807.313,98 Dispos. n. 354 del 17/12/09 prot. n. 3049/09 € 2.807.313,98 Dispos. n. 354 del 17/12/09 prot. n. 3049/09 € 2.807.313,98 € 1.565.435,43
a.4 MISE del sito stabilimento benzoino € 28.371,00 Ordinativo n. 233/09 € 28.371,00 Ordinativo n. 233/09 € 28.371,00 € 28.371,00
SUB TOTALE € 4.419.480  4.419.480,00  4.419.480,00  2.832.278.67
B. Regione Lazio Disposizione di impegno n. 275 del 22/10/09, prot. n. 2255/09 € 3.424.328,46
(**)
Completamento del depuratore consortile ASI di Anagni € 3.424.328,46 Impegno Reg. Lazio Cap. Bil. n. D32503. Contr. App. n. 117 del 8 luglio 2010, prot. n.1210/10 ATI Passavant Impianti S.p.a. € 2.225.940,38 – Perizia di variante n. 1 28 febb. 2012 – 0253/2012 € 2.615.817,45 € 2.615.817,45
b.1 Studio di fattibilità Anagni – Depuratore € 51.840,00 Disp 180 del 9 luglio 2007 prot. 1317 € 51.840,00 Disp 180 del 9 luglio 2007 prot. 1317 € 51.840,00 € 51.840,00
SUB TOTALE  3.476.168,46  3.476.168,46  2.667.657,45 € 2.667.657,45
C. APQ8 * (2) Disp. n. 251 del 01/09/08, prot. n. 1637 € 3.000.000,00 II accordo di Programma Quadro APQ8 Intervento n. 09 € 5.530.096,72 € 5.530.096,72 Disp. n. 251 del 01/09/08, prot. n. 1637 € 3.000.000,00 € 4.637.868,80
c.1 Progettazione definitiva, esecutiva, VIA ARPA 1; pulizia Cupo € 134.400,00 Disp. n. 354 del 17/12/09, prot. 2254/09 € 134.400,00 Disp. n. 354 del 17/12/09, prot. 2254 € 134.400,00 € 134.400,00
D. Se.co.sv.im Srl Proprietario del terreno da bonificare. € 3.000.000,00 € 3.000.000,00 € 3.000.000,00
SUB TOTALE  8.530.096,72  8.530.096,72  6.134.400,00  4.772.268,80
E. Regione Lazio Art. 31 L. R. 6 aprile 2006. Disposizione n. 329 del 20 dicembre 2007 prot. 2464 e Disposizione n. 301 del 25 novembre 2009 prot. 2772 Imp. affidamento € 320.178,00 Smaltimento foraggi sequestrati € 320.178 Disposizione n. 329 del 20 dicembre 2007 prot. 2464 e Disposizione n. 301 del 25 novembre 2009 prot. 2772 Imp. affidamento € 320.178,00 € 320.178,00
SUB TOTALE  320.178,00  320.178,00  320.178,00  320.178,00
F. Ministero
dell'ambiente
(*)
Interventi urgenti di caratterizzazione, perimetrazione, MISE € 5.000.000,00 O.P.C.M. 3441/2005 – articolo 4 comma 1 € 5.000.000,00 O.P.C.M. 3441/2005 – articolo 4 comma 1 € 5.000.000,00 € 1.874.640,93
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G. Ministero
dell'ambiente
articolo 11-bis, comma 1, d.legge 30/9/2005, n. 203, convertito con modificazioni, dalla legge 2/12/2005, n. 248, e secondo il decreto del Min. dell'economia e delle fin. 1/3/2006); € 5.000.000,00 articolo 11-bis, comma 1, D.L. 30/9/2005, n. 203, convertito con modificazioni, dalla legge 2/12/2005, n. 248, e secondo il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 1/3/2006); € 5.000.000,00 – O.P.C.M. 3552/2006 € 5.000.000,00 € 0
G. Regione Lazio O.P.C.M. N. 3441/05 – articolo 4, comma 1 € 930.000,00 € 930.000,00 € 930.000,00 € 930.000,00
H. Ufficio commiss. Min. Ambiente n. 248/2005 – Secosvim Srl
(***)
Lavori di Messa in Sicurezza Permanente del sito ARPA 2 in Colleferro € 8.765.402,82 € 765.402,82 Disposizione n. 147 del 7 agosto 2012, prot. n. 13652012 Impegno di spesa € 8.765.402,82 € 8.765.402,82 € 0
I. Regione Lazio Depuratore ASI di Anagni – lavori di completamento ed avviamento Lotto II € 1.275.667,87 Disposizione n. 189 del 22 ottobre 2012, prot. n. 18982012 – Impegno di spesa € 1.275.667,87 € 1.275.667,87 € 474.060,00
TOTALI € 37.716.993,87 € 37.716.993,87 € 34.512.786,14 € 13.871.083,83

  A commento del quadro delle opere realizzate e delle relative spese sostenute, la relazione della Direzione regionale valutazioni ambientali e bonifiche della regione Lazio pervenuta in data 6 giugno 2017 (doc. 2046/3) rileva che dalle tabelle suddette risulta che, a fronte delle spese sostenute dall'ufficio commissariale al 31 dicembre 2013, per il complessivo importo di euro 13.871.083,83, gli incassi pervenuti sono stati pari a euro 7.062.721,23 e, per pagare la differenza di tali spese, pari a euro 6.808.362,60, sono state provvisoriamente utilizzate le risorse accreditate dal Ministero dell'ambiente.
  Inoltre, dalla documentazione in possesso della regione Lazio risulta che, per lo svolgimento dei compiti individuati dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3441/05, sono state assegnate all'ufficio commissariale, nel corso degli anni, risorse finanziarie per l'ammontare complessivo di circa euro 40 milioni, di cui euro 10 milioni per indennizzare gli agricoltori danneggiati, euro 13 milioni circa per interventi relativi al ripristino ambientale ed euro 3,1 milioni circa per interventi relativi allo sviluppo agricolo del territorio.
  La contabilità speciale è diretta conseguenza dello stato di emergenza dichiarato nel 2005, che ha visto la propria conclusione del 2012.
  La contabilità è stata prorogata fino al 30 marzo 2016 e, a seguito di nota prot. n. 118393/03/51 del 3 marzo 2016 predisposta dal responsabile degli interventi, il Dipartimento di protezione civile ha manifestato la volontà di prorogare la stessa contabilità per ulteriori sei mesi, per l'ultimazione delle sole attività già avviate e programmate in sede di commissariamento.
  Per quanto riguarda lo stato dell'arte degli interventi eseguiti nel complesso industriale di Colleferro, nel corso la gestione commissariale nel sito, e di quelli ancora da eseguire, si riporta la seguente piantina planimetrica (Figura 2).

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4.8 Stato attuale delle attività

  Si riporta di seguito un elenco delle attività già programmate dal Commissariamento, che, alla data della cessazione del regime di contabilità speciale, resteranno da ultimare e/o proseguire ovvero da avviare.
  In particolare, dovranno essere ultimati i seguenti interventi:
   • ri-caratterizzazione aree agricole interdette;
   • contenzioso risarcimento danni agricoltori – allevatori (si tratta di un contenzioso che può assumere dimensioni notevoli considerato che di recente il tribunale di Roma ha riconosciuto agli agricoltori danni per centinaia di migliaia di euro, ritenendo erronee e infondate le difese delle amministrazioni convenute in giudizio tra cui l'ufficio commissariale e la regione Lazio);
   • lavori di messa in sicurezza permanente del sito ARPA 2;
   • la gestione delle MISE Benzoino e Derivati e Caffaro Chetoni Fenilglicina con il monitoraggio delle acque in entrata e in uscita dei suddetti impianti MISE;
   • l'affidamento dei lavori di bonifica del sito Caffaro Chetoni Fenilglicina. Trattasi di intervento complementare alla messa in sicurezza di ARPA 2;
   • la riconsegna del sito di stoccaggio definitivo asservito alla bonifica di ARPA 1 alla proprietà Se.Co.Sv.Im. Srl;
   • la riconsegna del sito Benzoino al termine dei lavori di bonifica alla proprietà Se.Co.Sv.Im. Srl;
   • l'avvio dell'impianto di bonifica dell'acquifero Benzoino e derivati ed ARPA 1;
   • l'attuazione, mediante indizione di idonea procedura di gara, del progetto «Immissione in corpo idrico ricettore delle acque depurate provenienti dalle MISE Caffaro Chetoni Fenilglicina Benzoino e derivati»;
   • l'attività di monitoraggio della qualità delle acque del fiume Sacco, delle acque potabili;
   • la promozione dello sviluppo di un distretto agricolo no food;
   • la prosecuzione dell'indagine epidemiologica insieme alle attività dell'extrapiano regionale;
   • l'attivazione delle procedure per la creazione di un marchio di qualità per i prodotti della Valle del fiume Sacco, attività previste dall'articolo 31 della legge regionale n. 4 del 2006;
   • l'avvio delle procedure e la progettazione per la bonifica del fiume Sacco.

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4.9 Gli interventi programmati

  Nella relazione della direzione regionale valutazioni ambientali e bonifiche della regione Lazio pervenuta in data 6 giugno 2017 (doc. 2046/3), confermata dai resoconti delle audizioni, in data 6 giugno 2017, di Demetrio Carini, direttore della direzione regionale valutazioni ambientali e bonifiche della regione Lazio, nonché di Mauro Lasagna, direttore della direzione regionale risorse idriche, difesa del suolo e rifiuti della regione Lazio, si legge che, attualmente, si versa nella fase della programmazione degli interventi, che il Ministero dell'ambiente ha richiesto alla stessa regione Lazio.
  A tale proposito, è stato costituito, in data 23 gennaio 2017, un tavolo permanente di lavoro a titolo gratuito presso la stessa regione Lazio, con la partecipazione di ASL, ARPA e dipartimento epidemiologico.
  Nel corso di questa prima fase sono stati delineati i seguenti interventi punti da istruire in tempi brevi, al fine di proporre un programma di azione concreto di diretta attuazione:
   1. impianto depuratore di Anagni;
   2. sperimentazione di fitodepurazione;
   3. indagini epidemiologiche;
   4. monitoraggio acque e pozzi di emungimento;
   5. interventi di caratterizzazione delle aree agricole e industriali;
   6. discarica Le Lame;
   7. siti meritevoli di essere indagati in seguito ad attività di sub perimetrazione 2012.

4.9.1 Il depuratore di Anagni

  Per quanto riguarda il depuratore di Anagni, di cui al programma degli interventi, la regione Lazio ha affidato al consorzio industriale di Anagni la gestione, in comodato d'uso gratuito, del depuratore consortile, al fine di avviare tale fondamentale infrastruttura depurativa.
  Invero, con delibera di giunta regionale n. 93 del 7 marzo 2017, è stato approvato lo schema di protocollo di intesa tra regione e consorzio per la gestione decennale dell'impianto e delle relative reti fognarie, con un contributo regionale per le attività funzionali all'avvio e alla gestione di avviamento dell'importo di euro 130.968, che sarà utilizzato direttamente dal consorzio (che avrà cura di trasmettere la rendicontazione in regione).
  L'impianto di depurazione è idoneo al trattamento sia dei reflui industriali, sia dei reflui civili, sicché lo stesso rappresenta una infrastruttura fondamentale per le collettività che insistono sul territorio.
  Sul punto, va precisato che l'ufficio commissariale, in esecuzione di specifico incarico ricevuto dalla regione Lazio, aveva garantito il completamento dei lavori per l'adeguamento dell'impianto di depurazione di Anagni che, in effetti, si erano conclusi nel mese di dicembre 2014.
  Il depuratore di Anagni costituisce parte fondamentale per la messa in sicurezza e bonifica del territorio oggetto dell'emergenza. La motivazione che ha indotto la regione Lazio a finanziare il completamento dell'opera è stata determinata dal fatto che, con l'entrata in Pag. 148funzione a pieno regime, gli scarichi industriali e civili andavano collettati, sicché occorreva una maggiore sicurezza sugli scarichi per evitare danni ambientali. Peraltro, nel corso di tali lavori, si era dovuto procedere a una perizia di variante suppletiva per l'esecuzione di opere impreviste e imprevedibili, le quali avevano comportato un aumento dell'appalto pari ad euro 2.615.817,45.
  Con una delibera di giunta regionale, il depuratore di Anagni, dopo il suo completamento, è stato ceduto in comodato d'uso al consorzio ASI.

4.9.2 La sperimentazione di fitodepurazione

  In ordine alla sperimentazione di fitodepurazione di cui al programma degli interventi della regione Lazio, l'amministrazione regionale, con delibera di giunta regionale n. 129 del 28 marzo 2017, ha avviato le attività di promozione dell'attività di fitorisanamento-fitodepurazione, finalizzate all'individuazione di progetti di ricerca pilota nel territorio del SIN «Bacino del Fiume Sacco» – decreto ministeriale n. 321/2016 – per il biennio 2017/2018.
  Nel campo della bonifica dei siti inquinati, le azioni di rimozione puntuale delle sorgenti primarie e secondarie di contaminazione, sempre più spesso, vengono accompagnate da azioni di fitorisanamento – fitodepurazione, quali presidi totalmente naturali, che permettono il sensibile abbattimento degli inquinanti presenti nelle matrici ambientali, attraverso la piantumazione di specie vegetali aventi specifiche caratteristiche, in base all'inquinante da aggredire, e che possono contribuire alla creazione e all'implementazione di nuovi sistemi produttivi di filiera ecosostenibile, volti al riuso delle materie risultanti dalle attività di cui trattasi, mediante il ricorso a tecniche non impattanti per le matrici ambientali.
  Considerato che specifiche porzioni delle aree SIN «Bacino del fiume Sacco» risultano essere idonee all'attuazione di dette attività, l'amministrazione regionale del Lazio ha deciso che i costi per la realizzazione dei suddetti progetti pilota di ricerca debbano essere a totale carico dei soggetti enti pubblici universitari, di ricerca e soggetti privati, esclusivamente, in partenariato con enti pubblici di ricerca.
  Costoro dovranno altresì impegnarsi a sostenere anche i costi per l'esecuzione di attività di indagine ambientale, anche microbiologica dei terreni, nei quali verrà attuato il progetto di fitodepurazione, per l'esecuzione di uno studio dei livelli di falda, ove non disponibili, nonché per l'esecuzione del progetto presentato.
  Scopo di tale operazione – a valle della verifica delle migliori tecnologie – è quella di far partecipare il mondo dell'agricoltura al processo di bonifica, dando la possibilità del ritorno alla produttività dei terreni «interdetti», considerato che nelle face di esondazione di nove comuni (Colleferro, Segni e Gavignano, nella provincia di Roma, e Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino, nella provincia di Frosinone) vi è l'interdizione totale dell'agricoltura, con il successivo beneficio anche a favore di nuove filiere industriali «green».
  Il prossimo passaggio sarà quello della redazione di idonei bandi di gara.Pag. 149
  Le aree di naturale destinazione di tali attività risultano essere soprattutto le aree ripariali o le fasce agricole di esondazione, ove le matrici suolo e sottosuolo risultano esposte all'aggressione di inquinanti trasportati da possibili piene del corso d'acqua. Il suolo e il sottosuolo di tali aree possono ritenersi potenzialmente inquadrabili come fonte secondarie di contaminazione, in quanto non vedono la presenza di sorgenti primarie e attive di contaminazione.
  Considerati gli ingenti costi di attività di totale rimozione di terreni compromessi (come anche indicato nel documento ISPRA 1576/2), quindi, l'amministrazione regionale ritiene che tali soluzioni – a valle di idonea dimostrazione da parte di enti di ricerca messi in concorrenza a titolo gratuito tra loro – possano contribuire al sensibile abbattimento degli inquinanti e possano essere destinate alla filiera della bioraffinazione, piuttosto che di biomassa, al dichiarato scopo di scongiurare possibili incidenze negative sulla qualità dell'aria – in conseguenza della combustione del legname – di cui è ne stata già accertata la compromissione, a seguito dei costanti monitoraggi eseguiti nella Valle.
  Si tratta di una compromissione determinata, oltre che dalle attività umane, anche dalle caratteristiche geografiche dell'area anzidetta, che può essere definita come una sorta di «Catino», a causa della bassissima intrusione eolica sia dalla zona mare, che dalla zona montana.
  Naturalmente, per concludere sul punto, l'anzidetto trattamento dei terreni agricoli non esclude la rimozione di quelli che sono hotspot, rimozione che è già stata avviata e attuata tra il 2005 e oggi, nelle fasce della zona nord del sito di interesse nazionale Valle del Sacco.
  Invero, come ha riferito Eugenio Maria Monaco, nel corso della sua audizione, si tratta di aggredire puntualmente le zone inquinate, a seconda dell'ordine di priorità fornito dallo stato dei luoghi, le varie fattispecie inquinanti.

4.9.2.1 L'inquinamento atmosferico

  Del grave problema dell'inquinamento atmosferico del territorio del circondario di Frosinone ha parlato il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Frosinone, nel corso dell'audizione del 21 febbraio 2017.
  Il dottor Giuseppe De Falco ha riferito che Frosinone è il secondo capoluogo di provincia più inquinato d'Italia, dopo Torino, e che era stata affidata una consulenza tecnica a esperti del settore, che, sulla base dei dati già desumibili dalle centraline e comunque da tutte le indagini conoscitive già fatte, aveva concluso che la situazione di inquinamento era particolarmente delicata, anche in ragione della specifica conformazione del territorio.
  Ciò premesso, le indagini svolte avevano consentito di rinvenire fonti diverse di produzione dell'inquinamento, che vanno dal traffico veicolare agli impianti di riscaldamento, agli impianti industriali.
  La relazione dei consulenti era stata portata a conoscenza delle autorità amministrative interessate, regione, provincia e comuni del circondario di Frosinone, nell'auspicabile prospettiva dell'adozione da Pag. 150parte loro di una serie di interventi che – purtroppo – al momento erano mancati o non erano stati integralmente attuati, nonostante il piano regionale contenesse previsioni sufficientemente attendibili e pertinenti. Questo è il profilo più importante.
  Per quanto riguarda l'inquinamento atmosferico da impianti industriali, vi era un'attività di monitoraggio degli impianti e alcuni di essi erano stati oggetto anche di indagini che avevano riguardato il rilascio di autorizzazioni da parte della provincia, in particolare delle AIA, che non sempre erano conformi alle prescrizioni di legge.
  In particolare – ha concluso sul punto il procuratore della Repubblica – «nel territorio del circondario vi è l'esigenza di non gravare troppo le imprese con oneri economici che sono, invece, necessari per soddisfare le prescrizioni in materia ambientale, esigenza che però, purtroppo, va a discapito degli interessi ambientali e che è totalmente recessiva rispetto al portato delle norme».

4.9.3 Le indagini epidemiologiche

  Quanto alle indagini epidemiologiche, di cui al programma degli interventi, la regione Lazio, con delibera di giunta regionale n. 228 del maggio 2017, ha approvato la «Realizzazione di un presidio salute e ambiente (PresSA) presso l'ospedale di Anagni (FR)» e il «Programma di valutazione epidemiologica» della popolazione residente nel sito di interesse nazionale Valle del Sacco – decreto ministeriale n. 321/2016.
  Invero, la produzione, nel corso di decenni, di sostanze chimiche nei complessi industriali della Valle del Sacco è stata accompagnata dalla produzione di ingenti quantità di residui di lavorazione, il cui smaltimento ha rappresentato e rappresenta tuttora un elemento di forte rischio ambientale, specie, per la contaminazione diffusa di betaesaclorocicloesano.
  Il fiume Sacco è stato potenziale veicolo per la contaminazione delle aree riparali attraverso l'esondazione o a seguito di irrigazione dei terreni con acque captate dall'alveo fluviale o per una combinazione dei due fenomeni, con la conseguenza che tali aree presentano diverse criticità ambientali con rilevanti implicazioni per la salute della popolazione residente.
  Tanto più per la ragione che l'intera area del SIN è caratterizzata da una rilevante attività agricola e di allevamento, sicché le acque del fiume Sacco, ove utilizzate per scopo irriguo, rappresentano un importante potenziale veicolo di contaminazione dell'intera catena alimentare e tali aspetti sottolineano l'importanza della pianificazione di specifici studi epidemiologici ad hoc, finalizzati a valutare lo stato di salute della popolazione residente, in relazione al consumo di acqua e di prodotti agricoli.
  Per le ragioni sopra rappresentate, con la sopra citata delibera regionale è stata prevista:
   A. Sorveglianza epidemiologia e sanitaria della popolazione residente attraverso:
    1. sviluppo di indicatori dello stato di salute a livelli di ASL, distretti sanitari e comuni;Pag. 151
    2. sorveglianza sanitaria e biomonitoraggio della contaminazione umana da parte di sostanze organiche persistenti dei residenti nella Valle del Sacco.
   B. Studi di epidemiologia ambientale per l'analisi degli effetti degli inquinanti sulla salute dei residenti e per il monitoraggio dei cambiamenti:
    1. istituzione di uno studio di coorte della Valle del Sacco (CoVaSA);
    2. studio epidemiologico sullo stato di salute della popolazione residente, in relazione all'esposizione ad arsenico e ad altri inquinanti nelle acque;
    3. studio epidemiologico sugli effetti dell'inquinamento atmosferico;
    4. studio epidemiologico sullo stato di salute della popolazione, tramite una attività di sorveglianza in collaborazione con i MMG e PLS.
   C. La realizzazione di un presidio salute e ambiente (PresSA) presso l'ospedale di Anagni (FR), facente capo alla ASL di Frosinone, con le seguenti specialità:
    1. sportello di ascolto e di informazione per la popolazione sui temi e rischi ambientali;
    2. programma di prevenzione sulla salute respiratoria di adulti e bambini e sulla salute cardiovascolare degli adulti: cessazione del fumo, stile alimentare corretto, contrasto all'obesità e sedentarietà, riduzione del rischio cardiovascolare e interventi di sostegno alla salute della donna e del bambino;
    3. rafforzamento dei programmi di screening dei tumori già presenti sul territorio;
    4. inserimento nei percorsi assistenziali di pazienti con patologie croniche o oncologiche e attività di promozione degli stili di vita corretti.

4.9.4 Il monitoraggio delle acque e dei pozzi di emungimento

  Per quanto concerne il monitoraggio delle acque e dei pozzi di emungimento, di cui al programma degli interventi, la regione Lazio è in procinto di avviare, previa condivisione con il Ministero dell'ambiente, una campagna di monitoraggio delle acque ad uso potabile, irriguo e domestico presenti nelle aree perimetrate ex decreto ministeriale n. 321/2016, volto a valutare lo stato di inquinamento delle falde, tramite prelievo e successiva analisi sulla presenza di una serie di inquinanti riassumibili complessivamente in α,β,δ,γ- esaclorocicloesano, metalli pesanti (arsenico, cadmio, piombo, nichel, mercurio), DDT e altri fitofarmaci, misurati secondo integrazione dei parametri indicati dalla tabella del decreto legislativo n. 31 del 2001 e dalla tabella 2, all.5, parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006.Pag. 152
  Le ASL avranno cura di effettuare tali azioni di campionamento, secondo le modalità indicate da ARPA Lazio per gli aspetti di cui alla parte IV del succitato decreto, servendosi dei laboratori di quest'ultima agenzia.
  Il dettaglio di tali azioni viene rappresentato come di seguito:
   • censimento dei pozzi irrigui e domestici;
   • definizione di un campione rappresentativo dei pozzi da sottoporre a controllo;
   • geo-referenziazione dei pozzi ad uso irriguo e domestico;
   • prelievo e campionamento per set integrato di analisi chimiche su pozzi per uso irriguo e domestico e fonti di emungimento ACEA ed altri gestori se presenti;
   • invio campioni acque e laboratori ARPA Lazio;
   • valutazione esiti analitici.

  Gli enti coinvolti sono:
   • ASL FR;
   • ASL Roma G;
   • provincia di Frosinone;
   • città metropolitana di Roma Capitale;
   • 19 comuni insistenti nel perimetro SIN;
   • ARPA – laboratori.

  I dati derivanti dagli esiti di tale campagna di monitoraggio potranno essere utili anche allo svolgimento delle attività amministrative di cui all'art. 244 e 300 e seguenti del decreto legislativo n. 152 del 2006.

4.9.5 Interventi di caratterizzazione delle aree agricole e industriali

  In ordine agli «Interventi di caratterizzazione delle aree agricole e industriali» e ai «Siti meritevoli di essere indagati in seguito ad attività di sub perimetrazione 2012», l'amministrazione regionale ha chiesto alle 19 amministrazioni comunali ricadenti nel SIN di trasmettere il censimento dei siti presenti nel territorio di competenza e di effettuare la quantificazione economica di quelli di natura pubblica e di quelli di certo o possibile intervento sostitutivo in danno.
  Invero – come ha riferito il dottor Eugenio Monaco nel corso della sua audizione – le fonti attive di inquinamento sono più di una, partono da Colleferro e arrivano alla confluenza del Sacco con il Liri e sono arricchite da altre contaminazioni, sicché l'alfa, il beta e il gamma esaclorocicloesano rappresentano soltanto parte dei marker che si ritrovano all'interno delle matrici ambientali.Pag. 153
  Tanto per fare qualche esempio, sul territorio di Anagni, oltre a un impianto di produzione pneumatici e di incenerimento degli stessi, vi è anche un ex sito bellico, come «la polveriera di Anagni», che ha un'estensione di circa 140 ettari, che occorre bonificare.
  Inoltre, nel mese di marzo 2017, nell'ambito dell'attività di caratterizzazione del SIN, l'amministrazione regionale, insieme ad ARPA, Ministero, Ispra, provincia di Frosinone e autorità giudiziaria, ha effettuato sopralluogo ispettivo sul sito ex Olivieri, alla presenza dei sindaci dei comuni di Ceprano e Falvaterra.
  Tale visita ha sottolineato la gravità in cui versa tale sito, considerata la potenziale e quasi accertata presenza di numerosi fusti interrati a pochi metri dalla sinistra idraulica del fiume Sacco, nonché l'accertata presenza di materiale di possibile elevata pericolosità «abbandonato» sia all'interno degli immobili presenti, sia in container posti sui piazzali.
  Trattasi di un'ex industria dell'indotto automobilistico nel quale, sotto le presse, è stato rinvenuto materiale di ogni genere, a livello di farmaci e di farmaceutica in generale. Si tratta di circa 250 fusti interrati a 3-5 metri dalla sinistra idraulica del fiume, dell'asta, con scarti di lavorazione sicuramente esogeni rispetto all'attività del sito e di contenitori, in cui sono potenzialmente stoccati gallio e bario.
  A tale visita sono seguiti incontri e, allo stato, l'amministrazione provinciale di Frosinone sta adempiendo al disposto dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Dunque, le azioni di caratterizzazione sono in corso di definizione anche nelle fattispecie legate alle contabilizzazioni economiche e nella scelta dei soggetti attuatori che la regione Lazio auspica essere la propria ARPA, al fine di ottenere un sensibile risparmio, determinato dall'accorpamento delle spese di «contraddittorio analitico», necessario per la validazione dei dati di caratterizzazione, con le spese di attuazione della caratterizzazione ambientale.
  Naturalmente, nei siti ove siano già accertati superamenti verrà rispettato il principio «chi inquina paga».
  Per i siti ove non sia stato ancora accertato il superamento di parametri soglia di legge, la regione Lazio, nel rispetto del principio di «massima efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa», auspica che il Ministero dell'ambiente predisponga, entro breve termine, dei protocolli tecnici attuativi, che vadano per step, ossia che vedano la preliminare richiesta dello stesso Ministero nei confronti dei siti per l'attuazione di indagini preliminari di base, volte a comprendere la situazione ambientale «in situ» e che, solo successivamente, in caso di accertata potenziale contaminazione, portino alla redazione e alla relativa attuazione dei piani della caratterizzazione, previsti dalla normativa vigente, così da non disperdere utili fondi economici.

4.9.6 La discarica Le Lame

  Infine, per quanto riguarda la discarica Le Lame, di cui al programma degli interventi, l'insistenza di un grande sito di ex discarica all'interno del SIN vede una sorta di esclusiva della regione Pag. 154Lazio. Infatti, la vicinanza del sito al fiume Sacco e la prossimità della stessa ex discarica ad aree industriali in attività o dismesse ha reso impossibile la trattazione differenziata di questa discarica rispetto al SIN.
  Negli anni passati, tale sito è stato beneficiario di un finanziamento APQ8, al fine della messa in sicurezza e la caratterizzazione. Si trattava di finanziamento derivante dall'insistenza della ex discarica Le Lame, all'interno dell'ormai ex SIN di Frosinone, gestito dal Ministero dell'ambiente dal 2001 al 2013.
  Tuttavia, il SIN di Frosinone non possedeva le caratteristiche previste dalla normativa e, quindi, la sua esclusione non è stato oggetto di ricorso da parte della regione Lazio, che però è costretta a subire, non solo, l'eredità degli interventi programmati in regime di SIN e a verificare la rendicontazione delle opere da parte delle amministrazioni comunali – stazioni appaltanti, quanto soprattutto, a gestire la procedura di infrazione UE 2003/2077, che è arrivata a sentenza nel 2014 e, attualmente, sta esplicando i propri effetti con il pagamento delle relative sanzioni.
  Nel documento sul SIN «Bacino del fiume Sacco», rassegnato a questa Commissione di inchiesta (doc. 2046/3), la regione Lazio, pur ammettendo di essere riuscita a stralciare, dal 2014 ad oggi, numerosi siti dagli elenchi di detta infrazione comunitaria, dichiara di non comprendere le motivazioni di vedersi attribuita la sanzione, in considerazione del fatto che, dal 2001 al 2013, titolare e responsabile del procedimento era il Ministero dell'ambiente, ex articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Del pari, non erano comprensibili le motivazioni di dover trattare ex discariche comunali di rifiuti solidi urbani, già autorizzate e predisposte in regime di decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982 e relativo decreto ministeriale del 1984, come discariche abusive, mentre erano del tutto inspiegabili le richieste dell'Unione europea che considerava in infrazione siti che, viceversa, dalle risultanze dell'analisi di rischio sito specifica, risultavano essere «non inquinati».
  Ad ogni modo, l'amministrazione regionale, in ordine alla ex discarica Le Lame, ha richiesto al comune di Frosinone la verifica di tutta la rendicontazione di spesa, nonché la verifica della funzionalità delle opere attuate in situ e di quelle necessarie, auspicando una corretta prossima trattazione ad opera del soggetto titolare, in sede di conferenza dei servizi ministeriale.
  Sulla discarica Le Lame sono intervenuti il sindaco di Frosinone, Nicola Ottaviani, e il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Frosinone, dottor Giuseppe De Falco il quale, nel corso dell'audizione del 21 febbraio 2017, ha riferito della discarica costruita, in modo del tutto improvvido, 30/35 anni fa a ridosso del fiume Sacco, che conteneva 650.000 metri cubi di materiale, in gran parte mineralizzato, corrispondente a circa 700.000 tonnellate.
  Il sito della ex-discarica, di proprietà del comune di Frosinone e gestito al momento dalla società Ambiente Frosinone Spa (S.A.F), si estende su una area di circa 46.500 metri quadri, compresa tra il fiume e la strada di Via Le Lame. La distanza minima tra il bordo della discarica e l'alveo fluviale è di circa 75 metri, la Pag. 155sommità del corpo discarica si trova a 162 metri sul livello del mare, mentre il piano campagna si trova a una quota di 137 metri sul livello del mare.
  Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Frosinone, con riferimento alla discarica, ha parlato di «situazione esplosiva», confermata da una consulenza disposta nel 2014 dal suo Ufficio, che ha concluso in modo netto sulla necessità di rimuovere i rifiuti.
  In forza di tale consulenza, la procura della Repubblica ha ottenuto dal gip del tribunale di Frosinone il sequestro preventivo della ex discarica, con decreto in data 23 dicembre 2014, per il reato di cui agli articoli 113, 439 e 452 del codice penale, contestato ai vertici della società Ambiente Frosinone Spa, incaricata della gestione ordinaria della discarica (Cesare Augusto Fardelli, presidente del consiglio di amministrazione della società, e Roberto Suppressa, direttore tecnico della società), nonché ai dirigenti del comune di Frosinone (Francesco Acanfora e Elio Noce, rispettivamente, dirigente del settore lavori pubblici del comune di Frosinone, nonché responsabile del procedimento di bonifica della discarica e dirigente del settore pianificazione territoriale e ambiente dello stesso comune).
  Secondo l'accusa, costoro, colposamente cooperando con condotte indipendenti, in particolare, gestivano la ex discarica Le Lame nel comune di Frosinone in difetto di adozione di adeguate soluzioni e cautele di ordine tecnico, ponendo in essere interventi di messa in sicurezza insufficienti e, comunque, non collaudati e omettendo del tutto di attivare le indispensabili operazioni di bonifica del sito.
  In conseguenza di tali comportamenti omissivi, a partire dall'anno 2006 e tuttora in atto, gli indagati consentivano e, comunque, non impedivano che il percolato della discarica raggiungesse la falda acquifera sottostante, inquinandola con l'apporto di metalli pesanti (in particolare alluminio, ferro, manganese, bario, nichel e piombo), in quantità notevolmente superiore ai valori definiti nelle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) previsti per le acque sotterranee e riportati nella tabella 2 dell'allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n.152 del 2006, così determinando l'avvelenamento delle predette acque, potenzialmente destinabili, in via diretta o indiretta, al consumo umano (doc. 637/1).
  In data 12 ottobre 2016, veniva depositato l'avviso della conclusione delle indagini (doc. 2045/2).
  Successivamente, in data 16 dicembre 2016, la procura della Repubblica presentava richiesta di rinvio a giudizio, ma il gup, alla data del 1o giugno 2017, non ha ancora provveduto a emettere il relativo decreto di fissazione dell'udienza in camera di consiglio (doc. 2054/1).
  Il dottor De Falco ha riferito che a tale procedimento penale se ne era aggiunto un secondo, che versava ancora nella fase delle indagini e che riguardava aspetti di natura contabile, relativi cioè all'impiego di somme concesse al comune di Frosinone per un'auspicabile messa in sicurezza del sito.
  Nella nota del 30 novembre 2015 inviata a questa Commissione di inchiesta (doc. 899/2), il dottor De Falco sottolinea che, nel corso del tempo, erano stati predisposti vari progetti di messa in sicurezza Pag. 156di emergenza, ma che le opere realizzate (finalizzate, nella sostanza, solo a cautelare la presenza del percolato) presentavano ripetutamente numerose criticità, che determinavano la necessità di frequenti interventi manutentivi. Peraltro, allo stato attuale, le opere realizzate non erano state ancora definitivamente approvate, né erano state collaudate, sicché mancava il giudizio di conformità rispetto ai progetti esecutivi.
  Ad ogni modo – prosegue la nota anzidetta – non era stato mai progettato, né programmato alcun serio intervento di bonifica dell'area, mentre i consulenti incaricati dalla procura della Repubblica accertavano che le opere realizzate non erano concretamente gestite e, in ogni caso, non garantivano il blocco e/o il contenimento della propagazione dei metalli nelle acque di falda nelle zone limitrofe poste a valle della ex-discarica, per cui era palese il rischio di inquinamento ambientale.
  La ex discarica, come si è detto, era sottoposta a sequestro, ma – conclude la nota del procuratore della Repubblica – appariva evidente che l'intervento repressivo dell'autorità giudiziaria è del tutto insufficiente a risolvere le problematiche rappresentate, fintantoché le autorità competenti non procederanno all'attuazione di efficaci interventi di bonifica.
  Sulla stessa scia del procuratore della Repubblica, il sindaco di Frosinone ha riferito del percolato che, molto probabilmente, fuoriesce dalla base di questa discarica, che ha due invasi.
  In particolare, il primo invaso, datato a cinquant'anni fa, era stato realizzato senza alcun tipo di accortezza minima, sicché i rifiuti erano stati di fatto adagiati sul suolo, sullo sterrato, mentre il secondo invaso, a fianco del primo, era stato realizzato con maggiore accortezza, benché senza l'eliminazione a monte di quelli che potevano essere i fenomeni inquinanti.
  Naturalmente, per quante cautele si sarebbero potute adottare, vi è un principio di logica, oltre che di buonsenso, che riguarda il posizionamento della discarica, che era stata costruita a qualche centinaio di metri di distanza da un fiume, il cui letto è posto, tra l'altro, a un livello inferiore rispetto al terreno della discarica.
  Il sindaco di Frosinone ha concluso richiamando l'urgente necessità di operare un landfill mining, cioè, la completa rimozione del deposito di rifiuti, al fine di perseguire la bonifica della discarica inquinante, ritenendo del tutto insufficiente e provvisoria l'attività di messa in sicurezza, che non elimina alla radice l'inquinamento.
  E, tuttavia, il landfill mining, sulla base di un calcolo a spanne effettuato, richiedeva risorse finanziarie di circa 70-80 milioni di euro, somma questa che non figurava nella disponibilità della amministrazione comunale, sicché il sindaco aveva investito del problema la regione e, soprattutto, il Ministero dell'ambiente, trattandosi di area ricompresa in un SIN.
  A conclusione di tale disamina e, prima di passare ad aspetti specifici relativi all'area gestita dall'ormai ex ufficio commissariale, nella relazione depositata della regione Lazio (doc. 2046/3) si riferisce che, in data 4 aprile 2017, si è svolta la prima conferenza dei servizi successiva all'approvazione del perimetro.Pag. 157
  In tale sede, il Ministero dell'ambiente ha delineato le modalità attuative della nuova conferenza dei servizi e l'ISPRA ha presentato un format, al fine di consentire ai soggetti ricadenti nel perimetro di trasmettere la descrizione dei siti e le situazioni ambientali inerenti la materia della bonifica dei siti inquinati (stato dell'arte dei procedimenti passati da regime ordinario a SIN, nuovi procedimenti, etc).
  Inoltre, il Ministero ha approvato una modulistica, allo scopo di consentire ai soggetti ricadenti nel SIN che abbiano l'esigenza di porre in essere «ordinarie» attività edilizie o produttive, di richiedere il «nulla osta» al Ministero, onde evitare possibili compromissioni con procedimenti di bonifica avviati.
  Il rappresentante della regione Lazio, nel corso della suddetta conferenza dei servizi ha chiesto ai soggetti coinvolti informazioni anche sulle aree agricole, considerato che il SIN, al proprio interno, ha grandi porzioni di territorio, le cui criticità di gestione in ordine al possibile inquinamento riscontrato possono non essere ascrivibili ai conduttori agricoli.
  In tale contesto, è stata auspicata la prossima approvazione del regolamento delle aree agricole (articolo 241 del decreto legislativo n. 152 del 2006), al fine di gestire correttamente tali fattispecie, scongiurando «blocchi» amministrativi procedurali dovuti a ricorsi.
  In conclusione, la prosecuzione delle opere di messa in sicurezza e bonifica del sito è passata nella competenza del Ministero dell'ambiente, che si avvale della regione Lazio, quale «soggetto attuatore».

5. Le aree Caffaro

5.1 Le aree degli stabilimenti Caffaro a Colleferro

  Nell'ambito del complesso industriale di Colleferro, la società Caffaro Srl in liquidazione – sottoposta a procedura di amministrazione straordinaria nel 2009, dopo l'avvenuta dichiarazione dl suo stato di insolvenza da parte del tribunale di Udine – ha esercitato attività produttiva su due distinte aree non contigue fra loro, una di sua proprietà e una in affitto.
  I siti in cui Caffaro Srl ha svolto la propria attività sono l'area «Chetoni/Fenilglicina», di proprietà della stessa Caffaro, e l'area «Benzoino e derivati», di proprietà Se.Co.Sv.Im. Srl.
  La Caffaro Srl è stata presente dal 1981 sull'area Chetoni-Fenilglicina con denominazioni diverse, ma con la stessa identità societaria (Chimica di Colleferro, Chimica del Friuli, Industrie Chimiche Caffaro, Caffaro).
  Sull'area Benzoino e derivati, Caffaro Srl è stata presente dal 1989, a seguito del contratto di affitto stipulato tra Caffaro Srl (già Chimica del Friuli) e BPD Difesa e Spazio Srl.Pag. 158
  La produzione industriale della società Caffaro nell'area Chetoni-Fenilglicina è cessata in parte nel 2002 e in parte nel 2005, mentre solo nel 2005 è cessata la produzione nell'area Benzoino e derivati.
  Particolarmente importante è l'area Chetoni-Fenilglicina, almeno per quanto concerne le dimensioni del territorio che occupa, pari a 5,3 ettari racchiusi all'interno di un enorme consorzio industriale, in cui vi sono altre attività, come FIAT Avio, Alstom Ferroviaria, ecc.
  Significativo, ai fini della rilevanza e del grado di inquinamento, è il fatto che sull'area medesima avevano operato la Bombrini Parodi Delfino e altre industrie.
  A tale proposito va rilevato che, a partire dal 1912 e fino agli anni Settanta del secolo scorso, la pratica più utilizzata per lo smaltimento del rifiuto era la sua inertizzazione mediante interramento, in quanto il pericolo era quello della volatilizzazione. Pertanto, si facevano delle buchette nei piazzali delle industrie e lì andava a finire tutto, con la conseguenza che nei terreni venivano inseriti scarti di lavorazione, in matrice libera, che erano degli inquinanti veri e propri.
  Sulla Caffaro sono intervenuti dapprima la magistratura e, successivamente nel 2005, l'ufficio commissariale che, con i poteri straordinari dati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, aveva richiesto alla società, che all'epoca era ancora in bonis, alcune attività di prevenzione o di messa in sicurezza di emergenza, a carico della stessa Caffaro.
  Sempre sull'area Chetoni-Fenilglicina è avvenuta la redazione di un piano della caratterizzazione riaggiornato in due soluzioni, l'ultima delle quali nel 2008, con la relativa redazione dell'analisi di rischio sito specifica, dei superamenti delle CSC e, successivamente, delle CSR accertate validazioni dei risultati analitici, effettuate attraverso intercalibrazione dei laboratori, tra l'ufficio commissariale all'epoca e l'Istituto superiore della sanità e alcune attività di messa in sicurezza di emergenza, come la verifica delle condotte delle acque bianche e l'eliminazione dei sedimenti eventualmente presenti nelle aree.
  Tutte le attività di pulizia delle reti delle acque bianche sono state concluse, a opera sempre della società Caffaro, nel mese di febbraio del 2007.
  Anche la verifica della presenza di manufatti contenenti amianto in aree dismesse è stata completata a cura di Caffaro. Così pure è stata completata la localizzazione di rifiuti mediante censimento e caratterizzazione degli stessi ed è stato effettuato lo smaltimento dei rifiuti ritrovati, nonché la rimozione di alcuni hotspot in varie cadenze.
  Sul punto, è sufficiente ricordare che, nel mese di marzo 2007, è stato rimosso un hotspot di volume, pari a circa 800 metri cubi. Successivamente, in sede di analisi dei campioni delle pareti e del fondo scavo, sono emerse situazioni critiche, che hanno avuto bisogno di ulteriori approfondimenti.
  Nel mese di agosto 2007, la società ha effettuato un'indagine integrativa per delimitare l'area su cui effettuare le ulteriori rimozioni e, nel mese di dicembre, sulla base di questi nuovi dati analitici, la Pag. 159società ha rimosso ulteriori 150 metri cubi di terreno frammisto a rifiuto.
  Tuttavia, l'ulteriore verifica delle pareti e del fondo scavo, successivamente condotta, ha rilevato il permanere di contaminazione oltre i valori consentiti. Per tale ragione – ha riferito il dottor Monaco – l'ufficio commissariale aveva richiesto la redazione di un idoneo progetto di bonifica e, quale azione di messa in sicurezza di emergenza, il confinamento fisico dei terreni contaminati, la cosiddetta collina antropica, lì dove i terreni inquinati sono stati messi in sicurezza con un capping di copertura, in attesa di essere trasferiti nel sito ARPA 2, quando verrà realizzato.
  Praticamente, si tratta di un sito che è stato non rimaneggiato, ma cristallizzato in quel luogo mediante l'apposizione di vari strati di telo in HDPE, quasi una messa in sicurezza permanente.
  A partire dal dicembre 2007, la società ha iniziato lo smaltimento delle terre provenienti dalla rimozione degli anzidetti hotspot.
  Complessivamente sono state avviate a smaltimento presso impianti autorizzati 1.374 tonnellate di terre e l'attività è stata conclusa nel mese di aprile 2008.
  Nel mese di dicembre 2007 la società ha avviato un'indagine integrativa per definire l'estensione di una contaminazione da diossina emersa in fase di caratterizzazione del sito.
  I risultati sono stati consegnati nel mese di marzo del 2008. Da questi è emersa la presenza di ulteriore contaminazione all'interno del punto iniziale. Di conseguenza, oltre alla famosa molecola alfa, beta e gamma HCH, vi è anche un arricchimento dovuto a tutta questa intromissione antropica, durata più di un secolo, che ha portato alla rilevazione di ulteriori contaminanti.
  Fatto sta che, con riguardo a questi ulteriori contaminanti, sono state rimosse ulteriori 109 tonnellate di terreno contaminato.
  Inoltre, già nel mese di ottobre 2006, l'ufficio commissariale, sulla base dei dati disponibili, ha richiesto alla società di procedere al barrieramento idraulico dell'acquifero. Le attività sono iniziate nel mese di marzo del 2007 e sono tuttora in corso.
  Come si è detto, nel 2009, la società Caffaro Srl è stata dichiarata insolvente e posta in amministrazione straordinaria e, da tale anno, non si è più adeguata alle prescrizioni del commissario delegato per l'emergenza, il quale è intervenuto in sostituzione e in danno della società.
  Di seguito saranno rappresentate in dettaglio le attività di caratterizzazione e messa in sicurezza dei due siti, effettuate nel periodo compreso tra il 2005 e il 2012.
  Va detto subito che, dopo la cessazione dell'ufficio commissariale e, cioè, a partire dal 2013, le operazioni di bonifica sono praticamente cessate, sebbene, trattandosi di area compresa nel SIN, (decreto ministeriale n. 321 del 22 novembre 2016) siano destinate ad essere riprese già nei prossimi mesi con l'intervento del Ministero dell'ambiente e della regione Lazio, quale soggetto attuatore.
  Relativamente alle aree della Caffaro si riporta di seguito un quadro generale degli interventi attuati dall'allora competente struttura commissariale (Figura 3).

Pag. 160

5.2 Attività svolta dall'ufficio commissariale nell'area industriale di Colleferro – Caffaro

5.2.1 La caratterizzazione

  Fin dalla fase di avvio della gestione dell'emergenza, l'ufficio commissariale si è indirizzato alla definizione delle caratteristiche chimico-fisiche delle matrici ambientali (suolo, sottosuolo, acque sotterranee e acque superficiali), non limitandosi alle evidenze del marker (lindano, un insetticida clororganico, noto anche come y-esaclorocicloesano), che ha fatto emergere lo stato di crisi (cfr. doc. 2046/2).
  Nell'area del comprensorio industriale si riscontrano sostanze legate alle produzioni industriali.Pag. 161
  L'azione svolta al riguardo dall'ufficio commissariale, a partire dal mese di settembre 2005, è stata orientata prioritariamente sui seguenti ambiti territoriali:
   1. area d'impronta dell'ex industria chimica SNIA-BPD (area attualmente impegnata in tutto o in parte dalle società Caffaro, Se.Co.Sv.Im., Alstom, Italcementi, residenziale di Colleferro scalo, parcheggio multipiano);
   2. area delle discariche note (ARPA 1; ARPA 2; ex cava di Pozzolana) e aree correlate (aree agricole esterne al comprensorio, poste in fregio alle discariche, e impianto chimico per la produzione del benzoino);
   3. rete idrica superficiale (fosso Cupo e fiume Sacco) su cui influiscono le acque meteoriche di dilavamento dei piazzali industriali (rete delle acque bianche) e rete tecnologica del comprensorio industriale.

  Tutte le attività di caratterizzazione sono state effettuate nel rispetto della metodica investigativa riportata nel protocollo per la redazione del piano di caratterizzazione da adottare dai soggetti obbligati presenti nell'ambito del sito del fiume Sacco, redatto a cura dell'ufficio commissariale, approvato dal tavolo tecnico del 2 settembre 2005 e, successivamente, in sede di conferenza dei servizi.
  Di rilievo è il fatto che in conferenza dei servizi sono stati approvati tutti i piani di caratterizzazione redatti dai soggetti obbligati, con le prescrizioni resesi necessarie al fine di renderli congruenti ai protocolli appositamente predisposti dall'ufficio commissariale, per le seguenti aree.

5.2.2 Aree industriali con intervento diretto dell'ufficio commissariale

  L'ufficio commissariale ha altresì proceduto a svolgere indagini integrative per la caratterizzazione dell'area dello stabilimento per la produzione del benzoino, di proprietà Se.Co.Sv.Im., ma utilizzata per l'attività industriale della società Caffaro.
  Inoltre, l'ufficio commissariale ha realizzato una caratterizzazione integrativa del sito «Stabilimento per la produzione del benzoino e derivati», utilizzando le economie esitate dalla gara europea per la realizzazione del piano di caratterizzazione integrativa del sito ARPA 1, affidata all'ATI, costituita dalle società Fenice e Tecno IN.
  Le attività richieste sono state completate dal soggetto affidatario nel mese di luglio 2009.
  Aree industriali:
   1. area di stabilimento per la produzione dei Chetoni (Caffaro), con una superficie di circa 5,3 ettari, di proprietà della Caffaro Srl dal 1981, soggetto obbligato;
   2. area di impianto per la produzione del benzoino e derivati (Caffaro), con una superficie di circa 1,6 ettari, di proprietà della Pag. 162società Se.Co.Sv.Im. Srl, concessa in locazione alla Caffaro Srl nel 1989, soggetti obbligati.

  Tutte le attività di caratterizzazione sopra elencate sono state completate e approvate con prescrizioni nel corso delle conferenze dei servizi del 19 aprile 2007, del 25 settembre 2007, del 18 marzo 2008, del 18 dicembre 2008, del 5 agosto 2010, del 25 marzo 2011 e del 27 ottobre 2011.

5.2.3 Interventi di messa in sicurezza bonifica nelle aree occupate dagli stabilimenti della Caffaro

  Le indagini effettuate sulle aree degli stabilimenti Caffaro hanno posto in evidenza una correlazione tra le sostanze utilizzate nel processo industriale della Caffaro e quelle che hanno determinato l'inquinamento dell'intero territorio del bacino del fiume Sacco, con riferimento ai comuni di Colleferro, Segni e Gravignano (della provincia di Roma) e ai comuni di Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola e Supino (della provincia di Frosinone).
  Sulla base dei dati analitici certi disponibili, ricavati anche nel corso della caratterizzazione del sito, già nel corso delle conferenze dei servizi del 10 e 24 novembre 2005 (gestite dal comune di Colleferro), l'ufficio commissariale ha richiesto prioritariamente ai soggetti obbligati (pubblici e privati) di adottare alcune necessarie azioni di messa in sicurezza d'emergenza (MISE) che hanno permesso di attuare il confinamento della contaminazione all'interno delle matrici ambientali già compromesse e, al contempo, di attenuarne lo stato di contaminazione.
  In particolare, si è provveduto ad effettuare:
   a) la pulizia della rete delle acque bianche nell'area di Caffaro;
   b) la verifica della tenuta delle cisterne interrate Caffaro;
   c) la rimozione e smaltimento presso impianti autorizzati, delle porzioni di suolo/sottosuolo che presentavano alti valori di contaminazione (hot spot) per l'area stabilimento Chetoni e per l'area per la produzione del benzoino facenti capo a Caffaro.

  Tutte le predette attività sono state effettuate e concluse. La rimozione di ulteriori hot spot per diossine rilevate in area di compensazione Caffaro (area benzoino) è stata avviata nel corso della bonifica del sito, attuata dall'ufficio commissariale, che ha agito in sostituzione e danno di Caffaro.
  Il barrieramento idraulico finalizzato ad intercettare le acque di falda è, al momento, attivo per entrambe le aree Caffaro (area stabilimento Chetoni e area per la produzione del benzoino).
  La Caffaro Srl in liquidazione, prima di essere dichiarata insolvente e posta in amministrazione straordinaria, aveva realizzato un impianto di messa in sicurezza d'emergenza dell'acquifero, costituito da alcuni pozzi che emungono queste acque, le trattano e le portano nel depuratore consortile del Centro Servizi Colleferro (CSC), secondo Pag. 163quanto previsto dal quarto comma dell'articolo 243, che parifica totalmente i reflui provenienti da impianti di bonifica o di messa in sicurezza di emergenza ai reflui industriali.
  Successivamente, a partire dal 30 aprile 2010, per la gestione dell'impianto, l'ufficio commissariale ha agito in sostituzione e in danno della società Caffaro Srl in amministrazione straordinaria.
  Allo stato, nella gestione dei due impianti di emungimento delle acque di falda l'amministrazione regionale è subentrata all'ufficio commissariale, in sostituzione e in danno della Caffaro in amministrazione straordinaria.
  Dopo la nuova perimetrazione del SIN, la competenza è passata al Ministero dell'ambiente che opera tramite la regione Lazio, quale «soggetto attuatore».

5.3 Area stabilimento Chetoni-Fenilglicina

  La caratterizzazione del sito, conclusasi nel mese di giugno 2006, ha posto in evidenza che esiste una correlazione tra la contaminazione riscontrata nelle matrici suolo/sottosuolo, acque di falda nell'area di competenza della società Caffaro Srl in amministrazione straordinaria.
  In particolare, oltre la correlazione tra acque di falda e suolo, è stata riscontrata una correlazione anche tra dette matrici e i sedimenti fluviali (collettore acque bianche e fiume Sacco):
   • alcuni metalli;
   • esaclorobenzene;
   • fitofarmaci organo clorurati (alfa- beta- gamma HCH, che rappresentano il marker della contaminazione dell'emergenza ambientale, che ha determinato l'istituzione del Commissario per la gestione dell'emergenza); Dieldrin; DDT, DDD, DDF.

  I costi previsti per gli interventi di messa in sicurezza operativa e monitoraggio, programmati entro il 31 ottobre 2012 dall'ufficio commissariale nell'area Caffaro-Chetoni, ammontano a 1.513.217 di euro, di cui 192.787 euro già sostenuti dalla pubblica amministrazione (ufficio commissariale per l'emergenza e regione Lazio).
  Tali oneri sono suscettibili di incremento in relazione all'attualizzazione dei costi di intervento, considerato che non sono mai state avviate le attività di messa in sicurezza operativa, stimate in 1.264.788,97 euro dal progetto definitivo, ritenuto approvabile dalla conferenza di servizio del 25 marzo 2011.
  La previsione di spesa concerne i seguenti interventi:
   • indagine georadar;
   • caratterizzazione integrativa del suolo e sottosuolo;
   • rilievi topografici a supporto della progettazione definitiva;
   • monitoraggio della falda;
   • caratterizzazione dei sedimenti delle acque bianche;Pag. 164
   • bonifica dei sedimenti presenti nella condotta acque bianche;
   • bonifica della matrice suolo/sottosuolo insaturo della collina antropica e previsione di spesa per la realizzazione dell'intervento;
   • rimozione dei manufatti in cemento amianto.

  Complessivamente, gli oneri per interventi programmati, già approvati nel corso della conferenza dei servizi del 25 marzo 2012 nell'area Caffaro-Chetoni, ammontano complessivamente a euro 1.337.428,97.
  Tali interventi verranno eseguiti dopo la messa in sicurezza permanente del sito denominato ARPA 2, cui sono destinati i terreni inquinati dal lindano dell'area Caffaro-Chetoni è propedeutica alla bonifica dell'area medesima.
  Peraltro, come si è visto, l'allora ufficio commissariale aveva anche perfezionato un accordo con il soggetto obbligato Se.Co.Sv.Im. Srl, in virtù del quale quest'ultimo si è impegnato a concorrere alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza permanente del sito ARPA 2, con un contributo corrispondente all'80 per cento della somma necessaria per l'affidamento e l'esecuzione dei lavori, che è pari alla somma sopra indicata di euro 8.765.402,82.
  A questo punto, trattandosi di area compresa nel SIN, spetta al Ministero dell'ambiente proseguire le opere per la bonifica dell'area Caffaro-Chetoni e tutte le attività alla stessa propedeutiche, considerato che si è già svolta la gara per l'assegnazione del lavori, in regime derogatorio, per la realizzazione del sito ARPA 2.

5.4 Area stabilimento Benzoino e derivati

  La società Caffaro ha provveduto alla caratterizzazione del sito, alla rimozione di alcuni hot-spot e al barrieramento idraulico delle acque di falda nel periodo compreso tra il 2007 e il 2009.
  Per gli interventi di messa in sicurezza della falda, messa in sicurezza del suolo, caratterizzazione e monitoraggio, la pubblica amministrazione ha già speso la somma di euro 3.052.770.
  La caratterizzazione ha posto in evidenza che esiste una correlazione tra la contaminazione riscontrata nelle matrici suolo/sottosuolo, acque di falda nell'area di proprietà Se.Co.Sv.lm. sulla quale le società Caffaro Spa e Caffaro Srl hanno svolto attività industriale.
  In particolare, è stata riscontrata, oltre una correlazione tra suolo e acque di falda sottese, anche una correlazione con le acque di falda esterne al comprensorio industriale, per i seguenti elementi:
   • alcuni metalli;
   • alifatici clorurati cancerogeni;
   • fitofarmaci organo clorurati (alfa- beta- gamma HCH, che rappresentano il marker della contaminazione dell'emergenza ambientale che ha determinato l'istituzione del commissario per la gestione dell'emergenza); Dieldrin.

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  L'area dello stabilimento Caffaro Benzoino, come si è detto, è di proprietà della Se.Co.Sv.lm. ed è stata già bonificata nel 2012 dall'ufficio commissariale, previo smantellamento degli impianti.
  Le suddette operazioni sono iniziate in data 8 luglio 2010, si sono concluse in data 6 dicembre 2012 e sono state positivamente collaudate in data 28 marzo 2013.
  Infine, il collaudo risulta tacitamente approvato, in quanto sono decorsi 2 anni e 2 mesi dall'emissione del certificato di collaudo.
  Allo stato, è in corso la riconsegna delle aree alla società Se.Co.Sv.Im. Srl, proprietaria del sito.
  I terreni contaminati sono stati collocati in sarcofago, denominato ARPA 1 e il collaudo delle opere è intervenuto nel mese di marzo 2013.
  Nella sostanza, si tratta di un bunker in cemento armato con pozzi di drenaggio delle acque di prima pioggia, nonché con una serie di pozzi di monitoraggio.
  Sul punto, è intervenuto Eugenio Maria Monaco, funzionario regionale area bonifiche della regione Lazio, il quale, nel corso dell'audizione del 6 giugno 2016, ha rappresentato le difficoltà di smaltimento dell'esaclorocicloesano (lindano), dal momento che l'ufficio commissariale aveva individuato un solo impianto in Germania, che era in grado di trattare se non un determinato quantitativo annuo di quel materiale a cifre folli.
  Quanto alla scelta dell'area, il dottor Eugenio Maria Monaco – nel corso della sua audizione – ha precisato che i veri siti di discarica, dove era stata scoperta la maggiore aggressione umana industriale nei confronti delle matrici suolo e sottosuolo sono le aree di ARPA 1, ARPA 2 e Cava di Pozzolana, posizionate accanto alle aree industriali di Colleferro, che non erano altro che dei veri e propri riporti di materiale antropico.
  Questo dato di fatto ha rappresentato il motivo della scelta di arginare e confinare almeno in ARPA 1 quel tipo di contaminante, che è terreno frammisto alla molecola famosa, il lindano subentrato al DDT, quando quest'ultimo venne dichiarato fuorilegge.
  Di conseguenza, il commissario straordinario per l'emergenza aveva indetto una gara per la costruzione di due sarcofagi (ARPA 1 e ARPA 2), in regime emergenziale derogatorio della normativa ordinaria.
  Il primo sarcofago era stato realizzato, nel corso della gestione commissariale, mentre il secondo sarcofago (ARPA 2), non è stato ancora realizzato.

5.5 Le aree esterne

  Lo stato di contaminazione derivante dalle attività industriali (chimica integrata), riconducibili nel tempo alla società Caffaro hanno determinato la compromissione anche delle aree esterne.
  Si tratta di aree agricole ripariali per circa 680 ettari, che sono tuttora sottratte alle coltivazioni a catena alimentare (Colleferro, Segni e Gavignano, nella provincia di Roma, Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino, nella provincia di Frosinone).Pag. 166
  Inoltre, in via d'urgenza, si è proceduto all'abbattimento del bestiame che presentava rischio di introduzione in catena alimentare del marker della contaminazione (alfa beta gamma HCH) 4.200 capi ovini e 1.000 capi bovini/bufalini.
  In relazione allo stato di contaminazione riscontrato nelle aree esterne al comprensorio industriale ex SNIA-BPD a Colleferro, l'ufficio commissariale ha finanziato il progetto di monitoraggio sulla «Salute della popolazione nell'area della Valle del Sacco», che è stato affidato al dipartimento di epidemiologia della ASL Roma E.
  Le prime risultanze dello studio hanno portato alle conclusioni che seguono.
  L'estesa indagine di biomonitoraggio ha dimostrato una contaminazione umana di carattere cronico da beta-esaclorocicloesano (beta-HCH), sostanza organica persistente derivante dagli scarichi industriali. Sono interessati i residenti in prossimità del fiume che presentano valori significativamente più elevati del resto della popolazione. I livelli di contaminazione sono in rapporto con l'uso pregresso dell'acqua dei pozzi locali e con il consumo di prodotti alimentari locali, come il latte e i suoi derivati.
  Data la molteplicità dei potenziali effetti tossici del beta-esaclorocicloesano (alterazione delle funzioni epatiche, renali, endocrine, neurologiche, immunitarie e della riproduzione) e delle possibili proprietà cancerogene, l'ASL raccomanda un programma di biomonitoraggio e di sorveglianza sanitaria di tutte le persone residenti nelle aree critiche.

5.6 Il danno ambientale

  L'ISPRA, nel mese di gennaio 2010, aveva stimato gli interventi necessari ai fini della tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente per il sito Caffaro a Colleferro nell'importo complessivo di euro 650.552.472, oltre alla somma di euro 10.350.501,60, per spese sostenute dall'ufficio commissariale, a fronte di fondi stanziati per il SIN di euro 14.500.000 (1876/12).
  Successivamente, a seguito della relazione di aggiornamento del danno ambientale, redatta da ISPRA nel mese di settembre 2016, anche dopo gli interventi medio tempore realizzati, tale cifra è stata aggiornata nel minore importo di 381.822.500.00 euro (doc. 1576/2).
  Il SIN «Bacino del Fiume Sacco», a seguito della riperimetrazione disposta con decreto ministeriale n. 321 del 22 novembre 2016, comprende:
   l'area industriate di Colleferro (sui cui insiste lo stabilimento Caffaro);
   il fiume Sacco;
   le aree ripariali, comprese tra il comune di Colleferro e i comuni di Ceprano e Falvaterra, alla confluenza del fiume Sacco con il fiume Liri.

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  L'area dello stabilimento Caffaro coincide, in linea di massima, con l'area che era di competenza dell'Ufficio Commissariale per l'emergenza nel territorio.

A) Area dello stabilimento

  La superficie occupata dallo stabilimento, suddivisa in «area Chetoni – Fenilglicina» e «area Benzoino», misura complessivamente circa 8 ettari.
  Nella relazione ISPRA del 2010, veniva individuata come tipologia di intervento l'asportazione dei volumi di terreno contaminati e il loro smaltimento in discariche autorizzate.
  Il volume di terreno, che risultava essere contaminato, era stato stimato pari a 705.060 metri cubi e, per le attività di scavo, trasporto, smaltimento e ripristino delle quote piano campagna, veniva prevista una spesa pari a euro 159.343.560.
  Successivamente, nel 2016, ISPRA, considerato che l'area Benzoino era già stata bonificata nel 2012, ha valutato i costi per la fruibilità ambientale solo dell'area Chetoni – Fenilglicina.
  In particolare, sulla base di una perizia dell'ingegnere G. Gavagnin del mese di marzo 2014, non ancora approvata dalle autorità competenti, ISPRA ritiene che, ai fini del riutilizzo industriale delle aree anzidette, vadano effettuati interventi su suolo e soprassuolo con una spesa dell'importo di euro 1.360.000.
  La suddetta perizia Gavagnin non prevede l'asportazione dei terreni contaminati, ma prevede, quanto al soprasuolo, interventi di rimozione dei rifiuti, costituiti da materiali da costruzione con presenza di amianto ed eternit, RSAU, RAEE, terre derivanti da attività di bonifica e rifiuti non pericolosi e, quanto al suolo, prevede interventi, come lo scavo, la bonifica, interventi di messa in sicurezza permanente, il ricondizionamento volumetrico dei terreni, il ripristino ambientale delle cavità, lo smaltimento e l'asfaltatura superficiale.
  In realtà, ISPRA, in merito al sito Caffaro Chetoni – Fenilglicina, sembra ignorare del tutto l'esistenza del progetto relativo all'esecuzione di lavori di bonifica del sito, già approvato da parte della conferenza dei servizi del 25 marzo 2012, che prevede che i suddetti lavori di bonifica, con un costo complessivo di 1.337.428,97 di euro, saranno avviati dopo la realizzazione presso il sito ARPA 2 – nell'ambito dei lavori di messa in sicurezza permanente – di una vasca di confinamento definitivo, dotata di sistemi di fondo e di coperture impermeabili, atta a ricevere i terreni contaminati attualmente presenti nel sito Caffaro Chetoni.
  Come si è visto, i costi previsti per la messa in sicurezza permanente del sito ARPA 2 ammontano a 8.765.402,82 di euro, ma in virtù di un accordo di programma tra l'ufficio commissariale e la società Se.Co.Sv.Im., quest'ultima si è impegnata a corrispondere all'ufficio Valle del Sacco l'80 per cento dell'importo dei lavori, mentre solo il residuo 20 per cento è destinato a rimanere a carico del Ministero dell'ambiente.

Pag. 168

B) Falda sottostante i due stabilimenti

  Per quanto concerne la falda, nella relazione preliminare del 2010, era stato ipotizzato un intervento di bonifica, limitata alle zone dei due stabilimenti, attraverso la tecnologia pump & treat, con la realizzazione di quattro pozzi di emungimento e la costruzione di un impianto di trattamento delle acque, i cui costi di realizzazione e di esercizio ammontavano a euro 2.451.000.
  La perizia del 2014, ripresa nella valutazione ISPRA del 2016, non prevede più la realizzazione di una nuova barriera idraulica, ma solo il potenziamento della barriera idraulica, già attivata dalla società Caffaro, nonché successive attività di monitoraggio delle acque comprensive degli oneri di gestione per 5 anni, per un costo stimato in euro 130.000.
  Questa seconda valutazione dell'ISPRA non appare convincente, poiché, a tacere sull'attuale tenuta della barriera idraulica, non viene più prevista la costruzione di un impianto di trattamento delle acque.

C) I sedimenti

  Gli effetti dell'inquinamento prodotto dalle attività industriali nell'area di Colleferro sono stati riscontrati nelle aree esterne, con impatti significativi sui sedimenti del fiume Sacco.
  Attualmente, al di là delle fasi di caratterizzazione e studio dello stato chimico dei sedimenti e delle acque, non sono previsti interventi concreti di messa in sicurezza e bonifica. Rimane pertanto valida l'ipotesi di ripristino ambientale avanzata nel 2010 in fase di valutazione preliminare del danno.
  Per la bonifica integrale dei sedimenti del fiume Sacco, lungo il tratto di 30 km oggetto della caratterizzazione, era stata stimato un costo di euro 18.832.500, necessario alle attività di dragaggio, disidratazione, trasporto e smaltimento di 112.500 metri cubi di sedimenti, gestione delle acque di risulta e ripristino del fondo fiume.

D) Le aree agricole

  Per ciò che concerne i suoli ripariali destinati ad utilizzo agricolo, la valutazione preliminare del danno elaborata da ISPRA nel 2010 prevedeva interventi di bonifica integrale per il ripristino ambientale dei luoghi tramite attività di scavo, trasporto, smaltimento e ripristino quote piano campagna su una fascia di 500 metri, lungo i 30 km del fiume Sacco (superficie di 1.500 ettari), per i quali l'ufficio commissariale aveva accertato lo stato di contaminazione.
  II costo previsto per tali interventi era stato stimato pari a euro 361.500.000.
  Nelle relazioni delle attività svolte sul SIN dall'ufficio commissariale, per quanto riguarda i suoli agricoli, si fa riferimento a programmi di sperimentazione di coltivazioni di biomasse, destinate alla trasformazione agroenergetica, individuate specificatamente nella tipologia dei pioppi a turno breve (Short Rotation Forestry), anche in Pag. 169considerazione della funzione fitodepurativa che l'apparato radicale esercita sul suolo.
  In base alle previsioni economiche effettuate dall'ufficio commissariale per l'emergenza del territorio del bacino del fiume Sacco, l'avvio della sperimentazione su un'area complessiva di circa 500 ettari ha avuto un costo di circa euro 4.000.000.
  Osserva ISPRA nell'ultimo aggiornamento del settembre 2016 (doc. 1576/2, pagina 21) che, a seguito della valutazione dei risultati ottenuti da tale sperimentazione, le autorità competenti avrebbero potuto ritenere opportuno di estendere l'intervento di fitorimedio a tutte le aree agricole che, secondo la stima già effettuata nel 2010, hanno una superficie complessiva di 1.500 ettari.
  Di conseguenza, per effettuare tale tipo di bonifica su tutte le aree ripariali, sarebbero stati necessari fondi garantiti dai responsabili della contaminazione nella misura di euro 12.000.000.
  Tuttavia, ISPRA nel suddetto aggiornamento ritiene tale costo sottostimato, in quanto riferito alla sola fase sperimentale di un possibile intervento di bonifica secondo la tecnologia del fitorimedio e, inoltre, non tiene conto dei tempi necessari a garantire la decontaminazione dei suoli.
  Di conseguenza, ISPRA, ai fini del ripristino ambientale dei luoghi, ritiene valida l'ipotesi di intervento avanzata in fase di valutazione preliminare del danno del 2010, consistente nell'asportazione e smaltimento dei suoli contaminati, per un costo di euro 361.500.000.
  La Commissione di inchiesta non comprende le ragioni di quest'ultima valutazione di ISPRA, in considerazione del fatto che le aree agricole da bonificare sono quelle ripariali, cioè, quelle che vengono invase dalla piena del fiume Sacco, che riversa periodicamente i propri inquinanti sui terreni di confine con le acque.
  Di conseguenza, non ha senso parlare di asportazione dei terreni, se il problema dell'inquinamento di tali aree è destinato a ripresentarsi, subito dopo la piena del fiume.
  Viceversa, la Commissione di inchiesta condivide il programma di fitorisanamento-fitodepurazione, avviato dall'amministrazione regionale del Lazio, quali presidi totalmente naturali, che permettono il sensibile abbattimento degli inquinanti presenti nelle matrici ambientali, mediante la piantumazione di specie vegetali aventi specifiche caratteristiche, in base all'inquinante da aggredire, e che possono contribuire alla creazione e all'implementazione di nuovi sistemi produttivi di filiera ecosostenibile, volti al riuso delle materie risultanti dalle attività di cui trattasi, mediante il ricorso a tecniche non impattanti per le matrici ambientali (doc. 2046/2).
  Naturalmente, non si può non concordare con la soluzione patrocinata dalla regione Lazio, la quale preferisce ricorrere alla filiera della bioraffinazione, piuttosto che ricorrere a coltivazioni di biomasse (pioppi), destinate alla trasformazione energetica e, dunque, a incidere sulla qualità dell'aria, già dichiarata compromessa dai continui monitoraggi nella Valle.
  In conclusione, sul punto, considerati i risultati positivi già conseguiti dall'ufficio commissariale, su un'area di circa 500 ettari, al costo di circa euro 4.000.000, sembra molto più accessibile, oltre che Pag. 170economicamente più vantaggiosa, estendere l'intervento di fitorimedio a tutte le aree agricole, per una spesa complessiva di circa euro 12.000.000, rispetto a quella indicata da ISPRA di euro 361.500.000.

E) Il danno ambientale all'atmosfera e alle matrici biotiche

  Secondo ISPRA, non vi sono elementi per valutare il danno ambientale all'atmosfera causato dall'emissione in aria di sostanze inquinanti per tutto il periodo di esercizio dello stabilimento, nell'assenza di informazioni dettagliate sull'entità delle emissioni illecite dello stabilimento.
  Del pari non sono disponibili dati per la valutazione del danno ambientale determinato dall'attività dello stabilimento, per quanto riguarda le matrici biotiche e gli impatti sulla salute umana, sia diretti che indiretti.

F) Il danno relativo alla riparazione compensativa ex articolo 18 legge n. 349 del 1986

  Neanche la stima per tale danno viene presa in considerazione nella valutazione del 2016.

G) Conclusioni

  La valutazione del 2016 riduce la stima del danno ambientale dal valore di euro 660.902.973,60 al valore di euro 381.822.500.
  Si ritiene, per le considerazioni espresse nei punti precedenti, che anche l'attuale stima del danno non sia corrispondente alla realtà e che il suo valore sia di euro 34.620.328,97 (1.337.428,97 2.451.000 18.832.000 12.000.000).
  Tuttavia, per concludere, non può essere sottaciuto che ci si trova di fronte a mere valutazioni, e non di fronte a un progetto operativo, com’è accaduto per il SIN di Torviscosa.
  Si tratta di un dato non di poco conto, ai fini dell'ammissione al passivo del credito per il ripristino ambientale vantato dal Ministero dell'ambiente nei confronti delle società Caffaro e SNIA, considerato che i giudici di merito di Udine e di Milano non hanno attribuito alcuna valenza probatoria alle valutazioni dell'ISPRA.

6. Il Sito Caffaro nel comune di Galliera

6.1 La caratterizzazione del sito

  Con nota del 27 gennaio 2016, l'ARPA Emilia Romagna rappresentava la situazione del sito Caffaro posto nel comune di Galliera, in provincia di Bologna (doc. 1001/2 e doc. 1485/1).
  Il sito, ubicato nel comune di Galliera, è stato sede della società Siapa Spa, rilevata poi dalle Industrie Chimiche Caffaro Spa, azienda Pag. 171del gruppo SNIA, che ha prodotto dagli anni ‘50 e fino al luglio 1999, fitofarmaci liquidi, in polvere e granulari, con particolare riferimento al DDT.
  L'ex complesso industriale, completamente inserito in un contesto strettamente residenziale cresciuto all'intorno dello stabilimento negli anni della sua attività, ha un'area di 154.659 metri quadrati a destinazione industriale, sebbene esista la volontà dell'amministrazione comunale di cambio di destinazione d'uso di una parte dell'area per uso residenziale e di altra parte a verde pubblico.
  L'area confina a est con la linea ferroviaria Bologna-Venezia, a ovest con un piccolo appezzamento agricolo, a sud con una strada provinciale n. 12 e nel margine nord con lo Scolo Riolo.
  Come si è detto, la destinazione urbanistica attuale è quella industriale, esclusa la porzione di terreno che confina con lo scolo Riolo, che è vincolata come area di rispetto fluviale, con destinazione urbanistica a verde.
  Nel mese di luglio 1999, la Caffaro Spa comunicava la cessazione delle attività produttive e la chiusura dello stabilimento e, nel successivo mese di ottobre 1999, a seguito dell'incendio di un capannone, l'amministrazione comunale istituiva un tavolo tecnico, al quale partecipavano il comune, l'ARPA, l'AUSL e i Vigili del fuoco, al fine di definire le modalità di smaltimento dei rifiuti e la rimozione della materie prime presenti in stabilimento.
  Dopo la chiusura di queste operazioni, concluse nel mese di luglio 2000, nel successivo mese di novembre, veniva richiesto alla società Caffaro di provvedere alla rimozione delle cisterne interrate, poste all'ingresso dello stabilimento contenenti solventi usati per la formazione dei pesticidi.
  A seguito di tale rimozione emergeva che il terreno adiacente le cisterne era contaminato da composti clorurati, fitofarmaci e idrocarburi, in concentrazioni superiori ai valori limite definiti dal decreto ministeriale n. 471 del 1999.
  Pertanto, nel mese di febbraio 2001, la società Caffaro Srl comunicava l'attivazione del procedimento di bonifica, ai sensi dell'articolo 9 del decreto ministeriale 471 del 1999, a seguito della quale l'area veniva sottoposta a indagini di caratterizzazione dello stato di inquinamento delle matrici ambientali, come previsto dal decreto ministeriale citato.
  La conferenza dei servizi dava mandato ad ARPA di eseguire un monitoraggio conoscitivo sui pozzi domestici di captazione della prima falda superficiale utilizzate a scopo irriguo, al fine di verificare il livello di contaminazione, ma i controlli eseguiti non evidenziavano la presenza di inquinanti riconducibili al sito.
  Il sito è stato oggetto di indagini, a partire dal 2003, nell'ambito della procedura di caratterizzazione e di un piano di monitoraggio della falda.
  Il piano di caratterizzazione, come previsto dal decreto ministeriale n. 471 del 1999, ha interessato:
   • la matrice suolo nell'area interna allo stabilimento, dove sono stati effettuati 99 sondaggi a carotaggio continuo fino a 6 metri e nei pressi dello Scolo Riolo fino a 15 metri; Pag. 172
   • le acque sotterranee nell'area interna dello stabilimento e per un'area esterna in un raggio di 500 metri, dove sono stati installati 17 piezometri, di cui 6 esterni all'area dello stabilimento;
   • le acque superficiali dello Scolo Riolo.

  Da tali indagini è emerso che la contaminazione è sostanzialmente diffusa sull'intera area dello stabilimento, con zone ben delimitate di contaminazione assente, mentre altre zone presentano punte di contaminazione altamente significative.
  Il suolo risulta contaminato fino a una profondità media di 3-4 metri dal piano campagna, ma con zone ove la contaminazione arriva fino a 12 metri in prossimità dello scolo Riolo con deposizione di rifiuti utilizzati per il riempimento delle cosiddette «marcite».
  I contaminanti presenti nella matrice suolo/sottosuolo sono: fitofarmaci (tra cui clordano, DDT e suoi metaboliti DDD e DDE, dieldrin, aldrin, atrazina), idrocarburi pesanti (Cg12), idrocarburi leggeri (C<12), composti aromatici (xilene), metalli pesanti (Cu) e PCB in un'area circoscritta.
  Nel dettaglio, i fitofarmaci sono presenti in concentrazione dell'ordine di qualche milligrammo per chilo e, comunque, sono compresi entro il valore di 10 mg/kg (per singolo composto), fatto salvo in corrispondenza di due punti di indagine, in cui sono state misurate concentrazioni decisamente superiori (punto SI02-clordano: 183 mg/kg, DDT e suoi metaboliti DDD, DDE: 14 mg/kg; punto PM2: aldrin: 47 mg/kg, βesaclorocicloesano: 14,9 mg/kg).
  Gli idrocarburi pesanti hanno concentrazioni generalmente pari a qualche centinaio di milligrammi per chilo, anche se in corrispondenza di due punti di indagine sono state riscontrate concentrazioni dieci volte superiori, mentre gli idrocarburi leggeri in corrispondenza Pag. 173degli scavi dei serbatoi interrati hanno anch'essi concentrazioni di alcune migliaia di milligrammi per chilo.
  Nell'area di indagine è stata rilevata la presenza di tre falde, di cui le prime due connesse tra loro (I e II falda: –12 metri; III falda: –25 metri).
  L'ARPA riteneva sufficiente indagare le falde fino alla profondità di 25 metri, considerato che i sondaggi avevano indicato la presenza di una lente di argilla consistente tra –25 e – 60 metri, al di sotto della quale è presente una falda profonda.
  I contaminanti presenti sono costituiti da: composti clorurati tra cui (1-2 dicloroetano 1-2 dicloropropano, cloroformio, tricloroetilene e diclorometano), fitofarmaci (aldrin, DDT, esaclorocicloesano (HCH e atrazina) e metalli (piombo).
  Il livello di contaminazione è risultato di maggior rilievo per la prima e la seconda falda (interconnesse tra loro) fino a – 12 metri, rispetto alla terza falda localizzata – 25 metri.
  Per le falde acquifere in aree fuori sito (per un raggio di circa 500 metri) si è registrata la contaminazione delle tre falde, a causa della presenza di alcuni composti clorurati in concentrazioni superiori ai limiti del decreto ministeriale 471 del 1999.
  Dal 2002, a monte e a valle dello stabilimento, sono state effettuate da ARPA alcune campagne di monitoraggio delle acque superficiali dell'adiacente Scolo Riolo con ricerca di fitofarmaci e composti clorurati sulle acque superficiali, di cui è stata posta in evidenza una presenza sporadica in concentrazione modeste.
  In ragione di ciò, la conferenza ha imposto alla società Caffaro l'esecuzione di un monitoraggio dello Scolo Riolo, con cadenza semestrale. Tuttavia, sulla base dei dati acquisiti in otto anni di controllo, gli enti della conferenza dei servizi hanno deciso di interrompere il suddetto monitoraggio, in quanto la sporadica e modesta presenza rilevata di alcuni fitofarmaci e di solventi in concentrazioni modeste, presenti sia a monte, sia a valle del sito, non è stata correlata alla contaminazione del sito stesso.
  Nel 2004, il piano di caratterizzazione è stato ulteriormente ampliato con altri sondaggi sul suolo, a seguito di informazioni acquisite da ARPA presso ex dipendenti Siapa, nonché a seguito del rinvenimento, durante le fasi di rimozione di apparecchiature fuori terra, di altre cisterne interrate collegate a tronchi morti di fognatura, contenenti residui liquidi di lavorazione, che sono state ripulite dal contenuto, avviato a smaltimento presso ditte esterne.
  II progetto preliminare di bonifica veniva presentato in data 30 ottobre 2003 dalla società, ma non veniva approvato dalla conferenza, in quanto le soluzioni tecniche proposte per la bonifica per il suolo non venivano ritenute idonee.
  Comunque, la conferenza accettava la proposta della Caffaro di sperimentare una tecnologia sito specifica di inertizzazione del suolo, per la cui realizzazione veniva conferito incarico all'Università di Ancona.
  Tuttavia, in attesa dell'esito degli studi di inertizzazione, la conferenza richiedeva alla società la realizzazione della messa in sicurezza di emergenza della falda superficiale, con prescrizione di monitoraggi.Pag. 174
  La messa in sicurezza consisteva nella installazione di un pozzo di emungimento, localizzato nella zona di maggiore concentrazione di inquinanti della prima falda; l'acqua emunta dal suddetto pozzo veniva trattata nell'impianto di depurazione esistente e originariamente utilizzato a servizio del trattamento degli scarichi produttivi dello stabilimento, con il successivo scarico nello scolo Riolo.
  Nel mese di aprile 2005 veniva attivata la messa in sicurezza della falda che, però, la Caffaro interrompeva definitivamente nel gennaio 2009, in quanto lo stabilimento, ormai dismesso e non presidiato, era stato oggetto di frequenti manomissioni degli impianti per l'intrusione di estranei.
  Il monitoraggio della falda eseguito nell'intero periodo (2005/2009) consentiva di verificare effetti positivi in termini di riduzione delle concentrazioni analitiche degli inquinanti.
  Nel mese di luglio 2009 la Caffaro Spa comunicava la propria messa in liquidazione e l'indisponibilità economica ad eseguire gli interventi di bonifica.
  Nel mese di giugno 2010, il comune di Galliera convocava una conferenza di servizi, per la valutazione dell'analisi di rischio (adr), presentata dalla società nel 2006, a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  La valutazione dell'analisi di rischio si concludeva con richiesta di integrazioni e di ripristino immediato della messa in sicurezza della falda.
  A tale richiesta il commissario straordinario – subentrato nella gestione del sito, dopo l'ammissione, in data 8 luglio 2009, alla procedura di amministrazione straordinaria della Caffaro Chimica Srl in liquidazione, proprietaria del sito industriale di Galliera – rispondeva con integrazioni, che portavano nel mese di novembre 2011 all'approvazione dell'analisi di rischio del sito specifica, e, in data 4 dicembre 2012, all'approvazione del progetto di messa in sicurezza del suolo e della falda.
  In particolare, il progetto di messa in sicurezza prevedeva interventi da attuarsi nell'area dell'ex stabilimento SIAPA e nell'area esterna allo stesso (ex scuola elementare di via della Pace).
  Nello specifico, i suddetti interventi consistevano:
   1. nella realizzazione di una barriera idraulica, mediante cinque pozzi di emungimento e successivo trattamento delle acque emunte, prima del loro scarico nello Scolo Riolo, di cui quattro pozzi situati nell'area interna allo stabilimento e uno all'esterno;
   2. nella impermeabilizzazione, tramite capping, delle zone interessate dagli interramenti di rifiuti presenti nelle ex marcite e delle aree poste nella porzione Nord dello stabilimento (area a verde), che avevano presentato contaminazioni superiori alle concentrazioni soglia di rischio (CSR) definite dall'analisi di rischio. L'intervento di capping riguardava una superficie pari a circa 2.700 metri quadrati, nell'area di interramento dei rifiuti, e di circa 3.000 metri quadrati, in corrispondenza dei punti di superamento delle CSR. Inoltre veniva prevista l'esecuzione di monitoraggi periodici delle falde acquifere.

Pag. 175

  La delibera n. 16 del 27 febbraio 2013 di approvazione del progetto di bonifica emanata dal comune di Galliera, prescriveva al punto 6) la realizzazione, a carico del commissario straordinario, degli interventi di bonifica «entro due anni decorrenti dalla data di piena efficacia del documento autorizzativo».
  Tuttavia, con una nota in data 18 marzo 2015 (pervenuta al comune di Galliera in data 24 marzo 2015, prot. n. 3183), allo scadere del tempo prescritto per l'esecuzione degli interventi autorizzati nel progetto di messa in sicurezza suolo e bonifica falda, il commissario straordinario della Caffaro/SNIA Spa in amministrazione straordinaria comunicava a tutti gli enti coinvolti nel procedimento di bonifica che, nel mese di giugno 2015, il sito sarebbe stato abbandonato e che non sarebbe stato realizzato il suddetto progetto di messa in sicurezza.
  Nel testo della nota anzidetta il commissario straordinario asseriva che «la procedura, nel corso dell'anno 2014, ha già realizzato i previsti cinque pozzi barriera e due monitoraggi della falda e ha dato corso a tutte le pratiche amministrative necessarie all'intervenuto rilascio dell'autorizzazione allo scarico idrico nello Scolo Riolo», con l'ulteriore precisazione che «gli interventi della procedura, per le ragioni infra precisate (mancanza di fondi), si esauriranno con la realizzazione della sola barriera idraulica e degli impianti di emungimento e trattamento delle acque di falda, nonché con una limitata e mirata pulizia dei soli piazzali interni. L'importo per tali interventi è stimato in euro 110.000, come da aggiornati preventivi».
  Assicurava il commissario straordinario, nell'anzidetta comunicazione in data 18 marzo 2015, di aver provveduto agli adempimenti previsti dall'articolo 305 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per mantenere in sicurezza il sito, indicando numerosi interventi, tra cui l'esecuzione di analisi ambientali, di monitoraggi chimici periodici ad Pag. 176acque di falda e assistenza, di terebrazioni di pozzi e piezometri per la realizzazione della barriera, di taglio degli alberi, sfalci e potature, eccetera, e di aver sostenuto i costi necessari per quanto svolto dall’advisor ambientale indipendente Environ Italy.
  Con l'ordinanza sindacale n. 14 del 12 maggio 2015, il comune di Galliera diffidava il commissario straordinario dall'abbandonare il sito, ordinando al contempo l'avvio delle attività di messa in sicurezza e bonifica della falda approvate con DGC n. 16/2013.
  In risposta alla sopracitata ordinanza, il commissario straordinario della Caffaro/SNIA Spa comunicava la propria intenzione di avviare il trattamento delle acque di falda, ma non la restante parte del progetto di bonifica.
  In realtà, a seguito dell'ispezione dei luoghi, effettuata dall'ARPA, in data 6 maggio 2015, emergeva che, dei cinque pozzi barriera previsti (quattro all'interno dello stabilimento e uno all'esterno), ne erano stati realizzati soltanto tre, compreso quello esterno allo stabilimento, mentre non erano stati realizzati i sistemi di convogliamento, gli impianti di emungimento e di trattamento delle acque di falda.
  In particolare, nella relazione dell'ARPA si legge che, al momento del sopralluogo, non era stato possibile accedere all'area dove, secondo quanto dichiarato dall'incaricato della proprietà, erano stati realizzati i restanti due pozzi compresi nell'area dello stabilimento, a causa della foltissima vegetazione che ne impediva l'accesso e la rintracciabilità.
  In sostanza, il sopralluogo eseguito dall'ARPA, con la partecipazione di funzionari della regione Emilia-Romagna, ha consentito di verificare che non era stato installato il capping superficiale nell'area a verde interna all'ex stabilimento, adiacente allo Scolo Riolo.
  Inoltre non v'era traccia di potature, sfalci e taglio di alberi, indicati dal commissario straordinario tra le varie voci dell'attività da lui svolta per la conservazione del sito industriale.
  L'ARPA precisava che, poiché l'area dello stabilimento non era presidiata da guardiania, per potere eseguire il sopralluogo si era reso necessario convocare con lettera PEC il commissario straordinario (o suo delegato), allo scopo di permettere l'accesso degli operatori nell'area in questione.
  A questo punto, all'ARPA Emilia-Romagna non rimaneva che prendere atto dell'assenza degli interventi previsti dal progetto di messa in sicurezza permanente e bonifica della falda e in considerazione del rischio sanitario e ambientale definito «non accettabile», secondo i dettami del decreto legislativo n. 152 del 2006, come stimato dall'analisi di rischio sanitaria e ambientale sito specifica, elaborata dalla proprietà e approvata con determina del comune n. 87 del 28 novembre 2012.
  Di conseguenza, la stessa ARPA richiedeva al comune di Galliera con atto PG 6279 del 7 maggio 2015 l'emanazione di ordinanza contingibile e urgente, affinché il commissario straordinario di Caffaro/SNIA Spa in liquidazione procedesse, non oltre 30 giorni dal ricevimento dell'atto comunale, all'avvio delle attività di messa in sicurezza permanente e di bonifica della falda approvate con determina del comune di Galliera n. 87 del 28 dicembre 2012.
  In effetti, il comune di Galliera, in data 12 maggio 2015, emanava la sopra citata ordinanza n.14, ma la stessa non veniva ottemperata Pag. 177dal commissario straordinario e, di conseguenza, l'ARPA denunziava l'intera vicenda all'autorità giudiziaria.
  Tuttavia, va rilevato che l'AUSL competente ha effettuato periodici controlli sui pozzi ad uso domestico e che a tutt'oggi i controlli eseguiti non hanno posto in evidenza la presenza di inquinanti riconducibili al sito.
  Successivamente, in data 4 novembre 2015, l'ARPA effettuava un ulteriore sopralluogo presso il sito, riscontrando e accertando che «all'interno dell'area dello stabilimento Caffaro risultano realizzati i quattro pozzi di captazione previsti ed il loro collegamento al sistema di trattamento previsto dal progetto di bonifica della falda e dall'autorizzazione allo scarico» e che inoltre «è risultato attivato il collegamento alla rete elettrica e funzionante il quadro di controllo asservito all'impianto di trattamento stesso», ma che «l'impianto di emungimento è tuttavia spento e non risultano in corso le attività di collaudo propedeutica alla sua messa a regime».
  Inoltre l'ARPA accertava inoltre che «non risulta realizzata né in corso di realizzazione la messa in sicurezza (MISP) delle aree di suolo/sottosuolo caratterizzate da concentrazioni di inquinanti superiori alle concentrazioni soglia di rischio, poste nell'area verde prospicente lo Scolo Riolo».
  Preso atto dello stato dei luoghi, il comune di Galliera, con nota in data 28 novembre 2015, trasmetteva alla regione Emilia-Romagna il progetto preliminare «Stima di massima di bonifica», relativo all'intervento di messa in sicurezza permanente e di bonifica del sito Caffaro (ex SIAPA), dell'importo complessivo di euro 6.500.000, approvato con DGC n. 84 del 28 novembre 2015 e da realizzare in tre diversi stralci funzionali (2.500.000 di euro per l'annualità 2016, 2.000.000 di euro per l'annualità 2017, 2.000.000 di euro per l'annualità 2018).
  La regione Emilia-Romagna, con DGR 2068/2015 del 14 dicembre 2015 concedeva, per la realizzazione del primo stralcio dell'intervento di messa in sicurezza e bonifica, un finanziamento di euro 2.500.00, di cui euro 1.744.150, liquidabili ad avvenuta acquisizione da parte del comune di Galliera dell'area interessata dalla bonifica.
  Il primo stralcio attiene al «Recupero e smaltimento del materiale contaminato, stimato in un'area di mq 1.000 per una profondità media di m 2,00», nonché al «Completamento del sistema di pompaggio comprendente tutte le opere necessarie per garantire il funzionamento del sistema» (quadro elettrico, posa tubature, pozzetti d'ispezione e di raccolta acque ecc..).
  Grazie a tale copertura finanziaria, il comune di Galliera, nel mese di febbraio 2016, con ordinanza n. 1/2016, ha assunto, in via sostitutiva e ai sensi e per gli effetti degli articoli 250 e 253 del decreto legislativo n. 152 del 2006, l'avvio e l'attivazione degli impianti di emungimento e bonifica della prima falda acquifera.

6.2 Gli interventi di messa in sicurezza permanente e di bonifica del sito da parte del comune di Galliera, in via sostitutiva

  Come si è sopra rilevato, il comune di Galliera, con il contributo della regione, ha conferito alla società Ecologia Environmental Solution Pag. 178di Zola Predosa l'incarico della gestione e del monitoraggio dei due impianti di pompaggio dell'acqua di falda (uno all'interno dell'area dell'ex stabilimento e uno presso l'ex scuola adiacente),c he viene scaricata nello Scolo Riolo, dopo trattamento con nuovi impianti ad hoc.
  L'impianto attivato nel 2016 proseguirà la sua azione prevista per dieci anni.
  Per quanto riguarda la contaminazione dei suoli, il comune di Galliera sta elaborando un progetto di bonifica, che dovrà essere condiviso dalla conferenza dei servizi e approvato con delibera dall'amministrazione comunale.

  Il progetto, in corso di valutazione, fa seguito al documento di analisi di rischio sanitario e ambientale, redatto ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 e, quindi, approvato dalla conferenza di servizi tenutasi presso il comune di Galliera in data 10 novembre 2016.
  Su richiesta dell'amministrazione comunale, l'analisi di rischio ha elaborato diversi scenari, secondo differenti ipotesi di destinazione d'uso, allo scopo di fornire un supporto all'amministrazione comunale nella scelta della destinazione urbanistica del sito.
  Per l'elaborazione dell'analisi di rischio, il sito è stato suddiviso in due sub-aree, distinte secondo gli usi pregressi e richiamate nella figura qui di seguito riportata:
   • l'area ubicata nella porzione nord del sito, che non è mai stata sede di impianti produttivi, denominata «area verde»;
   • l'ex area produttiva su cui insistevano le attività produttive.

Pag. 179

  Su esplicita indicazione dell'amministrazione comunale, il progetto di bonifica è stato sviluppato con riferimento agli obiettivi di bonifica calcolati per un uso a verde pubblico dell'area verde e per un uso misto residenziale e servizi, con area completamente pavimentata, per l'ex area produttiva.

8195;

  Le soluzioni progettuali possibili per l'area delle marcite, ove sono presenti rifiuti interrati, sono lo smaltimento ovvero la messa in sicurezza permanente.
  È stata effettuata una analisi preliminare tecnico economica, sulla base della quale l'amministrazione comunale ha dato indicazione di procedere alla progettazione di un intervento di messa in sicurezza permanente dell'area marcite.
  Il progetto è stato redatto sulla base di informazioni derivanti, in via prevalente, dalle indagini di caratterizzazione ambientale eseguite sul sito nei primi anni 2000 e, in parte, dalla documentazione inerente le attività di monitoraggio delle acque sotterranee, risalenti ad anni recenti (2011–2015). In tale contesto è stato indispensabile prevedere una fase di indagine integrativa.Pag. 180
  All'attuale stato di conoscenza è stato stimato un intervento su 50.000 metri cubi in banco di suoli, per una superficie di circa 4 ettari, pari a circa un quarto dell'estensione dell'intero sito.
  Sulla base delle caratteristiche specifiche del sito, determinate dal tipo, grado e volumi dei suoli contaminati, è stata condotta la disamina delle tipologie di interventi di bonifica applicabili, che ha determinato la progettazione di un intervento integrato tra più tecnologie, e nello specifico:
   • lo scavo e lo smaltimento del suolo contaminato in impianti esterni per i terreni degli areali (AP04 e AP06), caratterizzati da elevate concentrazioni di fitofarmaci, idrocarburi e rame;
   • l'utilizzo della tecnica del biorisanamento in situ per gli areali superficiali e profondi caratterizzati da concentrazioni di inquinanti medio basse.

  In particolare per gli areali di intervento superficiale, è previsto il trattamento in loco, mediante la movimentazione del primo metro di suolo, l'aspersione di prodotti stimolatori della biodegradazione e arature periodiche, al fine di garantire le idonee condizioni di ossigenazione del suolo. Negli areali profondi è stato previsto un trattamento on site, procedendo allo scavo del suolo contaminato e alla formazione di cumuli in area di cantiere interna al sito. I prodotti stimolatori della biodegradazione saranno sparsi sui cumuli, che saranno periodicamente rivoltati per garantire l'ossigenazione (biopila dinamica). Al termine del trattamento, i terreni bonificati saranno impiegati per il ritombamento degli scavi.
  Nell'area verde, denominata zona «marcite», dove è stata rinvenuta la presenza di scarti delle precedenti lavorazioni industriali, in considerazione degli elevati tenori di contaminanti riscontrati e del volume dei materiali contaminati e terreni potenzialmente contaminati (stimato in circa 13.000 metri cubi) viene previsto un intervento di messa in sicurezza permanente (MISP) dell'area, mediante il completo confinamento superficiale e laterale del volume, tramite la realizzazione di una copertura sommitale impermeabile e la completa cinturazione del volume con diaframma plastico cemento-bentonitico intestato nei materiali a bassa permeabilità presenti con continuità al di sotto dell'area verde.
  Per quanto riguarda la falda, dagli ultimi dati disponibili di concentrazione, relativi al monitoraggio eseguito nel mese di novembre 2015 sui piezometri interni al sito, è emerso che le acque di prima falda sottostanti l'ex stabilimento Siapa presentano una contaminazione diffusa da solventi clorurati, sebbene di entità contenuta, nonché una contaminazione da fitofarmaci (aldrin e dieldrin), anch'essa di entità assai modesta e localizzata.
  Pertanto, non essendo possibile riconoscere all'interno del sito una o più aree sorgenti, caratterizzate da concentrazioni più elevate, sulle quali concentrare interventi volti a una significativa riduzione delle concentrazioni, il progetto prevede il mantenimento del sistema di barrieramento idraulico con trattamento della falda già attivo, la cui funzione è quella di impedire la diffusione della contaminazione verso Pag. 181l'esterno, ma che nel contempo opera una progressiva riduzione della massa inquinante presente in fase disciolta.

6.3 Gli ultimi sviluppi della fase procedurale delle operazioni di bonifica

  Infine, con comunicazione in data 12 maggio 2017 (doc. 2006/1), il responsabile dell'ufficio tecnico del comune di Galliera, Stefano Pedriali, ha comunicato:
   1) che, in data 10 novembre 2016, è stata approvata l'analisi di rischio dalla conferenza dei servizi per la bonifica e messa in sicurezza permanente del sito contaminato, di proprietà Caffaro, denominato «ex Siapa», con la prescrizione di provvedere ad integrare le indagini da sviluppare sull'area, una volta ottenutane la disponibilità;
   2) che, in data 17 gennaio 2017, è stato depositato il «progetto operativo di bonifica e messa in sicurezza permanente», per un importo complessivo di 10.874.329,83 di euro;
   3) che, al fine di dare attuazione alla deliberazione della giunta regionale n. 2068/2015, con la quale è stato concesso al comune di Galliera un contributo di euro 2.500.000 per il primo stralcio della messa in sicurezza e bonifica del sito «ex Siapa», è stato redatto e depositato in data 21 marzo 2017 il primo stralcio funzionale, per l'importo complessivo di 1.898.706,58 di euro.

  Quanto alle operazioni in corso, il responsabile dell'ufficio tecnico ha riferito che, in data 14 aprile 2016, è stata attivata la barriera idraulica con il servizio di gestione e manutenzione degli impianti pump and treat, tuttora funzionante, utilizzando parte delle risorse del citato contributo regionale e che sono in corso gli approfondimenti necessari con il commissario straordinario della procedura, allo scopo di ottenere la disponibilità dell'area, per procedere alla integrazione delle indagini ed eventualmente calibrare i progetti agli ultimi rilievi, come prescritto dalla conferenza dei servizi.

7. Considerazioni finali

  Alla stregua dell'ultima relazione dell'ISPRA del mese di settembre 2016, considerati i fondi stanziati dal Ministero dell'ambiente, per l'importo complessivo di 73.911.648 (13.069.086 46342.562 14.500.000), il costo degli interventi necessari per il ripristino ambientale dei tre SIN (Torviscosa, Brescia e Colleferro) viene complessivamente valutato nella somma di 1.236.584.155 di euro, a fronte della precedente valutazione del 2009 di 3.439.037.876,46 di euro.
  Come si è visto, ad oggi, la nuova determinazione del danno ambientale operata da ISPRA non risulta dedotta nell'unico giudizio di opposizione, pendente ancora nella fase del merito, davanti il Pag. 182tribunale di Milano, posto che i decreti del tribunale di Udine, che hanno rigettato l'opposizione all'esclusione dallo stato passivo della Caffaro Chimica Srl in amministrazione straordinaria e della Caffaro Srl in amministrazione straordinaria del credito preteso dal Ministero dell'ambiente per danno ambientale, non pendono davanti ai giudici di merito (nella specie, la Corte d'appello di Trieste), bensì pendono in Cassazione, che è giudice di legittimità.
  Ciò precisato sul piano dell'iter processuale, va preso atto del fatto che, finora, tutti i giudici di merito (tribunale di Milano e di Udine, nelle loro articolazioni), che si sono occupati del credito di euro 3.439.037.876,46, come preteso nelle varie cause civili proposte dal commissario straordinario di SNIA in amministrazione straordinaria e dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, in nome e per conto del Ministero dell'ambiente e del Ministero dell'economia e delle finanze, non lo hanno riconosciuto, non per un problema legato al suo rilevante importo, bensì perché si tratta di un credito eventuale e non certo.
  Sul punto, va osservato che il credito per danno ambientale, preteso dal Ministero dell'ambiente, difeso dall'Avvocatura dello Stato, a seguito dell'opposizione svolta del commissario straordinario, avvocato Marco Cappelletto, non è stato ammesso al passivo delle procedure di amministrazione straordinaria di Caffaro Srl, di Caffaro Chimica Srl e di SNIA Spa, rispettivamente, pendenti le prime due, davanti il tribunale di Udine e la terza davanti il tribunale di Milano.
  La mancata ammissione allo stato passivo del credito per danno ambientale ha determinato la soccombenza «per carenza di interesse» del commissario straordinario e dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano nell'azione di responsabilità promossa nei confronti di amministratori e sindaci della SNIA e delle società che ne avevano il controllo (cfr. sentenza tribunale Milano – sezione specializzata in materia di impresa – n. 1795/2016)
  La peculiarità della vicenda sta nel fatto che è lo stesso commissario straordinario, attore nella suddetta azione di responsabilità, a contestare il credito per danno ambientale e, tuttavia, la domanda di condanna nei confronti di amministratori e sindaci viene dallo stesso commissario straordinario di SNIA espressamente subordinata al fatto che il relativo credito possa venire riconosciuto in sede giudiziaria, all'esito dei giudizi promossi dal lui medesimo e dall'Avvocatura dello Stato.
  Questa prospettazione – sostenuta sia dal Commissario straordinario, che ha promosso la causa, sia dall'Avvocatura dello Stato, che è intervenuta nel giudizio ad adiuvandum – viene dal tribunale di Milano giudicata quasi abnorme, con la conseguente pronunzia di inammissibilità sia della domanda del commissario straordinario, sia dell'intervento esplicato dall'Avvocatura dello Stato, in quanto il diritto di cui viene richiesta la tutela (ovvero il diritto al risarcimento di asseriti danni ambientali) non è affatto dedotto come «esistente» ma, al contrario, lo stesso attore (SNIA in amministrazione straordinaria) rivendica espressamente, addirittura, l'inesistenza dei presupposti che potrebbero determinare quel danno al patrimonio sociale, nel caso di rigetto definitivo dell'opposizione allo stato passivo, proposta dall'Avvocatura dello Stato, in nome e per conto del Ministero dell'ambiente e del Ministero dell'economia e delle finanze.Pag. 183
  Invero, solo l'ammissione al passivo della procedura di amministrazione straordinaria di SNIA potrebbe legittimare una domanda risarcitoria nei confronti dei numerosi convenuti, ma ciò solo in astratto, in quanto il danno ambientale deve essere provato in concreto, in uno con la responsabilità degli amministratori che lo hanno provocato e del nesso causale della loro condotta rispetto agli eventi dannosi.
  In sostanza, non si può non concordare con il tribunale di Milano sul fatto che, fintanto che il credito per danno ambientale non viene ammesso al passivo della procedura di amministrazione straordinaria della SNIA, non può essere preso in considerazione per una pronuncia di condanna degli amministratori, dei sindaci e dei soci diretti e indiretti della stessa SNIA al risarcimento di tale danno, trattandosi di credito che è del tutto incerto, sia sotto il profilo dell’an debeatur, sia sotto il profilo del quantum.
  Inoltre, con la citata sentenza n. 1795/2016, il tribunale ha rigettato tutte le altre domande proposte dal commissario straordinario nei confronti degli amministratori, sindaci e soci di riferimento di SNIA.
  In particolare, il tribunale ha rigettato le domande di risarcimento danni – distinti in danno «istantaneo (euro 572.000.000) e danno «incrementale» (euro 192.858.000) – in relazione alla cosiddetta scissione distrattiva della SORIN, società posseduta dalla stessa SNIA, alla quale era stato attribuito il «comparto biomedicale»».
  Complessivamente, le voci di danno richieste dal Commissario straordinario per la vicenda SORIN (danno «istantaneo» e danno «incrementale») ammontano a euro 764.858.000,00 (euro 572.000.000,00 euro 192.858.000,00).
  Il tribunale, con ampia motivazione, esclude innanzitutto che, nell'arco di tempo 2000-2003, vi sia stato un travaso di risorse, per l'importo di euro 572 milioni, dal «settore chimico» al «settore biomedicale» ed esclude altresì che le sofferenze del settore chimico siano conseguenza diretta di tale scissione, per l'importo richiesto di euro 192.858.000,00.
  Si è trattato in particolare della cessione, giudicata pienamente legittima, da parte di SNIA Holding, di una partecipazione a lei stessa facente capo e del successivo utilizzo dei mezzi finanziari così acquisiti, indiscutibilmente di propria esclusiva o pertinenza, per altri investimenti in ulteriori attività reputate maggiormente remunerative.
  Ancora, il tribunale di Milano – sezione specializzata in materia di impresa – con altra successiva sentenza n. 4101/2016, il tribunale di Milano – sezione specializzata in materia di impresa – ha rigettato una «domanda di accertamento» di credito dell'importo di euro 572.082.455, proposta dal commissario straordinario nei confronti della SORIN Spa, nonché una «domanda di condanna» proposta in via riconvenzionale dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano (Ministero dell'ambiente, Ministero dell'economia e delle finanze, ecc.), volta ad accertare e dichiarare che SORIN è corresponsabile in solido con SNIA per i danni ambientali arrecati ai SIN di Torviscosa, Brescia e Colleferro e, per l'effetto, condannarla a pagare alle pubbliche amministrazioni anzidette l'ammontare di euro 3.439.037.876,46, oltre interessi e rivalutazione.Pag. 184
  Le motivazioni del rigetto sono identiche a quelle contenute nella sentenza n. 1795/2016, relativa all'azione di responsabilità, promossa dal commissario straordinario nei confronti degli amministratori, sindaci e soci di riferimento di SNIA e si risolvono tutte nella considerazione che il credito preteso dal commissario straordinario di SNIA in amministrazione straordinaria è privo di ogni concretezza e attualità, in quanto dipende da un fatto del tutto eventuale, rappresentato dall'ammissione al passivo della procedura di amministrazione straordinaria della SNIA del credito per i danni ambientali, asseritamente subiti dai tre SIN (Brescia, Colleferro e Torviscosa) e pretesi dal Ministero dell'ambiente
  In conclusione, sul punto, il ragionamento sotteso alla decisione del tribunale è che l'interesse del commissario straordinario ad agire nei confronti della SORIN è destinato a divenire «concreto e attuale» solo se e soltanto dopo l'ammissione al passivo della procedura di amministrazione straordinaria del credito del Ministero dell'ambiente, credito che, tuttavia, come sopra sottolineato, lo stesso commissario straordinario, ancora oggi, contesta.
  Inoltre, la sentenza del tribunale contesta alla radice l'impostazione giuridica dell'Avvocatura dello Stato, che – sotto il profilo soggettivo – non solo equipara fino a sovrapporle la posizione di SORIN e quella di SNIA, sul presupposto della nullità della intervenuta cosiddetta scissione «distrattiva», ma rivendica in modo apodittico l'irrilevanza di ogni distinzione, all'interno di un gruppo societario, tra le condotte gestorie riferibili all'una o l'altra delle società operanti, in quanto tutte comunque riconducibili direttamente a responsabilità propria della capogruppo.
  Infine, la sentenza del tribunale di Milano, nel respingere la domanda, contesta all'Avvocatura dello Stato di non avere fornito prova alcuna sull'ammontare del danno, con riferimento sia agli accertamenti svolti sulle condizioni «attuali» di inquinamento dei siti e sulle valutazioni esperite per gli interventi di bonifica reputati necessari, sia in ordine alle spese fin qui sostenute o stanziate dalle pubbliche amministrazioni per le attività di bonifica.
  Nonostante l'esito negativo delle cause promosse, l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, in nome e per conto del Ministero dell'ambiente, del Ministero dell'economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei ministri, muovendosi sulla stessa scia di contenzioso, si è opposta inutilmente alla fusione della SORIN nella Livanova PCL e, contestualmente a tale opposizione, ha chiesto al tribunale di Milano la condanna di quest'ultima società (Livanova PCL) al pagamento della somma di euro 3.439.037.876,46, per i danni ambientali dei tre SIN, in quanto la Livanova PLC era subentrata alla SORIN e i ministeri erano terzi danneggiati dall'anzidetta fusione, che l'Avvocatura dello Stato riteneva totalmente invalida (articolo 2504- quater del codice civile).
  Il tribunale di Milano – sezione specializzata in materia di impresa – con la sentenza n. 11747/2016, ha rigettato anche quest'ultima domanda dell'Avvocatura dello Stato, dopo aver osservato che:
   1) erano state respinte le domande di insinuazione al passivo di SNIA e CAFFARO;Pag. 185
   2) era stata rigettata l'opposizione allo stato passivo CAFFARO (mentre risultava tuttora pendente l'opposizione SNIA);
   3) era stata rigettata la domanda di risarcimento danni (RG 5463/12 Tribunale Milano) promossa da SNIA in AS, con intervento ad adiuvandum degli odierni attori, avverso i cessati amministratori e sindaci in tema di paventati «danni ambientali» ed asserita «illiceità» della scissione SNIA-SORIN;
   4) era stata rigettata soprattutto, con la sopra citata sentenza n. 4101/2016, pubblicata in data 1o aprile 2016, la domanda di condanna (RG 5148/12), direttamente proposta dagli odierni attori nei confronti di SORIN, in relazione proprio alle ragioni di credito indicate a fondamento della domanda qui proposta.

  Infine, i primi giudici stigmatizzano, in modo molto severo, il comportamento della stessa Avvocatura dello Stato, nei termini che seguono: «Ancora una volta la formulazione della domanda di parte attrice appare poco attenta ai profili di diritto sia sostanziale che processuale sottesi alla pretesa azionata in giudizio (in questo caso in via subordinata) in relazione a) alla prova della legittimazione alla proposizione della domanda di risarcimento qui in esame; b) all'oggetto della pretesa risarcitoria avanzata».
  La sentenza del tribunale, che ha portato anche alla condanna per «lite temeraria» delle pubbliche amministrazioni, rappresentate dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, non è stata impugnata e, pertanto, è divenuta definitiva anche su questo passaggio motivazionale.
  Quindi, la relazione affronta la tematica del danno ambientale dei tre SIN, partendo dalla considerazione che le valutazioni ISPRA, poste a fondamento della pretesa creditoria del Ministero dell'ambiente, sono state ritenute dai tribunali di Milano e di Udine del tutto inidonee a tale scopo, fino al punto da non rappresentare neanche quell'inizio di prova, che consente al giudice del merito della causa di disporre una consulenza tecnica d'ufficio, allo scopo di accertare quale sia il danno effettivo.
  Il problema, dunque, non è legato agli importi contenuti nelle due valutazioni del danno ambientale, quanto al fatto che comunque venga calcolato dall'ISPRA il danno ambientale, si è in presenza di valutazioni astratte, del tutto non supportate e, di conseguenza, del tutto inidonee a far valere le ragioni di credito dello stesso Ministero dell'ambiente.
  Sulla base di quanto sopra rappresentato, va detto che, nell'aggiornamento del mese di settembre 2016, ISPRA ha rivisto le proprie valutazioni, riducendo di circa due terzi la precedente valutazione complessiva del danno ambientale, portandola a euro 1.236.584.155, rispetto alla precedente valutazione di 3.439.037.876,46 di euro.
  Tuttavia, anche in quest'ultima valutazione del danno, ISPRA ha adottato criteri e modalità che, alla pari della prima valutazione del danno, appaiono altrettanto prive di certezza, in quanto non corrispondono a costi effettivi, dal momento che non rappresentano dati desunti da accertamenti svolti sulle condizioni «attuali» di inquinamento dei siti, né da progetti quantomeno presentati, pur se non ancora regolarmente approvati.Pag. 186
  Strettamente connesso alla valutazione del danno ambientale è il problema del «nodo» giuridico che né il commissario straordinario di SNIA, né l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano sono riusciti a superare, considerato che un interesse giuridicamente protetto, da far valere in giudizio, non sussiste fintanto che il credito per danni ambientali non viene ammesso al passivo della procedura di amministrazione straordinaria di SNIA.
  Si tratta di una questione pregiudiziale, allo stato del tutto irrisolta, che non consente il passaggio alla valutazione del merito della domanda, allo scopo di individuare le responsabilità dei singoli amministratori nella causazione del danno ambientale.
  Tutto ciò precisato, va ribadito – a chiare lettere – in sede di conclusioni definitive, richiamando sul punto le considerazioni, già ampiamente illustrate nel capitolo I, paragrafo 6, che la responsabilità della «débacle» giudiziaria in tutte le cause civili promosse non può essere attribuita sic et simpliciter a ISPRA, che ha fatto le valutazioni del danno ambientale, nella prima versione (3.439.037.876,46 euro) e nella seconda versione (1.236.584.155 di euro), sulla base degli elementi in suo possesso.
  In realtà, spettava alle difese, svolte, rispettivamente, ognuna nel proprio ruolo, dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano e dal commissario straordinario di SNIA, a sua volta, assistito da difensori di chiara fama, supportare le valutazioni di ISPRA con ulteriori elementi di prova, anziché limitarsi attribuire a tali valutazioni una portata probatoria del danno ambientale che le stesse non hanno.
  Aggiungasi inoltre che nei giudizi promossi non si intravede neanche la prova del nesso causale tra le condotte dei singoli amministratori e sindaci chiamati in giudizio e il danno ambientale asseritamente provocato dagli stessi.
  Tanto più, poi, nella specifica materia ambientale, lì dove nella ricerca del responsabile dell'inquinamento vige – anche a livello comunitario – il più rigoroso rispetto del principio di causalità e della precisa individuazione del responsabile del danno ambientale.
  Infine, non v’è dubbio che l'enormità delle spese processuali sostenute dal commissario straordinario hanno finito con il depauperare le risorse disponibili per completare la messa in sicurezza non solo dei siti di interesse nazionale, ma anche del sito di Galliera, dove il commissario straordinario, nonostante gli impegni assunti, ha realizzato solo tre pozzi barriera dei cinque previsti, mentre non ha realizzato del tutto i sistemi di convogliamento, gli impianti di emungimento e di trattamento delle acque di falda.
  Nel contesto processuale, come sopra delineato, la relazione della Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, in via autonoma e sulla base degli elementi acquisiti, ha cercato di operare una propria valutazione del danno ambientale, sulla base di elementi certi acquisiti e dei costi accertati, alla stregua dei criteri adottati sul punto dalla giurisprudenza e più volte richiamati in questa relazione.
  Si tratta di una valutazione, che parte dall'esame dei costi indicati da ISPRA nell'ultima versione del mese di settembre 2016 – come si vedrà di seguito, trattando i singoli SIN – e li sottopone a vaglio critico, allo scopo di individuare, lì dove è possibile, i costi effettivi per la riparazione del danno ambientale.

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Il SIN «Laguna di Grado e Marano»

  Tutto ciò precisato e, scendendo nel dettaglio in ordine all'attività di bonifica dei singoli SIN e ai relativi costi, sviluppati nella relazione, va rilevato che, per quanto riguarda il SIN di Caffaro – Torviscosa (ancora oggi impropriamente denominato «Laguna di Grado e Marano», nonostante l'avvenuta deperimetrazione del SIN, che ha escluso proprio le aree lagunari), la società Environ Italy, su incarico del commissario straordinario, ha predisposto un «Progetto operativo di messa in sicurezza operativa e bonifica delle aree di competenza della società Caffaro in amministrazione straordinaria nel sito di Torviscosa (UD)», calcolando i costi della bonifica nella somma di 31,85 milioni di euro (cfr. allegato al doc. 1156/5).
  Viceversa ISPRA, nell'ultima valutazione del danno ambientale del mese di settembre 2016, ha stimato i costi per il completamento degli interventi nel SIN Laguna di Grado e Marano, nella maggior somma di euro 759.162.965, ivi compreso il costo di euro 593.490.623, per gli interventi di dragaggio e smaltimento dei sedimenti lagunari, che viceversa non vanno rimossi, com’è emerso dagli approfondimenti eseguiti in sede di riperimetrazione del SIN, che ne hanno escluso la pericolosità.
  Del pari, è del tutto ingiustificata la voce di costo concernente il danno ambientale alle acque, stimato dall'ISPRA nella somma di 133.822.342 di euro, considerato che il relativo danno viene rapportato in modo del tutto approssimato alle quantità di acque meteoriche che, nel corso degli anni, hanno attinto i terreni inquinati del sito e sono finite in falda, provocandone l'inquinamento.
  Come si è rilevato sul punto nella relazione, si tratta di un calcolo impossibile, in quanto il volume delle acque contaminate viene calcolato in mc. 66.911.171, un dato quest'ultimo che non si presta ad alcuna verifica.
  Pertanto, appaiono fondati solo i costi di euro 29.770.000, concernenti i lavori di bonifica del suolo e della falda nell'area dello stabilimento industriale, nonché il costo di euro 2.080.000 per i lavori di capping sui canali Banduzzi, Banduzzi Nord, Darsena e canale navigabile, esclusa la rimozione dei sedimenti.
  La somma complessiva dei costi di questi ultimi due interventi – pari a euro 31.850.000 (euro 29.770.000 euro 2.080.000) – corrisponde a quella calcolata dalla Environ Italy Srl nel progetto operativo di bonifica dell'area dello stabilimento Caffaro, predisposto dalla stessa società.
  In conclusione sul punto, non v’è dubbio che i costi degli interventi di ripristino delle matrici ambientali del SIN Laguna di Grado e Marano devono essere stimati, allo stato, nella complessiva somma di 31.850.000 di euro, diversamente da quanto ritenuto da ISPRA nell'ultima relazione del mese di settembre 2016, che li aveva valutati nell'importo complessivo di 759.162.965 di euro.
  Si tratta di un dato abbastanza sicuro, che il Ministero dell'ambiente non può ignorare nel calcolo del credito per danno ambientale, di cui alla domanda di ammissione al passivo della procedura di amministrazione straordinaria della SNIA Spa in liquidazione.Pag. 188
  Tanto più per la ragione che, proprio in funzione della realizzazione del progetto di bonifica delle aree della Caffaro, predisposto dalla società Environ Italy, le amministrazioni interessate e, cioè, la presidenza della regione Friuli Venezia Giulia, lo stesso Ministero dell'ambiente, il Ministero dello sviluppo economico, il comune di Torviscosa e il commissario straordinario della Caffaro in amministrazione straordinaria, hanno sottoscritto, in data 2 dicembre 2016, un protocollo d'intesa, che prevede uno stanziamento di 40 milioni di euro (di cui 35 milioni di parte ministeriale e 5 milioni della regione Friuli Venezia Giulia).
  Attualmente, è in corso di attivazione il tavolo di coordinamento previsto dal protocollo d'intesa per la definizione e la scrittura dell'accordo di programma, che consentirà di passare alla fase esecutiva degli interventi di bonifica dell'area, indicati in dettaglio nel protocollo d'intesa.
  Con riferimento a questa fase, gli uffici dell'ARPA segnalano il ruolo particolarmente attivo che stanno svolgendo i vertici della regione Friuli Venezia Giulia.
  Si tratta di un risultato straordinario, frutto della cooperazione tra gli uffici della regione, dell'ARPA, del Ministero dell'ambiente e del commissario straordinario delle società Caffaro Srl in liquidazione e Caffaro Chimica Srl in liquidazione.
  Da ultimo, il commissario straordinario ha segnalato – via e-mail – che, in data 14 luglio 2017, si è tenuta presso il complesso industriale di Torviscosa la cerimonia inaugurale del nuovo impianto di cloro soda «a membrane», costruito dalla società Halo Industries spa, in esecuzione di un obbligo contratto con la procedura e destinato a dare lavoro a circa 50 dipendenti.
  Con quest'ultima operazione, il sito di Torviscosa è stato riconsegnato a un futuro industriale e occupazionale.
  Si tratta di risultati di grande rilevanza per il rilancio industriale dell'area di Torviscosa, che è stato possibile raggiungere solo dopo la deperimetrazione del SIN, avvenuta con decreto ministeriale n. 222/M del 12 dicembre 2012, pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 3 gennaio 2013, che ha escluso l'area lagunare e ha soppresso la figura del commissario delegato per l'emergenza nella laguna di Grado e Marano.
  Invero, la perimetrazione iniziale del SIN Laguna di Grado e Marano, avvenuta con decreto ministeriale del 24 febbraio 2003, comprendeva un'area di circa 10.695 ettari, di cui 3.755 ettari a terra e ben 6.940 ettari a mare, pari al 60 per cento della laguna, sul presupposto della presenza di mercurio anche nell'area lagunare.
  E, tuttavia, è accaduto che, dopo dieci anni di gestione dell'emergenza, i cospicui fondi affidati al commissario delegato per l'emergenza nella laguna (euro 93.543.582,33, di cui più della metà spesi) sono stati impiegati per carotaggi, dragaggi, per far costruire una cassa di colmata, per consulenze e progetti e, soprattutto, per remunerare i membri della struttura commissariale, ma praticamente nulla è stato fatto per l'effettivo risanamento ambientale.
  Nel contempo, l'ufficio del commissario delegato per l'emergenza lagunare aveva affidato l'incarico di redigere un faraonico e irrealizzabile progetto dell'intera area del SIN, comprensiva della parte Pag. 189lagunare, dell'importo di 230.000.000 di euro, alla Sogesid, società in house del Ministero dell'ambiente, ma senza svolgere una gara a evidenza pubblica, nonostante la Sogesid fosse estranea alla struttura commissariale e, quindi, non sottoposta al cd. «controllo analogo».
  Il progetto veniva approvato e imposto al commissario straordinario Caffaro (pubblico ufficiale nominato dal MISE), nonostante egli avesse vittoriosamente impugnato tutte le relative conferenze dei servizi. Soltanto nel 2012, il progetto Sogesid di 230 milioni di euro è stato annullato e, in sua sostituzione, è stato approvato il progetto redatto da Environ Italy Srl, per conto dell'amministrazione straordinaria Caffaro, di cui si è detto.
  Al proposito, va rilevato che l'annullamento del progetto della Sogesid è stato conseguenziale al fatto, emerso nel frattempo, che la necessità del risanamento ambientale – alla stregua degli accertamenti tecnici successivamente validati – doveva ritenersi confinata all'area del sito industriale Caffaro e alla ristretta area di confluenza dei fiumi Aussa e Corno.
  È accaduto, infatti, che i consulenti della procura della Repubblica presso il tribunale di Udine e della procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, investiti della vicenda, hanno appurato che nelle acque lagunari vi era la presenza, non dei composti di mercurio metilato, molto dannoso per l'organismo umano, bensì del solfito di mercurio, il cosiddetto «cinabro», che è un mercurio naturale che esiste da centinaia di anni.
  La vicenda penale ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio, in data 4 maggio 2017, davanti il tribunale di Roma dei vertici – in allora – del Ministero dell'ambiente, dei Commissari delegati per l'emergenza lagunare succedutisi negli anni e dei legali rappresentanti della società Sogesid per il reato di associazione a delinquere, finalizzata al falso e alla truffa ai danni dello Stato, nonché per i reati di abuso d'ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e tentata corruzione, come loro rispettivamente contestati nella richiesta di rinvio a giudizio della procura della Repubblica presso il tribunale di Roma.
  Comunque, all'esito della deperimetrazione del SIN Laguna di Grado e Marano, rimane da chiedersi, per un verso, come sia potuto accadere che vi sia stata una iperperimetrazione del SIN, da 1 a 50, come dimensioni, rispetto alle effettive esigenze di bonifica dell'area ex Caffaro e della foce dell'Aussa-Corno, con un enorme spreco di fondi pubblici e, per altro verso, come mai la Sogesid, società in house del Ministero dell'ambiente, abbia potuto svolgere per circa un decennio un ruolo così rilevante nell'intera vicenda, sponsorizzando progetti faraonici di messa in sicurezza del SIN.

Il SIN «Brescia – Caffaro»

  La relazione tratta quindi il SIN Brescia – Caffaro, la cui situazione si presenta molto più complessa per quanto riguarda la messa in sicurezza permanente.
  Il SIN Brescia – Caffaro è un'area di 262 ettari e interessa la falda sottostante, per un'area di 2.109 ettari.Pag. 190
  All'interno del SIN, lo stabilimento Caffaro, da cui si origina l'inquinamento, ha un'estensione di circa 11 ettari.
  Nel SIN è stata rilevata la contaminazione da PCB, metalli pesanti (mercurio ed arsenico), solventi clorurati, diossine e furani, che hanno interessato diverse matrici e diversi siti:
   • i terreni dello stabilimento produttivo e la falda acquifera ad esso sottostante;
   • la falda acquifera a valle dello stabilimento per più di 20 Km di distanza;
   • i sedimenti e le sponde delle rogge del reticolo delle acque superficiali, a partire dalla roggia Fiumicella, dove recapitano gli scarichi dello stabilimento Caffaro;
   • le aree agricole ubicate in prossimità dello stabilimento produttivo;
   • diverse aree residenziali contaminate del comune di Brescia.

  L'area da cui trae origine l'inquinamento è quello dello stabilimento industriale.
  Come si è rilevato nel capitolo 3, che tratta il SIN di Brescia – Caffaro, è accaduto che, con contratto in data 7 marzo 2011, la società New Co Brescia Spa (da novembre 2014 Caffaro Brescia Srl), appartenente al gruppo SCEF (ex SCF Finanziaria Srl), ha acquisito in proprietà dalla Caffaro Chimica Srl in liquidazione, in amministrazione straordinaria, gli impianti produttivi del complesso aziendale di Brescia ed è inoltre subentrata, come locataria, nella detenzione di alcuni immobili e aree e, come comodataria, nella detenzione di impianti elettrici (che manutiene in via ordinaria e straordinaria).
  Come si è detto, l'operazione è stata accompagnata dall'assunzione a carico dell'acquirente dell'obbligo di pompaggio della falda.
  Allo stato, la società Caffaro Brescia, in forza degli impegni contrattuali assunti con il commissario straordinario della Caffaro Chimica Srl in liquidazione, sta mantenendo in efficienza il barrieramento idraulico nell'area dello stabilimento industriale, con un costo annuo di euro 1.000.000.
  La MISE (messa in sicurezza d'emergenza) consiste in un sistema di emungitura di sette pozzi, che hanno una portata complessiva di circa 1.500 mc/h.
  Tuttavia, l'acqua pompata dai sette pozzi, dopo il suo utilizzo industriale (principalmente, come acqua di raffreddamento), da parte della Caffaro Brescia Srl, viene scaricata ancora inquinata nella roggia Fiumicella (un canale artificiale realizzato sia a fini irrigui, sia per l'alimentazione delle industrie presenti a sud della Caffaro), ad eccezione dell'acqua emunta dal pozzo n. 7, che viene trattata con carboni attivi e disinquinata dal PCB e dai solventi clorurati e viene altresì trattata con resine a scambio ionico per la rimozione del mercurio, ma questo solo per la portata di 400 mc/h, rispetto a quella totale di 1.500 mc/h.
  Viene effettuato anche un trattamento sul pozzo n. 2, ma limitatamente solo all'eliminazione del mercurio (mediante resine a Pag. 191scambio ionico), mentre sugli altri inquinanti non viene effettuato nessun trattamento.
  In conclusione sul punto, al momento, per le acque emunte dai restanti pozzi non viene attuato alcun trattamento, a monte del riutilizzo.
  Con le modalità sopra descritte, l'acqua scaricata senza un completo trattamento e, dunque, ancora inquinata, viene immessa nel reticolo di rogge a valle del sito Caffaro, con la conseguenza che la stessa continua a contaminare sia le acque superficiali, sia i sedimenti delle rogge di un territorio di valle per circa 22 km, estendendosi addirittura anche oltre l'area della perimetrazione attuale del SIN.
  Fatto sta che, secondo i dati ARPA del 2015, vengono immessi annualmente nella roggia 200 chili di solventi clorurati e 280 chili anno di cromo esavalente, un quantitativo rilevante, sebbene nel rispetto dei limiti, ma che ha un vizio di origine, poiché parte da un quantitativo emunto di ben13 milioni di metri cubi anno.
  Questi dati rendono evidente l'inefficacia degli attuali limiti allo scarico e la necessità di nuovi limiti, che dovrebbero essere fissati in una prossima conferenza di servizi per il rinnovo dell'AIA, dove verrebbero posti nuovi limiti allo scarico per quanto riguarda il PCB.
  Comunque, la veicolazione dell'inquinamento, attraverso le acque superficiali potrà cessare soltanto se e quando tutto lo scarico della società Caffaro Brescia Srl – costituito dalle acque inquinate estratte con la barriera idraulica per l'intera portata di 1.500 mc/h (pari a milioni di tonnellate di acqua inquinata all'anno) – sarà trattato con carboni attivi, fino a raggiungere il valore di concentrazione di PCB, previsto per le acque di falda dal titolo V della parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006, il cui limite è 0,01 μ9/l, così attuando il disinquinamento dell'area.
  L'altra fonte di contaminazione delle aree a valle dello stabilimento è la falda sotterranea.
  Ciò avviene perché, in realtà, la barriera idraulica sopra descritta non è efficace e non ferma completamente il flusso di acqua sotterranea, consentendo all'inquinamento di spostarsi verso valle.
  Sicuramente, l'inquinamento è destinato a proseguire, poiché la causa dell'inquinamento della falda, che trova le sue origini presso lo stabilimento, è costituita dal terreno contaminato dello stesso stabilimento, terreno che viene dilavato dalle piogge con conseguente costante inquinamento della falda.
  Appare, quindi, evidente che, se non si interviene a disinquinare il terreno dello stabilimento, l'inquinamento dell'intero SIN è destinato a non cessare mai.
  Allo stato, è comunque necessario potenziare il sistema di barriera della falda per bloccarla con efficacia e, contemporaneamente, intervenire per depurare in modo completo gli scarichi dello stabilimento recapitanti nella roggia Fiumicella.
  Tanto più, alla luce dei risultati degli ultimi monitaroggi delle acque di falda, effettuati dall'ARPA di Brescia nelle ultime campagne di settembre, ottobre e dicembre 2016, all'interno e in prossimità del sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro, come riportati nella relazione di ARPA del mese di maggio 2017, che pongono in evidenza che la falda è ancora inquinata e confermano, altresì, che l'attuale Pag. 192barriera idraulica è inefficace, in quanto non riesce a bloccare la veicolazione degli inquinanti che si trasferiscono verso valle, proprio, a partire dallo stabilimento industriale.
  Tutto ciò rilevato sulla situazione del sito, va detto che la Caffaro Brescia Srl – che comunque, con i limiti anzidetti, si adopra per mantenere in esercizio il barrieramento idraulico della falda – si accinge trasferire, entro il 2019, la propria attività produttiva da Brescia a Bussi, in Abruzzo, a seguito di un accordo raggiunto con la Solvay.
  Si tratta di scelta industriale adottata anche in considerazione degli elevati costi dell'energia elettrica e della vetustà dell'impianto di Brescia, pur se la società si è impegnata a proseguire in ogni caso l'attività di emungimento delle acque di falda, allo scopo di sottrarsi a possibili accuse di disastro ambientale.
  In tale contesto abbastanza preoccupante, si inserisce l'opera del commissario straordinario delegato del SIN, nominato con D.I. del 17 giugno 2015 n. 178, il quale, grazie ai fondi pervenuti al SIN negli anni, da parte del Ministero dell'ambiente e della regione Lombardia, per il complessivo importo di euro 50.000.000, ha indetto una gara, allo scopo di realizzare nell'area dello stabilimento (pari a 11 ettari, rispetto all'area dell'intero SIN che è di 250 ettari) due progetti, il primo, concernente la ricostruzione di una nuova barriera idraulica, idonea a fermare gli inquinanti, il secondo progetto riguarda il risanamento delle matrici ambientali suolo e sottosuolo.
  Per la bonifica dell'intero territorio inquinato e, in particolare, per i suoli agricoli privati, in mancanza di fondi adeguati e non essendo comunque programmabile una bonifica che comprenda l'intera area inquinata del SIN, a motivo delle sue eccessive dimensioni, il commissario delegato si sta prodigando per individuare tipologie di coltivazioni, che evitino la trasmissione di questi inquinamenti attraverso la catena alimentare, considerato – per fare un esempio – che il chicco (il mais, il grano, l'orzo, il triticale) non è toccato dall'inquinamento.
  Nel corso di questa stagione e della prossima del 2018 l'ATS (Agenzia di tutela della salute) ha programmato di raccoglierà un numero di campioni, tale da poter affermare con tranquillità quali prodotti siano edibili, a seguito di valutazione caso per caso (del tipo, «questo sì, questo no», «questo sì a queste condizioni»).
  Tutto ciò, in considerazione del fatto che il tema, proprio a causa delle sue dimensioni, non può essere se non quello della «convivenza in sicurezza».
  Quanto alle aree pubbliche, il comune di Brescia, d'intesa con il commissario delegato, ha già proceduto alla bonifica di alcuni parchi e giardini pubblici: uno, è collocato in uno dei quartieri del SIN dove la bonifica è stata già completata (scuola Divisione Acqui), mentre una seconda bonifica effettuata riguarda due scuole, la Calvino e la Deledda, che sono poste fuori dal SIN.
  Inoltre, all'interno del SIN, è stata completata la bonifica dell'area di via Milano – via Nullo ed è stato approvato il progetto esecutivo per la bonifica di altri due parchi all'interno del SIN e, cioè, il parco di via Passo Gavia, quartiere Primo Maggio, e l'ex infrastruttura di atletica leggera Calvesi.Pag. 193
  Quanto al danno ambientale del SIN di Brescia-Caffaro – come si è visto nel corso della relazione – la valutazione dell'ISPRA del mese di settembre 2016 ne riduce la stima rispetto alla precedente del 2009, portandola dal precedente valore complessivo di 1.452.807.700 di euro (ovvero di 1.553.807.700 di euro, quale risulta dalla stima allegata alla nota trasmessa al Ministero dell'ambiente in data 5 febbraio 2009) a un valore, che si attesta tra un minimo di euro 43.911.290 e un massimo di euro 95.598.690.
  In realtà, va osservato che, se la valutazione ISPRA del danno ambientale nel SIN di Torviscosa pecca per eccesso, viceversa, per quanto riguarda il SIN di Brescia-Caffaro si è in presenza di una valutazione, che appare del tutto inadeguata.
  In particolare, per la bonifica dei terreni contaminati all'interno dello stabilimento, con la prima stima ISPRA del 2009, era stata ipotizzata l'asportazione integrale dei terreni contaminati e il loro smaltimento in discarica, con un costo totale di euro 209.886.220, per un volume ipotizzato di 928.700 metri cubi di terreno, mentre, per quanto concerne la falda sottostante lo stabilimento, ISPRA nella relazione preliminare del 2009 aveva ipotizzato un intervento di bonifica attraverso la tecnologia pump & treat, con la realizzazione di sei pozzi di emungimento e la costruzione di un impianto di trattamento delle acque, i cui costi di realizzazione e di esercizio per dieci anni ammontavano a 710.650.000 di euro.
  Viceversa, nella valutazione del 2016, per la bonifica dei terreni contaminati all'interno dello stabilimento, ISPRA ha effettuato una valutazione più mirata, rispetto alla prima stima, in quanto ha proposto una bonifica con asportazione parziale dei terreni contaminati e una messa in sicurezza sulla parte restante dei terreni, riducendo così notevolmente i costi per la bonifica integrale prospettati con la valutazione del 2009, fino a un massimo dell'importo di 50.307.900 di euro.
  Per quanto concerne la falda sottostante lo stabilimento, nella valutazione del 2016, ISPRA prevede solo il potenziamento della barriera idraulica, comprensivo degli oneri di gestione per cinque anni, con un costo totale variabile da 1.950.000 di euro a 12.775.000.00 di euro, a seconda che la gestione venga fatta da Caffaro o dall'amministrazione pubblica, con conseguente notevole riduzione dei costi.
  In realtà, entrambe le due ultime valutazioni di ISPRA non appaiono convincenti, posto che, per quanto riguarda il mantenimento dell'attuale barrieramento delle acque di falda, si tratta di valutazione superata dalle iniziative assunte dal commissario straordinario delegato del SIN, il quale ha già svolto una gara di appalto avente ad oggetto la progettazione di una nuova barriera idraulica specifica, in considerazione del fatto acclarato che l'attuale barriera idraulica è del tutto impropria, poiché non è stata progettata a tale scopo, ma sono stati sfruttati i pozzi già esistenti, costruiti nel tempo nell'area industriale per esigenze produttive e da questa ragione di fondo trae origine anche il grande emungimento delle acque, di cui si è detto.
  Per quanto riguarda l'intervento sul suolo nell'area dello stabilimento industriale, non v’è dubbio che, tra la bonifica per asportazione e smaltimento completo dei terreni, al costo di circa 210 milioni Pag. 194di euro – che sicuramente è garantista al massimo – e la messa in sicurezza con asportazione parziale dei terreni, al costo di circa 50 milioni di euro, che però non garantisce l'efficacia di bonifica, si possono individuare altri sistemi di intervento, che non prevedono l'asportazione dei terreni, ma il loro disinquinamento sul posto, quali la biodegradazione delle sostanze organiche inquinanti o il loro desassorbimento termico o il lavaggio del terreno, tutti processi meno costosi dell'asportazione e smaltimento completo dei terreni, ma che garantiscono la stessa efficacia di bonifica.
  In tal senso, come si è visto, si sta correttamente muovendo l'Ufficio del commissario straordinario delegato del SIN di Brescia-Caffaro, ma di ciò la valutazione ISPRA non ha tenuto conto alcuno.

Il SIN «Bacino del fiume Sacco»

  Ancora, la relazione tratta le vicende delle aree Caffaro di Colleferro inquadrandole nel SIN «Bacino del fiume Sacco».
  Il SIN, che nell'originaria perimetrazione del decreto ministeriale n. 4352 del 31 gennaio 2008 comprendeva il territorio di 62 comuni nella provincia di Frosinone, con decreto ministeriale n. 321 del 22 novembre 2016, è stato riperimetrato, sulla base di un progetto predisposto dalla regione Lazio e dall'ARPA Lazio e, attualmente, comprende 19 comuni – di cui 4 in provincia di Roma e gli altri nella provincia di Frosinone – tutti perimetrati all'interno di un'unica area, che parte da Colleferro e arriva a Ceprano.
  In particolare, i comuni compresi nel SIN sono i seguenti: Anagni, Arce, Artena, Castro dei Volsci, Ceccano, Ceprano, Colleferro, Falvaterra, Ferentino, Frosinone, Gavignano, Morolo, Paliano, Pastena, Patrica, Pofi, Segni, Sgurgola, Supino.
  Va subito precisato che sono comprese nel SIN non le intere aree comunali, bensì solo parte delle stesse e, precisamente, le aree industriali di Colleferro, di Anagni, di Ferentino, di Frosinone, di Ceccano e di Ceprano, nonché le aree ripariali a destra e sinistra del fiume Sacco, per circa un chilometro, ivi incluse le aree commerciali, industriali, residenziali, nonché le zone agricole dei restanti comuni.
  In precedenza, – a seguito del rilevamento in un campione di latte proveniente da un'azienda bovina situata nel comune di Gavignano (RM) di concentrazioni di beta-esaclorocicloesano (β- HCH), superiori al livello limite di 0,003 mg/kg, consentito dalla normativa comunitaria – con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 maggio 2005, era stato dichiarato lo stato di emergenza socio-economico-ambientale nel bacino del fiume Sacco ed era stato nominato un Commissario delegato per l'emergenza.
  Lo stato di emergenza socio-economico-ambientale nel bacino del fiume Sacco ha interessato, dapprima, il territorio dei comuni di Colleferro, Segni e Gavignano nella provincia di Roma, nonché il territorio dei comuni di Paliano, Anagni, Ferentino, Sgurgola, Morolo e Supino nella provincia di Frosinone e, successivamente a partire dall'anno 2010, anche i comuni di Frosinone, Patrica, Ceccano, Castro dei Volsci, Pofi, Ceprano e Falvaterra, nelle fasce di esondazioni 100 metri a sinistra e destra idraulica del fiume Sacco.Pag. 195
  I poteri del commissario delegato per l'emergenza sono cessati a fine 2012, a seguito del venir meno di tutte le strutture commissariali, per effetto della riforma della regolamentazione della protezione civile.
  Ad oggi, per i primi nove comuni, vige un'interdizione totale all'utilizzo di quei terreni, nel senso che non soltanto vi è divieto di vendita del prodotto, ma addirittura di allevamento e di coltivazione.
  Viceversa, per i sette comuni successivamente affidati alla competenza dell'ufficio commissariale è stata fatta un'interdizione relativa, con l'obbligo di svolgere le analisi sui prodotti agricoli, prima della loro immissione sul mercato.
  Comunque, dopo gli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica parziale dei siti, effettuati nelle aree comunali anzidette dall'ex ufficio commissariale fino all'anno 2012, non vi sono stati altri interventi.
  Invero, dopo l'anno 2012, vi è stata una fase di stallo, determinata dall'avvenuto declassamento dell'originario SIN Bacino del fiume Sacco (quello che comprendeva 62 comuni), disposto con decreto del Ministero dell'ambiente n. 7 in data 11 gennaio 2013.
  Quest'ultimo decreto è stato impugnato dalla regione Lazio davanti al TAR Lazio, che lo annullato, con sentenza n. 7586/2014 del 17 luglio 2014.
  Quindi, dal 2014 al 2016, vi è stata una intensa attività, che ha visto numerose conferenze di servizio, con la partecipazione dell'autorità di bacino, del Ministero dell'ambiente, dell'ARPA, del regione Lazio, dei comuni interessati, oltre che di varie associazioni.
  All'esito di questo processo condiviso, il SIN è stato riperimetrato con decreto ministeriale n. 321 del 22 novembre 2016 e «soggetto attuatore» è la regione Lazio.
  Le fonti attive dell'inquinamento sono più di una e partono da Colleferro, fino ad arrivare alla confluenza del Sacco col Liri arricchite, purtroppo, di altre contaminazioni, sicché l'alfa, il beta e il gamma esaclorocicloesano sono soltanto parte dei marker che si ritrovano all'interno delle matrici ambientali.
  E così, solo per fare qualche esempio, a Ceprano, sotto le presse di un'ex industria dell'indotto automobilistico è stato trovato di tutto e di più, a livello di farmaci e di farmaceutica in generale. Si tratta di circa 250 fusti interrati a pochi metri dalla sinistra idraulica del fiume Sacco.
  Sul territorio di Anagni, oltre a un impianto di produzione pneumatici e di incenerimento degli stessi, vi è un ex sito bellico, come una polveriera, che ha un'estensione di circa 140 ettari.
  A Frosinone vi è l'ex discarica Le Lame, che si estende su una area di circa 46.500 metri quadri, compresa tra il fiume e la strada di Via Le Lame, che contiene 650.000 metri cubi di materiale, in gran parte mineralizzata, corrispondente a circa 700.000 tonnellate e che è posizionata a qualche centinaio di metri di distanza da un fiume, il cui letto è posto a un livello inferiore rispetto al terreno della discarica.
  La discarica è stata sottoposta a sequestro preventivo e vi anche un procedimento penale in corso per il reato di avvelenamento delle acque, in quanto il percolato della discarica ha raggiunto la falda Pag. 196acquifera sottostante, inquinandola con l'apporto di metalli pesanti (in particolare alluminio, ferro, manganese, bario, nichel e piombo).
  Secondo l'opinione di tutti gli operatori, nel caso di specie, occorre operare un landfill mining, cioè, la completa rimozione del deposito di rifiuti, al fine di perseguire la bonifica della discarica inquinante.
  Tuttavia, il landfill mining, sulla base di un calcolo a spanne effettuato, richiede risorse finanziarie, di circa 70-80 milioni di euro, somma questa che non è nella disponibilità della amministrazione comunale. Dunque, dovrebbe intervenire il Ministero dell'ambiente, trattandosi di area ricompresa in un SIN.
  Infine, nell'area industriale di Colleferro sono presenti due distinti siti Caffaro e, cioè, lo stabilimento per la produzione del benzoino e derivati, con superficie di circa 1,6 ettari, di proprietà della società Se.Co.Sv.Im, e lo stabilimento per la produzione dei chetoni, con superficie di circa 5,3 ettari, di proprietà della stessa Caffaro Srl.
  L'area dello stabilimento Caffaro-Benzoino, previo smantellamento degli impianti, è stata già bonificata nel 2012 dall'ufficio commissariale, per la matrice suolo e sottosuolo.
  Invero, i terreni contaminati dal lindano, subentrato al DDT, quando quest'ultimo venne dichiarato fuorilegge, sono stati smaltiti in un sarcofago, nella sostanza un bunker, denominato «ARPA 1» e il collaudo delle opere è intervenuto nel mese di marzo 2013.
  Per effettuare la bonifica dell'area occupata dallo stabilimento dei chetoni-fenilglicina, è necessaria la costruzione di un secondo bunker, denominato «ARPA 2», situato accanto al primo, per il quale il commissario straordinario per l'emergenza aveva indetto una gara, che si è svolta in regime emergenziale derogatorio della normativa ordinaria.
  A tale proposito, l'allora ufficio commissariale aveva perfezionato un accordo con il soggetto obbligato Se.Co.Sv.Im. Srl, proprietaria del comprensorio di Colleferro, in virtù del quale quest'ultimo si è impegnato a concorrere alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza permanente del sito «ARPA 2», con un contributo corrispondente all'80 per cento della somma necessaria per l'affidamento e l'esecuzione dei lavori, che è pari alla somma di euro 8.765.402,82.
  Nelle attività di realizzazione dell'opera anzidetta, come pure nella bonifica dell'area Caffaro Chetoni, la regione Lazio è subentrata al commissario straordinario delegato per l'emergenza.
  A seguito dell'avvenuta perimetrazione del SIN la competenza è passata al Ministero dell'ambiente, che si avvale della regione Lazio, quale soggetto attuatore.
  Peraltro, va detto che, nel corso degli anni, vi sono stati numerosi hotspot rimossi nell'area Chetoni-Fenilglicina, fino creare una cosiddetta collina antropica, lì dove i terreni inquinati sono stati messi in sicurezza, in attesa della loro destinazione finale ad «ARPA 2».
  Il barrieramento idraulico finalizzato ad intercettare le acque di falda è, al momento, attivo per entrambe le aree Caffaro.
  La Caffaro Srl in liquidazione, prima di essere dichiarata insolvente e posta in amministrazione straordinaria nell'anno 2009, aveva realizzato un impianto di messa in sicurezza d'emergenza dell'acquifero, costituito da alcuni pozzi che emungono queste acque, le trattano Pag. 197e le portano nel depuratore consortile del Centro Servizi Colleferro (CSC).
  A partire dal 30 aprile 2010, per la gestione dell'impianto, dapprima, l'ufficio commissariale e, successivamente la regione Lazio, a partire dall'anno 2013, hanno agito in sostituzione e in danno della società Caffaro Srl in amministrazione straordinaria, che si è sottratta agli obblighi di gestione, per mancanza di fondi.
  Infine, la relazione tratta il problema relativo alla valutazione del danno ambientale di Caffaro Colleferro.
  Come si è visto, la valutazione ISPRA del 2016 ne riduce la stima dall'importo di euro 660.902.973,60 a euro 381.822.500, tenuto conto del fatto che l'area dello stabilimento per la produzione del benzoino e derivati era già stata in parte bonificata per la matrice suolo e sottosuolo dall'ex ufficio commissariale, sin dal 2012, mentre per la matrice acque sotterranee era in corso l'azione di messa in sicurezza.
  Pertanto, nel 2016, ISPRA ha valutato i costi per la fruibilità ambientale solo dell'area Chetoni-Fenilglicina, con la previsione che, ai fini del riutilizzo industriale delle aree anzidette, vadano effettuati interventi su suolo e soprassuolo con una spesa dell'importo di euro 1.360.000.
  Come si è ampiamente illustrato nel capitolo V, paragrafo 7, ISPRA sembra ignorare del tutto nell'ultima valutazione l'esistenza del progetto relativo all'esecuzione di lavori di bonifica del sito, già approvato da parte della conferenza dei servizi del 25 marzo 2012, che prevede che i suddetti lavori di bonifica, con un costo complessivo di euro 1.337.428,97, saranno avviati dopo la realizzazione presso il sito ARPA 2 – nell'ambito dei lavori di messa in sicurezza permanente – di una vasca di confinamento definitivo, dotata di sistemi di fondo e di coperture impermeabili, atta a ricevere i terreni contaminati attualmente presenti nel sito Caffaro Chetoni.
  Ancora, per i suoli ripariali destinati ad utilizzo agricolo, ISPRA, nel 2016, ribadisce la propria valutazione preliminare del danno elaborata nel 2010, che prevedeva interventi di bonifica integrale per il ripristino ambientale dei luoghi tramite attività di scavo, trasporto, smaltimento e ripristino quote piano campagna su una fascia di 500 metri, lungo i 30 km del fiume Sacco (superficie di 1.500 ettari), per i quali l'ufficio commissariale aveva accertato lo stato di contaminazione, con la previsione di un costo per tali interventi di euro 361.500.000.
  Sul punto, in particolare, ISPRA ritiene insufficiente la valutazione dell'ex ufficio commissariale, che aveva stimato una spesa complessiva per il ripristino di euro 12.000.000, mediante il ricorso a programmi di sperimentazione di coltivazioni di biomasse destinate alla trasformazione agroenergetica, individuate specificatamente nella tipologia dei pioppi a turno breve (Short Rotation Forestry).
  In realtà, a parte la considerazione che le zone inquinate, agricole e non, comprese nel SIN hanno una estensione di 1.000 metri, a destra e a sinistra del fiume Sacco (e non di 500 metri), la necessità, sostenuta dall'ISPRA, dell'asportazione e del successivo smaltimento dei suoli ripariali destinati ad utilizzo agricolo, con un costo di euro 361.500.000 (circa 300 euro al metro cubo), è priva di realismo, ove si ponga mente al fatto che le aree agricole da bonificare sono quelle Pag. 198ripariali, cioè, quelle che vengono invase dalla piena del fiume Sacco, che riversa periodicamente i propri inquinanti sui terreni di confine con le acque.
  Di conseguenza, non ha senso l'asportazione i terreni, se il problema dell'inquinamento di tali aree è destinato a ripresentarsi, subito dopo la piena del fiume, posto che i terreni ripariali da rimuovere costituiscono sorgente secondaria di contaminazione, in quanto la sorgente primaria è costituita proprio dalle acque inquinate del fiume Sacco.
  Viceversa, è condivisibile il programma di fitorisanamento-fitodepurazione, avviato dall'amministrazione regionale del Lazio, quali presidi totalmente naturali, che permettono il sensibile abbattimento degli inquinanti presenti nelle matrici ambientali, mediante la piantumazione di specie vegetali aventi specifiche caratteristiche, in base all'inquinante da aggredire e, cioè, mediante il ricorso a sistemi di bonifica integrati (fitodepurazione enzimi microorganismi).
  Si tratta di un sistema più efficace rispetto all'uso di biomasse, già utilizzato dall'ex ufficio commissariale, in quanto quest'ultimo contribuisce all'aggravamento dell'inquinamento atmosferico dell'area, attraverso la combustione.
  Viceversa, non viene contestato il costo della la bonifica integrale dei sedimenti del fiume Sacco, pari a euro 18.832.500.
  A tale costo deve essere aggiunto quello di euro 2.451.000, concernente la falda sottostante i due stabilimenti Caffaro, con la realizzazione di 4 pozzi di emungimento e la costruzione di un impianto di trattamento delle acque, i cui costi di realizzazione e di esercizio, ISPRA nel 2016 ha inspiegabilmente escluso, ritenendo sufficiente il semplice potenziamento della barriera idraulica esistente, con un costo quinquennale di gestione stimato in euro 130.000.
  Si tratta di valutazione, che prescinde dalla verifica dell'efficienza del barrieramento idraulico, verifica oggi affidata al Ministero dell'ambiente e alla regione Lazio, che sta proseguendo la gestione dell'impianto.
  In conclusione, per le considerazioni svolte nel corso della relazione e riprese in questa sede, si ritiene che anche l'attuale stima del danno ambientale da parte di ISPRA non sia corrispondente alla realtà e che, in realtà, sia più corretta la stima di euro 34.620.328,97 (1.337.428,97 2.451.000 18.832.000 12.000.000).
  Tuttavia, non può essere sottaciuto che, anche in quest'ultimo caso, ci si trova di fronte a mere valutazioni, e non in presenza di progetti operativi o di protocolli di intesa, come viceversa accaduto per il SIN di Torviscosa.
  Si tratta di un dato non di poco conto, ai fini dell'ammissione al passivo del credito per il ripristino ambientale vantato dal Ministero dell'ambiente nei confronti delle società SNIA Spa in A. S., considerato che i giudici di merito di Udine e di Milano non hanno attribuito alcuna valenza probatoria alle semplici valutazioni del danno ambientale, nella specie, quelle di ISPRA, per la semplice ragione che, per l'appunto, si tratta di semplici valutazioni, che non corrispondono a costi effettivi, dal momento che non rappresentano dati desunti da accertamenti svolti sulle condizioni «attuali» di inquinamento dei siti, Pag. 199né da progetti di bonifica quantomeno presentati, pur se non ancora regolarmente approvati.

Conclusioni sulla valutazione del danno ambientale

  Per quanto riguarda il SIN Laguna di Grado e Marano, a fronte della valutazione di ISPRA che, nel documento di settembre 2016, valuta in euro 759.162.965 il costo per il completamento degli interventi, vi è il «Progetto operativo di messa in sicurezza operativa e bonifica delle aree di competenza della società Caffaro in amministrazione straordinaria nel sito di Torviscosa (UD)», che ha determinato i costi della bonifica nella somma di euro 31,85 milioni e, allo stato, grazie all'acquisizione nel mese di dicembre 2016 di fondi Stato/Regione per l'importo complessivo di euro 40.000.000, si sta passando alla fase esecutiva.
  Pertanto, è possibile chiedere l'ammissione al passivo della procedura di SNIA in amministrazione straordinaria di quest'ultima somma, nonché dei precedenti fondi stanziati di euro 46.342.562 562 – in larga parte utilizzati dal commissario delegato per l'emergenza, prima della deperimetrazione del SIN del 2012 – trattandosi di crediti certi e determinati.
  Per quanto riguarda il SIN Brescia Caffaro, sicuramente, possono essere ammessi al passivo della procedura di amministrazione straordinaria di SNIA i fondi già stanziati dal Ministero dell'ambiente pari a euro 13.069.086 (rectius: euro 14.769.806).
  La relazione contesta la valutazione dei costi per il completamento degli interventi da parte di ISPRA, che ha ritenuto sufficiente una somma che oscilla tra euro 43.911.290 ed euro 95.598.690 e ha determinato i costi per realizzare i necessari interventi di messa in sicurezza permanente/bonifica del sito nella complessiva somma di euro 794.006.356 (50.000.000 710.650.000 25.1000.000 3.2000.000 3.000.000 2.646.356).
  Anche per quanto riguarda il SIN Caffaro- Colleferro, sicuramente, possono essere ammessi al passivo della procedura di amministrazione straordinaria di SNIA i fondi già stanziati dal Ministero dell'ambiente, pari a euro 14.500.000.
  Quanto ai costi per il completamento degli interventi si reputa che l'attuale stima di ISPRA, dell'importo di euro 381.822.500 non sia corrispondente alla realtà e che sia più corretta la stima di euro 34.620.328,97 (1.337.428,97 2.451.000 18.832.000 12.000.000), come sopra indicata in dettaglio.
  Tuttavia, non può essere sottaciuto che, anche in quest'ultimo caso, ci si trova di fronte a mere valutazioni, e non in presenza di progetti operativi o di protocolli di intesa, come viceversa accaduto per il SIN di Torviscosa.
  In conclusione, sia per Brescia, sia per Colleferro, va detto che i costi per il completamento degli interventi non sono determinabili, in mancanza di progetti operativi, ma solo valutabili in astratto, con la conseguenza che non possono essere ammessi allo stato passivo, in quanto privi del requisito della certezza.Pag. 200
  Viceversa, hanno le caratteristiche per essere ammessi allo stato passivo, i crediti per i fondi stanziati nei tre SIN 13.069.086 46.342.562 14.500.00, oltre al credito di euro 40.000.000, di cui al progetto operativo per la bonifica del sito di Torviscosa.

Il sito Caffaro di Galliera

  Da ultimo, la relazione tratta il sito Caffaro ubicato nel comune di Galliera, che non è inserito in un sito di interesse nazionale.
  Il sito è stato sede della società Siapa Spa, rilevata poi dalle Industrie Chimiche Caffaro Spa, poi divenuta Caffaro Chimica Srl, azienda del gruppo SNIA, che ha prodotto dagli anni ‘50 e fino al luglio 1999, fitofarmaci liquidi, in polvere e granulari, con particolare riferimento al DDT.
  L'ex complesso industriale, completamente inserito in un contesto strettamente residenziale cresciuto all'intorno dello stabilimento negli anni della sua attività, ha un'area di 154.659 metri quadri, a destinazione industriale, sebbene esista la volontà dell'amministrazione comunale di cambio di destinazione d'uso di una parte dell'area per uso residenziale e di altra parte a verde pubblico.
  L'area confina a est con la linea ferroviaria Bologna-Venezia, a Ovest con un piccolo appezzamento agricolo, a sud con una strada provinciale n.12 e nel margine nord con lo Scolo Riolo.
  Dalle indagini eseguite dall'ARPA, a partire dal 2003, è emerso che il suolo risulta contaminato fino a una profondità media di 3-4 metri dal piano campagna, ma con zone ove la contaminazione arriva fino a 12 metri, in prossimità dello scolo Riolo con deposizione di rifiuti utilizzati per il riempimento delle cosiddette «marcite».
  I contaminanti presenti nella matrice suolo/sottosuolo sono: fitofarmaci (tra cui clordano, DDT e suoi metaboliti DDD e DDE, dieldrin, aldrin, atrazina), idrocarburi pesanti (Cg12), idrocarburi leggeri (C<12), composti aromatici (xilene), metalli pesanti (Cu) e PCB in un'area circoscritta.
  Nell'area di indagine è stata rilevata la presenza di tre falde, di cui le prime due connesse tra loro (I e II falda: –12 metri; III falda: –25 metri).
  L'ARPA ha ritenuto sufficiente indagare le falde fino alla profondità di 25 metri, considerato che i sondaggi hanno indicato la presenza di una lente di argilla consistente tra –25 e – 60 metri, al di sotto della quale è presente una falda profonda.
  I contaminanti presenti sono costituiti da: composti clorurati tra cui (1-2 dicloroetano 1-2 dicloropropano, cloroformio, tricloroetilene diclorometano), fitofarmaci (aldrin, DDT, esaclorocicloesano (HCH e atrazina) e metalli (piombo).
  Il commissario straordinario, subentrato nella gestione del sito, dopo l'ammissione, in data 8 luglio 2009, alla procedura di amministrazione straordinaria della Caffaro Chimica Srl in liquidazione, proprietaria del sito industriale di Galliera, è stato inadempiente rispetto agli impegni assunti, in data 4 dicembre 2012, a seguito dell'approvazione del progetto di messa in sicurezza del suolo e della falda e tale è rimasto, nonostante le diffide del comune di Galliera.Pag. 201
  Preso atto dello stato dei luoghi, il comune di Galliera, con nota in data 28 novembre 2015, ha trasmesso alla regione Emilia-Romagna il progetto preliminare «Stima di massima di bonifica», relativo all'intervento di messa in sicurezza permanente e di bonifica del sito Caffaro (ex SIAPA), dell'importo complessivo di 6.500.000 di euro, approvato con DGC n. 84 del 28 novembre 2015 e da realizzare in tre diversi stralci funzionali (2.500.000 di euro per l'annualità 2016, 2.000.000 di euro per l'annualità 2017, 2.000.000 di euro per l'annualità 2018).
  La regione Emilia-Romagna, con DGR 2068/2015 del 14 dicembre 2015, ha concesso, per la realizzazione del primo stralcio dell'intervento di messa in sicurezza e bonifica, un finanziamento di 2.500.000 euro, di cui 1.744.150 euro liquidabili ad avvenuta acquisizione da parte del comune di Galliera dell'area interessata dalla bonifica.
  Il primo stralcio attiene al «Recupero e smaltimento del materiale contaminato, stimato in un'area di 1.000 metri quadrati per una profondità media di 2,00 metri quadrati», nonché al «Completamento del sistema di pompaggio comprendente tutte le opere necessarie per garantire il funzionamento del sistema» (quadro elettrico, posa tubature, pozzetti d'ispezione e di raccolta acque ecc.).
  Grazie a tale copertura finanziaria, il comune di Galliera, nel mese di febbraio 2016, con ordinanza n. 1/2016, ha assunto, in via sostitutiva e ai sensi e per gli effetti degli articoli 250 e 253 del decreto legislativo n. 152 del 2006, l'avvio e l'attivazione degli impianti di emungimento e bonifica della prima falda acquifera.
  In data 14 aprile 2016, è stata attivata la barriera idraulica con il servizio di gestione e manutenzione degli impianti pump and treat, tuttora funzionante, utilizzando parte delle risorse del citato contributo regionale.
  Attualmente, sono in corso gli approfondimenti necessari con il commissario straordinario della procedura di amministrazione straordinaria, allo scopo di ottenere la disponibilità dell'area, per integrare le indagini ed eventualmente calibrare i progetti da presentare con gli ultimi rilievi, come prescritto dalla conferenza dei servizi, tenutasi presso il comune di Galliera in data 10 novembre 2016.
  In particolare, la stessa conferenza dei servizi ha approvato l'analisi di rischio per la bonifica e la messa in sicurezza permanente del sito contaminato, di proprietà Caffaro, denominato «ex Siapa», con la prescrizione di provvedere ad integrare le indagini da sviluppare sull'area, una volta ottenutane la disponibilità.
  Quindi, in data 17 gennaio 2017, è stato depositato il «progetto operativo di bonifica e messa in sicurezza permanente», per un importo complessivo di 10.874.329,83 euro.
  In conclusione, il sito inquinato di Galliera appare avviato verso la bonifica, grazie ai fondi messi a disposizione del comune dalla regione Emila-Romagna.

NOTA:

   (1) Sorin, società quotata, produttrice di dispositivi medicali, e Cyberonics, azienda texana quotata sul NASDAQ, operante nella neuromodulazione, si aggregheranno sul piano sostanziale, ma senza una fusione tra le due società, dando vita ad un gruppo, con una capitalizzazione pari a 2.7 miliardi di dollari, presente in 100 paesi, con 4.500 dipendenti, di cui 2.000 circa in Italia, che avrà sedi operative in tutti i paesi dell'Unione Europea e tre sedi operative in Italia (quelle già facenti capo a Sorin). Il programma prevede che la nuova holding del gruppo risultante dalla fusione (HoldCo) avrà sede a Londra e sarà quotata al Nasdaq e alla Borsa di Londra.
  Si tratta di fatti illustrati, rappresentati nei documenti allegati e non contestati da controparte. Nella stessa relazione illustrativa del CdA si legge che l'operazione è finalizzata a creare una nuova società attiva a livello mondiale nel settore della tecnologia medica e che la società che ne risulterà combinerà l'esperienza e metterà in comune i punti di forza di due aziende protagoniste sulla scena industriale, dando vita ad un nuovo gruppo leader, che si distinguerà non solo sui mercati in crescita della chirurgia cardiaca e della neuromodulazione, ma anche per le sue proposte pionieristiche nel campo dei dispositivi di gestione del ritmo cardiaco.