Per tornare alla pagina di provenienza azionare il tasto BACK del browser
Documento

Doc. XXIII, N. 31

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL FENOMENO DELLE MAFIE E SULLE ALTRE ASSOCIAZIONI CRIMINALI, ANCHE STRANIERE

(istituita con legge 19 luglio 2013, n. 87)

(composta dai deputati: Bindi, Presidente; Attaguile, Segretario, Bossa, Bruno Bossio, Carbone, Costantino, Dadone, Di Lello, Segretario, D'Uva, Fava, Vicepresidente, Garavini, Magorno, Manfredi, Mattiello, Naccarato, Nuti, Salvatore Piccolo, Piepoli, Prestigiacomo, Sammarco, Sarti, Elvira Savino, Scopelliti, Taglialatela e Vecchio; e dai senatori: Albano, Buemi, Bulgarelli, Capacchione, Cardiello, Consiglio, De Cristofaro, Di Maggio, Esposito, Falanga, Gaetti, Vicepresidente, Giarrusso, Giovanardi, Lumia, Marinello, Mineo, Mirabelli, Molinari, Moscardelli, Pagano, Perrone, Ricchiuti, Tomaselli, Vaccari e Zizza).

RELAZIONE SU MAFIA E CALCIO

(Relatore: On. Rosy Bindi, On. Marco Di Lello)

Approvata dalla Commissione nella seduta del 14 dicembre 2017

Comunicata alle Presidenze il 14 dicembre 2017 ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lett. o) della legge 19 luglio 2013, n. 87

Pag. 5

INDICE

Sommario
1. Il mandato della Commissione e l'attività del Comitato mafia e manifestazioni sportive Pag. 7
2. Mafia e tifosi: il controllo del «territorio» e la sicurezza negli stadi » 11
3. Mafia e società sportive: il calcio come utilità economica » 56
4. La mafia e i calciatori: il calcio come veicolo di consenso sociale e il match fixing » 71
5. Le società dilettantistiche » 87
6. Conclusioni e proposte normative » 91
Pag. 7

1. Il mandato della Commissione e l'attività del Comitato mafia e manifestazioni sportive.

  La legge 19 luglio 2013, n.87, istitutiva della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e delle altre associazioni criminali similari, anche straniere, individua fra i compiti della Commissione, all'articolo 1, comma 1, lettera e), quello di accertare e valutare la natura e le caratteristiche dei mutamenti e delle trasformazioni del fenomeno mafioso e di tutte le sue connessioni, comprese quelle istituzionali, con particolare riguardo agli insediamenti stabilmente esistenti nelle regioni diverse da quelle di tradizionale inserimento e comunque caratterizzate da forte sviluppo dell'economia produttiva, nonché ai processi di internazionalizzazione e cooperazione con altre organizzazioni criminali finalizzati alla gestione di nuove forme di attività illecite contro la persona, l'ambiente, i patrimoni, i diritti di proprietà intellettuale e la sicurezza dello Stato, con particolare riguardo alla promozione e allo sfruttamento dei flussi migratori illegali, nonché approfondire, a questo fine, la conoscenza delle caratteristiche economiche, sociali e culturali delle aree di origine e di espansione delle organizzazioni criminali.
  In base al mandato legislativo, già all'avvio dell'attività, in sede di organizzazione dei comitati di lavoro nel febbraio 2014, la Commissione ha individuato il tema del rapporto tra mafia e manifestazioni sportive come meritevole di uno speciale approfondimento istruttorio, nell'ambito di un generale approccio al lavoro di inchiesta che ha inteso rivolgere particolare attenzione, da un lato, alle proiezioni delle mafie nei più diversi settori sociali ed economici e dall'altro ai più significativi fatti di cronaca connessi al più ampio tema dell'attività delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o similare, che si susseguono ormai quotidianamente sui mezzi di informazione, anche con ampio risalto mediatico.
  Grande impatto hanno infatti destato fatti criminali avvenuti in occasione di importanti eventi sportivi o collegati a vicende personali e sportive di atleti, in cui traspare la presenza di esponenti della criminalità organizzata di tipo mafioso o l'intervento di reti criminali, anche internazionali, di cui sono parte integrante le mafie italiane. Su tale base la Commissione ha inizialmente dedicato mirati atti di inchiesta a vicende come quella occorse nel 2014 allo Stadio Olimpico di Roma in occasione della finale della Coppa Italia di calcio, alla riapertura nel 2015 delle indagini sul caso della morte del ciclista Marco Pantani (1), alle denunce sul caso del marciatore Alex Schwazer (2) in relazione alla partecipazione alle Olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016; successivamente ha inteso varare una più organica indagine dedicata al tema delle possibili forme di infiltrazione della criminalità organizzata di tipo mafioso nel mondo del calcio professionistico italiano, avviata dopo la discovery dell'indagine giudiziaria che ha coinvolto la Juventus F.C. Spa, il più vincente e seguito club Pag. 8calcistico italiano e tra i massimi del panorama sportivo ed economico in Europa.
  Si è quindi operata una selezione di vicende e situazioni connesse a indagini giudiziarie considerate particolarmente significative per la rilevanza delle squadre coinvolte o per la significatività dei fatti emersi, che sono state assunte come punto di partenza per fornire una più ampia e approfondita valutazione della Commissione parlamentare sul tema delle infiltrazioni criminali mafiose nel calcio, sui principali fattori di rischio, sulle principali linee di intervento e sulle conseguenti proposte.
  L'approfondimento della Commissione si è pertanto svolto, a partire dal gennaio 2017, sia in seno al citato IX Comitato Mafia e manifestazioni sportive, coordinato dall'on. Marco Di Lello e dall'on. Angelo Attaguile, sia nella sede della Commissione plenaria, attraverso una corposa istruttoria, 30 sedute a cui hanno partecipato in audizione 42 soggetti, istituzionali e non, a vario titolo impegnati nel mondo del calcio professionistico e due sopralluoghi presso importanti impianti sportivi per la verifica dei sistemi di sicurezza all'interno degli stadi di calcio.
  Tra i soggetti chiamati a riferire vi sono stati coloro che ricoprono le massime responsabilità in seno alle Istituzioni, non solo sportive del Paese, tra cui il Ministro dell'interno, il Ministro dello sport, il capo della Polizia, il presidente del CONI, il presidente della FIGC, i presidenti delle leghe professionistiche e dell'associazione italiana calciatori (AIC), i presidenti delle società di calcio della serie A della Juventus, del Napoli, della Lazio e del Genoa.
  Di seguito si fornisce l'elenco completo delle sedute e degli auditi. I relativi resoconti stenografici sono contestualmente resi disponibili, attraverso la modifica del regime di classifica, ove previsto, da riservato a libero, salvo parti segrete là dove non si sia proceduto a desegretazione, che pure in alcuni casi la Commissione ha ritenuto di disporre, con il consenso dell'audito, a richiesta di soggetti impegnati in ambito processuale, penale o sportivo, ai fini dell'esercizio del diritto alla difesa.

Audizioni del plenum della Commissione:
   8 febbraio 2017 – Giovanni COLANGELO, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli
   7 marzo 2017 e 5 aprile 2017 – Giuseppe PECORARO, procuratore federale della FIGC; 
   15 marzo 2017 e 22 marzo 2017 – Luigi CHIAPPERO, legale della società Juventus F.C.;
   4 aprile 2017 – Damiano TOMMASI, presidente dell'Associazione Italiana Calciatori (AIC);
   11 aprile 2017 – Enrica PARASCANDOLO, sostituto procuratore della Repubblica presso la presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli;
   3 maggio 2017 – Franco GABRIELLI, capo della Polizia – direttore generale della pubblica sicurezza;Pag. 9
   18 maggio 2017 – Andrea AGNELLI, presidente della società Juventus F.C.;
   13 giugno 2017 – Marco MINNITI, Ministro dell'Interno; 
   28 giugno 2017 – Enrico PREZIOSI, presidente del Genoa C.F.C;
   28 giugno 2017 – Aurelio DE LAURENTIIS, presidente della S.S.C. Napoli;
   28 giugno 2017 – Claudio LOTITO, presidente della S.S. Lazio;
   5 luglio 2017 – Carlo TAVECCHIO, presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio, Paolo BEDIN, direttore generale della Lega nazionale professionisti B, Gabriele GRAVINA, presidente della Lega Pro;
   2 agosto 2017 – Giovanni MALAGÒ, presidente del CONI;
   12 settembre 2017 – Luca LOTTI, Ministro per lo sport.

Audizioni delegate al IX Comitato:
   20 ottobre 2014 – Diego PARENTE, capo della DIGOS di Roma, e Luigi BONAGURA, capo della DIGOS di Napoli;
   25 gennaio 2017 – Daniele POTO, giornalista;
   7 febbraio 2017 – Paolo TOSO e Monica ABBATECOLA, sostituti procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Torino;
   9 febbraio 2017 – Alessandro Sergio SORRENTINO, sostituto procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Catania, e Mario BARRESI, giornalista di La Sicilia;
   16 febbraio 2017 – Pierpaolo ROMANI, coordinatore nazionale dell'associazione Avviso pubblico;
   23 marzo 2017 – Stefano PALAZZI, già procuratore federale della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC);
   20 aprile 2017 – Francesco COZZI, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova;
   27 luglio 2017 – Daniela STRADIOTTO, presidente dell'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive;
   27 luglio 2017 – Francesco GIANELLO, head of stadium della società Juventus F.C. e MARIA TURCO, avvocato;
   27 luglio 2017 – ALESSANDRO FORMISANO, head of operations, sales & marketing della S.S.C. Napoli e GIUSEPPE STAIANO, avvocato;
   27 luglio 2017 – ARMANDO ANTONIO CALVERI, delegato ai rapporti con la tifoseria (SLO) della S.S. Lazio e SERGIO PINATA, delegato alla sicurezza dello stadio della S.S. Lazio.
   8 novembre 2017 – Giuseppe PECORARO, procuratore federale della FIGC;Pag. 10
   16 novembre 2017 – Massimo CIACCOLINI, segretario generale della Lega nazionale Dilettanti, e Paolo AGNESI, presidente COVISOD.
   16 novembre 2017 – Cesare BISONI, presidente COVISOC.

  La Commissione ha inoltre raccolto, in forza dei poteri attribuiti dalla legge istitutiva e con la fondamentale collaborazione della magistratura e delle forze di polizia, una rilevante base dati documentale, acquisita al proprio archivio, relativa alle principali inchieste giudiziarie in tema di criminalità organizzata che in tempi recenti hanno visto a vario titolo coinvolti calciatori o esponenti delle società calcistiche professionistiche.
 In sede di analisi, con riferimento allo specifico tema delle infiltrazioni di tipo mafioso nel calcio professionistico, i profili di interesse della Commissione parlamentare antimafia sono risultati molteplici e possono essere distinti essenzialmente in tre macro-aree, a cui sono dedicati i paragrafi successivi.
 La prima, affrontata nel capitolo 2, riguarda i rapporti tra la mafia e le tifoserie. Tali rapporti possono incidere sulle condizioni di legalità e sicurezza all'interno degli stadi, attraverso le interferenze tra criminalità organizzata di tipo mafioso, esponenti delle tifoserie degli ultras e società calcistiche esposte alle pressioni di questi ultimi anche in ragione delle sanzioni conseguenti all'applicazione del principio della responsabilità oggettiva, vigente in seno all'ordinamento sportivo.
 La seconda, affrontata nel capitolo 3, riguarda il rapporto tra la mafia e le società sportive, che attiene al tema dei presìdi posti a tutela del sistema calcistico per evitare che capitali illeciti possano essere utilizzati per l'acquisizione o il controllo delle società sportive e per il successivo condizionamento delle rilevanti attività economico-finanziarie connesse, ad esempio, alla compravendita dei giocatori, all'organizzazione degli eventi sportivi e al relativo indotto.
 La terza, affrontata nel capitolo 4, riguarda il rapporto tra la mafia e i giocatori e, essenzialmente, il tema delle scommesse e del cosiddetto match fixing, cioè l'alterazione del risultato sportivo al fine di conseguire illeciti guadagni attraverso il sistema dei giochi e delle scommesse legali e illegali, e dunque anche il tema più generale dei rischi connessi ai rapporti dei calciatori con soggetti di dubbia estrazione, collegati ad ambienti di tipo mafioso o ad essi contigui.
 Un approfondimento particolare nel capitolo 5 è poi dedicato al tema delle società dilettantistiche e allo sport come vettore della raccolta e della gestione del consenso sociale sul territorio, specialmente in provincia, da parte delle locali organizzazioni criminali di tipo mafioso.
 L'ultimo capitolo è dedicato alle conclusioni e alle proposte di tipo normativo, le quali costituiscono in definitiva il fine ultimo dell'attività parlamentare di inchiesta, in cui la raccolta degli elementi conoscitivi, anche con i più penetranti poteri di acquisizione propri dell'autorità giudiziaria che la Costituzione attribuisce alle apposite Commissioni, è e deve essere strumentale sia alla funzione di controllo sia alla funzione legislativa delle Camere.
 Dalle audizioni svolte emerge, infatti, uno spaccato del mondo calcistico professionistico e dilettantistico che sotto tutti i profili ha Pag. 11assoluta necessità di irrobustire l'attività di prevenzione e di controllo e di trovare gli opportuni strumenti, normativi e organizzativo-amministrativi, per rendere tutti i soggetti della filiera sportiva consapevoli del rischio di infiltrazione mafiosa, e quindi attrezzati per fronteggiarlo insieme alle istituzioni.
 Occorre in particolare una più ampia tutela dell'intero sistema del calcio professionistico, in cui sono inserite società sportive, ormai anche quotate in Borsa, le quali costituiscono parte rilevante della storia sociale e imprenditoriale del nostro Paese e che sono pertanto una risorsa anche dell'economia nazionale, da preservare contro ogni rischio di aggressione illegale.

2. Mafia e tifosi: il controllo del «territorio» e la sicurezza negli stadi.

  Il primo ambito individuato dalla Commissione è riconducibile al tema dell'ordine pubblico e della sicurezza negli stadi e ha avuto ad oggetto l'infiltrazione, o per meglio dire la contaminazione, da parte delle organizzazioni criminali di tipo mafioso delle tifoserie organizzate e, per il tramite di queste, le forme di condizionamento dell'attività delle società sportive professionistiche. Le risultanze dell'inchiesta parlamentare hanno consentito di rilevare varie forme, sempre più profonde, di osmosi tra la criminalità organizzata, la criminalità comune e le frange violente del tifo organizzato, nelle quali si annida anche il germe dell'estremismo politico. Il fenomeno della politicizzazione del tifo organizzato è un fenomeno antico ed è un dato di comune conoscenza la distinzione delle tifoserie sulla base dell'orientamento ideologico di estrema destra o di estrema sinistra. Tuttavia, crea inquietudine la presenza di tifosi ultras in tutti i recentissimi casi di manifestazioni politiche estremistiche di destra, a dimostrazione che le curve possono essere «palestre» di delinquenza comune, politica o mafiosa e luoghi di incontro e di scambio criminale.
  La questione dell'infiltrazione mafiosa nei gruppi ultras si lega necessariamente al tema della sicurezza degli stadi, che sono frequentemente ostaggio delle tifoserie organizzate, come ha evidenziato il prefetto Franco Gabrielli, Capo della Polizia: «Effettivamente, come dimostrano i 75 incontri di calcio caratterizzati da scontri durante questa stagione [2016-2017], tali criticità rappresentano ancora oggi uno dei fronti più impegnativi per l'azione di tutela dell'ordine pubblico coordinata dalle autorità provinciali di pubblica sicurezza. Ricordo soltanto che al 31 marzo scorso sono stati impiegati, in occasione delle partite di calcio, contingenti delle forze di polizia pari complessivamente a oltre 165 mila unità» (3).
  La strategia adoperata per affrontare il fenomeno della violenza ultras è stata infatti tradizionalmente incentrata sulla fase del «controllo» e del «contenimento» e ha indubbiamente prodotto efficaci risultati nel mantenimento dell'ordine pubblico. Ciò tuttavia non ha impedito ai gruppi ultras, come effetto collaterale, di mantenere e rafforzare il proprio potere all'interno di alcuni settori degli stadi.Pag. 12
  Nelle curve, infatti, l'anarchia nella gestione degli spazi, rispetto ai criteri di assegnazione dei posti dettati dal sistema di vendita dei biglietti, per i tifosi più estremi è anche funzionale a rendere più difficile l'identificazione dei singoli individui, dal momento che viene di fatto impedita la mappatura dei settori dello stadio sulla base dell'abbinamento tra il nominativo dell'acquirente e il posto assegnato dal sistema informatico di prenotazione. Il rispetto di tale regola, attribuito alla vigilanza degli steward, è generalmente garantito in tutti i settori dello stadio differenti dalle curve, anche se non mancano ulteriori eccezioni.
  Nelle curve le norme perdono spesso il carattere di effettività e il diritto cede alla forza degli ultras. Una volta entrati, questi si aggregano in masse indistinte, di fatto dei piccoli «eserciti», con dei capi riconosciuti, i quali dettano le regole, attraverso lo strumento dell'intimidazione, all'interno del proprio «territorio» contrassegnato da segni e simboli ben visibili.
  Allo stato attuale, tali masse sono comunque costantemente monitorate dalle forze dell'ordine, attentamente studiate «dall'esterno» e, nel caso in cui i tifosi commettano illeciti, il progressivo miglioramento degli strumenti tecnologici a disposizione consente l'individuazione fisica dei trasgressori, che sono fermati al termine dell'incontro sportivo (4). Il mantenimento dell'ordine pubblico, quindi, non è assolutamente messo in discussione, viene sempre garantito, sia pure in modo molto oneroso per la collettività, e assume giustamente – alle condizioni date – valenza predominante. Questo stato di cose impone, però, di comprimere gli altri eventuali interessi che possono emergere come, ad esempio, la fruibilità di quel settore dello stadio da parte dei tifosi che hanno legittimamente acquistato i biglietti nei posti occupati dagli ultras, o da chiunque altro approfitti della confusione, oppure l'interesse a che l'autorità statale non venga platealmente sottomessa da manifestazioni di forza dei tifosi nell'ambito dello stadio.
  La forza di intimidazione delle tifoserie ultras all'interno del «territorio-stadio» è spesso esercitata con modalità che riproducono il metodo mafioso; unitamente a ciò, la condizione di apparente extra-territorialità delle curve rispetto all'autorità ha consentito ai gruppi di acquisire e rafforzare il proprio potere nei confronti delle società sportive e dei loro dipendenti o tesserati. La situazione è ulteriormente aggravata, dal punto di vista delle società, dalla base sociale delle stesse tifoserie, formate da significativi contingenti di persone pregiudicate, in alcuni casi vicini al 30 per cento del totale, secondo le stime delle forze di polizia.
  I gruppi ultras sono costituiti, spesso, da soggetti con gravi precedenti penali o, comunque, con storie personali contraddistinte da comportamenti aggressivi e antisociali, pronti a dare luogo a violenze, fuori dello stadio o sugli spalti, contro la tifoseria avversaria o contro le forze dell'ordine, a gesti antisportivi, cori razzisti, impiego di Pag. 13fumogeni o di altri strumenti pericolosi o, più in generale, a iniziative sanzionate dalle norme federali.
  I comportamenti violenti e antisportivi vengono utilizzati come armi di pressione e di ricatto al fine di barattare il tranquillo svolgersi delle competizioni sportive con vantaggi economici pretesi dalle società come biglietti omaggio, merchandising, contributi per le trasferte eccetera. Gli ultras utilizzano, infatti, come strumento di ricatto sulle società, la responsabilità oggettiva – prevista dagli articoli 11, comma 3, 12, comma 3, e 14 del codice di giustizia sportiva della FIGC – che espone la società a sanzioni per i comportamenti violenti o discriminatori posti in essere dai suoi sostenitori. Il principio della responsabilità oggettiva previsto dal codice di giustizia sportiva ha avuto indubbi meriti perché ha consentito, da un lato, di contenere gli episodi di violenza dei tifosi (in una fase storica in cui non vi erano i mezzi tecnici per identificare i colpevoli) e, dall'altro, in tema di match fixing, di funzionare da deterrente nei confronti dei giocatori intenzionati a commettere illeciti. Il miglioramento del sistema infrastrutturale sportivo e lo sviluppo di tecnologie di sicurezza sempre più sofisticate – già utilizzate in alcuni stadi, ma ancora pochi – consentono ormai l'individuazione e l'identificazione dei soggetti che mettono in atto comportamenti violenti o illeciti. Questi importanti progressi consentono dunque di immaginare – sul solo versante degli ultras e non su quello del match fixing – la mitigazione, se non il superamento, della responsabilità oggettiva a carico delle società, in modo da recidere alla base eventuali connivenze tra le stesse società e gli ultras, apportando importanti benefici al sistema. Ormai appare avere effetti quasi paradossali e contrari al più basilare principio di giustizia un sistema in base al quale si comminano sanzioni alle società per responsabilità oggettiva, quando le stesse società (pur non essendo riuscite a dimostrare l'esistenza delle esimenti di cui all'articolo 13 CGS) sono riuscite a individuare e, collaborando con le forze dell'ordine, a far arrestare i responsabili di eventuali azioni illegali.
  L'estrazione in buona parte criminale dei rappresentanti dei gruppi organizzati è l'humus ideale per consentire l'infiltrazione della criminalità organizzata di tipo mafioso. Le vicende che hanno di recente riguardato squadre di calcio come Juventus, Napoli, Catania, Genoa, Lazio, solo per citare i casi di cui si è occupata la Commissione, consegnano un quadro variegato.
  Dall'inchiesta della Commissione è emerso che a Torino la ‘ndrangheta si è inserita come intermediaria e garante nell'ambito del fenomeno del bagarinaggio gestito dagli ultras della Juventus, arrivando a controllare i gruppi ultras che avevano come riferimento diretto diverse locali di ’ndrangheta; in alcuni casi i capi ultras sono persone organicamente appartenenti ad associazioni mafiose o ad esse collegate, come ad esempio a Catania o a Napoli; in altri casi ancora, come quello del Genoa, sebbene non appaia ancora saldata la componente criminalità organizzata con quella della criminalità comune, le modalità organizzative e operative degli ultras vengono spesso mutuate da quelle delle associazioni di tipo mafioso.
  Non sempre l'attività illecita o violenta dei gruppi ultras riceve la necessaria attenzione mediante attività di polizia giudiziaria, e della magistratura, ad esse specificamente dedicate; a tal fine appare Pag. 14senz'altro auspicabile una sempre maggior condivisione delle informazioni raccolte dalla polizia di prevenzione a fini di ordine pubblico con gli organi di polizia giudiziaria. Anche nell'opinione pubblica è diffusa la tendenza a considerare tali azioni come un corollario quasi inevitabile della vita da stadio delle tifoserie ovvero come un'appendice quasi trascurabile del fenomeno mafioso. Peraltro, tale sottovalutazione favorisce ulteriormente l'infiltrazione nella tifoseria: il soggetto mafioso tende, infatti, a «mimetizzarsi» e a presentarsi come ultras, in quanto la propria estrazione mafiosa, a livello locale, è già ampiamente conosciuta e riconosciuta. Non è né utile né necessario spendere il nome del sodalizio mafioso, l'effetto intimidatorio è implicito e avviene, soprattutto in ambienti come quelli del tifo calcistico, anche attraverso il semplice passaparola.
  Laddove, invece, sono sviluppate specifiche indagini sul mondo ultras queste si sono rivelate assai preziose e hanno consentito di disvelare il progressivo rafforzamento delle componenti criminali all'interno dei gruppi organizzati attraverso la formazione di associazioni per delinquere dedite ad attività criminali quali ad esempio lo spaccio di sostanze stupefacenti e, in alcuni casi l'ulteriore salto di qualità operato con la saldatura di tali associazioni per delinquere con gruppi criminali di caratura superiore di carattere mafioso.
  Gli approfondimenti della Commissione hanno preso le mosse da vicende giudiziarie, che hanno visto coinvolti soggetti a vario titolo riconducibili a organizzazioni criminali mafiose o comunque ad esse in qualche modo collegate, in cui appaiono altresì presenti tesserati di società calcistiche professionistiche: in particolare, l'attenzione si è soffermata su Catania, Napoli, Juventus, Genoa, Lazio e Latina. Per quel che riguarda il Crotone calcio, invece, nonostante la procura distrettuale di Catanzaro abbia recentemente proposto l'applicazione di misure di prevenzione di natura sia personale sia patrimoniale, che avevano ad oggetto la stessa società di calcio, nei confronti dei fratelli Raffaele e Giovanni Vrenna, proprietari della società, il tribunale di Crotone e la corte d'appello di Catanzaro hanno tuttavia ritenuto di non accogliere tale richiesta.
  La possibile evoluzione progressiva dello spessore criminale dei componenti dei gruppi ultras è emersa con particolare chiarezza dai lavori del IX Comitato, quando è stata approfondita la situazione della tifoseria catanese (5).
  Il tema della tifoseria del Catania calcio, attualmente militante in serie C, richiama alla memoria la tragica morte dell'ispettore di polizia, Filippo Raciti – ucciso da alcuni ultras a Catania il 2 febbraio 2007 nel corso dei disordini scatenati dalle tifoserie al termine del derby tra Catania e Palermo, all'epoca in serie A – che portò alla sospensione dei campionati e all'adozione di una normativa ancor più rigorosa in tema di sicurezza negli stadi.
  Ebbene, «già le indagini successive al tragico episodio del febbraio 2007 avevano dimostrato a Catania l'esistenza di gruppi ultras organizzati secondo metodi e strutture analoghe a quelli delle associazioni per delinquere. Questa prospettiva investigativa ha poi Pag. 15trovato riconoscimento, da ultimo, nella sentenza del tribunale di Catania del 13 ottobre 2014 (6), che ha dato atto che per alcuni ultras appartenenti al gruppo denominato ANR vi era una vera e propria affectio societatis finalizzata all'organizzazione sistematica di azioni di contrasto violento nei confronti delle forze dell'ordine in occasione delle partite di calcio della squadra del Catania, con predisposizione, quindi, di mezzi e di persone proprio per contrastare l'operato delle forze di polizia. Era emersa, in particolare, la costante partecipazione di tutti gli imputati (...) agli episodi di violenza, la partecipazione effettiva di quasi tutti gli associati agli scontri del febbraio 2007, il mutuo soccorso tra gli stessi a seguito degli arresti operati dalla Polizia di Stato dopo questi episodi di violenza, con vere e proprie raccolte di fondi tra gli stessi per sostenere le spese legali delle famiglie (7) con metodi, quindi, per certi versi, analoghi a quelli che riscontriamo per le consorterie mafiose, il costante riferimento a schemi organizzativi delle attività violente con riferimento spesso alle figure di capi. Per quanto non fossero emersi collegamenti diretti ed espliciti, all'epoca, con la criminalità organizzata, intesa come clan e famiglie mafiose del territorio, alcuni elementi riscontrati, in particolare il finanziamento interno a favore dei sodali in carcere, la custodia di armi e di droga per conto terzi – durante queste azioni investigative sono state sequestrate anche delle armi da guerra, come kalashnikov, e sono stati sequestrati parecchi quantitativi di sostanza stupefacente – lasciavano ritenere che si trattasse di gruppi legati alla criminalità mafiosa o che in qualche modo ne rappresentavano una derivazione o una rappresentanza anche soltanto indiretta» (8).
  Ulteriori attività investigative svolte negli anni successivi nei confronti della tifoseria hanno consentito di accertare che «alcuni leader dei gruppi ultras maggiormente rappresentativi all'interno del locale stadio Angelo Massimino vantavano rapporti diretti con la criminalità organizzata mafiosa, sia per i legami di parentela con alcuni esponenti, sia per i precedenti penali specifici che gli stessi annoveravano» (9). In particolare: il leader indiscusso del gruppo degli «irriducibili», Rosario Piacenti, appartenente alla omonima famiglia mafiosa del quartiere «Picanello» – con precedenti per porto e detenzione di armi, resistenza e violenza a pubblico ufficiale – e un altro leader dello stesso gruppo, Stefano Africano, nel 2016 sono stati condannati dalla seconda sezione penale del tribunale di Catania per tentata estorsione aggravata dalla finalità di agevolare l'associazione mafiosa dei «Cursoti» ai danni del giocatore del Catania Marco Biagianti (10); il leader di un altro gruppo ha precedenti penali per Pag. 16traffico di sostanze stupefacenti ed è ritenuto vicino al clan Carateddi-Cappello; il capo del gruppo «Schizzati-Passarello» – che ha precedenti penali per reati inerenti agli stupefacenti – è figlio di un elemento di spicco del clan mafioso dei Cappello; sempre vicino al clan dei Cappello è il leader di un ulteriore gruppo, con precedenti penali per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti; infine, il capo di un altro gruppo ancora è ritenuto vicino allo storico clan mafioso dei Santapaola.
  Le conseguenze di una simile «colonizzazione» dei vertici dei gruppi ultras sono evidenti: «questi rapporti non solo influiscono, naturalmente, sull'egemonia che gli stessi leader riescono ad avere ed esercitano all'interno dei loro gruppi, ma non si esclude che possano tradursi, pur senza una spendita esplicita del nome della consorteria mafiosa, in tentativi di ingerenze della criminalità organizzata insieme alle dinamiche calcistiche, intese queste ultime sia come scelte di amministrazione e di gestione societaria, sia come tentativi di vessazione e di costrizione posti in essere nei confronti di soggetti protagonisti del calcio professionistico» (11).
  Al riguardo, la sentenza richiamata sul caso Biagianti è emblematica: il giocatore, ancora oggi capitano della squadra, viene avvicinato dai due capi ultras Piacenti e Africano che tentano di estorcergli una somma di denaro di 5 mila euro al fine di poter sostenere, come accerterà il tribunale, alcune «spese processuali», con chiaro riferimento alla loro appartenenza ad ambienti criminali. Il giocatore, intimidito dal chiaro contesto criminale mafioso, non si è costituito parte civile al processo (12) e in quella sede ha sostenuto la tesi difensiva degli imputati – poi smentita dal tribunale – secondo la quale i soldi gli erano stati chiesti come forma di sostegno alla tifoseria delle spese attinenti alle coreografie (13).Pag. 17
  Il quadro tipico delle regioni a tradizionale insediamento mafioso che è emerso a Catania e i connessi, molteplici, profili di rischio che subiscono le proprietà e i tesserati della società in siffatto contesto ambientale è stato oggetto di dibattito in Commissione anche durante le audizioni dei magistrati della DDA di Napoli (14). Gli approfondimenti hanno avuto ad oggetto la vicenda dell'accertata presenza di Antonio Lo Russo – diventato collaboratore di giustizia – ex boss del clan dei «capitoni» (15) di Secondigliano, che si trovava a bordo campo durante la partita Napoli-Parma del 10 aprile 2010 allo stadio San Paolo di Napoli (16). Dopo un preliminare chiarimento sullo stato di latitanza di Antonio Lo Russo che decorre dal 5 maggio 2010 – circa un mese dopo l'incontro Napoli-Parma, del quale si è parlato anche per il risultato imprevisto della sconfitta del Napoli – è emerso Pag. 18che la presenza del boss a bordo campo era tutt'altro che occasionale e non si limitava a quella partita. «(...) Due giorni dopo la partita Napoli-Parma del 10 aprile 2010, esattamente il 12 aprile, un ufficiale di polizia giudiziaria (...) trasmise alla procura della Repubblica un'annotazione di servizio, nella quale attestava di aver appreso da fonte fiduciaria della presenza di Antonio Lo Russo a bordo campo. Per la verità si indicava Antonio Lo Russo di Giuseppe, quindi era erroneamente indicata la paternità, ma corretta era la data di nascita, cioè il figlio del più noto Salvatore Lo Russo. Da questa annotazione di polizia giudiziaria sono stati svolti tempestivamente accertamenti [...] e si è immediatamente accertata non solo la fondatezza di questa notizia – ripeto – appresa da fonte confidenziale, ma anche, come dicevo, che la presenza di quel soggetto a bordo campo era tutt'altro che occasionale. Cito altre partite, sono dati ovviamente documentati: Napoli-Roma febbraio 2010, Napoli-Fiorentina 13 marzo 2010, Napoli-Catania 28 marzo 2010, poi quella già nota, Napoli-Parma 10 aprile, ma anche una successiva, cioè la partita Napoli-Cagliari disputata il 25 aprile 2010, quindi dieci giorni prima dell'inizio della latitanza di Antonio Lo Russo» (17). «Ci siamo interessati di capire come Antonio Lo Russo fosse riuscito a stare a bordo campo e in questo abbiamo riscontrato nell'immediatezza massima disponibilità e collaborazione della Società Calcio Napoli (...) che ha messo a disposizione nostra, della procura federale e della DIA tutta la documentazione da noi richiesta, quindi innanzitutto l'elenco delle persone che avevano gli accessi a bordo campo, per tutte le partite del campionato 2009-2010. Abbiamo potuto riscontrare la presenza in diverse partite di Antonio Lo Russo, ma soprattutto abbiamo avuto modo di visionare questi elenchi, che comprendono una pluralità di soggetti. Quanto ad Antonio Lo Russo, si è accertato che lo stesso era presente a bordo campo grazie a un pass ricevuto come giardiniere (...). Ovviamente non ci siamo limitati ad analizzare solo la posizione di Antonio Lo Russo, ma abbiamo verificato anche per altre posizioni come avessero avuto accesso (18).Pag. 19
  Antonio Lo Russo, attualmente collaboratore di giustizia, ha dichiarato, in ordine al modo in cui riusciva ad avere accesso a bordo campo, che la «persona che l'aveva messo in contatto con questo vivaio (...) era un capo ultrà successivamente deceduto per cause naturali» e che «era sua abitudine andare a bordo campo non solo a Napoli, ma anche in trasferta proprio in quanto appassionato e tifoso del Napoli, non ha sottaciuto anche l'esistenza di rapporti di amicizia con diversi calciatori che hanno giocato nel calcio, ma ha escluso categoricamente ogni tipo di rapporto con la Società Calcio Napoli. (...) Ovviamente comprenderete che, essendo ancora in corso il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione di Antonio Lo Russo, non ritengo in questa sede, anche vista la pubblicità della seduta, soffermarmi oltre sul contenuto delle dichiarazioni che sta rendendo, anche per quanto riguarda i suoi rapporti con i calciatori, ma ribadisco che nulla coinvolge la Società Calcio Napoli» (19).
  Appare significativa ai fini della presente inchiesta che, anche in questo caso, sia un tifoso ultras l'intermediario tra il Lo Russo e la società fornitrice dei servizi di manutenzione del campo di gioco, con la quale peraltro la SSC Napoli, una volta venuta a conoscenza della vicenda, ha deciso di concludere il rapporto contrattuale in essere, come ha riferito in audizione Alessandro Formisano, head of operations, sales & marketing della SSC Napoli (20).Pag. 20
  Il tema del rapporto tra tifoserie e criminalità organizzata allo stadio San Paolo era già emerso il 20 ottobre 2014 durante l'audizione presso il IX Comitato del capo della Digos di Napoli, Luigi Bonagura: «Ovviamente, i vari gruppi ultras sono espressione dei clan, non fosse altro che per la loro origine territoriale. Il gruppo ultras Rione Sanità, ovviamente, ha le sue radici all'interno del Rione Sanità. I componenti del gruppo Rione Sanità hanno sicuramente, se andiamo a verificare e a fare dei controlli, contatti con gli esponenti della criminalità che operano all'interno del Quartiere Sanità. Tuttavia, nel momento in cui si recano allo stadio, questi ragazzi, queste persone ci vanno per tifare per la loro squadra del cuore. Non abbiamo riscontri che ci facciano pensare ad attività diverse. Il fatto che la camorra possa avere interesse per il calcio scommesse e per altri fenomeni collegati con il mondo del calcio è sicuramente vero e possibile» (21).
  Medesima lettura «territoriale» emerge dalla citata audizione della procura distrettuale di Napoli: «È un dato notorio che all'interno dello stadio San Paolo esista una suddivisione tra la curva A e la curva B, che in qualche modo rispecchia anche una provenienza territoriale della tifoseria, dove per provenienza territoriale ovviamente mi riferisco, non solo ma anche, purtroppo, ai gruppi camorristici. Dicevo che è dato notorio perché sono le stesse tifoserie o almeno parte delle curve a ostentare la loro provenienza territoriale, quindi possiamo sicuramente affermare che la curva B è la curva appannaggio del clan Lo Russo, sulla quale all'epoca Antonio Lo Russo aveva influenza, mentre la curva A sicuramente è una curva nella quale ha ingresso una tifoseria con una provenienza territoriale diversa, mi riferisco al centro di Napoli. È notorio come «Genny ‘a carogna» provenga da quella curva e non dalla curva B» (22).
  Il citato Gennaro De Tommaso, detto appunto «Genny ‘a carogna», della curva A – che proviene da una famiglia di camorristi con precedenti per usura, riciclaggio, traffico di sostanze stupefacenti – è il capo ultras che si distinse in negativo nella finale di coppa Italia Napoli-Fiorentina disputata allo Stadio Olimpico di Roma il 3 maggio Pag. 21
2014. Come emerso durante l'audizione in Comitato del capo della DIGOS di Roma, Diego Parente, del 20 ottobre 2014, De Tommaso «vive stabilmente in un contesto criminale ed è lui stesso un trafficante di stupefacenti. Gennaro De Tommaso è anche leader di uno dei tanti gruppi ultras organizzati che popolano le due curve dello Stadio San Paolo. Ovviamente, persone gravate da precedenti, anche gravi, all'interno dello Stadio San Paolo ne troviamo parecchie. Forse facciamo prima a escludere quelle che non ne hanno» (23).
  La sera della finale di Coppa Italia De Tommaso si mise in luce per due episodi: «C’è l'episodio pre-partita, quando lui si è materializzato, insieme a un altro centinaio di tifosi, in piazza Mazzini, in una località che non era di quelle destinate ai tifosi del Napoli. A capo di questi cento tifosi è stato bloccato, perché individuato proprio da una mia pattuglia mentre faceva attività di perlustrazione. Benché fossero privi di vessilli, dalla parlata si è capito che si trattava dei tifosi partenopei. Peraltro, erano parzialmente travisati con sciarpe, bandane e oggetti ovviamente fuori luogo, considerata la data del 3 maggio. Tali tifosi sono stati circoscritti anche con l'impiego di reparti organici e sono stati portati allo stadio per evitare che entrassero in contatto con le tifoserie della Fiorentina. Essi hanno opposto alcuni tentativi di resistenza, con lancio di oggetti e di artifizi pirotecnici contro le forze dell'ordine, proprio per superare questa forma di tutela che era stata posta nei loro confronti. Dopodiché, si è verificato l'episodio famoso, immortalato da tutte le TV, di De Tommaso Gennaro che parla con il capitano del Napoli. Tutto questo è diventato un unico procedimento penale, per il quale recentemente sono state eseguite delle misure cautelari a carico di De Tommaso e di altri quattro tifosi del Napoli, quelli su cui poi noi siamo riusciti a raccogliere elementi certi di responsabilità in ordine alle condotte delittuose perché ripresi dalle telecamere mentre di fatto lanciavano oggetti e portavano in essere comportamenti violenti» (24).
  Quella sera in un agguato furono esplosi alcuni colpi di arma da fuoco che ferirono gravemente un tifoso del Napoli, Ciro Esposito. Si accertò che il colpo era stato esploso da un ultras romanista, che già, nel 2004, aveva fatto sospendere un derby diffondendo la notizia falsa secondo la quale la Polizia aveva travolto e ucciso un ragazzino fuori dallo stadio Olimpico. Ciro Esposito, ricoverato in ospedale, morì due mesi dopo.
  Diffusasi la notizia del ferimento, si creò tra i tifosi ultras «un'agitazione fortissima» (25) e ci fu un'intensa attività di polizia al Pag. 22fine di gestire una situazione con alti profili di rischio per l'ordine pubblico. In quella situazione Gennaro De Tommaso, che peraltro quella sera indossava una maglietta che inneggiava alla liberazione dell'omicida di Filippo Raciti, ebbe modo di conquistare la scena pubblica, anche interloquendo con il capitano del Napoli, Marek Hamšik, e la partita ebbe inizio (26). Sull'opportunità di quella scelta si è soffermato il presidente dell'Associazione italiana calciatori, Damiano Tommasi nella sua audizione in Commissione: «Se ricordate, in quell'occasione è stato chiamato il capitano del Napoli a interloquire con la curva occupata in quel momento dai tifosi napoletani. Questo ragazzo – era Marek Hamšik ovviamente – si è trovato a rivestire un ruolo che forse non è consono al ruolo che, in realtà, bisognerebbe che avessero i calciatori in campo» (27).
  Tornando alla distribuzione delle tifoserie nelle curve dello stadio San Paolo e, parallelamente, alla dislocazione dei clan mafiosi «competenti per territorio» all'interno delle stesse, ci sono due episodi certamente da rilevare ai fini dell'inchiesta della Commissione.
  Innanzitutto, quello dell'esposizione di uno striscione in favore di Lavezzi da parte di entrambe le curve: «oltre al dato notorio, posso dire che sicuramente Antonio Lo Russo ha confermato questa distinzione (tra curva A e curva B, ndr), lo ha fatto ricordando un episodio che forse molti ricorderanno, cioè di quando, come spesso capita, vi erano stati dei dissidi tra giocatori e società, per cui si paventava l'allontanamento del giocatore Lavezzi dal Napoli, e quindi ci fu l'esposizione di uno striscione a tutela del giocatore per dimostrare alla società che la tifoseria voleva Lavezzi a Napoli. Secondo le parole di Antonio Lo Russo (...), Lavezzi aveva interesse a che la tifoseria stesse dalla sua parte e quindi a esporre uno striscione in sua difesa del tenore «Lavezzi non si tocca» o qualcosa del genere e si rivolse a lui per ottenere l'esposizione dello striscione su entrambe le curve, che non è una cosa così facile, così scontata, perché significa avere il placet di due aree geo-criminali diverse. Secondo la narrazione di Antonio Lo Russo, il suo intervento in ausilio di Lavezzi ha consentito, grazie alle sue conoscenze con personaggi della curva A, che questo striscione venisse esposto su entrambe le curve, proprio a tutela di Lavezzi, facendosi promettere in cambio come favore personale, dato il rapporto di amicizia che lo legava al giocatore, che non sarebbe mai andato a giocare in una squadra come la Juventus o l'Inter, ma solo all'estero, cosa che poi, come sapete, è accaduta» (28). A prescindere dai gravi profili di rischio, facilmente immaginabili, attinenti ai rapporti opachi tra Lorusso e Lavezzi – i quali comunicavano attraverso delle schede dedicate che lo stesso Lorusso aveva consegnato al giocatore argentino e che erano ulteriormente corroborati dalla sua presenza a bordocampo, seppur non ci siano stati seguiti penali sul punto (29) – appare emblematico che il giocatore si rivolga al «tifoso-boss» e che questi si spenda per trovare una posizione comune tra «territori» e clan diversi e in conflitto tra di loro.Pag. 23
  Se l'elemento territoriale assume un valore di significato anche con riferimento alla distinzione tra clan camorristici e ciò appare evidente agli spettatori dello stadio, almeno per i cittadini napoletani, come si è detto in audizione, che comprendono con immediatezza il significato di tale distinzione – anche criminale – tra i quartieri della città, non può non assumere significato da questo punto di vista anche la decisione di esporre lo stesso striscione su due curve. «Lei non troverà mai nella curva B uno striscione «Sanità», cioè che indica un quartiere dove per tradizione si va nella curva A, così come non troverà mai nella curva A uno striscione «Miano», che indica il quartiere roccaforte del clan Lo Russo» (30). Se questo è vero, l'episodio dello striscione a favore di Lavezzi non può essere derubricato semplicemente a questioni di tifoseria, ma assume un significato simbolico di accordo o almeno di avallo dei clan presenti nelle due curve contrapposte, appunto di «placet di due aree geo-criminali diverse». Peraltro, ciò appare ancora più significativo se lo si contestualizza in un momento di dissidio tra la società e i giocatori, con la «tifoseria» che, come mezzo di pressione sulla società, prende apertamente posizione «unanime» contro la stessa società e a favore del calciatore.
  Un altro episodio da segnalare, che conferma la divisione territoriale tra curva A e curva B e che è esemplificativo del fatto che la tranquillità garantita nello stadio San Paolo è pur sempre espressione di una pace armata tra le «tifoserie-clan», è lo scontro avvenuto sugli spalti nella curva A alla prima partita di campionato, nel settembre 2015, tra persone appartenenti a gruppi camorristici, provenienti dalle zone della Sanità e di Forcella (31).
  Rispetto a tutti questi fattori di rischio in relazione alla presenza di esponenti della camorra in ambiti esterni ma prossimi alla società, e anche interni a rapporti di amicizia con i calciatori, la posizione della SSC Napoli, esposta in Commissione dal presidente Aurelio de Laurentiis in occasione della sua audizione, è stata presentata nei termini di una ostentata chiusura, volta a descrivere la società come apparentemente impermeabile rispetto all'ambiente circostante:

  «PRESIDENTE. La società attraverso quale figura interloquisce con le tifoserie ?

  AURELIO DE LAURENTIIS, presidente della SSC Napoli. Non interloquiamo proprio.

  PRESIDENTE. Come, non interloquite ?

  GIUSEPPE STAIANO, avvocato. Non è possibile, perché le norme non ce lo permettono.

  AURELIO DE LAURENTIIS, presidente della SSC Napoli. Ma che ci mettiamo a parlare con Genny la carogna ?

  PRESIDENTE. La figura dello SLO ce l'avete ?

Pag. 24

  AURELIO DE LAURENTIIS, presidente della SSC Napoli. Sì, uno che va molto a rilento... è slow.

  PRESIDENTE. Che fa lo SLO, non parla con le tifoserie ?

  GIUSEPPE STAIANO, avvocato. Per darle contezza di cosa accade per esempio ad un allenamento, se arriva un gruppo di tifosi per voler solo rappresentare la propria vicinanza alla squadra piuttosto che per contestarla, il Napoli chiama la DIGOS, aspetta che arrivi la DIGOS e permette di interloquire a quei tifosi con i calciatori del Napoli o con qualche loro rappresentante solo alla presenza della DIGOS. Il Napoli è arrivato a fare questo, quindi più di questa cautela e questa prudenza non può fare, proprio perché non ci sono norme che permettono in tutta sicurezza di poter avere dei rapporti con i tifosi, sapendo esattamente chi è il tuo interlocutore. Questo dispiace, perché la maggior parte di tifosi sono persone per bene (32)».

  I connessi rischi sono cioè visti soltanto in termini di ordine pubblico e sicurezza; di essi la società non può farsi carico e ci si limita esclusivamente a invocare la protezione dello Stato attraverso l'intervento delle forze di polizia.
  In effetti molti di questi fattori di rischio hanno una matrice schiettamente territoriale, derivante dalla radicata presenza nella città di Napoli di clan di camorra, rispetto ai quali come si è visto lo stadio San Paolo riproduce in proporzione le medesime dinamiche criminali, rispecchiando l'occupazione dei diversi spazi cittadini da parte dei clan.
  Fuori dall'area metropolitana, analoghe criticità sotto il profilo della presenza di gruppi camorristi, in questo caso «casalesi», si rinvengono inoltre nel territorio in cui è ubicato il centro sportivo della società, ovvero il comune di Castelvolturno in provincia di Caserta, più volte sciolto per infiltrazioni mafiose, da ultimo nel 2012.
  Infine, in sede di audizione è stato ricordato che non sono mancati episodi criminali in danno della società e soprattutto rapine a danno di calciatori del Napoli, specie nel 2012. Il presidente De Laurentiis ha recisamente negato che tali episodi potessero essere riconducibili a una strategia estorsiva, sebbene di difficile decifrazione, e li ha definiti episodi di criminalità comune (33).
  Ma la vicenda, tra quelle di cui si è occupata la Commissione, che ha certamente destato maggiore clamore e che ha richiamato l'attenzione dei principali organi di informazione è stata quella che ha riguardato l'infiltrazione della ‘ndrangheta nella tifoseria organizzata della Juventus F.C. Spa.
 Nell'ambito del procedimento Alto Piemonte, su proposta della procura distrettuale di Torino, in data 11 maggio 2016, è stata emessa dal Gip del tribunale di Torino, un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di esponenti di locali di ‘ndrangheta insediati in Pag. 25Piemonte, collegati ad alcune fra le più pericolose cosche della ‘ndrangheta calabrese (34).
  L'ordinanza di custodia cautelare ha avuto a oggetto una lunga serie di reati quali associazione di tipo mafioso ed estorsione, detenzione illegale di armi, danneggiamento seguito da incendio, sequestro di persona, spaccio di droga, tentato omicidio, tutti reati aggravati dal metodo mafioso. Tra i destinatari della misura cautelare figuravano Saverio Dominello, già in passato condannato per il reato di associazione di tipo mafioso (35), e due dei tre figli di Saverio, Michele e Rocco, all'epoca dei fatti in questione rispettivamente l'uno detenuto e l'altro (ancora) incensurato.
  Con sentenza emessa con rito abbreviato il 30 giugno 2017 (36), il Gup del tribunale di Torino ha condannato i membri della famiglia Dominello a pesanti condanne: Saverio (12 anni e 1 mese) e Rocco (7 anni e 9 mesi) per il reato di associazione mafiosa e quali mandanti di tentato omicidio, lo stesso Saverio e il figlio Michele (2 anni e due mesi), per estorsione aggravata dal metodo mafioso.
  Nel contesto richiamato è venuta alla luce la vicenda che ruota intorno alla vendita dei biglietti per le partite della Juventus F.C., che la Commissione ha ritenuto meritevole di approfondimento. A tale proposito il IX Comitato ha svolto l'audizione dei sostituti procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Torino, Paolo Toso e Monica Abbatecola, titolari dell'inchiesta, mentre il plenum della Commissione ha svolto le audizioni del procuratore federale FIGC, Giuseppe Pecoraro (7 marzo e 5 aprile 2017), dell'avvocato della Juventus, Luigi Chiappero (15 e 22 marzo), nonché del Presidente della Juventus, Andrea Agnelli (18 maggio). Dalle audizioni è emerso che i primi segnali dell'interessamento della ‘ndrangheta alle partite della Juventus sono emersi negli anni 2012-2013, «in un contesto del tutto inaspettato» (37), nel corso di un'indagine su un'associazione di tipo mafioso di origine rumena. Un collaboratore di giustizia aveva dichiarato che tra gli affari del sodalizio rumeno vi era «anche un'attività relativa alla cessione a terzi di abbonamenti per partecipare alle partite della Juventus e che questa attività era stata condotta previa autorizzazione di criminali di Pag. 26origine calabrese, con i quali il sodalizio mafioso rumeno trattava stupefacenti» (38). Emerge, inoltre, dalle intercettazioni che il capo di questa associazione si era recato in Calabria al fine di essere autorizzato alla costituzione di un gruppo di ultras (i «templari») che potesse avere accesso allo Juventus Stadium.
  Quasi contemporaneamente a questa indagine, la stessa procura distrettuale di Torino era titolare di un'ulteriore indagine avente a oggetto un traffico di stupefacenti tra la Sicilia e il Piemonte e il referente di questo traffico di stupefacenti, per quantitativi molto cospicui, era Andrea Puntorno, il capo ultras del gruppo dei «bravi ragazzi» – la cui zona d'influenza all'interno dello stadio comprendeva, quale sottosezione, quella dei templari – e che gestiva anch'egli un cospicuo numero di biglietti e abbonamenti, acquistati, sia pure con modalità di favore, dalla Juventus – e rivenduti a prezzi maggiorati in una redditizia attività di bagarinaggio.
  Le risultanze delle due inchieste hanno consentito di svelare il controllo, da parte di alcune famiglie di ‘ndrangheta, dei diversi gruppi del tifo organizzato della Juventus e in questo contesto emerge la figura di Rocco Dominello, che, allora incensurato, è stato introdotto nell'ambiente societario della Juventus da Fabio Germani (fondatore di un'associazione di tifosi, anch'egli indagato – per concorso esterno in associazione mafiosa – assolto nel processo di primo grado e per il quale pende appello) e che si pone progressivamente come «facilitatore» nel difficile rapporto tra la società e i tifosi organizzati, spesso soggetti pluripregiudicati per gravi reati, quali ad esempio Dino Mocciola, leader dei «drughi» (già condannato per concorso in omicidio), e Loris Grancini, leader dei «viking». A tale proposito è proprio di questi giorni l'arresto di Loris Grancini, per il passaggio in giudicato di una condanna a 11 anni di reclusione per essere stato mandante di un tentato omicidio. Grancini è stato destinatario il 2 ottobre 2017 di Daspo per cinque anni con obbligo di firma su proposta del questore di Milano, convalidato dal Gip il 13 ottobre. Pende ricorso al TAR da parte dello stesso Grancini. Forti polemiche erano invece sorte nel marzo del 2017 a seguito del mancato accoglimento da parte dell'autorità giudiziaria della proposta del questore di Torino di applicare la medesima misura del Daspo per 8 anni con la prescrizione dell'obbligo di firma per 6 anni. L'ultras juventino è peraltro legato da forte amicizia con Giancarlo Lombardi detto Sandokan, capo del gruppo ultras milanista «Guerrieri Ultras», tanto da far esporre uno striscione di solidarietà in suo favore nella curva del Milan allo stadio Meazza dopo il suo arresto nel 2006.
  Lo spessore criminale di Grancini emerge dalla lettura della sentenza della corte d'appello di Milano, che lo ha condannato il 17 maggio 2016 dopo il rinvio da parte della Corte di Cassazione: il fatto «si inserisce in un contesto di diffusa e pericolosa criminalità, dove la supremazia del territorio, anche a costo di compiere gravi reati, prevale su qualsivoglia altro valore, proprio del comune sentire. L'aggressione ai danni del Merafina è stata un regolamento di conti a tutti gli effetti; una vendetta e una punizione esemplare, scaturita Pag. 27da un semplice diverbio, che rischiava però di offuscare l'autorità del “capo”. Il disvalore è ancor più accentuato in virtù del clima di pesante omertà e intimidazione, che si è formato intorno alla vicenda, per evidente volontà, diretta e indiretta, di Grancini, capace di esercitare un'influenza tale da indurre gli stessi protagonisti a versioni “edulcorate”, attenuative della sua responsabilità o addirittura di negazione e connivenza, fino all'ultima ritrattazione della persona offesa. Profili di meritevolezza non si colgono nella condotta processuale, priva di qualsivoglia manifestazione di resipiscenza e spunto utile all'accertamento della verità. Infine neppure possono sottacersi i precedenti penali, comprensivi di un tentato omicidio risalente al 1998 ma che, malgrado l'espiazione della pena e la fruizione dei benefici penitenziari concessi, non ha impedito la commissione di altro grave fatto a distanza di pochi anni» (39). Il riferimento al clima di paura che ha portato alla ritrattazione della vittima trova il suo fondamento, secondo la corte, in una serie di episodi di intimidazione: «nel verbale di dichiarazioni rese al pm il 13.2.2007, Merafina affermava di essere stato avvicinato nell'ottobre 2006 da alcuni calabresi, che gli riferivano che il padre di Romeo (40) (noto agli archivi della polizia come affiliato alla ’ndrangheta) voleva parlargli» (41); appena uscito dall'ospedale «era stato avvicinato da una persona vicina a Grancini, che gli aveva chiesto ‘gentilmente’ di cambiare versione, di ‘salvare il salvabile’» (42); nell'ottobre 2008 «veniva aggredito da tale Domenico La Greca, che lo accoltellava e lo accusava di essere un infame, proprio in relazione alle sue dichiarazioni nella vicenda di Grancini» (43).
  Tornando all'inchiesta Alto Piemonte, dalle indagini sono emersi contatti e reiterati rapporti di Rocco Dominello e Fabio Germani con il security manager della Juventus, Alessandro D'Angelo, e con il responsabile della società per la biglietteria, Stefano Merulla, riguardanti i rapporti con la tifoseria organizzata e la gestione dei biglietti (44).
  Dalle intercettazioni risulta che sia Dominello sia Germani ricevevano una quota personale riservata di biglietti, anche cospicua. Dalla sentenza di primo grado emessa dal Gup del tribunale di Torino emerge peraltro che «gli interessi della ‘ndrangheta (...) riguardano in realtà la gestione dei tagliandi che la società calcistica ha destinato ai Pag. 28propri gruppi di tifosi organizzati e non anche quelli, infinitamente più limitati numericamente, dei quali Rocco Dominello ha potuto disporre proprio in virtù dei buoni rapporti instaurati con i rappresentanti della società» (45).
  La sentenza citata delinea chiaramente il duplice ruolo assunto da Rocco Dominello in tutta la vicenda: un «deferente tifoso», come lo definisce il Gup, dal lato dei rapporti con la società Juventus e, grazie al ruolo del padre Saverio, referente della ‘ndrangheta dal lato della gestione dei rapporti con i gruppi del tifo organizzato juventino.
  «Rocco Dominello si ritiene rivesta un ruolo bivalente nell'ambito della vicenda di cui trattasi. Questo imputato pare, infatti, aver contemporaneamente agito quale referente incaricato di mediare nei rapporti fra il mondo del tifo organizzato e la società Juventus, nella cui sfera si è introdotto sfruttando l'amicizia di Fabio Germani. Parallelamente a questo ruolo, si ritiene che l'imputato ne abbia rivestito uno diverso, gestendo quale referente della ‘ndrangheta piemontese i rapporti con il mondo del tifo organizzato. Mentre il primo rapporto ha effetti estremamente limitati nell'ambito del presente procedimento, apparendo come un fatto secondario, di contorno e gli ha fruttato, oltre ad un innegabile prestigio personale (comunque significativo anche per la propria affermazione nel mondo della malavita organizzata), una fornitura «riservata» di biglietti e quindi ulteriori possibilità di guadagno, il secondo rapporto merita di essere più puntualmente analizzato in quanto è l'unico che in questa sede rileva» (46). In merito a questi due versanti, infatti, secondo il tribunale «il punto nodale della vicenda in esame non è la forza di intimidazione esercitata dalla ‘ndrangheta sulla Juventus F.C. s.p.a., che è invece sottoposta al ricatto dei propri tifosi, bensì quella esercitata dal sodalizio sul mondo del tifo organizzato al fine di acquisirne il completo controllo» (47) e Rocco Dominello, «anche accreditandosi presso la società calcistica Juventus come soggetto in grado di mediare con le frange più violente del tifo organizzato, ha per l'appunto assunto il ruolo di «garante ambientale» fra la ‘ndrangheta e gli ultrà, gestendo nell'interesse della cosca i rapporti con questo mondo» (48). Nella vicenda processuale, peraltro, la Juventus non rivestiva la qualità di parte lesa (49).Pag. 29
  Sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia e con il sostegno di specifici riscontri raccolti in seguito ad attività investigative compiute in diversi procedimenti, si può affermare che, intraviste consistenti possibilità di guadagno, la criminalità organizzata si è inserita in tale contesto assumendo di fatto il controllo della tifoseria organizzata e quindi i relativi benefici economici derivanti dall'attività illecita di bagarinaggio, quantificati in circa 30 mila euro a partita per uno solo dei gruppi di tifosi, e quindi in proporzione anche di molto superiori (50). Sintomatico della redditività dell'operazione è quanto accaduto a un tifoso svizzero che si è lamentato con la società per il costo spropositato di un biglietto di Champions league pagato 620 euro a fronte del prezzo ufficiale di 140 euro (51).
  Secondo il tribunale di Torino, inoltre, «gli elementi raccolti dimostrano anzitutto l'esistenza di un sistema di ripartizione dei gruppi di tifosi organizzati fra diverse articolazioni locali della ‘ndrangheta, che non a caso devono prestare il proprio assenso all'ingresso in curva di nuovi soggetti in quanto ciò comporta evidenti ricadute di carattere economico. Si è inoltre già avuto modo di apprezzare come le decisioni di maggior rilievo e la definizione di contrasti particolarmente accesi siano devolute alla «casa madre» in Calabria. Nel corso delle indagini è stato addirittura possibile monitorare in tempo reale le operazioni che hanno portato all'ingresso di un nuovo gruppo di tifosi organizzati, insediatosi nella curva sud dello Juventus Stadium a partire dalla partita Juventus – Milan dell'aprile 2013» (52). Dalle intercettazioni telefoniche e ambientali è emerso, infatti, che persone vicine ai Dominello si stavano attivando per organizzare un nuovo gruppo di ultras, i «gobbi», che avrebbe dovuto occupare lo spazio prima occupato dai «bravi ragazzi». Per la costituzione di un nuovo gruppo ultras erano necessarie due autorizzazioni: una da parte degli ultras storici, una da parte della ‘ndrangheta: «mafia e tifo ultras si saldano (plastica in questo senso è la riunione fra i Dominello, il capo dei drughi e uno dei capi del neo gruppo dei gobbi, Farina) non certo in vista di un comune obiettivo legato allo sport ma per lucrare denaro in specie con l'affare Pag. 30assai redditizio del bagarinaggio dei biglietti delle partite» (53). Negli atti del procedimento sono immortalati gli incontri in cui l'accordo è stato suggellato (54). Le conversazioni intercettate sono eloquenti (55). Il 17 aprile 2013 il nuovo gruppo era pronto a esporre lo striscione dentro lo stadio, passaggio fondamentale per reclamare una dotazione di biglietti la cui gestione era la precipua finalità dell'esistenza stessa del gruppo.
  In questo senso, la vicenda appare nel suo complesso paradigmatica dei varchi che la criminalità organizzata mafiosa si crea attraverso l'imposizione di «protettorati» sui singoli gruppi ultras, che a loro volta cercano di mettere in scacco le società con varie forme di ricatto.
  Nel procedimento penale non risultano imputati dipendenti o dirigenti della Juventus. Nel procedimento dinanzi alla giustizia sportiva, invece, la procura della Federazione italiana giuoco calcio (FIGC), il 18 marzo 2017, ha deferito dinanzi al tribunale nazionale federale la società Juventus FC Spa, Alessandro D'Angelo, dipendente addetto alla sicurezza, Stefano Merulla, dipendente responsabile del ticket office, Francesco Calvo, all'epoca direttore commerciale della società e diretto superiore di Merulla e D'Angelo, e Andrea Agnelli, presidente della società (56).Pag. 31
  L'atto di deferimento contesta ai tesserati Stefano Merulla e Alessandro D'Angelo di aver intrattenuto personalmente – con il dichiarato intento di mantenere l'ordine pubblico e per evitare alla società pesanti e ricorrenti ammende e sanzioni di natura sportiva – rapporti costanti e duraturi con i gruppi ‘ultras’ «anche per il tramite e con il contributo fattivo di esponenti della malavita organizzata», facendo sì che venissero loro costantemente fornite dotazioni di biglietti e abbonamenti «violando le disposizioni delle norme di pubblica sicurezza sulla cessione dei tagliandi per assistere a manifestazioni sportive e favorendo, consapevolmente, il fenomeno del bagarinaggio» (57). Ai dirigenti della Juventus, Francesco Calvo – all'epoca direttore commerciale della società e diretto superiore di Merulla e D'Angelo – e Andrea Agnelli, presidente, la procura federale contesta il fatto di non aver impedito che i propri dipendenti intrattenessero tali rapporti con i tifosi.
  Il processo sportivo si è concluso in primo grado con un parziale accoglimento delle richieste del procuratore federale (58). Dalla sentenza del tribunale sportivo emergono due profili su cui la Commissione ha appuntato la propria attenzione: il livello di infiltrazione raggiunto dalla criminalità organizzata mafiosa nella vicenda e il tema più ampio delle misure di prevenzione della violenza negli stadi e della tutela dell'ordine pubblico.
  In merito al primo punto, il tema di maggior impatto mediatico è stato senza dubbio il coinvolgimento di Andrea Agnelli, presidente della società ed esponente della storica famiglia di imprenditori, proprietaria della FIAT.
  Al riguardo la Commissione ha ascoltato prima l'avvocato Chiappero, legale rappresentante della società, e in seguito lo stesso Agnelli, ponendosi anche in questo caso sia come sede politico-istituzionale sia come garante di un confronto pubblico, aperto a una pluralità di interventi, in cui tutti i soggetti interessati hanno l'opportunità di esporre le proprie posizioni.
  In tale quadro, la circostanza di particolare interesse è stato soprattutto il grado di consapevolezza del presidente Agnelli e dei suoi più stretti collaboratori di chi fosse Rocco Dominello e di quale ruolo egli svolgesse all'interno della tifoseria. A tale riguardo, il tribunale sportivo «dopo ampia valutazione del materiale probatorio acquisito, è giunto alla determinazione che tale frequentazione (di soggetti «malavitosi») avvenne in maniera decisamente sporadica ma soprattutto inconsapevole con riferimento alla conoscenza del presunto Pag. 32ruolo malavitoso dei soggetti citati. Del resto risulta che la notizia ufficiale riferita alla presunta appartenenza dei citati soggetti a cosche illecite, venne resa pubblica in epoca successiva rispetto ai rapporti intercorrenti tra la dirigenza e la tifoseria, e che non appena appresa la notizia connessa allo status malavitoso, ogni contatto ebbe immediato termine. Il tribunale non ritiene quindi sufficientemente provato che una simile frequentazione fosse dotata della contestata ‘consapevolezza’ riferita allo status di quei tifosi; e lo stesso valga per il presidente Andrea Agnelli, da ritenere completamente ignaro in merito alla peculiarità illecita del personaggio Rocco Dominello, presentatosi ai suoi occhi come deferente tifoso, ma non già come soggetto incline alla pericolosità sociale. Questa appare essere la corretta chiave di lettura dell'assunto accusatorio, la cui valutazione non può esimere una palese rivisitazione di tutti gli episodi in contestazione e facenti parte del deferimento integralmente inteso anche ai fini dell'entità delle sanzioni applicabili» (59).
  In merito, invece, alla violazione della normativa statale (non solo sportiva) sulla vendita dei biglietti alla base del sistema di bagarinaggio (60) – secondo il Tribunale sportivo «sono emersi elementi di chiara colpevolezza» a carico dei soggetti deferiti: «i fatti, tutti collocabili nell'alveo dell'articolo 12 CGS (...) sono stati in gran parte ammessi dai deferiti, sono noti e di agevole individuazione nella loro perpetrazione» (61). Inoltre, «dall'esame dei fatti, come desunti anche dalle dichiarazioni dei deferiti Calvo, D'Angelo e Merulla, il Collegio rileva che la ratio della norma è stata completamente stravolta. In altri termini ciò che il legislatore ha individuato quale elemento idoneo a causare o quantomeno a favorire fenomeni di violenza, è stato, invece, utilizzato dagli odierni deferiti al dichiarato fine di Pag. 33mantenere l'ordine pubblico nei settori delle stadio occupati dagli ultras ed i buoni rapporti con la tifoseria» (62).
  Al di là degli esiti dei processi, sia quello penale sia quello sportivo (nel quale entrambe le parti, procura federale e Juventus, hanno presentato ricorso) – dall'inchiesta emerge un quadro molto preoccupante di infiltrazione ‘ndranghetista nei gruppi di tifosi organizzati della Juventus, che deve suonare come qualcosa di più di un campanello di allarme non solo per la società torinese ma anche per tutte le altre squadre e per i rappresentanti delle istituzioni del calcio.
  L'inconsapevolezza di chi fosse quel particolare «tifoso» da parte dei vertici societari della Juventus è comunque elemento di sicura rilevanza per la Commissione, perché dimostra una impreparazione, ammessa direttamente dalla stessa società in audizione (63), a comprendere il fenomeno mafioso e le connesse situazioni di pericolo derivanti dal radicamento ‘ndranghetista, avvenuto ormai da molti anni, a Torino e in tutto il Piemonte.
  L'incapacità di riconoscere le modalità dell'agire mafioso, sempre meno violente e sempre più mimetizzate nelle migliori realtà civili ed economiche, non è un'eccezione ma rappresenta oggi il maggiore e più diffuso fattore di debolezza di moltissimi soggetti politici, amministrativi e imprenditoriali, soprattutto al di fuori delle regioni di tradizionale insediamento delle mafie.
  La criminalità organizzata di tipo mafioso vede, infatti, nel settore calcistico «un'opportunità per ampliare non solamente il campo dei traffici illeciti e dei canali per il riciclaggio dei capitali sporchi, ma anche per insinuarsi in maniera strisciante e pervasiva nel tessuto sociale» (64) e di questo tutti devono prendere coscienza, senza sottovalutare eventuali parentele o frequentazioni dei soggetti che si avvicinano all'ambiente societario.
  Come dimostra l'esperienza torinese, l'assunzione progressiva del controllo dei gruppi ultras e la loro manipolazione da parte della criminalità organizzata, anche in funzione anti-societaria, sono una delle porte d'ingresso che può consentire ai gruppi criminali di accaparrarsi, secondo i modelli classici delle organizzazioni mafiose – e dunque anche attraverso l'avvicinamento alle società di soggetti ad essi legati, ma apparentemente «presentabili» – la gestione delle attività economiche legate agli eventi sportivi, non solo quelle illecite come il bagarinaggio, ma anche quelle lecite. Pag. 34
  Evidentemente, la vicenda della Juventus ha destato scalpore perché la manovra di avvicinamento della criminalità organizzata era rivolta verso il più importante club calcistico italiano, protagonista sulla scena sportiva ed economica in ambito nazionale ed europeo. Con questa vicenda la società, suo malgrado, ha preso contezza dell'importanza di avere un know how specifico per prevenire o riconoscere tale operazione di infiltrazione. Nell'instaurare rapporti di collaborazione, a qualunque titolo, con soggetti esterni alla società – in particolare in settori, come quello dei rapporti con i tifosi organizzati, in cui emergono profili legati alla sicurezza – non è di per sé sufficiente la mera verifica che si tratti di soggetti incensurati, ma occorre un controllo reputazionale a più ampio spettro, che avrebbe consentito alla Juventus di isolare immediatamente Dominello per i suoi collegamenti familiari evidenti.
  Peraltro, traspare dalle audizioni di pressoché tutti i presidenti delle squadre ascoltati in Commissione che la complessità dello scenario è maggiore di quanto appaia, anche per la presenza di una molteplicità di attori tale da configurare una vera e propria triangolazione tra società, tifosi e forze di polizia, come dichiarato dal presidente Agnelli: «I poli di questo rapporto, tutti dialoganti congiuntamente tra loro, sono quindi tre e non due, come spesso si è voluto far credere in questi mesi: gli ultras parlano con il club e con le forze dell'ordine, il club parla con gli ultras e le forze dell'ordine, le forze dell'ordine parlano con gli ultras e con il club» (65).
  Questa pluralità di poli, proprio perché gli attori devono agire su piani ben diversi e con ben diverse finalità e funzioni, ha presentato sul piano concreto profili di criticità nel tenere distinti il necessario controllo, anche mediante forme di dialogo con i tifosi, da parte delle forze di polizia, il ruolo delle società, che non si riduca un'abdicazione dalle proprie responsabilità, e inopportuni effetti di involontaria legittimazione degli interlocutori prescelti, spesso soggetti pluripregiudicati o contigui ad ambienti criminali mafiosi.
  Se si considera che a tali fenomeni illeciti risultano vulnerabili società di calcio che non solo si pongono tra le eccellenze del professionismo nazionale ma che sono anche società quotate nei mercati regolamentati, particolarmente strutturate sul piano organizzativo e dotate di un sistema di governance e di controllo interno nonché solide sul piano finanziario, il quadro assume tinte più ancora più fosche qualora si pensi a quanto possa essere più elevato il livello potenziale di vulnerabilità delle altre e non poche società di calcio del panorama nazionale, professionistico o semiprofessionistico, che dispongono di un capitale sociale più modesto, risorse più limitate e strutture organizzative e di controllo più elementari e come tali maggiormente esposte al ricatto non di semplici tifosi, ma di «gruppi di pressione» organizzati criminali che, se non mafiosi, fanno uso del metodo mafioso.
  Anche laddove, nell'inchiesta della Commissione, non sono emerse infiltrazioni mafiose dirette nelle tifoserie, sono tuttavia emersi elementi che destano preoccupazione: a Genova e a Roma, ad esempio, per l'acquisizione da parte dei gruppi ultras delle metodiche Pag. 35della criminalità organizzata e per il connubio con manifestazioni di radicalismo politico.
  A Genova, emblematica è stata la disamina di quanto accaduto in occasione della partita Genoa-Siena del 22 aprile 2012, quando l'incontro venne interrotto dai disordini provocati dagli ultras, che sequestrarono di fatto un intero stadio pieno di tifosi e imposero una vera e propria resa pubblica ai giocatori del Genoa e alla società (66). I fatti sono ben descritti nella sentenza del tribunale. Al 4’ del secondo tempo della partita (sul tre a zero c'era già stata una prima sospensione per lancio di fumogeni) il Genoa si trovò sotto nel punteggio di quattro gol a zero a favore del Siena: «Circostanza questa che scatenava una violenta contestazione da parte delle frange estreme della tifoseria genoana, c.d. «ultrà» (di solito posizionati nella gradinata nord), al punto che un nutrito gruppo di questi tifosi (circa 150-200, tra cui certamente gli odierni imputati) superava indebitamente le barriere di separazione dell'impianto poste a presidio della «gradinata», riuscendo così a transitare nel settore «distinti», per poi raggrupparsi e posizionarsi a ridosso del c.d. «bruco», ovverosia la tenso-struttura bianca posta nella zona centrale del settore distinti all'altezza del varco spogliatoi (per inciso, il tunnel dove i calciatori devono necessariamente transitare per uscire dal rettangolo di gioco). (...) Una volta transitati indebitamente nel settore distinti, come detto, il gruppo di contestatori (tra i quali venivano pacificamente identificati gli odierni imputati), si accalcava a ridosso del bruco cominciando a lanciare fumogeni e bombe carta e inveendo animatamente, con gesti ed espressioni inequivocabili, contro la squadra locale per via del risultato negativo della partita. Alcuni di essi, tra i quali (anche) l'imputato Pelizzari, si posizionavano addirittura sulla struttura mobile che consente l'accesso agli spogliatoi, altri immediatamente dietro (tra i quali gli imputati Leonardi, Catelletta e Grasso), ed altri ancora si addossavano con fare minaccioso sulla parete divisoria che delimita il settore distinti dal terreno di gioco, così costringendo il direttore di gara (Tagliavento Paolo) a sospendere la partita» (67).
  L'arbitro e i giocatori del Siena vennero «rilasciati» e gli fu consentito di andare negli spogliatoi, mentre i giocatori del Genoa, temendo per la propria incolumità, perché avrebbero dovuto passare appunto attraverso il cunicolo che era sottostante la posizione dove si trovavano i tifosi, rimasero al centro del campo, con le forze dell'ordine presenti. Gli ultras hanno imposto ai giocatori del Genoa di togliersi le magliette. «Questo gruppo di tifosi, incarnando e rappresentando la tifoseria più accesa, condannava l'atteggiamento, secondo loro rinunciatario, dei giocatori del Genoa e pretendeva che i giocatori si togliessero la maglia e la consegnassero a questi stessi tifosi. La situazione durò almeno 30 o 45 minuti, nei quali avvennero episodi anche particolari, come quello di un giocatore [Mesto, che non voleva togliersi la maglietta] che si mise a piangere davanti a tutti, mentre gli altri erano intimoriti e non volevano rientrare negli Pag. 36spogliatoi» (68). I giocatori del Genoa si tolsero le magliette – anche su indicazione del presidente della società, Preziosi, e nonostante la contrarietà delle forze dell'ordine – e il capitano Rossi, che aveva iniziato una trattativa con i tifosi, le raccolse e le portò verso i tifosi in segno di subordinazione, anche se a questo punto non ci fu il materiale passaggio delle magliette nelle mani degli ultras. La situazione veniva sbloccata dall'intervento del giocatore del Genoa, Giuseppe Sculli, che si rifiutava di togliersi la maglia, si avvicinava al gruppo di tifosi facinorosi e parlava con loro. Dopo quarantacinque minuti la partita riprendeva terminando con il risultato di 4-1 a favore della squadra toscana.
  Giuseppe Sculli è il nipote di Giuseppe Morabito, classe ‘34, detto «il Tiradritto», indiscusso capo della omonima cosca di Africo nel mandamento jonico della provincia di Reggio Calabria arrestato il 18 febbraio 2004 dopo dodici anni di latitanza (69). Durante la partita Genoa-Siena, Sculli intervenne fermando i capi ultras, forte della sua estrazione familiare generalmente nota e sfruttando lo stretto rapporto personale con alcuni capi ultras, Pellizzari, capo della contestazione allo stadio, e Massimo Leopizzi, che invece non era presente quel giorno: «A un certo punto il calciatore Sculli si fece passare un telefono da un uomo che successivamente accertammo essere un dipendente della società Genoa e iniziò una conversazione telefonica. Compresi che la conversazione riguardava i fatti che stavano accadendo. Supponendo che la telefonata fosse indirizzata a un capo carismatico della tifoseria, assente quel giorno, acquisimmo i tabulati telefonici di Leopizzi da noi conosciuto. In effetti l'esame dei tabulati telefonici dell'utenza del Leopizzi e le dichiarazioni rese dal proprietario del cellulare consegnato a Sculli, ci confermarono che effettivamente Sculli telefonò al Leopizzi. Dopo la telefonata Sculli si rivolse al Pelizzari, dopo aver scambiato alcune frasi lo stesso rientrò sugli spalti dicendo al suo interlocutore, al termine della conversazione, “comunque non finisce qui”» (70).
  A ben vedere, questi fatti non vanno ricondotti unicamente nell'ambito sportivo, nonostante la tifoseria genoana sia notoriamente considerata tra le più calde: «(...) se si osservano un po’ meglio le cose, ci sono dei profili che inquadrano la questione in un modo diverso, Pag. 37non casuale e non sporadico. Prima di tutto, alcuni partecipanti a questa manifestazione e anche gli imputati sono stati gravati da ripetute segnalazioni per reati – certo, non lo sono stati tutti, e adesso non posso distinguerli – anche di tentata estorsione, rissa, porto d'armi e di possesso e detenzione di stupefacenti. Questi appartengono a gruppi di tifoseria organizzata, che, per l'atteggiamento piuttosto deciso che hanno sempre avuto, sono in posizione dominante e tendono a controllare anche gli altri gruppi ordinari o comunque di tifoseria organizzata e non organizzata. Alcuni di questi sono noti perché hanno avuto precedenti penali per reati comuni non indifferenti. Si pensi soltanto che Massimo Leopizzi è stato di recente anche condannato per il possesso di una rivoltella e di 50 proiettili, che avrebbe ricevuto da Marietto Rossi, uno degli esponenti più pericolosi della criminalità genovese degli anni Ottanta e Novanta; (...) Marietto Rossi è stato di recente condannato all'ergastolo per aver ucciso, durante una resa dei conti sulle alture di Lavagna, un tizio con cui aveva degli affari di droga, unitamente ad altri due complici» (71). Massimo Leopizzi – che già si era distinto in passato per episodi di violenza gratuita, anche nei confronti di una persona con cui intratteneva una relazione affettiva, e che è stato recentemente raggiunto da un provvedimento di Daspo del questore di Genova per aver aggredito un giornalista, il 30 settembre 2017, poco prima della partita Genoa-Bologna – è uno dei leader del gruppo organizzato chiamato «Brigata Speloncia». Massimo Leopizzi, capo di un gruppo ultras di estrema destra, ha collezionato – è proprio il caso di dire – una lunga serie di reati: estorsione, rissa, minaccia a pubblico ufficiale, ricettazione, falso, detenzione illegale di armi, porto di armi, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni, maltrattamenti, violenza sessuale, guida in stato di ebbrezza, detenzione abusiva di armi clandestine e di munizioni.
  Tornando ai fatti del 2012, la Commissione disciplinare nazionale della FIGC accertò lo stretto rapporto esistente tra alcuni elementi di spicco della frangia di contestatori, autori degli episodi verificatisi in occasione della gara Genoa-Siena e Sculli, che subì la squalifica a un mese di inibizione perché in quella vicenda aveva svolto «il ruolo di portavoce del malcontento della frangia violenta della tifoseria all'interno dello spogliatoio, facendosi portatore, con i compagni di squadra, dei messaggi a contenuto intimidatorio da questa provenienti. (...) Libero lo Sculli di avere le frequentazioni che preferisce e di accettare il rischio delle eventuali conseguenze negative, quelli descritti configurano, però, comportamenti che violano i principi di lealtà, correttezza e probità che devono improntare i comportamenti dei tesserati e degli atleti nei rapporti comunque riferibili all'attività sportiva» (72).
  In particolare erano emersi i rapporti sempre con Massimo Leopizzi – che continuò a frequentare Sculli anche dopo che questi passò alla Lazio (73), come emerse durante l'inchiesta Last Bet sul Pag. 38calcioscommesse della procura di Cremona – e con un altro sedicente tifoso, Safet Altic, pluripregiudicato per reati di varia natura, anch'egli coinvolto nell'indagine di Cremona, allora detenuto per traffico internazionale di stupefacenti, e che in passato è stato «un fiancheggiatore della cosca siciliana dei «Fiandaca» operante a Genova, per la quale curava anche le riscossioni di crediti e interessi usurari e criminali di vario tipo, comprensive di quelle riguardanti scommesse clandestine, del quale il clan risultava essere il gestore principale nel capoluogo ligure» (74).
  Il gruppo della Brigata Speloncia «tende un po’ a farla da padrone, anche dopo i fatti di Genoa-Siena. In che modi ? Per esempio, questi si impongono dietro minaccia implicita, o comunque anche solo per le loro caratteristiche e per il loro pedigree. Parafrasando un po’ le situazioni di criminalità organizzata, ma soltanto a titolo esemplificativo, esercitano un potere intimidatorio per condizionare le scelte della società, sia per fatti banali, come, per esempio, pretendere che i giocatori vadano a manifestazioni o eventi di tipo ludico o a feste particolari, perché, anche quando questi non ne avrebbero nessuna voglia o non potrebbero farlo, devono andarci. Non lo dico a caso perché c’è stato uno episodio, che ha dato luogo, secondo una certa ricostruzione, a una reazione pubblica anche dell'allenatore precedente del Genoa, il signor Gian Piero Gasperini, che è una persona, per quello che ne sappiamo noi, di grande professionalità e anche di grande rigore sportivo, il quale, a un certo punto, ha reagito, evidentemente non disponibile a sopportare certi ambienti e certi atteggiamenti, e ha fatto delle pubbliche affermazioni (...)  (75). Il tecnico Gasperini, infatti, qualche anno dopo – il 16 gennaio 2016 per la precisione, al termine di Genoa-Palermo – fece addirittura un intervento pubblico in conferenza stampa criticando apertamente e con coraggio questi soggetti, sempre gli stessi: «Posso dire che ho un concetto dei tifosi del Genoa molto più alto che quello di Leopizzi o di Cobra [Pellizzari] o di Traverso. Credo che la gradinata sia una cosa migliore. Quando ho visto questi mi è venuto in mente Criscito, mi sono venute in mente le magliette di Sculli. Io identifico i tifosi del Genoa in un altro modo, non con queste persone con cui ho avuto dei problemi. Io mi defilo e mi dispiace che pochi di voi lo facciano. Anzi, gli date pure spazio. Io mi metto da parte. Io, quando il Genoa perde, sto molto male. Invece c’è gente che quando il Genoa perde sta molto bene e diventa protagonista, acquisisce spazio su giornali e televisioni e viene identificata come «i tifosi del Genoa». Io ho un concetto completamente diverso e anche un rispetto completamente diverso». Peraltro, l'esempio del tecnico ebbe i suoi effetti positivi. In occasione di Genoa-Udinese del 21 febbraio 2016, infatti, quando questi gruppi di facinorosi esposero striscioni di contestazione nei confronti del presidente Preziosi e di Gasperini, il resto del pubblico reagì con veemenza contestando gli stessi contestatori.
  Secondo il procuratore Cozzi, quindi, «un primo atteggiamento è quello di imporre certi comportamenti. Un altro è quello di imporre Pag. 39il proprio potere contrattuale, per esempio, garantendo, da un lato, il controllo della tifoseria e «l'ordine pubblico» nello stadio, quindi non ti faccio avere incidenti e ti garantisco una certa tranquillità, però, in cambio, voglio avere delle cose: voglio avere dei gadget, voglio avere dei biglietti e voglio avere dei compensi magari per altre attività, che vengono svolte intorno alle manifestazioni sportive o agli allenamenti.(...) Naturalmente questi signori, per un certo numero e appunto per le caratteristiche anche soggettive che hanno alcuni di loro, sono in grado effettivamente di assumere atteggiamenti intimidatori, come intervenire nello stadio degli allenamenti, quello di Genova a Pegli, in 40 o 50, strigliando magari i giocatori per lo scarso impegno»  (76).
  Nonostante la presenza significativa e il radicamento in Liguria, da Ponente a Levante, di gruppi locali di ‘ndrangheta, che con il tempo hanno esautorato gli altri gruppi mafiosi «storici» tradizionali, di cosa nostra e della camorra, attualmente, non ci sono elementi, secondo il procuratore per ritenere che ci siano infiltrazioni di criminalità organizzata di tipo tradizionale: «considerato il contesto, non c’è nessun elemento che consenta di dire, soprattutto con riguardo agli ‘ndranghetisti, che ci siano collegamenti. Quello della tifoseria organizzata è un fenomeno tipicamente calcistico e tipicamente ligure, però, secondo noi, ha il significato di replicare, in questi settori, comportamenti di tipo criminale organizzato, perché, di fatto, si traduce in comportamenti di condizionamento continuo, con la presenza costante di questi gruppi, che si autoreferenziano come tutori dell'ordine o dello svolgimento e dell'organizzazione di attività sportive, in modo assolutamente improprio e inaccettabile» (77).
  Sono necessarie, infine, alcune considerazioni sul tema dei rapporti tra la società e questi personaggi. Alcuni anni or sono Massimo Leopizzi è stato arrestato, in possesso di due armi da fuoco, mentre si stava recando con intenti minacciosi dalla moglie e dai suoceri. In quella occasione gli è stata sequestrata, presso la sua abitazione, la registrazione – effettuata per evidenti fini ricattatori – di un «colloquio», al quale egli era presente, tra gli ultras e il presidente del Genoa, Enrico Preziosi. La registrazione, che è stata trascritta ed è stata utilizzata a dibattimento nel processo penale, aveva ad oggetto la presunta compravendita della partita Genoa-Venezia dell'11 giugno 2005 e di altre precedenti, e da essa emerge un rapporto certamente ambiguo, di connivenza e allo stesso tempo di soggezione nei confronti di questi soggetti, Leopizzi in particolare (78).Pag. 40
  Peraltro, nel corso di questo incontro con soggetti pluripregiudicati, il presidente Preziosi è incalzato su presunte responsabilità penali da un soggetto come Leopizzi con frasi del tipo «però mi dica la verità ! Qui non siamo davanti a pubblici ministeri (79)», oppure «quando lei venne e ci disse ‘Me le compro tutte, me le sono comprate tutte’ nessuno le disse nulla ! Va bene ? Niente. Ci sta, poteva anche starci bene, ci siamo fatti il giuramento del silenzio, un patto di sangue Presidente, solo lo sappia bene, rimarrà un patto di sangue !» (80).
  Dall'analisi delle inchieste che hanno coinvolto in passato il Genoa, il presidente Preziosi appare al centro di una rete di relazioni di cui gli ultras erano parte integrante e tale rapporto con la tifoseria, peraltro, è emerso solo per la presenza di un'attività di intercettazione o a causa del ritrovamento della registrazione a casa di Leopizzi. Colpisce che questi fatti non siano stati riferiti alla Commissione in audizione, almeno come ricordo, dal presidente Preziosi, che si è invece limitato a escluderli del tutto, gettando un'ombra anche sul presente: «ENRICO PREZIOSI, presidente del Genoa CFC. Per quanto mi riguarda, in realtà, mi trovo leggermente in imbarazzo a parlare di queste cose, nel senso che, pur capendo l'importanza di questa inchiesta, francamente, mi posso solamente limitare a tutte le circostanze relative a quelle che sono le mie conoscenze riguardo ai rapporti con la tifoseria. Devo dire che, tra l'altro, i miei rapporti con la tifoseria, soprattutto in questi ultimi anni, non sono semplici. Sono anche molto complicati. Ci sono cartelloni «Preziosi, vattene» dappertutto. È un rapporto con la tifoseria, soprattutto con quella organizzata, molto difficile. Per quanto mi riguarda, il discorso dei rapporti con la dirigenza, la società e determinate organizzazioni di tifosi per noi è abbastanza semplice. Io questo rapporto proprio non lo conosco, nel senso che non c’è mai stata una relazione tra la tifoseria organizzata e la società. Quindi, saprei veramente dire poche cose» (81). Pag. 41
  Successivamente, sempre in audizione, rispondendo a domande specifiche, sia il presidente Preziosi sia l'amministratore delegato Zarbano hanno decisamente preso le distanze da Leopizzi (82), che è considerato come un soggetto da tenere lontano dall'ambiente societario. Tuttavia, una zona grigia permane, anche per le risposte sul tema dei presìdi posti dalla società a propria tutela nei confronti di questi soggetti, in particolare quando si fa presente che il titolare di una società che fornisce il servizio di hostess in tribuna VIP è in qualche modo legato allo stesso Leopizzi (83):

  «PRESIDENTE. Vi risultano rapporti tra Leopizzi e l'albanese Marashi Artur, che è responsabile...

  ALESSANDRO ZARBANO, amministratore delegato del Genoa CFC. So che si conoscono sicuramente. Questo lo so.

  PRESIDENTE. Un rapporto di conoscenza generico.

  ALESSANDRO ZARBANO, amministratore delegato del Genoa CFC. Poi che tipo di rapporto abbiano non lo so. Probabilmente sarà un rapporto anche forte, però – ripeto – volutamente non voglio, né io personalmente, né chi lavora per la società che abbia rapporti con il signor Leopizzi.

  ENRICO PREZIOSI, presidente del Genoa CFC. Diciamo che ha interdetto qualsiasi forma. Credo che lui non appaia neanche molto.

  PRESIDENTE. Vorremmo sapere se vi siete chiesti se magari appare anche attraverso altre persone, cioè se la sua influenza continua a esercitarla, per esempio, attraverso... il titolare...

  ENRICO PREZIOSI, presidente del Genoa CFC. Attraverso delegati.

  PRESIDENTE. Attraverso i delegati, sì. Si chiamano «prestanome» in gergo» (84).

Pag. 42

  Artur Marashi non è un personaggio qualunque: Marashi è stato arrestato in flagranza per estorsione in data 16 dicembre 2009 (85) insieme ad Arcangelo Condidorio, arrestato in data 24 giugno 2011 per associazione di tipo mafioso, e al figlio Fabio Condidorio, con precedenti anche per spaccio di stupefacenti e usura. Nel 2012, inoltre, venne sottoposto a intercettazioni insieme a Sculli, Leopizzi e altri capi ultras nell'ambito delle indagini successive a Genoa-Siena. Egli risulta peraltro essere in contatto anche con il già citato pluripregiudicato Safet Altic.
  Desta pertanto perplessità l'affidamento di servizi per gli ingressi in tribuna vip proprio alla società il cui titolare ha avuto tali trascorsi e che è in contatto con un soggetto come Leopizzi, con il quale il Genoa dichiara di non voler avere più rapporti.
  Uno spaccato sulla realtà della tifoseria della Lazio è stato, invece, offerto dalle audizioni svolte dal Capo della Polizia (86), e dal presidente della società Claudio Lotito (87). Gli auditi hanno ricordato che a metà degli anni 2000, un gruppo delinquenziale riconducibile alla camorra dei casalesi aveva tentato di acquistare un pacchetto significativo delle quote azionarie della Lazio Calcio, attraverso il riciclaggio di denaro di provenienza illecita. Questa vicenda fu seguita dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli e dalla procura di Roma, con la collaborazione della Digos e della Guardia di finanza e portò alla richiesta di arresto di una serie di soggetti, tra cui l'ex capitano della squadra biancoceleste, Giorgio Chinaglia, successivamente deceduto da latitante negli Stati Uniti nel 2012, unitamente ai leader del gruppo ultras denominato «irriducibili». Per il reato di tentata estorsione (88) nei confronti del presidente della Lazio, Claudio Lotito, sono stati infatti condannati Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, pregiudicato per traffico di stupefacenti già sottoposto a misura di prevenzione, e Paolo Toffolo, altro «capo tifoso», insieme ad altri esponenti del medesimo gruppo ultras. In particolare, i tifosi si erano resi responsabili di una serie di episodi di violenza e di minacce, ricorrendo anche a ordigni esplosivi, nei confronti del nuovo presidente della Lazio, Claudio Lotito, di suoi familiari e di persone a lui vicine, allo scopo di costringerlo a cedere a terzi le proprie quote della società. Inoltre, questo gruppo aveva orchestrato una «crescente campagna diffamatoria, di contestazione e di intimidazione (89)» nei confronti dello stesso presidente – «tale da operare una pressione psicologica costante sul medesimo (90)», anche tramite un'emittente radiofonica («la voce della nord») – e aveva compiuto ulteriori atti intimidatori gravi, ad esempio quello nei confronti della presidente del Pag. 43coordinamento Lazio club onlus, Teresa Iannaccone, perché troppo «in linea» con la gestione Lotito (91).
  Ciò che colpisce di più della vicenda sono le motivazioni che muovono gli ultras. Al riguardo recita la sentenza: «Certamente la campagna di contestazione nei confronti di Lotito in quegli anni ebbe ragioni legate al sostegno sportivo della squadra, e molte delle scelte compiute da quella nuova gestione vennero ritenute pregiudizievoli per la squadra sotto un profilo tecnicamente calcistico. Ma non solo. Esiste, infatti, un indubbio interesse economico al mantenimento dei privilegi, o comunque delle prassi vantaggiose, esistiti durante l'intera durata della gestione Cragnotti. Oltre alla dazione dei biglietti da poter rivendere ai tifosi, oltre al pagamento del materiale per le coreografie, esiste una realtà finanziaria concreta rappresentata dalla sopravvivenza, via via diventata sempre più difficile, degli esercizi commerciali denominati Original Fans» (92). Dalle intercettazioni telefoniche «emergono inequivocabili le ragioni sostanziali sottese all'avversione manifestata nei confronti di Lotito, legate al timore per la sorte degli esercizi commerciali di vendita dell'oggettistica biancoceleste» (93). Tali motivazioni erano già emerse nel corso dell'audizione del presidente Lotito, che ha dichiarato che aveva deciso di non finanziare più le coreografie della tifoseria – circa 25 mila euro a partita – e di gestire in modo diverso rispetto alla dirigenza precedente la vendita dei biglietti, la loro cessione gratuita e il merchandising della squadra, sottraendoli alla diretta gestione degli ultras che si vedevano privati, in tal modo, di lucrosi affari. Tali capi ultras, inoltre, prima del suo arrivo, secondo il presidente della Lazio, non avrebbero mancato di esercitare la loro influenza intimidatoria in modo evidente recandosi, ad esempio, al centro di allenamento di Formello insieme a 300-400 persone per protestare contro i risultati della squadra, per sollecitare l'inserimento in campo di un giocatore piuttosto che di un altro, ovvero per condizionare sensibilmente l'autonomia decisionale dell'allenatore e dei dirigenti sportivi. All'interno della compagine degli «irriducibili» vi sono persone con significativi precedenti penali, ad esempio con condanne per traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione di armi, legami con personaggi mafiosi – circostanza emersa anche durante l'inchiesta «mondo di mezzo» condotta dalla procura di Roma – e con frange politiche dell'estrema destra. Nell'ambito delle indagini sul sodalizio criminale denominato «mafia capitale» guidato da Massimo Carminati è emersa, con prepotenza, la figura di Piscitelli: «Le risultanze delle investigazioni operate in seno a quel procedimento penale, qui solo parzialmente tratteggiate, permettevano tuttavia di trarre alcuni punti fermi: è infatti palese che, nel patrimonio esperienziale e di conoscenza di soggetti quali Vecchioni Marco, Macori Roberto e Mazzalupi Ferdinando, tutti dotati di autonomo e caratterizzante spessore delinquenziale, e tutti ben a conoscenza delle dinamiche che animavano le attività criminali su Pag. 44ponte Milvio, ci fossero delle comuni convinzioni riguardo gli equilibri e la spartizione territoriale di quella zona. Tutti erano infatti concordi nell'affermare che su ponte Milvio opera una batteria particolarmente agguerrita e pericolosa con a capo Piscitelli Fabrizio alias Diabolik e della quale facevano parte soggetti albanesi quali Kolaj Orial alias «il pugile», Zogu Arben alias «Riccardino» e Shelever Yuri; che la predetta batteria era al servizio dei «napoletani» ormai insediatisi «a Roma nord», tra cui i fratelli Esposito, Salvatore e Genny, facenti capo a Michele Senese» (94). L'origine dell'iter criminale di Michele Senese si colloca all'epoca della guerra di camorra che negli anni ‘70 ha visto contrapposte la «nuova camorra organizzata» di Raffaele Cutolo e la «nuova famiglia» di Carmine Alfieri. Senese ha fatto parte della compagine criminale del clan Moccia inserita nella «nuova famiglia». Negli anni ‘70 si trasferisce a Roma e qui crea una rete di rapporti con esponenti apicali della banda della Magliana. È pregiudicato per molteplici reati il suo soprannome è «Michele ‘o pazzo», poiché ha per anni evitato il carcere grazie a perizie mediche che lo dichiaravano affetto da patologie psichiatriche. Ha costituito negli anni assieme ai fratelli Gennaro (assassinato da Francesco Carlino il 17.09.1997) e Angelo, un sodalizio criminale operante nei quartieri sud est della capitale tra il Quadraro, la Tuscolana e Tor Bella Monaca. Attualmente è detenuto e sta scontando una condanna a 30 anni per aver ordinato l'omicidio di Giuseppe Carlino (fratello dell'assassino di Gennaro Senese).
  In una situazione come quella di Roma, l'ulteriore elemento rilevante emergente – che non attiene direttamente all'oggetto dell'inchiesta, ma che va necessariamente segnalato – è quello della curva quale luogo di aggregazione e fucina dell'estremismo politico di destra.
  A tale riguardo, giova ricordare la figura di Marco Turchetta alias «Orso» o «Turco», leader degli Irriducibili della Lazio legato allo stesso Piscitelli. Nell'ambito dell'inchiesta del GICO di Roma denominata Luna Nera e scaturita nell'esecuzione, il 16 giugno 2017, di numerose misure cautelari, per delitti aggravati dal metodo mafioso, veniva colpito un pericoloso sodalizio criminale. Il gruppo criminale era guidato da Alessandro Presutti, che risulta essere intimo amico di Marco Turchetta, indagato nel medesimo procedimento per intestazione fittizia di beni.
  Turchetta svolge, a tutt'oggi, un ruolo importante negli Irriducibili della Lazio e risulta collegato a esponenti di spicco della destra estrema di Roma come Giuliano Castellino, leader della formazione neofascista «Roma ai romani», più volte arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, sottoposto, recentemente, all'applicazione della misura della sorveglianza speciale e tra i leader dei «nazional romanisti». Turchetta è legato altresì a Maurizio Boccacci pluripregiudicato esponente neo fascista, amico di Massimo Carminati.
  Inoltre Turchetta – che nel 2003 fu colpito da misura custodiale del tribunale di Milano in un'indagine per traffico di stupefacenti coordinata dal centro DIA di Roma – risulta anch'egli contiguo al boss Michele Senese, come è emerso nel corso del dibattimento contro la consorteria camorristica – attiva nell'area Tuscolana – guidata da Pag. 45Domenico Pagnozzi. Il 10 ottobre del 2017 Turchetta veniva tratto in arresto per traffico di stupefacenti nell'ambito di un'articolata indagine della DDA di Roma.
  Secondo quanto dichiarato dal presidente della Lazio alcuni elementi appartenenti a questo e ad altri gruppi ultras, legati da un forte spirito di aggregazione, sarebbero utilizzati anche per il compimento di attività illecite e criminali svolte fuori dallo stadio, come ad esempio il recupero crediti, lo spaccio di sostanze stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione. Gli stessi capi tifosi – ha dichiarato Lotito – spesso fanno parte di un sistema più ampio di malavita organizzata. Dinanzi alla Commissione, anche il presidente della Lazio ha dichiarato di aver assunto un atteggiamento di totale rifiuto di qualsiasi compromesso o accordo con le frange più violente della tifoseria laziale, al fine di evitare qualsiasi forma di legittimazione, di continuare a denunciare le minacce che subisce anche da esponenti estranei alla tifoseria locale, alle autorità di pubblica sicurezza. Lotito ha escluso di avere avuto rapporti diretti con i capi supporters della sua squadra, tranne un incontro avvenuto in un luogo pubblico agli inizi della sua presidenza, e di gestire la relazione con questi ultimi, avvalendosi, da circa due anni, dell'intermediazione del Support Laiason Officer (SLO).
  Secondo Lotito, l'approccio fermo e radicale assunto dalla sua presidenza, il «preferire la legalità al consenso», unitamente a una maggiore presa di coscienza da parte delle forze di polizia e della magistratura della gravità di certe situazioni, non ascrivibili meramente al perimetro dei cosiddetti «reati da stadio», l'applicazione di misure restrittive particolarmente severe accompagnate da sanzioni pecuniarie e dal sequestro di beni e denaro, avrebbe contribuito in tempi recenti a cambiare sensibilmente la situazione anche se lo stesso dirigente ha sostenuto che quello del mondo degli ultras è un contesto caratterizzato da un «equilibrio precario» dove il venire meno di certe figure ritenute carismatiche ed influenti, anche a seguito dei conti che queste devono saldare nei confronti della giustizia, può aprire degli spazi che altri sono interessati a occupare, ricorrendo anche ad azioni violente e dimostrative.
  Tuttavia, non si può non rilevare, in questa sede, che la posizione di intransigenza mostrata dalla società per molti anni, fin dal momento del subentro nella proprietà, risulta indebolita nei confronti dei gruppi ultras dalle recenti decisioni prese in tema di biglietti, almeno dal punto di vista dell'immagine.
  In occasione della partita Lazio-Cagliari del 22 ottobre 2017, la Lazio doveva scontare una squalifica inflitta dal giudice sportivo, che aveva stabilito di chiudere la curva nord per due giornate dopo i cori razzisti nei confronti di due giocatori del Sassuolo. Appare infatti incomprensibile e in contrasto con le vicende passate dal Presidente Lotito all'inizio della sua presidenza la decisione di mettere in vendita in quell'occasione, al prezzo di un euro, i biglietti della curva sud, settore tradizionalmente riservato ai tifosi della Roma. Gli ultras abbonati della curva nord, hanno immediatamente approfittato di questa situazione per acquistare tali biglietti e per imbrattare – durante la partita – il settore della curva sud con adesivi razzisti e antisemiti (la nota e triste vicenda delle immagini di Anna Frank). Pag. 46Sebbene esista un filone giurisprudenziale per il quale le società, in caso di squalifica di un settore, non possono impedire ai singoli abbonati di acquistare un biglietto in un altro settore dello stadio, l'abbassamento del prezzo a un euro è una facilitazione della società ai gruppi ultras, che consente di aggirare la sanzione ad essi comminata e che lascia una sensazione di ambiguità nei rapporti con la stessa tifoseria.
  Al riguardo, la procura federale della FIGC, dopo aver aperto un procedimento sulla vicenda dei biglietti al fine di valutare eventuali violazioni del codice di giustizia sportiva da parte del presidente Lotito e della società, ne ha disposto l'archiviazione.
  Gli ultras laziali autori dell'inqualificabile gesto hanno potuto registrare la solidarietà di Forza Nuova e di Giuliano Castellino (95) leader di «Roma ai romani» e tifoso giallorosso, a testimonianza del fatto che la contrapposizione fra le tifoserie è più apparente che reale, e trova momenti di significativa unità e condivisione su temi come la violenza e il razzismo.
 Insorge il dubbio che tra le tifoserie della Roma e della Lazio esista allo stato una sorte di «armistizio- collaborativo». In apparenza si rileva un clima di contrasto e di scherno tra le opposte tifoserie, laddove invece tra le frange degli ultras esistono rapporti che si concretizzano in manifestazioni di contestazione alle istituzioni e alle forze di polizia.
  Tale collaborazione si è già manifestata molti anni fa. Si ricordano gli scontri del 20 novembre 1994, nei quali rimase in fin di vita il vicequestore Giovanni Selmin, o i gravissimi fatti di guerriglia urbana dell'11 settembre del 2007 concretizzatisi negli assalti alla caserma del reparto volanti di via Guido Reni, della stazione dei carabinieri di Ponte Milvio, della caserma dei carabinieri «La Bulgarella» di viale Pinturicchio e del CONI. Secondo la Corte di cassazione si trattò «di una diffusissima, azione violenta portata a compimento da un gruppo cospicuo di persone in modo particolarmente incisivo tanto da potersi definire alla stregua di guerriglia urbana, cagione di danneggiamenti plurimi e gravi (96)». La rete di forte solidarietà tra le tifoserie ultras travalica i confini della città ed è cementata dalla comune appartenenza alla categoria di ultras «duri e puri» e dall'odio per le forze dell'ordine sintetizzato nell'acronimo ACAB (97).
 Per completare il quadro delle risultanze dei lavori della Commissione, giova accennare anche alla situazione del Latina calcio, a cui si è fatto riferimento per la parte sportiva nell'audizione del procuratore federale FIGC, Giuseppe Pecoraro (98).
 Nel corso di numerose indagini della squadra mobile di Latina e del nucleo investigativo del comando provinciale dell'Arma dei carabinieri emergevano i rapporti tra esponenti apicali della malavita organizzata di Latina e il presidente pro tempore dell'US Latina Calcio, Pasquale Maietta, eletto alla Camera dei deputati. Si trattava sia di inchieste Pag. 47volte al contrasto della criminalità organizzata, sia di indagini che disvelavano gravi delitti nel contesto della pubblica amministrazione (indagine Olimpia). Scrive il gip di Latina Mara Mattioli nella misura custodiale emessa a carico di numerosi soggetti nell'ambito dell'inchiesta Olimpia: «La forte influenza del Maietta sull'attività amministrativa deriva non solo dalla carica da lui rivestita (deputato del Parlamento italiano) ma anche dagli stretti legami di quest'ultimo con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata locale, particolarmente violenta, a cui risulta essere parimenti assoggettato il Comune di Latina; si tratta di soggetti che operano a loro volta nelle locali società calcistiche dilettantistiche beneficiando anch'essi di strutture sportive e del sostegno logistico Comune; soggetti che peraltro rappresentano il braccio armato della tifoseria del Latina Calcio (99).È il caso di Di Silvio Costantino alias "cha cha», pluripregiudicato della omonima famiglia rom criminale del capoluogo pontino imparentata con i Casamonica, che – come si dirà – intima e ottiene dal funzionario Deodato Nicola la riparazione delle caldaie degli spogliatoi del campo Sportivo di Campo Boario in uso alla squadra AS Campo Boario presieduta dall'altro pluripregiudicato Tuma Gianluca (100). Ebbene Di Silvio Costantino e Tuma Gianluca sono stati recentemente destinatari di ordinanza di custodia cautelare a seguito dell'operazione della Polizia di Stato di Latina denominata Don't touch della procura della Repubblica di Latina (proc. N. 11929/15 R.G.N.R.) per il reato di cui all'articolo 416 c.p. finalizzato alla commissione di reati di usura, estorsione e reati in materia di armi, stupefacenti e intestazione fittizia di beni (processo recentemente definito in primo grado). Nell'ambito del citato procedimento sono stati monitorati i loro legami con Maietta Pasquale (indagato in quel procedimento per il reato di violenza privata), non solo nella gestione del Latina Calcio, ma anche per risolvere, attraverso metodi intimidatori, questioni personali del Maietta; intorno alla tifoseria del Latina Calcio ruotano poi pregiudicati violenti dediti anche a traffici di stupefacenti nelle sedi della citata tifoseria» (101). Come ha riferito il procuratore federale FIGC Pecoraro: «Abbiamo aperto un procedimento disciplinare nei confronti della società Latina e in particolare dell'ex presidente, Pasquale Maietta, dell'allenatore Marc Iuliano e di alcuni calciatori, Crimi e Bruno. Questi procedimenti tengono conto di un rapporto particolare, di protezione, da parte di Vitale e Di Silvio, detto «Cha cha» a Latina, perché questi giocatori frequentavano Di Silvio e c'era una sorta di protezione dello stesso di Silvio nei confronti della società Latina, tant’è che decideva anche chi dovesse entrare in curva» (102).
  Passando al quadro normativo e organizzativo sul tema della sicurezza negli stadi, un primo elemento di riflessione riguarda l'attuale ripartizione di competenze fra risorse istituzionali e soggetti privati come le società di calcio. Da un regime di monopolio affidato Pag. 48alle sole forze di polizia si è passati ad un modello in cui gli enti organizzatori degli eventi, e quindi le società di calcio, diventano protagonisti attivi del dispositivo sicurezza con proprie responsabilità la cui massima espressione sono le figure degli steward all'interno degli impianti.
  Il decreto del Ministro dell'interno 8 agosto 2007 (103), che attua il decreto-legge n. 8 del 2007, si adegua alla risoluzione del Consiglio dell'Unione europea del 4 dicembre 2006 (104), fissando il principio secondo il quale le società organizzatrici delle competizioni sportive di calcio professionistico, in impianti con capienza superiore a 7.500 posti, sono responsabili dei servizi finalizzati al controllo dei titoli di accesso, all'instradamento degli spettatori e alla verifica del rispetto del regolamento d'uso dell'impianto, attraverso propri addetti, gli steward, assicurandone la direzione e il controllo da parte del responsabile per il mantenimento della sicurezza degli impianti sportivi (105). La figura dello steward è stata, successivamente, rafforzata con il decreto del Ministro dell'interno del 28 luglio 2011 che prevede la possibilità che agli stessi steward possano essere affidati servizi ausiliari di polizia per il cui espletamento non è richiesto l'esercizio di pubbliche potestà o l'impiego operativo di appartenenti alle forze di polizia (106).
  Gli steward operano dopo avere conseguito una specifica attestazione nell'ambito dei corsi di formazione, previo assenso del questore e sotto la costante supervisione degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza preposti agli specifici servizi. Per comprendere appieno la funzionalità e le criticità del servizio di stewarding, sono state di estremo interesse le audizioni presso il Comitato dei rappresentanti di Juventus, Napoli, Lazio e Genoa intervenuti in tema di misure di sicurezza durante le manifestazioni sportive. La formazione può essere svolta direttamente dalle società o essere affidata a soggetti esterni (107). L'obiettivo comune è quello di garantire l'attuazione dei Pag. 49dispositivi di sicurezza con particolare riguardo per gli eventi più a rischio. La sussistenza dei requisiti soggettivi è autocertificata dagli aspiranti steward e successivamente verificata dalla prefettura. L'operato degli steward è soggetto al controllo della prefettura, se uno di loro omette un controllo dovuto è passibile, in solido con la società, di sanzione pecuniaria comminata dal prefetto.
 Altra figura di recente istituzione è quella del supporter liaison officer (SLO) (108). Solo nel 2015 la FIGC ha esteso l'obbligo di prevedere la figura dello SLO a tutte le serie di calcio professionistico (109). Obiettivo perseguito attraverso l'introduzione dell'obbligatorietà della figura dello SLO è, principalmente, proprio quello di migliorare o avviare un dialogo costruttivo tra tifosi e club(110). Il presidente dell'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, dott.ssa Daniela Stradiotto (111) ha ben evidenziato che, in un percorso di recupero del calcio come divertimento, la valenza strategica dello SLO rischia di essere compromessa da un atteggiamento ambiguo di alcune società sulla necessità della concreta istituzione di questa figura o dalla individuazione, in concreto, del profilo professionale adeguato cui affidare tale ruolo.
 In tema di sicurezza, il cardine del sistema previsto dalla normativa è il gruppo operativo sicurezza (GOS), che consente la condivisione di tutti gli aspetti legati all'incolumità degli spettatori (112). È un Pag. 50organismo in seduta permanente, si riunisce con congruo anticipo rispetto all'inizio del campionato, per l'esame delle tematiche generali e l'approvazione delle misure da adottare per l'intera stagione sportiva.
 Per i singoli eventi, le società forniscono in questa sede una propria valutazione, si instaura un contraddittorio con i componenti del GOS: sono valutati e condivisi l'organico di steward da mettere in campo, le strategie operative, è redatto un piano operativo degli steward che, a loro volta, dovranno trasferire a tutto il personale il dispositivo previsto per quella specifica partita e sottoscritto da tutti i partecipanti. Il piano riporta il dettaglio area per area la dislocazione dello stewarding. Prima della partita si effettua un'ultima verifica sull'adeguatezza del piano operativo; le ultime verifiche vengono effettuate poche ore prima dell'evento con lo scambio delle informazioni più attuali. I cancelli vengono aperti due ore prima l'inizio della partita e dopo la fine della partita dirigenti del settore sicurezza e steward fanno il consuntivo su cosa ha funzionato o meno.
 L'afflusso dei cosiddetti «striscionisti» avviene prima dell'ingresso del pubblico per potere effettuare controlli più accurati, il loro materiale viene aperto sul piazzale di fronte al prefiltraggio, con le telecamere che riprendono, viene visionato, viene richiuso e vengono autorizzati a portarlo in tribuna. Alcune società, come la Juventus, il Sassuolo e l'Udinese hanno lo stadio di proprietà ma anche le società che ne usufruiscono in concessione comunale per il giorno della partita sono chiamate a fornire un significativo contributo alla sicurezza. Il giorno della gara, almeno un'ora prima dell'apertura dei varchi di accesso all'area riservata, il GOS assume anche la funzione di centro per la gestione della sicurezza della manifestazione sportiva, costituito dagli enti componenti del GOS e coordinato dall'ufficiale di pubblica sicurezza designato dal questore. La gestione dell'ordine pubblico è seguita dalle forze di polizia, qualsiasi decisione comunque viene presa dal dirigente del GOS, comandato di servizio dal questore ma le società offrono un importante contributo.
 Oltre all'introduzione dei citati strumenti, dinanzi agli scenari violenti legati ai gravi episodi d'intemperanza che hanno funestato il calcio alcuni anni fa in Italia è stato avviato un percorso di rivisitazione e ampliamento della normativa di settore. Con legge 13 dicembre 1989 n. 401 è stato introdotto nel nostro ordinamento il «divieto di accesso alle manifestazioni sportive» (d.a.spo.), una misura di prevenzione atipica che prescinde dall'avvenuto accertamento giudiziale della responsabilità. Il Daspo può essere disposto dal questore nei confronti delle persone che, negli ultimi cinque anni, risultano denunciate o condannate anche in via non definitiva per una Pag. 51serie di reati specificamente elencati (113). Il divieto può applicarsi anche a coloro che negli ultimi cinque anni, risultano denunciati o condannati, anche in via non definitiva, per aver preso parte attiva, in Italia o all'estero, a episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive o che, nei medesimi contesti abbiano incitato, inneggiato od indotto altri alla violenza (114).
 La durata, fissata in un periodo da un anno a cinque anni secondo le modifiche volute dal decreto legislativo n. 41 del 2007, può oggi essere aumentata fino a otto anni nei casi più gravi. Al provvedimento inibitorio può essere abbinata la prescrizione dell'obbligo di comparire una o più volte nell'ufficio o comando di polizia competente nel corso della giornata in cui si svolge la manifestazione sportiva. Quest'ultima prescrizione, in quanto incidente sulla libertà personale, deve essere immediatamente comunicata dal questore al procuratore della Repubblica competente e questi, ove ne ravvisi le condizioni applicative, deve chiedere la convalida della misura al giudice per le indagini preliminari entro 48 ore dalla notifica del provvedimento.
  La rilevazione statistica effettuata al 30 giugno 2015, pubblicata nel rapporto annuale 2015(115) dall'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, evidenzia che, sull'intero territorio nazionale, risultano attivi 5.040 provvedimenti Daspo (116), di cui 4.848 emessi in occasione di partite di calcio (117). Relativamente alla stagione sportiva 2014-2015, ne sono stati irrogati 2.238 (di cui 2.160 relativi al calcio), rispetto ai 2.472 adottati in quella precedente 2013-2014 Pag. 52(2.346 relativi al calcio), con un decremento pari al 9,5 per cento. La stagione sportiva, come riportato nel citato rapporto, è stata caratterizzata dalla irrogazione di 1.769 provvedimenti conseguenti alla commissione di reati specifici (fatti criminosi compiuti in occasione di partite di calcio o in contesti direttamente riconducibili agli incontri sportivi), mentre ne sono stati irrogati 276 quale misura di prevenzione, 85 a titolo di pena accessoria dall'Autorità Giudiziaria e 30 nell'ambito dell'attività di contrasto alla xenofobia (legge Mancino).
  Analizzando l'andamento dei disordini, avvenuti in occasione di incontri di calcio, si rileva, anche quest'anno, una prevalenza di provvedimenti Daspo irrogati a seguito di episodi avvenuti all'interno degli impianti sportivi. Permangono, tuttavia, come nelle passate stagioni, fatti criminosi commessi anche in luoghi diversi.

  Infine, in relazione ai ricorsi, il monitoraggio dei provvedimenti Daspo sospesi/revocati nel corso della stagione sportiva 2014-2015, effettuato attraverso i dati disponibili sullo SDI, evidenzia, con riferimento alle due precedenti stagioni, una diminuzione della percentuale delle diffide sospese o revocate dalla giustizia amministrativa, come si rileva dalla tabella di seguito riportata.

  Il dato sulle revoche va, tuttavia, valutato anche tenendo conto di quanto riferito nel corso dell'audizione della dott.ssa Stradiotto presso il IX Comitato, nel corso della quale si è fatto riferimento a un'incidenza significativa di mancate convalide del provvedimento con riferimento all'obbligo di presentazione all'ufficio di pubblica sicurezza (118). Allo stato la previsione dell'obbligo di firma, per il Pag. 53diffidato, ha carattere accessorio e strumentale al Daspo ed è connotato dalla funzione di assicurare l'effettiva osservanza del provvedimento del questore. Per l'applicazione dell'ulteriore misura di prevenzione dell'ordine di comparizione nell'ufficio di polizia competente è richiesto un quid pluris di pericolosità sociale, che siano esplicitate nel provvedimento le specifiche ragioni che fanno ritenere insufficiente l'adozione della sola misura di prevenzione del divieto di accesso agli stadi (119).
    A tale riguardo, la Commissione, pur nella consapevolezza delle «questioni aperte» sull'istituto del Daspo, come emerso negli specifici approfondimenti effettuati nel corso dei propri lavori – in tale ottica sono stati effettuati due sopralluoghi presso lo Stadio Olimpico di Roma e presso lo Juventus stadium di Torino – ritiene comunque necessario che si debba operare una riflessione molto puntuale, finalizzata a prevedere normativamente l'obbligo di firma dei soggetti sottoposti a Daspo durante lo svolgimento delle manifestazioni sportive e in modo particolare, considerata la particolarità del reato e le conseguenti caratterizzazioni socio-economiche, quando il provvedimento è stato emesso per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale, ovvero per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 13 maggio 1991, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 203 del 12 luglio 1991.
  Gli elementi raccolti dalla Commissione sulle infiltrazioni nei gruppi ultras e sull'adozione, da parte degli stessi, delle metodologie mafiose – per quanto, come già ricordato, la Commissione abbia potuto offrire solo un piccolo spaccato del mondo calcistico – sono già significativi di un sistema che va modificato profondamente. L'attività di impulso e di sensibilizzazione della Commissione svolta, attraverso le proprie audizioni, su tutte le istituzioni coinvolte, anche calcistiche, appaiono in una certa misura essere recepite dal protocollo d'intesa siglato il 4 agosto 2017 dal Ministro dell'Interno, dal Ministro per lo Sport, dal presidente del CONI, dal presidente della FIGC, dalle leghe di Serie A, Serie B e Lega Pro, dal presidente della Lega nazionale dilettanti, dal presidente dell'Associazione italiana calciatori, dal presidente dell'Associazione italiana allenatori calcio e dal presidente dell'Associazione italiana arbitri.
 In particolare, l'inchiesta della Commissione si pone i medesimi obiettivi finali individuati dal Ministro dell'interno che «ha dato l'incarico al Presidente dell'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, di concerto con la FIGC, con le leghe e le componenti calcistiche, di verificare se sussistano le condizioni per realizzare un rinnovato modello di gestione degli eventi calcistici», in modo da poter consentire di recuperare la dimensione sociale e partecipativa di questa disciplina sportiva, di contenerne i costi sociali (come ha affermato il Capo della Polizia, 165 mila uomini e donne impiegati in manifestazioni sportive nel campionato sono «un lusso che questo Paese non si può più permettere» (120)), di far tornare le famiglie allo stadio e di conseguire una sostenibilità economico–gestionale del sistema (su quest'ultimo punto, cfr. capitolo 3). L'obiettivo del Pag. 54protocollo è un modello di gestione «articolato in iniziative coerenti fra loro,... incentrato sui profili strutturali e organizzativi», che veda «l'inversione dei valori tonali del settore: non più il “divieto con eccezioni”, bensì “l'ammissione con eccezioni”, non più “l'esclusione”, bensì “l'inclusione”; il sistema di ticketing viene semplificato mediante la revisione della disciplina sulla tessera del tifoso e la responsabilizzazione delle società sportive; l'impiantistica, sulla scia del percorso già intrapreso dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, viene ridisegnata anche con la revisione dei regolamenti finalizzata alla riduzione delle barriere ed alla responsabilizzazione degli utenti». Le finalità del progetto sono, in qualche modo, supportate dai dati rilevati dall'attività di monitoraggio svolta dagli uffici del dipartimento della pubblica sicurezza dai quali è emerso che il totale delle partite professionistiche valutate «a rischio» dall'Osservatorio, nella stagione 2016/2017, è stato di 302 su 2044 disputate, ovvero il 14,7 per cento del totale, e dalla considerazione per cui tale dato può considerarsi consolidato in quanto in linea con il trend degli ultimi anni. Allo stesso tempo, però, la Commissione reputa che la realizzazione delle condivisibili finalità del protocollo dovrebbe tenere in adeguata considerazione le risultanze dei procedimenti istruiti e condotti dall'autorità giudiziaria, per cui gli stadi sono luoghi ove la criminalità organizzata offre modelli organizzativi adottati con successo dalla criminalità comune, connotata questa ultima da una carica di violenza che la criminalità mafiosa sta, in parte, surrogando con altre e più subdole modalità operative. La criminalità mafiosa usa lo stadio, a prescindere dall'autentica passione calcistica, certamente trasversale tra tutte le fasce della popolazione, come luogo ove fioriscono occasioni d'illecito guadagno – in genere, gestite inizialmente dai gruppi ultras – come vetrina ove accreditarsi come componente sociale, dove si ricerca il consenso e la riconoscibilità, le relazioni sociali come capitale strategico.
  Dal punto di vista del rapporto con i tifosi, in particolare, la Commissione ritiene che si debba seguire un doppio binario: da un lato, rafforzare l'efficacia dello strumento del Daspo, dall'altro, trovare un sistema per applicare le regole anche nelle curve, o comunque nei settori più caldi, perché questo elemento di «riappropriazione» del «territorio-stadio» da parte delle istituzioni e delle società sportive è assolutamente essenziale e propedeutico al recupero della dimensione sociale del calcio e la necessità di un contributo attivo di tutti era già ampiamente emerso nel dibattito in Commissione (121).
  Il rispetto delle regole deve essere perseguito anche in quei settori nei quali oggi si lascia mano libera ai gruppi ultras. Lo stesso protocollo sottoscritto dal Governo e da tutte le istituzioni calcistiche, Pag. 55in questo senso, indica una strada da percorrere che la Commissione considera positivamente: «Le società sportive organizzeranno le proprie ticketing policies riservandosi l'opzione di condizionare l'acquisto del titolo di ammissione alla competizione (biglietti, abbonamenti) e/o la sottoscrizione di carte di fidelizzazione da parte dell'utente ad un'accettazione tacita di «condizioni generali di contratto», consistenti in un codice etico predeterminato. La violazione di questo deve comportare, quale meccanismo di autotutela, la sospensione o il ritiro del gradimento della persona da parte della medesima società per una o più partite successive». Progressivamente, si chiede alle società di introdurre una sorta di «Daspo interno», un istituto di tipo privatistico, fondato sulla inosservanza di un patto disciplinato dalle norme di diritto civile, che porterebbe all'impossibilità di acquisto dei biglietti da parte del trasgressore destinatario della misura interdittiva, così come avviene per i Daspo disposti dal questore.
  Le società devono necessariamente essere supportate in quest'opera di «separazione» delle proprie sorti da quelle degli ultras, sia da parte delle istituzioni calcistiche sia da parte delle forze dell'ordine, ma devono altresì dimostrare – tutte insieme, valorizzando le sedi di rappresentanza comune – l'intenzione di perseguire questo obiettivo con coraggio, senza cercare di trovare strade più facili o «aggiustamenti» di qualche tipo con i propri tifosi.
  Affinché questo percorso possa portare frutti, tuttavia, è necessario anche un generale investimento infrastrutturale in sicurezza, sia nelle strutture pubbliche che private – e in questo senso le misure inserite nel cosiddetto «pacchetto sport» nella legge di bilancio 2017 sono un passo nella direzione giusta; il rilancio del servizio del supporter liaison officer (SLO) come «attività di mediazione strategica per l'applicazione della nuova disciplina privatistica», come previsto dallo stesso protocollo; un rafforzamento dell'attività di accertamento delle violazioni delle «norme di spettacolo» da parte degli steward e della conseguente segnalazione alle società sportive al fine di emettere i Daspo interni; a tale proposito, alle stesse società va garantita, inoltre, la possibilità di accedere alle immagini raccolte dalle telecamere di sicurezza, che attualmente rimangono nella disponibilità delle forze di polizia a fini di ordine pubblico.
  Infine, meritano una riflessione anche i rapporti che si instaurano tra i gruppi ultras e le forze di polizia. Sono, infatti, tre i soggetti protagonisti negli stadi di calcio, come emerso durante le audizioni dei presidenti delle società, in modo particolare quella del presidente Agnelli: «Proprio in una delle vostre ultime riunioni il dottor Gabrielli, Capo della Polizia, vi ha detto che l'incidenza percentuale di personaggi con precedenti penali nelle curve italiane è molto alta, se non ricordo male in certi casi raggiunge il 25 per cento. Ecco quindi che si delinea un quadro più preciso: da un lato i tifosi sono patrimonio essenziale per il calcio e gli ultras ne fanno parte, dall'altro essi possono rappresentare un problema di ordine pubblico e le forze dell'ordine ne sono perfettamente consce. Quindi, da un lato, una società, come è previsto anche dalle normative UEFA recepite dalla FIGC, deve dialogare con tutti i tifosi, ultras compresi, dall'altro deve cooperare con le forze dell'ordine perché essi non Pag. 56costituiscano un problema di ordine pubblico. I poli di questo rapporto, tutti dialoganti congiuntamente tra loro, sono quindi tre e non due, come spesso si è voluto far credere in questi mesi: gli ultras parlano con il club e con le forze dell'ordine, il club parla con gli ultras e le forze dell'ordine, le forze dell'ordine parlano con gli ultras e con il club» (122).
  La Commissione è consapevole della delicatezza dei profili che attengono alla gestione dell'ordine pubblico e alla tutela della sicurezza negli stadi durante le manifestazioni sportive e non rientra nelle finalità dell'inchiesta sindacare la legittimità e l'opportunità delle legittime scelte di politica criminale che le autorità preposte adottano nell'ambito della propria autonomia. Il dialogo delle forze di polizia con i tifosi, utile a fini informativi e conoscitivi, è certamente legittimo, a suo modo prezioso, e strumentale alla tutela dell'ordine pubblico e alla sicurezza dei cittadini appassionati di calcio che si recano allo stadio. Tuttavia, occorre meditare su quali siano confini entro i quali tale legittimo dialogo debba mantenersi, senza rischiare di generare – come effetto collaterale – involontarie forme di legittimazione e di rafforzamento dei capi ultras all'interno e all'esterno del mondo del tifo organizzato.

3. Mafia e società sportive: il calcio come utilità economica.

  Il secondo filone d'inchiesta riguarda il tema della proprietà delle società di calcio, del riciclaggio attraverso i club e delle altre forme di illeciti economico-finanziari perpetrati dalle organizzazioni criminali nel mondo del calcio. Le numerose vicende richiamate nella relazione e i procedimenti penali ad esse connesse indicano come il crimine organizzato sia in grado di cogliere nel calcio e nelle attività collegate importanti opportunità, al fine di ampliare il panorama già vasto dei propri traffici illeciti, aprire nuovi canali per il riciclaggio dei capitali di illecita provenienza e, non ultimo, per perseguire strategie di acquisizione o consolidamento del consenso sociale in più o meno ampi segmenti della popolazione rappresentati dalla tifoseria della squadra di calcio oggetto di attenzione di una determinata consorteria criminale.
  Il calcio è sicuramente uno degli sport maggiormente seguiti e praticati a livello mondiale. Secondo statistiche della Fédération internationale de football association (FIFA), l'organismo che raccoglie le federazioni nazionali dei cinque continenti, vi sarebbero 265 milioni di calciatori in tutto il mondo, di cui 38 milioni a livello professionistico; 301 mila sarebbero le squadre affiliate alle federazioni nazionali. Solo nel nostro Paese, le squadre di calcio sarebbero circa 80 mila. Coloro che praticano attivamente questo sport arrivano a sfiorare i 5 milioni, l'8,57 per cento della popolazione nazionale.
  Per quanto impressionanti, questi numeri tuttavia danno solo parzialmente conto delle caratteristiche del calcio moderno, divenuto negli ultimi anni un fenomeno molto complesso. A partire dagli anni ‘90, infatti, sotto la prepotente spinta di interessi economici legati ai diritti televisivi e alle sponsorizzazioni, il calcio professionistico (e non Pag. 57solo) ha scoperto un'improvvisa fonte di ricavo che ha condotto le squadre a mutare le logiche sulle quali impostare la propria attività agonistica. La possibilità di contare su un apporto finanziario notevole ha fornito i mezzi per intraprendere iniziative e compiere investimenti prima inimmaginabili. Parallelamente, la gestione del settore si è fatta più complessa. Divenute vere e proprie società commerciali, molto spesso quotate in borsa, le squadre di calcio devono ora fare i conti con i propri bilanci per sostenere una macchina organizzativa sempre più costosa ed esigente in fatto di risultati. Gli obiettivi da raggiungere devono essere definiti tenendo conto delle esigenze di equilibrio finanziario tra entrate e uscite, secondo approcci aziendalistici che nulla hanno da invidiare alla pianificazione strategica delle grandi imprese. In questo contesto, similmente a quanto avvenuto anche in altri ambiti dell'attività sportiva, assume rilievo l'ipotesi che la criminalità possa cercare di infiltrare il tessuto di questo sport per investire e riciclare proventi di origine illecita.
  Da molti anni è maturata la consapevolezza che l'industria del calcio nazionale è concretamente esposta a rischi di ingerenze e presenze della delinquenza comune e organizzata. I primi importanti procedimenti penali richiamati nella relazione sembrano confermare questa accresciuta sensibilità al tema dei rapporti tra criminalità e calcio. I fatti emersi dalle indagini indicano come il crimine organizzato intuisce nel calcio e nelle attività collegate ghiotte opportunità per ampliare i traffici illeciti e i canali di reinvestimento dei capitali sporchi, nonché per insinuarsi in maniera strisciante e pervasiva nel tessuto sociale. Il calcio genera un giro di affari che in Italia ha raggiunto, nel 2015, 3,7 miliardi di euro, cifra pari quasi a 5,7 punti del PIL nazionale, un fatturato che, al netto degli introiti prodotti dalla FIGC e dalle leghe di categoria – 6 per cento – è polarizzato per il 70 per cento – 2,6 miliardi di euro – sul segmento delle 102 società del calcio professionistico, mentre il settore dilettantistico e giovanile origina complessivamente il 24 per cento dei ricavi, pari a 913,3 milioni di euro (123).
  Sul piano generale, la domanda legata ai crescenti bisogni di natura finanziaria cui il calcio è andato incontro trova una facile offerta in coloro che, disponendo di ingenti flussi di denaro sporco, devono trovare sbocchi per reimmettere nel circuito legale tali disponibilità. Nel rapporto pubblicato dal Gruppo di azione finanziaria internazionale di luglio 2009 (GAFI) (124), organismo di coordinamento delle politiche internazionali di lotta al riciclaggio, è stata svolta una valutazione del fenomeno nel calcio moderno, attraverso un'articolata analisi delle cause e delle modalità di questo inquinamento criminale, spesso partendo da casi di cronaca. Il rapporto arriva alla preoccupante conclusione che nel calcio attuale esistono fattori che favoriscono in modo esteso la diffusione di questi fenomeni d'infiltrazione e segnala l'esigenza di un intervento sia da parte delle istituzioni pubbliche sia delle autorità del calcio per far fronte a tali situazioni in modo adeguato. Molteplici sono i fattori che, ad avviso del GAFI, rendono il calcio vulnerabile al riciclaggio di capitali di illecita Pag. 58provenienza. Essi variano in base al contesto nazionale di riferimento ed hanno una diversa natura e portata anche in relazione alle tipologie di squadre, professionistiche o amatoriali, da valutare (125).
  Un primo gruppo di fattori riguarda i tratti strutturali del settore calcio. Il GAFI considera il calcio un mercato particolarmente vulnerabile atteso che in numerosi paesi le barriere e i controlli all'entrata sono agevolmente sormontabili, se non addirittura inesistenti. Il calcio, infatti, è aperto a tutti e non presenta meccanismi di selezione che consentano di verificare le motivazioni o le credenziali di chi decide di farvi parte. Inoltre, esiste una rete di relazioni, complessa e purtroppo anche opaca, fra i diversi stakeholders. Società di calcio, giocatori, agenti, sponsor, gruppi di tifoserie e reti televisive, contribuiscono tutti a disegnare un quadro di rapporti molto intricati nei quali gli interessi finanziari giocano un ruolo importante. È stato, poi, osservato dall'organismo internazionale un livello di professionalità dei protagonisti non sempre adeguato soprattutto nella gestione di materie che, come quelle di natura finanziaria, richiedono conoscenze ed esperienze specifiche. È una criticità che riguarda soprattutto, ma non solo, il mondo dilettantistico ove i dirigenti delle squadre sono spesso persone che si dedicano a questa attività nel tempo libero senza disporre delle capacità professionali necessarie per il tipo d'incarico che svolgono (126).
  Un secondo gruppo di fattori di vulnerabilità del settore al rischio di riciclaggio concerne la struttura finanziaria del mondo del calcio. Innanzitutto, gli enormi flussi generati dai trasferimenti dei calciatori, dai diritti televisivi, dalle sponsorizzazioni e dal merchandising seguono vie non sempre trasparenti. Non è inusuale che tali transazioni continuino ad essere eseguite per contanti, come nel caso dei proventi dalla vendita dei biglietti allo stadio. Oltre ai flussi in entrata, altrettanto rilevanti sono i flussi in uscita. Tutto ciò crea talvolta situazioni di squilibrio dei bilanci e di fragilità sul piano finanziario, situazioni, queste, che possono essere opportunamente sfruttate dai riciclatori. Infine, le logiche di mercato del calcio seguono spesso filosofie estranee alle classiche leggi economiche. La valutazione degli asset – quali, ad esempio, le performance dei calciatori – dipende da variabili difficilmente misurabili che non consentono dunque una pianificazione finanziaria basata su criteri certi. Peraltro, non mancano prassi poco trasparenti con cui sono gestite le carriere dei calciatori i quali, consapevolmente o meno, possono talvolta diventare pedine di scambi che celano transazioni illecite. Tutto ciò favorisce, ad avviso dell'organismo internazionale, «una cultura della tolleranza verso pratiche di gestione societaria non sempre ortodosse» (127).
  Il terzo e ultimo gruppo di fattori attiene ad aspetti culturali. Il GAFI segnala la diffusa omertà di un settore, come il calcio, che sembra fare dell'immagine il primo bene da difendere. La necessità di mantenere immacolato il prestigio e di non scalfire la capacità di attrattiva nei confronti del pubblico e degli sponsor fa premio su qualsiasi altro valore, sia questo la legalità o la trasparenza. Ciò può indurre i dirigenti delle squadre a nascondere la reale portata del Pag. 59fenomeno del riciclaggio i cui contorni sono spesso più estesi di quanto non si sappia. Non va, poi, sottovalutata la componente connessa al prestigio sociale che consegue al fatto di apparire e partecipare in prima persona agli eventi calcistici. Al di là delle motivazioni di ordine economico e finanziario, investire nel calcio può consentire ai criminali non solo di garantirsi un consenso tra le masse dei tifosi, ma anche di poter stabilire relazioni con un mondo (legale) altrimenti difficilmente raggiungibile, fatto anche di contatti istituzionali con le comunità locali di riferimento (128).
  Altro profilo di criticità riguarda gli assetti societari delle compagini calcistiche ed, in particolare, dei necessari controlli preventivi finalizzati ad impedire, o quanto meno ad ostacolare, l'infiltrazione di esponenti di organizzazioni criminali nella proprietà e nella gestione.
  Come sopra accennato, uno degli schemi di riciclaggio più ricorrenti in questo settore è l'acquisto di club calcistici che versano in difficoltà economiche. Le dinamiche alla base di tali ipotesi non sono molto differenti da quelle riscontrate per le infiltrazioni criminali in altri settori economici: una volta individuato un soggetto in evidente e urgente bisogno finanziario, gli si offre la possibilità di porre rimedio allo stato di dissesto tramite la vendita a una nuova proprietà, sovente celata dallo schermo di uno o più prestanome (129).
  In questa tipologia si pone, ad esempio, il recente caso del Mantova Calcio dove soggetti legati a un clan della camorra, al fine di tener celata la propria riconducibilità all'organizzazione criminale, avrebbero frazionato artatamente le proprie quote nella società, in modo da evitare la soglia del 10% oltre la quale è invece richiesta l'informazione antimafia (130) in virtù di un recente protocollo d'intesa tra FIGC e Ministero dell'Interno di cui si dirà più diffusamente nel prosieguo.
  Si tratta di uno schema criminale che non appare purtroppo infrequente nel mondo dell'imprenditoria in genere, e l'impresa-calcio non fa eccezione. In proposito, giova sottolineare che se a rischio sono soprattutto le squadre delle serie minori – in ragione di un sistema di controlli che come si vedrà nel prosieguo appare eccessivamente snello – non sono mancati esempi, o quantomeno di tentativi, di riciclaggio che hanno interessato anche società di calcio professionistiche che militano nel campionato maggiore. Il riferimento è a quanto emerso in una indagine del 2006, coordinata dalla procura della Repubblica di Roma e della direzione distrettuale antimafia di Napoli, sulle trattative per la vendita delle azioni della SS Lazio a un gruppo societario dell'est europeo, risultato poi legato al clan camorristico dei casalesi. Le indagini condotte dalla magistratura avevano messo in Pag. 60luce come l'operazione fosse stata congegnata in modo tale da dissimulare l'identità degli effettivi acquirenti della squadra di calcio attraverso l'utilizzo di prestanome e lo schermo di una complessa catena societaria. La trattativa ebbe anche risvolti finanziari importanti per le turbolenze che interessarono la quotazione in borsa dei titoli della società e che indussero la CONSOB ad intervenire per impedire manovre indebite. Le indagini giudiziarie svelarono come il progetto criminale del clan dei casalesi fosse ancora più vasto e ambizioso, tant’è che erano state programmate altre acquisizioni societarie in compagini calcistiche (Lanciano, Marsala, Benevento) che, militando in serie minori, si prestavano ancor meglio e con rischi minori a questa tipologia di reinvestimento di capitali sporchi.
  A seguito dei casi giudiziari riportati nella presente relazione e di una cauta ma crescente consapevolezza dei rischi di illegalità che possono annidarsi nel mondo delle discipline sportive, va segnalato che l'autogoverno dello sport e, in particolare del calcio, non è stato del tutto inattivo.
  Quanto ai controlli di diritto sportivo di carattere finanziario, assumono rilevanza le funzioni attribuite dall'ordinamento federale alla COVISOC (131) e alla COVISOD con funzioni di controllo sull'equilibrio finanziario e sul rispetto dei princìpi di corretta gestione, rispettivamente, per le società professionistiche e per quelle dilettantistiche.
  La vigilanza della COVISOC, in particolare, si esplica sotto una duplice veste: da un lato, il controllo documentale degli atti cui le società sono tenute ad inviare alla Commissione (bilanci, relazioni semestrali, budget annuali, pagamento degli emolumenti ai calciatori, ritenute e contributi INPS), dall'altro, l'attività ispettiva condotta periodicamente presso le società durante tutta la stagione sportiva. Il cuore della vigilanza della COVISOC consiste, poi, in un'attività specifica diretta alla verifica dei requisiti per l'ammissione ai campionati professionistici. Tali requisiti, fissati dalla FIGC, non prevedono l'esecuzione di alcuna verifica specifica sugli assetti proprietari delle società di calcio. In altri termini, secondo la prospettiva FIGC/COVISOC declinata nelle audizioni in Commissione, è apparso che sia più importante che le società sportive rispondano a parametri predeterminati di natura finanziaria, e ora anche economica, per l'iscrizione al campionato piuttosto che conoscere l'identità dei proprietari, o meglio ancora degli effettivi proprietari, delle società di calcio (132).
  Tale posizione, ad avviso della Commissione, non appare pienamente condivisibile, attesa la funzione sociale e «pubblica» dello sport in generale e del calcio in particolare, che è stato considerato Pag. 61meritevole di un ordinamento giuridico particolare. La trasparenza degli assetti proprietari delle società di calcio non appare, infatti, materia che possa essere lasciata alla mercé degli equilibri mutevoli e d'impresa in capo alle singole federazioni e leghe. Al contrario, deve essere ricondotta alle dirette responsabilità del vertice della piramide sportiva, ovvero del CONI, che ha, giova ricordarlo, piena personalità di diritto pubblico.
  È, dunque, opportuno in via incidentale ricapitolare per somme linee la complessa catena di governance del mondo del calcio che, come noto, fa perno sulla Federazione italiana giuoco calcio (FIGC) e che, a mente di quanto previsto dall'articolo 19 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, ha natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato e svolge la propria attività «in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi (...) del CONI, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate nello statuto del CONI». Il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), al contrario, è, come detto, persona giuridica di diritto pubblico ed è, a sua volta, posto sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali; nell'attuale Governo è stato altresì nominato un Ministro per lo sport. Il Consiglio nazionale del CONI – del quale fanno parte, si ricorda, i presidenti delle singole federazioni sportive – ha, tra i vari compiti previsti dalla citata legge, quello di stabilire «i criteri e le modalità per l'esercizio dei controlli» sulle medesime federazioni sportive nazionali, con ciò rappresentando una criticità rispetto ai migliori principi della governance pubblica dove chi effettua il controllo dovrebbe essere pienamente distinto dal controllato, salvo che si immagini un sistema di autogoverno dal carattere pienamente privatistico.
  A valle della Federcalcio, infine, vi sono le società di calcio associate nelle varie «leghe» (Lega nazionale serie A, Lega nazionale serie B, Lega Pro, Lega nazionale dilettanti) – anche queste associazioni private non riconosciute – sulle quali gli organi federali esercitano il controllo, oltre ad effettuare la vigilanza sull'adeguatezza delle procedure adottate per «prevenire i conflitti di interessi e gli illeciti sportivi, disciplinari o amministrativi, nonché ad assicurare il rispetto dei principi di corretta gestione, lealtà, probità e, in generale, di etica sportiva» (articolo 4 dello Statuto della FIGC – decreto del commissario ad acta del 30 luglio 2014 approvato con deliberazione del presidente del CONI n. 112/52 del 31.7.2014).
  In merito, sarebbe auspicabile un idoneo intervento normativo che rafforzi la centralità del CONI in tutti aspetti pubblicistici connessi al mondo dello sport – tra cui la legalità e la trasparenza – e che riconducano a tale ente pubblico tutta la catena di governance e dei controlli.
  Quando si tratti, infine, di mero sospetto di riciclaggio – inteso nel senso proprio di cui alla definizione del decreto legislativo n. 231 del 2007 e successive modificazioni – la COVISOC, pur non essendo annoverata dalla legislazione vigente tra i «soggetti obbligati» tenuti all'obbligo di segnalazione, in due recenti casi ha comunque ritenuto opportuno compulsare il presidente della FIGC invitandolo a fare specifiche comunicazioni antiriciclaggio all'Unità di informazione finanziaria (UIF) della Banca d'Italia. Alla FIGC, come alle altre Pag. 62federazioni sportive, non è infatti direttamente applicabile la normativa di prevenzione antiriciclaggio. La COVISOC non effettua alcuna due diligence sull'assetto societario o sull'assetto della compagine sociale e non ha il potere di legge per chiedere informazioni alle società di calcio in ordine all'identità dei loro titolari effettivi. Si tratta di limiti che, ad avviso di questa Commissione, non solo impediscono al mondo del calcio di effettuare una qualsivoglia azione di prevenzione dell'ingresso di capitali illeciti nei club ma, altresì, indeboliscono l'efficacia dell'azione di vigilanza ordinariamente svolta dalla COVISOC per i propri fini nell'ambito del diritto sportivo.
  In sintesi, gli organismi federali non possano contare, ai fini dell'iscrizione al campionato, su una valutazione di merito e di onorabilità dei soggetti proprietari dei club. Quale attendibilità, ci si chiede, hanno allora gli indicatori di performance se l'assetto proprietario di una società di calcio non ha buona reputazione in termini di onorabilità, oppure è in odor di mafia o addirittura non è pienamente identificabile perché magari schermato da veicoli societari opachi situati in paesi offshore o notoriamente non collaborativi sul piano fiscale o della lotta al riciclaggio ? I vertici della COVISOC, pur consapevoli di tale criticità, hanno ricordato che il perimetro della loro attività è puntualmente descritto dalle norme organizzative interne federali (NOIF) e a queste gli ispettori sono tenuti ad attenersi. Non hanno modo, pur volendo, di allargare lo spettro della loro vigilanza o di incrementare il patrimonio delle informazioni sulle società acquisendo, così come sarebbe necessario anche a loro avviso, ulteriori informazioni cruciali quali sono, ad esempio, quelle che consentono di identificare il soggetto o i soggetti che sono proprietari di ultima istanza delle società di calcio.
  Poteri ancor più limitati sono attribuiti alla Commissione di vigilanza sulle società dilettantistiche (COVISOD) che ha competenza su 12.681 società di calcio e su oltre un milione di tesserati (133). La COVISOD si limita ad effettuare un controllo documentale esclusivamente nella fase di iscrizione delle società dilettantistiche nei rispettivi campionati. Lo screening si esaurisce in una speditiva verifica che l'importo della quota di iscrizione sia stato correttamente versato e che le siano state rilasciate le prescritte fideiussioni bancarie a garanzia per la partecipazione ai campionati. La COVISOD non esegue, come la COVISOC, alcun controllo teso ad identificare i dominus delle società del calcio dilettantistico né alcuna verifica efficace e penetrante sulla loro onorabilità. L'azione svolta si limita al censimento dei dirigenti (134) dai quali acquisisce un'autodichiarazione di non trovarsi nelle condizioni di cui all'articolo 2382 del codice civile e di non aver avuto condanne definitive con pene detentive superiori ad un anno in relazione ad uno dei reati ostativi di cui all'articolo 22-bis delle NOIF (135) che rappresentano un ampio Pag. 63catalogo di fattispecie penali, peraltro non completo e comunque meritevole di aggiornamento (136).
  A differenza delle leghe maggiori e della COVISOC, la Lega nazionale dilettanti (LND) e la COVISOD, interpellate sul punto in sede di audizione, hanno rappresentato concordemente di non aver sinora avvertito né la necessità di intensificare i controlli esistenti né di acquisire informazioni puntuali sui proprietari delle società del calcio dilettantistico per un duplice profilo di motivazioni.Pag. 64
  In primo luogo, in ragione del fatto che le forme giuridiche dei partecipanti a questo tipo di attività sono le «associazioni sportive dilettantistiche» (ASD) e le «società sportive dilettantistiche» (SSD), entrambe senza fine di lucro. Per tale ragione, hanno affermato gli auditi, non viene effettuato alcun controllo a monte, cioè per verificare chi sia il titolare effettivo in relazione a questa tipologia di squadre di calcio.
  In secondo luogo, la LND ha espresso la convinzione che i casi sinora verificatisi di infiltrazione della criminalità, anche di tipo mafioso, nel calcio minore, pur nella loro gravità, siano sul piano numerico assolutamente poco significativi rispetto alla dimensione del movimento dilettantistico che, come sopra accennato, riguarda oltre 12 mila società.
  Tali affermazioni collidono con le evidenze raccolte dalla Commissione che pongono in luce segnali inequivocabili di un crescente interesse della criminalità organizzata verso il calcio locale e che non ammettono alcuna sottovalutazione del problema. La Commissione ha, infatti, acquisito da alcuni uffici giudiziari ben 5 segnalazioni negli ultimi 12 mesi. Si tratta dei casi della Polisportiva Laureanese, della società Fronti di Lamezia Terme, del Città di Foligno, dell'Ilva Maddalena e dell'Isola Capo Rizzuto, per i quali si fa rinvio alla parte della presente relazione dedicata al calcio dilettantistico.
  Inoltre, le peculiari tipologie di forma giuridica utilizzate dalle società iscritte alla LND che, si ricorda, non richiedono particolari formalità contabili, fiscali e di bilancio, ben si prestano all'esecuzione di operazioni opache, di inserimento di capitali illeciti e di utilizzo del contante e di altri strumenti di pagamento non tracciabili.
  Secondo quanto riferimento dalla COVISOD, anche il passaggio del controllo di un club dilettantistico da un soggetto ad un altro non presterebbe il fianco a particolari criticità. Non si tratta in questi casi di una vera e propria cessione della società (137), peraltro vietata dall'ordinamento federale, ma viene utilizzato il meccanismo del cd. «subentro» attraverso l'adesione volontaria di un nuovo soggetto a queste associazioni (ASD o SSD). Quando ciò accade, la LND si limita a prendere atto della delibera del nuovo Consiglio direttivo dell'esclusione dei titolari dell'assetto di quel sodalizio perché «non c’è alcuna possibilità che avvengano atti di compravendita, con la difficoltà di poter controllare questa tipologia di atti».
  Che si escluda che vi siano passaggio di denaro in occasione dei «subentri» sol perché proibito dalle norme federali appare piuttosto in verosimile attesa l'assenza di specifici controlli dovuti anche, come ammette la COVISOC, ad una certa difficoltà a farlo. D'altronde, appare poco plausibile immaginare che, ad esempio, il dominus di un club di serie D, ovvero militante nella massima serie della LND, nella quale ha magari investito significative risorse in un pregevole parco calciatori lascia che gli subentri un altro soggetto senza ricevere in cambio alcuna contropartita, sol perché le norme della Federcalcio fa divieto di una formale cessione e sol perché non si tratta di società di capitali ma di semplici «associazioni senza fine di lucro». In tal modo, il mondo dilettantistico, così come ora organizzato, sembrerebbe creare in via di fatto, per effetto delle regole federali vigenti e Pag. 65al fine di eluderle, tutto un sommerso di operazioni opache che oltre a delineare sottaciute operazioni sottratte all'imposizione fiscale ben si prestano anche ad operazioni di riciclaggio o di reinvestimento di capitali illeciti. Anche questo profilo, appare, dunque aumentare i rischi connessi al mondo del calcio dilettantistico e senz'altro meritevole di essere sottoposto ad una più rigorosa disciplina normativa, dell'ordinamento statale oltreché sportivo, e all'esercizio di controlli più efficaci da parte delle autorità a ciò preposte.
  La percezione che ne deriva, in sintesi, è che il mondo del calcio dilettantistico sia lasciato alla propria mercé, privo di controlli efficaci sul piano sportivo ma anche difficilmente controllabile anche sul piano fiscale e penale in quanto organizzato in associazioni non riconosciute prive di documentazione contabile e bilanci attendibili. Un segmento importante dello sport diventa, così, facile preda di organizzazioni criminali che intendono promuoversi su un circoscritto territorio attraverso il consenso sociale che ne deriva dall'acquisto di una società di calcio locale, nonché potenziale veicolo di riciclaggio di capitali di dubbia provenienza.
  Approdando sul piano nazionale della governance del calcio e dei «controlli» – sulla scorta di quanto suggerito nel citato rapporto del GAFI e, in particolare, sull'opportunità di estendere i presìdi antiriciclaggio anche alle società di calcio – appare necessaria, in primo luogo, una riflessione sull'adeguatezza delle norme previste dal decreto legislativo del 21 novembre 2007, n. 231, così come novellato di recente dal decreto legislativo n. 90 del 2017 a recepimento della cd. «IV direttiva», per far fronte ai pericoli di infiltrazione dei capitali illeciti nelle società calcistiche.
  Come noto, una delle disposizioni più rilevanti della disciplina antiriciclaggio prevede che le banche e gli altri «soggetti obbligati» al rispetto delle norme antiriciclaggio debbano procedere all'adeguata verifica del cliente. In particolare, quando il cliente è una persona giuridica, qual è appunto il caso delle società di calcio, è necessario procedere in tale contesto all'identificazione del titolare effettivo della medesima, cioè «la persona fisica o le persone fisiche, diverse dal cliente, nell'interesse della quale o delle quali, in ultima istanza, il rapporto continuativo è instaurato, la prestazione professionale è resa o l'operazione è eseguita» (articolo 1, comma 2, lettera pp)), decreto legislativo n. 231 del 2013). In tale occasione, le banche sono tenute, tra l'altro, ad adottare le misure necessarie che consentano di ricostruire, con ragionevole attendibilità, l'assetto proprietario e di controllo del cliente – persona giuridica.
  In particolare, quando si tratta di società di capitali – ed è l'ipotesi più ricorrente per le società di calcio professionistiche e semiprofessionistiche – le norme antiriciclaggio prevedono che «costituisce indicazione di proprietà diretta la titolarità di una partecipazione superiore al 25 per cento del capitale del cliente, detenuta da una persona fisica», mentre costituisce «indicazione di una proprietà indiretta» la titolarità di una percentuale superiore alla medesima soglia del 25 per cento posseduto per il tramite di società controllate, società fiduciarie o per interposta persona» (articolo 20, comma 2, cit. decreto legislativo). Qualora, poi, l'esame dell'assetto proprietario non consenta di individuare in maniera univoca una o più persone fisiche Pag. 66cui è attribuibile la proprietà diretta o indiretta della società, il titolare effettivo coincide con la persona fisica o le persone fisiche cui, in ultima istanza, è attribuibile il controllo della medesima in forza del controllo della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea, dell'esercizio di una influenza dominante secondo i canoni del codice civile, oppure dell'esistenza di particolari vincoli contrattuali che consentano di esercitare detta influenza dominante (articolo 20, comma 3, cit. decreto legislativo). Infine, se neanche i predetti criteri consentono di individuare univocamente il titolare effettivo, quest'ultimo viene fatto coincidere con il soggetto o i soggetti titolari di poteri di amministrazione o direzione della società (articolo 20, comma 4, cit. decreto legislativo).
  Quel che rileva, in particolare, ai fini della presente relazione è che ora tutte queste informazioni, secondo le nuove norme introdotte dal decreto legislativo n. 90 del 2017, devono essere obbligatoriamente inserite a cura delle società, ivi comprese naturalmente quelle operanti nel settore del calcio, in un'apposita sezione del registro delle imprese, cui hanno accesso, oltre alle autorità antiriciclaggio (UIF, DIA e Guardia di finanza), anche il Ministero dell'economia e delle finanze, il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, l'autorità giudiziaria, le agenzie fiscali e, infine, le banche e gli altri soggetti obbligati ai fini dell'assolvimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela. Da quanto sopra si rileva che sono, pertanto, esclusi dalla possibilità di consultazione della predetta sezione del Registro delle imprese, utile ai fini di una ricostruzione puntuale degli assetti proprietari e di controllo delle società di calcio, sia gli organi della giustizia sportiva sia gli organismi federali di vigilanza e controllo (COVISOC e COVISOD).
  A ciò potrebbe porsi rimedio attraverso la stipula di protocolli di intesa tra l'Unità di informazione finanziaria (ovvero il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, la Guardia di Finanza o la DIA), da un lato, e gli organi di giustizia sportiva e gli organismi federali di vigilanza e controllo, dall'altro, al fine di consentire a questi ultimi di ricevere gli esiti delle consultazioni della sezione del registro delle imprese ove sono contenute le informazioni sui titolari effettivi delle società di calcio e gli altri elementi utili alla ricostruzione dell'assetto proprietario e di controllo delle medesime.
  Al fine, inoltre, di sensibilizzare il settore bancario e degli intermediari sui pericoli di riciclaggio che si annidano nel mondo del calcio, l'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia, analogamente a quanto positivamente sperimentato per altri settori o tipologie di operazioni, potrebbe elaborare specifici indicatori di anomalia e di schemi di modelli anomali applicabili all'operatività nei confronti delle società calcistiche. Tale soluzione potrebbe agevolare la segnalazione di eventuali operazioni sospette di riciclaggio riconducibili alle società e agli operatori nel mondo del calcio, ora del tutto assenti.
  Peraltro, va tenuto conto che i pericoli di inquinamento criminale dell'assetto proprietario delle società di calcio sono già stati oggetto di attenzione da parte degli organi federali del calcio attraverso l'adozione di alcune iniziative che possono essere valutate senz'altro positivamente, ma, ad avviso della Commissione, rappresentano solo Pag. 67i primi passi di un necessario percorso che conduce ad una reale trasparenza e tutela della legalità nel mondo del football.
  In tale ambito, si pone il protocollo d'intesa fra la FIGC e il Ministero dell'interno che consente alle leghe, tramite la Federazione, di richiedere alle prefetture il rilascio delle informazioni antimafia di cui all'articolo 91 del decreto legislativo n. 159 del 2011 in relazione alle operazioni di aumento di capitale o alle acquisizioni di partecipazioni di società di calcio professionistiche pari o superiori al 10 per cento del capitale sociale (138).
  La disposizione federale pur lodevole trova, invero, applicazione piuttosto limitata in quanto si riferisce alle sole cessioni di pacchetti azionari o aumenti di capitale sociale successivi alla data di emissione dei pertinenti provvedimenti della FIGC. In altri termini, la disposizione vale solo per i «nuovi» azionisti a partire dal 28 luglio 2015 (139). Al contrario, nessuna due diligence sull'onorabilità sembrerebbe, invece, prevista nei riguardi degli altri azionisti che hanno, invece, acquistato le proprie quote prima di tale data e che tuttora rappresentano – verosimilmente – l'assoluta maggioranza della proprietà delle società di calcio professionistiche o semiprofessionistiche. In tal senso, gli organi federali potrebbero valutare la possibilità di elaborare un programma di «verifiche a campione», anche sulla base di una selezione risk-based, sull'onorabilità dei soggetti proprietari di squadre di calcio che sono divenuti azionisti ancor prima del 2015.
  Anche la scelta di fondare i presupposti della richiesta delle informazioni antimafia ad una soglia secca pari al 10 per cento del capitale sociale, presta il fianco a talune perplessità, non ultima il fatto che in talune circostanze, peraltro indicate nel codice civile, è possibile esercitare una influenza dominante in una società anche con quote inferiori a detta soglia o, addirittura, senza essere nemmeno azionista.
  Peraltro, così come le evidenze giudiziarie hanno più volte messo in luce, il meccanismo più ricorrente, oltre a quello di avvalersi di prestanome privi di qualsivoglia pregiudizio penale che possa destare sospetti sull'illecita provenienza dei capitali da investire, è quello di erogare cospicui finanziamenti alle società di calcio (o ad uno dei suoi azionisti) senza entrare nel capitale azionario.
  Occorrerebbe, pertanto, che la FIGC e le leghe estendano il proprio ambito di attenzione anche su tutte le ipotesi di finanziamento delle società calcistiche e, in particolare, quando sia previsto o ipotizzato l'intervento diretto o indiretto di terzi estranei alla società, richiedendo, ad esempio, alle società di fornire informazioni in ordine alle varie forme surrettizie all'aumento del capitale sociale, come il finanziamento dei soci, il finanziamento da parte di soggetti non bancari, i collateral prestati da non azionisti a garanzia del credito bancario erogato a favore delle società di calcio.
  Tali controlli attengono anche alla questione della riconoscibilità della fonte dei capitali esteri investiti in Italia, che è stata oggetto di dibattito pubblico in passato e che lo è a maggior ragione oggi visto il massiccio afflusso di denaro degli ultimissimi anni e l'acquisto di Pag. 68alcune tra le società più blasonate della storia del calcio italiano da parte di investitori stranieri.
  A tal proposito, si ricorda che nella legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017) sono state introdotte disposizioni specifiche per l'attrazione degli investimenti stranieri in Italia, prevedendo tra l'altro il rilascio di un apposito visto investitori nonché il godimento di una tassazione di favore. In particolare, l'articolo 1, comma 148, autorizza, in deroga alla vigente disciplina in tema di immigrazione, l'ingresso e il soggiorno nel Paese degli stranieri che intendono effettuare un investimento di almeno 2 milioni di euro in titoli di Stato e mantenuti per due anni, oppure un investimento di almeno 1 milione di euro in quote o azioni di società italiane da mantenere anch'esso per due anni. Per accedere alla deroga, la norma prevede che il potenziale investitore debba, tra l'altro, dimostrare di disporre delle somme sopra indicate e di presentare una dichiarazione scritta in cui si impegna ad utilizzare i fondi negli ambiti previsti. L'originaria formulazione della norma depositata alle Camere non rispondeva sufficientemente all'esigenza che tali capitali fossero, con ragionevole certezza, di origine lecita. La norma richiedeva, infatti, all'interessato la presentazione di una semplice autocertificazione della provenienza dei fondi, peraltro di difficile riscontro, atteso che gli investitori stranieri potrebbero movimentare fondi detenuti anche in paesi offshore o in paesi che comunque non assicurano un'adeguata cooperazione nello scambio di informazioni per finalità di contrasto al riciclaggio. Peraltro, la novella non prevedeva alcuna sanzione in caso di dichiarazione mendace sull'origine dei fondi.
  Al fine di ovviare a tali lacune, grazie all'approvazione di un apposito emendamento a firma della presidente della Commissione parlamentare antimafia, on. Rosy Bindi, al citato articolo 1, comma 148 della legge di bilancio – che inseriva l'articolo 26-bis (ingresso e soggiorno per investitori) al T.U. sull'immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286) – furono aggiunti i commi 4 (140) e 9 (141), recanti rispettivamente:
   l'obbligo che le istanze prodotte dal potenziale investitore siano trasmesse alla UIF della Banca d'Italia in modo da consentire a tale autorità una preliminare e doverosa verifica sull'effettiva origine lecita dei fondi;Pag. 69
   la previsione di adeguate sanzioni di natura penale nel caso in cui lo straniero produca documentazione falsa o rilasci dichiarazioni mendaci al fine di ottenere il visto come investitore, nonché la piena applicabilità, qualora nei ricorrano i presupposti, dei reati di riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio, nonché la fattispecie di trasferimento fraudolento di valori di cui all'articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.

  Tuttavia, i controlli rafforzati sugli investimenti stranieri così introdotti non hanno avuto nemmeno il tempo di una loro attuazione, atteso che a cinque mesi di distanza, in occasione dell'emanazione del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90 di attuazione della IV direttiva antiriciclaggio dell'UE, il citato comma 4 è stato abrogato, nonostante le commissioni riunite II (Giustizia) e VI (Finanze) della Camera dei deputati avessero invitato il Governo a valutare l'opportunità non di procedere alla abrogazione della predetta norma (142).
  La Commissione auspica che la norma sul controllo preventivo dei capitali esteri sia nuovamente reintrodotta nell'ordinamento. Qualora ciò accadesse, ne gioverebbe anche il mondo del calcio che così disporrebbe di uno strumento formidabile per controllare per tempo la genuinità e l'origine lecita dei fondi dei sempre più numerosi «cavalieri bianchi», talvolta sconosciuti ai più e provenienti dalle più disparate parti del mondo, che intendono acquistare, o lo hanno già fatto, rilevanti pacchetti azionari delle più blasonate società di calcio italiane.
  Le numerose vicende richiamate nella relazione e i procedimenti penali a esse connesse indicano come il crimine organizzato sia in grado di cogliere nel calcio e nelle attività collegate importanti opportunità, al fine di ampliare il panorama già vasto dei propri traffici illeciti, aprire nuovi canali per il riciclaggio dei capitali di illecita provenienza e, non ultimo, per perseguire strategie di acquisizione o consolidamento del consenso sociale in più o meno ampi segmenti della popolazione rappresentati dalla tifoseria della squadra di calcio oggetto di attenzione di una determinata consorteria criminale.
  Nell'audizione svolta in Commissione il 3 maggio 2017, il capo della Polizia, Franco Gabrielli, ha delineato le principali direttrici verso cui la criminalità organizzata può indirizzarsi, considerato il rilevantissimo giro d'affari che genera il calcio italiano. Al riguardo, forse è utile segnalare anche il recente e allarmato richiamo dell'ex presidente del CONI e tre volte presidente della FIGC, Franco Carraro, secondo il quale il settore calcistico è a forte rischio di infiltrazione mafiosa.
  Secondo Gabrielli, in questo contesto «non è di secondaria importanza il fatto che il merchandising e le altre attività commerciali con proventi per oltre un miliardo di euro rappresentino una rilevante Pag. 70voce del fatturato delle società calcistiche, seconda soltanto a quella riguardante la cessione dei diritti televisivi. A questo si aggiungono i ricavi generati da altre attività economiche dell'indotto, prima tra tutti quella delle scommesse sportive. Anche altri settori economici che gravitano nell'orbita dell'industria del calcio sono al centro dei traffici illeciti del crimine organizzato. La crescente rilevanza di questo settore è restituita dal dato relativo alla raccolta dei giochi pubblici di vario genere, che sempre nel 2015 ha superato gli 88 miliardi di euro, e dal fatto che circa il 90 per cento delle società professionistiche di calcio ha un rapporto di sponsorizzazione con gli operatori di questo settore. È del 2014 un'indagine coordinata dalla DDA di Milano sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel capoluogo lombardo, che ha consentito di neutralizzare i tentativi di affiliati alla cosca Libri di Reggio Calabria di ingerirsi nei servizi di catering in favore del Milan attraverso un imprenditore che aveva già gestito un'analoga attività in favore dell'Inter» (143).
  Dall'inchiesta della Commissione, infine, emerge che il fenomeno del cd. «bagarinaggio», cioè l'accaparramento dei biglietti delle partite a fini di rivendita a prezzo maggiorato, è stato individuato dalle organizzazioni criminali di tipo mafioso come una delle porte d'accesso al possibile condizionamento delle società sportive. L'infiltrazione nelle «curve» e l'inserimento nel controllo delle attività di bagarinaggio rientrano a pieno titolo nelle attività illecite che sono in grado di generare ingenti profitti per le organizzazioni malavitose, talvolta riconducibili ad ambienti mafiosi. L'inchiesta «Alto Piemonte», da cui è scaturita la vicenda giudiziaria che ha interessato la Juventus, rende ampiamente il senso di quali interessi criminali possano talvolta annidarsi intorno ai circuiti del secondary ticketing, di come il bagarinaggio sia fertile terreno per barattare la sicurezza degli stadi e il tranquillo svolgimento delle partite con illeciti arricchimenti resi possibili dalla consapevole violazione da parte delle società delle norme sulla vendita dei biglietti delle partite, e di come le società di calcio, neppure le più blasonate, hanno avuto la forza di arginare la violenta pressione degli ultras. La specifica vicenda, ampiamente ricostruita nel precedente capitolo, desta motivi di preoccupazione non solo per il fatto in sé ma anche perché si ha ragione di ritenere che essa sia piuttosto indicativa di un fenomeno più vasto che coinvolge anche altre società, forse ancora non del tutto esplorato o non sufficientemente approfondito dalle indagini finora svolte, considerato anche il fatto che il bagarinaggio ad oggi non è punito penalmente. Il fatto è già emerso con chiarezza nella sentenza del Tribunale di Roma del 2015 sul caso degli «Irriducibili» (144), che durante la gestione Cragnotti usufruivano di pacchetti di biglietti omaggio ceduti dalla società e di altre utilità come il merchandising, che avevano consentito agli stessi ultras di gestire persino una catena di esercizi commerciali per la loro rivendita. Un caso ulteriore, che presenta non pochi sintomi di analogia a quelli poc'anzi descritti, riguarda la ripetuta cessione in blocco di biglietti omaggio per le Pag. 71partite interne della SSC Napoli – peraltro sempre per il medesimo gruppo di nominativi – a soggetti non pochi dei quali aventi pregiudizi penali di rilievo, i quali poi li ponevano in vendita secondo le metodiche del «bagarinaggio» incamerandone gli illeciti profitti. La vicenda, anche se risalente al 2007, avveniva, come allora dichiarò il direttore sportivo del Napoli dell'epoca, Pier Paolo Marino, secondo una «pratica ultraventennale della società» (145) e scaturiva da una serie di atti intimidatori posti in essere da gruppi ultras durante le partite del Napoli al fine di ottenere vantaggi economici, sotto forma di biglietti, da parte della società.
  Le società devono essere consapevoli che la cessione dei biglietti agli ultras è un fattore di pericolo, in qualunque modo essa avvenga, sia essa la vendita in blocco violando la regola del limite massimo di quattro biglietti o sia essa la cessione gratuita sotto banco: la vendita dei biglietti, sebbene tracciabile, non ha comunque posto la Juventus al riparo dalla creazione di un mercato illecito dei biglietti gestito inizialmente dai gruppi ultras, poi sovrastati dalla ’ndrangheta. Inoltre, se un rilevante giro d'affari è potuto sorgere da tale modalità di emissione dei biglietti, l'attività di bagarinaggio è ancor più redditizia in caso di cessione occulta e gratuita dei biglietti ai gruppi ultras da parte delle società. Il fenomeno, peraltro, appare di ancora maggior gravità quando, consapevolmente viene consentita o scientemente tollerata tale attività allo scopo di ottenere assicurazioni, esplicite o implicite, di un comportamento non problematico delle frange ultrà della tifoseria durante le partite ed evitare così sanzioni determinate dalla responsabilità oggettiva delle stesse società.

4. La mafia e i calciatori: il calcio come veicolo di consenso sociale e il match fixing.

  Il terzo ambito di analisi individuato dalla Commissione è quello che riguarda il rapporto tra le organizzazioni criminali mafiose e i singoli calciatori. Sono almeno due gli aspetti che assume questo fenomeno: da lato, il calcio è veicolo di consenso sociale e, dall'altro, i rapporti con i giocatori possono essere sfruttati a fini illeciti, attraverso il cosiddetto match fixing, cioè l'alterazione del risultato sportivo al fine di conseguire illeciti guadagni attraverso il sistema delle scommesse.
 Dal primo punto di vista, la possibilità di avere libero accesso agli ambienti societari e, ancor di più, la frequentazione di un calciatore importante della squadra locale per un soggetto mafioso ha una duplice valenza. Innanzitutto, essa è certamente motivo di rafforzamento della propria immagine e del proprio prestigio personale all'interno del sodalizio mafioso e diventa, dunque, seppure in molti casi in maniera anche ingenua o inconsapevole da parte del calciatore, un veicolo di affermazione nel mondo della stessa malavita organizzata.  Pag. 72
 Inoltre, l'avvicinamento al mondo del calcio da parte delle organizzazioni criminali, che – come abbiamo visto nel precedente capitolo – è spesso dettato da questioni di carattere essenzialmente economico e di reimpiego di capitali illeciti, assume importanza fondamentale per accreditarsi a livello sociale, sia come immagine nell'opinione pubblica, sia per i rapporti che si riescono a instaurare con il mondo imprenditoriale, amministrativo e politico locale. In genere ciò avviene naturalmente attraverso soggetti contigui alle organizzazioni criminali o per il tramite di prestanome, soprattutto nelle serie minori, in particolare nel settore dilettantistico.
 Non sempre, però, i calciatori sono inconsapevoli dei rapporti ambigui che stanno intrattenendo. In alcuni casi, il rapporto con il soggetto mafioso è anche coltivato, perché per lo stesso calciatore il poter contare sull'amicizia di un mafioso può essere utile ad affermare la propria figura a livello sociale, nel senso di incutere rispetto attraverso un'intimidazione «mediata», o a risolvere con metodi poco ortodossi, le proprie questioni personali, spesso di carattere economico, con soggetti terzi.
 Un caso emblematico in questo senso è quello del calciatore Fabrizio Miccoli, condannato dal tribunale di Palermo il 20 ottobre 2017 a tre anni e sei mesi per estorsione, con le aggravanti di aver commesso il fatto, avvenuto a Palermo nel settembre-ottobre 2010, avvalendosi del metodo mafioso e della violenza e minaccia commessa da più persone. In particolare, Miccoli – allora capitano, nonché bandiera della squadra del Palermo – era solito frequentare Mauro Lauricella, figlio del boss mafioso Antonino Lauricella detto «Scintilluni», e nell'ambito di questa amicizia aveva anche avuto modo di conoscere Francesco Guttadauro, nipote del boss latitante Matteo Messina Denaro. Tali fatti sono venuti alle cronache nel 2013 anche per un'ormai nota intercettazione ambientale di Miccoli e Lauricella, nella quale l'ex calciatore della nazionale italiana pronuncia la frase: «Ci vediamo sotto l'albero di quel fango di Falcone». Il procuratore federale dell'epoca ha deferito Miccoli alla Commissione disciplinare nazionale per aver offeso la memoria del magistrato Giovanni Falcone, «così gettando discredito sull'intero movimento calcistico e contrastando i valori fondanti l'attività sportiva, che dovrebbe ispirare in maniera ancora maggiore i tesserati che rivestono un ruolo di spicco nelle rispettive società, come nel suo caso, essendo capitano della squadra» (146). Il processo sportivo – «ferma restando la più viva riprovazione per le parole del Miccoli» si è concluso con l'assoluzione, non essendo stato tale comportamento né pubblico né connesso all'attività sportiva (147). Pag. 73
 Gli altri fatti oggetto del procedimento penale, all'epoca coperti da segreto istruttorio, hanno invece portato alla citata condanna per estorsione. In particolare Miccoli incaricò Mauro Lauricella «(...) di recuperare le somme dovute a Gasparini Giorgio per la cessione della quota pari al 50 per cento della Papa Cult sas, e Lauricella con l'aiuto di Alioto Gioacchino, mediante violenza e minacce varie, costringeva Andrea Graffagnini, persona estranea al rapporto di credito sopra indicato, a consegnare la predetta somma di denaro (...)» (148). Dunque, Miccoli si è avvalso della forza di intimidazione e della violenza del soggetto mafioso a fini personali, così come il soggetto mafioso ha rafforzato la sua immagine a livello locale frequentando colui che non solo era il capitano della squadra di calcio della città, ma che è a tutt'oggi il miglior marcatore in assoluto della storia sportiva del Palermo. In quell'anno peraltro il Palermo arrivò quinto nel campionato di serie A e, seppure infortunatosi al termine della stagione, Miccoli era in una delle fasi migliori della sua carriera. Essendo il calcio un efficace volano di consenso sociale, in quel periodo la frequentazione di Miccoli assicurava certamente, a livello cittadino e non solo, un sicuro prestigio e le organizzazioni criminali mafiose, dovendosi accreditare come ordinamento alternativo allo Stato, di quel consenso sociale si nutrono.
 Un altro caso assai noto di frequentazioni «pericolose» da parte di calciatori è quello del rapporto, a cui si è già accennato in precedenza, tra Antonio Lo Russo e Ezequiel Lavezzi, giocatore del Napoli. Il rapporto di conoscenza di Lavezzi e Lo Russo, come riferito dal sostituto procuratore distrettuale di Napoli, Enrica Parascandolo, «è un dato investigativo che è emerso già dal 2010-2011. In particolare, mi riferisco al noto processo nei confronti di Potenza Bruno, Iorio Marco e altri, nell'ambito del quale è stato sentito come testimone, quindi in un'aula di giustizia (...) il giocatore Lavezzi. È stato sentito perché ancor prima era stato sentito dai pubblici ministeri titolari di quelle indagini, in ordine ai rapporti da un lato con Antonio Lo Russo, dall'altro con il ristoratore Marco Iorio. (...) Ha detto: «io conosco Antonio Lo Russo, l'ho riconosciuto in fotografia, ammetto di aver avuto una frequentazione con lui, siamo diventati amici, mi è stato presentato non ricordo da quale capo ultrà Veniva a casa mia, giocavamo alla playstation insieme» (149). Anche in questo caso, se ci si basa sulle dichiarazioni di Lavezzi, emerge il ruolo di un ultras come intermediario nei rapporti di Lo Russo. Un ulteriore elemento interessante anche per quanto sopra esposto è il fatto che Lo Russo nel verbale di collaborazione riferisce «di essere stato presentato al calciatore, non certo come capo clan, non certo come il figlio di Salvatore Lo Russo, ma come capo ultrà. Da lì è nata, secondo Antonio Lo Russo, un'amicizia sicuramente consolidatasi negli anni, che ha portato Antonio Lo Russo a dare al «Pocho» Lavezzi un telefono dedicato, con delle schede dedicate, i cosiddetti «citofoni». Antonio Lo Russo era un soggetto che immaginava di essere attenzionato Pag. 74dalle forze dell'ordine, temeva di poter essere intercettato ed era molto attento quindi nel conversare al telefono, i suoi contatti con il calciatore li aveva con delle schede cosiddette «dedicate». (...) È altrettanto notorio (...) che quando Antonio Lo Russo si è sottratto alla cattura rendendosi latitante, il 5 maggio del 2010, uno dei suoi primi pensieri è stato quello di avvisare il suo amico Lavezzi che i carabinieri lo stavano cercando, quindi ha fatto in modo che venisse avvisato affinché si disfacesse della scheda dedicata, per evitare di essere raggiunto» (150).
 Il 22 giugno 2017 la DDA di Napoli ha eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di tre imprenditori napoletani indagati – Gabriele, Giuseppe e Francesco Esposito – per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale per aver fatto parte di un'associazione di matrice camorristica denominata clan Sarno-Palazzo e successivamente di gruppi criminali legati al clan Contini-Bosti, attivi nel centro della città di Napoli. Uno dei tre imprenditori arrestati era già condannato per il reato di partecipazione ad associazione camorristica.
 La vicenda rileva per l'inchiesta sotto due profili. Il primo attiene alle acclarate, quanto esibite, frequentazioni degli indagati con famosi giocatori del Napoli (151). È evidente che l'avvicinamento e la frequentazione dei calciatori, come dimostra la relativa ostentazione sui social network, serva anche in questo caso ai soggetti collusi per trarre vantaggi in termini di approvazione, di consenso sociale, di legittimazione personale e imprenditoriale al fine di ricavarne anche vantaggi economici. Tale fenomeno, in alcuni contesti territoriali, ricorre periodicamente e non ha di per sé risvolti penalmente rilevanti, ma aumenta notevolmente i fattori di rischio di infiltrazione e di condizionamento del sistema calcistico da parte della criminalità organizzata.
  Il tema è stato trattato nelle audizioni dei rappresentanti del Napoli: il presidente De Laurentiis ha ricordato che al momento della stipulazione dei contratti con i giocatori «c’è anche un modello comportamentale che deve essere firmato» (152); l'avvocato Staiano ha esposto le misure adottate dalla società: «Sul tema rapporti tra calciatori e ambienti che possono essere discutibili, il Napoli fa questo: appena arriva un calciatore soprattutto nuovo, viene formato e gli viene spiegato anche quale può essere il rischio della piazza e cosa è bene evitare» (153); il dottor Formisano ha poi specificato che già Pag. 75da diversi anni è stato introdotto un «decalogo comportamentale» per i giocatori: «tra le cose che i calciatori non possono fare, c’è scritto espressamente che non si possono avere rapporti con tifosi e con gruppi organizzati e che, se questo dovesse accadere in maniera passiva, cioè, se loro fossero contattati, devono informare immediatamente la società, nella persona del sottoscritto (...). Questo decalogo è stato tradotto in almeno cinque lingue ed esiste in italiano, inglese, francese, spagnolo e portoghese perché la composizione della squadra prevalentemente prevede queste lingue» (154).
 Un'ulteriore motivo di preoccupazione nella vicenda che ha riguardato i fratelli Esposito – oltre a quello delle frequentazioni indebite è il fatto che a tali imprenditori sia stata contestata l'intestazione della titolarità di un'agenzia di scommesse del brand «Eurobet» a una terza persona incensurata e nullatenente, al fine di eludere misure di prevenzione di natura patrimoniale e di agevolare la commissione di delitti di riciclaggio e di reinvestimento di proventi delittuosi. Le indagini patrimoniali sul conto del formale intestatario dell'agenzia rivelavano, infatti, una situazione patrimoniale incompatibile con la capacità di spesa necessaria per sostenere l'investimento per l'apertura del punto scommesse, spesa che nel corso delle intercettazione era stata quantificata in circa 100 mila euro e sostenuta dai tre imprenditori indagati e arrestati ritenuti i reali domini dell'agenzia.
 Al di là di quello che sarà l'esito giudiziario della vicenda, essa dimostra cosa possa celarsi dietro frequentazioni «poco avvedute»: non solo soggetti presumibilmente collusi con associazioni criminali mafiose se non in esse organicamente inseriti, ma anche collegamenti attraverso intestazioni fittizie con il mondo delle scommesse clandestine, con il rischio per i giocatori di essere involontariamente accostati a vicende opache, mettendo a repentaglio la propria immagine e la propria carriera sportiva.
  Negli ultimi anni il cosiddetto fenomeno del match fixing ovvero delle partite manipolate collegate a episodi di corruzione connessi alle Pag. 76scommesse sportive ha raggiunto preoccupanti livelli di espansione nel mondo. Com’è noto, il fenomeno delle partite truccate consiste nell'atto di influenzare irregolarmente il corso o il risultato di un evento sportivo al fine di ottenere vantaggi per sé o per altri, falsando il normale svolgimento aleatorio e imprevedibile associato all'idea stessa di competizione sportiva. Le recenti tecnologie e la possibilità di scommettere on line, inoltre, hanno contribuito ad ampliare le dimensioni di tale fenomeno al punto che, ad oggi, si tratta di un vero e proprio business multimiliardario, spesso correlato ad altre attività criminali, come ad esempio il riciclaggio.
  Va, peraltro, rilevato come il match fixing sia stato definito dalle stesse organizzazioni nazionali e internazionali che promuovono lo sport al pari di una vera e propria minaccia, giacché esso mina gravemente non soltanto le strutture finanziarie e organizzative legate al profilo economico della pratica sportiva, ma gli stessi principi culturali e morali cui lo sport si ispira e sui quali esso si fonda.
  Sfruttando la disomogeneità delle regolamentazioni nazionali e le opportunità offerte dalle moderne tecnologie delle comunicazioni, è oggi possibile effettuare legalmente scommesse senza che venga appurata l'origine dei fondi utilizzati. Se questo fenomeno di riciclaggio è un rischio che abbraccia tutto lo sport in generale, è anche vero che esso trova nel calcio una delle fonti di guadagno più lucrative, come dimostrano le operazioni portate a termine in anni recenti sia a livello nazionale che internazionale. Peraltro, va anche osservato che il tema delle infiltrazioni criminali nel calcio s'iscrive nel contesto delle trasformazioni che questo sport sta sperimentando a tutti i livelli e in ogni parte del mondo a causa del processo di finanziarizzazione e commercializzazione che lo riguardano. Proprio per questo è necessario affrontare il problema in termini di sistema, nel più ampio quadro delle iniziative volte a garantire al calcio uno sviluppo più equilibrato e attento ai profili etici oltre che economici.
  Il capo della Polizia ha evidenziato come quello delle scommesse legate agli incontri di calcio, soprattutto quelli dei campionati delle categorie minori, è il versante dove la criminalità concentra le maggiori attenzioni: «Il gioco illegale connesso alle partite di football e, più in generale, agli eventi sportivi, costituisce in effetti uno dei settori storici di interesse dei sodalizi delinquenziali, che in passato aveva dato vita a circuiti di scommesse illegali. A questo si aggiunga che con lo sviluppo del betting on line il settore è entrato in una fase di costante crescita dei fatturati, cui è corrisposta una presenza reticolare dei punti scommesse sul territorio, il cui numero supera – sono dati del 2016 – le 13.500 unità, il 20 per cento delle quali concentrato in Campania. Secondo alcune stime, l'entità delle scommesse raccolte con modalità on line o off line è pari a 3 miliardi di euro l'anno. A ciò vanno aggiunte le puntate che vengono raccolte dai bookmaker degli altri Paesi, calcolate in circa 53 milioni di euro per partita con molteplici forme di puntate. Si contano 73 tipi di scommesse per ogni partita di serie A e 31 per ogni partita del campionato primavera, naturalmente non sempre riguardanti il risultato finale» (155).Pag. 77
  Il tema delle scommesse, lecite e illecite, è stato già affrontato dalla Commissione nella «Relazione sulle infiltrazioni mafiose e criminali nel gioco lecito ed illecito (Doc. XXIII, n. 18)», frutto del lavoro svolto dal X Comitato «Infiltrazioni mafiose nel gioco lecito e illecito», coordinato dal sen. Stefano Vaccari. Tale relazione è stata approvata dalla Commissione il 6 luglio 2016 e successivamente discussa alle Camere che hanno a loro volta approvato due risoluzioni: il 17 gennaio 2017 alla Camera dei deputati e il 25 gennaio 2017 al Senato.
  Per quanto riguarda l'esame del fenomeno nella sua generalità e completezza e le relative proposte normative di modifica si rinvia, dunque, alla relazione citata, salvo fornire in questa sede alcuni ulteriori elementi di riflessione sul settore calcistico, tratti dalle audizioni svolte e dalle vicende giudiziarie degli ultimi anni.
  Un serio allarme sul fenomeno del match fixing è stato lanciato dal presidente del Coni, Giovanni Malagò: «In tale contesto il CONI, attraverso la procura generale dello sport, sta dedicando particolare attenzione al fenomeno del match fixing, che mi sento di poter dire rappresenta ad oggi il contesto attraverso il quale il mondo della criminalità cerca di sfruttare, inquinandolo, quello dello sport» (156). In particolare, secondo Malagò, «sulla scorta dell'attività di studio e di approfondimento svolta dalla richiamata unità operativa anche in sede internazionale, mi pare di poter ritenere che il processo di legalizzazione delle scommesse realizzato per contrastare il circuito illegale e parallelo delle scommesse clandestine abbia generato nuovi metodi di condizionamento delle attività sportive. Inizialmente le associazioni mafiose hanno tentato di infiltrare le società di gestione del gioco approfittando delle maglie larghe della normativa. A fronte delle contromisure adottate, si sono servite dell'opportunità del sistema globalizzato delle scommesse sempre più caricate in centri di raccolta esteri collegati a paradisi fiscali o a Stati coi quali vi è scarsa – per usare un eufemismo – cooperazione internazionale» (157).
  Anche il Ministro dello Sport, Luca Lotti, dinanzi alla Commissione, ha affrontato il tema del match fixing che «è sempre più un fenomeno globale e sempre meno localistico. Accanto al giocatore non professionista che, su minaccia di tifosi o perché corrotto dalla squadra avversaria, condiziona l'esito di una partita esistono attori transnazionali che, alterando l'esito delle partite, alimentano un flusso enorme di denaro a favore delle organizzazioni criminali» (158). Vista l'attività di prevenzione svolta dalla Polizia di Stato (159), come ha Pag. 78riferito il Ministro, l'Italia è «il Paese attualmente più avanzato nelle politiche in materia, tanto da essere noi italiani coordinatori del progetto comunitario Antimatch-fixing formula, cofinanziato dalla Commissione europea (...) il cui obiettivo è quello di sviluppare un modello pubblico-privato per la prevenzione del fenomeno del match-fixing, attraverso la selezione di buone pratiche europee e nazionali» (160).
  Per quanto riguarda le principali vicende giudiziarie in tema di match fixing, certamente la vastissima operazione «Last Bet» della procura della Repubblica di Cremona nel 2011 ha destato grande scalpore nel mondo del calcio italiano e internazionale, avendo svelato un diffusissimo sistema di alterazione dei risultati sportivi a fini di scommesse. La procura della Repubblica di Cremona e una task force composta da investigatori delle squadre mobili di Cremona, Bologna, Brescia e Alessandria e da personale dello SCO hanno condotto le indagini, molto complesse, che si sono sviluppate attraverso l'emissione di una serie di ordinanze di custodia cautelare (161). Secondo il Gip, «l'insieme degli atti di indagine – si pensi solo al numero dei giocatori e delle partite coinvolte e all'esistenza di accordi non solo tra singoli giocatori ma addirittura tra intere squadre – testimonia che l’«inquinamento etico» del mondo dei calciatori e forse anche di alcuni dirigenti non è stato episodico ma diffuso e «culturalmente» accettato in spregio ai principi di lealtà sportiva nei confronti dei tifosi innanzitutto» (162).
  L'indagine muove da una denuncia sporta dalla società calcistica Cremonese nel novembre del 2010 e ha portato, a cavallo tra il 2011 e il 2012, alla scoperta e alla neutralizzazione di una complessa associazione per delinquere dedita al condizionamento dei risultati di un alto numero di partite di campionati di calcio professionistici e dilettantistici al fine di trarre illeciti guadagni sulle scommesse. Le attività investigative, condotte anche in collaborazione con gli organi Pag. 79di polizia di Germania, Croazia, Finlandia e Svizzera, e svolte avvalendosi d'intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti, perquisizioni, microspie, controlli di computer e di estratti conto bancari, similmente a quanto viene fatto quando si indaga sulle organizzazioni mafiose e terroristiche, hanno portato alla luce il carattere marcatamente transnazionale e multietnico del cartello criminale, composto da giocatori in attività o meno, dirigenti delle squadre di calcio, bookmaker italiani e stranieri, liberi professionisti, che aveva il proprio centro a Singapore e operava attraverso ramificazioni in tutto il mondo, con responsabili per ciascun continente e delegati per aree regionali.
  In Italia si è distinto un gruppo con base nell'area balcanica, denominato degli «zingari», «un eterogeneo e pericoloso gruppo, composto da soggetti di origine slava che, alle dirette dipendenze del cartello di Singapore, ha conseguito il monopolio in materia di alterazione della genuinità degli incontri calcistici e delle relative scommesse. Vi militano elementi di varia estrazione, come scommettitori, soggetti inseriti in ambienti sportivi, ex calciatori ma anche pregiudicati di provenienza slava (ad esempio Ilievski Hrystian e Trajkovski Rade, quest'ultimo con precedenti per omicidio, rapina, banda armata, lesioni gravi e altro). Da quanto emerso, il ruolo prevalente di costoro sarebbe quello di penetrare all'interno dei settori calcistici per reclutare e corrompere atleti disponibili a favorire la manipolazione degli incontri calcistici. Il denaro necessario all'alimentazione del sistema corruttivo viene direttamente erogato dal cartello di Singapore che, proprio tramite l'incisiva intermediazione degli «zingari», veicola le somme agli sportivi corrotti. Per tale ragione, come emerso inequivocabilmente nel corso delle indagini e delle accertate proiezioni internazionali, gli «zingari» fungono da anello di collegamento, nella filiera criminale dell'organizzazione, tra il mondo imprenditoriale illecito legato alle scommesse e l'ambiente sportivo. Infatti, proprio in tale veste di emissari, si rinvengono continui rapporti sia con gli asiatici, fornitori di capitali, che con i soggetti corrotti che si prestano a favorirne i programmi delittuosi» (163).
  Questi soggetti si recavano addirittura nei ritiri e negli alberghi dove alloggiavano le squadre alla vigilia delle partite e, attraverso la messa in pratica di attività corruttive, compravano alcuni calciatori certi che questi avrebbero garantito l'avverarsi del risultato combinato sul quale il gruppo criminale avrebbe scommesso a colpo sicuro. Secondo il tariffario della corruzione per il mondo del calcio italiano una partita di serie A costava 400 mila euro, una partita di serie B 120 mila euro e una partita di Lega Pro 50 mila euro. Nel settembre del 2013, a Singapore, è stato arrestato Eng Tan Seet (alias Dan Tan) considerato il capo di questo cartello criminale. Tra le oltre cento persone arrestate nelle varie fasi dell'inchiesta Last Bet, sviluppatasi grazie anche alla denuncia di un tentativo di combine da parte del calciatore del Gubbio, Simone Farina, vi sono anche ex calciatori di serie A e della nazionale, come Beppe Signori, capitani di squadre come Antonio Bellavista (Bari), Cristiano Doni (Atalanta), Andrea Masiello (Bari), Stefano Mauri (Lazio), Omar Milanetto (Genoa).Pag. 80
  L'inchiesta di Cremona ha svelato una parte del meccanismo criminale con epicentro a Singapore, che era replicato anche in altri Paesi. Si pensi che nel 2009-2010 in Renania Westfalia sono state condotte indagini sulla manipolazione di oltre 300 incontri di calcio tedeschi e di altri Paesi europei, come Svizzera, Croazia e Finlandia, che hanno confermato il ruolo centrale di Tan Seet Eng.
  Illuminanti le dichiarazioni di uno dei partecipanti al sodalizio criminale, Perumal Wilson Raj, cittadino di Singapore: «Siamo specializzati anzitutto nella manipolazione (match fixing) delle partite internazionali a livello mondiale (...)Il beneficio normale sulle scommesse di una partita è tra 500 mila e 1 milione 500 mila euro (...) Nel trascorso di questi ultimi tre anni l'associazione ha organizzato partite per decine di milioni in Europa, Africa, Vicino Oriente e America. Il profitto globale (...) ammonta a vari milioni di euro, forse a 5 o 6 milioni» (164). Questa inchiesta dimostra, peraltro, che il sistema di corruzione dei calciatori in Italia era finalizzato ad alterare i risultati sportivi – e ciò è stato fatto per molti anni – al fine di scommettere non tanto sul circuito lecito italiano, sottoposto a monitoraggi e a controlli, ma su siti esteri, in particolare asiatici, singaporiani o cinesi. Infine, per concludere il circuito criminale c'era «un passatore di denaro (money carrier) singaporiano (...). Il suo ruolo consiste nel traffico di denaro contante generalmente da Singapore ad altri paesi di destinazione. Seguendo le istruzioni del nostro capo Tan Seet Eng, porta denaro ai luoghi dove si gioca o ai paesi in cui si rimette il denaro ai giocatori e ad altre persone corrotte o quando ci necessita denaro per altre spese»  (165).
  Nel maggio del 2015, la procura distrettuale di Catanzaro ha condotto l'inchiesta denominata «Dirty Soccer» avvalendosi di un pool investigativo composto dalla locale squadra mobile, da personale dello SCO, dei contributi operativi delle squadre mobili dei diversi contesti territoriali interessati all'esecuzione dei provvedimenti disposti dall'autorità giudiziaria (Calabria, Campania, Puglia, Emilia Romagna, Abruzzo, Marche, Toscana, Liguria Veneto e Lombardia).
  Sono stati coinvolti cinquanta indagati per reato di associazione a delinquere finalizzata alla frode delle competizioni calcistiche della Lega pro e della Lega nazionale dilettanti, oggetto di concorsi, pronostici o scommesse. Sono stati contestati anche i reati di estorsione, corruzione e sequestro di persona. Sono emersi il ruolo di Pietro Iannazzo, esponente di spicco della locale consorteria ‘ndranghetista e i suoi rapporti con il presidente del Neapolis, Mario Moxedano, preordinati ad alterare i risultati di una serie di partite. Secondo il capo della Polizia, Franco Gabrielli: «I successivi sviluppi dell'operazione hanno consentito di portare alla luce il cospicuo numero di partite che il sodalizio criminale era riuscito ad alterare. Mi pare significativo sottolineare che gli episodi in questione hanno coinvolto squadre di calcio anche del centro-nord grazie alla complicità di numerosi giocatori, allenatori, dirigenti e presidenti di società. Aggiungo che nelle indagini sono coinvolti sei soggetti di Pag. 81nazionalità straniera, colpiti da un'ordinanza cautelare di custodia in carcere emessa il 18 maggio 2016 dal gip di Catanzaro, tuttora latitanti» (166).
  Nel giugno 2015 un'altra importante indagine, denominata «Treni del gol», è stata condotta dalla procura di Catania, sviluppata dalla Digos del capoluogo etneo con i contributi delle Digos di Roma, di Chieti e del commissariato della Polizia di Stato di Termoli. L'indagine ha avuto inizio dall'iniziativa del presidente Pulvirenti che ha denunziato le pressioni dei tifosi e i tentativi d'ingerenza nella gestione della squadra (167). La procura ha chiesto l'archiviazione del procedimento ritenendo che non potessero configurarsi reati di minaccia o di tentata estorsione che vedessero persona offesa il presidente della squadra. Le indagini, viceversa, hanno rivelato agli inquirenti fatti e circostanze che hanno portato all'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare (168), confermata dal tribunale per il riesame, nei confronti di sette appartenenti a un'associazione a delinquere finalizzata alla realizzazione di un numero indefinito di frodi nelle competizioni sportive, in concorsi, pronostici e scommesse. Tra i soggetti colpiti dalla misura restrittiva, figurano anche il presidente, l'amministratore delegato e il direttore sportivo dell'epoca del Catania, ritenuti responsabili della combine di partite del campionato di serie B al fine di favorire la squadra etnea ed evitare la sua retrocessione in Lega Pro.
  Secondo il sostituto procuratore della Repubblica di Catania: «ciascun episodio delittuoso era caratterizzato dal seguente schema. Il capo, ovvero il presidente della società, Pulvirenti Antonino, dava definitivo mandato di alterare la competizione sportiva in cui sarebbe stata impegnata la squadra del Catania calcio. Successivamente, Delli Carri contattava altri soggetti, in particolare Di Luzio Piero, affinché utilizzasse i suoi contatti e si rivolgesse a un terzo soggetto, Arbotti Fernando Antonio, che era procuratore sportivo della FIFA, che aveva il compito e le conoscenze necessarie per contattare e direttamente far mettere d'accordo i calciatori delle squadre che sarebbero state avversarie del Catania. Impellizzeri aveva il compito di fornire al presidente Pulvirenti la provvista di denaro necessaria a comprare i favori dei calciatori delle squadre e Delli Carri contattava il suo caro amico Di Luzio Piero. A questo schema va aggiunta poi la partecipazione di Cosentino Pablo Gustavo, che, seppur non impegnato in tali attività materiali, dai dialoghi intrattenuti telefonicamente si comprendeva fosse pienamente consapevole e desse il proprio avallo alle operazioni poste in essere. Queste, naturalmente, sono tutte risultanze investigative poste a fondamento delle accuse della procura. Abbiamo già avuto dei riscontri durante le indagini preliminari con ordinanze emesse dal Gip confermate dal tribunale del riesame. Attualmente pende nuovamente la richiesta di rinvio a giudizio, dopo che era stato disposto un primo decreto che disponeva il giudizio, ma, per un vizio Pag. 82di forma, è stato dichiarato nullo e restituito al Gup» (169). Centrale la figura Giovanni Luca Impellizzeri, socio maggioritario della Bet Pro Sicilia, che non solo finanziava con consistenti risorse il gruppo criminale ma «si avvaleva di una vasta rete di soggetti appartenenti al settore della gestione delle scommesse online, che lo coadiuvavano e con i quali interloquiva giornalmente, sia per puntare, sia per raccogliere i proventi delle scommesse e del gioco d'azzardo delle agenzie del territorio. La Bet Pro, tra l'altro, a quell'epoca a lui riconducibile, era uno degli sponsor del Calcio Catania Spa» (170). Anche in questa indagine sono emersi, come era lecito attendersi in un territorio ad alto rischio da questo punto di vista, significativi collegamenti con esponenti della criminalità organizzata di tipo mafioso.
 Nell'ambito di un'altra importante indagine Il 23 maggio 2016 il Gip del tribunale di Napoli ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di sette affiliati al clan camorristico Vanella Grassi, resisi responsabili, tra l'altro, di aver truccato partite di calcio del campionato di serie B e di avere operato scommesse illecite. Come ha riferito il procuratore della Repubblica di Napoli, Giovanni Colangelo, in audizione: «Indagando sul gruppo che opera nella zona di Secondigliano-Scampia, quello cioè degli Amato, i colleghi hanno rilevato degli elementi che portavano a contatti con appartenenti alle associazioni calcistiche e, in particolare, anche con calciatori professionisti di serie B. Nel caso di specie crediamo, però, di avere acquisito elementi importanti. L'ordinanza è stata eseguita, dimostrando che, purtroppo, vi erano stati una consistente infiltrazione e un interesse delle organizzazioni criminali con contatti diretti con calciatori o club professionistici» (171). Nella medesima audizione, ad integrazione delle parole del procuratore Colangelo, il procuratore aggiunto della Repubblica di Napoli, Giuseppe Borrelli ha specificato che «nell'ordinanza di custodia cautelare che ha riguardato alcuni calciatori dell'Avellino ai quali è stato contestato il reato di concorso esterno in associazione mafiosa (...) accertammo, per darvi un'idea, due puntate su queste partite, ciascuna di 400 mila euro, provvista formata attraverso la raccolta del denaro nel quartiere. Una puntava sul fatto che venisse segnato un gol dalla squadra di casa e un'altra sulla vittoria dell'Avellino, che giocava, nel secondo caso, in casa. Questo dà il senso della rilevanza degli interessi in gioco» (172).
  Secondo l'ipotesi accusatoria i tre giocatori Luca Pini, Francesco Millesi e Armando Izzo – all'epoca dei fatti rispettivamente giocatori dell'ASD Atletico Torbellamonaca il primo e dell'Avellino gli altri due – erano «a disposizione» del clan Vanella Grassi con l'obiettivo di influire fraudolentemente sui risultati delle partite di calcio dell'Avellino. Umberto Accurso, capo del clan camorristico di Vanella Pag. 83Grassi, operante nelle zone di Secondigliano e Scampia, avrebbe convinto i giocatori Armando Izzo, Francesco Millesi e Luca Pini a truccare la partita Avellino-Reggina, giocata il 25 maggio 2014. Secondo gli inquirenti Antonio Accurso, fratello del capo clan Umberto, avrebbe offerto 50 mila euro ai tre giocatori per corrompere giocatori non meglio identificati della Reggina con l'obiettivo di ottenere la vittoria dell'Avellino sulla quale Antonio Accurso aveva scommesso 400 mila euro, somma provento di spaccio di stupefacenti e di estorsioni.
  Il 3 novembre 2017 il Gup del tribunale di Napoli ha disposto il rinvio a giudizio di Armando Izzo e Umberto Accurso per l'udienza del 2 febbraio 2018, il pubblico ministero ha chiesto la condanna di Pini, Millesi e Antonio Accurso, giudicati con rito abbreviato. La sentenza è attesa per il prossimo 13 dicembre.
  La procura federale della FIGC ha aperto un'inchiesta e ha chiesto la squalifica di sei anni per tutti e tre i giocatori. Il 7 aprile 2017 il tribunale federale ha diversamente modulato il livello di responsabilità dei tre calciatori, condannando Pini e Millesi a 5 anni di squalifica per illecito sportivo e Izzo a 18 mesi per omessa denuncia. In particolare, secondo la sentenza di primo grado: «la mole di intercettazioni e il chiaro contenuto delle stesse costituiscono una prova schiacciante del ruolo svolto da Pini Luca, nella causazione degli illeciti contestati» (173); per Millesi «valgono le medesime considerazioni sopra formulate. Dagli atti emerge un suo pieno coinvolgimento nella causazione degli illeciti» (174); per Izzo, invece, seppur rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa, secondo il tribunale «le risultanze investigative fanno emergere una posizione alquanto ambigua, a metà fra colui che non è in grado di divincolarsi dai legami e dalle frequentazioni legate al luogo di nascita ed ai vincoli di parentela/amicizia, ma che, nello stesso tempo non è pronto ad assecondare pedissequamente le richieste del clan Vanella Grassi». Tuttavia, vista la reticenza mostrata da Izzo nel negare fatti e circostanze realmente accaduti, risulta raggiunta «quantomeno la prova della sua effettiva conoscenza dei tentativi in atto volti ad alterare il normale andamento della partite in questione». Le sanzioni sportive sono poi state ridotte ulteriormente dalla corte federale d'appello per Millesi da 5 a 3 anni e per Izzo da 18 a sei mesi di squalifica (175).
  A livello internazionale per fronteggiare il fenomeno del match fixing, la FIFA si è dotata di un nuovo codice di comportamento, dopo che aveva già istituito il monitoraggio del mercato delle scommesse attraverso la controllata Early Warning System (EWS) e si era dotata di un sistema di reporting confidenziale per proteggere e assicurare l'integrità dello sport. Sul punto, particolare interesse suscita la misura annunciata da alcune leghe di calcio europeo circa l'utilizzo della tecnologia per rintracciare ‘modelli’ di scommesse volte a identificare coloro che per motivi di interesse economico mirano a influenzare gli eventi sportivi.Pag. 84
  Sul piano nazionale, invece, presso il Ministero dell'interno è stata da tempo istituita l'Unità interforze scommesse sportive (UISS), cui partecipano le forze di polizia, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM) e le istituzioni sportive (la procura generale del CONI). Nell'ambito della propria attività istituzionale, l'ADM ha costituito un'apposita struttura (GASS – Gioco anomalo scommesse sportive) che, sulla base del flusso delle scommesse monitora l'andamento delle giocate. Nel caso in cui dalla combinazione di una serie di elementi sintomatici attinenti ai livelli di raccolta e alle concentrazioni eccessive di giocate risulti o si evidenzi una possibile anomalia, l'ADM invia un'apposita segnalazione all'UISS. Tuttavia, dai dati raccolti presso la stessa ADM, le segnalazioni sul circuito lecito sono minime e davvero poco significative.
  Le segnalazioni trasmesse nel periodo 2014-2017, infatti, sono le seguenti (176): – 2014: 13 (12 Lega Pro e 1 Lega B); – 2015: 7 (2 Lega B, 3 Lega Pro, 1 Serie D, 1 campionato cileno); – 2016: 5 (1 Lega A, 1 Lega B, 3 Lega Pro); – 2017: 6 (1 volley, 1 calcio a 5, 1 Lega Pro, 2 serie D, 1 campionato moldavo).
  Tuttavia, si ha ragionevole motivo di ritenere, sulla base delle diverse testimonianze raccolte in Commissione, che le dimensioni del fenomeno match fixing, siano ben più ampie, anche perché le scommesse illegali connesse a questo fenomeno «vengono alimentate prevalentemente su reti di bookmakers stranieri o su siti illegali, quindi quasi sempre al di fuori del circuito concessorio nazionale» (177).
  L'inchiesta di Cremona, ad esempio, ha svelato una fitta rete di operazioni corruttive di calciatori finalizzate all'alterazione dei risultati sportivi, ma le attività di scommessa – non solo per le partite in Italia, ma anche negli altri Paesi europei – avvenivano su siti asiatici. A tale riguardo, con riferimento alle partite truccate in Italia, secondo le fonti di prova acquisite in Finlandia durante l'inchiesta, tra le quali in particolare le dichiarazioni di Perumal, «Tan Seet Eng realizzò una scommessa su queste partite in Cina servendosi di un gruppo di scommesse creato dai cinesi. Quel gruppo utilizzava e continua(...) i siti di crownnet.com, sbo.com e lbcbet.com. Questi siti sono principalmente proprietà dei cinesi, ma non sono registrati in Cina». Risultanze analoghe emergono dalle acquisizioni in Croazia, dove sono stati arrestati 20 scommettitori di origine croata e slovena «anch'essi coinvolti nella rete criminale internazionale di Singapore, diretta da Tan Seet Eng, a beneficio del quale gli arrestati hanno convogliato il denaro delle scommesse avvalendosi di siti informatici asiatici» o in Germania, per cui le scommesse erano convogliate «su siti asiatici allocati a Singapore e in Cina» (178).Pag. 85
  Le proiezioni internazionali dello schema criminale così congegnato avrebbe potuto essere contrastato efficacemente solo attraverso la massima collaborazione tra le autorità inquirenti dei vari Paesi coinvolti. A tale riguardo, però, il procuratore della Repubblica di Cremona pro tempore, Roberto Di Martino, titolare dell'inchiesta, ha lamentato la scarsissima cooperazione delle autorità asiatiche: «La collaborazione di Singapore è sempre stata molto scarsa. I rapporti sono stati sempre intrattenuti tramite Interpol. Attorno al settembre del 2013 lo scrivente, ha appreso tramite la polizia che in Singapore erano state arrestate 14 persone, tra le quali il singaporiano risultante tra i presunti capi dell'organizzazione italiana, nonché altro singaporiano, pure indagato nel procedimento di Cremona. Sempre secondo la polizia la ragione degli arresti era comunque collegata al fenomeno della manipolazione delle partite di calcio». Conseguentemente il magistrato aveva ritenuto indispensabile richiedere alle autorità asiatiche tutta una serie di atti istruttori e documenti ritenuti indispensabili per le indagini (179). Tuttavia, a fronte del fatto che le autorità italiane avessero sempre assicurato la più ampia collaborazione alle autorità di Singapore, queste al contrario, nella circostanza fornivano esclusivamente risposte negative  (180).
   Anche nel caso delle scommesse perpetrate dal clan di Vanella Grassi sono emersi collegamenti con l'estero: «ben può logicamente argomentarsi che il sodalizio criminale non abbia utilizzato esclusivamente gli ordinari canali nazionali per effettuare le proprie puntate, e ciò a maggior ragione se tali scommesse erano finalizzate anche a reimpiegare capitali illeciti; infatti non casuale è la circostanza che, al momento dell'arresto del Russo, subito dopo la fine della partita Avellino-Reggina, gli è stata rinvenuta addosso una ricevuta relativa a puntata del valore di 10 mila euro per la partita Avellino Reggina effettuata presso un centro scommesse di Malta (181)». Analoghe evidenze emergono, infine, con riferimento all'inchiesta «Treni del Pag. 86gol» della procura di Catania, nell'ambito della quale sono stati utilizzati siti web di scommesse illegali esteri.
  Le risultanze dell'inchiesta parlamentare, dunque, sollecitano iniziative in tema di contrasto al fenomeno delle scommesse sui circuiti illegali. Lo stesso presidente del CONI Malagò, dopo aver riferito del sistema di segnalazione dei flussi anomali delle scommesse raccolte dai concessionari di Stato, ha espresso preoccupazioni in tal senso: «Per tutte le altre scommesse raccolte da operatori esteri estranei a questo sistema nazionale trasparente e monitorabile, in particolare siti illegali gestiti da società non europee, c’è ancora molto da fare per contrastare ciò che si nasconde sotto la punta dell’iceberg che vediamo. In ogni caso anche le segnalazioni che provengono da questo monitoraggio che viene fatto nel nostro Paese, pur avendo una forte valenza di riscontro delle modalità di diffusione del match fixing, non consentono, di per sé, di avviare un'azione penale, non avendo i requisiti di una qualificata notizia di reato. È auspicabile una sempre maggiore collaborazione tra gli organismi di polizia giudiziaria delegati alle indagini e quelli deputati alla giustizia disciplinare». Secondo il presidente del CONI: «È, pertanto, necessario prevedere una normativa comune, almeno a livello di Unione europea, che regoli in modo omogeneo la materia e individui oggettivamente i rischi e i segnali di combine, favorendo lo scambio immediato di informazioni tra autorità competenti nei diversi Stati e favorendo il coordinamento investigativo, anche al fine di individuare le centrali di origine di questi casi, tracciandone l'evoluzione».
  A tale riguardo, è stata rappresentata dal capo della Polizia, dal Presidente del CONI e dal presidente dell'Associazione italiana calciatori (AIC) la necessità e l'urgenza della ratifica della Convenzione di Macolin del Consiglio d'Europa del 18 settembre 2014 sulla manipolazione delle competizioni sportive. Tale Convenzione ha lo scopo di prevenire, indagare, punire e perseguire la manipolazione delle competizioni sportive nonché di migliorare lo scambio di informazioni e la collaborazione a livello nazionale e internazionale tra le autorità competenti, con le associazioni sportive e con gli organizzatori di scommesse sportive.
  Sul tema delle scommesse anche il procuratore federale della FIGC Pecoraro ha proposto una serie di misure sul terreno della prevenzione, sollecitando, tra l'altro, l'inserimento nell'UISS di un componente della procura federale, essendo al momento presente, come organo inquirente sportivo, solo la procura generale del CONI (182).Pag. 87
 Infine, il presidente dell'AIC, Damiano Tommasi – non senza aver operato un'autocritica sul ruolo dei calciatori negli scandali degli ultimi anni – ha illustrato le iniziative poste in atto dall'associazione al fine di sviluppare e valorizzare anche il ruolo delle società nella sensibilizzazione dei giocatori sulle loro frequentazioni e anche sui rapporti con i tifosi organizzati: «Occorre poi considerare che a gestirli sono ragazzi che probabilmente non hanno gli strumenti e le modalità» per affrontare questi fenomeni. «Ho proposto un suggerimento, che cercheremo di attuare, anche se mi rendo conto che l'associazione ha sì un contatto diretto con gli atleti, ma che il vero contatto diretto ce l'hanno le società, compresa anche qualsiasi formazione contro il match fixing. (...) Poniamo la questione sul piano della scelta personale e individuale in merito all'accettare o meno la combine e all'accettare o meno di prestarsi a un determinato fenomeno. Mettiamo in guardia sul fatto che dietro questo fenomeno, purtroppo, come emerso anche dalle inchieste giudiziarie, non ci sono solo semplici scommettitori, ma c’è anche un business che va sicuramente tenuto in conto e che deve far paura, per taluni versi. Le società hanno questo ascendente di formazione. Quello che noi abbiamo cercato di proporre l'anno scorso, e che riproporremo, è di formare i calciatori sulla piazza in cui stanno giocando, sapendo quali sono le dinamiche delle tifoserie, e non solo, ma anche quali sono le dinamiche in città e chi sono le persone e i soggetti a cui affidarsi in caso di problematiche, e di fare fronte comune con la società, per conoscerle, quantomeno» (183).

5. Le società dilettantistiche.

  I temi affrontati nella relazione del rapporto tra la mafia e gli attori del sistema calcio (tifosi, società e calciatori) assumono caratteri peculiari nel mondo del dilettantismo.
  La Lega nazionale dilettanti (LND) è la componente più numerosa dell'organizzazione calcistica (184), inquadrata nella FIGC. La LND gestisce anche l'imponente attività del calcio giovanile e costituisce la base della piramide del calcio italiano: 12.681 società, più di un milione di giocatori, 200 mila dirigenti, 70 mila squadre, 620 mila gare Pag. 88ogni anno. I dati offrono la misura della presenza sul territorio nazionale del calcio dilettantistico, presente com’è in tutte le province, nei piccoli comuni e anche nelle frazioni periferiche delle città (185).
  Lo sport è uno straordinario vettore della raccolta del consenso sociale. Se gli assetti proprietari delle società di calcio possono essere un tema sensibile rispetto agli interessi della criminalità organizzata o di gruppi finanziari non esattamente individuabili sul territorio per le serie maggiori, può facilmente immaginarsi quali criticità possono emergere con riguardo al calcio minore. Ciò ha trovato conferma dall'audizione del presidente della COVISOC, dove sono emersi i limiti del sistema di controllo per le società delle serie professionistiche, e da quella della COVISOD, dove si sono riscontrate criticità ancora maggiori.
  La COVISOD opera solo un controllo documentale sulle società al momento dell'iscrizione al campionato, un controllo sulla validità dei documenti, sulla correttezza delle fideiussioni, sulla regolarità di versamenti dovuti (vedi capitolo 3). Non esiste un controllo a monte sugli assetti societari, sui dati contabili, sulla presenza di finanziamenti-soci, sui bilanci o sui rendiconti delle società (186). Le società dilettantistiche hanno, frequentemente, un deficit di patrimonializzazione finanziaria significativo, in molti casi sono finanziate dai soci o da soggetti terzi che intervengono in aiuto (187). Sono società più vulnerabili, dove la criminalità mafiosa può facilmente offrirsi come leva finanziaria alternativa ai circuiti bancari, come testimoniano i seguenti casi che possono essere considerati tra i più emblematici.
  Nel marzo del 2010, con l'operazione denominata «Arcobaleno», la direzione distrettuale antimafia di Napoli ha disposto il sequestro della società sportiva calcio Giugliano (NA), militante nel campionato regionale di Eccellenza, che è risultata riconducibile al latitante Giuseppe Dell'Aquila, alias «Peppe ‘o ciuccio», esponente apicale del clan camorristico dei Mallardo. Sono stati sequestrati beni per oltre tre milioni di euro, tra cui anche una scuderia ippica. «La vicenda ha dimostrato come il sodalizio fosse, in realtà, disinteressato alle sorti sportive del club, precipitato in tre anni dalla serie C2 ai dilettanti del campionato di Eccellenza. Il gruppo camorristico, infatti, utilizzava lo schermo calcistico per imporre ai commercianti di Giugliano la sponsorizzazione della squadra e il pagamento della pubblicità effettuata nello stadio di una marca di caffè distribuita dal clan in regime di quasi monopolio nel territorio d'influenza» (188). Peraltro, nell'aprile del 2013, il comune di Giuliano è stato sciolto per infiltrazioni mafiose del clan Mallardo nell'amministrazione comunale.Pag. 89
  Il 28 aprile 2010 la DDA di Reggio Calabria ha eseguito un decreto di fermo (189) nei confronti di quaranta indagati ritenuti esponenti di rilievo del potente clan Pesce di Rosarno (RC), per associazione di tipo mafioso e reati collegati. Il procedimento si è avvalso del decisivo contributo di una collaboratrice di giustizia, figlia di uno dei maggiorenti della cosca; si è concluso in primo grado con l'irrogazione di oltre 500 anni di carcere; a marzo 2017 sono divenute definitive quasi tutte le condanne, soprattutto quelle inflitte ai vertici della cosca; nel 2011 la sezione per le misure di prevenzione del tribunale di Reggio Calabria ha disposto il sequestro di beni della cosca per un valore di 190 milioni di euro nei confronti di diversi affiliati alla cosca (190) tra i quali uno dei capi, Marcello Pesce, latitante fino al 1o dicembre 2016 e condannato in via definitiva a oltre 16 anni di reclusione. Tra i cespiti sequestrati anche le quote di tre società di calcio, due calabresi – la AS Rosarno e la ASD Cittanova Interpiana calcio – e una campana – il Sapri Calcio, squadra questa ultima che militava nel campionato interregionale. È stato disposto il sequestro anche di un impianto sportivo composto da tre campi di calcio di soggetti riconducibili al predetto sodalizio criminale. Peraltro, il capo clan aveva rivestito anche la carica di direttore generale dell'ASD Rosarno e, successivamente, del Sapri Calcio. Così scrive il tribunale per le misure di prevenzione di Reggio Calabria: «La forte cointeressenza di Pesce Marcello nella gestione del Sapri calcio, il dato della massiccia immissione di liquidità nella casse della società che, evidentemente, esula dal ruolo di direttore generale, che è un mero ruolo di amministrazione ma scisso dagli obblighi o dagli interessi della proprietà, senza che sia mai stata resa ufficiale la cointeressenza economica in posizione di preminenza del proposto nella compagine sociale, sono circostanze che emergono dalle convergenti dichiarazioni di soci, amministratori della società, terzi estranei. Tra l'altro proprio il fatto che i responsabili della tenuta delle scritture contabili al momento del sequestro abbiano scientemente omesso di consegnare agli amministratori giudiziari le scritture contabili della società accredita la scelta della precedente gestione di non rendere palesi le reali vicende contabili della compagine sociale. In un momento dunque di fortissima crisi di liquidità (anni 2004-05) il Sapri calcio è sopravvissuto, ha potuto essere iscritto al campionato 2005-06 grazie alla liquidità immessa da Marcello Pesce, direttore generale sì, ma privo di titoli formali di proprietà che legittimassero le immissioni di denaro. Se ne deve concludere che Pesce non solo svolgeva, ufficialmente, il ruolo di direttore generale che gli garantiva una visibile presenza nel mondo del calcio, se pur dilettantistico, e utili contatti ma aveva un forte prevalente interesse diretto alla proprietà e alle sue sorti dato che, solo, può giustificare l'impiego di somme di denaro così rilevanti (80-100 mila euro) in anni in cui i suoi redditi erano quelli assai modesti di un lavoratore dipendente. In detto contesto, di per se solido, s'inseriscono anche le dichiarazioni di Salvatore Facchinetti che nell'interrogatorio del 6 novembre 2007 ha parlato degli interessi del clan Pesce nel mondo del calcio, e, in particolare degli interessi di Francesco Pesce con l'Interpiana e di Marcello Pesce che, due anni Pag. 90prima, aveva venduto la squadra (Rosarnese). Il collaboratore spiega che l'interesse dei Pesce per la gestione e la proprietà delle squadre di calcio era connessa ai contatti che la frequentazione con giocatori che provenivano da varie aree territoriali garantiva, e questo anche nell'ottica della distribuzione della droga (non affidata agli sportivi) sfruttando, magari, la rete di contatti che costoro si portavano naturalmente dietro, utilizzando il collegamento con i loro territori di provenienza che divenivano nuove aree di sviluppo per le loro attività illecite. Il dato trova conferma nella conversazione registrata in carcere il 25 gennaio 2007 tra Pesce Antonino, il figlio Francesco, il nipote Francesco e il cognato Giovinazzo Rocco. In detta conversazione Pesce Antonino manifesta il suo desiderio che i nipoti operino e si connettano con il mondo del pallone perché 22 giocatori «quelli portano pane... uno viene da un paese, chi viene da un altro, sai al paese mio così e così, va bene... questo è... questo significa, ogni cosa, una piazza, ogni discorso». Il capo cosca, lungimirante, coglie l'importanza di uscire dai circuiti territoriali asfittici del proprio locale e indica nel variegato ambiente del calcio un potente vettore per accedere a nuovi potenziali mercati. Non solo. Le conversazioni registrate in carcere dicono anche che gli operatori economici della zona dovevano contribuire a mantenere in vita le squadre di calcio d'interesse della cosca. I dati qui rilevanti sono due. È provato dalle convergenti dichiarazioni di testi oculari e disinteressati che Marcello Pesce negli anni 2005-2006 aveva disponibilità di denaro assai consistenti e non giustificate da attività lecita (80-100 mila euro) e (...) che tale liquidità di provenienza illecita è stata immessa nel Sapri Calcio. Se la predetta società è rimasta sul mercato, se pur mutando poi ragione e riducendo il capitale sociale, ciò è dovuto alle immissioni di denaro di Pesce Marcello che non è dato sapere fino a quando sono proseguite posto che i dati di cui si dispone si fermano al 2006. (...) La predetta società di calcio, quote sociali, capitale sociale e patrimonio aziendale, qualunque sia ora la titolarità formale, e ciò che ne rimane, devono quindi essere confiscati» (191).
  Le parole del boss intercettate in carcere assumono la valenza di una dichiarazione programmatica, dicono come la ‘ndrangheta fosse interessata al capitale relazionale che una squadra di calcio portava in dote, alle opportunità di inserimento in nuovi mercati, leciti e illeciti, che dall'apertura verso nuove aeree territoriali sarebbero potute derivare.
  Più di recente sono da segnalare le seguenti numerose inchieste.
  Il 29 giugno 2016, a Messina, è stato arrestato il vicepresidente dell'ACR Messina Calcio, per concorso esterno in associazione mafiosa e turbativa d'asta. Il procedimento riguarda un vasto giro di scommesse clandestine in cui sarebbe coinvolto il clan Giostra.
  Il 1o giugno 2016 il tribunale di Lucca ha disposto il sequestro dei beni dell'ex presidente del Viareggio calcio, già condannato nel 2008, in via definitiva, per associazione di stampo mafioso e riciclaggio per il coinvolgimento in attività illecite del clan Prudentino della sacra corona unita.
  Il 21 gennaio 2017 il prefetto di Perugia ha emesso un'interdittiva antimafia nei confronti della squadra di Serie D Città di Foligno 1928. Pag. 91Il presidente del club era stato arrestato per i reati di riciclaggio, truffa e fatturazione per operazioni inesistenti anche in relazione all'inchiesta «mafia capitale».
  Il 9 febbraio 2017 la procura distrettuale di Roma ha disposto il sequestro dell'Ilva Maddalena 1903 (SS), militante nel campionato di Eccellenza, perché, secondo gli inquirenti, la squadra è stata acquistata da esponenti del clan Cordaro di Tor Bella Monaca arrestati a luglio 2016. L'acquisto sarebbe avvenuto con denaro provento di spaccio di sostanze stupefacenti e con l'intermediazione dell'avvocato del sodalizio, divenuto poi il presidente del club, al quale sarebbero stati consegnati proventi illeciti per 190 mila euro da riciclare attraverso il sistema delle sponsorizzazioni.
  Nell'ambito del procedimento che il 15 maggio 2017 ha svelato il controllo della cosca Arena nella gestione del CARA di Isola Capo Rizzuto (KR) è stata sequestrata anche la locale squadra di calcio, appena promossa in serie D, prima gestita da Pasqualino Arena e ritenuta riconducibile proprio alla predetta cosca.
  Infine, deve ritenersi che il fenomeno tra i dilettanti sia ancora più ampio, se – nello stesso solco della ricerca del consenso e del palese tentativo di ottenere anche la gestione economica di attività che possono costituire canali per il reinvestimento di denaro «sporco» – sulla base delle inchieste della procura della Repubblica di Lecce si segnala la partecipazione di esponenti di rilievo dell'ambiente mafioso, e di persone ad esso contigue, ad alcune società di calcio della provincia di Lecce (Galatina, Monteroni, Poggiardo, Racale, Tricase, Squinzano, Taurisano).

6. Conclusioni e proposte normative.

  Il rapporto tra la mafia e le tifoserie è la porta d'ingresso che consente alla criminalità organizzata di tipo mafioso di avvicinarsi alle società per il tramite del controllo mafioso dei gruppi organizzati; le forme di estremismo politico che in essi allignano, inoltre, rischiano creare saldature con ambienti criminali mafiosi ancora più preoccupanti per la sicurezza e la vita democratica.
  Ferma restando la capacità di infiltrazione della mafia in ogni ambito ove si prospettano opportunità di illecito arricchimento, tale avvicinamento è consentito anche dalla concomitanza di alcuni fattori di debolezza delle società sportive che si traducono in fattori di rischio per l'intero sistema calcistico.
  Il principio della responsabilità oggettiva pone in posizione di soggezione le società rispetto alle tifoserie organizzate che la utilizzano come arma di ricatto in cambio di benefit economici. Il rapporto con i tifosi è ulteriormente complicato dalla base sociale delle tifoserie ultras, considerando l'estrazione, in buona parte criminale, dei capi delle loro frange estreme. Questi ultimi spesso sono soggetti pluripregiudicati per gravi reati, e per questo anche invisi alla maggioranza dei normali sostenitori delle squadre, semplici appassionati che assistono inermi a manifestazioni violente o minacciose che non hanno niente a che vedere con i valori dello sport.
  Questo fa sì che le «norme di spettacolo», che valgono negli altri settori dello stadio, non vengano rispettate nell'ambito delle curve: è Pag. 92tollerato, infatti, che nelle curve non venga rispettata la norma che lega il posto a sedere a un nominativo specifico. I tifosi esercitano di fatto un «controllo del territorio» all'interno dello stadio e ci sono settori che si presentano come vere e proprie «zone franche», seppure indirettamente controllabili attraverso un monitoraggio a distanza con strumenti tecnologici sempre più sofisticati.
  Al riguardo rileva inoltre che le infrastrutture sportive non sono sempre all'altezza: gli impianti, siano essi di proprietà delle società o siano di proprietà pubblica, devono essere dotati di strumenti di controllo che garantiscano la sicurezza e l'individuazione dei soggetti che violano le norme di comportamento all'interno dello stadio e che per questo dovrebbero subire più severe sanzioni anche da parte delle società. Queste riflessioni devono trovare un punto di sintesi con quanto si coglie nelle scelte del legislatore così come nell'analisi del problema condotta dai responsabili della sicurezza nazionale.
  Anche l'osservazione delle formidabili opportunità di lucro che il volume di affari che ruota intorno al calcio offre alla criminalità organizzata conduce ad alcune riflessioni.
  In primo luogo è necessario cambiare la cultura sportiva, allineare la concreta gestione degli affari del calcio alle regole più autentiche dello sport. Lasciare che le discipline sportive si inchinino unicamente alla logica del profitto, di cui è pur necessario tenere adeguato conto, rischia di corrodere il sistema dall'interno. Dall'istruttoria condotta dalla Commissione sono emersi spunti che riguardano un po’ tutti i temi affrontati dall'inchiesta.
  Sul tema della sicurezza:
   propedeutico a qualunque intervento sulla legislazione vigente è l'investimento delle società e delle amministrazioni pubbliche proprietarie degli stadi in tecnologie avanzate, idonee a garantire un effettivo controllo dello stadio che consenta di risalire tempestivamente agli autori dei comportamenti sanzionati. Tali investimenti potrebbero essere sostenuti da appositi incentivi di carattere fiscale e dall'assegnazione di adeguate risorse pubbliche, beninteso prevedendo opportune forme di controllo sulla spesa;
   adottare le misure necessarie per rendere efficace la riconducibilità a un determinato soggetto del titolo di ingresso allo stadio; in tal senso, l'esperienza, anche sul piano internazionale, offre un ampio ventaglio di misure che si fondano sull'uso di avanzate tecnologie, che dovrebbero rapidamente trovare la più ampia diffusione possibile in tutti gli stadi del professionismo italiano. Nelle more dell'adozione di tali misure, dovrebbe essere valutata l'ipotesi di inibire o disincentivare i cambi di intestazione dei biglietti e degli abbonamenti, qualunque sia la modalità di acquisto. Tali misure contribuirebbero a ridurre il rischio del fenomeno del bagarinaggio;
   gli steward svolgono un ruolo importante nel complessivo sistema sicurezza dello stadio anche in ragione delle competenze aggiuntive di recente attribuite dalla legge. Dalle audizioni è emerso come la formazione interna degli steward premi in termini di fidelizzazione e affidabilità. Sarebbe allora opportuno pensare a un tipo di formazione comune, affidata alle medesime società di calcio, con il coordinamento Pag. 93delle leghe, per garantire l'omogeneità dei criteri di selezione e del relativo percorso di formazione;
   sarebbe opportuno intervenire sul provvedimento di Daspo irrobustendone l'efficacia sia prevedendo termini di efficacia più severi che introducendo l'obbligo e non più la facoltà di imporre al destinatario di presentarsi agli uffici di pubblica sicurezza nel corso delle manifestazioni sportive;
   nell'auspicio che progressivamente gli stadi siano dotati di tutte le necessarie infrastrutture di sicurezza e che nelle curve siano affermati obblighi e stabilite obbligazioni che consentano l'applicazione delle regole in modo uniforme in tutto lo stadio, si potrebbe allora valutare l'introduzione anche di misure, come strutture sul modello inglese che consentano di trattenere temporaneamente soggetti in stato di fermo all'interno dello stadio, atte ad agevolare l'azione delle forze dell'ordine, con particolare riferimento all'arresto in flagranza, anche differita, e alla possibilità di procedere al giudizio per direttissima;
   uno sforzo di tipizzazione degli adempimenti e delle condotte che integrano le attenuanti e le esimenti di cui all'articolo 13 del codice di giustizia sportiva della FIGC contribuirebbe a rendere residuali, e più comprensibili, i casi di responsabilità oggettiva delle società prevista dall'articolo 14 per le violazioni dell'articolo 12 del codice di giustizia sportiva della FIGC da parte dei sostenitori. Si potrebbe valutare l'introduzione di analoghe esimenti ed attenuanti per l'ipotesi di responsabilità oggettiva prevista dall'articolo 11 comma 3 CGS della FIGC non richiamata dall'articolo 13 comma 1 del codice. Anche in questo caso per le società sarebbe determinante poter contare su un efficace sistema di controllo di quanto accade all'interno dello stadio;
   introdurre il reato di bagarinaggio, nonché inasprire le sanzioni alle società per i fatti connessi a tale tipo di illecito, sia esso sportivo o in prospettiva penale;
   inasprire le sanzioni della giustizia sportiva: è opportuno valutare l'adeguatezza delle sanzioni comminate – in maniera particolare nel match fixing e in caso di collusioni con la criminalità organizzata di tipo mafioso – sia in termini assoluti, con riferimento ai fatti oggetto di contestazione, sia in termini relativi, prevedendo rafforzate e più efficaci forme di raccordo con la giustizia ordinaria, in modo da valorizzarne le risultanze definitive.

  Analoga attenzione andrebbe riservata alle misure dirette a impedire che il calcio – come qualunque altro sport – offra occasione d'illecito lucro alla criminalità organizzata.
  In particolare si propongono le seguenti misure:
   nel quadro di una sempre più auspicabile e urgente riforma della governance e dei controlli nell'ambito dello sport, prevedere l'adozione di misure adeguate che rafforzino la centralità del CONI nella sua funzione pubblicistica quale ente che assicura il rispetto da parte delle federazioni, leghe e società sportive, di tutte le norme previste a tutela della legalità, ivi incluse le norme sulla trasparenza delle proprietà Pag. 94delle società di calcio e di quelle in materia di certificazioni antimafia, promuovendo altresì la più ampia applicazione dello strumento delle informazioni antimafia. Nel contesto di tale riforma, agli organismi di vigilanza e agli organi inquirenti previsti dall'ordinamento sportivo (procura federale, procura antidoping, COVISOC, COVISOD, ecc.) dovrebbero essere attribuite ancor più spiccate garanzie di indipendenza e imparzialità nonché adeguati mezzi e risorse per l'adempimento delle proprie delicate funzioni, assicurando nel contempo forme stabili ed efficaci di raccordo e collaborazione con le omologhe autorità e organismi dello Stato. Nelle more di tale auspicato riassetto della governance dello sport e del calcio in particolare, appare urgente prevedere un rafforzamento delle vigenti disposizioni federali che stabiliscono la soglia del 10 per cento del capitale sociale dei club al di sopra della quale è prevista l'acquisizione delle informazioni antimafia. In tal senso occorre integrare tale disposizione prevedendo: un programma di «verifiche a campione», anche sulla base di una selezione risk-based, sull'onorabilità dei soggetti proprietari di squadre di calcio che sono divenuti azionisti ancor prima della data di introduzione della normativa federale; l'applicazione di dette verifiche anche ai casi previsti dal codice civile in cui vi è una influenza dominante in una società anche al di sotto della predetta soglia; la verifica dell'origine lecita delle fonti di finanziamento dei club e dei collateral prestati da non azionisti a garanzia del credito bancario erogato a favore delle società di calcio;
   reinserire la disposizione sul controllo preventivo dei capitali esteri (c.d. «emendamento Bindi»), introdotta nell'ordinamento dall'articolo 1, comma 148, della legge n. 232 del 2016 e abrogata dal decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 90;
   assicurare la tracciabilità dei flussi finanziari con riguardo alla costituzione delle società di calcio, alla cessione delle quote, alle transazioni per l'acquisto dei calciatori estendendo i presidi antiriciclaggio anche alle società di calcio. In particolare occorre: estendere l'obbligo di segnalazione di operazioni sospette di riciclaggio anche al CONI e agli organismi di vigilanza che operano nell'ambito delle federazioni (quali nel calcio, la COVISOC e la COVISOD); prevedere che il CONI, tramite la Federcalcio e le altre federazioni, abbia accesso alle informazioni sul titolare effettivo delle società sportive contenute in un'apposita sezione del Registro delle imprese, possibilità ora preclusa dal decreto legislativo 90/2017; richiedere all'UIF della Banca d'Italia, analogamente a quanto positivamente sperimentato per altri settori o tipologie di operazioni, elabori specifici «indicatori di anomalia» e di «schemi di modelli anomali» applicabili alle transazioni eseguite dalle società di calcio o comunque connesse con il mondo dello sport;
   prevedere che i controlli delle COVISOC e della COVISOD abbiano anche la finalità di monitorare e verificare la paternità delle partecipazioni societarie e le successive modifiche. In tal senso sarebbe necessario ampliare lo spettro di vigilanza di COVISOC e COVISOD con riferimento ai profili soggettivi della proprietà attribuendo alle medesime i poteri di controllo idonei a prevenire l'ingresso di capitali illeciti nelle società;Pag. 95
   richiedere che le autorità del calcio, e non solo, esercitino la dovuta moral suasion sulle autorità sportive internazionali affinché sia adeguatamente rafforzata la vigilanza sui club eseguita dall'UEFA nell'ambito del cd. fair play finanziario, in modo da prevedere misure adeguate, come peraltro richiesto dal GAFI, anche per prevenire che le società di calcio con licenza UEFA sia utilizzate come strumento di riciclaggio di proventi illeciti;
   ratificare la Convenzione di Macolin del Consiglio d'Europa del 18 settembre 2014 sulla manipolazione delle competizioni sportive (192). Il 27 gennaio 2017, il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale e del ministro per lo sport, ha presentato un disegno di legge per l'adesione dell'Italia alla Convenzione, che è stato approvato il 22 novembre 2017 alla Camera dei deputati e che attualmente è in discussione al Senato. Ora è necessario concludere questo iter;
   rafforzare, a fini preventivi, il sistema di monitoraggio sulle scommesse illegali su siti non autorizzati o su siti stranieri;
   limitare il novero dei fatti sportivi sui quali è possibile scommettere. Uno dei fattori che facilita il fenomeno del match fixing è proprio la possibilità di scommettere su qualunque evento e frazione della condotta di gioco, opportunità che agevola l'accordo illecito con un minore numero di attori infedeli. Limitare la possibilità di scommettere sul solo risultato finale dell'incontro e, al massimo, su quello del primo tempo, ridurrebbe significativamente le occasioni d'illecito accordo;
   vietare le scommesse sulle partite di calcio delle società che militano in campionati dilettantistici, attesa la loro maggiore vulnerabilità sul piano economico e al condizionamento di esponenti della criminalità e considerato altresì che non di rado hanno difficoltà ad adempiere agli obblighi contrattuali verso i calciatori così esponendoli al più alto rischio che si prestino ad operazioni di match fixing;
   valutare, infine, in una prospettiva in cui le politiche fiscali tengano conto delle misure di politica di prevenzione della criminalità, l'allineamento della tassazione delle scommesse a quella che colpisce le altre operazioni commerciali. Il settore delle scommesse sportive non è solo fonte di ragguardevoli introiti per l'Erario ma è anche fonte di lautissimi guadagni sia per gli scommettitori ma ancor più per le società di betting che operano in sostanziale assenza di rischio di impresa. Tutto questo facilita e incentiva le frodi sportive e contribuisce a diffondere forme di dipendenza del gioco in strati sempre più ampi del tessuto sociale e, in particolari, tra i giovani.

 

NOTE:

   (1) Cfr. Doc. n. 1641.1

   (2) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Maestro dello Sport del CONI, Alessandro Donati (14 luglio 2016)

   (3) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Capo della Polizia, Franco Gabrielli (3 maggio 2017)

   (4) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Capo della Polizia, Franco Gabrielli (3 maggio 2017): «Anche per questo (...) desidero esprimere un cenno di sincera gratitudine al Governo e al Parlamento per aver ripristinato con la conversione del decreto-legge sulla sicurezza urbana l'istituto dell'arresto in flagranza differita, strumento rivelatosi fondamentale per contrastare efficacemente le manifestazioni dell’«hooliganismo» ed evitare ritorni di fiamma»

   (5) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del sostituto procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Catania, Alessandro Sergio Sorrentino (9 febbraio 2017)

   (6) Sentenza del tribunale di Catania, I sez. penale, 14 ottobre 2014, 4305/14, proc. n. 11536/07 RGNR, (Doc. n.1320.1)

   (7) Il tema del sostegno alle famiglie dei detenuti e del loro mantenimento è emerso anche nella vicenda giudiziaria torinese che ha coinvolto la Juventus, in particolare così ha riferito la moglie del capo ultras Puntorno in sede di interrogatorio (cfr. resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del procuratore federale FIGC, Giuseppe Pecoraro, 5 aprile 2017)

   (8) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del sostituto procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Catania, Alessandro Sergio Sorrentino (9 febbraio 2017)

   (9) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del sostituto procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Catania, Alessandro Sergio Sorrentino (9 febbraio 2017)

   (10) Sentenza del tribunale di Catania, II sez. penale, 7 dicembre 2016, 6025/16, proc. n.14077/12 RGNR (Doc. n.1320.1)

   (11) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del sostituto procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Catania, Alessandro Sergio Sorrentino (9 febbraio 2017)

   (12) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del giornalista de La Sicilia, Mario Barresi (9 febbraio 2017): «L'inchiesta non parte da una denuncia del calciatore, né di alcun altro tesserato del Catania Calcio, ma è un'inchiesta della DIGOS, che chiama Biagianti e gli fa delle domande, alle quali lui non risponde nemmeno con molta precisione. Al processo il calciatore non si è costituito parte civile. Questo è un altro elemento che, secondo me, serve a descrivere il contesto»

   (13) Sentenza del tribunale di Catania, II sez. penale, 7 dicembre 2016, proc. n.14077/12 RGNR (Doc. n.1320.1): «Con riferimento alla causale sottesa alla richiesta di denaro, la tesi inizialmente sostenuta da Biagianti Marco e conforme a quella difensiva, secondo la quale il denaro era stato richiesto dagli imputati per sostenere la tifoseria, è stata palesemente smentita dal teste Angiolucci Aldo (suocero di Biagianti, ndr). L'Angiolucci, il quale, non avendo assistito a tale richiesta, non poteva che riportare quanto comunicatogli dallo stesso Biagianti, non avendo peraltro alcun motivo di rivolgere false accuse agli odierni imputati, riferiva in modo spontaneo e preciso che, nel richiedere la somma di denaro, gli imputati avevano fatto riferimento a spese processuali da sostenere, escludendo esplicitamente che suo genero gli avesse parlato di un supporto alla tifoseria. Messo di fronte a tale contraddizione, lo stesso Biagianti ammetteva che gli imputati avevano fatto riferimento a problemi giudiziari e alle relative spese da sostenere. Ebbene, l'allusione alla pendenza di spese processuali richiama chiaramente la vicinanza dell'autore della richiesta ad ambienti malavitosi e a soggetti sottoposti procedimenti penali (tanto più se si considera che la richiesta proveniva da Piacenti Rosario, figlio di Piacenti Giovanni, già condannato per l'appartenenza all'associazione di stampo mafioso denominata proprio «Piacenti», cfr. sentenza e certificati penali acquisiti al fascicolo del dibattimento). Lasciare intendere tale vicinanza ad ambienti malavitosi locali integra senz'altro una minaccia implicita della possibilità di ritorsioni nel caso in cui non venisse accontentata la richiesta di denaro» (...).«Lo stesso Biagianti» – prosegue la sentenza – «risentito in seguito ai contrasti tra la sua deposizione e quella del suocero, ammetteva che aveva temuto anche per la sua incolumità. Tale affermazione, del resto, è senz'altro coerente con il fatto che in quel periodo non si recasse più da solo agli allenamenti, facendosi accompagnare da suo suocero. Tale comportamento dimostra, più di ogni altra cosa, quanto la condotta degli odierni imputati l'avesse intimorito (...) Che la richiesta non fosse stata percepita come un regalo per la tifoseria e, dunque, come una richiesta proveniente dall'ambiente calcistico di cui lui faceva parte, ma come una vera e propria estorsione proveniente dalla malavita locale è confermato anche da una frase pronunciata dal Biagianti in sede di sommarie informazioni, contestatagli dal Pubblico Ministero in ausilio alla memoria e da lui confermata: «non essendo di Catania non sapevo come comportarmi», che spiega come lo stesso si fosse rivolto alla sua compagna e al suocero perché, essendo del posto, avrebbero saputo meglio di lui come comportarsi». Significativo a quel punto è il comportamento del suocero di Biagianti che si rivolge a un associato mafioso per poter parlare con lo stesso Piacenti: «Sebbene Angiolucci Aldo abbia limitato il ruolo di Zuccaro Salvatore a quello di suo accompagnatore, escludendo che avesse avuto un ruolo di intermediario, tuttavia, appare estremamente significativo che avesse chiesto proprio allo Zuccaro di aiutarlo a cercare Piacenti Rosario. Tale reazione dimostra, ad avviso del Collegio, come Angiolucci Aldo avesse immediatamente capito che la richiesta proveniva da ambienti malavitosi e che, pertanto, Zuccaro Salvatore, quale appartenente ad un'associazione di tipo mafioso, era la persona più idonea per cercare «queste persone». Anche il comportamento tenuto dal soggetto che, secondo la testimonianza dell'Angiolucci, avrebbe dovuto metterlo in contatto con Piacenti Rosario appare sintomatico della condotta estorsiva dell'imputato, ove si consideri che, capito il motivo per il quale Angiolucci Aldo voleva incontrare il Piacenti e apprese le richieste di denaro di quest'ultimo costui si era tirato indietro, non volendo essere coinvolto»

   (14) Audizione del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, Giovanni Colangelo, e del procuratore aggiunto, Giuseppe Borrelli (8 febbraio 2017) e audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso la presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli, Enrica Parascandolo (11 aprile 2017)

   (15) “Nell'area nord di Napoli sono insediati alcuni tra i più strutturati gruppi criminali cittadini. Uno di questi è il clan Lo Russo, dei «capitoni» di Miano, che negli anni si è reso protagonista, pur senza parteciparvi attivamente (ad esempio mettendo a disposizione le armi), di faide che hanno insanguinato varie zone del capoluogo, come accaduto, più di recente, per la Sanità. Le numerose inchieste e la scelta collaborativa di elementi di vertice hanno finito per indebolirne la legittimazione sul territorio: sintomatico, in tal senso, è l'attentato incendiario del 25 agosto 2016, nel quartiere Piscinola, che ha danneggiato le auto della moglie e della figlia di uno dei membri della famiglia Lo Russo, attualmente detenuto e collaboratore di giustizia. In tale contesto si sono affacciate nuove leve già gravitanti nell'orbita dei «capitoni»: l'azzeramento dei quadri di comando di quest'ultima organizzazione ha finito per alimentare le ambizioni del clan Licciardi della Masseria Cardone di gestione delle piazze di spaccio sui territori controllati dai mianesi. Dal mese di settembre 2016 la situazione è diventata ulteriormente critica: il reggente dei Lo Russo, resosi irreperibile nel precedente mese di giugno, il 27 settembre 2016 si è infatti costituito presso il carcere di Benevento, all'indomani dell'omicidio di un suo fedelissimo; il 30 settembre sono state uccise due persone verosimilmente perché staccatesi dai Lo Russo per gestire in autonomia le estorsioni nella zona di Chiaiano. Se, infatti, la collaborazione dei fratelli Lo Russo sembrerebbe aver determinato una situazione di precarietà interna all'organizzazione – sia per la mancanza di saldi riferimenti sia per il tentativo di gruppi antagonisti di scalzarli dal territorio – recenti acquisizioni investigative ne confermerebbero ancora la supremazia su alcune zone, esercitata anche attraverso le estorsioni” (Relazione sull'attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione investigativa antimafia, DIA, 2o semestre 2016, pp. 133-134, Doc. n. 1538.1)

   (16) L'argomento era già emerso in occasione dell'audizione del procuratore della Repubblica di Napoli, Giovanni Colangelo, nella seduta dell'8 febbraio 2017 ed è stato ritenuto meritevole di un approfondimento specifico

   (17) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli, Enrica Parascandolo (11 aprile 2017). A tale riguardo, si riportano le dichiarazioni del dott. Formisano, head of operations, sales & marketing della SSC Napoli: «Ai tempi del fatto la modalità in essere era la consegna alla questura degli elenchi di tutti coloro che avevano ricevuto una credenziale di servizio per l'accesso al campo, che avveniva nel giorno della gara. Comunque, la questura riceveva un elenco di tutte le persone che si trovavano a bordo campo, ma la riceveva nell'imminenza della gara o immediatamente dopo. Dopo aver visto la foto di questo soggetto e quanto veniva descritto dagli organi di stampa, io detti disposizione al delegato alla sicurezza affinché la consegna avvenisse 72 ore prima, un tempo ragionevolmente sufficiente a far verificare dalle forze dell'ordine eventuali incompatibilità e peraltro conciliabile col fatto che oggi a bordocampo tra fotografi, operatori tv, giardinieri e allestitori di pubblicità mediamente ci sono 100-110 persone, che in alcuni casi sono sempre le stesse e in qualche caso (penso prevalentemente alla produzione tv) possono non essere sempre le stesse» (Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato dell’head of operations, sales & marketing della SSC Napoli, Alessandro Formisano, 24 luglio 2017)

   (18) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli, Enrica Parascandolo (11 aprile 2017): Quanto ad Antonio Lo Russo siamo ovviamente risaliti alla ditta che all'epoca aveva il contratto per la manutenzione del campo, la ditta di giardinaggio «Vivai Marrone», sulla quale è stata svolta ovviamente – non oggi, ma nel periodo dal 2010 al 2013 – una serie di attività investigative della DIA di Napoli. È stato sentito a sommarie informazioni il titolare Marrone Francesco e i suoi dipendenti ed è stato riscontrato quanto già documentalmente avevamo acquisito, cioè che tra i soggetti che avevano ricevuto il pass di giardiniere vi era Antonio Lo Russo. Si badi: questo non vuol dire che Antonio Lo Russo fosse realmente dipendente di quella ditta, il Marrone Francesco ha dichiarato di avere sostanzialmente fatto un favore a un suo cliente, Antonio Lo Russo, e quindi di avergli fatto avere questo pass in più di una circostanza. Ha anche precisato che l'elenco degli accrediti che venivano richiesti dalla SSC Napoli conteneva anche una specificazione contrassegnata con l'asterisco per i cinque nominativi che avevano la possibilità di stare a bordo campo. Parliamo di elenchi che – Vivai Marrone, come i fotografi, come Sky – trasmettevano e forse tuttora trasmettono al Napoli, che non aveva nessuna possibilità di sindacare la presenza di un giardiniere piuttosto che di un altro, ma opportunamente, come da regolamento, trasmetteva gli elenchi dei soggetti cui era stato attribuito il pass alla questura, in particolare al GOS, quindi all'organo che, come sapete, è preposto alle dipendenze della questura per i controlli sulla sicurezza delle persone a bordo campo. Tutto quello che ho riassunto ovviamente è stato trasmesso alla procura federale, che ha fatto gli accertamenti del caso e mi risulta che abbia archiviato la vicenda, in particolare abbia escluso qualsiasi rilievo per la SSC Napoli»

   (19) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli, Enrica Parascandolo (11 aprile 2017)

   (20) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato dell’head of operations, sales & marketing della SSC Napoli, Alessandro Formisano (24 luglio 2017): «posso dire che mi sono trovato due volte nella condizione di dover interrompere dei contratti di appalto, di cui una è riferita alla società Marrone Francesco, che aveva in appalto la manutenzione del terreno di gioco dello stadio San Paolo. In effetti, quando ho iniziato a occuparmi dello stadio San Paolo, l'appalto era già in essere, però...
  MASSIMILIANO MANFREDI. La società era la stessa della vicenda di Lo Russo ?
  ALESSANDRO FORMISANO, head of operations, sales & marketing della SSC Napoli. Sì. Il fatto di Lo Russo aveva suonato dei campanelli d'allarme. Quanto sto per dire forse può giovare ai lavori della Commissione. Credo che una delle cose da considerare sia il fatto che i club di calcio non hanno uno sportello unico a cui rivolgersi per porre delle domande o per essere supportati in momenti complicati, cioè, se io mi trovo nella condizione di dover sottoscrivere un accordo di sponsorizzazione con una società nuova che non ha un consolidato, non c’è uno sportello cui mi posso rivolgere per sapere se quelli sono soggetti che, in qualche modo, sono interessanti per le forze dell'ordine o per la magistratura. Non siamo dotati di strumenti perché siamo un privato e non li possiamo avere, però siamo osservati, se in qualche modo creiamo questi rapporti. Nel caso di specie, per quanto avvenuto con Lo Russo, nonostante nessuno sia venuto a dirci «fate attenzione a questa società», abbiamo fatto in modo tale che il nostro livello di soddisfazione rispetto alle prestazioni rese entrasse in contrasto, al punto che praticamente interrompemmo il rapporto, adducendo anche un livello di insoddisfazione. Qualcosa di analogo è accaduto con un soggetto che da tantissimi anni, anche prima della gestione De Laurentis, si occupava della sala di monitoraggio, quindi del sistema di videosorveglianza dello stadio. Abbiamo appreso anche da organi di stampa che esistevano indagini della procura sul come e sul perché una parte del sistema di videosorveglianza fosse stato realizzato in epoche precedenti. Per il fatto che questa società che gestiva la manutenzione dell'impianto potesse essere oggetto di interesse da parte della magistratura, lo consideravamo poco consono...
  PRESIDENTE. Ci può dire il nome della società ?
  ALESSANDRO FORMISANO, head of operations, sales & marketing della SSC Napoli. Il titolare della società è Nicola Liscio. Nonostante non avessimo delle evidenze, anche perché, in questo caso, nessuno è venuto a dirci...
  MASSIMILIANO MANFREDI. Quello che monitorava il sistema di telecamere dello stadio di proprietà del comune non è lo stesso soggetto dell'appalto, ma una figura diversa ?
  ALESSANDRO FORMISANO, head of operations, sales & marketing della SSC Napoli. Sì.
  Come dicevo, oggi abbiamo un appalto dato alla società Protom, che fa, tra l'altro, progettazione aerospaziale. Prima di loro, c'era una società cui faceva capo il signor Nicola Liscio. Fondamentalmente, se c’è un soggetto che opera con noi che siamo un privato e con le forze dell'ordine e se questo soggetto ha delle opacità, è chiaro ed evidente che quel soggetto è poco costruttivo per la causa che ho descritto prima, quindi, anche in quel caso, autonomamente ci siamo presi la briga di non confermarlo, anzi di interrompere il rapporto durante il campionato e di affidarci a una società con maggiori requisiti di performance qualitativa»

   (21) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del capo della DIGOS di Roma, Diego Parente, e del capo della DIGOS di Napoli, Luigi Bonagura (20 ottobre 2014)

   (22) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli, Enrica Parascandolo (11 aprile 2017)

   (23) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del capo della DIGOS di Roma, Diego Parente, e del capo della DIGOS di Napoli, Luigi Bonagura (20 ottobre 2014). Il 28 novembre 2016 De Tommaso è stato condannato a dieci anni di reclusione per associazione e traffico di sostanze stupefacenti, ed è destinatario di Daspo per cinque anni. In precedenza il tribunale di Roma lo aveva condannato a due e anni e due mesi di reclusione, senza la sospensione condizionale proprio in relazione ai disordini avvenuti fuori e dentro lo stadio Olimpico prima della finale di Coppa Italia. De Tommaso, è stato riconosciuto responsabile di aver capeggiato le violenze avvenute tra piazza Mazzini e Ponte Milvio e di aver scavalcato la recinzione della curva Nord per discutere con i giocatori del Napoli e le forze dell'ordine circa l'inizio della partita Napoli-Fiorentina

   (24) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del capo della DIGOS di Roma, Diego Parente, e del capo della DIGOS di Napoli, Luigi Bonagura (20 ottobre 2014)

   (25) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del capo della DIGOS di Roma, Diego Parente, e del capo della DIGOS di Napoli, Luigi Bonagura (20 ottobre 2014)

   (26) Cfr. resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del capo della DIGOS di Roma, Diego Parente, e del capo della DIGOS di Napoli, Luigi Bonagura (20 ottobre 2014)

   (27) Resoconto stenografico dell'audizione del presidente dell'associazione italiana calciatori, Damiano Tommasi (4 aprile 2017)

   (28) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli, Enrica Parascandolo (11 aprile 2017)

   (29) Al riguardo si rinvia al resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli, Enrica Parascandolo (11 aprile 2017)

   (30) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli, Enrica Parascandolo (11 aprile 2017)

   (31) Cfr. Doc. 1655.1

   (32) Resoconto stenografico dell'audizione del presidente della SSC Napoli, Aurelio De Laurentiis (28 giugno 2017)

   (33) Resoconto stenografico dell'audizione del presidente della SSC Napoli, Aurelio De Laurentiis (28 giugno 2017)

   (34) «Il primo dei gruppi coinvolti nel presente procedimento è quello facente capo alla famiglia RASO, denominato locale di Santhià, ma di fatto operante nel biellese, diretta emanazione della cosca Raso-Gullace-Albanese, allocata in Calabria, nel territorio di Cittanova. (...) Il secondo gruppo coinvolto nel procedimento è quello facente capo a Saverio Dominello ed al figlio Rocco, ai quali si contesta di aver agito in territorio piemontese come esponenti della cosca Pesce-Bellocco di Rosarno. (...)Anche per quanto riguarda il terzo gruppo, del quale fa parte il solo Giuseppe Sgrò non pare potersi dubitare della sua appartenenza all'associazione di stampo mafioso in questa sede giudicata, avendo egli agito quale referente piemontese della cosca Sgrò-Sciglitano, originariamente operante nella provincia di Reggio Calabria e segnatamente a Barettieri, frazione di Seminara» (sentenza del Gup del tribunale di Torino del 30 giugno 2017, Proc. 10270/2009 RGNR-DDA, pp. 71-72, Doc. n. 1650.1)

   (35) Saverio Dominello, autista del capo mafia Antonino Pesce, è stato condannato dalla Corte di appello di Reggio Calabria con sentenza del 1996 per il reato di cui all'articolo 416-bis c.p, Anche i figli maggiori di Saverio Dominello, Michele e Salvatore, sono stati condannati dal tribunale di Torino nel 2012 per il reato di cui all'articolo 416-bis quali esponenti della locale di Chivasso. Con sentenza del 15 giugno 2017 la Corte di cassazione ha annullato la sentenza con rinvio

   (36) Sentenza del Gup del tribunale di Torino del 30 giugno 2017, Proc. 10270/2009 RGNR-DDA (Doc. n. 1650.1 )

   (37) Resoconto stenografico dell'audizione del 7 febbraio 2017 presso il IX Comitato dei sostituti procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Torino, Paolo Toso e Monica Abbatecola

   (38) Resoconto stenografico dell'audizione del 7 febbraio 2017 presso il IX Comitato dei sostituti procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Torino, Paolo Toso e Monica Abbatecola

   (39) Sentenza della corte d'appello di Milano, n. 3825/16, III sez. pen., p. 16 (Doc. n. 1649.1)

   (40) Esecutore materiale del tentato omicidio per cui è stato condannato definitivamente Grancini come mandante, anch'egli presente al momento del fatto

   (41) Sentenza della corte d'appello di Milano, n. 3825/16, III sez. pen., p. 5 (Doc. n. 1649.1)

   (42) Sentenza della corte d'appello di Milano, n. 3825/16, III sez. pen., p. 16 (Doc. n. 1649.1)

   (43) Sentenza della corte d'appello di Milano, n. 3825/16, III sez. pen., p. 16 (Doc. n. 1649.1)

   (44) In questo quadro va inserita l'oscura vicenda della morte di Raffaello Bucci, ex ultras dei «Drughi», che tra il 2014 e il 2015 aveva iniziato un rapporto di collaborazione con la Juventus per svolgere la funzione di SLO, di fatto prendendo il posto di Dominello, e che quando l'inchiesta «Alto Piemonte» diventa di pubblico dominio, il giorno dopo essere stato interrogato dai pubblici ministeri, il 7 luglio 2016, si è tolto la vita lanciandosi da un cavalcavia a Fossano (CN). Dagli atti dell'inchiesta emerge che Bucci aveva un rapporto di collaborazione con le forze di polizia (Cfr. resoconto stenografico dell'audizione del 7 febbraio 2017 presso il IX Comitato dei sostituti procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Torino, Paolo Toso e Monica Abbatecola, p.27: «MONICA ABBATECOLA, sostituto procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Torino. [...] Lo stesso Bucci – noi l'abbiamo agli atti; non è un segreto – aveva avuto rapporti confidenziali con i servizi e anche con la DIGOS per le infiltrazioni eversive nella curva [...]»)

   (45) Sentenza del Gup del tribunale di Torino del 30 giugno 2017, Proc. 10270/2009 RGNR-DDA, p. 204 (Doc. n. 1650.1)

   (46) Sentenza del Gup del tribunale di Torino del 30 giugno 2017 (Doc. n. 1650.1)

   (47) Sentenza del Gup del tribunale di Torino del 30 giugno 2017 (Doc. n. 1650.1)

   (48) Sentenza del Gup del tribunale di Torino del 30 giugno 2017 (Doc. n. 1650.1)

   (49) Resoconto stenografico dell'audizione del 7 febbraio 2017 presso il IX Comitato dei sostituti procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Torino, Paolo Toso e Monica Abbatecola: «PAOLO TOSO, sostituto procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Torino. Rispetto all'estorsione ci siamo ovviamente posti le domande che lei ci sta ponendo e abbiamo fatto questa riflessione. C’è una differenza sostanzialmente tecnica: la società Juventus non ha subìto alcun pregiudizio economico, l'estorsione è un reato contro il patrimonio e l'estorto subisce un pregiudizio, è costretto ad assumere qualcuno che non avrebbe altrimenti assunto, è costretto a pagare la guardiania che altrimenti non avrebbe pagato. La società Juventus non ha subìto alcun pregiudizio, ha venduto tutti i suoi biglietti a pieno prezzo con piena soddisfazione e non è mai stata intimidita per farlo, è stato un incontro di volontà, mentre l'estorsione non è un incontro di volontà, anche nel caso di una minaccia velata comunque c’è un soggetto in posizione dominante e un soggetto che subisce. Per questo la collega diceva che non abbiamo riconosciuto alla società il ruolo di persona offesa, perché abbiamo un pacifico, dichiarato – in particolare da dirigenti della Juventus – incontro di volontà: l'intesa con Dominello funzionava, non determinava alcun esborso e anzi garantiva la vendita dei tagliandi d'ingresso, che è l'affare di chi gestisce lo stadio, senza costrizione alcuna. Diverso sarebbe stato se i biglietti fossero stati ceduti gratuitamente, allora non ci sarebbe stato dubbio: cedo quote di biglietti e in cambio ho la tranquillità, ma non è così, quindi la Juve non ha subìto alcun pregiudizio economico e, se non c’è un pregiudizio economico, non c’è estorsione, che è un reato contro il patrimonio»

   (50) Al riguardo, spiega il dott. Toso : «Veniamo anche a conoscere l'entità media dei guadagni di solo uno dei gruppi ultras, perché nel corso di questa indagine arrestiamo questo capo ultras, che si chiama Puntorno Andrea, leader dei «bravi ragazzi», arrestiamo anche gli appartenenti al sodalizio rumeno – li abbiamo arrestati qualche mese prima – da dichiarazioni che acquisiamo veniamo a sapere che i guadagni si aggirano sulle diverse decine di migliaia di euro a partita a Torino. Succede poi che la moglie del capo ultras viene estorta da alcuni soggetti che avevano investito denaro contante nel bagarinaggio dandolo a Puntorno e che rivolevano indietro i loro soldi dopo che il Puntorno era stato arrestato. La signora Fiorillo viene estorta perché restituisse i contanti a queste persone gravitanti nell'area ‘ndranghetista e alla fine racconta, in dettagliati verbali che abbiamo messo a vostra disposizione, come l'importo medio degli utili – non del lordo – di questa operazione solo per il gruppo dei «bravi ragazzi», che non è il maggiore dei gruppi di tifo organizzato, si aggirasse attorno ai 30 mila euro a domenica» (resoconto stenografico dell'audizione del 7 febbraio 2017 presso il IX Comitato dei sostituti procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Torino, Paolo Toso e Monica Abbatecola,)

   (51) Dalle verifiche interne era emerso che si trattava di un biglietto con prelazione a favore del security manager della società, Alessandro D'Angelo, che lo aveva consegnato proprio a Rocco Dominello

   (52) Sentenza del Gup del tribunale di Torino del 30 giugno 2017, p. 222 (Doc. n. 1650.1)

   (53) Sentenza del Gup del tribunale di Torino del 30 giugno 2017, (Doc. n. 1650.1)

   (54) Il primo «placet» è stato rilasciato il 7 aprile 2013 da Grancini Loris Giuliano, referente del gruppo ultras «Viking», a Sgrò Giuseppe non prima di avere Sgrò evocato al capo ultras l'amicizia comune con Dominello Saverio («ho avuto tanti problemi, però chiedevo sempre a Saverio di te, come stai ?»). Subito dopo Sgrò Giuseppe comunica a Fabio Farina il contenuto della telefonata avuta con Loris Grancini e Farina risponde: «va bene dai, che tanto io il 21 devo entrare nello stadio, così me lo fate vedere che così ci conosciamo è meglio !». Quanto al secondo livello di autorizzazione, secondo il Gip, lo scopo non era, evidentemente, legato a finalità sportive ma esclusivamente inerente al lucroso affare dei biglietti. Sul punto si richiama la conversazione del 14 aprile 2013, ore 16.58, registrata nell'autovettura in uso a Sgrò Giuseppe ove Dominello Saverio dice a Sgrò: «tu vai tranquillo... se il piatto è rotondo, io so che quel piatto poi... se si deve fare a 5 spicchi o (inc)», Sgrò replica: «no tu basta che avvisi quelli per dirgli ‘che la da... ci sono persone che ti appartengono a te» e Dominello Saverio risponde: «vai tranquillo». Poi, quando Dominello lascia l'autovettura, Sgrò, parlando con Marcello Antonino, dice: «andiamo avanti ! Eh abbiamo il benestare da tutte le parti... io quando... io perché volevo venire da Saverio, per parlare di tante cose... perché nessuno domani ci può dire a noi ‘che avete fatto’... noi abbiamo il benestare da tutte le parti» (da intendere appunto della tifoseria ultras e delle famiglie ‘ndranghetiste). Continua Sgrò: «... che vi ha detto Saverio ‘andate tranquillo e beato ! !... gli dice che ‘da dentro ci sono due uomini dei miei !... volevo sapere» (da intendersi Dominello Saverio) «come la pensa... se lui mi ha detto ‘vai avanti vai avanti’... ieri avete visto che ho chiamato a Loris... allora andiamo avanti... che poi prendiamo posizione noi... e non è detto che... che non ce la prendiamo noi la curva direttamente». E ancora «... noi abbiamo le spalle coperte, abbiamo i cristiani che contano ! Perché se Saverio vi dice una cosa... andiamo avanti... gli dobbiamo dire a Fabio» (da intendersi Fabio Farina, appunto) «che deve andare avanti... le spalle le avete coperte... che c. volete di più ?» (Tribunale di Torino, sezione Gip, ordinanza di applicazione di misure cautelari, Agresta Antonio e altri, proc. pen. N. 10270/2009, 11 marzo 2016, pp. 73-74, Doc. 1244.1)

   (55) Questi i commenti degli indagati: «... andate avanti e non vi preoccupate, che abbiamo Rosarno, Barrittieri, Seminara, Reggio...», affermazioni che radicavano negli inquirenti la convinzione che l'operazione biglietti avesse l'avallo delle famiglie calabresi egemoni su quei comuni. E a proposito dell'autorizzazione ricevuta dal referente della ’ndrangheta: «e se ve lo dice lui sapete chi ve lo ha detto ? Ve lo ha detto Rosarno ! ! ! Quelli che comandano, non ve lo ha detto solo Saverio...», «ma chi vi tocca... ma chi vi tocca... che omissis mi ha detto di andare avanti, andiamo avanti che... non ci tocca nessuno a noi... omissis non gli conviene che tocchino a noi... che veramente, abbiamo la possibilità ( ? ?) di fare la guerra veramente...» (Tribunale di Torino, sezione Gip, ordinanza di applicazione di misure cautelari, Agresta Antonio e altri, proc. pen. N. 10270/2009, 11 marzo 2016, p. 74, Doc. 1244.1)

   (56) Il 15 febbraio 2014 gli inquirenti hanno documentato un incontro fra Rocco Dominello e il direttore generale della Juventus, Giuseppe Marotta, finalizzato a fare ottenere, su richiesta di Dominello, un provino a Mario Bellocco, figlio del boss Umberto Bellocco. Il giocatore ha sostenuto effettivamente un provino, che ha tuttavia avuto esito negativo

   (57) FIGC-comunicato ufficiale n. 11/TFN– sezione disciplinare (2017/2018), pp. 1-4 (Doc. n. 1647.1)

   (58) Richieste della procura federale: Andrea Agnelli: anni 2 e mesi 6 di inibizione e 50 mila euro di ammenda; Francesco Calvo: mesi 6 di inibizione e 10 mila euro di ammenda; Stefano Merulla: anni 1 e mesi 6 di inibizione e 10 mila euro di ammenda; Alessandro Nicola D'Angelo: anni 2 di inibizione e 10 mila euro di ammenda; Juventus FC Spa: disputa di 2 gare a porte chiuse e chiusura della curva sud per un'ulteriore gara, oltre a 300 mila euro di ammenda. Richiedendo, inoltre, per le persone fisiche, l'estensione in ambito UEFA e FIFA delle predette sanzioni. Il Tribunale Federale Nazionale – Sezione Disciplinare ha accolto parzialmente il deferimento proposto dal procuratore federale e, per l'effetto, in parziale ridefinizione delle richieste formulate dispone di irrogare le seguenti sanzioni: Andrea Agnelli: anni 1 di inibizione e 20 mila di ammenda; Francesco Calvo: anni 1 di inibizione e 20 mila di ammenda; Stefano Merulla: anni 1 di inibizione e 20 mila di ammenda; Alessandro Nicola D'Angelo: anni 1 e mesi 3 di inibizione e 20 mila euro di ammenda; Juventus FC Spa: 300 mila euro di ammenda

   (59) FIGC-comunicato ufficiale n. 11/TFN–sezione disciplinare, 2017/2018, p. 11 (Doc. n. 1647.1)

   (60) Ai commi 1 e 2 dell'articolo 12 del codice di giustizia sportiva (Prevenzione di fatti violenti) è previsto che: 1. Alle società è fatto divieto di contribuire, con interventi finanziari o con altre utilità, alla costituzione e al mantenimento di gruppi, organizzati e non, di propri sostenitori, salvo quanto previsto dalla legislazione statale vigente. 2. Le società sono tenute all'osservanza delle norme e delle disposizioni emanate dalle pubbliche autorità in materia di distribuzione al pubblico di biglietti di ingresso, nonché di ogni altra disposizione di pubblica sicurezza relativa alle gare da esse organizzate. Art. 1-quater, comma 7-bis del decreto-legge 24 febbraio 2003, n. 28: «È fatto divieto alle società organizzatrici di competizioni nazionali riguardanti il gioco del calcio di porre in vendita o cedere, a qualsiasi titolo, direttamente od indirettamente, alla società sportiva cui appartiene la squadra ospitata, titoli di accesso agli impianti sportivi ove tali competizioni si disputano, riservati ai sostenitori della stessa. È, altresì, fatto divieto di porre in vendita o cedere, a qualsiasi titolo, alla stessa persona fisica o giuridica titoli di accesso in numero superiore a quattro. In caso di violazioni delle disposizioni del presente comma si applicano le sanzioni previste dal comma 5 dell'articolo 1-quinquies»

   (61) FIGC-comunicato ufficiale n. 11/TFN– sezione disciplinare (2017/2018), p. 6 (Doc. n. 1647.1). Come emerge dalle audizioni in Commissione, così come dalla sentenza, infatti, la Juventus ha ammesso di aver violato le norme, di legge e di diritto sportivo, che limitano la vendita per un massimo di 4 biglietti a persona e di averlo fatto, attraverso il meccanismo della riserva dei posti ai gruppi degli ultras, che pure acquistavano i biglietti. La finalità perseguita sarebbe stata quella di contenere in un'unica curva i gruppi di tifosi organizzati, in guerra tra di loro, che invece nel vecchio stadio erano distribuiti tra due curve: «(...) a partire dall'anno 2010-11, quando ci siamo trasferiti di stadio e abbiamo unificato le due curve in un'unica curva, in un'unica tribuna, perché noi avevamo gli ultrà da tutte e due le parti, abbiamo lo stadio nuovo più piccolo e li abbiamo concentrati, d'accordo con le forze dell'ordine, tutti all'interno di uno stesso sistema» (resoconto stenografico dell'audizione in Commissione dell'avvocato della Juventus FC Spa, Luigi Chiappero, 15 marzo 2017)

   (62) FIGC-comunicato ufficiale n. 11/TFN– sezione disciplinare (2017/2018), p. 6 (Doc. n. 1647.1)

   (63) «LUIGI CHIAPPERO, avvocato della Juventus F.C.: (...) Volevo dire alla presidente, che la scorsa volta mi ha richiamato e ha richiamato la mia attenzione al fatto che non si deve negare l'esistenza di un problema, che nel momento in cui tentavo di sostenere che noi non eravamo a conoscenza dell'esistenza del fenomeno non volevo certo dire che neghiamo o in qualche modo sottovalutiamo l'esistenza di questo problema. Diciamo solo che, nel momento in cui ci siamo resi conto di questo, ovviamente abbiamo preso tutta una serie di provvedimenti, e ne siamo venuti a conoscenza nel momento in cui la magistratura ci ha fatto capire chi era la persona con la quale avevamo a che fare. Non volevo quindi assolutamente sottovalutare, né dire che non esiste questo problema, volevo dire che, pur nell'esistenza di questo problema, per quello che ci riguarda ci siamo trovati di fronte a un mondo rispetto al quale non pensavamo di doverci trovare di fronte» (resoconto stenografico del seguito dell'audizione in Commissione dell'avvocato della Juventus FC Spa, Luigi Chiappero, 22 marzo 2017)

   (64) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Capo della Polizia, Franco Gabrielli (3 maggio 2017)

   (65) Resoconto stenografico dell'audizione del presidente della società Juventus F.C., Andrea Agnelli (18 maggio 2017)

   (66) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del procuratore della Repubblica di Genova, Francesco Cozzi (20 aprile 2017)

   (67) Tribunale di Genova, sentenza n. 5461 del 29 novembre 2013 (R.G. trib. n. 5340/13), p.3 (Doc. n. 1405.2)

   (68) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del procuratore della Repubblica di Genova, Francesco Cozzi (20 aprile 2017)

   (69) «Egli risulta essere già stato implicato (e quindi squalificato dalla giustizia sportiva per otto mesi) in vicende relative all'alterazione di eventi sportivi, precisamente nella partita Crotone – Messina del campionato di serie B 2001/2002. Il coinvolgimento nell'illecito sportivo emergeva nel contesto di una più ampia inchiesta penale diretta in quegli anni dalla DDA di Reggio Calabria, su ambiti ‘ndranghetistici locali contigui alla figura del boss Morabito Giuseppe detto Peppe Tiradritto, nonno proprio di Giuseppe Sculli. Le indagini erano tese infatti alla sua cattura, che avverrà in seguito. In detto ambito venne attenzionato il contesto familiare del latitante e, tra questi, anche la figura del nipote calciatore, all'epoca in forza al Crotone. Dalle attività svolte dai carabinieri erano emersi rapporti tra Sculli e calciatori e dirigenti del Messina, tesi a favorire la vittoria della squadra peloritana in occasione dell'ultima giornata del campionato cadetto di quella stagione. Tali circostanze avevano condotto, diversi anni dopo alla squalifica del calciatore calabrese per violazione dei doveri di lealtà e probità sportiva e omessa denuncia dell'illecito sportivo. La sentenza venne irrogata dalla giustizia sportiva mentre in sede penale non si ravvisarono condotte penalmente rilevanti ascrivibili allo Sculli» (Tribunale ordinario di Cremona, Ufficio Gip, Ordinanza di custodia cautelare 22 maggio 2012, proc. n. 3628/10 RGNR, p. 189, (Doc. n. 1648)

   (70) Tribunale di Genova (Proc. n. 05484/12 RGNR), verbale di udienza del 20 febbraio 2013, esame del teste Parente Diego, primo dirigente Digos della questura di Genova (Doc. n. 1405.2)

   (71) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del procuratore della Repubblica di Genova, Francesco Cozzi (20 aprile 2017)

   (72) FIGC-Comunicato ufficiale n.28/CDN, 2012/2013 e comunicato ufficiale n. 128/CGF, 2012/2013 (Doc n. 1647.1)

   (73) Tribunale ordinario di Cremona, Ufficio Gip, Ordinanza di custodia cautelare 22 maggio 2012, proc. n. 3628/10 RGNR, p. 189, (Doc. n. 1648)

   (74) Tribunale ordinario di Cremona, Ufficio Gip, Ordinanza di custodia cautelare 22 maggio 2012, proc. n. 3628/10 RGNR, p. 189, (Doc. n. 1648)

   (75) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del procuratore della Repubblica di Genova, Francesco Cozzi (20 aprile 2017)

   (76) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del procuratore della Repubblica di Genova, Francesco Cozzi (20 aprile 2017)

   (77) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del procuratore della Repubblica di Genova, Francesco Cozzi (20 aprile 2017)

   (78) Trascrizione microcassetta sequestrata presso l'abitazione di Leopizzi Massimo il 9.11.05 (Doc. 1651.1):
  «MASSIMO (LEOPIZZI): «perché io, in quelle (intercettazioni) che mi hanno fatto sentire, solo...
  PREZIOSI: «Scusa ma allora ne sono saltate fuori delle altre ?
  MASSIMO: Io non lo so su quelle quando mi hanno interrogato sono...
 (...)
  MASSIMO: L'interrogatorio Presidente, me l'hanno fatto che verteva su quel pomeriggio al ristorante. Mi dicevano: ‘Preziosi s’è comprato le partite e vi ha detto che ha comprato l'Ascoli a tot soldi, Catanzaro a tot soldi...e io gli ho dato negativo sempre ! E questi mi davano...mi dicevano, attento che ti arrestiamo... e io, io negativo ! Infatti lei c'ha i miei verbali o no ? Io tutto negativo, anche con Matteo tutto negativo, Capozucca negativo ! Io sempre negativo ! !
  PREZIOSI: No, no ha fatto bene.
  MASSIMO: Io ho sempre detto negativo, sempre negativo, sempre negativo ! Quindi... questo le deve far pensare che io, nei suoi confronti, non ho niente perché se quel giorno lì dicevo: ‘Sì il presidente mi ha detto che ha comprato l'Ascoli e il Catanzaro... Però poi io ho sentito intercettazioni da... mi hanno fatto sentire...le mie intercettazioni me l'han fatte sentire... dal... che coinvolgevano dal Piacenza in avanti, anzi no, dall'Empoli, dall'Empoli in avanti, che appunto...
  PREZIOSI: E non partivano dall'Ascoli ?
  MASSIMO: No dall'Empoli in avanti che era il pomeriggio che ci siamo visti al ristorante, lunedì pomeriggio era il giorno di Genoa-Empoli, dopo Genoa Cesena...io non l'ho mai sentita questa partita di Ascoli...»

   (79) Trascrizione microcassetta sequestrata presso l'abitazione di Leopizzi Massimo il 9.11.05 (Doc. 1651.1)

   (80) Trascrizione microcassetta sequestrata presso l'abitazione di Leopizzi Massimo il 9.11.05 (Doc. 1651.1)

   (81) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del presidente del Genoa CFC, Enrico Preziosi (27 giugno 2017)

   (82) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del presidente del Genoa CFC, Enrico Preziosi (27 giugno 2017): «ALESSANDRO ZARBANO, amministratore delegato del Genoa CFC. Noi abbiamo una figura, che è lo SLO, il supporter liaison officer, che si interfaccia con la tifoseria organizzata e tiene questi rapporti. Poi si interfaccia con me, se ci sono situazioni più delicate. Conosco Leopizzi. Non frequento volutamente Leopizzi. ENRICO PREZIOSI, presidente del Genoa CFC. Se dobbiamo parlare un attimo di questo personaggio, mi sembra che sia noto a tutti: è un pregiudicato. Tra l'altro, anche dieci anni fa ha avuto qualcosa anche con la mia persona. È già stato oggetto di indagine, eccetera. Quindi, è un personaggio da cui cerchiamo proprio di stare totalmente lontani»

   (83) «ALESSANDRO ZARBANO, amministratore delegato del Genoa CFC. (...) Mi avete chiesto di Sicurart di Marashi Artur. Ci fornisce il servizio di hostess per la tribuna VIP. Sono circa 10-15 hostess a evento, a seconda dell'importanza dell'evento. Il prezzo è un prezzo di mercato. Stiamo parlando di circa 80 euro a servizio per singola prestazione. Siamo legati alle hostess. Prima lavoravano per un'altra società. Adesso lavorano per la società e noi le chiediamo a questa società.
  PRESIDENTE. Compie altri servizi all'interno dello stadio ?
  ALESSANDRO ZARBANO, amministratore delegato del Genoa CFC. No, solo questo, ma limitato solo alla tribuna. Sono 15-18-10 hostess, a seconda dell'importanza dell'evento»

   (84) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del presidente del Genoa CFC, Enrico Preziosi (27 giugno 2017)

   (85) Tribunale di Genova, proc. pen. 15914/09 RGNR

   (86) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Capo della Polizia, Franco Gabrielli (3 maggio 2017)

   (87) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del presidente della SS Lazio, Claudio Lotito (27 giugno 2017)

   (88) Tribunale di Roma, VI sezione, sentenza n. 1378/15, depositata il 23 febbraio 2015 (doc. n. 1472.1)

   (89) Tribunale di Roma, VI sezione, sentenza n. 1378/15, depositata il 23 febbraio 2015, p. 3 (doc. n. 1472.1)

   (90) Tribunale di Roma, VI sezione, sentenza n. 1378/15, depositata il 23 febbraio 2015, p. 4 (doc. n. 1472.1)

   (91) Tribunale di Roma, VI sezione, sentenza n. 1378/15, depositata il 23 febbraio 2015, p.46 ss. (doc. n. 1472.1)

   (92) Tribunale di Roma, VI sezione, sentenza n. 1378/15, depositata il 23 febbraio 2015, p.69 ss. (doc. n. 1472.1)

   (93) Orial Kolaj e Arben Zogu sono soggetti pregiudicati di origine albanese, più volte arrestati per reati associativi connessi al traffico di droga e ad altri gravissimi delitti e che spesso hanno seguito la Lazio in trasferta, insieme a Piscitelli

   (94) Tribunale di Roma, Ufficio Gip, ordinanza di custodia cautelare del 28 novembre 2014, 330546/10 (Doc. 411.1)

   (95) Soggetto colpito da misura di prevenzione personale attualmente sottoposto agli arresti domiciliari per reati contro la persona e resistenza a pubblico ufficiale

   (96) Cass. sez. I, n. 39136/2015 Abballe Alessio altri (Doc. n. 1651.1)

   (97) Espressione nata negli anni Settanta nel Regno Unito in ambienti skinhead: All cops are bastards

   (98) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del procuratore federale FIGC, Giuseppe Pecoraro (7 marzo 2017)

   (99) Ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Latina Mara Mattioli a carico di Di Giorgi Giovanni altri il 7 novembre 2016 (Doc. n. 1226.1)

   (100) Ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Latina Mara Mattioli a carico di Di Giorgi Giovanni altri il 7 novembre 2016 (Doc. n. 1226.1)

   (101) Ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Latina Mara Mattioli a carico di Di Giorgi Giovanni altri il 7 novembre 2016 (Doc. n. 1226.1)

   (102) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del procuratore federale FIGC, Giuseppe Pecoraro (7 marzo 2017)

   (103) Emanato tenendo conto delle disposizioni contenute nel decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8 «Misure urgenti per la prevenzione e la repressione dei fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, nel decreto-legge 24 febbraio 2003, n. 28, recante disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasioni di competizioni sportive, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2002, n. 88

   (104) Cfr. 2006/C322/01 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 29 dicembre 2006

   (105) Il personale non può portare armi o altri oggetti atti a offendere, né esercitare pubbliche funzioni, riservate agli organi di polizia. Le società sportive organizzatrici della competizione sportiva, inoltre, dovranno accertare che il personale impiegato nelle attività di steward sia in possesso dei requisiti personali, fisici, culturali e psicoattitudinali

   (106) Il controllo, anche attraverso controlli a campione manuali dell'abbigliamento e delle cose portate dai soggetti che accedono all'impianto sportivo, mediante la tecnica del pat-down quando tale modalità di controllo si rende necessaria al fine di evitare l'introduzione all'interno dell'impianto sportivo di oggetti, strumenti e materiali illeciti, proibiti, atti ad offendere o comunque pericolosi per la pubblica incolumità; l'attività di pre-filtraggio e filtraggio, anche attraverso il concorso nelle procedure di primo intervento che non comporti l'esposizione a profili di rischio, quando tale modalità di intervento si rende necessaria per evitare indebiti accessi nell'impianto sportivo attraverso lo scavalcamento dei varchi d'ingresso, ovvero a prevenire o interrompere condotte o situazioni potenzialmente pericolose per l'incolumità o la salute delle persone, fermo restando l'obbligo di immediata segnalazione alle Forze di polizia cui, a richiesta, deve essere prestata la massima collaborazione

   (107) Alcune società hanno optato per la formazione interna degli steward ottenendo dal Ministero dell'Interno la certificazione quale ente formatore dei propri steward. La Juventus ha istituito una struttura interna finalizzata alla formazione e alla gestione di questi ausiliari; S.S. Lazio forma gli steward nel suo centro di Formello. Napoli Calcio e Genoa Calcio si affidano a società esterne. Cfr. resoconto stenografico dell'audizione della Commissione (in missione a Genova) del responsabile della sicurezza del Genoa (25 luglio 2017) e delle audizioni, presso il Comitato, dei rappresentanti della Juventus, del Napoli e della Lazio in tema di misure di sicurezza durante le manifestazioni sportive (27 luglio 2017)

   (108) Figura che, a partire dalla stagione sportiva 2012/2013, è uno dei requisiti per l'ottenimento della Licenza UEFA, articolo 35 dell’UEFA Club Licensing and Financial Fair Play Regulations – Edition 2010

   (109) Solo con la delibera del Consiglio Federale FIGC del 26 giugno 2015 sono state adottate le «Linee guida per favorire lo sviluppo di relazioni tra la tifoseria, i Club ed i tesserati, nel rispetto dei principi della cultura sportiva, della non violenza e della pacifica convivenza, definendo ruoli ed attribuzioni dei soggetti e delle figure che hanno rapporti con la tifoseria» (FIGC-comunicato ufficiale n. 326/A, pubblicato il 30 giugno 2015, Doc. n. 1647.1)

   (110) Altri obiettivi sono: aumentare la qualità dei servizi offerti ai tifosi; costituire un network di SLO a livello nazionale ed europeo al fine di agevolare la condivisione di conoscenze e «best practice»; promuovere e dare impulso ad attività sociali; migliorare l'organizzazione e la gestione delle partite attraverso un processo di responsabilizzazione dei tifosi; contribuire a migliorare i rapporti tra diversi stakeholder del mondo del calcio, in particolare tra tifosi, amministratori di club, proprietari, istituzioni preposte allo svolgimento delle manifestazioni calcistiche; prevenire, attraverso iniziative e confronti con i tifosi, episodi di violenza e/o discriminazione

   (111) Resoconto stenografico dell'audizione in IX Comitato del presidente dell'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, Daniela Stradiotto (27 luglio 2017)

   (112) In particolare provvede a: approvare il piano operativo degli steward; verificare la predisposizione di tutte le misure organizzative dell'evento, anche in relazione ad eventuali prescrizioni imposte, sulla base della check list delle attività da espletare in occasione dello svolgimento di incontri di calcio; adottare le misure organizzative necessarie – d'iniziativa, ovvero suggerite dall'osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive – per superare contingenti situazioni di criticità ed emergenziali, fatte salve le direttive in materia di ordine e sicurezza pubblica emanate dal questore; vigilare sulla completezza, regolarità e idoneità all'utilizzo della struttura ed in particolare sulla corretta attuazione del piano finalizzato al mantenimento delle condizioni di sicurezza contenente il programma per la gestione dell'evento sportivo elaborati dal delegato alla sicurezza; verificare l'eventuale contemporaneità di manifestazioni che potrebbero influire con l'evento sportivo e/o con il transito dei sostenitori locali ed ospiti; esprimere, a richiesta del questore, il parere sull'esigenza di elevazione dei separatori o sulla necessità di altre misure di sicurezza aggiuntive, quali la creazione di aree interdette al pubblico, coadiuvate anche da altri sistemi; verificare che gli steward previsti in utilizzo e successivamente utilizzati non siano soggetti ad esclusioni perché privi dei requisiti; valutare i tempi di apertura dei cancelli in maniera adeguata all'esecuzione dei servizi di pre-filtraggio e filtraggio; prescrivere il numero e le modalità di utilizzo dei metal detector; valutare le richieste di introduzione/esposizione di striscioni ed altre manifestazioni esteriori, pervenute alle società sportive, nonché la verifica delle procedure autorizzatorie; individuare, nell'ambito dello stadio, i posti da riservare agli ospiti, tenendo conto del livello di rischio della gara, dei rapporti tra le tifoserie e dell'esigenza di differenziare l'offerta dei tagliandi; verificare la sussistenza e l'idoneità del regolamento d'uso dello stadio; decidere nei periodi invernali, in caso di neve o ghiaccio, con proprio provvedimento, in merito alla fruibilità degli spalti e delle vie di afflusso/deflusso all'impianto; predisporre adeguate campagne di comunicazione circa le misure adottate

   (113) Porto di armi od oggetti atti ad offendere (articolo 4, commi 1 e 2, della legge n. 110 del 18/4/1975); uso ingiustificato in luogo pubblico di caschi ed altri mezzi atti a rendere difficoltosa l'identificazione (articolo 5 della L. n. 152 del 22/5/1975); violazione del divieto di partecipazione a competizioni agonistiche con simboli od emblemi inneggianti alla superiorità od odio razziale (articolo 2 comma 2 del decreto-legge, n. 122 del 26/4/1993 convertito dalla L. n. 205 del 25/6/1993 e succ. modifiche); lancio di materiale pericoloso, scavalcamento ed invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive (articolo 6-bis della L. n. 401 del 13/12/89); possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazioni sportive (articolo 6-ter della L. n. 401 del 13/12/89). La norma è stata più volte modificata nel corso degli anni per far fronte ai numerosi episodi di violenza nel mondo del calcio che hanno spinto le autorità politiche a dare una risposta di tipo istituzionale e legislativo. Da ultimo, con decreto-legge 119 del 2014 il legislatore ha ampliato il novero dei reati aggiungendo il reato di introduzione o esposizione di striscioni e cartelli ovvero altre scritte o immagini che, comunque, incitino alla violenza o che contengano ingiurie o minacce (articolo 2-bis, del decreto-legge n. 8 del 2007); i delitti contro l'ordine pubblico (articoli da 414 a 421 del codice penale, comprendenti ad esempio l'istigazione a delinquere, la pubblica intimidazione, la devastazione e il saccheggio, ma anche l'associazione a delinquere comune e mafiosa); i delitti di comune pericolo mediante violenza (articoli da 422 a 437 del codice penale, comprendenti ad esempio il danneggiamento seguito da incendio, la fabbricazione di materiali esplodenti, ma anche la strage); rapina (articolo 628 del codice penale) o estorsione (articolo 629 del codice penale); produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope (articolo 73, TU stupefacenti)

   (114) Sempre il decreto-legge n. 119 del 2014, ha ridefinito i presupposti che consentono al questore di applicare il Daspo, anche a soggetti che risultino aver tenuto una condotta finalizzata a partecipare a episodi di violenza nell'ambito di manifestazioni sportive così da porre in pericolo la sicurezza pubblica; gli elementi oggettivi che giustificano la misura sono stati sostituiti da «elementi di fatto». La norma ora prevede che si tenga conto della «condotta di gruppo» oltre che della condotta singola; al requisito degli episodi di violenza sono stati aggiunti gli episodi di minaccia e di intimidazione, al pericolo per la sicurezza pubblica è stata aggiunta la turbativa per l'ordine pubblico

   (115) http://www.osservatoriosport.interno.gov.it

   (116) Emessi anche antecedentemente alla stagione sportiva 2014-2015 e non revocati o scaduti

   (117) I rimanenti sono stati comminati nel basket (94), nell'automobilismo (21), nel tennis (21), nel motociclismo (15), nel calcetto (14), nell'hockey (10), nel pugilato e pallavolo (6), nel rugby (3), nella pallamano e nell'ippica (2), nel ciclismo e nella pallanuoto (1)

   (118) Resoconto stenografico presso il IX Comitato dell'audizione della presidente dell'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, dott.ssa Daniela Stradiotto (27 luglio 2017): «(...) un questore di una grande realtà, a suo tempo, mi disse che il Daspo con l'obbligo di firma non lo avrebbe comminato più, perché era mortificato dal fatto che il bandito andasse e ottenesse ragione»

   (119) Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 23303/16; depositata il 6 giugno 2016

   (120) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Capo della Polizia, Franco Gabrielli (3 maggio 2017)

   (121) Resoconto stenografico dell'audizione del presidente della società Juventus F.C., Andrea Agnelli (18 maggio 2017): «Un elemento che noi riscontriamo a Torino, ma che vediamo in tutti gli stadi d'Italia è quello che dal GOS normalmente parte la direttiva di non avere steward nelle curve con i tifosi più accesi. Io spesso mi lamento con i miei collaboratori, con l'avvocato qui presente, perché i vomitori in determinati punti non sono liberi, e questo è frutto di sanzioni a livello internazionale a ogni partita internazionale, perché non riusciamo a far sedere la gente. Nel contesto delle curve, della parte più calda dello stadio, il GOS chiede di non avere steward, di non avere rappresentanza, per motivi di ordine pubblico si preferisce lasciare maggiore libertà in questo settore. Ecco che allora uno sforzo congiunto A, B, Pro e Dilettanti uniti con una direttiva della Federazione, per andare a rafforzare quelle che sono le direttive in quel settore dello stadio, può essere utile. Questo è un consiglio che, se mi permettete, farò mio e porterò come istanza in Lega di serie A»

   (122) Resoconto stenografico dell'audizione del presidente della società Juventus F.C., Andrea Agnelli (18 maggio 2017)

   (123) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Capo della Polizia, Franco Gabrielli (3 maggio 2017)

   (124) FATF-GAFI, Money laundering through the football sector, Paris, 2009

   (125) FATF-GAFI, Money laundering through the football sector, Paris, 2009

   (126) FATF-GAFI, Money laundering through the football sector, Paris, 2009

   (127) FATF-GAFI, Money laundering through the football sector, Paris, 2009

   (128) FATF-GAFI, Money laundering through the football sector, Paris, 2009

   (129) FATF-GAFI, Money Laundering through the Football Sector, Paris, 2009

   (130) Tale assunto sarebbe suffragato dal fatto che fino al 7 luglio 2017 il 9 per cento del capitale sociale del «Mantova Football club srl» (pari a 900 euro) era detenuto da PALMIERI Antonio. PALMIERI Antonio non ha precedenti di polizia riconducibili all'appartenenza alla criminalità organizzata ma è socio di DIANA Salvatore, coniugato con IOVINE Anna, sorella del camorrista IOVINE Antonio. Per completezza, deve essere comunque segnalato che DIANA Mario, fratello del padre di DIANA Salvatore, imprenditore, è stato ucciso da appartenenti al «clan dei casalesi» in Casapesenna (CE) in data 26/6/1985, per non essersi sottomesso alle richieste estorsive del clan. Nel corso del processo i due figli della vittima, cugini di DIANA Salvatore, imprenditori nel settore del riciclo dei rifiuti, si sono costituiti parte civile (Camera di commercio, industria e artigianato di Mantova, fascicolo storico società di capitale, Mantova football club srl, Doc. n. 1652.1)

   (131) La Commissione di vigilanza sulle società professionistiche (COVISOC) è un organismo costituito all'interno della FIGC circa trent'anni or sono in risposta a quanto previsto dalla legge n. 91 del 1981 sul professionismo sportivo che obbligava tutte le federazioni sportive ad attivarsi per esercitare prevalentemente controlli sulla stabilità finanziaria delle società. La COVISOC è composta da cinque membri ed una struttura permanente di segreteria e si avvale dell'apporto di circa ottanta ispettori, tutti dottori commercialisti iscritti all'albo, che hanno il compito di eseguire ispezioni presso le sedi delle 99 società di calcio professionistiche al fine di verificare in situ il rispetto delle norme federali in materia di stabilità finanziaria e, da qualche tempo, anche economica

   (132) In caso di violazione delle norme federali la COVISOC provvede a dare comunicazione, tramite la Federazione, alla Procura federale, mentre qualora sia ravvisato un fumus di illecito penale, sempre per il tramite la Federazione, provvede a dare comunicazione all'Autorità giudiziaria

   (133) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del segretario generale della Lega Nazionale Dilettanti (LND), Massimo Ciaccolini (16 novembre 2017)

   (134) Covisod non dispone di un data base centralizzato

   (135) Si riporta di seguito l'articolo 22-bis, NOIF: «1. Non possono assumere la carica di dirigente di società o di associazione (articolo 21, 1o comma, NOIF), e l'incarico di collaboratore nella gestione sportiva delle stesse (articolo 22, 1o comma, NOIF), e se già in carica decadono, coloro che si trovano nelle condizioni di cui all'articolo 2382 c.c. (interdetti, inabilitati, falliti e condannati a pena che comporta l'interdizione dai pubblici uffici, anche temporanea, o l'incapacità ad esercitare uffici direttivi) nonché coloro che siano stati o vengano condannati con sentenza passata in giudicato a pene detentive superiori ad un anno: a) per i delitti previsti dalle seguenti leggi: interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche (legge 13/12/1989, n. 401); disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping (legge 14/12/2000, n. 376); disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata (legge 16/03/1942, n. 267) – titolo VI – capo I e II – reati commessi dal fallito – reati commessi da persone diverse dal fallito – da articolo 216 a articolo 235; abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui (legge 20/02/1958, n. 75); delitti contro la personalità individuale (da articolo 600 a articolo 604 c.p.); delitti contro la libertà personale (da articolo 605 a articolo 609-decies c.p.); disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo internet (legge 6/02/2000, n. 38); codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159); delitti contro la pubblica amministrazione di cui agli articolo 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 320, 321, 322, c.p.; delitti contro la fede pubblica (da articolo 453 a articolo 498 c.p.); delitti contro il patrimonio di cui agli articolo 628, 629, 630, 640, 640-bis, 644, 646, 648, 648-bis, 648-ter c.p.; delitti associativi di cui agli articolo 416, 416-bis c.p.; interferenze illecite nella vita privata (615-bis, 623-bis c.p), installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire conversazioni telefoniche o telegrafiche (617-bis, 623-bis c.p.); disposizioni penali relative alle armi da guerra e clandestine; b) per i delitti, puniti con pena edittale detentiva non inferiore nel massimo a tre anni, previsti dalle seguenti leggi: norme di attuazione dell'articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete (legge 25/01/1982, n. 17); Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope (decreto del Presidente della Repubblica 9/10/1990, n. 309); disposizioni penali in materia di società e di consorzi previste dal Codice Civile (titolo XI, libro V); Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58). 2. Le incompatibilità e le decadenze previste dal comma che precede cessano con il conseguimento, da parte degli interessati, della riabilitazione deliberata dal competente organo dell'autorità giudiziaria ordinaria. Al fine del successivo tesseramento gli interessati debbono preventivamente formulare documentata istanza alla FIGC. 3. (abrogato) 4. Restano sospesi dalla carica coloro che vengono sottoposti a misure di prevenzione (Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159) o a misure di sicurezza personale (articolo 215 c.p.). La sospensione permane sino alla scadenza della misura o alla revoca della stessa. 5. In caso di emissione di provvedimento restrittivo della libertà personale, anche per reati diversi da quelli previsti nella precedente elencazione, opera parimenti la sospensione dalla carica sino alla remissione in libertà. 6. All'atto della richiesta di tesseramento (articolo 37) e quale imprescindibile condizione dello stesso, i dirigenti di società o di associazione ed i collaboratori nella gestione sportiva delle stesse debbono espressamente dichiarare di non trovarsi in alcuna delle incompatibilità previste dal primo comma del presente articolo. La dichiarazione deve essere prodotta nella forma della autocertificazione. Per le società ed associazioni che svolgono attività in ambito regionale e provinciale l'obbligo di cui sopra grava esclusivamente sui Presidenti delle società ed associ azioni stesse, i quali debbono anche dichiarare l'assenza di condizioni di incompatibilità degli altri dirigenti e dei collaboratori. 6-bis. I dirigenti di società o di associazione ed i collaboratori nella gestione sportiva delle stesse, ove intervenga una situazione di incompatibilità di cui al primo comma, o siano sottoposti alle misure previste dal quarto comma o siano colpiti da provvedimento restrittivo della libertà personale, sono tenuti a darne immediata comunicazione alla Lega od al Comitato competente.7. In caso di mendace dichiarazione all'atto del tesseramento o di omessa immediata comunicazione di cui al precedente comma, i soggetti interessati incorrono nella decadenza dalla carica o dall'incarico per il sopravvenire di una situazione di incompatibilità di cui al primo comma e nella sospensione dalla carica o dall'incarico per il sopravvenire di una situazione di cui al quarto o quinto comma, ferma restando l'applicazione delle disposizioni del codice di giustizia sportiva»

   (136) Ad es., non include i reati di: autoriciclaggio (articolo 648-ter.1 c.p.); trasferimento fraudolento di valori e intestazione fittizia di cui all'articolo 12-quinquies della legge 356/1992; induzione indebita a dare o promettere utilità (articolo 319-quater c.p.); peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi dell'Unione europea e di funzionari dell'Unione europea e di Stati esteri (articolo 322-bis); il traffico di influenze illecite (articolo 346-bis c.p.); sono altresì esclusi tout court i reati di frode fiscale di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000

   (137) Le norme della FIGC vietano la cessione del titolo sportivo

   (138) Protocollo tra Ministero dell'Interno e FIGC del 18 maggio 2016

   (139) FIGC-Comunicati ufficiali nn. 189/A e 72/A rispettivamente del 26 marzo 2015 e del 28 luglio 2015 (1647.1)

   (140) «4. Ferma restando l'applicazione del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, ai fini della preliminare verifica sulla sussistenza delle condizioni per il rilascio del nulla osta di cui al comma 3, l'autorità amministrativa individuata con il decreto di cui al comma 2 del presente articolo trasmette tempestivamente all'Unità di informazione finanziaria le comunicazioni che attestano la provenienza lecita dei fondi unitamente ad ogni altra informazione, documento o atto disponibile sul soggetto che intende avvalersi della procedura di cui al medesimo comma 2, che siano ritenuti utili ai fini della verifica. Con il decreto di cui al comma 2 sono altresì disciplinate le forme e le modalità di attuazione delle predette verifiche preliminari, da concludere entro quindici giorni dalla trasmissione della documentazione di cui al primo periodo, del relativo scambio di informazioni e della partecipazione richiesta agli organi di cui all'articolo 8, comma 2, del medesimo decreto legislativo n. 231 del 2007»

   (141) «9. Chiunque, nell'ambito della procedura di cui al presente articolo, esibisce o trasmette atti o documenti falsi, in tutto o in parte, ovvero fornisce dati e notizie non rispondenti al vero è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. In relazione alla certificazione di cui al comma 2, lettera c), del presente articolo, resta ferma l'applicabilità degli articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 del codice penale e dell'articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356»

   (142) Vedi articolo 8, comma 14, del decreto legislativo 25-5-2017 n. 90 recante attuazione della direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e recante modifica delle direttive 2005/60/CE e 2006/70/CE e attuazione del regolamento (UE) n. 2015/847 riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi e che abroga il regolamento (CE) n. 1781/2006: «14. All'articolo 26-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il comma 4 è abrogato.»

   (143) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Capo della Polizia, Franco Gabrielli (3 maggio 2017)

   (144) Tribunale di Roma, VI sezione, sentenza n. 1378/15, depositata il 23 febbraio 2015 (doc. n. 1472.1)

   (145) Resoconti stenografici delle audizioni presso il IX Comitato dell'ex procuratore federale della FIGC, Stefano Palazzi (23 marzo 2017) e del procuratore federale della FIGC, Giuseppe Pecoraro (8 novembre 2017). Nell'ambito del processo sportivo, la SSC Napoli e il dirigente del Napoli hanno entrambi patteggiato un'ammenda di 8 mila euro (FIGC, COMUNICATO UFFICIALE N. 21/CDN, 2008/2009, Doc. n. 1471.2)

   (146) FIGC COMUNICATO UFFICIALE N. 56/CDN (2013/2014), p.1 (Doc n. 1647.1 )

   (147) FIGCCOMUNICATO UFFICIALE N. 031/CGF, 2014/2015 (Doc. n. 1647.1), p. 3:«Come efficacemente evidenziato dal giudice di prime cure il soggetto deferito ha pronunciato le parole in questione nel corso di una conversazione privata, venuta alla luce solo perché captata nel corso di un'intercettazione ambientale. L'interlocutore è un soggetto non tesserato e la conversazione è avvenuta all'interno di un'autovettura, alle cinque del mattino in periodo estivo (13 agosto), in un contesto definito dal Miccoli «goliardico». Tale definizione può essere messa in dubbio, ma è certo che in ogni caso i due si trovavano in un contesto privato, non definibile, neppure in senso lato, sportivo. Sul punto, giova riprodurre il disposto dell'articolo 1 comma 1 CGS, la cui violazione è contestata al deferito, a mente del quale «Le società, i dirigenti, gli atleti, i tecnici, gli ufficiali di gara e ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l'ordinamento federale, sono tenuti all'osservanza delle norme e degli atti federali e devono comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all'attività sportiva»

   (148) Procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo, richiesta di rinvio a giudizio, proc. n. 13344/15 RGNR (Doc. n. 1653.1)

   (149) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli, Enrica Parascandolo (11 aprile 2017)

   (150) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del sostituto procuratore presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli, Enrica Parascandolo (11 aprile 2017)

   (151) Nell'immediatezza dell'esecuzione dell'ordinanza cautelare circolavano sul web le foto dei fratelli Esposito ritratti in occasioni conviviali con Pepe Reina, Gonzalo Higuain, Josè Maria Callejon e Paolo Cannavaro

   (152) Resoconto stenografico dell'audizione del presidente della SSC Napoli, Aurelio de Laurentiis (28 giugno 2017)

   (153) Resoconto stenografico dell'audizione del presidente della SSC Napoli, Aurelio de Laurentiis (28 giugno 2017):
  «GIUSEPPE STAIANO, avvocato. A questo si aggiunge che il Napoli, ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, è dotato di modello organizzativo, e su questo vigila un organismo di vigilanza indipendente preposto all'efficace attuazione di questo modello e, all'interno di questo, ci sono tutte le attività di formazione anche dei calciatori, a cui viene spiegato quali sono le possibili aree di rischio e cosa non si deve fare. Il Napoli pone quindi in essere una serie di attività enorme, c’è tanta cura su questo, ma ciononostante certe cose possono accadere. Quando il presidente dice che non può fare più di tanto e lamenta delle lacune normative, si riferisce a questo, perché il Napoli sul piano della prevenzione, anche sul piano proprio culturale, che poi è il tema che forse può più rilevare e più avere impatto, di più non può fare, e fa tantissimo.
  PRESIDENTE. Quindi voi escludete che ci siano partecipazioni da parte dei giocatori a feste organizzate dalle tifoserie senza che la società ne sia al corrente...
  GIUSEPPE STAIANO, avvocato. La società fa di tutto perché questo non accada, se poi accade che altro puoi fare ? Gli spieghi che non va fatto, gli spieghi che è pericoloso, gli spieghi tutto questo, li costringi a fare degli incontri formativi in cui prendiamo anche la presenza con la firma...
  PRESIDENTE. E, se ci vanno, gli tirate le orecchie, o no ?
  GIUSEPPE STAIANO, avvocato. Se apprendiamo dai giornali che c’è qualcosa che non va bene, è chiaro che si assumono degli atteggiamenti conseguenti.
  AURELIO DE LAURENTIIS, presidente della SSC Napoli. Ci sono state nel passato delle mie grosse «cazziate» (mi dispiace per la registrazione e per chi trascriverà)...
  PRESIDENTE. Siamo anche in diretta.
  AURELIO DE LAURENTIIS, presidente della SSC Napoli. Siamo in diretta, momento reale... ogni tanto qualcuno lo prendevo per le orecchie, quando ne venivo però a conoscenza perché, poiché sanno che io sono molto sanguigno e quindi molto reattivo sull'immediato, mi tenevano sempre molto... cautelativamente me l'addolcivano, ma quelle pochissime volte che io sono intervenuto, sono intervenuto pesantemente»

   (154) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato dell’head of operations, sales & marketing della S.S.C. Napoli, Alessandro Formisano (24 luglio 2017)

   (155) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Capo della Polizia, Franco Gabrielli (3 maggio 2017)

   (156) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del presidente del CONI, Giovanni Malagò (2 agosto 2017)

   (157) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del presidente del CONI, Giovanni Malagò (2 agosto 2017)

   (158) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Ministro dello sport, Luca Lotti (12 settembre 2017)

   (159) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Capo della Polizia, Franco Gabrielli (3 maggio 2017): «L'esigenza di innalzare il livello dell'azione di contrasto di questi fenomeni ha indotto la Polizia di Stato a sviluppare, sin dal 2002, un delicato expertise investigativo con la creazione di una componente fortemente specializzata, che va sotto il nome di polizia dei giochi e delle scommesse. La missione di tale componente è lo svolgimento di investigazioni sulle diverse forme di infiltrazione delinquenziale comune e organizzata nel circuito del betting legale e dei diversificati ambiti del mondo dell'intrattenimento correlati all'organizzazione e gestione delle scommesse, in primis gli eventi sportivi di natura calcistica. Si è trattato di una scelta – mi sia consentito dirlo – che ha precorso i tempi, grazie alla quale è stato possibile avviare e portare a termine rilevanti operazioni investigative. La polizia dei giochi è oggi una realtà che conta su un nucleo centrale inserito nel servizio centrale operativo (SCO), destinato a svolgere funzioni di impulso, sostegno e coordinamento delle attività di indagine condotte dai nuclei interprovinciali istituiti nelle 26 squadre mobili delle questure distrettuali, formati da operatori dotati di particolari professionalità e competenza. A ciò si aggiunge la presenza di personale specializzato nell'ambito degli omologhi organismi non distrettuali. Questa rete di investigatori agisce in stretto raccordo con le divisioni di polizia amministrativa e sociale delle stesse questure, realizzando una sinergia tra il versante dell'investigazione e quello del controllo amministrativo, indispensabile per lo sviluppo di attività di indagine sempre più sistematiche e penetranti»

   (160) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Ministro dello sport, Luca Lotti (12 settembre 2017)

   (161) Tra i principali atti giudiziari dell'inchiesta Last Bet possono considerarsi i seguenti: tribunale ordinario di Cremona, ufficio Gip, ordinanza di custodia cautelare 28 maggio 2011 (Tan Seet Eng), proc. n. 3628/10 RGNR; Tribunale ordinario di cremona, ufficio Gip, ordinanza di custodia cautelare 9 dicembre 2011 (Tan Seet Eng), proc. n. 3628/10 RGNR; tribunale ordinario di cremona, ufficio Gip, ordinanza di custodia cautelare 2 febbraio 2012 (Iacovelli), proc. n. 3628/10 RGNR; tribunale ordinario di cremona, ufficio Gip, ordinanza di custodia cautelare 22 maggio 2012 (Kenesei), proc. n. 3628/10 RGNR; tribunale ordinario di cremona, ufficio Gip, ordinanza di custodia cautelare 12 dicembre 2013 (Bazzani), proc. n. 3628/10 RGNR (Doc. n. 1648)

   (162) Tribunale ordinario di cremona, ufficio Gip, ordinanza di custodia cautelare 22 maggio 2012, proc. n. 3628/10 RGNR, p. 18, (Doc. n. 1648)

   (163) Tribunale ordinario di Cremona, Ufficio Gip, Ordinanza di custodia cautelare 9 dicembre 2011, proc. n. 3628/10 RGNR, p. 208 (Doc. n. 1648)

   (164) Tribunale ordinario di Cremona, Ufficio Gip, Ordinanza di custodia cautelare 9 dicembre 2011, proc. n. 3628/10 RGNR, p. 31 (Doc. n. 1648)

   (165) Tribunale ordinario di Cremona, Ufficio Gip, Ordinanza di custodia cautelare 9 dicembre 2011, proc. n. 3628/10 RGNR, p. 33 (Doc. n. 1648)

   (166) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Capo della Polizia, Franco Gabrielli (3 maggio 2017)

   (167) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del giornalista de La Sicilia, Mario Barresi (9 febbraio 2017)

   (168) Tribunale di Catania, Ufficio Gip, ordinanza di custodia cautelare del 15 giugno 2015 c/Pulvirenti altri, Proc. n.5559/2015 RGNR (Doc. 1326.1)

   (169) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del sostituto procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Catania, Alessandro Sergio Sorrentino (9 febbraio 2017)

   (170) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del sostituto procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Catania, Alessandro Sergio Sorrentino (9 febbraio 2017)

   (171) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli, Giovanni Colangelo (8 febbraio 2017)

   (172) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli, Giovanni Colangelo (8 febbraio 2017)

   (173) FIGC – COMUNICATO UFFICIALE N. 75/TFN – Sezione Disciplinare, 2016/2017 (Doc. n. 1647.1)

   (174) FIGC – COMUNICATO UFFICIALE N. 75/TFN – Sezione Disciplinare, 2016/2017 (Doc. n. 1647.1)

   (175) FIGC-COMUNICATO UFFICIALE N. 133/CFA, 2016/2017 (Doc. n. 1647.1)

   (176) Relazione del vicedirettore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, responsabile area monopoli, Alessandro Aronica (Doc. n. 1448.1), depositata durante l'audizione presso i comitati congiunti I «Lotta alla criminalità mafiosa su base europea e internazionale» e X «Infiltrazioni mafiose nel gioco lecito e illecito» del 25 maggio 2017

   (177) Relazione del vicedirettore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, responsabile area monopoli, Alessandro Aronica (Doc. n. 1448.1), depositata durante l'audizione presso i comitati congiunti I «Lotta alla criminalità mafiosa su base europea e internazionale» e X «Infiltrazioni mafiose nel gioco lecito e illecito» del 25 maggio 2017

   (178) Tribunale ordinario di Cremona, Ufficio Gip, Ordinanza di custodia cautelare 9 dicembre 2011, proc. n. 3628/10 RGNR, p. 44 (Doc. n. 1648)

   (179) «Pertanto, a fine 2013, lo scrivente ha inviato tramite Interpol una richiesta di rogatoria internazionale a Singapore chiedendo: di trasmettere le imputazioni a carico dei due indagati comuni; di trasmettere i verbali di interrogatorio dei due comuni arrestati e di altri che avessero reso dichiarazioni rilevanti per il procedimento di Cremona; di trasmettere i verbali di testi che avessero rilasciato dichiarazioni rilevanti; di trasmettere copia di eventuali documenti rilevanti; di consentire allo scrivente, o almeno alla polizia, di potersi recare a Singapore per presenziare all'interrogatorio dei due indagati singaporiani condivisi con l'autorità giudiziaria di Singapore. Si fa presente che in precedenza, su richiesta ricevuta tramite Interpol, e su sollecitazione delle autorità di Singapore, era stata trasmessa una costosa traduzione in inglese dell'ordinanza del Gip del 9.12.2011, nonché dei passi di altre successive ordinanze. In sostanza le autorità di Singapore sono state informate della maggior parte degli elementi che potevano rilevare per il loro processo» (Dichiarazione trasmessa alla Commissione dal procuratore della Repubblica pro tempore, Roberto Di Martino in data 12 dicembre 2017, Doc. n. 1654)

   (180) «A fronte della più ampia collaborazione dell'autorità giudiziaria italiana sono giunte, sempre tramite Interpol, soltanto risposte negative delle autorità di Singapore. In concreto, quando è stato richiesto il rinvio a giudizio, l'Ufficio di Cremona neppure era stato informato ufficialmente delle imputazioni per le quali erano stati arrestati i due comuni indagati» (Dichiarazione trasmessa alla Commissione dal procuratore della Repubblica pro tempore, Roberto Di Martino in data 12 dicembre 2017, Doc. n. 1654)

   (181) FIGC – COMUNICATO UFFICIALE N. 75/TFN – Sezione Disciplinare, 2016/2017, p.10 (Doc. 1647.1): peraltro secondo la commissione disciplinare «va sottolineato che è risaputo che è pratica invalsa quella di scommettere su eventi di più facile realizzazione al fine di effettuare quella necessaria operazione di «money washing», ripulendo, così, ingenti capitali illeciti. Il fine ultimo, pertanto, non sarebbe quello di conseguire una vincita elevata, bensì, una vincita a rischiosità minima in maniera tale da poter comunque reintrodurre lecitamente nel mercato anche le ingenti somme impiegate nelle puntate delle scommesse»

   (182) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del procuratore federale della FIGC, Giuseppe Pecoraro (8 novembre 2017): «GIUSEPPE PECORARO, procuratore federale della FIGC. Per quanto riguarda le scommesse c’è un problema che devo segnalare a questa Commissione, che ringrazio nuovamente per avermi ascoltato. Ricordate che già l'altra volta feci presente che quello delle scommesse è un problema veramente molto serio. Non è una cosa che va sottovalutata. Oggi, ci troviamo una normativa secondo la quale possiamo venire a conoscenza solo delle scommesse al di sopra dei 2 mila euro, mentre prima era per mille euro. Si consente così ai giocatori – intendo chiunque, non giocatori di calcio – di parcellizzare, dividere la somma giocata, con la conseguente incapacità, impossibilità da parte nostra a pervenire all'identificazione. Al di là di tutto, al di là del problema della cifra, il punto è che non c’è nessuna investigazione sulle scommesse. In che senso ? Presidente, io avevo chiesto, se ricorda, se fosse possibile – ho lavorato al dipartimento, quindi so quali sono le incombenze del dipartimento e delle questure – che nell'ambito della polizia postale o della squadra mobile vi fosse un settore dedicato alle scommesse, soprattutto quelle illecite. Ovviamente, c’è un bacino, un settore che sfugge completamente alla nostra conoscenza. Che cosa facciamo ? L'unica cosa che possiamo fare è, quando abbiamo notizie del flusso anomalo, come le avete pure voi, scrivere alle procure interessate, le quali risposte non ce ne danno, perché anche loro sono oberate di lavoro e forse non hanno neanche gli strumenti per controllare eventuali scommesse o la possibilità di vedere in che cosa è consistito lo stesso flusso anomalo, tant’è che appunto risposte non ne abbiamo. Abbiamo un problema prima di tutto relativo a chi investiga, a chi segue questi settori, questi circuiti. È necessario poi che ci sia anche un'attenzione da parte dell'autorità giudiziaria – parlo in generale – perché la scommessa può essere veramente il male, anzi è secondo me il male del calcio, soprattutto per quanto riguarda le squadre di livello inferiore, di settori inferiori, le leghe dei dilettanti e simili. Ovviamente, non girano quei capitali, quelle risorse, che invece ci sono nelle squadre più importanti. Qual è il secondo problema ? Non riceviamo da parte dell'Agenzia delle entrate i nominativi di chi scommette. Io ho richiesto un protocollo alla Federazione da farsi tra Federazione e Agenzia dei monopoli per sapere chi è che scommette. È vero che a scommettere sono soprattutto dei prestanome, ma almeno si potrebbero fare degli incroci e cercare di capire chi ha scommesso. Su questo la Commissione potrebbe darci una mano perché ci sia anche una volontà politica affinché la procura federale sia a conoscenza dei nominativi, e non solo»

   (183) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del presidente dell'Associazione Italiana Calciatori, Damiano Tommasi (4 aprile 2017)

   (184) Comprende le società e le associazioni sportive dilettantistiche di calcio a 11, comprese quelle di calcio femminile, calcio a 5, beach soccer

   (185) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del segretario generale della Lega nazionale dilettanti, Massimo Ciaccolini, del presidente COVISOD, Paolo AGNESI, 16 novembre 2017

   (186) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato del segretario generale della Lega nazionale dilettanti, Massimo Ciaccolini, del presidente COVISOD, Paolo AGNESI, 16 novembre 2017

   (187) Resoconto stenografico dell'audizione presso il IX Comitato presidente COVISOC, Cesare Bisoni (16 novembre 2017)

   (188) Resoconto stenografico dell'audizione in Commissione del Capo della Polizia, Franco Gabrielli (3 maggio 2017)

   (189) Proc. pen. 4302/06 RGNR-DDA Reggio Calabria

   (190) Proc. n. 82/2011 RGMP-RC nei confronti di Pesce Marcello altri

   (191) Proc. 82/2011 RGMP-RC, decreto del 20 giugno 2012

   (192) Tale Convenzione ha lo scopo di prevenire, indagare, punire e perseguire la manipolazione delle competizioni sportive nonché di migliorare lo scambio di informazioni e la collaborazione a livello nazionale e internazionale tra le autorità competenti, con le associazioni sportive e con gli organizzatori di scommesse sportive.