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CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 5 novembre 2014
329.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-03940 Gebhard: Applicazione della detrazione del 65 per cento alle spese per l'installazione di caldaie a biomassa nell'ambito di ristrutturazioni edilizie senza demolizione.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, l'On.le interrogante ha chiesto di conoscere le valutazioni in ordine alla spettanza della detrazione fiscale del 65 per cento di cui all'articolo 1, commi 344 e seguenti, della legge n. 296 del 2006 in caso di sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di generatori di calore a biomassa nell'ambito di una ristrutturazione edilizia senza demolizione e con ampliamenti.
  In particolare, premesso che:
   l'articolo 1, commi da 344 a 349, della legge n. 296 del 2006 ha introdotto la detrazione fiscale del 55 per cento (ora 65 per cento) per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici;
   detta detrazione è stata da ultimo prorogata sino a tutto il 31 dicembre 2014 dall'articolo 1, comma 139, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014);
   il comma 347 dell'articolo 1 della richiamata legge n. 296 del 2006 ammette alla detrazione fiscale, fino a un valore massimo della detrazione stessa di euro 30.000, gli interventi di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e contestuale messa a punto del sistema di distribuzione;
   sono ammessi alla detrazione fiscale anche gli interventi di installazione di impianti dotati di generatori di calore a biomassa nell'ambito del più generale intervento di riqualificazione globale dell'edificio di cui al comma 344 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006;
   in ipotesi di ristrutturazione senza demolizione, ma con ampliamento, non è consentito, tuttavia, far riferimento al comma 344, ma ai singoli commi 345, 346 e 347, relativamente alla parte di edificio esistente.

  Tanto premesso, l'Onorevole interrogante ha chiesto di sapere se, nell'ambito di una ristrutturazione con ampliamenti, non essendo applicabile il comma 344 dell'articolo 1 della legge n. 296 dei 2006, i soggetti che intendano avvalersi della detrazione fiscale per la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di generatori di calore a biomassa possano o meno beneficiare della detrazione del 65 per cento ai sensi del comma 347 del medesimo articolo 1, per le spese riferibili alla parte di edificio esistente, ovvero, in alternativa, della detrazione del 50 per cento per il recupero del patrimonio edilizio.
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione, si rappresenta quan- to segue.
  Nell'ambito della normativa riguardante la detrazione fiscale del 65 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici, il comma 347 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 ammette al beneficio:
   gli interventi di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con quelli dotati di caldaie a condensazione e contestuale messa a punto dei sistema di distribuzione;
   gli interventi di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con Pag. 58pompe di calore ad alta efficienza e con impianti geotermici a bassa entalpia;
   gli interventi di sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria.

  Ne rimangono, pertanto, esclusi, gli interventi di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di generatori di calore a biomassa.
  Con la circolare n. 36/E del 2007 è stato tuttavia precisato che la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di generatori di calore a biomassa possono ricondursi nell'ambito degli interventi di riqualificazione globale degli edifici di cui all'articolo 1, comma 344, della citata legge n. 296 del 2006, in quanto per questa tipologia di interventi non è specificato quali opere o impianti occorre realizzare per raggiungere le prestazioni energetiche richieste, essendo l'intervento definito in funzione del risultato che lo stesso deve conseguire in termini di riduzione del fabbisogno annuo di energia primaria per la climatizzazione invernale dell'intero fabbricato.
  Nelle ipotesi di ristrutturazione edilizia degli edifici senza demolizione, ma con ampliamento, la detrazione fiscale del 65 per cento, come chiarito in precedenti documenti di prassi (cfr. circ. n. 39/E del 2010, ris. n. 4/E del 2011), non può riguardare gli interventi di riqualificazione energetica globale dell'edificio, previsti dall'articolo 1, comma 344, della legge n. 296 del 2006, in quanto, per tali interventi, è necessario individuare il fabbisogno di energia primaria annua riferito all'intero edificio, comprensivo dell'ampliamento. In sostanza, la diversità dell'edificio prima e dopo l'intervento costituisce un ostacolo alla misurazione del risultato energetico, in quanto il confronto non avviene tra elementi omogenei.
  Conseguentemente, gli interventi di sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di generatori di calore a biomassa non possono accedere alla detrazione fiscale del 65 per cento.
  Potranno, comunque, beneficiare, in presenza di tutti i requisiti richiesti dalla normativa di riferimento, della detrazione fiscale del 36 per cento (attualmente 50 per cento) di cui all'articolo 16-bis, comma 1, lettera h), del TUIR, limitatamente alla quota parte delle spese dell'impianto, compresa la caldaia, riferibili alla porzione di edificio esistente (cfr. ris. n. 4/E del 2011), da individuare con criteri oggettivi tenendo conto dei fabbisogni energetici.
  Al riguardo, l'Agenzia delle Entrate fa presente che in base all'articolo 10 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), «gli impianti alimentati da fonti rinnovabili accedono agli incentivi statali a condizione che rispettino i requisiti e le specifiche tecniche di cui all'allegato 2». E necessario, quindi, il rispetto delle specifiche prescrizioni previste in tale allegato.

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ALLEGATO 2

5-03941 Paglia: Attuazione della risoluzione n. 800070, in materia di riduzione dei costi a carico degli esercenti impianti di distribuzione di carburanti e rivendite di generi di monopolio in relazione all'obbligo di accettare pagamenti attraverso carte di debito.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, l'Onorevole interrogante chiede al Governo come ed in che tempi ritenga di ottemperare agli impegni assunti nella Risoluzione n. 8-00070, accolta dal Governo e approvata dalla VI Commissione della Camera dei Deputati nella seduta del 29 luglio 2014, concernenti l'adozione di misure volte ad assicurare un abbattimento dei costi fissi del terminale POS, eventualmente anche mediante forme di defiscalizzazione che contemplino il riconoscimento di un credito d'imposta, nonché di iniziative volte a prevedere la completa gratuità, per ulteriori 12 mesi, delle transazioni effettuate presso impianti di distribuzione di carburante e presso le rivendite di tabacchi per servizi prestati dalle stesse, per conto dello Stato, all'utenza, in attesa della completa abrogazione della commissione applicata.
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente si osserva che le iniziative volte ad incentivare l'utilizzo di strumenti di pagamento elettronici di cui ai recenti provvedimenti (decreto ministeriale 14 febbraio 2014, n. 51 recante regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, cosiddetto decreto «Merchant fee», e decreto ministeriale del 24 gennaio 2014, recante «Definizioni e ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito» cosiddetto Decreto POS) rispondono alla duplice finalità di ridurre l'utilizzo del contante e dei relativi costi per la society legati alla minore tracciabilità delle operazioni e di fronteggiare il conseguente maggior rischio di elusione della normativa fiscale e antiriciclaggio, di accrescere la trasparenza tra i prestatori di servizi di pagamento che operano nel segmento della «moneta elettronica» e di aumentare la concorrenza all'interno del mercato.
  In particolare, il decreto merchant fee definisce regole virtuose nei meccanismi di tariffazione in linea con le economia di scala degli acquirer (ossia gli intermediari bancari e finanziari che sottoscrivono gli accordi di convenzionamento con gli esercenti) volte a rendere convenienti anche i micro-pagamenti, vietando espressamente le cosiddette pratiche di blending, mediante l'obbligo di specificazione, a carico degli operatori, delle diverse commissioni applicabili per ciascuna tipologia di carte di pagamento.
  Il citato decreto ministeriale 24 gennaio 2014 invece introduce, dopo il 30 giugno 2014, l'obbligo per i professionisti e le imprese di accettare pagamenti effettuati tramite bancomat e carte di debito per tutti i pagamenti di importo superiore a 30 euro.
  Nella stessa direzione si è mossa la Commissione dell'Unione europea che, nel luglio 2013, ha presentato una proposta di regolamento per la riduzione delle commissioni interbancarie. Il negoziato su tale proposta attualmente in corso sotto la Presidenza Italiana e proprio uno degli aspetti più dibattuti è rappresentato dalla previsione di un tetto, attualmente fissato allo 0,2 per cento per le carte di debito e Pag. 60allo 0,3 per cento per le carte di credito, sulle transazioni effettuate tramite carte di pagamento.
  Anche a livello europeo l'intenzione che sembra prevalere è dunque quella di evitare la soluzione «zero commissioni», ponendo invece un tetto alle commissioni interbancarie e lasciando alla concorrenza del mercato la naturale spinta al ribasso delle fees associate a tali transazioni.
  Con riferimento all'articolo 34, comma 7, della legge 12 novembre 2011, n. 183, che prevedeva la gratuità per l'acquirente e per il venditore delle transazioni regolate con carte di pagamento presso gli impianti di distribuzione di carburanti, di importo inferiore ai 100 euro, è opportuno precisare che l'articolo 12, comma 10-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge dispone la cessazione dell'efficacia del menzionata diposizione, facendola decorrere dalla data di pubblicazione del citato decreto ministeriale 14 febbraio 2014, n. 51.
  Sotto il profilo della tecnica legislativa adottata, si tratta di uno dei numerosi esempi rinvenibili nell'ordinamento, in cui la legge dispone la disapplicazione di altra norma di pari rango, individuando tuttavia il dies ad quem non direttamente, ma nella data di pubblicazione di un provvedimento secondario, che definisce le regole generali per la riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, ricomprendendo tra essi anche i distributori di carburanti, con la conseguente cessazione di efficacia del regime di gratuità.
  In seguito all'entrata in vigore, dal 1o luglio scorso, del citato decreto interministeriale 24 gennaio 2014, è istituito presso il Ministero dello sviluppo economico un tavolo di confronto sul tema della diffusione delle transazioni con carte di pagamento, che vede la partecipazione stabile dei rappresentanti della Banca d'Italia e del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Dall'esito delle prime due riunioni, alle quali sono stati invitati anche i rappresentanti del Consorzio Bancomat, dell'ABI, dell'AIIP (Associazione Italiana Istituti di Pagamento e di Moneta Elettronica), dei gestori dei circuiti internazionali Visa e MasterCard e di alcuni operatori di mercato attivi in particolare nel settore dell’acquiring, con l'obiettivo di completare l'analisi dei costi e delle commissioni associate all'installazione, alla manutenzione e all'utilizzo dei Pos, è emerso quanto segue.
  In primo luogo, tali costi presentano una componente fissa e una variabile. I costi fissi coprono la disponibilità dell'apparecchiatura POS e dipendono dalle diverse funzionalità che il terminale può offrire e dal tipo di tecnologia utilizzata per il collegamento. I terminali più innovativi, il cui funzionamento è basato su un collegamento via internet o attraverso una rete mobile sono, di regola, meno costosi rispetto a quelli tradizionali, collegati alle reti interbancarie dedicate.
  Il costo fisso per i terminali più innovativi si aggira in media intorno ai 2-5 Euro mensili, mentre per le apparecchiature più tradizionali la media è di 10-15 Euro mensili. L'onere che in media deve sostenere un esercente o un professionista per dotarsi di un POS è quindi mediamente intorno ai 25-60 Euro all'anno nel primo caso e a 120-180 Euro nel secondo. I costi variabili sono, invece, legati al numero e all'ammontare delle transazioni effettuate dalla clientela e dipendono dal tipo di circuito utilizzato. L'utilizzo dei POS consente peraltro di ridurre l'impatto dei costi legati all'utilizzo del denaro contante, che sono complessivamente stimati intorno all'1-1,5 per cento rispetto all'entità delle transazioni. Spesso le due componenti di costo (fissa e variabile) sono fra loro collegate: a costi fissi più alti possono essere associati costi variabili più bassi (e viceversa).
  Pertanto, è possibile rivenire attualmente sul mercato soluzioni che offrono diverse combinazioni di servizi e condizioni, fra le quali ciascun esercente o professionista può scegliere quella più adatta alle proprie esigenze, in base alle sue previsioni di utilizzo e ai collegamenti Pag. 61disponibili. Alcuni operatori di mercato hanno anche lanciato delle offerte commerciali che prevedono, nell'ambito di un più ampio pacchetto di servizi, la disponibilità gratuita del POS.
  Gli interlocutori coinvolti nelle discussioni del tavolo hanno manifestato la loro piena disponibilità a continuare a compiere ogni sforzo per rendere l'offerta di questa tipologia di servizio il più possibile flessibile e conveniente, in linea con le esigenze delle singole categorie interessate dal decreto. La crescita del numero delle transazioni che ci si attende come risultato dell'entrata in vigore del decreto consentirà lo sviluppo di economie di scala e l'intensificazione delle pressioni concorrenziali in grado di ridurre ulteriormente i costi.
  Il tavolo di lavoro proseguirà i suoi approfondimenti monitorando gli effetti del decreto sul mercato, sia in termini di volumi sia di prezzi. Saranno organizzati ulteriori incontri, in particolare con le organizzazioni di categoria dei commercianti, degli artigiani e dei professionisti, per condividere i risultati di questo monitoraggio e per favorire una più ampia diffusione dei pagamenti elettronici nel nostro Paese e una corretta ripartizione dei costi e dei relativi benefici tra tutti i soggetti interessati.
  Il menzionato tavolo potrà essere anche l'occasione per valutare la possibile introduzione di sanzioni o interdizioni in caso di inadempienza.
  Con riguardo alla proposta dell'Onorevole interrogante volta a garantire l'abbattimento dei costi fissi del terminale POS, mediante forme di defiscalizzazione che contemplino il riconoscimento di un credito d'imposta, si rappresenta che è allo studio un'ipotesi di proposta normativa agevolativa che potrebbe essere strutturata attraverso il meccanismo del credito d'imposta (a regime).
  Ogni valutazione al riguardo è comunque subordinata al reperimento di idonei mezzi di copertura finanziaria degli oneri, la cui entità dipenderebbe anche dall'intensità dell'agevolazione.

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ALLEGATO 3

5-03942 Pisano: Proroga del termine per la comunicazione di discarico per inesigibilità dei ruoli da parte degli agenti della riscossione.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione a risposta immediata in esame, l'onorevole interrogante, tenuto conto della proroga, al 31 dicembre 2014, dei termini previsti per la presentazione delle comunicazioni di inesigibilità da parte degli agenti della riscossione disposta dall'articolo 1, comma 530, della legge n. 228 del 24 dicembre 2012 e della conseguente rimodulazione dei termini per il controllo di dette comunicazioni a cura dei competenti uffici degli enti creditori, ha chiesto di conoscere se si intenda procedere ad un'ulteriore proroga del termine da ultimo fissato per la comunicazione di inesigibilità relativa ai ruoli affidati entro il 31 gennaio 2011 e «quale sia lo stato di attuazione da parte degli agenti della riscossione». Ciò, atteso, in particolare, l'impatto che un eventuale ennesimo rinvio dei termini avrebbe sul processo di armonizzazione contabile posto in essere dalle Regioni e da altri enti territoriali in attuazione di quanto stabilito dalla disciplina comunitaria in materia.
  Al riguardo, l'onorevole interrogante ha, infatti, premesso che gli adempimenti legati al controllo dell'inesigibilità sarebbero strettamente correlati alla Direttiva comunitaria 2011/85/UE (contenente regole minime comuni per i quadri di bilancio nazionali finalizzati a renderli più trasparenti completi e veritieri), alla quale il legislatore nazionale avrebbe dato attuazione con il decreto legislativo n. 91 del 31 maggio 2011 ed il decreto legislativo n. 118 del 23 giugno 2011, emanati ai sensi delle leggi sulla contabilità pubblica e sul federalismo fiscale. Entrambi i decreti, ai fini di una corretta entrata a regime della nuova disciplina sull'armonizzazione contabile, prevedrebbero una preliminare fase di sperimentazione prima della definitiva applicazione dei nuovi principi contabili e degli schemi di bilancio armonizzati.
  In particolare, poiché la fase sperimentale prevista per le Regioni e gli altri enti territoriali, avviata nel 2012, si concluderebbe, in virtù del decreto legislativo n. 118 del 2011, nell'anno 2014, secondo l'interrogante, una proroga dei termini relativi all'inesigibilità impedirebbe la messa a regime delle nuove norme sull'armonizzazione contabile, comportando, di conseguenza, la violazione della direttiva comunitaria citata.
  Al riguardo, sentiti gli uffici competenti dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, occorre evidenziare che, ai sensi dell'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 – Discarico per inesigibilità – «ai fini del discarico delle quote iscritte a ruolo, il concessionario trasmette, anche in via telematica, all'ente creditore, una comunicazione di inesigibilità». Tale comunicazione deve essere presentata entro il terzo anno successivo alla consegna del ruolo, secondo quanto previsto dal successivo comma 2, lettera c), dell'articolo 19, pena la perdita del diritto al discarico. Ai sensi del comma 3 della disposizione in esame, una volta presentata ritualmente la predetta comunicazione di inesigibilità, l'ente creditore può valutare la fondatezza della stessa entro tre anni, decorrenti dalla data della sua presentazione, decorsi inutilmente i quali, il concessionario è automaticamente discaricato, e sono contestualmente Pag. 63eliminati dalle scritture patrimoniali i crediti erariali corrispondenti alle quote discaricate.
  Con numerosi interventi legislativi, è stato più volte differito il termine entro il quale gli agenti della riscossione devono presentare la comunicazione di discarico per inesigibilità dei ruoli nonché il termine per il controllo di merito da parte degli Uffici.
  In ordine ai quesiti formulati dall'onorevole interrogante, in particolare, Equitalia S.p.A. osserva come non appaia del tutto chiaro il richiamo, nell'ambito della tematica dell'inesigibilità, alla Direttiva comunitaria 2011/85/UE, atteso che essa stabilisce regole dettagliate riguardanti le caratteristiche dei quadri di bilancio degli Stati membri necessarie a garantire l'osservanza da parte degli stessi Stati dell'obbligo, derivante dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di evitare disavanzi pubblici eccessivi. In tale ottica, vengono dettati i criteri per la programmazione di bilancio economica e le misure per l'istituzione di un quadro di bilancio a medio termine degli Stati membri nonché le regole di bilancio numeriche specifiche. A tale direttiva è stata data attuazione con il decreto legislativo n. 54 del 4 marzo 2014, e non con i citati decreti legislativi numeri 91 e 118 del 2011 che, per quanto possano riguardare l'adeguamento e l'armonizzazione dei sistemi contabili della finanza pubblica, risultano inconferenti rispetto alle particolari regole di armonizzazione dettate dalla Direttiva del 2011/5/UER, e, peraltro, neppure menzionati nelle premesse di entrambi i decreti.
  Poste in linea generale le riflessioni che precedono Equitalia S.p.A. fa, inoltre, presente che, per effetto delle molteplici proroghe susseguitesi nel tempo, il 31 dicembre del corrente anno dovrebbero prodursi tutte le comunicazioni di inesigibilità afferenti ai ruoli affidati dal 2000 al 2011.
  In considerazione degli ingenti volumi interessati si tratterebbe, pertanto, di fornire agli enti creditori dati e documenti cartacei, ai fini del controllo di legge, con un impegno considerevole, tanto per le società del gruppo Equitalia, che per gli enti predetti, sui quali grava, per l'appunto, l'onere del controllo.
  La questione è comunque all'attenzione del Governo che sta valutando le misure più appropriate da adottare per gestire la situazione sopra rappresentata.

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ALLEGATO 4

5-03943 Causi: Eliminazione dei limiti alla compensazione tra i crediti d'imposta e le somme dovute.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, l'Onorevole interrogante chiede al Governo il superamento del limite di 700.000 relativo ai crediti fiscali e contributivi che possono essere utilizzati in compensazione nel modello F24, ai sensi dell'articolo 34 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 come modificato dall'articolo 9, comma 2 del decreto 8 aprile 2013, n. 35 convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64.
  In particolare l'Onorevole interrogante evidenzia che l'utilizzo in compensazione di un credito esistente in maniera superiore al limite previsto dalla legge può essere regolarizzato con il versamento di una somma pari all'eccedenza utilizzata maggiorata degli interessi e delle sanzioni in misura ridotta. Il credito così ripristinato può essere utilizzato in future compensazioni con eventuali debiti tributari e contributivi.
  L'Onorevole auspica il superamento del limite attraverso una soluzione interpretativa contenuta in un provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate ed a sostegno della possibilità di eliminare dall'ordinamento, senza apposito intervento normativo, l'attuale limite alla compensazione, richiama la Comunicazione di servizio del 30 gennaio 2002, n. 8, con la quale l'Agenzia delle Entrate ha affermato l'inopportunità del recupero di un credito Iva effettivamente esistente, ma indebitamente rimborsato per difetto dei presupposti di cui all'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si osserva quanto segue.
  Anzitutto, è opportuno far presente che la Comunicazione di servizio del 30 gennaio 2002, n. 8, citata dall'Onorevole interrogante, è relativa a fattispecie relativa ad un credito iva esistente ma indebitamente rimborsato per difetto dei presupposti di legge, non assimilabile a quella in esame, come peraltro evidenziato dall'Avvocatura Generale dello Stato con parere reso il 2 febbraio 2009 in merito al relativo profilo sanzionatorio.
  A differenza, infatti, dell'ipotesi in cui il contribuente ottenga un rimborso Iva non spettante per difetto dei presupposti, nel caso di utilizzo in compensazione di un credito esistente oltre il limite previsto, si produce un effetto concreto riconducibile all'omesso o ritardato versamento e pertanto, come ribadito dall'Agenzia delle entrate nella circolare 13 marzo 2009 n. 8/E, si determina un danno c.d. di cassa all'Erario consistente «nella sottrazione di liquidità all'Amministrazione finanziaria».
  Nello stesso senso si è espressa anche la Corte di Cassazione, la quale, con ordinanza del 6 luglio 2010, n. 15938, ha evidenziato «l'evidente diversità delle due fattispecie» e «la palese impossibilità di individuare una medesima ratio sanzionatoria nei due casi».
  Vale, inoltre, ricordare che, nella diversa ipotesi di utilizzo in compensazione di un credito inesistente, l'articolo 27, comma 18, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (cosiddetto «Decreto anticrisi») prevede la sanzione dal cento al duecento per cento della misura del credito Pag. 65stesso, sanzione più grave rispetto a quella comminata nel caso di credito utilizzato in misura superiore a quella spettante, che invece è pari al 30 per cento dell'importo non versato ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471.
  Ai di là di quanto precede l'articolo 9, comma 2, del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito, con modificazioni, con legge 6 giugno 2013, n. 64, a decorrere dall'anno 2014, ha aumentato a 700.000 euro il tetto di 516.000 euro previsto dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, per l'utilizzo in compensazione dei crediti d'imposta.
  Tale limite, pertanto, la cui ratio risiede nella garanzia di equilibri di finanza pubblica, non può essere modificato, né tantomeno abrogato in via interpretativa.