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CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 14 aprile 2015
424.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Comunicazione della Commissione europea: Un piano di investimenti per l'Europa (COM(2014)903 final) – Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e che modifica i regolamenti (UE) nn. 1291/2013 e 1316/2013 (COM(2015)10 final).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La XIV Commissione Politiche dell'Unione europea,
   esaminate congiuntamente la «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e che modifica i regolamenti (UE) nn. 1291/2013 e 1316/2013 (COM(2015)10 final)» e la «Comunicazione della Commissione europea: Un piano di investimenti per l'Europa (COM(2014)903 final)»;
   considerati l'orientamento generale sulla richiamata proposta di regolamento, adottata dal Consiglio il 10 marzo 2015, e il progetto di Relazione, predisposto dalle Commissioni per i bilanci e i problemi economici e monetari del Parlamento europeo il 10 marzo 2015;
   tenuto conto degli importanti elementi di conoscenza e valutazione emersi nel corso dell'audizione del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega per gli affari europei, Sandro Gozi, e delle audizioni svolte presso la Commissione Bilancio nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui documenti in esame;
   preso atto della Comunicazione della Commissione europea del 13 gennaio 2015 «Utilizzare al meglio la flessibilità offerta nell'ambito delle norme vigenti del patto di stabilità e crescita» (COM(2015) 12 final);
   premesso che:
    la presentazione del Piano europeo per gli investimenti è apprezzabile, costituendo esso il primo intervento, sia pur tardivo, posto in essere dall'Unione europea, dopo lo scoppio della crisi economica, per stimolare la domanda aggregata. Il Piano contribuisce pertanto all'inversione di tendenza nell'approccio seguito dall'Unione in materia di politica economica, determinata in misura significativa dall'azione condotta dal Governo italiano, soprattutto nel corso del semestre di Presidenza del Consiglio dell'UE;
    le basi giuridiche della proposta di regolamento in esame – costituite dagli articoli 172, in materia di reti transeuropee, 173, relativo alla politica industriale, 175, paragrafo 3, concernente le misure diverse dai fondi strutturali volte a garantire la coesione, economica e sociale, e 182, paragrafo 1, in materia di ricerca e sviluppo tecnologico, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea – risultano appropriate;
    la proposta di regolamento non appare pienamente coerente con il principio di sussidiarietà. Le dimensioni e gli effetti del calo degli investimenti nell'Unione europea avrebbero richiesto e richiederebbero anche un intervento di stimolo più immediato, incisivo e significativo dell'Unione europea, sia sul piano finanziario che su quello degli strumenti impiegati;
    dall'inizio della crisi economica e finanziaria, si è registrato infatti un calo pari al 15 per cento circa rispetto al 2007 Pag. 159per l'UE nel suo complesso, ma concentrato soprattutto in Italia (-25 per cento), Portogallo (-36 per cento), Spagna (-38 per cento), Irlanda (-39 per cento) e Grecia (-64 per cento). Questa forte riduzione degli investimenti ha rallentato la ripresa economica dell'Unione, rispetto ad altri partner globali, incidendo negativamente sul perseguimento di obiettivi e politiche previste dai Trattati, quali la creazione di posti di lavoro, la crescita equilibrata, un'economia sociale di mercato altamente competitiva, la coesione economica e sociale. Secondo diversi studi il rilancio durevole ed equilibrato dell'economia europea richiederebbe investimenti stimati tra i 200 i 500 miliardi di euro annui per dieci anni;
    a fronte di tali dati, la necessità dell'intervento dell'Unione è resa evidente dalla insufficienza dell'azione degli Stati membri per rilanciare gli investimenti, determinata dai vincoli di finanza pubblica imposti dalla normativa europea e dal valore aggiunto che il sostegno del bilancio europeo e della BEI offrirebbero, soprattutto ai fini della partecipazione del mercato ai progetti;
    le previsioni della proposta di regolamento in esame in merito al FEIS non sembrano tuttavia pienamente adeguate rispetto al fabbisogno di investimenti e agli obiettivi indicati nella proposta stessa e dalla Comunicazione relativa al Piano per gli investimenti. In particolare, sia l'entità limitata della garanzia offerta dal bilancio dell'UE, sia la garanzia sulla effettiva addizionalità degli investimenti promossi potrebbero pregiudicare gli effetti del Piano stimati dalla Commissione europea;
    in particolare, secondo le stime della Commissione, il FEIS produrrebbe, in ragione della sua capacità di rischio iniziale, un effetto leva di 1 a 15, mobilizzando investimenti per almeno 315 miliardi di euro. Tale stima, pur fondata sui risultati di precedenti operazioni, potrebbe non risultare del tutto realistica, considerato che la garanzia del Fondo dovrebbe essere destinata soprattutto a progetti ad elevato grado di rischio e che possono pertanto risultare poco attraenti per gli investitori privati;
    l'effetto leva potrebbe risultare in ogni caso potenziato significativamente qualora la Banca centrale europea acquistasse, nell'ambito del programma denominato quantitative easing, titoli emessi dalla Banca europea degli investimenti per finanziare i progetti sostenuti dal FEIS;
    l'impatto economico del Piano in esame dipende essenzialmente dal rispetto del requisito dell'addizionalità degli investimenti sostenuti dal FEIS, mediante la loro destinazione al finanziamento di progetti ad alto rischio, che non sono altrimenti finanziabili dai fondi UE esistenti, dalla BEI, dai bilanci nazionali e dal mercato a condizioni ragionevoli. Tuttavia nella proposta originaria la governance del FEIS, le politiche di rischio e i criteri di selezione dei progetti non risultano espressamente verso investimenti con elevato grado di rischio;
    la proposta originaria di regolamento, inoltre, richiama solo nel preambolo ma non nell'articolato l'esigenza di tenere adeguatamente conto del relativo valore sociale oltre che della redditività degli investimenti;
    la necessità di attirare investimenti privati – imprescindibile per il successo del Piano – non vale di per sé ad escludere una valutazione politica sui progetti che meritano più di altri la prestazione della garanzia pubblica, a carico del bilancio europeo e della BEI;
    l'orientamento generale definito dal Consiglio ECOFIN del 10 marzo e il progetto di relazione delle Commissioni per i bilanci e gli affari economici e monetari del Parlamento europeo prospettano opportunamente l'introduzione di criteri più puntuali di selezione dei progetti, tra cui l'esigenza di assicurare il valore aggiunto del sostegno del FEIS;
    l'orientamento generale del Consiglio prevede, inoltre, che, nel definire la politica di investimenti e la politica di Pag. 160rischio per il sostegno del FEIS, il comitato direttivo del FEIS «tiene conto dell'esigenza di evitare un'eccessiva esposizione nell'ambito di un dato settore o area geografica». Appare opportuno precisare che tale previsione, in coerenza con il criterio del valore aggiunto, non impedisce la destinazione prioritaria degli investimenti ad aree particolarmente colpite dal calo degli investimenti e da un maggiore ritardo infrastrutturale;
    la governance del Fondo, articolata su due livelli, potrebbe determinare una eccessiva complessità delle decisioni relative alla selezione dei progetti;
    il considerando 22 della proposta di regolamento in esame ribadisce che gli investimenti sostenuti dal FEIS dovrebbero rispettare le norme sugli aiuti di Stato. Preannuncia pertanto che la Commissione adotterà apposite linee guida volte a definire i principi che i progetti dovrebbero rispettare per essere ammessi al sostegno del FEIS e a stabilire una procedura semplificata e accelerata di valutazione degli eventuali contributi nazionali complementari, al fine in particolare di verificare la proporzionalità del sostegno pubblico. Ove tali linee guida imponessero di verificare per ogni singolo progetto se i finanziamenti siano in linea con quelli che possono essere offerti dal mercato, si profilerebbe il rischio di ritardi nell'effettiva realizzazione dei progetti. Tale impostazione inoltre non sarebbe coerente con le finalità di stimolo della domanda aggregata sottese al Piano europeo per gli investimenti;
    le risorse conferite dal bilancio dell'UE al FEIS dovrebbero, in base alla proposta di regolamento, derivare in gran parte da una riallocazione di stanziamenti già attribuiti al Programma Orizzonte 2020 e al Meccanismo per collegare l'Europa. Appare necessario valutare se tale riallocazione sia in grado di generare un rendimento differenziale, in termini economici e sociali, superiore a quello che sarebbe stato prodotto dall'assegnazione originaria ai programmi sopra indicati;
    forte rilievo presenta la costituzione di un Polo europeo di consulenza sugli investimenti che dovrebbe fornire assistenza tecnica nell'individuazione, preparazione e sviluppo dei progetti di investimento;
    è apprezzabile, nella stessa logica, la costituzione di una Unità tecnica centrale per le infrastrutture, costituita dalla Cassa depositi e prestiti e dalla BEI, con il compito di assistere le amministrazioni centrali e locali nella identificazione, predisposizione e sviluppo dei progetti di investimento che potrebbero beneficiare del sostegno del FEIS;
    condivisibile è il forte accento posto dalla Comunicazione in esame sull'esigenza di un utilizzo efficace dei 450 miliardi di euro (630 miliardi di euro se si includono i cofinanziamenti nazionali) disponibili per gli investimenti nell'ambito della programmazione dei fondi strutturali e di investimento 2014-2020;
   rilevata l'esigenza che il presente parere sia trasmesso, unitamente al documento finale approvato dalla V Commissione, al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione europea nell'ambito del dialogo politico informale;
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   1) il Governo si adoperi nelle competenti sedi decisionali dell'UE affinché il regolamento istitutivo del FEIS sia approvato tempestivamente, in modo da consentire l'operatività del Fondo entro il secondo semestre 2015;
   2) sia garantita – anche al fine di rendere la proposta più coerente con il principio di sussidiarietà – l'effettiva addizionalità degli investimenti sostenuti dal FEIS, inserendo nella proposta di regolamento criteri appropriati in relazione alla governance e alle politiche di rischio del Fondo nonché alla selezione dei progetti. In particolare, tali criteri dovrebbero, come Pag. 161prospettato dall'articolo 1-ter, lettera g) e dall'articolo 2-bis dell'orientamento generale del Consiglio nonché dal comma 2-bis dell'articolo 5 del progetto di relazione del Parlamento europeo, prevedere che:
    la valutazione della sostenibilità dei progetti da un punto di vista economico, tenga conto anche del loro impatto complessivo sull'economia e della loro capacità di innescare investimenti successivi, nonché del relativo valore sociale e del ridotto impatto ambientale;
    i progetti abbiano un profilo di rischio più elevato rispetto a quelli sostenuti nel quadro dell'attività ordinaria della BEI, secondo le sue normali politiche di investimento, e non beneficino del sostegno dei fondi strutturali o di altri programmi finanziati dal bilancio dell'UE;
   3) con riferimento al sistema di governance del FEIS:
    si valuti, al fine di garantire la riduzione dei tempi necessari per la concessione della garanzia del Fondo ai progetti di investimenti e assicurarne in tal modo l'effettivo contributo al rilancio della domanda aggregata, una semplificazione del modello duale prospettato nella proposta di regolamento, in particolare prevedendo esclusivamente la costituzione di un comitato per gli investimenti e non anche di un comitato direttivo;
    si stabilisca che i membri del comitato direttivo siano nominati dal Parlamento europeo sulla base di una rosa di candidati presentata dalla Commissione e dalla BEI;
    sia inoltre precisato che i membri del comitato per gli investimenti sono indipendenti e non ricevono istruzioni dalla BEI, dalle istituzioni dell'Unione, dagli Stati membri o da ogni altro organismo pubblico o privato;
   4) è necessario stabilire criteri puntuali e una procedura semplificata e abbreviata per la valutazione della conformità con la normativa in materia di aiuti di stato dei finanziamenti erogati dalle banche di promozione nazionale o da altri soggetti pubblici a sostegno di progetti che beneficino della garanzia del FEIS;
   5) sia valutato il ricorso, ai fini del contributo del bilancio dell'UE al Fondo, a coperture alternative rispetto alla riallocazione di stanziamenti di programmi e fondi esistenti, anche utilizzando maggiormente il margine disponibile tra i massimali delle risorse proprie e del quadro finanziario, purché non siano generate incertezze sulla effettiva dotazione finanziaria del FEIS;
   6) al fine di accrescere la capacità di sostegno dell'UE agli investimenti, appare opportuno prevedere che, nell'ambito del riesame del FEIS che andrà operato entro il 2018, sia valutata la costituzione di un fondo europeo per investimenti in infrastrutture, con risorse conferite direttamente pro quota dagli Stati membri, sul modello del Meccanismo europeo di stabilità;
   7) il Governo assicuri la costante informazione e consultazione delle Camere in merito a tutte le fasi del processo di identificazione, strutturazione e selezione dei progetti di interesse per l'Italia per i quali sarà richiesta la garanzia del FEIS. In particolare, sarebbe utile ed auspicabile che il Governo acquisisca preventivamente il parere delle competenti Commissioni parlamentari sui progetti per i quali intende sottoporre alla Commissione europea e alla BEI la richiesta di sostegno del FEIS;
   8) sia assicurata a livello nazionale, in coerenza con le indicazioni contenute nel Piano per gli investimenti, un utilizzo efficace della programmazione dei fondi strutturali 2014-2020, in senso complementare agli interventi sostenuti dal FEIS. Il Governo dovrebbe valutare allo scopo, dandone conto nel prossimo Documento di economia e finanza, l'impatto prodotto dal trattamento favorevole delle risorse nazionali destinate al cofinanziamento di interventi sostenuti dai fondi strutturali, quale previsto nella richiamata comunicazione sull'applicazione del Patto di stabilità.

Pag. 162

ALLEGATO 2

Comunicazione della Commissione europea: Un piano di investimenti per l'Europa (COM(2014)903 final) – Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e che modifica i regolamenti (UE) nn. 1291/2013 e 1316/2013 (COM(2015)10 final).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE FORMULATA DAL GRUPPO SEL

  La XIV Commissione,
   esaminate la Comunicazione (COM(2014) 903 final) della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, alla Banca Centrale Europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle Regioni e alla Banca Europea per gli Investimenti, attinente «Un piano di investimenti per l'Europa» e la proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (COM (2015) 10 final) relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e che modifica i Regolamenti (UE) n. 1291/2013 e n. 1316/2013;
   preso atto della Comunicazione della Commissione europea del 13 gennaio 2015 «Utilizzare al meglio la flessibilità offerta nell'ambito delle norme vigenti del patto di stabilità e crescita» (COM(2015) 12 final);
   premesso che:
    la disoccupazione crescente rappresenta solo uno dei risultati negativi delle politiche dell'austerità perseguite con ottusità dagli organismi europei come più volte denunciato da molti eminenti economisti, dal Fondo Monetario Internazionale, con la Risoluzione 6-00092 presentata in vista del precedente Consiglio europeo del 23-24 ottobre scorso e con la Relazione di minoranza alla Legge di Stabilità 2015 (AC 2689-bis-A – Relatore Melilla);
    l'Eurozona, e in particolare i Paesi mediterranei, si trovano in una situazione economica pesantissima: stagnano o calano i consumi e diminuiscono gli investimenti privati e pubblici. La Banca Centrale Europea, BCE, cerca di dare ossigeno monetario al sistema ma le banche dei diversi Paesi trattengono la liquidità e non offrono sufficiente credito all'economia reale, in particolare alle piccole e medie imprese. In pratica: non si investe, non si produce, non si consuma;
    crescono massicciamente la disoccupazione e la precarietà del lavoro. Aumentano le divaricazioni territoriali e sociali. Sembra che l'Europa abbia dimenticato i suoi obiettivi originari di piena occupazione, sviluppo sostenibile e benessere per tutti i cittadini: la priorità dichiarata dagli organi della Unione Europea è piuttosto mirata esclusivamente ad aumentare la competitività con politiche di austerità e le cd. «riforme strutturali»;
    la crisi mette a rischio la sopravvivenza stessa di qualsiasi disegno di integrazione. L'economia europea è malata e rischia di «infettare» l'economia mondiale. In questo quadro di incertezza e di grave sofferenza sono possibili diversi scenari: la continuazione di una fase prolungata di stagnazione, o peggio di recessione e depressione; la ristrutturazione dei debiti dei Paesi dell'Europa mediterranea; la rottura caotica dell'eurozona con l'uscita forzata di uno o più paesi dall'euro e il Pag. 163crollo rovinoso del sistema europeo e dell'euro;
    allo stato attuale, senza cospicui investimenti pubblici, a poco potranno le nuove iniezioni di liquidità che la BCE ha in programma di realizzare per sovvertire un quadro così compromesso;
   considerato che:
    la Commissione europea il 16 novembre 2014 ha presentato una Comunicazione con cui si intende creare un Piano diretto a favorire la mobilitazione nell'Unione Europea di almeno 315 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi nel triennio 2015-2017. Il Piano conosciuto come «Piano Juncker» reca una serie di ulteriori misure intese ad assicurare l'effettiva destinazione all'economia reale e a migliorare il contesto regolamentare nell'Unione al fine di stimolare ulteriori investimenti, specificatamente, del settore privato. Inoltre, ha l'ambizione di creare 1, 3 milioni di posti di lavoro nel triennio considerato;
    detto Piano verrà posto in essere attraverso la creazione del Fondo europeo per gli Investimenti strategici (FEIS);
    il Consiglio europeo del 18 e 19 dicembre 2014 ha chiesto ai legislatori dell'Unione di approvare la proposta di Regolamento relativa al Fondo entro giugno 2015 di modo tale che gli investimenti si possano attivare fin dalla metà del 2015;
    la Commissione trae spunto per la presentazione del Piano dalla necessità di rilanciare il settore degli investimenti nell'Unione Europea che ha registrato un calo pari al 15 per cento circa rispetto al picco del 2007. Questo calo è particolarmente significativo in Italia (-25 per cento), Portogallo (-36 per cento), Spagna (-38 per cento), Irlanda (-39 per cento) e Grecia (-64 per cento);
    il Piano si articola in tre pilastri: il primo mobilitare almeno 315 miliardi di euro aggiuntivi di investimenti nei prossimi tre anni, il secondo garantire che questi investimenti soddisfino i bisogni dell'economia reale, terzo ed ultimo pilastro porre in essere misure volte a rafforzare la prevedibilità normativa e a rimuovere gli ostacoli alla realizzazione degli investimenti con azioni di forte sburocratizzazione dei sistemi di accesso al Piano di investimenti, affinché l'Europa possa essere più attraente da un punto di vista degli investimenti e, di conseguenza, produrre l'effetto moltiplicatore del Piano;
    il primo pilastro si configura come fondo fiduciario dedicato in seno alla BEI, il FEIS verrebbe istituito quale meccanismo di garanzia distinto e in regime di separazione contabile e, quindi, fuori dal patrimonio della BEI, la quale non sarebbe responsabile patrimonialmente degli obblighi del Fondo stesso;
    è opportuno evidenziare che la proposta di Regolamento non provvede direttamente all'istituzione del Fondo, bensì rinvia l'istituzione ad un accordo fra la Commissione Europea e la BEI: ne consegue che la mera approvazione del Regolamento non renderebbe di per sé immediatamente operativo il Fondo stesso, anche a fronte del fatto che bisognerà modificare una parte della normativa europea che disciplina gli aiuti di Stato, nonché i Trattati europei nella parte in cui bisognerà apportare le dovute modifiche normative per non rendere il Piano al di fuori della cornice giuridica europea;
    il Fondo oltre ad avere una distinta contabilità e autonomia patrimoniale dalla BEI non gode di alcuna personalità giuridica infatti è la BEI e non il Fondo ad impegnare la garanzia della UE;
    la dotazione finanziaria a garanzia del Fondo sarebbe di 21 miliardi di cui 16 miliardi fra le risorse già previste dal bilancio europeo, nell'ambito dei programmi europei quali «Meccanismo per collegare l'Europa» (Connecting Europe Facility) nella misura di 3,3 miliardi, di «Orizzonte 2020» nella misura di 2,7 miliardi e dalla riserva di bilancio nella misura di 2 miliardi, derivante dall'utilizzo del margine disponibile tra il massimale delle risorse proprie e quello delle spese;Pag. 164
    per ciò che riguarda la mobilitazione e la destinazione del margine disponibile (margine di flessibilità del bilancio dell'Unione) la Comunicazione ha evidenziato gli attriti nel difficile negoziato che c’è stato fra il Consiglio e il Parlamento europeo sul progetto di bilancio per il 2015 e sui bilanci rettificativi per il 2014. La Commissione e il Parlamento europeo chiedono l'utilizzo almeno in parte di tale margine per destinare risorse a fronte delle fatture non pagate dall'Unione europea che hanno raggiunto un importo pari a circa 23,4 miliardi di euro alla fine del 2013 per la sola Politica di Coesione. Per altro verso, alcuni Stati membri hanno manifestato in seno al Consiglio forti resistenze all'utilizzo del margine in considerazione dell'aumento pro quota dei rispettivi contributi del bilancio dell'Unione;
    in realtà con l'istituzione del FEIS si va a de-finanziare il programma «Connecting Europe Facility» che è un piano di investimenti pari a 50 miliardi di euro destinato a migliorare le reti europee di trasporto, energia e digitali. Si aggiunge, a quanto già detto, che si andranno a sottrarre dal programma «Orizzonte 2020», con un plafond di 77 miliardi di euro, una quota consistente di denaro, al più importante programma destinato alle attività di ricerca, all'innovazione tecnologica e che consente alle Università, ai Centri di Ricerca e a singoli soggetti di poter realizzare i propri progetti e mettere in pratica le proprie idee. A tal riguardo, l'Accademia Europea, che annovera fra i propri membri 3.000 tra i nomi più prestigiosi in campo scientifico dell'Unione, ha stigmatizzato l'inopportunità di sottrarre fondi alla ricerca europea in una lettera inviata al Parlamento, alla Commissione e al Consiglio Europeo. Basti pensare che le spese in ricerca e sviluppo nell'Unione, sono in rapporto al PIL, di quasi un punto in percentuale inferiore a quella degli Stati Uniti (1,9 per cento contro 2,8 per cento nel 2011, ultimo dato OCSE disponibile);
    si segnala che l'impegno dell'UE a valere sulle risorse iscritte a bilancio sarebbe pari a 16 miliardi di euro, in realtà le risorse effettivamente rese disponibili e stornate da precedenti voci di spesa, ovvero derivanti dall'utilizzo del margine di flessibilità, ammontano a 8 miliardi di euro da corrispondere entro il 2020;
    saranno versati al Fondo di garanzia: 500 milioni di euro nel 2016, 1 miliardo di euro nel 2017 e 2 miliardi di euro nel 2018. Nel 2018 e nel 2020 i 2,25 miliardi di euro l'anno saranno versati se dopo il 2018 l'importo obbiettivo del fondo di garanzia resterà invariato al 50 per cento. Gli stanziamenti di impegno ammonteranno a 1,35 miliardi di euro nel 2015, 2,03 miliardi di euro nel 2016, 2,641 miliardi di euro nel 2017 e 1,979 miliardi di euro nel 2018. Entro il 31 dicembre 2018 e a cadenza successiva annuale, la Commissione esamina l'adeguatezza del livello del fondo di garanzia tenendo conto delle eventuali riduzioni delle risorse dovute all'attivazione della garanzia. La Commissione può adottare atti delegati per adeguare per un massimo del 10 per cento l'importo (un massimo di 800 milioni di euro), affinché il fondo di garanzia rispecchi meglio il rischio potenziale di attivazione della garanzia;
    a tal riguardo, si segnala che gli importi più consistenti sono concentrati agli anni successivi al 2017 e che l'eventuale incremento del 10 per cento, disposto dalla Commissione nell'esercizio della delega, non potrebbe essere messo a disposizione in assenza di rettifica del bilancio della UE, non indicando la proposta di Regolamento le risorse da utilizzare a copertura del maggiore onere;
    la BEI apporterà un contributo di 5 miliardi di euro in garanzie a copertura dei rischi sugli strumenti in base al portafoglio. Gli strumenti ammissibili alla copertura sono i portafogli composti da prestiti della BEI (garanzie, contro garanzie, strumenti del mercato dei capitali, qualsiasi forma di finanziamento di supporto di credito, di partecipazioni azionarie o quasi azionarie) e i finanziamenti della BEI al Fondo europeo per gli Investimenti, FEI, a cui possono essere assegnati, Pag. 165sempre secondo la proposta di regolamento, la cifra massima di 2,5 miliardi di euro;
    in realtà la dotazione dell'istituendo Fondo è di 13 miliardi di euro a cui mancano l'erogazione di altri 8 miliardi di euro. Questi 21 miliardi di euro servirebbero per emettere obbligazioni e raccogliere fondi sul mercato per un totale di 60 miliardi di euro, capaci di generare secondo il «Piano Juncker», investimenti in progetti a lungo termine dell'importo di 315 miliardi di euro nel triennio dal 2015 al 2017;
    la proposta di Regolamento istituisce, altresì, un Fondo di garanzia che verrebbe alimentato con i pagamenti provenienti dal bilancio generale dell'Unione, i rendimenti ottenuti dalle risorse del Fondo di garanzia investite, eventuali importi recuperati da debitori inadempienti e da pagamenti di altra natura ricevuti dall'Unione in virtù dell'accordo sul FEIS. A tal riguardo, è opportuno acquisire informazioni sulle ragioni che giustificano l'istituzione di tale fondo, separatamente dal FEIS, in sostanza l'istituzione di un Fondo prospetta una strumentazione diversa da quelle già disponibili;
    l'accordo sul FEIS è aperto all'adesione degli Stati membri. Col consenso dei contributori esistenti (Commissione e BEI), è aperto anche all'adesione di altri terzi tra cui banche di promozione nazionali o enti pubblici di proprietà degli Stati membri o da essi controllati e soggetti del settore privato. Gli Stati che aderiscono all'accordo sul FEIS possono corrispondere il contributo in contanti o sottoforma di garanzia accettabile per la BEI. Gli altri terzi possono corrispondere il contributo solo in contanti. Alla luce di questi elementi andrebbe chiarito se il contributo di Stati e privati costituirebbe la forma di ulteriore garanzia o di conferimento di capitale. Inoltre, occorre considerare quale incidenza potrebbe avere, nella disponibilità da parte degli Stati membri, ad apportare risorse per il finanziamento del Fondo la prospettiva di avvalersi di una quota proporzionalmente almeno corrispondente di investimenti finanziati dal Fondo medesimo nel proprio territorio. Nel caso dell'Italia occorre considerare la ridotta capacità progettuale rispetto ad altri paesi UE come evidenziato dall'esperienza dei fondi strutturali;
    la Comunicazione della proposta di Regolamento non prevede alcun criterio per individuare la quota parte del capitale che verrebbe conferita dagli Stati membri, essendo rimessa interamente alla discrezionalità di ciascuno Stato della scelta del quantum, non essendoci alcun elemento di certezza di effettiva disponibilità di capitale del Fondo. Si segnala poi, che la relazione che accompagna la proposta di Regolamento non sembra scomputare l'effetto negativo derivante dalla sottrazione di risorse al bilancio UE utilizzate a titolo di garanzia del FEI, che impedirebbe la realizzazione di specifiche azioni, quali quelle previste dai programmi «Connecting Europe Facility» e «Orizzonte 2020», fra l'altro già avviati in quanto ricompresi nella programmazione finanziaria 2014-2020. La relazione si limita ad affermare che, complessivamente, l'effetto moltiplicatore generato dal FEIS permetterà di aumentare sensibilmente gli investimenti nei settori contemplati dai citati programmi, senza tuttavia fornire indicatori precisi a sostegno di quest'ipotesi;
    la Commissione nella Comunicazione presentata il 13 gennaio 2015 relativa all'applicazione del Patto di Stabilità e crescita ha preannunciato che adotterà una posizione favorevole a questi apporti di capitale. In sostanza, i contributi nazionali versati al FEIS non saranno computati nella valutazione dell'aggiustamento di bilancio, a prescindere dal fatto che gli Stati interessati (tra cui l'Italia) si trovino nel braccio preventivo o in quello correttivo del Patto di Stabilità. Per quei Paesi che si trovano nel braccio preventivo del Patto di Stabilità, la Commissione potrebbe ammettere una deviazione temporanea dall'obbiettivo del pareggio a medio termine entro il limite del 0,5 per cento del Pil (per l'Italia si tratterebbe di circa Pag. 1668,5 miliardi di euro), garantendo un margine di sicurezza adeguato in modo da rispettare il valore di riferimento del 3 per cento. Mentre per quei Paesi che sono nel braccio correttivo e dunque sono oggetto di una procedura per i disavanzi eccessivi, la Commissione potrebbe raccomandare al Consiglio la concessione di un termine più ampio per il rientro dal disavanzo. Nella richiamata Comunicazione della Commissione del 13 maggio 2015 si afferma altresì che i Paesi che usufruiscono della cosiddetta «clausola sugli investimenti» (adottata nel luglio del 2013 la quale aveva individuato con apposito documento i requisiti in presenza dei quali la Commissione avrebbe valutato la possibilità di scostamenti temporanei dall'obbiettivo a medio termine, in considerazione della drastica riduzione delle spese in conto capitale, ed in particolare degli investimenti in conseguenza della crisi e delle politiche di risanamento della finanza pubblica), il trattamento favorevole ai fini del Patto si applicherà anche alle risorse nazionali destinate al cofinanziamento di ulteriori progetti o programmi di investimento;
    ad avviso della Commissione il Fondo potrebbe produrre un effetto moltiplicatore complessivo di 1:15 in termini di investimenti nell'economia reale grazie alla sua capacità di rischio iniziale. L'effetto stimato sempre a giudizio della Commissione sarebbe una media prudente. E appare a questo riguardo indispensabile comprendere, nonché verificare quanto realistica possa essere l'indicazione di un effetto leva di 1:15, considerando che gran parte dei fondi sarebbero destinati a progetti infrastrutturali a lungo termine la cui redditività è di per sé incerta e dunque può risultare poco attraente per gli investitori privati. Tant’è vero che la struttura amministrativa e fiscale così diseguale nell'Unione non consentirebbe agli investitori privati di avere certezze temporali e programmatiche circa l'approvazione degli eventuali progetti da realizzarsi;
    la governance, in base alla proposta di regolamento sul FEIS, sarà composta da un comitato direttivo che deciderà l'indirizzo generale, le linee guida di investimento, il profilo di rischio, le politiche strategiche e la locazione strategica delle attività del Fondo, nel rispetto «degli orientamenti politici della Commissione». Nessuna decisione può essere adottata con il voto contrario della Commissione o della BEI. A seguire vi è il comitato per gli investimenti, che risponderà al comitato direttivo, vaglierà i singoli progetti scegliendo quelli che otterranno il sostegno del FEIS, senza essere vincolato a contingenti geografici o settoriali. Il comitato sarà composta da sei esperti del mercato indipendenti e dall'amministratore delegato, che sarà responsabile della gestione quotidiana del FEIS. L'amministratore delegato e il suo vice saranno nominati dal comitato direttivo su proposta congiunta della commissione e della BEI. Il FEIS si avvarrà del Polo europeo di consulenza sugli investimenti, EIAH, che costituirà lo sportello unico di assistenza per l'individuazione, la preparazione, lo sviluppo e il finanziamento dei progetti, offrendo inoltre consulenza sull'uso di strumenti finanziari innovativi e sul ricorso a partenariati pubblico-privato. A tal riguardo, è opportuno segnalare che in base alla proposta di Regolamento, l'EIAH sarà finanziato principalmente con le esistenti dotazioni per l'assistenza tecnica della BEI previsti dai programmi della UE vigenti (Connecting Europe Facility e Orizzonte 2020);
    il «Piano Juncker» ribadisce l'esigenza di un uso efficace dei 450 miliardi di euro dei fondi strutturali ed investimento europei (630 miliardi di euro se includono i cofinanziamenti nazionali) della programmazione dei fondi strutturali 2014-2020. In questa prospettiva la Commissione suggerisce agli Stati membri di destinare una percentuale specifica delle allocazioni previste nei rispettivi Accordi di Partenariato per ognuno dei principali settori di investimento mediante strumenti finanziari innovativi: il 50 per cento per il sostegno alle PMI, il 20 per cento per le misure di riduzione dell'emissione di CO2, il 10 per cento per le tecnologie dell'informazione della comunicazione, il 10 per Pag. 167cento per i trasporti sostenibili, il 5 per cento per il sostegno a ricerca e sviluppo e il 5 per cento per l'ambiente e l'uso efficiente delle risorse nonché attivare strumenti di micro finanza con cui concedere prestiti agevolati che potrebbero contribuire a promuovere il lavoro autonomo, l'imprenditoria e le microimprese. Sempre secondo la Commissione questo nuovo approccio permetterebbe di impegnare quasi 30 miliardi di euro a favor di strumenti finanziari innovativi con un effetto leva diretto, generando tra 40 e 70 miliardi di investimenti aggiuntivi e producendo un effetto moltiplicatore addirittura superiore nell'economia reale. Sempre secondo le stime prudenti della Commissione, gli investimenti aggiuntivi che potrebbero essere mobilitati nel periodo 2015-2017 ammonterebbero a 20 miliardi di euro;
    il secondo pilastro del piano consiste, secondo la Commissione, in iniziative volte a garantire che i finanziamenti aggiuntivi generati dal FEIS (nonché dai fondi strutturali) siano destinati «a progetti redditizi con un reale valore aggiunto per l'economia sociale di mercato europea». A questo scopo, si prevede l'individuazione di una riserva di progetti di rilevanza europea per 300 miliardi di euro che potrebbero usufruire delle fonti di finanziamento aggiuntive di cui al primo filone del piano;
    una lista preliminare di progetti è stata predisposta dalla «task force per gli investimenti» composta da BEI e Commissione, insieme agli Stati membri, che ha già prodotto un primo rapporto, il quale individua ben 2.000 progetti in tutta l'UE per un valore complessivo potenziale attorno ai 1.300 miliardi di euro. In premessa, si precisa che non ci sono impegni di finanziamento da parte della Commissione, della BEI o di qualsiasi Stato membro per i progetti inclusi nel rapporto, dal momento che essi non sono stati oggetto di specifica valutazione da parte della Commissione, BEI o della task force;
    in particolare, la task force ha predisposto una lista, a carattere meramente illustrativo delle tipologie di progetti potenzialmente finanziabili, di 44 progetti tra quelli già presentati dagli Stati membri in base a programmi precedenti. Anche in questo caso, l'inclusione nella lista non implica necessariamente che il progetto verrà finanziato nell'ambito del FEIS. Dei 44 progetti, 4 sono italiani e riguardano:
   a) interventi di ristrutturazione degli edifici scolastici, per un valore di 8,7 miliardi di euro;
   b) la creazione di una rete europea di ricerca biomolecolare, da realizzare con altri quattro Paesi dell'Unione, con un investimento di 170 milioni;
   c) l'introduzione di incentivi alla produzione industriale di alta tecnologia, a valere su 400 milioni di euro;
   d) investimenti per l'integrazione della rete elettrica italiana al mercato unico, con costi stimati in 480 milioni di euro;
    i progetti identificati nel rapporto sono solo un punto d'inizio. La decisione finale sull'assegnazione dei finanziamenti spetterà alla BEI e alla Commissione Europea;
    in sostanza, il sistema attribuirebbe un «marchio di credibilità» per i progetti di investimento europei, contribuendo alle iniziative avviate nell'ambito del G20 per condividere le migliori pratiche relative ai progetti di investimento. Si intende in tal modo tenere conto del fatto che per molti dei soggetti interessati il problema più grave non è la mancanza di finanziamenti, ma la sensazione che manchino progetti validi, determinata dalla mancata conoscenza del potenziale di progetti esistenti. Inoltre, i potenziali investitori sono poco propensi a investire da soli, viste la complessità intrinseca dei progetti stessi e la mancanza di informazioni che consentano una valutazione adeguata del rischio. Ciò vale soprattutto per i grandi progetti di investimento a lungo termine nelle infrastrutture;Pag. 168
    il Piano prevede la creazione di un «polo di consulenza sugli investimenti», inteso quale sportello unico per fornire l'assistenza tecnica necessaria ai fini della strutturazione dei progetti, dell'uso di strumenti finanziari innovativi a livello nazionale e europeo e del ricorso a partenariati pubblico-privato;
    il polo sarebbe destinato a tre categorie: promotori di progetti, investitori e autorità di gestione pubbliche. In particolare, il polo fornirebbe orientamenti riguardo al tipo di consulenza appropriato per un determinato investitore, che a seconda dei casi potrà rivolgersi al gruppo BEI, alle banche di promozione nazionali o ad altre istituzioni finanziarie internazionali;
    la Commissione monitorerà, insieme alle altre istituzioni dell'UE, i progressi nell'attuazione del Piano di investimenti nell'ambito del semestre europeo di coordinamento delle politiche economiche;
    il terzo pilastro del Piano ribadisce la necessità e l'importanza della riduzione degli oneri amministrativi e della semplificazione normativa al fine di promuovere il rilancio degli investimenti;
    per quanto riguarda le azioni da intraprendere a livello europeo, la Commissione ricorda di aver incluso il miglioramento della regolamentazione fra le principali priorità del suo mandato e di aver previsto specifiche misure nel suo programma di lavoro per il 2015, soprattutto nell'ambito del «Programma di controllo dell'adeguatezza e dell'efficacia della regolamentazione», REFIT;
    a livello nazionale, viene ribadita l'esigenza che le misure di recepimento della normativa UE siano per quanto possibile semplici, chiare e «leggere», per evitare di creare oneri aggiuntivi. Al riguardo, si segnala che l'articolo 32, comma 1, lettera c) della legge 234/2012 relativa alla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'UE, prevede che gli atti di recepimento di direttive dell'Unione Europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse;
    il Piano preannuncia l'avvio all'inizio del 2015 di una consultazione volta ad identificare gli interventi necessari, per rimuovere gli ostacoli al finanziamento degli investimenti nell'ambito dell'UE e progredire, a medio e lungo termine, verso una Unione dei mercati dei capitali;
    l'obiettivo è quello di contribuire a ridurre l'attuale forte dipendenza degli investimenti dall'intermediazione bancaria, soprattutto per le PMI, e le restrizioni per i finanziamenti a lungo termine per le infrastrutture determinate dal fatto che la circolazione dei capitali nell'UE non è stata totalmente liberalizzata;
    il Piano prospetta infine interventi nel breve e medio periodo in alcuni settori chiave per il rilancio degli investimenti:
   a) energia, mediante la realizzazione dell'Unione europea dell'energia e l'attuazione integrale del terzo pacchetto sull'energia;
   b) i trasporti, realizzandole riforme strutturali necessarie per rimuovere gli ostacoli agli investimenti nelle infrastrutture e nei sistemi di trasporto e adottando in tempi brevi il quarto pacchetto ferroviario;
   c) il mercato unico digitale, adottando rapidamente provvedimenti legislativi ambiziosi in materia di protezione dei dati, regolamentazione delle telecomunicazioni e semplificazione delle norme in materia di diritto d'autore e tutela dei consumatori per gli acquisti online e digitali;
   d) i mercati dei servizi. Ad avviso della Commissione, occorre, per i settori e le professioni con un notevole potenziale commerciale a livello transfrontaliero, abolire i requisiti sproporzionati relativi alla forma giuridica, all'assetto proprietario e alle autorizzazioni e migliorare il riconoscimento reciproco; va altresì assicurata Pag. 169un'applicazione efficace delle norme sugli appalti pubblici a tutti i livelli e la promozione degli strumenti per gli appalti elettronici;
   e) ricerca e innovazione, mediante in particolare riduzione degli ostacoli al trasferimento delle conoscenze, dal libero accesso alla ricerca scientifica e da una maggiore mobilità dei ricercatori;
   valutato, inoltre, che:
    gli economisti della Royal Bank of Scotland hanno calcolato che nell'eurozona gli investimenti siano crollati di 330 miliardi l'anno dall'inizio della crisi. Essi giudicano l'iniziativa di Juncker come sottodimensionata e tardiva. Secondo questi economisti, all'Europa servirebbero almeno 800 miliardi di euro di nuovo capitale, cioè gli investimenti persi nel corso della crisi. Ma l'area euro dovrebbe ripristinare non meno di 1.000 miliardi se consideriamo l'ammortamento e la crescita mancata tra il 2007 e il 2014, perché con la crescita, sia pure contenuta della produttività, non basta ripristinare quanto perduto per recuperare il livello di occupazione iniziale;
    anche se la somma totale prevista sarà attivata nel corso dei prossimi tre anni, ed anche se sul contribuente non peseranno costi più elevati del necessario com’è invece assai probabile, lo stimolo del Piano sarà del tutto insufficiente per spingere l'Europa su un percorso di ripresa economica sostenuta;
    il Piano Juncker si fonda sul presupposto che vi sia una disponibilità da parte dei detentori di capitali privati ad effettuare cospicui investimenti in infrastrutture europee. Questo approccio è, contemporaneamente, un pio desiderio ed una politica pericolosa. Gli investitori privati forniranno il loro capitale solo in cambio di un profitto significativo. La necessità di ottenere tale profitto renderà gli investimenti infrastrutturali privati quasi sempre più costosi per il pubblico che nel caso in cui questi investimenti fossero stati finanziati direttamente dallo Stato. Inoltre, l'architettura finanziaria della garanzia del rischio perpetua la socializzazione delle (potenziali) perdite e la privatizzazione dei profitti, secondo un approccio classico al neo-liberismo;
    scorrendo la lista dei «progetti tipici» presentata dalla Commissione, non risulta affatto chiaro come gli investimenti nel campo dell'istruzione od in infrastrutture di ricerca, oppure in reti digitali, nel trasporto di persone o cose, potranno generare un ritorno finanziario atto a garantire profitti privati adeguati. A meno che non si vogliano imporre pesanti canoni di utenza per i cittadini, il flusso di cassa per rimborsare gli investitori non verrà direttamente dall'esecuzione e gestione dei progetti, ma dai bilanci pubblici;
    anche se fosse attuato pienamente, il Piano conterebbe investimenti già programmati con i quali gli Stati membri, sotto pressione per ridurre i loro deficit, cercheranno di sostituire la spesa nazionale con finanziamenti privati. Quindi, non solo c’è poco ulteriore denaro pubblico, ma ci sono anche pochi nuovi progetti. Così, alla fine, rischiamo di avere solo la privatizzazione di programmi nazionali di investimenti;
    nonostante il capitale della BEI sia stato aumentato di 10 miliardi nel 2012, i Paesi del Sud Europa, che pure hanno diligentemente sottoscritto le loro quote, non hanno avuto in cambio sostanzialmente nessun vantaggio, dal momento che gran parte dei fondi raccolti sono andati a finanziare progetti di Paesi quali la Germania;
    gli investimenti da finanziare – essenzialmente infrastrutture – dovranno essere in grado di produrre, in ipotesi, un reddito sufficiente a remunerare gli investitori privati (banche) che dovrebbero partecipare all'operazione. Ciò significa che i progetti eventualmente finanziabili si riducono drasticamente di numero, restando escluse tutte le opere pubbliche non suscettibili di produrre un reddito direttamente quantificabile (per esempio quelle relative al recupero del territorio), Pag. 170mentre quelli che verranno accettati potrebbero tranquillamente trovare finanziamenti direttamente sul mercato. In sintesi, la proposta appare per molti aspetti come una sostanziale presa in giro. Già 300 miliardi di euro sono meno della metà di quanto servirebbe a rilanciare l'economia europea. Il fatto poi che debbano essere finanziati sul mercato e non in disavanzo secondo criteri di redditività privati conferma che non la crescita ma l'ossessione contabile dei Paesi nordici continua ad essere la vera bussola che orienta le scelte di Bruxelles;
    c’è il rischio che la selezione dei progetti, ove fondata soprattutto sulla valutazione della redditività, finisca per finanziare interventi che sarebbero stati comunque realizzati, anche senza il sostegno del FEIS, negando in tal modo in misura significativa l'addizionalità dei 315 miliardi che si suppone il Piano mobiliti;
    il Piano dovrebbe soprattutto intervenire nei Paesi con maggiore difficoltà di reperimento di risorse per investimenti, essendo inappropriata la logica del giusto ritorno dei contributi nazionali al FEIS;
    l'Europa ha bisogno di un programma significativo di investimenti pubblici di 600 miliardi di euro (2 per cento del PIL dell'UE) ogni anno per un periodo di dieci anni. In un clima di tassi di interesse storicamente bassi, è quasi criminale non utilizzare la capacità di finanziamento pubblico dello Stato per finanziare direttamente ulteriori investimenti. Anche se finanziato a debito, un programma di investimenti pubblici si potrebbe ammortizzare in gran parte da solo come conseguenza della maggiore attività economica indotta, dell'incremento dell'occupazione e delle entrate pubbliche. Ciò è particolarmente importante per i paesi con un avanzo delle partite correnti come la Germania. Essi dovrebbero incoraggiare asimmetricamente gli investimenti e il consumo per rilanciare la domanda interna, correggere gli squilibri commerciali ed aumentare le economie dei loro partner commerciali europei attraverso le importazioni. Una parte del finanziamento di questo programma potrebbe derivare dalla tassazione della ricchezza, nonché dalla lotta contro i paradisi fiscali;
    lo squilibrio tra risorse messe a disposizione della finanza privata e quelle per la finanza pubblica continua a essere di proporzioni incredibili, con gli oltre 1.100 miliardi (60 al mese per almeno 19 mesi) previsti dalla BCE con il suo quantitative easing. Denaro che va ad aggiungersi ai 1.000 miliardi del LTRO, alle risorse del TLTRO, alle centinaia di miliardi di cartolarizzazioni per acquistare crediti bancari e alle altre misure messe in campo in favore della finanza privata. Si inonda di soldi il sistema finanziario che ha provocato la crisi mentre Stati e cittadini che l'hanno subita sono strangolati dall'austerità. Il rischio più evidente è la formazione di una nuova bolla finanziaria, ovvero del crescere del divario tra un sistema finanziario saturo di liquidità e un'economia reale al palo;
    il ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, ha recentemente proposto una forma alternativa al quantitative easing, finanziata al 100 per cento da obbligazioni della Banca europea degli investimenti con la BCE che acquista questi bond sui mercati secondari (il cd. «Piano Merkel»), chiedendo ai governi di guidare un programma per la ripresa degli investimenti. In questa ipotesi la BCE comprerebbe un solo titolo con rating tripla A senza doversi preoccupare dei diversi titoli di stato. Si tratterebbe non di una mutualizzazione dei debiti ma delle spese per investimenti europei;
    la proposta Varoufakis coglie il punto debole del QE: è infatti difficile capire come l'ampliamento della base monetaria dell'unione monetaria europea frammentata si trasformerebbe in una notevole crescita degli investimenti produttivi. Il nesso è molto indiretto. Nel «piano Merkel» tale nesso è diretto e preciso;
    in conclusione, il piano Juncker così come disegnato e presentato appare Pag. 171profondamente sbagliato, non solo per molti versi inutile ma probabilmente nocivo rispetto a quelle che sono le necessità europee;
    per quanto concerne la Comunicazione e la Proposta di Regolamento, sarebbe, in ogni caso, opportuno:
   a) un maggiore controllo democratico sul FEIS, anche con riferimento alla scelta di progetti da finanziare;
   b) demandare alla sede politica la definizione della priorità tra i progetti, sulla base di «ammissibilità» operata in sede tecnica;
   c) che il Piano Juncker sostenga prioritariamente investimenti nei Paesi in maggiori difficoltà, e dovrebbe essere garantita l'effettiva addizionalità degli investimenti sostenuti dal FEIS;
   d) fare ricorso, ai fini del contributo del bilancio dell'UE al Fondo, solo a coperture alternative rispetto alla riallocazione di stanziamenti di programmi e fondi esistenti;
   e) il Governo dovrebbe assicurare priorità al finanziamento di progetti o di piattaforme di investimento che garantiscono un maggiore impatto occupazionale e tesi all'integrale attuazione dell'agenda digitale e al potenziamento e all'ammodernamento di infrastrutture di trasporto ed energia con l'esclusione dei progetti della TAV Lione-Torino e del Passante fiorentino, alla messa in sicurezza del territorio a fronte del dissesto idrogeologico, nonché alla messa in sicurezza delle sedi scolastiche, alla costruzione di asili nido, all'efficientamento energetico degli edifici a partire da quelli pubblici;
   f) il Governo dovrebbe assicurare la costante informazione e consultazione delle Camere in merito a tutte le fasi del processo di identificazione, strutturazione e selezione dei progetti di interesse per l'Italia per i quali sarà richiesta la garanzia del FEIS;
    per quanto concerne la politica economica e sociale, il Governo dovrebbe impegnarsi:
   a) a creare un fronte comune con i governi disponibili a porre con forza negli organismi della governance europea, il tema della revisione dei trattati europei a partire dal fiscal compact, correggendo i vincoli del 3 per cento e del debito al 60 per cento che sono del tutto arbitrari ed assurdi, ottenendo la convocazione di una Conferenza europea per definire le necessarie modifiche;
   b) a proporre, nell'ambito di tale Conferenza, un negoziato sul debito che ricalchi quanto deciso nel 1953 a favore della Germania, cui vennero condonati i debiti di guerra, prevedendo la rinegoziazione del debito che eccede il 60 per cento del PIL;
   c) a sostenere il governo greco nei negoziati di ristrutturazione del debito sovrano, e nella proposta di swap dei titoli greci con nuovi bond, per consentire al Governo greco di rispettare nella sostanza gli impegni esistenti ed al tempo stesso creando uno spazio fiscale sufficiente per aumentare i redditi dei settori della popolazione ridotti in miseria;
   d) ad appoggiare le posizioni del governo greco in merito all'allentamento dei rigidi parametri imposti dalle regole del Fiscal Compact, assumendo una posizione netta e priva di ambiguità nel voler mettere realmente in discussione i parametri imposti dalle politiche di austerity;
   e) a sostenere nelle sedi europee l'esigenza di un riequilibrio delle bilance commerciali da parte dei Paesi in eccesso di avanzo, sviluppando i consumi interni, il mercato interno, in modo tale da ottenere un riequilibrio della realtà economica alla dimensione europea;
   f) a valutare insieme agli altri Paesi dell'Eurozona, la fattibilità e l'efficacia della proposta del Ministro Varoufakis in merito al cd. «Piano Merkel» al fine di sostenere un rilancio effettivo dell'economia europea;Pag. 172
   g) a proporre in tutti gli ambiti della governance europea, un Green New Deal continentale (un Piano europeo per l'Occupazione) il quale stanzi adeguate risorse pubbliche nuove ed aggiuntive rispetto a quelle previste nel cosiddetto «Piano Juncker», che di fatto non vi sono, al fine di creare occupazione per 5-6 milioni di disoccupati e/o inoccupati, di cui un milione in Italia, che rappresentano la totalità di chi ha perso il lavoro dall'inizio della crisi e definendo una politica industriale a livello europeo;
   e, qualora tali proposte non abbiano esito positivo:
   a) ad assumere urgentemente, pur nel contesto dell'euro, iniziative autonome e sovrane per rilanciare l'economia e l'occupazione, come lo sforamento del 3 per cento per il rapporto deficit/PIL;
   b) a valutare l'opportunità di predisporre misure finanziarie nazionali, come previsto, ad esempio, dalla proposta di alcuni economisti favorevoli alla creazione di una quasi-moneta nazionale complementare all'euro tramite la diffusione a favore dei lavoratori dipendenti e autonomi, delle imprese e dei disoccupati, di «Certificati di Credito Fiscale» ad utilizzo differito ed all'emissione di BTP fiscali, oppure altre soluzioni che salvaguardino i nostri interessi nazionali;
   c) a predisporre anche con le risorse che ne deriverebbero un Piano nazionale per il lavoro secondo le linee direttrici sopra enunciate per il Green New Deal continentale,
  esprime

PARERE CONTRARIO.